VIAGGIO IN ARGENTINA II - Arrivo e prima permanenza

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LETTERE A UNO PSICOANALISTA

Gentile Pubblico, continua il resoconto di viaggio del mio “Doppio psicodrammatico”, nel solco della soggettività più sfrenata. Nella scorsa puntata ci aveva edotto sui suoi stati di animo alla vigilia della partenza, amplificandoli con riferimenti letterari e psicologici sull’atto del partire/morire. Questa settimana, grazie a Dio, pare che dal luttuoso il “tempo” volga maggiormente al sereno. Attenzione a questa parola-chiave, “sereno”! A quanto pare, infatti, essa imbastirà come una spola frenetica tutto il pezzo. Non illudetevi, però, amico lettore e amica lettrice, al riguardo: il termine “sereno” è ambiguo e non vi dispenserà affatto dal sorbirvi le inquietudini del mio “Doppio”, il quale oscilla tra sensazioni frammentarie e discrepanti, momenti di caldo entusiasmo e fosche percezioni di precipizi abissali.

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Sembra che, comunque, in questi pochi giorni di permanenza gli siano già capitate un bel po’ di cose, a dispetto del suo naturale tendere all’inamovibilità (lui sostiene di essere vincolato dall’impegno di lavoro che lo ha portato nella lontana metropoli sudamericana, io credo, invece, perché è sempre stato un pigro matricolato), e, dunque, di qualcuna di queste trascurabili vicende ci farà menzione. Ora, io sospendo il giudizio su questa seconda puntata e lascio a voi giudicare se sia valsa o meno la pena di dedicarle parte del vostro prezioso tempo.

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In attesa del vostro gradito riscontro, non posso che salutarvi alla maniera dell’immortale cantante di tango, Carlito Gardel (1890 - 1935): ¡«Adiós muchachos compañeros de mi vida barra querida de aquellos tiempos me toca a mi, voy a emprender la retirada debo alejarme de mi buena muchachada»! (“Addio ragazzi, compagni di una vita, amato gruppo dei tempi andati, adesso tocca a me ritirarmi, 3


devo allontanarmi dalla mia buona comitiva�)

VIAGGIO IN ARGENTINA II Arrivo e prima permanenza

di Francesco Frigione

Dodici mila chilometri e quattordici ore e mezzo di viaggio (senza contare le attese e i mille ostacoli che gli aeroporti comportano al viaggiatore non bombarolo) sono qualcosa che oramai comincio a patire.

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La lunga fila del check-in a Fiumicino comporta un episodio forse irrilevante, o forse significativo: i passeggeri per Buenos Aires vengono tangenzialmente a contatto con un’altra moltitudine irreggimentata ma caotica, quella dei turisti cinesi che tornano in patria. Sebbene gli addetti della compagnia di volo orientale gli abbiano chiaramente tracciato un percorso parallelo, moltissimi fendono avanti e indietro il nostro gruppo, pestandoci letteralmente i piedi, senza neppure dare l’impressione di scusarsi.

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Certo, sarà questione di prossemica - la scienza fondata negli anni ’60 dall’antropologo statunitense Edward Twitchell Hall (1914 – 2009), la quale investiga il significato delle distanze tra esseri umani al variare della cultura di appartenenza - ma a me e a quanti mi stanno accanto questo andazzo ricorda molto da vicino l’impudenza e la maleducazione. Si levano voci anonime sull’invasione cinese del mondo e, qua e là, si tracciano già foschi scenari geopolitici di dominio. Forse ciò prefigura il prossimo confronto ideologico Ovest – Est, dove la posta in gioco apparente è il dominio del mondo. In realtà esiste un solo capitalismo globale fatto di anonimi consigli di amministrazione di multinazionali, outsourcing e paradisi fiscali: uno in salsa pseudo, perì o para democratica e l’altro in salsa nazionalista -autoritaria. Aldilà di ciò sunt dracones.

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D’altronde, questa attitudine ad allargare il discorso dal contingente ai massimi sistemi a me pare tipica argentina: è l’Aleph di Borges (1945) nella sua versione più pedestre e popolare: permette di saltare con collaudata agilità dal caso particolare, dal frammento, all’universale. D’altronde si tratta di una tentazione a cui cedo subitamente anche io ed è uno dei motivi per cui, quando chiacchiero con un argentino di qualunque livello culturale, sguazzo allegramente, poiché so che darà libero spazio alle mie oltre che alle sue esagerazioni.

