FRANCESCO STECCANELLA
TESI DI DOTTORATO DI RICERCA:
CAPE TOWN
PRAGMATISMO METROPOLITANO POST APARTHEID CAPE TOWN, PRAGMATISMO METROPOLITANO POST APARTHEID STRATEGIE URBANE PER SUPERARE LA SEGREGAZIONE
La poliedrica e decadente successione ininterrotta di baracche realizzate con qualsiasi materiale di recupero alla fine rende il tutto omogeneo. Quello che traspare da questo fondo uniforme è la vitalità della popolazione, la dignitosa miseria e la voglia di riscatto che nonostante tutto sopravvive speranzosa nell’aiuto salvifico della giovane democrazia. Non bastano due giornate per esplorare Khayelitsha, si cerca quindi di percorrerne i margini, dall’interno si intravedono quei valori naturalistici esposti nel piano: le dune, le riserve boschive, l’oceano indiano e la sua costa, sono separati dai soliti recinti; sembrano lontani tanto sono in contrasto con la realtà della baraccopoli, ma alla fine si omogeneizzano grazie alla medesima natura organica. Si capisce che appartengono a questi luoghi, la natura imponente ha una dimensione africana e si intuisce la validità dei potenziali di sviluppo e delle risorse che avvolgono Khayelitsha. Si decide quindi di cambiare prospettiva: la realtà delle baraccopoli effettivamente generano una dimensione così uniforme e inattaccabile da scoraggiare ogni tipo di intervento. La si osserva dall’esterno, la si traguarda dalla costa, dalla spiaggia, dalle fasce naturalistiche e dalle dune e si scopre che la spianata della baraccopoli è in buona parte circondata da queste risorse fondamentali. Da questa prospettiva la questione assume un nuovo risvolto, la metabolizzazione di queste spazi pregiati, la tangenza delle direttrici stradali e l’asta ferroviaria che già si insinua nei territori. Queste forze devono trovare la capacità di entrare in Khayelitsha perché se è vero che la genesi della Township, la segregazione e l’apartheid hanno costruito recinti di contenimento e mura di separazione, il futuro, la sopravvivenza e lo sviluppo di Khayelitsha dipenderà dagli stretti legami che si riusciranno ad instaurare. Devono avere la forza di entrare nella città tuttora democraticamente segregata. La viabilità primaria e anche quella di scorrimento devono poterla attraversare, la costa con le sue spiagge devono poter interagire con la popolazione, le aree boschive e le dune devono abbattere i recinti ed integrarsi nelle Township. Questo nuovo punto di vista pone le basi dell’ipotesi d’intervento, modello che non intende produrre un piano particolareggiato, ma ricerca delle strategie d’intervento reimpiegabili in altre realtà simili presenti nel territorio sudafricano. Non si cerca di produrre piani particolareggiati, non è questo l’obiettivo della tesi; le analisi storiche, sociali, urbanistiche e la raccolta documentale che ha permesso di redigere i precedenti capitoli non devono servire ad inventare una nuova città, a produrre masterplan futuribili e di difficile utopica attuazione e verifica. Si cerca di definire quegli assunti che assumono il giusto approfondimento culturale per generare regole da applicare caso per caso.
STRATEGIE URBANE
PER SUPERARE LA SEGREGAZIONE
Dottorando: Francesco Steccanella Relatrice: prof.ssa Christina Conti Correlatore: prof. Alberto Pratelli Università degli Studi di Udine Corso di Dottorato di Ricerca in Ingegneria Civile e Ambientale e Architettura Ciclo XXII - Anno Accademico 2010-2011
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TESI DI DOTTORATO DI RICERCA:
CAPE TOWN, PRAGMATISMO METROPOLITANO POST APARTHEID STRATEGIE URBANE PER SUPERARE LA SEGREGAZIONE
Dottorando: Francesco Steccanella
Relatrice: prof.ssa Christina Conti
Correlatore: prof. Alberto Pratelli
UniversitĂ degli Studi di Udine Corso di Dottorato di Ricerca in Ingegneria Civile e Ambientale e Architettura Ciclo XXII a.a. 2010-2011
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Obiettivi Negli ultimi vent’anni, sotto la spinta dell’economia globale, alcuni dei Paesi sottosviluppati sono diventati protagonisti, sulla scena internazionale, di un rapido sviluppo economico. L’accesso alle nuove tecnologie e la disponibilità di risorse permette loro di confrontarsi infatti con un occidente ricco ma in costante calo demografico. Grazie all’impiego di manodopera a basso costo e a normative spesso poco restrittive in materia di lavoro e di salvaguardia dell’ambiente, questi Paesi sono portavoce di una nuova forma di economia a loro favorevole, che li ha portati ad interagire con quella dell’Occidente industrializzato. Fino a pochi anni fa, infatti, i Paesi ricchi importavano a basso costo materie prime, accoglievano immigrati per sopperire al fisiologico calo demografico, utilizzando le risorse di questi paesi per insediare industrie e attività produttive che massimizzavano i propri profitti. Il Sudafrica, pur essendo collocato nel continente più povero del mondo, si differenzia dagli altri Paesi in via di sviluppo; infatti, dal punto di vista economico, si è da sempre inserito fra le economie dei paesi occidentali. L’anomalia risiede nello sfruttamento delle popolazioni non bianche1, orientata ad un economia riservata ad una minoranza etnica. Facendo un parallelo con lo sfruttamento occidentale delle risorse dei Paesi in via di sviluppo, nel Sudafrica hanno convissuto dall’epoca coloniale fino al 1990 le due realtà, quasi vi fossero due nazioni, una occidentale ed una africana che dividevano lo stesso territorio. La posizione economica così acquisita è stata mantenuta fino al 1990, nonostante nel 1961 l’ONU avesse dichiarato che l’apartheid2 era un crimine contro l’umanità e istituito sanzioni nonché un parziale embargo. I forti interessi internazionali del mercato diamantifero, dell’oro e di altri metalli preziosi permisero comunque relazioni economiche con l’occidente. Dopo la messa al bando dell’apartheid nel 1990 e le successive elezioni democratiche del 1994, la nuova repubblica presidenziale, governata proprio dagli oppositori del regime e quindi sostenitori dell’uguaglianza razziale, si trovò a confrontarsi con le città dei bianchi, ossia con quella minoranza (14% della popolazione)che aveva amministrato il Paese per tanti anni. Nonostante la nuova Costituzione si basi su principi di pari opportunità nell’istruzione e nel lavoro nonché nella dignità abitativa,
1 Neri africani, coloured meticci nati da relazioni interrazziali, asiatici introdotti durante lo schiavismo. 2 Apartheid, in lingua afrikaans, letteralmente “separazione” era la politica di segregazione razziale istituita dal governo di etnia bianca del Sudafrica nel dopoguerra e rimasta in vigore fino al 1990. Venne proclamato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite, votata dall’assemblea generale nel 1973 e inserito nella lista dei crimini contro l’umanità che la Corte penale internazionale può perseguire.
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e nonostante gli investimenti per migliorare la condizione di questa popolazione, l’eredità dell’apartheid non è del tutto cancellata seppur siano trascorsi circa vent’anni. Nasce da qui l’interesse di questa tesi per la nazione sudafricana, che deve convivere da un lato con la volontà di un’affermazione internazionale, rappresentativa della rinascita dell’intero continente africano, dall’altro deve confrontarsi con milioni di persone che vivono al disotto della soglia di povertà. La ricerca, dopo queste premesse, si pone come obiettivo lo studio dell’evoluzione architettonico-urbanistica pianificata dal Sudafrica, basata sulla necessità di internazionalizzare le proprie città attraverso edifici simbolo delle attività occidentali, nonché sul bisogno di quel rinnovamento che le ha permesso poi di ospitare eventi a livello mondiale. L’ancora fragile democrazia si deve però confrontare anche con investimenti rivolti alle periferie povere e degradate, tenendo conto, nelle scelte di pianificazione territoriale, anche delle esigenze di coesione sociale. La tesi si è concentrata quindi sul caso della città di Cape Town, rappresentativo dell’intero Sudafrica in virtù della sua emancipazione. Cape Town ha sempre rappresentato, infatti, il cuore amministrativo, culturale ed economico dell’intero Sudafrica. Se da un lato ha perseguito tenacemente la politica dell’apartheid, dall’altro, grazie alla natura di colonia europea, agli scambi legati all’attività portuale e alla sua intrinseca natura cosmopolita, ha intuito precocemente già dalla seconda metà degli anni Ottanta, la crisi e l’imminente crollo del regime razzista. Da allora fino alla fine dell’apartheid, e successivamente durante il governo ad interim pre-elettorale, aveva già iniziato la definizione di piani urbanistici, protesi ad aumentare la dignità delle popolazioni segregate. La città era quindi già all’avanguardia dopo l’insediamento del nuovo governo cittadino relativamente alle strategie urbanistiche per il rinnovamento della città. Questo vantaggio ha permesso ai dipartimenti di pianificazione e di edilizia sovvenzionata di definire il documento Spatial Development Framework3, che è alla base degli attuali progetti di sviluppo. Pur prevedendo notevoli investimenti volti esclusivamente a rappresentare l’emancipazione e l’internazionalizzazione della città, con l’obiettivo di attrarre investimenti, lo stesso documento prevede interventi di assistenza per i più poveri. In quest’ambito la città ha superato i limiti ereditati dalla segregazione razziale, attuando un intensivo piano di sovvenzione ai progetti proposti delle popolazioni non bianche e riuscendo a riqualificare ampi quartieri storici o degradati del centro cittadino.
3 Il documento descrive con parole ed illustrazioni, previsioni sullo sviluppo della città, fornendo le linee guida per lo sviluppo della forma urbana della città
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La città si presenta ora ricca di spazi urbani che fanno da veicolo all’integrazione sociale: l’interscambio commerciale, la vendita al dettaglio e la ristorazione, distribuite senza più discriminazioni razziali, hanno fornito un contributo importante sul piano sociale. L’obiettivo della ricerca si focalizza quindi non tanto sullo sviluppo del centro cittadino (omologabile a quello di molte altre città di Paesi in via di sviluppo) o sugli interventi sociali appena descritti, ma sulla volontà di migliorare la qualità urbana delle Township4. La tesi si concentra quindi politiche sociali, urbanistiche, architettoniche, pianificate ed in parte attuate dallo Spatial Development Framework all’interno delle baraccopoli. Le Township sudafricane non sono nate a causa di fenomeni di immigrazione illegale o di povertà e disoccupazione degli abitanti, come invece accade nelle favelas sudamericane e in altre realtà simili, perché sono nate dalla strategia razziale molto vicina allo schiavismo, al fine di contenere e segregare la manovalanza povera a servizio dell’economia bianca. Questa concezione politica ha volutamente fornito a questi insediamenti i requisiti minimi per la sola sopravvivenza della popolazione occupata. Il sistema di controllo ha inoltre istituzionalizzato piani di istruzione minima, strutture sanitarie sufficienti ecc. allo scopo di permettere solamente un interscambio produttivo, senza fornire nessun supporto che permettesse l’emancipazione sociale. L’obiettivo della ricerca si concretizza a questo punto nella verifica critica della pianificazione dei territori segregati, tramite: la lettura degli strumenti urbanistici, l’analisi delle politiche sociali e la documentazione diretta degli interventi fino ad ora realizzati. Da questa verifica si propone di individuare una strategia di riqualificazione urbana per le infrastrutture, i luoghi di lavoro e le residenze, che possa definire un protocollo strategico di intervento, estendibile alla realtà delle Township disseminate su tutto il Sudafrica. Quest’obiettivo è stato verificato ipotizzandone l’applicazione, per quanto schematica, nella Township di Khayelitsha5, che con i suoi 320 mila abitanti rappresenta l’insediamento più grande della città di Cape Town. L’intento di collocare le filosofie del protocollo non affronta, volutamente, la scala architettonica dell’intervento, ma va a sovrapporsi al territorio per verificare che le deduzioni finali della ricerca possano essere correttamente applicate e diventare
4 Nel Sudafrica dell’ apartheid con township si designavano quelle aree urbane limitrofe ad aree metropo-litane nelle quali abitavano esclusivamente cittadini non-bianchi 5 E’ la terza più grande township, dopo quella di Soweto e di Sharpeville vicino Johannesburg. Vi sono circa 1 milione di abitanti. Il nome significa “Casa Nuova” nella lingua xhosa. Si presenta come un miscuglio di baraccopoli. Gli abitanti sono al 90% neri, e al 10% musulmani coloured.
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quindi degli assunti generali. Metodologia Prima ancora di individuare l’obiettivo specifico della tesi, sono state esplorate in modo sistematico le realtà degli insediamenti degradati dei Paesi in via di sviluppo. Dagli esiti dell’analisi documentale raccolta si è deciso di collocare la ricerca nel contesto sudafricano. L’approccio alla realtà sudafricana, se in prima istanza è stato trattato con risorse documentali di origine internazionale, successivamente si è basato sulle sole fonti prodotte dalla nazione stessa. La particolarità delle vicende storiche a noi così aliene, calate oltretutto nel continente africano, ha reso indispensabile confrontarsi con gli apparati culturali di ricerca e amministrativi del Sudafrica. Per quanto sia stato impiegato solo questo materiale, è sempre stato mantenuto un confronto con la cultura architettonica urbanistica occidentale, come supporto obbligatorio ma non palesato. In particolare, questo dibattito è stato utilizzato per la definizione della densità urbana, della dispersione e della sostenibilità degli insediamenti. L’esperienza europea iniziata già negli anni Sessanta non poteva essere prescindibile in quanto più evoluta e all’avanguardia sia nei sistemi di analisi che nelle teorie atte ad ovviare il problema della dispersione. Dopo la collocazione storica del Sudafrica sono stati affrontati gli aspetti architettonici e urbanistici delle principali città. Il confronto è stato esteso tramite scambi culturali con le università di architettura del paese, tramite lo studio dei siti internet, delle pubblicazioni specifiche, ed il contatto diretto con ricercatori. Parallelamente la stessa metodologia è stata utilizzata con i governi delle città analizzate. Grazie a questi contatti è stata individuato in Cape Town il caso studio e l’ambito applicativo dell’obiettivo della tesi, per i motivi già menzionati. Il successivo approfondimento si è quindi concentrato sul reperimento di materiale riguardante Cape Town, instaurando una rete di contatti con l’University of Cape Town (UCT), con il governo locale e con i dipartimenti di pianificazione. Grazie a questi scambi culturali si è compresa l’importanza, imprescindibile, di approfondire la ricerca direttamente sul posto. In questo modo è stato possibile raccogliere informazioni essenziali e strategiche per la ricerca: - sono stati documentati gli interventi architettonici e urbani, sia della città che della periferia ed in particolare delle Township, - sono stati reperiti materiali originali sia dai dipartimenti governativi che
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dalle strutture universitarie, - è stato possibile intervistare i responsabili dei dipartimenti governativi, nonché ricercatori universitari ed esperti degli aspetti affrontati dalla ricerca, - è stato inoltre fondamentale raccogliere l’opinione diretta della popolazione, - il tutto è stato documentato fotograficamente. Al rientro dal Sudafrica è risultato indispensabile rileggere, correggere, confermare e a volte rielaborare le teorie iniziali. Questa verifica si è basata sul confronto critico fra la documentazione di partenza con la documentazione e le esperienze raccolte durante il sopralluogo. E’ stato
inoltre necessario confrontare e documentare interventi paragonabili
simili, realizzati su scala internazionale. Limiti della ricerca I limiti della ricerca si sono palesati nel corso della stesura della stessa. Le tre fasi cronologiche utilizzate per approfondire il caso di studio hanno di volta in volta affinato e quindi ridefinito i limiti entro cui sviluppare il tema. La prima fase, superato lo studio dei paesi in via di sviluppo, aveva portato ad individuare il caso Sudafrica, ponendo il limite geografico e storico. Successivamente lo studio della documentazione ha portato a focalizzare l’ambito nella città di Cape Town. Alla luce dell’approfondimento dei fenomeni urbanistici e sociali in atto nella città, il limite è stato ulteriormente affinato sulle strategie urbane espressamente rivolte all’integrazione sociale. Volutamente si è deciso di utilizzare esclusivamente la documentazione prodotta dagli esperti locali. Nella seconda fase, pur documentando le opere di urbanizzazione delle strutture per i mondiali, ed il fermento edilizio del centro cittadino di Cape Town, il nuovo limite è stato individuato nella realtà dei luoghi di segregazione ed in particolare nella Township di Khayelitsha. La terza fase, elaborati i risultati del sopraluogo, ha definito l’ambito teorico ma replicabile dei risultati del progetto di ricerca. Struttura della ricerca La struttura della ricerca, definita e riportata in capitoli omogenei per contenuti e concetti esposti, non ne rispecchia la cronologia di definizione ed organizzazione. L’approccio al tema di ricerca ha richiesto di diversificare i criteri di studio della documentazione, reperita in momenti e luoghi diversi. La cronistoria stessa del metodo di ricerca ha comportato a volte la negazione di certi assunti, li ha confermati o ne ha proposti di nuovi.
