SULLA PSICOLOGIA DELLA PENA DI MORTE
di Francesco Frigione La recente votazione in favore della moratoria mondiale della pena di morte, avvenuta in un’importante commissione dell’Organizzazione per le Nazioni Unite, grazie ad un pressante e abile lavoro diplomatico soprattutto italiano, crea, in molti di noi, speranza, fiducia e soddisfazione.
1
Ci auguriamo che il difficile iter di questa proposta, tesa ad aggirare alcune trappole ideologiche e rigidità governative, per cui mai alcuni paesi accetterebbero di rigettare il principio della condanna capitale, culmini in una sua sospensione a lungo, lunghissimo termine in buona parte del globo. Tutto ciò in attesa della maturazione di una coscienza planetaria che rigetti il presupposto stesso della legalità di tale forma di punizione.
Detto questo non dobbiamo dimenticare che la pena di morte gode di vasta popolarità non solo tra quei governi che la applicano, ma nelle popolazioni - comprese quelle appartenenti a nazioni in cui essa non è in vigore.
2
Persino in Italia, di tanto in tanto, sentiamo levarsi la voce di chi vorrebbe ripristinarla per colpire i rei di crimini considerati particolarmente gravi e raccapriccianti. Chi abbia avuto modo di confrontarsi con alcuni di questi sostenitori credo che abbia incontrato non poche difficoltà a mantenere la discussione su binari razionali: considerazioni come quella che ripetuti rilievi statistici dimostrano, incontrovertibilmente, come la pena di morte non sortisca effetti dissuasivi sul crimine, o che essa sia moralmente abietta, in quanto, per compiere giustizia, si avvale della piÚ grave azione che l’uomo possa commettere, l’assassinio a sangue freddo, non sembrano intaccare la convinzione di molti di tali fautori.
3
E’ evidente, dunque, che la posizione di questi sostenitori ha un’origine assolutamente irrazionale e che risponde ad un bisogno psichico insopprimibile, a cui la pena capitale sembra dare una qualche forma di risposta. Il pensiero psicologico deve dunque necessariamente assumersi la responsabilità di affrontare la questione, in quanto essa si gioca proprio nel campo dei moventi profondi della psiche umana.
4
La prima domanda che ci dobbiamo porre per definire il “fantasmaâ€? che sta dietro la propensione a comminare la pena di morte è: quale vantaggio questa apporta, in termini psichici?
5
L’eliminazione fisica del criminale che tipo di piacere o di sollievo può procurare? Per rispondere pensiamo prima di tutto a cosa accade quando l’autore di un crimine resta in vita, pur essendo sottoposto ad un regime di detenzione (noterete che sto omettendo di considerare i numerosi casi di errore giudiziario, se non di condanna comminata per scopi autoritari e illeciti, che possono avere come oggetto degli innocenti).
6
E’ intuibile che la mancata eliminazione costringe i membri di un’intera società a restare in rapporto con il “male”, che si è presentato sotto forma di azione criminosa. In un certo modo esso non può dirsi estinto, poiché in qualche luogo esso continua a vivere, legato com’è, inscindibilmente, al suo autore. Questa permanenza, che lo si voglia o meno, costringe a prendere atto di una minaccia per la coscienza: qualcosa che la maggioranza delle persone vorrebbe allontanare da sé, in quanto esecrabile, mostruoso, terribile, invece sembra perdurare nel tempo, dato che il crimine viene identificato con il criminale stesso.
7
Chi non è avvezzo al discorso psicologico si può ora lecitamente chiedere: perché mai questa realtà dovrebbe rappresentare una minaccia per dei cittadini onesti? Si dà il caso che sia l’arte che la psicologia del profondo ci hanno già ampiamente dimostrato come la voglia di uccidere, di stuprare, di violentare, d’impadronirsi di un bene altrui, di liberarsi dagli ostacoli che si frappongono tra noi e la soddisfazione di desideri e bisogni è presente in ogni essere umano.
8
E’ chiaro anche che, trattandosi di condotte inaccettabili per il contesto familiare e sociale, esse, quasi sempre, restano delle fantasie. Ma anche le fantasie possono disturbare o essere considerate colpevoli di per sé. Esse vengano relegate, quindi, allo statuto di motivi inconsci, affinché non alterino il normale funzionamento psichico.
Naturalmente, il contenuto inconscio aumenta la sua pressione sull’Io degli individui, quanto più essi sono soggetti ad un regime di inibizione e repressione ambientale. Il costrutto repressivo, essendo incorporato nel funzionamento psichico sin dall’infanzia, si trasforma in un fattore interno, che agisce in maniera automatica e silente: se ne desume la presenza dall’analisi dei comportamenti, delle immaginazioni e degli stati di animo.
9
Spesso sono i sogni a metterci in contatto con un certo tipo di immaginazioni, grondanti persecutorietà : ecco che allora ci scopriamo ladri, assassini, violentatori, rapinatori, oppure, all’opposto, vittime di figure losche e arrembanti, che ci inseguono, ci colpiscono e vogliono distruggerci.
Se riusciamo a considerare questi fattori come elementi da cui trarre un senso psichico, allora, progressivamente, la loro minaccia svanisce. Ma se, al contrario, trattiamo queste rappresentazioni come insidie dalle quali rifuggire con paura, sdegno, vergogna o indifferenza, allora esse estenderanno il loro dominio sull’inconscio.