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Una volta salito a bordo, a parte il cibo da dimenticare, trovo un personale delle Aerolineas Argentinas garbato e gentile, che mi riserva un posto consono al mio ginocchio malandato. Mi consegno io stesso all’ultima fila, per assecondare un misantropico desiderio di isolamento.

A differenza di quel che accade di solito nello sgangherato scalo romano, quando, alle cinque di mattina (le dieci italiane), arrivo a Ezeiza (il nome dell’aeroporto è “Pistarini” – e non fa male ricordare che, il 20 giugno 1973, fu teatro di un massacro, frutto dello scontro tra sostenitori di estrema destra e di estrema sinistra di Juan Domingo Peron, in occasione del suo ritorno in patria dopo 18 anni di esilio nella Spagna franchista), tutti i bagagli sono già pronti sul nastro.

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All’uscita della dogana, scorgo il signor José, inviatomi dall’Istituto Italiano di Cultura, che espone un cartoncino con il mio nome. All’esterno regna ancora la notte, un vento polare sferza i corpi infreddoliti e ci sono tre gradi: una temperatura così bassa non si è mai avuta a questa latitudine!

Il tassista mi evita il peggio avvicinando l’auto alla porta di uscita e, lungo la superstrada che ci conduce nel pieno centro della città, chiacchieriamo amabilmente. Il quadro che ne traggo è questo: un lavoratore indefesso e dotato di autostima, con una visione lucida e disincantata del mondo. Nello 9


stesso tempo, le sue idee personali e le scelte di vita procedono in modo ironicamente dissociato: spiegherò come. Stimolandolo, riesco a carpirgli delle opinioni sul Paese e sulla situazione politica. All’inizio è cauto nell’esposizione; poi, appena si rende conto che può fidarsi, si lascia andare.

La sua lettura è critica: lo ha scioccato il voto in favore di Mauricio Macri, un politico selvaggiamente neoliberista, giovanile ma di lunga esperienza, amico, tra gli altri, di Donald Trump e già Governatore della Provincia di Buenos Aires. Secondo lo chauffeur questo governo rappresenta un coacervo di interessi lobbistici delle grandi multinazionali, in primo luogo nordamericane e poi europee, che sta distruggendo a velocità della luce tutte le politiche di tutela sociale intraprese in passato. D’altro canto, José stesso pare intenzionato ad abbandonare l’Argentina, per raggiungere negli Stati Uniti la figlia, che è divenuta manager di una catena di grandi magazzini. Gli chiedo cosa conta di fare lì, visto che in patria, a quanto mi ha appena detto, gli affari gli vanno piuttosto bene. Con un sorriso mi rivela che intende lavorare proprio per «el enemigo», una di quelle imprese immateriali che sta distruggendo la piccola classe media a cui appartiene: Uber, l’oggetto di odio numero uno di tutti i tassisti del mondo.

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Raccoglierò, nei giorni a seguire, molte altre testimonianze e tutte oscilleranno tra il cauto consenso al presidente, al potere da sei mesi, al più o meno cauto dissenso: sembra che tutti attendano di decidere se il governo li porterà alla malora o se, al contrario, risanerà il Paese, rendendoli più ricchi.

Nel frattempo la maggioranza – tranne i disoccupati e coloro che già non ce la fanno più a sostenere l’impennata verticale delle tariffe energetiche e dell’acqua, tenute artatamente basse dal governo precedente, per scelta

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politica – spende con allegria e fiducia: i negozi, i ristoranti, i locali notturni, le celebri e meravigliose confiterias, i cinema, i teatri, gli alberghi, le palestre, i circoli sportivi, i trasporti privati, sono stracolmi di persone sostanzialmente ciarliere, serene e allegre.