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Dalla fase di ricerca svolta in Italia sono emersi concetti e linee di pensiero che hanno generato la necessità di un’interpretazione più oggettiva da effettuare direttamente sul campo. Come prevedibile: la lettura della città percepita dal vero, il confronto con gli amministratori locali e i dialoghi con i docenti dell’università di Cape Town hanno dato nuovi e fondamentali apporti alla ricerca. Le riflessioni formulate nel corso del sopraluogo, la rilettura della bibliografia e della documentazione propedeutica al viaggio di studio, integrata ed aggiornata grazie al nuovo materiale reperito a Cape Town, hanno generato l’evoluzione degli obiettivi iniziali, definendo il corpo dell’attuale stesura. La tesi è formata da tre sezioni. La prima (primi due capitoli) presenta storicamente il Sudafrica e Cape Town dal punto di vista politico, dal punto di vista storico e soprattutto dal punto di vista dell’evoluzione storica della pianificazione urbanistica; affrontando la storia della nazione dalle origini ai giorni nostri, lo stato attuale riportando le prospettive future auspicate dal governo locale. La seconda sezione (capitoli 2) individua gli approfondimenti necessari alla definizione dell’attuale stato urbano. L’ultima sezione definisce l’obiettivo della ricerca, ipotizzando un protocollo strategico d’intervento. Nel primo capitolo il tema di studio è stato ricondotto alla definizione storica della nazione africana, definizione storica che a causa della complessità e stratificazione degli eventi sociali e politici ha prodotto una sorta di cronologia certamente riduttiva e volutamente non esaustiva, ma propedeutica alla corretta lettura della tesi. Se il paragrafo “Storia di una nazione euro-africana” propone una cronistoria che ripercorre le fasi dal periodo precoloniale ai giorni nostri sottoforma di “Bignami”, i due paragrafi successivi danno la prospettiva auspicata di innovazione e internazionalizzazione del Sudafrica ed in particolare di Cape Town, città approfondita come caso di studio in quanto rappresentativa degli obiettivi prefissati. Il secondo capitolo propone una lettura storico/critica delle evoluzioni della pianificazione di Cape Town. Le analisi riportate definiscono le motivazioni storiche ed i processi politici, sociali e tecnici, oltre alla specifica morfologia geografica che hanno generato l’attuale forma urbana. Questa analisi ha permesso di comprendere e interpretare le attuali strategie di pianificazione, propedeutiche alla redazione dei capitoli successivi. Partendo da quanto riportato nel capitolo precedente, il terzo capitolo rilegge in
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modo critico le intenzioni dei pianificatori di Cape Town, evidenzia le contraddizioni tra gli enunciati del documento Spatial Development Framework, e la sua definizione particolareggiata Spatial Development Plan6. Fermo restando i riferimenti culturali conosciuti delle teorie urbanistiche e architettoniche occidentali, si è deciso che la tesi abbracci un approccio sistemico basato esclusivamente sulla realtà sudafricana, attingendo quindi esclusivamente da teorie, pubblicazioni e materiali di provenienza locale; solamente nel paragrafo 3.3 è emersa l’esigenza di rapportarsi ad alcune teorie occidentali. L’intento è stato quello di collocare la strategia di disegno urbano di Cape Town in un contesto più ampio, riportando per sommi capi il dibattito europeo in merito alla densità. Questa tematica è stata sviluppata in modo volutamente poco esaustivo, in quanto la problematica occidentale può confrontarsi con la realtà della metropoli sudafricana solo per macroconcetti. Il quarto capitolo fornisce la lettura dal vero e quindi una verifica critica di quanto riportato nel capitolo precedente. Gli approfondimenti affrontano Le Township e le problematiche specifiche di queste baraccopoli: dalla loro formazione di origine razziale e di segregazione fino allo studio della situazione attuale post apartheid. Tramite la lettura del piano particolareggiato di Khayelitsha, Township abitata da più di 320 mila persone essenzialmente di colore viene considerata come caso di studio e applicazione del modello ipotizzato. Modello che consiste nel recupero formale, architettonico e sociale alternativo a quanto pianificato dal governo cittadino. Il capitolo, partendo dalla lettura critica delle previsioni governative, definisce gli assunti progettuali propedeutici alla filosofia che sottintende l’obiettivo della tesi.
Obiettivo che trova la sua esplicitazione, contemplando riferimenti
architettonici analoghi, e producendo un modello teorico applicabile alle altre Township sudafricane. In appendice, oltre ad un estratto commentato dell’attuale costituzione Sudafricana, vengono riportate le trascrizioni delle interviste che si sono dimostrate utili ad una corretta interpretazione della città di Cape Town e più in generale del Sudafrica. La bibliografia e la sitografia organizzate per capitoli, evidenziano le fonti di provenienza Sudafricani resesi indispensabili per acquisire la competenza necessaria ad affrontare la realtà complessa e stratificata del Paese e della città di Cape Town. Infine viene riportato l’elenco dei documenti, delle cartografie e dei supporti informatici forniti dai diversi dipartimenti governativi impegnati nella gestione e nel controllo della città, ed utilizzati per l’elaborazione della tesi.
6 Letteralmente: piano di sviluppo territoriale, è uno strumento di pianificazione del territorio analogo al nostro P.R.G.
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Svalbard
Iceland Finland Faroe Islands
Norway Sweden
SCOTLAND
Londra Amsterdam
ENGLAND
Ireland
Estonia Latvia
Denmark
BELORUSSKAYA SSR
Netherlands
WALES
RSFSR
Lithuania
Poland
Germany
Czechoslovakia
France
Andorra Spain
Portugal
Spain
Austria
Switzerland
UKRAINSKAYA SSR MOLDAVSKAYA SSR
Hungary Romania Yugoslavia
France
Bulgaria
Italy
GRUZINSKAYA SSR
Albania Greece
Italy
AZERBAYDZHANSKAYA SSR
TURKMENS
Turkey
Malta Gibraltar
Cyprus Tunisia
Spain Libya
Iran
Iraq
West Bank Gaza Strip Israel Jordan
Morocco
Algeria
Syria Lebanon
Kuwait Saudi Arabia
Egypt
Bahrain
Western Sahara
Qatar
Oman
Mauritania e Verde
Chad Yemen
Gambia
Sudan
Upper Volta Burkina Faso
Guinea - Bissau
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Niger
Mali
Senegal
Guinea Sierra Leone Liberia
Benin Ivory Coast
Ghana
Djibouti Nigeria
Togo
Ethiopia
Central African Republic Cameroon
Somalia Equatorial Guinea
Uganda
Congo
Gabon
Kenya
Rwanda Burundi
Zaire
Tanzania
Angola Malawi
Zambia
Zimbabwe Namibia
Mozambique
Comoros Mayotte
Madagascar Mauritius Reunion
Botswana
Swaziland Lesotho South Africa
Cape Town
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Cape Town 4
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Figura Figura Figura Figura
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1 Posizione geografica del sudafrica con evidenziate le nazioni europee coloniali e i paesi sudafricani che hanno interagito con la nazione sudafricana 2 principali arterie di attraversamento e connessione 3 regioni in cui è suddivisa la nazione sudafricana 4 regioni in cui è suddivisa la nazione sudafricana
INDICE
1 - Sudafrica – origini, apartheid e democrazia esibita.
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1.1 - Storia di una nazione euro-africana.
1.1.1 – Il periodo coloniale.
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1.1.2 – L’affermazione della supremazia dei colonizzatori.
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1.1.3 – Le leggi razziali; nascita dell’apartheid.
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1.1.4 – Il Sudafrica della segregazione.
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1.1.5 – L’uguaglianza fra i popoli e la fine dell’apartheid.
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1.2 – Ricerca di una visibilità internazionale.
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1.3 – Paradigma del laboratorio Sudafrica. Sindrome di città del mondo.
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2 - Disegno politico di una metropoli.
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2.1 - Prospettive e contraddizioni di transizione.
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2.2 - Programmazione partecipata di una città multi culturale.
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2.3 – Il tentativo di formare una città metropolitana compatta.
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3 - Una metropoli dispersa.
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3.1 – Densificazione programmatica e frammentazione dei distretti.
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3.2 – Il dibattito occidentale attorno alla densità.
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3.3 - La città “bianca” perde i limiti dell’apartheid.
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4 - La Township di Khayelitsha – laboratorio di pragmatismo urbano.
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4.1 - “Leggere” Khayelitsha.
171
4.2 - (ri) “leggere” Khayelitsha.
185
4.3 - Strategie di densificazione.
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Appendice.
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1 - La nuova Costituzione Sudafricana (abstrat).
259
2 – Dialoghi:
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2.1 - Intervista a Carol Wright - Manager: Strategic Information, Strategic Development, Information & GIS Department, - Strategy & Planning.
277
2.2 - Intervista a Trevor Wrigt – Head: Information Systems & Planning Sport, Recreation & Amenities.
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2.3 - Intervista a Yaghya Karrien – taxista “coloured” abitante delle Tawn Ship, lavoratore della città.
283
Bibliografia:
287
Sitografia:
291
Altro materiale consultato:
292
Appendice Cartografica:
300
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Sudafrica - origini, apartheid e democrazia esibita
1
Storia di una nazione euro-africana. Il periodo del colonialismo.
1.1 1.1.1
La storia del Sudafrica è stata marcata da tre grandi cambiamenti dei paradigmi ideologici, ciascuno dei quali ha sempre più rafforzato gli atteggiamenti razzisti verso i “non europei”: il primo, attorno agli anni 40 del ‘800, quando all’utilitarismo liberale si sono unite le nozioni di superiorità razziale. Il secondo, alla fine del XIX secolo quando l’imperialismo britannico e gli interessi legati al settore minerario rafforzarono e legittimarono ideologie razziali. La terza fase quella più dura e violenta, iniziata nel 1948, generò il “sistema di apartheid”. Queste tre fasi furono precedute da un altro periodo, quello della colonizzazione europea che rappresenta un periodo importante per il quale, tuttavia, la carenza di fonti scritte ne ha reso, a lungo difficile la ricostruzione. Nel 1652 la Compagnia olandese delle Indie orientali stabilì una stazione alla Table Bay, presso il Capo di Buona Speranza. Il Capo era un approdo ideale per il rifornimento delle navi sulla via delle Indie, quindi la colonia si sviluppò rapidamente. Nei primi anni dopo il suo insediamento, la Compagnia dipendeva in modo rilevante dalla fornitura di bestiame da parte delle popolazioni indigene e, pertanto, non aveva interesse a sostenere i costi di una guerra contro di esse: per questo ordinò, a Jan van Rlebeeck, primo comandante nel periodo 1652 -62, di evitare conflitti con le popolazioni indigene. La situazione mutò profondamente e, a partire dal 1659, iniziò una fase di conflitto fra la Compagnia e gli abitanti dell’area di khoi-khoi1. Dai primi anni del ‘700 si estese la politica di concedere permessi di accesso alla terra per usi agricoli e pastorali a dei coloni, creando un primo gruppo di proprietari terrieri nella regione attorno a Città del Capo. Diventava però sempre più difficile per la Compagnia gestire un efficace sistema di controllo sulle acquisizioni di terra e, conseguentemente, di gestione del territorio che veniva popolato dai coloni bianchi, mentre lo sviluppo delle attività agricolopastorali aumentava stratificazioni e differenze fra i coloni stessi. La questione della terra e del suo utilizzo per scopi produttivi (agricoli e pastorali) è centrale alla comprensione della storia e dell’economia e della politica del Sudafrica del XIX e XX secolo.
1 I Khoekhoen o Khoikhoi (letteralmente “veri uomini”), o semplicemente Khoi, sono un gruppo etnico dell’Africa sudoccidentale. Insieme ai San (o “boscimani”) formano il gruppo Khoisan, caratterizzato da elementi linguistici e culturali comuni. I Khoikhoi furono anche noti come Ottentotti, termine che deriva dall’olandese per “balbuziente”. Il termine si riferisce a un peculiare insieme di suoni delle lingue khoisan, caratterizzate da consonanti clic, simili a schiocchi, e trascritte con segni come “|” o “/”. Attualmente, il termine “ottentotto” rimane nell’uso soprattutto nella denominazione di piante e animali. Fra i gruppi etnici moderni khoikhoi il principale è quello costituito dal popolo Nama (o Namaqua). A differenza dei San, i Khoikhoi sono un popolo dedito alla pastorizia. Il nome “vere persone” dev’essere probabilmente letto come “uomini che possiedono animali domestici”, in opposizione ai San (anche questo un nome coniato dai Khoikhoi), i “diversi da noi” nel senso di “coloro che non possiedono animali”.
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Anche se a partire dalla fine del ‘800 il settore minerario sarà il cuore del sistema economico, la storia politica della segregazione in Sudafrica è strettamente connessa all’evoluzione del rapporto fra interessi economici e produttivi e controllo della terra e della forza lavoro da parte degli europei. A partire dalla seconda metà del ‘700 i Boeri2 iniziarono a spostarsi ulteriormente verso est e verso nord privando gli indigeni della loro terra e favorendo il loro graduale impoverimento: man mano che i bianchi si appropriavano di terra e bestiame, assorbivano all’interno del sistema patriarcale i figli degli indigeni. Con lo sviluppo della colonia, l’allevamento del bestiame nella regione del Capo era quello più vantaggioso. Questo incoraggiò i Boeri a muoversi verso est e nord, aumentando quindi la loro richiesta di avere terra e lavoro, generando così un ulteriore aumento della conflittualità con le popolazioni Khoisan3 nel Capo settentrionale e con le popolazioni di lingua ngoni4 degli Xhosa5 nel Capo orientale. La ribellione Khoisan del 1799 – 1803 fu un punto di svolta tra le relazioni sociali fra bianchi e Khoisan quando la guerra finì nel 1803 ai Khoisan furono promesse libertà ed eguaglianza, promesse mai mantenute. Nel giro di alcuni decenni, dunque, si produsse la fine della società dei khoi-khoi, la quale era eminentemente pastorale e non basata sulla proprietà della terra. La popolazione indigena del Capo venne dunque violentemente colpita dal procso di colonizzazione: khoi-khoi
2 Boeri deriva dall’olandese boer, che significa contadino, ed indica i discendenti dei coloni di lingua olandese che si sono stabiliti nella zona del Capo di Buona Speranza (oggi Sudafrica) nel XVIII secolo. Il termine è spesso usato come sinonimo di afrikaner. 3 Khoisan (scritto talvolta KhoiSan o Khoi-San) è il termine con cui si designano collettivamente i due gruppi etnici principali dell’Africa meridionale, i Khoi e i San. Sebbene i San (detti anche “boscimani”) siano principalmente cacciatori-raccoglitori e i Khoi (detti anche “ottentotti”) principalmente pastori, questi due gruppi sono fisicamente e culturalmente affini. Si ritiene che il gruppo Khoi si sia separato dai San proprio con l’adozione dell’allevamento, pratica che essi avrebbero quasi certamente mutuato dalle vicine popolazioni Bantu. Anche le lingue e i dialetti parlati da questi due popoli appartengono evidentemente a un unico gruppo, detto gruppo delle lingue khoisan; queste lingue sono caratterizzate dalle tipiche consonanti col suono di “click”, rappresentate nell’alfabeto occidentale con simboli come “/” e “!” (vedi per esempio //Hus, il mancala tipico della Namibia). 4 Gli Ngoni sono un popolo dell’Africa del Sud, nel quale si possono individuare costumi differenti in tre gruppi principali: gli Zulu, gli Swazi e gli Ndebele. Si trovano in un’area a cavallo fra Malawi, Tanzania e Zambia, delimitata a nord dal fiume Tugela, a est dall’Oceano Indiano e a ovest dalla catena dei Drakensberg. La loro organizzazione sociale era abbastanza democratica. Praticavano l’allevamento di buoi, che costituivano la loro grande ricchezza. I lavori agricoli erano riservati alle donne. 5 Gli Xhosa sono un gruppo etnico di origine Bantu, provenienti dall’Africa centrale e attualmente presenti nella parte sudorientale del Sudafrica, soprattutto nella provincia di Eastern Cape. Sono il gruppo etnico più numeroso in Sudafrica dopo gli Zulu. La lingua xhosa fa parte del gruppo delle lingue bantu.