10
Infatti, quanto più tali contenuti delittuosi sembrano inammissibili alla coscienza, diciamo “impensabili”, tanto più assumono forza nell’inconscio. Ciò vale sia per gli individui, che per i gruppi umani e le società. Ecco che, di conseguenza, ci diviene lampante come l’eliminazione fisica dell’autore di un crimine possa attirare proprio coloro che si sentono più incalzati inconsciamente da quelle fantasie devianti che sono rifiutate sul piano consapevole.
Il reo è avvertito come particolarmente pericoloso, anche aldilà della minaccia che può portare realisticamente, in quanto diventa il latore del male 11
che, altrimenti, minaccerebbe individui e gruppi dall’interno. Ripeto che questi contenuti incombono tanto foscamente sugli individui poiché, essendo relegati nell’inconscio, non possono più essere tradotti, al loro apparire alla coscienza, come “l’immagine di qualcosa”, la “figurazione”, un’espressione metaforica, ma sono percepiti come una realtà concreta e letterale, che deve essere annientata per non esserne annientati.
Assistiamo, in questo caso, al prevalere di una forma basica del funzionamento mentale umano, che è quella paranoide: questa non tratta il “male” anche come una realtà interiore, ma lo “proietta” esclusivamente sul mondo esterno, che si carica di un surplus di persecutorietà. E’ un processo che si verifica tanto più agevolmente quanto più riesce ad appuntarsi su figure esterne che, per condotta e caratteristiche negative reali, si prestano a una siffatta attribuzione psichica. Per altro, esso può arrivare a forzare anche di
12
molto la realtà, tratteggiando, con pochi elementi di partenza, la terribile figura del “mostro” o del “nemico”.
Secondo questo funzionamento arcaico della mente umana, eliminare fisicamente il criminale promette, su un piano fantasmatico, la liberazione da questa minaccia interiore. Ciò spiega, tra l’altro, il perché molte persone “civili” ambiscano ad assistere alle esecuzioni capitali, provando addirittura piacere di fronte a quel tetro e feroce spettacolo.
13
E’ inutile dire che un tentativo così esorcistico, di magica sottrazione alla tensione del conflitto inconscio, non offre che un’illusoria e momentanea soluzione al problema, il quale subito si ripropone con rinnovato vigore. Tale modalità psichica, infatti, accrescendo la tendenze espulsive della psiche, genera un circuito vizioso, nel quale dal mondo esterno paiono giungere pericoli e attentati sempre più pressanti e malvagi. Contro di essi diventa sempre più necessario innalzare ossessive difese e incrudire le punizioni.
Posso solo accennare, in questo spazio, a come l’organizzazione paranoide stia a fondamento di quel giornalismo sensazionalistico e avido di sangue ed efferatezze, che impazza su tv, quotidiani e rotocalchi, così come di 14
ogni sottocultura politica iperallarmistica e forcaiola. Il fascino e la seduzione esercitati da questo modo semplicistico e arcaico di rapportarsi a sfaccettati problemi e conflitti sono a dir poco “diabolici” (considerando il significato etimologico del termine, il quale allude alla scissione, all’opposizione verso la capacità simbolica sia animica che spirituale).
Tutti noi dobbiamo compiere uno sforzo per non farci irretire da questo approccio, poiché è naturalmente nostro: ci appartiene da sempre, come specie e come individui.
15
E’ noto che una buona metà della produzione cinematografica hollywoodiana intesse le sue trame con barbari omicidi seriali e brutali stupratori, con crudeli vendicatori e vittime che si tramutano in giustizieri: senza la dose di fantasia ed ironia che caratterizza i migliori prodotti, questa massiccia produzione commerciale attinge all’immaginario più paranoide dell’attuale società americana, immaginario che essa, a sua volta, alimenta.
Solo una cultura edificata sul rapporto continuato e paziente con ciò che duole e pone problemi, solo questa forma di civiltà più comprensiva e intelligente, ci può aiutare, dunque, a cadere meno facilmente in un pensiero debole, dal punto di vista etico-morale, ma sorprendentemente tenace nella sua sostanza psichica.
16
Questo atteggiamento più ampio e complesso della mente conserva il suo valore, quindi, anche aldilà della lotta per l’abolizione della pena capitale, poiché ci induce a rapportarci più attentamente ai temi della punizione e della giustizia, in tutte le loro forme e declinazioni relazionali, politiche e sociali.
Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com 17
Rivista: www.animamediatica.it
METADESCRIZIONE: Lo psicologo e psicodrammatista analitico Francesco Frigione, sull’onda della recente moratoria della pena di morte, sottoscritta all’ONU, cerca di andare alle radici dell’irrazionale desiderio di pena capitale presente nei popoli, rintracciandolo nell’espulsione della colpa fantasmatica degli appartenenti a una collettività sulla figura del “mostro”, che va implacabilmente allontanato da sé, per esorcizzare il “male” nascosto in ciascuno e nella comunità stessa. Questa soluzione paranoide del rapporto con i propri desideri repressi nell’inconscio conduce a circoli viziosi che offuscano il senso di giustizia e la capacità civile dei gruppi umani.
PAROLE CHIAVE: Pena di morte, giustiziare, uccidere, assassinare, delitti, condanna, moratoria della pena di morte, ONU, desiderio represso, proiezione, fantasma psichico, mostro, vittima, paranoia, giustiziere, cinema, media, giustizia.
18