Camminare per le immense avenidas e calles di Buenos Aires diventa, dunque, una festa, di cui io godo fino in fondo, frastornato ed estasiato da tanta molteplicitĂ e moltitudine. Anche se, tra me, penso che, come spesso, gli accade, gli argentini stiano danzando, a passo di tango, mentre il Titanic 12


affonda. E poi rifletto: ma, a parte i nordeuropei, noi latini non agiamo tutti così? Dateci in mano un’illusione e ci consumeremo con essa come una torcia di resina! Questo camminare sul limite dell’abisso assume un suo fascino maniacale, al quale personalmente non so resistere a lungo.

Durante il fine settimana, accompagnato da amici vari (presto, in albergo, arriva una processione di telefonate e di persone che passano a trovarmi), percorro i quartieri più tipici dell’immenso centro della città.

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Mi trovo a un passo dallo smisurato Rio de la Plata, sull’altra sponda del quale si dispiega l’Uruguay e la sua capitale Montevideo; attraverso

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Plaza de Mayo – dove si riunivano le eroiche madri dei desaparecidos sotto la turpe

dittatura dei generali (il cosiddetto “Proceso Militar”) - e circumnavigo la Casa Rosada – il Quirinale argentino -; prendo el Paseo Colon contornato di palo borrachos e jajarandás e altre magnifiche piante locali.

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Il tempo ha volto decisamente al mite e al sereno, altro che rigido inverno australe: il cielo è azzurro come una pietra marina, il sole scalda e illumina questa prezioso labirinto di strade ed esistenze cantato da Borges (a proposito, ovunque si celebrano i trent’anni dalla morte del grande scrittore, che io ebbi l’incomparabile fortuna di conoscere da ragazzo, e lo si fa come non mai quando era vivo: gli eroi, si sa, anche quelli letterari, sono sempre coloro che non possono piĂš infastidire i vivi).

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Visito La Boca, il quartiere originariamente degli emigrati genovesi e, in generale, di tutti gli italiani, posto all’imboccatura del Riachuelo - uno dei molti fiumi che s’immettono nel Rio de la Plata, con le case costruite su basi rialzate, per evitare i periodici allagamenti e ancora caratterizzate dai grandi cortili in condivisione, i “conventillos”. Il “barrio”, fino a qualche tempo fa totalmente cadente, presenta numerosi spazi recuperati e restaurati, ma mantiene la sua colorita aria di paese. Visito altre zone a Sud del centro, in notevole espansione, e prendo dolcemente il sole su una panchina, nei giardinetti, tra gli allegri trilli dei bambini e l’abbaiare dei cani (degli uni e degli altri qui se ne vedono in numero spropositato).

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Percorro anche San Telmo, il quartiere dell’antiquariato e del modernariato. Qui è pieno di locali dove si suona musica di ogni genere. I muri sono tappezzati di murales, che fotografo pedissequamente. Evidentemente dò molto nell’occhio con il mio zaino appesantito dagli obiettivi e la macchina fotografica ben in vista, cosicché tentano di derubare me e l’amica che mi sta facendo da cicerone: il trucco consiste nel lanciare sul paltò liquido puzzolente che rassomiglia a guano e poi offrirsi in aiuto, per pulire le macchie presuntamente procurate da qualche piccione.

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A provarci sono due donne, una matura e una più giovane, probabilmente di origine peruviana. Ma, a un napoletano e a una porteña (un’abitante di Buenos Aires) non è così semplice darla a bere: dopo un istante di smarrimento, intuiamo l’insidia e la sventiamo. L’unico rammarico è che la puzza della sostanza, malgrado le rinnovate pulizie e profumazioni del cappotto, stenta a svanire. “Pecunia olet”, dunque, se la vuoi preservare … Quando, il giorno dopo, narro l’episodio a un’altra mia amica – una bravissima persona, ma, come tanti americani, ossessionata dal problema della sicurezza, lei mi racconta di un evento di pari esito occorsole qualche mese fa: il ladro che la minacciava all’interno dell’androne di casa, si è fatto commuovere dalle sue lacrime e dopo una lunga trattativa se ne è andato strappandole soltanto pochi pesos.

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A quel punto, lei ha invocato l’intervento del “sereno” (il “custode” dell’edificio), il quale ha prontamente acciuffato il buon ladruncolo e lo ha costretto a restituire tutto il maltolto. Sembrava una favola psicologica: dove l’Ombra mostra i suoi tratti miti e cedevoli. A me è piaciuta. ¡Hasta nuestro proximo encuentro!

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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