Figura 1 planimetria storica del forte olandese e dei primi insediamenti coloniali Figura 2 immagine attuale del forte olandese
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e San6 furono decimati e trasferiti dalle loro aree originarle. Molti, mescolati con i bianchi, daranno origine a uno dei settori della popolazione meticcia del Sudafrica (i coloured7 impropriamente identificati come un “gruppo etnico” per la prima volta dal regime dell’apartheid). Il controllo diretto degli inglesi sulla colonia del Capo durerà fino al 1910, l’anno di formazione dell’Unione Sudafricana. Sanguinose “guerre di frontiera “ contro le popolazioni Xhosa si svolsero fra il 1811 e il 1853. Gli Xhosa, popolazioni di lingua ngoni, sconfitti furono privati della maggior parte della loro terra e del loro bestiame a favore dei coloni bianchi. Con la guerra del 1846-47 venne occupato gran parte del territorio Xhosa e, in particolare, l’area fra il Keiskamma River e il Kei River venne riconquistata e definita come colonia separata con il nome di British Kaffraria. Nel 1866 l’area fu definitivamente incorporata nella colonia del Capo. Mano a mano che le popolazioni indigene venivano private delle loro terre, aumentava la sovrappopolazione di quelle restanti, aggravando i fenomeni di crisi del loro sistema economico. Nel corso del primo ventennio del ‘800, nell’area che stava per diventare la colonia del Natal nel Sudafrica orientale sotto la leadership del re Shaka, nacque lo Stato Zulu dall’unione di diverse entità politiche preesistenti, si strutturò e si organizzò politicamente e soprattutto militarmente diventando stato potente, predatorio e di conquista. Con lo sviluppo delle attività economiche dei coloni cominciò anche a porsi la questione che insieme al controllo della terra, scandirà la storia economica successiva del Sudafrica, ossia quella del reperimento e del controllo della forza lavoro necessaria per sviluppare il sistema economico dei coloni.
6 San - detti anche Khwe, Basarwa o Boscimani sono un popolo che vive nel Kalahari. I San, detti anche Khwe, Basarwa o Boscimani sono un popolo che vive nel Kalahari (tra Sudafrica, Namibia e Botswana) e che è imparentato con i Khoikhoi, con i quali forma il gruppo Khoisan. Non hanno un termine per indicare il proprio popolo nel suo insieme: il nome “San” fu loro attribuito dai Khoikhoi, nella cui lingua san significa “straniero”.[1] In genere, i San preferiscono farsi chiamare “boscimani” (boesman in afrikaans, bushmen in inglese), sebbene questa denominazione appaia offensiva a molti occidentali (letteralmente significa “uomini della boscaglia”). Sono principalmente cacciatori-raccoglitori; sono noti per aver sviluppato un particolare sistema di comunicazione manuale durante la caccia e per cacciare usando frecce avvelenate (con la linfa della Euphorbia damarana), fatto che ha valso loro il soprannome di “uomini-scorpione”. Nel moderno Sudafrica, i boscimani sono stati largamente assorbiti (fino alla quasi totale estinzione) nel gruppo dei coloured o griqua (i quali, a loro volta, hanno avuto origine a partire dall’unione dei boeri con donne khoisan). 7 I Meticci del Capo (in inglese Cape Coloured, “persona di colore del Capo”) sono i discendenti moderni, spesso di sangue misto, degli schiavi importati in Sudafrica fra il XVI e il XVII secolo dai coloni olandesi (più tardi noti col nome di Boeri). Si tratta del gruppo predominante nella Provincia del Capo Occidentale (che corrisponde alla zona da cui si sviluppò il primo insediamento olandese nel Sudafrica), e conta circa 4.000.000 di persone. Nella maggior parte dei casi, i Meticci del Capo parlano l’afrikaans come lingua madre. Le origini etniche dei Meticci del Capo sono piuttoste varie. I Boeri importarono schiavi dalla Malesia, dal Madagascar e dal Mozambico, e i corrispondenti gruppi etnici si mischiarono nel tempo sia con i bianchi che con le popolazioni indigene locali Khoisan. Questa popolazione decisamente eterogenea fu impropriamente identificata con un “gruppo etnico” per la prima volta dal regime dell’apartheid nella prima metà del XX secolo, che stabilì anche alcuni principi (non meno discutibili da un punto di vista antropologico) per distinguere altri sottogruppi di coloured (come i cape malays, “malesi del Capo”). Oggi l’espressione cape coloured viene usata in Sudafrica solo in senso informale per indicare quelle popolazioni di sangue misto dotate di una pelle di colore più chiaro rispetto alle popolazioni indigene dell’Africa meridionale.
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Il fenomeno schiavistico nella regione del Capo fu fondamentale per lo sviluppo dell’economia della colonia in quella prima fase. Nel periodo 1652-1808, circa 63.000 schiavi furono importati dall’Indonesia, dall’India, dal Madagascar e dal Mozambico. La schiavitù fu abolita dagli inglesi nel 1831, dando origine a gruppi di etnie tuttora riconoscibili. Gli schiavi erano utilizzati soprattutto come lavoratori agricoli nelle fattorie dei coloni in cui si producevano grano e vino. Il sistema del lavoro schiavistico creò una società divisa su basi razziali insieme ad una stratificazione socioeconomica dei gruppi bianchi fra una borghesia cittadina e i ricchi agricoltori del Capo occidentale, da un lato, e gli agricoltori bianchi più poveri della regione che non potevano permettersi di avere schiavi. Il modello schiavistico servì non solo a controllare la forza lavoro, ma anche, e soprattutto, a definire modelli di relazioni sociali più ampie che avevano origine dal dominio e controllo del padrone sullo schiavo. Pertanto, il periodo della schiavitù permise di istituzionalizzare un modello di lavoro non libero che si perpetuò fino al XX secolo e che si manterrà nei modelli di segregazione e di superiorità verso le razze non bianche che contraddistingueranno la storia successiva del Sudafrica. Figura 3 Immagine della città coloniale olandese
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Storia di una nazione euro-africana. L’affermazione della supremazia dei coloni.
1.1 1.1.2
Dopo l’abolizione della schiavitù, mentre parte del mondo rurale afrikaner lasciava il Capo, i grandi proprietari terrieri bianchi riuscirono, con l’appoggio dello Stato coloniale, a definire nuove forme di sottomissione e di controllo della forza lavoro. I britannici propagarono l’idea della superiorità della loro civiltà con zelo evangelico, così come gli afrikaner svilupparono la propria idea di superiorità e di diritto al controllo degli indigeni. Le trasformazioni degli interessi economici internazionali furono decisive e aiutano a comprendere perché la Gran Bretagna abolì la schiavitù: soltanto perché considerata antieconomica, ma anche perché l’abolizionismo offriva un nuovo modello di legittimazione per l’impero basato su idealismo morale e missione civilizzatrice di progresso. Nel 1828 venne adottata l’Ordinance 501 con l’intento di migliorare le condizioni di vita di tutte le persone non bianche del Capo. Questa norma abolì le restrizioni discriminatorie sui kboisan e li rese, dal punto di vista legale, uguali ai bianchi. Modificò inoltre radicalmente le modalità di lavoro in tutta la colonia del Capo, ma favorì anche tensioni all’interno dell’economia agricola dei bianchi, i quali incontrarono ulteriori difficoltà nell’ottenere forza lavoro, perché privò gli afrikaner della possibilità di disporre di lavoro servile. Il Sudafrica dell’apartheid è stato un paese unico, profondamente diverso da qualsiasi altro, che si andava consolidando proprio mentre i processi di decolonizzazione si stavano diffondendo nel resto dell’Africa e in Asia. Il Sudafrica si sviluppa come una società parzialmente industrializzata con profonde divisioni della sua popolazione, basate su criteri biologici definiti legalmente. A mano a mano che l’economia si espandeva, essa assorbiva un numero sempre maggiore di lavoratori neri, ma le categorie razziali continuavano a definire la struttura sociale. La scoperta di diamanti, infatti, trasformò l’intero territorio Sudafricano - e dell’Africa australe più in generale - e mise in moto processi che avrebbero poi modellato tutta la storia del paese fino ad oggi. L’ingente afflusso di capitale straniero collocò l’industria mineraria al centro del sistema economico del Sudafrica. Un processo politico-economico che favorì l’integrazione dell’economia del Sudafrica all’interno del sistema internazionale come produttore di beni primari (soprattutto minerali preziosi) - un modello tipico dei sistemi coloniali. Le relazioni sociali si strutturarono per definire in maniera netta la separazione della
1 La sezione 3 del decreto 50 del 1828 prevedeva quanto segue: “And whereas doubts have arisen as to the competency of the Hottentots and other free Persons of colour to purchase or possess land in this Colony: Be it therefore enacted and declared, That all Grants, Purchases, and Transfers of Land or other Property whatsoever, heretofore made to, or by any Hottentot or other free Person of colour, are and shall be, and the same are hereby declared to be of full force and effect, and that it is, and shall and may be lawful for any Hottentot or other free Person of colour, born, or having obtained Deeds of Burghership in this Colony, to obtain and possess by Grant, Purchase, or other lawful means, any Land or Property therein—any Law, custom, or usage to the contrary notwithstanding.” Questo decreto riconosceva la parità tra gli indigeni e i sudditi britannici.
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società, mentre lo sviluppo economico e la modernizzazione si realizzarono mediante lo sfruttamento di una forza lavoro africana soggiogata e pagata con bassi salari e che si riproducesse in un sistema di riserve indigene che ridussero al minimo, per il capitale, i costi di riproduzione della manodopera stessa. Il settore contadino africano, a lungo vitale e competitivo con l’emergente agricoltura bianca, venne basato su atteggiamenti aggressivi e gradualmente e appositamente messo in crisi al fine di favorire la creazione di un’ampia riserva di manodopera per l’economia europea. Tre elementi favorirono questo processo che era già iniziato decenni prima, che negli anni trenta del XX secolo raggiunse il suo culmine: il crescente sostegno all’agricoltura dei bianchi, gli effetti devastanti della depressione del Ventinove e, naturalmente, gli espropri delle terre e le misure di controllo dell’agricoltura africana. Dopo il 1910, i grandi proprietari terrieri bianchi divennero agricoltori capitalisti, mentre i produttori agricoli africani, a quell’epoca erano ancora sufficientemente indipendenti dal punto di vista economico, furono sempre più trasformati in lavoratori salariati o in affittuari per le fattorie genericamente, in proletari per la nuova economia agricolo-mineraria del Sudafrica (Jeeves, Crush, 1997; Ntsebeza, Hall, 2007). Il punto di svolta fu rappresentato dall’approvazione nel 1913 del Land Native Act, una legge che precedeva di alcuni decenni le rigide norme di segregazione dell’apartheid. Il sistema di governo del Sudafrica si è così basato su un sistemico di potere e di controllo da parte dei bianchi che hanno generato spoliazione e impoverimento delle popolazioni e processi rilevanti di ineguaglianza basati sulla razza e modelli sempre più coercitivi di segregazione razziale. Il razzismo, nato dagli atteggiamenti e dalle pratiche dei Boeri nella frontiera nel corso del XIX secolo fu sistematicamente organizzato dalle autorità coloniali inglesi. A partire dalla seconda metà del XIX secolo si assiste dunque a due fenomeni paralleli e collegati: ossia quello della peasantisation2 e a quello della proletarizzazione degli africani, i quali ebbero l’effetto combinato di produrre alcuni meccanismi di “detribalizzazione” e di avviare processi di integrazione nel mondo di produzione e nei modelli di lavoro occidentali. Per peasantisation si intendono quei casi in cui agli agricoltori africani fu data l’opportunità di avere l’accesso esclusivo alla terra e, conseguentemente, al sistema di diritti politici, infatti il possesso a titolo privato di terra, minimo 2 acri, consentiva ai proprietari di poter essere elettori per il Parlamento del Capo.
2 Peasantitation indica la partecipazione a pieno titolo dell’economia monetaria e della produzione per il mercato di piccoli agricoltori indigeni produttivi ed economicamente dinamici.
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L’accesso alla terra avveniva principalmente attraverso tre forme: -
i produttori individuali che coltivavano sulle terre comunitarie ma che erano in grado di vendere i loro prodotti sui mercati;
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gli squatters (ossia gli occupanti illegali) che producevano su terra di proprietari assenti e che pagavano loro una qualche forma di affitto;
-
i contadini su terre di proprietà individuale che producevano su piccola scala commerciale in maniera autonoma.
Tuttavia, fra il 1850 e il 1890 il processo di peasantisation e di modernizzazione fu contraddittorio: infatti, mentre le autorità coloniali sostenevano lo sviluppo di un’agricoltura contadina rivolta anche a creare un modello individuale (occidentale) di accesso alla terra, al tempo stesso operavano affinché altri africani diventassero proletari da avviare al mercato del lavoro. Il parlamento di Cape Town, infatti, fece del suo meglio per rispondere alle richieste dei proprietari terrieri bianchi ed emanò una serie di norme, come la tassa sulle capanne, per favorire l’immissione degli africani nel mercato del lavoro. Dopo la scoperta dei giacimenti minerari e l’avvento di una nuova forma di liberalismo e di capitalismo più aggressivo. Dalla fine del ‘800, I’offensiva combinata dei proprietari terrieri bianchi, delle élite mercantili e dell’industria mineraria favorì sempre più,una legislazione che distrusse i contadini africani e li forzò a diventare un proletariato salariato. Tra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900 si passo da una fase di assimilazione attraverso il processo di modernizzazione e di peasantisation a una nuova politica in cui la proletarizzazione si legava sempre più alla concezione di segregazione e di retribalizzazione degli africani. Le élite mercantili, in coalizione con i settori più potenti del mondo afrikaner, sostennero nel 1892 l’approvazione di due norme: l’Anti-Squatting Act e il Franchise and Ballot Act. Lo scopo delle due leggi era di accelerare il processo di proletarizzazione degli indigeni. La rivoluzione mineraria cambiò quindi l’economia in maniera drastica e la crescente domanda di forza lavoro mise sempre più in crisi le economie agricole africane della colonia. Il Glen Grey Act del 1894 fu un chiaro tentativo di separare i produttori agricoli africani dagli europei e di favorire la nascita di piccoli produttori individuali che pagavano le tasse e che potevano nominare dei consigli locali riservati agli africani. Il Glen Graey, un distretto sovrappopolato a sud del fiume Kei, venne demarcato come area tribale in cui piccoli appezzamenti potevano essere offerti agli africani, e dove i datori di lavoro bianchi potevano reclutare lavoratori a contratto. Fu in sostanza la prima riserva indigena, prototipo su scala nazionale della legge del
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1913: il Natives Land Act, riduceva al 7% il territorio riservato agli africani (80% della popolazione). A partire dalla metà degli anni trenta del XIX secolo gruppi di agricoltori Boeri della frontiera lasciarono il Capo in una serie di migrazioni e si stabilirono a nord del fiume Orange, in quello che è stato definito il Grande Trek, un momento importante della storiografia afrikaner, interpretato come una ricerca di libertà dal dominio britannico e quindi centrale alla comprensione della formazione di un nazionalismo afrikaner nel xx secolo. I voortrekkers non erano un gruppo unico e omogeneo, avendo diversità di obiettivi e di posizioni ma, indubbiamente, la maggior parte di loro era interessata a creare repubbliche indipendenti dagli inglesi, un progetto che si rivelerà complesso per via dei conflitti presenti fra i diversi gruppi di élite, per l’intervento inglese e per la resistenza degli africani. Comunque, alla Sand River Convention del 1852, la Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza di una repubblica boera a nord del fiume Vaal, ma le differenti fazioni boere riuscirono a creare uno Stato centrale solo nel 1860 con il nome di Repubblica Sudafricana (Zuid Afrikaansche Republlek), nel 1854 una seconda repubblica boera indipendente, lo Stato libero dell’Orange, comunemente noto come Orange Free State, da cui anche il nome di Free State ad una delle attuali province del Sudafrica.
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La capacità di controllo di questi Stati era fragile, per cui molti africani continuarono a occupare e coltivare terra che formalmente era dei bianchi fino ai primi decenni del XX secolo: l’esistenza della Repubblica Sudafricana fu costantemente minacciata da tensioni fra i diversi gruppi di élite e dalla debolezza finanziaria del nuovo Stato. Mentre i Boeri cercavano di ricreare l’ordine patriarcale feudale del XVIII secolo, le autorità coloniali britanniche riuscirono, lavorando congiuntamente con le élite, sia inglesi sia afrikaner, a creare una forma di democrazia borghese e un sistema capitalista centrato sul settore agricolo e su quello minerale. Mentre il sistema di lavoro nel Capo si basa sulla proletarizzazione di africani e meticci, le repubbliche boere non perseguirono, invece, tale politica. I Boeri privarono gli africani di parte della loro terra, li costrinsero a pagare delle tasse ma, nonostante ciò, gli africani riuscirono a mantenere parte della propria indipendenza economica. I bianchi rimasero soprattutto allevatori, lasciando agli africani le attività agricole sulle terre ancestrali o come affittuari sulle loro stesse proprietà, cui si univa il relativo successo degli agricoltori africani nel produrre beni alimentari per i mercati emergenti, soprattutto dopo la scoperta dei giacimenti minerari, non diedero luogo su scala generalizzata alla formazione di un ampio settore indigeno proletarizzato. Gli africani delle province settentrionali saranno trasformati in un proletariato salariato soltanto dopo la formazione dell’Unione Sudafricana, quando il nuovo Stato, in collaborazione con gli agricoltori bianchi e il settore delle società multinazionali, fu in grado di sconfiggere definitivamente ogni forma di resistenza rurale africana. Dal 1850 al 1910 i rapporti fra proprietari terrieri e affittuari cambiarono radicalmente favorendo stratificazioni di classe anche fra i Boeri. Negli anni immediatamente successivi alla scoperta dell’oro, la terra cominciò a concentrarsi sempre di più nelle mani di notabili afrikaner3 e in quelle delle compagnie minerarie. Molti degli agricoltori Boeri più poveri persero le loro terre e si impoverirono. Questo aumentò la lotta fra i grandi e i piccoli proprietari, mentre miglioravano le condizioni di mercato per i produttori africani di mais. La competizione fra proprietari bianchi più ricchi e meno ricchi giocò un ruolo decisivo nella polarizzazione fra un gruppo di élite agraria rappresentato dai grandi produttori agricoli, da un lato, e un gruppo più
3 Il termine afrikaner si riferisce ai membri della popolazione dell’Africa meridionale (soprattutto Sudafrica e Namibia) di pelle bianca, estrazione calvinista ugonotta olandese, tedesca o belga e che parlano l’afrikaans, una lingua derivata principalmente dall’olandese del XVII e XVIII secolo, che oggi integra prestiti dai linguaggi africani e dalla lingua inglese. Il termine afrikaner comprende diverse comunità di bianchi di lingua afrikaans. Il suo primo utilizzo risale al 1707 ma non venne usato ampiamente fino a dopo la guerra Anglo-Boera agli inizi del XX secolo. Prima di allora le varie comunità bianche di lingua afrikaans erano conosciute come boeri, trek-boers, Olandesi del Capo (quelli che vivevano nella zona della Penisola del Capo) o voortrekkers. Si pensa che il termine Afrikaner sia stato usato per distinguere, all’interno della popolazione bianca, quelli di lingua afrikaans da quelli di lingua inglese.
Figura 4 Quartiere olandese
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ampio di piccoli proprietari di bianchi senza terra, dall’altro. Mentre gli agricoltori più ricchi incoraggiavano la presenza di africani sulle loro terre come affittuari o mezzadri, i più piccoli preferivano evitare procedure di occupazione delle loro terre da parte degli africani. A mano a mano che gli affittuari africani cominciarono a produrre in maniera sempre più proficua il mais, i proprietari bianchi che avevano anch’essi un interesse verso questo tipo di produzione si trovarono in svantaggio. In quel momento, infatti, gli africani erano ancora sufficientemente indipendenti per evitare di dover diventare lavoratori salariati. Alla fine del XIX secolo due eventi incisero negativamente sulla posizione economica sia dei bianchi sia dei neri. II primo fu una serie di epidemie che colpirono il bestiame, il secondo fu la Guerra anglo -boera. Dopo la guerra i proprietari terrieri bianchi più ricchi cercarono di migliorare la loro agricoltura, ma si trovarono in difficoltà nel trasformare le loro fattorie in aziende agricole capitaliste e necessitarono del forte intervento dello Stato. La formazione di un capitalismo razziale richiedeva che gli africani venissero sempre più resi proletari al fine di gestire un adeguato sistema di lavoro. Questo processo fu richiesto con forza sia dalle società minerarie sia dai proprietari terrieri che avevano, entrambi, bisogno di forza lavoro a basso costo per lo sviluppo dei rispettivi settori economici. Al tempo stesso, pero, alcuni gruppi di afrikaner più deboli persero la terra immettendosi anch’essi nel mercato del lavoro non qualificato. Alla fine del secolo, circa 100.000 africani lavoravano già nelle miniere, ma molti di essi provenivano da altri territori confinanti con la Repubblica Sudafricana. La guerra anglo-boera del 1899-1902 fu certamente una guerra imperiale e una guerra per il controllo dei giacimenti minerari. Gli inglesi avevano interesse a conquistare nuovi mercati e ad avere accesso a nuove risorse. Le ragioni della Guerra anglo-boera vanno dunque ricercare nelle trasformazioni economiche del capitalismo globale della fine del ‘800. Si trattò anche di un conflitto fra due civiltà bianche: da un lato quella inglese, potente e desiderosa di ampliare i suoi possedimenti coloniali e, dall’altro, quella afrikaner, ancora fortemente ancorata alle sue concezioni feudali che sfidavano I’imperialismo inglese. Più in profondità, la guerra era collegata agli interessi del capitale minerario e finanziario internazionale che aveva bisogno di risolvere due questioni all’interno della Repubblica Sudafricana indipendente: la prima riguardava il sistema agrario afrikaner considerato ancora feudale e guidato da un’élite agricola arretrata ma interessata a partecipare alle potenzialità offerte dallo sviluppo economico; la seconda riguardava la risoluzione del problema rappresentato dall’agricoltura delle società africane, anFigura 5 Faro storico di Green Point
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cora autonome, produttrici di mais, fondamentale per lo sviluppo dell’economia mineraria in quanto prodotto base per l’alimentazione dei lavoratori del settore, all’interno di un’economia definita dai colonizzatori tradizionale. Cosi, dopo che le repubbliche boere furono sconfitte, la leadership britannica si rese conto che poteva ottenere una stabilizzazione sociopolitica della nascente Unione soltanto se gli afrikaner, soprattutto i grandi proprietari terrieri del Transvaal, fossero stati politicamente assorbiti e fossero state loro offerte adeguate garanzie all’interno del nuovo sistema politico. Il governo inglese, quindi, si convinse che i problemi del lavoro del settore minerario potevano essere risolti soltanto attraverso un’alleanza con le élite afrikaner sconfitte. La guerra rappresentò quindi una tragedia per le economie indigene e un punto di svolta nella storia del Sudafrica. Si riuscì a mettere in moto un processo che consolidò definitivamente la rivoluzione mineraria e si attuò il sistema di controllo segregazionista sulla popolazione non bianca. Nel 1907, prima della formazione dell’Unione Sudafricana era stata concessa una forma di autogoverno al Transvaal e all’Orange Free State , con esclusione della popolazione non bianca da qualsiasi diritto politico. II darwinismo sociale, che aveva giustificato la superiorità della civiltà bianca rispetto
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a quelle africane e che aveva permesso di rafforzare l’ideologia razziale che era già presente fra i bianchi nel Capo e nel Natal, si unì al liberalismo vittoriano e al suo ottimismo dogmatico sui meriti del capitalismo liberale, di un’economia di mercato e dell’individualismo. Si creò una nuova costellazione di potere che fu definitivamente consolidata a partire dagli anni trenta del ‘900. Essa si basava su un’alleanza stretta fra lo Stato, le società a capitale straniero, gli interessi economici della popolazione locale di lingua inglese che controllava buona parte dell’economia e l’élite agraria afrikaner. La politica dopo il 1910 fu perciò caratterizzata dall’esigenza di soggiogare definitivamente gli indigeni e di gestire le relazioni fra le due principali componenti della popolazione bianca che avrebbero dovuto riconciliare le loro differenze al fine di creare una nazione Sudafricana bianca. I bianchi di lingua inglese perlopiù controllavano il settore imprenditoriale e manageriale, mentre gli afrikaner erano maggiormente dediti a quello agricolo. Molti di questi ultimi si erano impoveriti e si proletarizzarono dopo aver perso la loro terra oppure continuavano a lavorare in un’agricoltura fragile e non competitiva. I governi furono costretti ad affrontare i bisogni dei bianchi poveri dato che essi formavano oltre la metà del proprio elettorato. Le esigenze dello sviluppo capitalista del paese e dello sfruttamento minerario divennero prioritarie. Benché fosse garantita una certa dose di legittimità, anche in termini di segregazione, grazie all’alleanza fra gli agricoltori afrikaner e gli interessi inglesi, una serie di problemi restava irrisolta: il controllo della terra e quindi del lavoro e, soprattutto, come occuparsi degli afrikaner poveri. Le soluzioni trovate furono ovviamente razziste a detrimento degli africani . Da un lato, all’interno dell’ordine consensuale che si era creato fra i diversi gruppi di élite si trovarono meccanismi di protezione dei bianchi poveri; dall’altro lato, con la legge sulla terra del 1913 si affrontò la questione di come marginalizzare e controllare il mondo rurale africano. Nel 1910 avviene la costituzione dell’Unione Sudafricana, nata dall’unificazione delle colonie britanniche del Capo e del Natal con le due repubbliche boere, I’Orange Free State e la Repubblica Sudafricana, che avevano lottato per mantenere la propria autonomia dalle influenze britanniche. L’unificazione del paese nel 1910 non diede luogo ad un vero e proprio nazionalismo pan -Sudafricano a causa del fatto che l’Unione era il risultato di una storia complessa e di una mescolanza di divisioni regionali, di pratiche razziste, di darwinismo sociale e di forme di lotta diversificate. Per le persone di lingua inglese, che cominciarono a dominare il Sudafrica economicamente e politicamente dalla fine del XIX secolo, il nazionalismo era un’ideologia in quel momento non necessaria, mentre gli afrikaner
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e gli africani vedevano in questo la propria salvezza, anche se in modi totalmente diversi gli uni dagli altri. Mentre il nazionalismo africano in quel periodo era influenzato dalle nozioni propagate dagli inglesi e dai missionari, quello degli afrikaner, basato su nozioni di esclusione e su un nazionalismo cristiano in cui le concezioni razziste erano centrali, nel corso degli anni divenne sempre più aggressivo. Negli anni che vanno dal 1910 alla Seconda guerra mondiale le amministrazioni del Sudafrica si preoccuparono, di consolidare il potere dei bianchi. Nelle elezioni del 1910 era uscito vincitore il South African Party (SAP) che, anche se sostenuto da parte della popolazione anglofona, era dominato dagli afrikaner. II SAP era guidato dai generali Botha e Smuts che avevano combattuto nella Guerra anglo-boera. II primo era un agricoltore con vasti possedimenti, il secondo aveva studiato a Cambridge ed era un uomo ambizioso. Essi giunsero alla conclusione che la politica sarebbe dovuta servire a organizzare i rapporti con l’industria mineraria e a creare una coalizione tra i diversi gruppi di popolazione bianca. II principale partito di opposizione in quel momento era l’Unionist Party, fortemente associato agli interessi del capitale minerario e della finanza. II SAP di Botha e Smuts e gli Unionisti si accordarono su come affrontare la questione dei coltivatori africani e a tal fine nel 1913 il Parlamento approvò la citata legge sulla terra che assegnava alle riserve indigene soltanto il 7% circa dell’intero territorio del Sudafrica. La legge assunse un ruolo politico-economico oltre che simbolico fondamentale che produrrà effetti su tutta la storia successiva del Sudafrica e, soprattutto anticipava di alcuni decenni la strutturazione normativa dell’apartheid: essa infatti, identificava i pilastri di un modello di sviluppo separato, di totale divisione delle razze e di gerarchia fra di esse, incentrato sul controllo del territorio e della terra in senso economico e produttivo. Un processo che, gradualmente, privò gli indigeni dei diritti sulla propria terra, favorendo un sistema che fosse in grado di soddisfare le esigenze dell’agricoltura e dell’economia dei bianchi. Nel I914 il generale James Hertzog, che fondò il NP (National Party) nuovo partito nazionalista, accusò Botha e Smuts di essere troppo accondiscendenti agli interessi del capitale britannico, la maggioranza del SAP rimase espressione dell’elettorato di lingua inglese, rafforzandosi in tal modo la collaborazione fra lo Stato e l’industria mineraria. Nel I924 il NP di Hertzog vinse le elezioni in alleanza con il LP (Labour Party) sulla base di un accordo elettorale avvenuto dopo gli scioperi del 1922 e dopo un’aspra campagna elettorale che aveva enfatizzato il bisogno di una maggiore protezione dei lavoratori bianchi da parte dello stato, soprattutto gli afrikaner poveri e disoccupati. Si creò un’alleanza fra il nazionalismo afrikaner e i lavoratori bianchi, anche di lingua inglese, in particolare riguardo a questioni quali la protezione dei salari dei bianchi, i
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processi di urbanizzazione, il controllo della manodopera nera, temi che avvicinavano il proletariato bianco alle idee della segregazione. II successo della coalizione può essere visto come una vittoria del consolidamento della supremazia dei bianchi, mentre le comunità bianche più deboli, da quel momento, furono in grado di influenzare le scelte politiche poichè Hertzog, in questo senso, rappresentava gli interessi dei bianchi molto più di Smuts. II Patto rafforzò la legittimità di uno Stato sempre più orientato verso la protezione dei bianchi. Nel 1924, dopo la vittoria elettorale, venne approvato l’Industrial Conciliation Act, una norma che cercava di incorporare nel sistema i sindacati bianchi, di limitare le azioni di lotta politica, di controllare le tensioni nel mondo del lavoro e di garantire la supremazia dei lavoratori bianchi. Oltre alla citata norma sul lavoro, fra il 1924 e il 1933 l’amministrazione Hertzog approvò altre leggi in favore della popolazione bianca e aumento l’autonomia politica ed economica del paese. In particolar modo, sostenne e potenziò le norme a favore degli agricoltori, che furono sempre più protetti dalla competizione degli africani. II governo raggiunse anche alcuni obiettivi culturali, in particolare rendendo lingue ufficiali sia l’inglese sia l’afrikaans4. Nel 1923 il Native (Urban Areas) Act, stabiliva che gli indigeni potevano risiedere nelle aree urbane che erano riservate ai bianchi soltanto fintanto che ciò fosse stato funzionale alle esigenze della comunità bianca. Sul piano internazionale, nel 1926 la Conferenza Imperiale di Londra, a cui parteciparono il primo ministro inglese e gli autogoverni dei dominions, definì questi ultimi come comunità autonome all’interno dell’impero britannico, anche se unite da un’adesione comune alla Corona. Cinque anni dopo, il Parlamento britannico, attraverso lo Statute of Westminster, diede effetto legale a questa dichiarazione. Il governo Sudafricano, così come quello canadese e australiano, cominciò ad agire in maniera indipendente negli affari internazionali svincolato da qualsiasi collegamento con l’impero britannico. Nel 1912 era stato fondato l’African National Congress (ANC), che tuttavia rimase un’organizzazione moderata fino agli anni quaranta. Infatti, il partito fino a quel momento aveva rappresentato le aspirazioni della classe media africana. In origine costruita intorno ad uno strato relativamente privilegiato di produttori agricoli africani, l’organizzazione seguì poi una traiettoria liberale domandando l’estensione del diritto di voto e degli altri diritti civili agli africani civilizzati.
4 L’afrikaans è una lingua germanica occidentale (affine all’olandese) parlata principalmente in Sudafrica e Namibia. Deriva dal dialetto detto kaap-nederlands (olandese del Capo) che si sviluppò fra i coloni boeri e i lavoratori portati nella Colonia del Capo dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Verenigde Oost-Indische Compagnie – VOC) tra il 1652 e il 1705. I boeri erano originari soprattutto delle Province Unite (gli odierni Paesi Bassi), sebbene vi fossero anche molti tedeschi, francesi e scozzesi. I lavoratori importati erano di origine malese; ad essi si aggiunsero inoltre molti boscimani e khoi.
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Storia di una nazione euro-africana. Le leggi raziali; nascita dell’apartheid.
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Mano a mano, che si accentuavano le pratiche segregazioniste e di marginalizzazione degli africani, crescevano le iniziative del partito al fine di favorire un movimento nazionale di lotta. Quando nel 1940 Xuma divenne presidente del partito, carica che ricoprirà fino al 1949, l’opposizione politica contro la segregazione si sviluppò ulteriormente. Probabilmente l’evento più importante fu la formazione della Lega giovanile del partito nel 1944 (African National Congress Youth League, ANCYL). Inoltre, il partito sviluppò le sue elaborazioni politiche e ideologiche riuscendo a costruire un programma di azione nel 1949: si tratto del primo tentativo di formulare una strategia comune contro la dominazione politica dei bianchi. E’ tuttavia interessante notare che il partito riuscì a definire una strategia ampia e completa contro il regime di segregazione quando esso aveva già sostanzialmente raggiunto molti dei suoi risultati e si stava avviando il sistema di apartheid. In sostanza, a lungo le élite africane rimasero fedeli ai processi parlamentari confidando che questi avrebbero potuto trasformare la situazione, mentre il rispetto di un ideale di Stato di diritto impediva loro di mettere del tutto in discussione la legittimità dello Stato che si era creato con l’Unione. Inoltre, non si devono sottovalutare gli effetti del controllo statale sul mondo rurale, dove la politica delle riserve e il ruolo di collaborazione dei capi tradizionali resero possibile il contenimento di una serie di rivendicazioni che avrebbero potuto venire dal mondo rurale stesso. I processi di trasformazione del settore rurale sono importanti per la comprensione delle dinamiche del cambiamento sociopolitico del Sudafrica, poiché il mondo rurale bianco svolgerà un ruolo significative nella produzione agricola commerciale, le campagne resteranno punto di riferimento, anche a causa del modello della segregazione, per la maggior parte delle comunità nere e serviranno da serbatoio di manodopera migrante. La distruzione del sistema agricolo africano è stato un processo voluto e organizzato a partire dal XIX secolo. Le miniere e le fattorie bianche cercavano disperatamente forza lavoro: per far fronte a questa domanda venne sacrificata l’autonomia lavorativa e produttiva degli agricoltori africani. Questo lungo processo di spoliazione della terra aveva due obiettivi, fondamentali per comprendere la storia politica ed economica del paese: ridurre la competizione che i produttori africani erano riusciti a sostenere nei confronti della nascente agricoltura bianca e, soprattutto, creare un vasto serbatoio di riserva di manodopera a basso costo per le miniere e per I’industria oltre che per l’agricoltura commerciale dei bianchi. Con la formazione dell’Unione i coloni avevano acquisito il controllo politico di tutto il Sudafrica e gli agricoltori bianchi aumentarono le loro pressioni sull’amministrazione statale per ottenere protezione e sostegno.
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II citato Native Land Act del 1913 voleva, dunque, soddisfare al tempo stesso le domande degli agricoltori bianchi e quelle dell’industria mineraria e fu la pietra miliare su cui si fonda I’alleanza politica fra agricoltori afrikaner ed élite commerciale ed economica di lingua inglese, consolidando il sistema di sfruttamento del capitalismo razziale. Soltanto il 7% circa del territorio dell’Unione costituiva I’area riservata agli africani. La legislazione fu poi rivista nel 1936, portando le riserve a rappresentare il 13% del territorio nazionale. La legge proibiva agli africani di acquisire, sotto qualsiasi forma, terra al di fuori delle riserve indigene e stabiliva che gli africani non potessero vivere fuori delle riserve; introdusse, dunque, la definitiva divisione legale e la “santificazione” della segregazione razziale della terra fra bianchi e neri. Le economie africane tradizionali erano ancora sufficientemente indipendenti dal punto di vista economico; pertanto non erano affatto disposte a offrire la forza lavoro necessaria per le miniere. In particolare, gli africani stanziati a nord del fiume Orange erano agricoltori e allevatori di successo, molti di loro come affittuari, a vario titolo, su terre di proprietà dei bianchi. La terra ancora occupata dagli africani era per la maggior parte ubicata nelle zone dell’altipiano a più alta piovosità, ed
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è in queste aree che la produzione agricola africana, nonostante subisse gradualmente l’impatto coercitivo della politica di segregazione, fu per un certo tempo in grado di essere produttiva e di competere con gli agricoltori bianchi rispondendo alle esigenze dei nuovi mercati. La maggior parte dei cereali coltivati sull’altipiano all’inizio del XX secolo era prodotta da agricoltori africani relativamente indipendenti. I produttori africani, sistematicamente svantaggiati dagli interventi statali, alla fine non riuscirono a sostenere la competizione proveniente dall’agricoltura bianca. Le politiche statali si basarono su espropri, controllo delle attività agricole e della commercializzazione dei prodotti, tassazione: nel momento in cui le tasse non potevano più essere pagate con la vendita di prodotti agricoli, occorreva trovare lavoro per ottenere il denaro necessario. Ci vollero decenni prima che questa norma fosse pienamente implementata: in ogni caso fu un duro colpo all’indipendenza economica di molti africani. Nel 1936, mentre il 17% degli africani viveva in città e il 45% nelle riserve a loro assegnate dalle norme di segregazione, un 38% risiedeva nelle aree rurali “bianche” dove occupava la terra con varie forme di accordo con i proprietari, riuscendo ancora a sviluppare attività agricole vitali. II governo ritenne perciò che la politica di segregazione fosse funzionale anche alla protezione dell’ambiente e che, per far ciò, occorresse controllare le tecniche agricole, le pratiche di allevamento del bestiame e di gestione della terra degli africani. II risultato furono i programmi di betterment planning lanciati nel 1939 che includevano nelle loro azioni: creazione di villaggi standardizzati, recinzioni, separazione fra aree di coltivazione e di pascolo, controllo rigoroso del bestiame, trasferimenti di popolazione. Si tratto di una politica drastica, coercitiva, di grande controllo e di violenza ed emarginazione per il mondo rurale indigeno che si andava a sommare alle trasformazioni decretate dal Native Land Act. Il sistema del lavoro migrante si legge, dunque, in maniera inscindibile alla politica agraria: per tutta la loro vita i lavoratori migranti oscillavano fra le loro famiglie in ambito rurale ed i compound (ossia gli alloggi riservati ai soli maschi nelle miniere o nelle aree urbane). Le riserve, che diventeranno i bantustan (o homelandt del periodo dell’apartheid, erano sparpagliate nella parte nord-orientale del paese. La terra riservata agli africani rappresentava una piccola proporzione del territorio che le comunità agricolo-pastorali africane avevano occupato e coltivato prima della conquista bianca. Figura 1 ”segregasie” (segregazione) (1938). Due immagini su sfondo bianco e nero usano simbolicamenete l’architettura come mezzo per sostenere la continua segregazione delle razze. Fonte: in P. Harrison, A. Todes, V. Watson, Planning and transformation, learning from the post apartheid experience, Routledge, Londra, 2008
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Per proteggere i bianchi che si erano impoveriti accentuarono e si diffusero i meccanismi di protezione dei bianchi e di discriminazione degli africani nell’accesso al lavoro (colour bar). Nel 1911 vennero approvate due importanti leggi di segregazione del lavoro: il Native Labour Registration Act, definiva i criteri di accesso al lavoro e le sanzioni per le violazioni come lo sciopero, il Mines and Works Act, garantiva quote di posti di lavoro riservate ai bianchi. Le tensioni, comunque, non si risolsero. La rivolta del Rand del 1922 mise chiaramente in evidenza che il governo poteva mantenere la propria legittimità soltanto se garantiva la posizione dei lavoratori bianchi delle miniere, e non solo. II governo Smuts si rese quindi conto che era necessario dare una strutturazione chiara affinché i diritti dei lavoratori bianchi venissero protetti dalla competizione dei neri. Con il Wage Act del 1925 si cercarono di eliminare incentivi economici all’impiego di minatori neri, questa sempre per favorire i bianchi. Il Mines and Works Amendment Act del 1926 introdusse un colour bar nelle miniere a favore dei lavoratori bianchi e coloured, una misura che non era totalmente nuova ma che venne ampliata. A tali norme si unirono idee volte a creare una politica del lavoro civilizzato, come per esempio pagare salari più alti alla forza lavoro considerata civile. Questa politica venne applicata in particolar modo nei servizi pubblici al fine di favorire l’occupazione dei bianchi. Dal 1933 l’economia ricominciò a crescere favorendo I’industrializzazione che ampliò anche i processi di urbanizzazione. Benché in forte declino, il settore contadino rimaneva la forza economica e sociale del Sudafrica rurale nero. Il NP (National Party) coniò il termine “apartheid” nel corso della campagna elettorale del 1948 al fine di distinguere la propria politica verso gli indigeni dalla politica segregazionista già sviluppata nei decenni precedenti. L’apartheid si basava su un forte elemento di distinzione determinato dall’esclusività etnica del mondo afrikaner e, ancor più importante, fu diverso nelle modalità con cui realizzò la repressione e la discriminazione dei gruppi non bianchi della popolazione. In definitiva, apartheid fu la parola chiave che identificava una molteplicità di misure di controllo basate sulla razza messe in atto dal governo Sudafricano per risolvere le contraddizioni insite nel processo di modernizzazione del paese e per
Figura 2 prime forme di segregazione, zona per residenti di colore di Khayelitsha
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garantire il dominio dei bianchi. Fu un sistema violento nelle pratiche, mentre i modelli di segregazione furono resi istituzionali dal punto di vista legislativo. Il controllo e I’oppressione da parte dello Stato nei confronti della popolazione africana e del mercato del lavoro furono intensificati e applicati in modo più sistematico ai gruppi considerati non bianchi in cui fu divisa la popolazione (ossia gli indigeni, che poi diverranno bantu o africani nella terminologia ufficiale, gli asiatici e i gruppi meticci, ossia i coloured). II termine “apartheid” fu inoltre associato non solo alla politica verso gli indigeni, ma anche al potente arsenale di leggi di sicurezza che furono sviluppate per controllare il sistema politico ed eliminare ogni forma di protesta e di resistenza. A partire dagli anni trenta del XX secolo alcuni settori del mondo afrikaner erano stati sempre più in grado di enfatizzare le supposte ingiustizie che gli afrikaner avevano dovuto subire a causa del capitalismo straniero e dell’imperialismo britannico, riuscendo a creare una «sindrome della vittima». Gli africani erano considerati appartenere a nazioni selvagge che dovevano essere civilizzate e cristianizzate, mentre gli inglesi erano visti come persone di dubbia moralità interessate a materialismo, individualismo e a valori egoistici connessi al capitalismo. Questa ideologia e queste concezioni furono fondamentali per la
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vittoria alle elezioni del 1948. I processi di industrializzazione fecero intensificare l’urbanizzazione dei neri aumentando tensioni e paure fra i bianchi, che chiedevano ulteriormente la separazione del territorio e, soprattutto, il mantenimento della segregazione di una classe proletaria nera priva di ogni diritto dai lavoratori bianchi cui erano garantiti molti privilegi. La razza divenne il criterio base per I’accesso alle opportunità, limitando sempre più la mobilità economica e sociale dei neri attraverso una pletora di misure legislative e amministrative, mentre si dava risalto agli interessi del volk afrikaner. La vittoria del NP venne in qualche modo vista come il trionfo della frontiera sulle forze della razionalità economica, dell’ideologia sull’economia. In realtà, l’analisi delle dinamiche di sviluppo del National Party e delle sue politiche non può costruirsi astraendo I’ideologia nazionalista afrikaner da quelle che erano le condizioni, le contraddizioni e le tensioni presenti nel complesso processo di costruzione di uno sviluppo economico capitalista nel paese. Dopo la vittoria del 1948, il NP riuscì a consolidare l’alleanza che costituiva la sua base politica raggiungendo una fondamentale egemonia. I successi del NP dipesero dal fatto che, almeno fino alla metà degli anni settanta, il livello di vita di tutti i bianchi del Sudafrica migliorò notevolmente. II governo agì con determinazione per garantire la supremazia dei bianchi e per rispondere alle richieste degli afrikaner favorendo il loro ingresso nelle istituzioni statali come l’esercito, la burocrazia e le società controllate dallo stato. Cosi come gli inglesi avevano cercato di definire attraverso il darwinismo sociale e l’imperialismo gerarchie di superiorità razziale per perseguire i propri interessi economici, gli afrikaner cercavano ora di legittimare il proprio nazionalismo attraverso una ridefinizione delle differenze fra i diversi gruppi di popolazione. Tuttavia, esistevano fra i due modelli alcune differenze che è opportuno menzionare: la propaganda inglese fu più articolata e sofisticata di quella afrikaner molto cruda e violenta; l’elemento religioso fu meno evidente nel caso britannico, mentre il NP ottenne il sostegno ideologico delle Chiese afrikaner, cosa che gli permise di sostenere l’idea dello sviluppo di un nazionalismo cristiano; la politica ideologica britannica era legata agli interessi di una grande potenza coloniale mentre quella afrikaner era più “spicciola “ e limitata a soddisfare le esigenze locali; l’ideologia razzista afrikaner venne formulata in un momento storico, dopo la Seconda guerra
Figura 3 Insediamento di Victoria Mixenge a Khayelitsha (2002) Fonte: in P. Harrison, A. Todes, V. Watson, Planning and transformation, learning from the post apartheid experience, Routledge, Londra, 2008 Figura 4 Un accesso sorvegliato alle zone residenziali di lusso interdette alle popolazioni non bianche. Fonte: in P. Harrison, A. Todes, V. Watson, Planning and transformation, learning from the post apartheid experience, Routledge, Londra, 2008
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mondiale, in cui il mondo era in grande trasformazione. II Sudafrica, infatti, stava rafforzando la sua politica razziale in modo sistematico proprio nel momento in cui a livello internazionale si apriva una nuova fase di lotta alla discriminazione razziale e di rispetto dei diritti umani. Quando il NP arrivò al potere i suoi sostenitori condividevano l’esigenza del riconoscimento totale della supremazia dei bianchi, ma avevano idee diverse su come questa poteva essere realizzata. Esistevano due punti di vista, una versione uerlerampte (purista e reazionaria), che sostanzialmente prevedeva come unica via la segregazione totale fra i bianchi e i neri, e una posizione uerligte (moderata e illuminata), che cercava di garantire la supremazia dei bianchi senza mettere in crisi gli interessi economici Afrikaner ma all’interno di un quadro più pragmatico. La concezione purista era sostenuta da elementi quali il South African Bureau of Racial Affairs e la Chiesa riformata olandese oltre che dalla struttura dell’afrikaner Broederbond, un’organizzazione segreta formata negli anni trenta e composta da intellettuali afrikaner e da gruppi della piccola borghesia, che prefigurava anche la possibilità di sostituire il sistema di capitalismo straniero con un nuovo ordine socioeconomico nazionale. Nel corso della Seconda guerra mondiale alcuni esponenti del NP avevano infatti sviluppato l’idea di un ordine socialista afrikaner e avevano giocato con idee radicali quali la nazionalizzazione delle miniere. Era perciò evidente che l’establishment inglese che controllava gran parte dell’economia fosse preoccupata, ma il NP ben presto accantonò qualsiasi ipotesi del genere. Il partito era preoccupato dei possibili pericoli di un’integrazione economica e dall’ingresso degli africani nelle aree urbane. Per queste ragioni il controllo dei flussi migratori interni al paese venne messo al centro della politica indigena del partito. Benché norme di controllo sui flussi esistessero ben prima del 1948, il sistema di apartheid fu molto più zelante, esplicito e metodico nell’attuazione di misure che assicurassero il pieno controllo sui processi di urbanizzazione, garantendo al tempo stesso forza lavoro a basso costo.
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Storia di una nazione euro-africana. Il Sua Africa della segregazione.
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Passo dopo passo il governo eliminò qualsiasi residuo di partecipazione della popolazione non bianca nel sistema politico Sudafricano. L’apartheid ben presto venne trasformato da slogan politico in un sistematico e rigido programma di ingegneria sociale. A partire dal 1950 il Population Registration Act che definiva i criteri attraverso i quali ogni persona veniva assegnata ad una categoria razziale (bianchi, coloured, asiatici, indigeni o africani) l’Immorality Act, e il Prohibition of Mixed Marriages Act, servivano a consoli dare la separazione fra le razze attraverso il controllo suI matrimonio e sui rapporti sessuali. Nel 1953 venne approvato il Reservation of Separate Amenitles Act che, attraverso la divisione di tutte le strutture sociali, dai bagni pubblici alle sale d’aspetto, legalizzava i modelli di ineguaglianza e di divisione razziale rendendoli espliciti in ogni atto della vita quotidiana. il Group Areas Act, definiva in maniera rigida quali aree del territorio del Sudafrica dovessero essere assegnate per I’occupazione esclusiva di ciascun gruppo razziale. Questo causa in alcune aree urbane la distruzione di distretti che fino a quel momento erano misti, rimuovendo gli abitanti non bianchi verso le nuove Townships, aree urbane completamente separate da quelle riservate ai bianchi. Nel 1954 il Native Resettlement Act che dava allo Stato il potere di rimuovere con la forza gli africani verso le Townships: si stima che fra il 1955 e il 1980 almeno 3,5 milioni di persone furono ricollocate con la forza sui nuovi distretti di segregazione. II Group Areas Act consolidava la segregazione spaziale in tutti gli aspetti della vita delle persone e aveva il suo contraltare nel Bantu Authoritles Act, approvato nel 1951, che definiva le entità tribali di riferimento delle popolazioni indigene e riconosceva le autorità tradizionali tribali di tipo territoriale. Nel 1952 con l’approvazione del Black (Natives) Laws Amendment Act e del Black (Abolition) of Passes and Coordination of Documents Act la politica verso gli indigeni divenne più chiara e rigida. Queste due leggi dividevano gli africani in due categorie: una minoranza considerata detribalizzata e quindi permanentemente urbana e una maggioranza che manteneva le proprie identità tribali e che quindi poteva accedere alle aree urbane soltanto in maniera temporanea. Hendrick F. Verwoerd ministro per gli Affari indigeni commissionò un’indagine sul mondo rurale africano. II rapporto del 1954 della Commission for the Socio-Economic Development of the Bantu Areas, notò come Tomlinson Commission, nel delineare una politica di implementazione della segregazione faceva riferimento alla razza e alle tradizioni culturali e religiose per definire i modelli di separazione.
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In aggiunta, il rapporto analizzava le drammatiche condizioni socioeconomiche delle riserve indigene. Tra i problemi evidenziati e documentati già dagli anni venti venivano sottolineati povertà, malnutrizione, depauperamento dei suoli, eccessiva presenza di bestiame sui pascoli e degrado ambientale. La Commissione dimostra anche che soltanto una ridotta percentuale di contadini africani era sopravvissuta alle condizioni di estrema povertà. Si stimava che il 46,3% dei redditi delle riserve fosse concentrato nelle mani di una piccola élite che comprendeva soltanto il 12,7% della popolazione. II governo si rese conto che il problema africano risiedeva nel sottosviluppo delle riserve e per questa ragione, anche a seguito delle raccomandazioni della Commissione, cercò di avviare programmi di sviluppo industriale nelle riserve stesse. Con il Bantu Education Act con il quale lo Stato assunse il controllo dell’istruzione e le modalità con cui questa doveva essere gestita imponendo modelli di segregazione anche ai livelli più alti dell’istruzione. Nel 1959 una legge stabilì il divieto di accettare studenti neri nelle università salvo ottenere I’autorizzazione dal governo. Contemporaneamente il governo acquisì direttamente il controllo sul sistema universitario riservato ai neri. Diverse analisi durante il periodo dell’apartheid mostravano elevati livelli di povertà fra i neri Sudafricani. Intanto 1956, il governo emanò un nuovo Industrial Conciliation Act che sostituiva le norme precedenti. In questa nuova legge il colour bar, che era già legalmente previsto solo per il settore minerario, fu esteso a tutti gli altri comparti economici e, in alcuni casi, anche agli indiani e ai coloured precedentemente esclusi. Mano a mano che Ie rigide norme dell’apartheid si rafforzavano, crebbero la lotta e la contestazione ad un sistema politico discriminatorio e iniquo che nel corso degli anni si fecero sempre più forti e radicali. Nel 1950 venne approvato il Suppression of Communism Act che bandiva il partito comunista e conteneva una serie di norme di controllo degli oppositori. Dopo il 1948 arrivò al potere una nuova generazione: nel 1949 vennero eletti tre membri dell’Ancyl (lega giovanile) nell’esecutivo nazionale e precisamente Walter Sisulu nato nel 1912, Oliver Tambo nato nel 1917 e Nelson Mandela nato nel 1918. All’interno della concezione di nazionalismo africano, grazie anche alla presenza dell’Ancyl, si ampliò e si diffuse durante gli anni cinquanta, soprattutto nelle aree urbane, una lotta di massa. Nel 1955 l’African National Congress forma una coalizione che rappresentava un Figura 1 Township di Mitchell’s Plain con infrastrutture di base post apartheid
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ampio spettro di forze della società sudafricana in lotta contro il sistema dell’apartheid. La Freedom Charter, sarebbe diventata il manifesto politico di riferimento del partito per la lotta contro l’apartheid: «il Sudafrica appartiene a tutti coloro che vi abitano, bianchi e neri, e che nessun governo può rivendicare un ‘autorità giusta a meno che non sia basato sulla volontà del popolo» A partire dal 1952 si estesero le manifestazioni di protesta in tutto il paese. La prima azione di resistenza significativa organizzata dall’ANC fu la Defiance Campaign, a cui parteciparono attivamente anche le donne e la lega femminile del partito. L’iniziativa di lotta aveva I’obiettivo di costringere il governo ad abrogare le leggi di segregazione approvate dopo il 1948. II governo rispose alle proteste incrementando le misure repressive; in particolare, a partire dal 1954, si estesero le misure che, nell’interesse della sicurezza nazionale, limitavano qualsiasi diritto di espressione civile e politica. Nel dicembre del 1956 vennero arrestati oltre 150 esponenti dell’opposizione e del sindacato fra cui Chief Luthuli, Mandela e Sisulu, tutti accusati di alto tradimento e di cospirazione. Nel primo decennio di apartheid si era realizzata, quindi, una strategia di svilup-
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po che favoriva la supremazia dei bianchi e la formazione di un opulento stato di welfare in loro favore: ai bianchi vennero assicurati, infatti, lavoro, alti salari e un sistema di garanzie sociali. Quasi tutti i dipartimenti statali furono portati sotto il controllo del NP sviluppando una politica di afrikanerizzazione della burocrazia che fu coinvolta nella sviluppo del sistema di welfare . La strategia economica diede risultati soddisfacenti per il livello di vita della minoranza bianca: questa permise di accrescere la forza del NP che alle elezioni del 1966 vide aumentare il sostegno anche da parte dell’elettorato di lingua inglese. Questi elettori furono attratti dalla determinazione del governo di mantenere il controllo politico e di reprimere le rivolte dei neri. La qualità della vita dei bianchi migliorò per tutti gli anni sessanta grazie al fatto che I’economia continuò a svilupparsi e crebbe ad un ritmo medio del 6% annuo fra il 1960 e il 1969. Gli anni sessanta furono senza dubbio i più prosperi nella storia del Sudafrica: il reddito medio dei bianchi crebbe del 46% aumentando ulteriormente il divario fra bianchi e neri; questi ultimi restavano inoltre esclusi da qualsiasi diritto politico e sociale e sottoposti ad un sistema di repressione e di sfruttamento. II Sudafrica negli anni sessanta divenne sostanzialmente autosufficiente per la produzione di beni di consumo mediante la strategia di industrializzazione per
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sostituzione delle importazioni che seguiva processi che avvenivano nel “primo” mondo e in paesi quali Cile, Argentina e Brasile ma, a differenza di quello che invece stava cominciando ad avvenire in altre economie emergenti come nelle “tigri asiatiche”, non fu assolutamente in grado di penetrare il mercato delle esportazioni, una questione che avrà forti impatti sullo sviluppo futuro del paese. Il percorso del Sudafrica andava quindi in controtendenza alle dinamiche internazionali e ai processi di decolonizzazione. Il Sudafrica cominciò a venire gradatamente isolato sul piano internazionale, a partire dalla prima risoluzione di condanna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1952. Nel corso degli anni sessanta i lavoratori migranti rappresentavano ormai un proletariato indigente che soffriva di problemi sociali ed economici. Cominciarono a diventare più esplicite forme di delinquenza comune legate appunto alla povertà e alla disoccupazione, che diventeranno nel corso degli anni sempre più rilevanti e costituiranno uno dei problemi del Sudafrica post apartheid. In un discorso al Parlamento del gennaio 1962 il primo ministro affermava che era intenzione del governo consultare gli africani su come organizzare forme di autogoverno e che questa doveva essere fatto al fine di creare sistemi funzionanti di gestione degli affari africani e per assicurare il mantenimento della cooperazione dell’amicizia con i bianchi, condizione necessaria alla salvaguardia della minoranza bianca. Secondo questa idea, si sarebbero create delle patrie tribali indipendenti (i bantustan) per i differenti gruppi etnici africani basate sulle vecchie riserve indigene che comprendevano il 13% del territorio del Sudafrica. In realtà, fu un tentativo «di dare legittimità alla politica statale di esclusione». II governo in questo modo intendeva considerare come stranieri i lavoratori neri migranti nelle aree urbane riservate ai bianchi. La politica dei bantustan fu ovviamente accompagnata da modifiche alle norme sul lavoro, come il Bantu Labour Act del 1964 che proibiva agli africani di cercare lavoro in città se non attraverso le disposizioni e i controlli degli uffici statali sul lavoro. In particolare,venivano rimossi dai centri urbani gli individui dichiarati non produttivi e pigri, quindi indesiderabili. La definizione di pigro fu ampliata per comprendere coloro che rifiutavano almeno tre posti di lavoro offerti dagli uffici del lavoro preposti. Questa sistemazione produrrà la definitiva crisi dell’agricoltura africana, l’aumento della popolazione nelle ex riserve, con conseguente degrado sociopolitico e amFigura 2 Intervento di edilizia popolare edificati prima della fine dell’apartheid e nella prima fase successiva di transizione. Erano riservati ad un esigua parte di popolazione, in particolare ai coloured con regolare contratto di lavoro (Mitchell’s Plain)
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bientale, I’intensificazione dei processi di lavoro migrante e una grande differenza fra i bianchi, che vivevano in maggioranza nelle aree urbane, a parte ovviamente i proprietari delle aziende agricole, e gli africani, che risiedevano ancora in misura significativa in aree rurali sempre più povere. L’ANC (African National Congress) lanciò una serie di dimostrazioni nazionali contro le leggi sui lasciapassare e sui controlli dei flussi migratori, mentre il governo continuò sempre a rispondere a tutte le iniziative con estrema violenza. La crisi più seria di legittimità del periodo di governo di Verwoerd fu certamente rappresentata dal citato Treason Trial e poi da Sharpeville, dove il 21 marzo 1960 la polizia uccise 69 persone nella Township africana vicino a Vereeniging, nel triangolo del Vaal, durante una campagna di protesta contro le leggi sui lasciapassare organizzata da ANC e PAC. In clandestinità, I’ANC creò un’ala di guerriglia, nota come Umkhonto we Sizwe (La lancia della nazione), che commise numerosi atti di sabotaggio fino a che nel luglio del 1963 i suoi leader, fra cui Nelson Mandela, Walter Sisulu, Govan Mbeki, Ahmed Kathrada e Denis Goldberg furono catturati durante un raid della polizia nel loro quartier generale ubicato nella Liliesleaf Farm di Rivonia, un sobborgo di Johannesburg, incarcerati e, nel processo che segui, condannati nel 1964 al carcere
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a vita. Naturalmente non fu solo il capitale afrikaner a trarre vantaggio dalle politiche di quegli anni: in generale tutto il sistema economico bianco ne trasse beneficio. Infatti, anche se i sudafricani di lingua inglese avevano qualche perplessità di tipo morale sulle politiche razziali, tuttavia gli imprenditori anglofoni fecero poco per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori delle proprie aziende. Divenne esplicita l’ambivalenza dell’establishment inglese che, da un lato, criticava il sistema di apartheid ma, dall’altro, continuava a beneficiarne. Per quel che riguarda la questione del lavoro, il governo Vorster mantenne le norme di regolazione dei flussi dei lavoratori migranti. Tuttavia, parte della legislazione di controllo cominciò ad essere riorganizzata sotto la pressione di alcuni settori del capitale sia inglese sia afrikaner, ma anche da parte di alcuni settori dei sindacati bianchi. Infatti, il controllo sul lavoro migrante rendeva in molti casi problematico I’ottenimento della manodopera necessaria. Dalla metà degli anni settanta, anche a causa della crisi economica, la revisione di alcune norme divenne necessaria. In particolar modo, l’industria e il commercio, soprattutto del settore degli affari inglese, cominciarono a chiedere nuove norme sull’utilizzo della manodopera. Questi comparti ritenevano che un diverso accesso degli africani al mercato del lavoro avrebbe potuto risolvere i loro problemi di accumulazione. Si produsse un confronto mai risolto fra governo e mondo degli affari, anche se quest’ultimo riuscì a convincere il governo dell’esigenza di migliorare la qualità della vita dei neri urbani, di cercare di creare una classe media nera urbana e di ridurre alcune delle politiche interventiste dello Stato favorendo un approccio più vicino alla libera impresa. Sulla base di ciò, nello stesso anno, vennero emendate le norme dell’Industrial Conciliation Act: i sindacati neri poterono per la prima volta registrarsi ma dovevano escludere i “cittadini” dei bantustan1.
1 Il termine bantustan si riferisce ai territori del Sudafrica e della Namibia assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell’epoca dell’apartheid. La parola fu usata per la prima volta nei tardi anni ‘40 e deriva da bantu, che significa “gente”, “popolo” nelle lingue bantu e -stan, che significa “terra” in persiano. Il termine ufficiale usato dal governo bianco era homeland (“terra natìa” in inglese, corrispondente all’afrikaans tuisland); “bantustan” veniva generalmente usata in senso peggiorativo dai critici dell’apartheid, ed è rimasto come termine più comune. Negli anni del regime dell’apartheid voluto dal National Party allora al governo, le diverse etnie nere furono costrette a trasferirsi nei bantustan loro assegnati, e le loro possibilità di spostarsi sul territorio sudafricano furono fortemente limitate. I bantustan erano ufficialmente regioni autogovernate, ma di fatto erano dipendenti dall’autorità del governo sudafricano bianco.
Figura 3 Centro cattolico per l’infanzia nell’area di Mitchell’s Plain
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Storia di una nazione euro-africana. L’ugiaglianza fra i popoli e la fine dell’apartheid.
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La stabilita interna del sistema di apartheid, già molto complicata dalle lotte interne da parte degli oppositori e dalla crisi economica che cominciava a diventare sempre più esplicita, aveva bisogno di una ridefinizione del contesto regionale. La strategia totale divenne perciò un quadro politico e ideologico di riferimento in base al quale il governo e il mondo degli affari potevano unire le proprie forze , smussando le differenze, per salvare il sistema capitalistico e la civiltà bianca dalla minaccia comunista e dalle rivendicazioni dei neri. Gli ideologi della strategia totale furono abili nel caratterizzare i movimenti antiapartheid come una minaccia grave contro il sistema, in grado di mettere in discussione la civiltà bianca, il cristianesimo, i valori occidentali e il sistema capitalista. Con la Strategia Nazionale totale per la prima volta nella storia del Sudafrica si assistette all’ingresso effettivo dei militari in politica con la partecipazione al governo del generale Malan che, come abbiamo detto, divento ministro della difesa. Lo Stato e il capitale collaborarono in modo sempre più interattivo. La politica di Botha rappresentò un punto di passaggio importante dal sostegno al mondo rurale Africaner a un interesse più marcato a favore dei gruppi urbani che comprendevano sia Africaner sia inglesi. Sul finire degli anni settanta la crisi del sistema di apartheid il processo di “decolonizzazione interna” attraverso la politica dei bantustan, con la quale il governo aveva cercato di attenuare le critiche provenienti dall’estero fornendo agli africani i mezzi per svilupparsi secondo le proprie caratteristiche nelle rispettive aree “tribali”, aveva fallito. Nessun paese straniero aveva riconosciuto l’indipendenza dei bantustan. Mentre in passato gli Africaner avevano messo la propria diversità “etnica” al di sopra di qualsiasi altro interesse, a partire dagli anni settanta le divisioni di classe divennero più esplicite. La maggior parte di essi era composta da residenti urbani e da occupati nella burocrazia. Professionisti ricchi, uomini d’affari e proprietari terrieri che non lavoravano direttamente la terra avevano ormai quasi completamente sostituito il vecchio mondo rurale e l’élite culturale che fino a quel momento aveva controllato il paese. Da sinistra molti intellettuali, alcune università e anche alcuni settori del clero cominciarono a considerare I’apartheid immorale e quindi, a sostenere l’esigenza di una sua riformulazione. Ciò avvenne anche all’interno delle Chiese Africaaner, all’inizio forti sostenitrici del sistema di segregazione ma dalle quali, in particolar modo a partire dai primi anni settanta, si levarono sempre più voci dissidenti. La politica di Botha rappresentò, un complesso tentativo di adattare il sistema alle circostanze che mutavano senza dover sacrificare il potere e i privilegi degli Africaner, inclusi quelli poveri. I suoi sforzi includevano eliminare i simboli e le pratiche dell’apartheid che non erano fondamentali al mantenimento della supremazia dei
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bianchi, attirare un maggior numero di cittadini di lingua inglese verso il partito, rafforzare la cooperazione con i grandi affari e, infine, controllare e reprimere la dissidenza interna e neutralizzare I’opposizione dei paesi della regione. Nell’aprile del 1979 molte organizzazioni sindacali militanti formalmente non razziali, ma ovviamente con ampia appartenenza di neri, formarono la Federazione dei sindacati sudafricani (Federation of South African Trade Unions, FOSATU) che nel 1985 si ristrutturo nel Congress of South African Trade Unions (COSATU). Nel 1986 i sindacati africani contavano almeno un milione di iscritti diffusi su tutto il territorio, diventando sempre più strutture organizzate e militanti dotate di forza e potere e pertanto in grado di rappresentare un importante punto di riferimento per le iniziative di lotta al sistema di apartheid. La nuova Costituzione, entrata in vigore nel 1984, prevedeva un sistema presidenziale con forti poteri in mano al capo dello Stato (che naturalmente divenne Botha) e un Parlamento composto da tre Camere divise per razze: la prima (la vecchia House of Assembly) con 78 membri e riservata ai soli bianchi, la seconda composta da 85 coloured (House of Representatives), la terza composta da 45 indiani (House of Delegates). Nei casi in cui erano previste decisioni congiunte, i bianchi mantenevano una maggioranza qualificata. I bianchi continuavano a dominare il potere politico e gli africani, che rappresentavano la stragrande maggioranza della popolazione del paese, ne erano ancora una volta totalmente esclusi, acuendo in tal modo la crisi sociale e le conseguenti iniziative di lotta al sistema. All’inizio degli anni ottanta si riconobbe che molti africani definiti urban insiders avevano diritto legale di vivere permanentemente nelle aree urbane, ma cercò comunque di mantenere ancora in vita il sistema dei lasciapassare per gli africani provenienti dal mondo rurale. Già nel 1977 era stata concessa la possibilità di eleggere dei consigli di comunità per i neri urbani, i cui poteri vennero ampliati dall’approvazione nel 1982 del Black Authorities Act in base al quale si tennero elezioni nel novembre del 1983 che diedero però luogo a una vasta e riuscita campagna di boicottaggio. Le riforme avevano comunque molti limiti: il sistema sudafricano restava, infatti, ancora segregato e fortemente iniquo in quanto non furono assolutamente toccate le norme caposaldo dell’apartheid e il modello di marginalizzazione dei neri. La resistenza nera era diventata molto più forte e organizzata e, dopo gli scontri di Soweto del 1976, si era diffusa in tutto il paese una cultura della protesta che attraversava tutti i settori e tulle le classi sociali.
Figura 1 Sede storica del parlamento di Cape Town Figura 2 Schematizzazione geografica della città durante il periodo dell’apartheid Fonte: in P. Harrison, A. Todes, V. Watson, Planning and transformation, learning from the post apartheid experience, Routledge, Londra, 2008
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Subito dopo l’introduzione delle riforme costituzionali, a partire da settembre 1984 crebbero le violenze e i disordini nelle townships, che aumentarono nel corso dei primi mesi del 1985 portando a un inasprimento delle politiche di emergenza. La lotta fra i movimenti di liberazione e il potere bianco ebbe nel 1985 un momento importante: quell’anno fu infatti caratterizzato da continue tensioni, azioni di boicottaggio, scioperi e contestazioni sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Fra il 1985 e 1989 la politica del governo fu di dominio e di stretta collaborazione con le forze armate, mentre la situazione economica e sociale all’interno del paese stava degenerando. Aumentarono in tutto il paese la violenza politica e le risposte repressive del governo. Oltre all’opposizione che si raccoglieva sotto l’ombrello dell’UDF (United Democratic Front), erano presenti altri movimenti di lotta come quelli legati alla Black Consciousness, mentre in quegli anni si assisteva anche alla crescita dell’Inkatha, il movimento fondato nel 1928 e guidato dal chief Mangosuthu Buthelezi, leader dal 1975 del bantustan del KwaZulu. Dal 1986, anche a seguito della crescita della violenza politica nel paese, aumentarono le pressioni internazionali che misero ulteriormente in evidenza la crisi del regime. II governo conservatore inglese cercò di ostacolare misure contro il sistema di apartheid, ma il Commonwealth nel 1986 spinse a favore del cambiamento politico nel paese: una missione dell’organizzazione che visitò il Sudafrica emise un comunicato in cui condannava il governo sudafricano per la grave situazione interna e per le politiche di violenza sia sul piano interno sia su quello regionale. Negli Stati Uniti, nonostante l’amministrazione repubblicana, il Congresso approvò nel 1986 il Comprehensive Anti-Apartheid Act che stabiliva una serie di restrizioni agli investimenti in Sudafrica. Alla fine degli anni ottanta, quindi, I’ordine egemonico bianco era ormai ingestibile e si trovava in uno stato di profonda crisi dal punto di vista della sicurezza, da quello economico e da quello dei rapporti internazionali. Si era ormai creato un forte isolamento internazionale del paese, che si fece insostenibile quando anche governi “amici” come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna assunsero posizioni più critiche. II 2 febbraio 1990, Frederick Willem De Klerk, succeduto a Botha, nell’agosto del 1989, annunciava che i movimenti di liberazione sarebbero stati legalizzati e che Mandela e gli altri leader politici incarcerati sarebbero stati liberati. Già dalla metà degli anni ottanta si erano sviluppate iniziative di dialogo sostenute anche dal mondo degli affari. In particolare, era iniziata una serie di colloqui con Nelson Mandela, il quale, a partire dal dicembre 1988, era stato trasferito in una
Figura 3 Fumetto di “Silent speech” dal quotidiano The Sowetan 19 giugno 1986 Fonte: in J. Beningfield, The frightened land, Routledge, Londra, 2006 Figura 4 Township di Soweto a Johannesburg Fonte: in P. Harrison, A. Todes, V. Watson, Planning and transformation, learning from the post apartheid experience, Routledge, Londra, 2008
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casa confortevole all’interno della prigione di Paarl a 40 chilometri da Città del Capo. L’ANC (African National Congress), in gran parte in esilio, riunendosi in Zimbabwe nell’agosto del 1989, emise un documento noto come Harare Declaration, nel quale si riconosceva la possibilità di mettere fine all’apartheid attraverso negoziati se il regime sudafricano fosse stato disposto a partecipare seriamente alle trattative, anche se il documento non forniva dettagli su quali concessioni avrebbero potuto essere offerte alla minoranza bianca. De Klerk, di vent’anni più giovane del suo predecessore e, quindi, come la sua generazione, si rendeva conto che I’apartheid non poteva più reggere e che era necessario aprire un negoziato e trovare un accordo per la trasformazione del sistema politico. Pertanto, il 2 febbraio 1990 annunciò la sospensione del bando per tutti i partiti e i movimenti di opposizione e, nove giorni dopo, Mandela e gli altri leader incarcerati vennero liberati. II Sudafrica entrò dunque nella sua fase di transizione nel febbraio del 1990 e da quel momento si sviluppò un processo complesso di colloqui, incontri, negoziati che avrebbe portato, alla fine, alla trasformazione del sistema politico. I rapporti tra le parti si inasprirono dopo che il 26 marzo 1990 la polizia, in scontri con residenti delle townships, uccise 11 dimostranti a Sebokeng, nei pressi di Johannesburg. Nel luglio 1991 I’ANC tenne la sua prima conferenza in Sudafrica, trent’anni dopo essere stato messo al bando. L’ex leader Oliver Tambo, che aveva retto il partito negli ultimi anni delI’apartheid, aveva avuto un infarto, e sarebbe scomparso nel 1993. Venne dunque eletto presidente del partito Nelson Mandela. Mandela e De Klerk posero fine in modo pacifico all’apartheid e gettarono le fondamenta del nuovo Sudafrica Democratico. Il Sudafrica post apartheid si fondò su un sistema liberal-democratico definito da una Costituzione ad interim, approvata definitivamente nel 1996. II nuovo sistema si basava sul suffragio universale, sulla separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, su un graduale trasferimento di poteri al livello locale e sulla difesa del diritti civili e politici individuali e collettivi senza alcuna forma di discriminazione. Oltre a questo si stabiliva che fino al 1999 il paese sarebbe stato retto da un governo di unità nazionale con un potere esecutivo condiviso fra i partiti che avessero ottenuto almeno il 5 % del voto popolare . La transizione si è dunque fondata su principi di riconciliazione che dovevano rimpiazzare qualsiasi idea di conflitto. Le basi di esclusione su cui si era costruita sto-
Figura 5 Taal Monument, a Paarl, realizzato dall’architetto Jan van Wyk - foto:Anne Marie van der Merwe 2003 In: N. Murray, N. Shhepherd, M. Hall, Desire lines - Space, memory and identity in the post apartheid city,Routledge, London, 2007. Figura 6 Immagine di Nelson Mandela
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ricamente la società del Sudafrica dovevano essere sostituite da un modello che includesse tutta la popolazione. In sostanza, invece della trasformazione radicale si è dato luogo a un processo negoziale, invece di una trasformazione senza compromesso si è raggiunto un modello patteggiato, invece della lotta violenta per la presa del potere si è condiviso il potere, invece dell’esclusione radicale dei vecchi oppressori si è avuta l’inclusione di tutti. Si è cercato quindi di costruire un compromesso, identificando interessi comuni a tutta la popolazione al fine di forgiare una nuova base di consenso sociale che fosse in grado di ristrutturare la società su fondamenta maggiormente egualitarie. La transizione politica in quanto tale dall’apartheid, la transizione economica da un modello dominato dai bianchi e un’economia con maggiori opportunità di partecipazione per gli altri gruppi razziali e la transizione di tipo militare da una situazione di lotta armata alla costruzione del governo della maggioranza. Il percorso del nuovo Sudafrica si apriva il 27-28 aprile 1994 con le prime elezioni libere a suffragio universale che videro un’ampia partecipazione al voto (86% degli aventi diritto), il Parlamento elesse Nelson Mandela presidente del Sudafrica e, sulla base della Costituzione ad interim, venne formato un governo di unità nazionale che comprendeva ANC (African National Congress), NP (National Party) e IFP (Inkatha Freedom Party), i tre partiti che alle elezioni avevano raggiunto la soglia del 5% necessaria. Nel suo discorso di insediamento il 10 maggio 1994, Mandela affermò fra l’altro: «abbiamo raggiunto, infine, la nostra emancipazione politica. Ci impegniamo a liberare il nostro popolo dai lacci della povertà, della privazione, della sofferenza e delle discriminazioni di genere e di ogni altro tipo [...]. Dobbiamo pertanto agire insieme come un popolo unito per la riconciliazione nazionale, per la costruzione della nazione, per la nascita di un mondo nuovo». Nei primi anni, la capacità e il carisma di Nelson Mandela e la sua politica di riconciliazione hanno prodotto risultati rilevanti nell’offrire dignità e umanità a tutti i cittadini del nuovo Sudafrica. Molto più complesso si è rivelato, invece, il processo di trasformazione socioeconomica: molti dei problemi derivanti dalla storia del paese restano insoluti e per molta parte della popolazione la situazione economica è migliorata in maniera marginale. La distribuzione diseguale dei redditi evidenzia quindi il consolidamento di alcuni gruppi in cui si va componendo la popolazione: una nuova élite borghese equamente divisa fra bianchi e neri che riceve gran parte del reddito, una piccola classe media in maggioranza non bianca, una classe bassa, molto consistente numericamente, all’interno della quale vi è un numero rilevante di popolazione nera estremamente povera ancora residente ed economicamente segregata nelle township. Figura 1 Immagine dell’oceano atlantico, vista dal Green Point Area, lungomare di Cape Town
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Sudafrica - origini, apartheid e democrazia esibita Ricerca di una visibilità internazionale.
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Con la conquista della democrazia e la fine dell’apartheid, il Sudafrica si è trovato a doversi confrontare con la comunità internazionale. La volontà di affermarsi come stato democratico, simbolo della rinascita non solo del Sudafrica ma di tutto il continente africano, ha provocato la messa in atto di strategie di riscatto: operazioni in grado di attrarre investimenti e di incoraggiare rapporti di collaborazione vanno di pari passo con l’esigenza di uscire dalla nebbia creata volutamente dal regime dell’apartheid per evitare di essere eccessivamente visibile all’opinione pubblica internazionale. Infatti è solo nel momento in cui si è iniziato a parlare dei mondiali di rugby e poi dei mondiali di calcio, che l’occidente si è accorto maggiormente delle realtà sudafricane come apartheid, segregazione, razzismo; concetti legittimati da uno stato sovrano, nonché da uno stato che aveva recluso per 20 anni il premio nobel per la pace Nelson Mandela. Lo sport ha svolto infatti un ruolo di primo piano nella strategia politica di Mandela, sia per dialogare con l’avversario politico, sia per riunificare la nazione e per presentare al mondo la nuova veste del Paese. Anche le strutture realizzate per i Mondiali di Calcio 2010 racchiudono nelle loro forme, oltre alle componenti inerenti alla loro funzione, anche e soprattutto i molteplici riferimenti economici, politici e sociali di una nazione il cui passato recente è segnato da violenti avvenimenti ma che ora è impegnata nella costruzione di un nuovo assetto e di una nuova immagine di sé. Il
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calcio, sport nazionale e unico passatempo per milioni di bambini delle Township urbane, diventa infatti l’occasione per ricucire alcune di quelle fratture sociali che hanno segnato i decenni dell’apartheid. L’euforia che ha accompagnato il Sudafrica durante i Mondiali è giustificata proprio dalla possibilità, per questa terra, di modificare l’immaginario collettivo di paese razziale, sostituendolo con quello di nazione ricca di etnie e culture differenti, ma organizzata in modo moderno.Non è un caso che questo mondiale si sia svolto nell’anno in cui si celebra il ventennale da uomo libero di Nelson Mandela, simbolo della lotta contro il regime segregazionista bianco. E non è un caso che sia uscito negli stessi mesi un film dedicato all’intreccio di vicende tra Mandela e il rugby1.
1 Clint Eastwood, Invictus - L’invincibile, Werner Bros, USA, 2009. La storia è ambientata in Sudafrica, nel periodo immediatamente successivo alla caduta dell’apartheid (quindi nel 1995) e all’insediamento di Nelson Mandela come presidente. Appena entrato in carica, Mandela si pone l’obiettivo di rappacificare la popolazione del paese, ancora divisa dall’odio fra i neri e i bianchi afrikaner. Simbolo di questa spaccatura diventa la nazionale di rugby degli Springboks, simbolo dell’orgoglio afrikaner e detestata dai neri, che proprio in seguito alla caduta del regime dell’apartheid viene riammessa nelle competizioni internazionali dopo un boicottaggio di circa un decennio. In vista della Coppa del Mondo del 1995, ospitata proprio dal Sudafrica, Mandela si interessa delle sorti della squadra, con la speranza che una eventuale vittoria contribuisca a rafforzare l’orgoglio nazionale e lo spirito di unità del paese. In particolare, entra in contatto con il capitano François Pienaar, facendogli capire l’importanza politica della incombente competizione sportiva. Questa frequentazione fra Pienaar e Mandela dà inizio a una serie di eventi che rafforzano il morale degli Springboks (reduci da un lungo periodo di sconfitte) e li conducono fino a una insperata vittoria in finale contro i temibili All Blacks. Il successo della nazionale diventa simbolo della grandezza della neonata “Rainbow Nation”.
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In carcere, Mandela non parlava di diritti umani con i membri del governo. Parlava di calcio e di rugby in un Paese che riservava il rugby ai bianchi e il calcio ai cosiddetti atleti “non-white”. Mandela parlava di sport per parlare di diritti umani usando un linguaggio transnazionale, che poteva avere un impatto diretto sul regime senza dare l’impressione di toccare temi politici. Durante la lotta all’apartheid lo sport è diventato terreno d’incontro sul quale far convergere istanze diverse. Le Nazioni Unite hanno cominciato a trattare con costanza i temi dello sport fino a celebrarlo come strumento per realizzare i suoi stessi obiettivi. Nel periodo 1968-1985, l’ONU ha adottato una serie di risoluzioni che affrontano con severità il tema dell’apartheid nello sport, fino ad arrivare alla Dichiarazione Internazionale contro l’apartheid nello Sport nel 1977, e alla Convenzione Internazionale contro l’apartheid nello Sport nel 1985. La comunità internazionale è chiamata a compiere una vera e propria campagna contro l’apartheid e tutti gli Stati membri sono invitati a sospendere anche gli scambi sportivi con questo Paese. Basti pensare che in Sudafrica era vietata la composizione di squadre miste, come pure qualsiasi tipo di contatto e competizione tra atleti bianchi e di colore. Una vasta opera di sensibilizzazione contro queste misure era portata avanti dall’Organisation de l’Unité Africane, dal Conseil Suprême du Sport Africain e dal South Africa Non-Racial Olympic Committee (SAN-ROC), sorto in opposizione al comitato olimpico nazionale locale. In particolare a cavallo degli Anni ‘70, si moltiplicano gli appelli dell’ONU per isolare il regime sudafricano chiedendo l’embargo allargato allo sport (allargato anche agli spettatori). Tutti i Paesi che continuavano a supportare la politica sudafricana di apartheid erano messi al bando, ponendo sullo stesso piano le relazioni politiche, commerciali, militari, economiche, sociali e sportive. E’ del 1974 la Risoluzione 3223 intitolata Decade for Action to Combat Racism and Racial Discrimination che riafferma la lotta al razzismo e alla discriminazione razziale. Nel 1976 si giunge alla creazione di un Comitato incaricato della stesura di una Convenzione contro l’apartheid nello sport, e nel 1977 a una Dichiarazione Internazionale contro l’apartheid nello Sport”. Questi atti ribadiscono il principio olimpico di non discriminazione, il divieto per tutti gli Stati firmatari di incontrare organizzazioni sportive, squadre o atleti che partecipino ad attività sportive in un Paese che pratica una politica di apartheid.
Figura 2 Stadio di Calcio realizzato per i mondiali di calcio del 2010 nell’area di Green Point a Cape Town
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Quest’isolamento sportivo del Sudafrica, sia da parte dell’ONU2 che del CIO3, ha termine negli anni ‘90. La Risoluzione ONU 48/1 del 12 ottobre 1993 sancisce l’abolizione dell’embargo relativo al Sudafrica. Con la successiva Risoluzione 48/159 del 20 dicembre 1993 gli Stati membri sono invitati ad aiutare e assistere il Sudafrica anche per abolire le vecchie misure di segregazione razziale applicate allo sport. Intanto, il Comitato Olimpico del Sudafrica, che chiedeva dal 1981 di essere riammesso in seno al CIO, ottiene nel 1991 la sua piena riabilitazione in ambito sportivo. Ecco perchè possiamo riconoscere che il motto dei mondiali di calcio sia stato “il sogno africano sta diventando realtà”, come ha dichiarato Irvin Khoza, presidente del Comitato organizzatore, ricordando che quello del 2010 è stato il mondiale dei diritti umani.
2 Organizzazione delle Nazioni Unite, è la più importante ed estesa organizzazione intergovernativa. Vi fanno parte 192 Stati del mondo su un totale di 201. Le Nazioni Unite hanno come fine il conseguimento della cooperazione internazionale in materia di sviluppo economico, progresso socioculturale, diritti umani e sicurezza internazionale. Relativamente alla sicurezza internazionale in particolare hanno come fine il mantenimento della pace mondiale anche attraverso efficaci misure di prevenzione e repressione delle minacce e violazioni ad essa rivolte. 3 Comité International Olympique, ovvero Comitato Olimpico Internazionale, un’organizzazione non governativa creata da Pierre de Coubertin nel 1894, per far rinascere i Giochi olimpici della Grecia antica attraverso un evento sportivo quadriennale dove gli atleti di tutti i paesi potessero competere fra loro. Dal 2001 è presieduto dal belga Jacques Rogge.
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“Il mondiale rappresenta un orgoglio sovranazionale” commenta Filippo Maria Ricci, giornalista della Gazzetta dello Sport ed esperto di calcio africano, aggiungendo che il calcio può essere considerato come il punto di partenza per lottare contro due aspetti che tuttora caratterizzano la società africana: il razzismo e la disorganizzazione. Questo mondiale sarà comunque ricordato come il primo della storia disputato in terra africana, di un continente impegnato nel costruire una nuova immagine di sé nel mondo. Ecco
il
perchè
succesivamente:
Il
Comitato
Olimpico
sudafrica-
no ha deciso di presentare la propria candidatura come sede dei Giochi
Olimpici
del
2020,
edizione
per
cui
si
è
proposta
anche
Roma.
“La nostra intenzione è quella di proporci con una città di altissimo profilo in grado di portare per la prima volta le Olimpiadi in Africa”, ha detto Tubby Reddy, amministratore delegato del comitato olimpico sudafricano.” D’altra parte, una diversa opinione pubblica internazione è indubbiamente un volano anche per l’economia del Pese. Pensiamo ad esempio al turismo, che oggi è uno dei settori più dinamici dell’economia sudafricana e ha ampiamente beneficiato della caduta del regime di apartheid. I numeri parlano chiaro: l’afflusso di turisti Figura 3 Colonia di pinguini africani nella zona di Capo di Buona Speranza Figura 4 Vista aerea dell’attuale conformazione della city di Cape Town
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stranieri è passato da meno di 3,9 milioni di presenze nel 1994 - anno del cambiamento di regime - a oltre 9 milioni nel 2009. Nel 2010 il dato è naturalmente cresciuto per effetto dei mondiali di calcio. Il 74% dei visitatori del 2010 è arrivato dall’entroterra africano (il dato include, probabilmente, anche una componente di immigrazione stagionale) e il 26% da Paesi extra-continentali, tra cui Regno Unito, Germania, Stati Uniti e Italia. Anche gli sponsor si sono attivati: oltre ai nomi di sempre, come Coca-Cola, Sony e Adidas, hanno deciso di cogliere nuove opportunità gruppi meno noti, provenienti dall’Asia, dall’America e dall’Europa. Strumento di questa strategia che mira ad attrarre l’interesse dell’economia internazionale è il Black empowerment4: il riscatto dalle discriminazioni del passato, che legittima l’immagine del Paese agli occhi dell’opinione pubblica. Il Governo interviene con norme specifiche per promuovere l’accesso della popolazione nera a scuole, sanità e servizi di base, a ruoli dirigenziali nelle aziende e nell’amministrazione e ad una quota maggiore della ricchezza del Paese . Quattro gli obiettivi principali per la popolazione di colore: - maggiore partecipazione alla proprietà e al controllo di imprese e dei relativi asset; - sviluppo delle risorse umane e uguaglianza in materia di lavoro; - assunzione di responsabilità dirigenziali a livello ‘senior’; - attivazione di politiche preferenziali, con l’obiettivo di garantire benefit di varia natura. Il tutto in un contesto di stimolo all’economia finalizzato alla creazione di nuovi posti di lavoro. Oggi, il BEE viene applicato ai diversi comparti dell’economia e alle imprese con un sistema di punteggi. Non solo, ma le aziende che vogliono fare affari con qualunque impresa o organismo statale (forniture, richieste di autorizzazioni e/o concessioni, acquisizione di beni pubblici) sono tenute a predisporre piani di promozione dell’uguaglianza in materia di lavoro e ad applicare i codici di condotta conformi agli obiettivi del BEE proposti dal Ministero del Commercio e dell’Industria. Secondo il rapporto Grant Thornton International Business Report 2010, oltre il 60% degli imprenditori sudafricani considera il Black Economic Empowerment una chiave efficace per acquisire nuovo business. Ma anche diverse multinazionali straniere hanno scelto di aderire attivamente a questa strategia. Mi-
4 Black Economic Empowerment (BEE), programma lanciato dal governo sudafricano per riparare ad anni di discriminazione nei confronti dei gruppi africani, coloured e asiatici, avviando misure per lo sviluppo socioeconomico. Figura 5 Una delle nuove zone residenziali ad alta densità insediativa realizzate su una spiaggia o sulla fascia costiera vicino a Cape Town Figura 6 Spiaggia nella zona di Capo di Buona Speranza
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crosoft, ad esempio, investirà nei prossimi sette anni quasi mezzo miliardo di Rand nelle società di software locali, per aiutare le piccole e medie imprese di proprietà di imprenditori di colore a migliorare la loro competitività e accedere al mercato globale. I settori più promettenti dell’economia sudafricana sono quelli della filiera agroalimentare e anche nell’industria di trasformazione a valle del settore minerario (metallurgia, oltre alla chimica dei metalli, oreficeria e lavorazione delle pietre). L’attuale Governo sta puntando molto su queste attività con l’obiettivo di creare occupazione, incentivando anche l’afflusso degli investimenti dall’estero. C’è poi l’intera filiera del mobile e del cosiddetto “sistema casa”, ma anche l’information technology, la telefonia, l’industria aerospaziale. Indubbiamente, quindi, il Paese ad oggi ha messo in atto una serie di strategie, economiche, politiche e sociali, in grado di rilanciare la sua immagine a livello internazionale. C’è un aspetto che spesso sfugge: il Sudafrica, oggi, copre da solo un quarto del PIL africano, il 75% di quello dell’Africa Australe e il 40% di quello subsahariano. E’ quindi di gran lunga la prima economia di un continente in fase di rapido decollo. 1.4 Paradigma del laboratorio Sudafrica, sindrome di città del mondo
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Sudafrica - origini, apartheid e democrazia esibita Paradigma del laboratorio Sudafrica. Sindome da città del mondo.
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Si è deciso di approfondire il caso di Cape Town perché, rispetto alle altre città del Sudafrica, si distingue per la sua emancipazione. Proprio perché è nata come città portuale, la si può definire cosmopolita: la sua storia è stata caratterizzata da una successione di culture, da quella britannica a quella olandese, ed è stata oggetto di un processo di transizione nella pianificazione urbanistica che ha prodotto un piano regolatore avanzato, frutto di scambi culturali tra l’Università locale e le amministrazioni comunali. Cape Town viene studiata anche perché proprio qui risiedono molte strutture governative come il Parlamento del Sudafrica ed il Governo Provinciale. Da tenere in considerazione è il fatto che rappresenta una delle città più sensibili nel riconoscimento dei diritti civili. Il governo di Cape Town si è dimostrato più ricettivo e precursore della nuova nazione democratica, già verso la fine degli anni ’80 aveva intuito l’esigenza di dare dignità alle township dotandole di minimi servizi e iniziando a discutere una possibile pianificazione per la gestione e l’innalzamento dei minimi di sussistenza delle comunità non bianche. La storia recente della città è una testimonianza della continua ricerca di affermarsi come città democratica, seguendo i principi sanciti dalla Costituzione del 1996. Inoltre qui, in anticipo rispetto al resto del Paese, si inizia a parlare di post-apartheid, in particolare durante la conferenza del 1990 tenuta nel campus dell’Università di Cape Town, intitolata ‘Post - apartheid Planning in South Africa’ (quattro anni prima delle elezioni democratiche del 1994) dove l’amministratore provinciale Kobus Meiring annunciava che il Sudafrica aveva intrapreso la strada verso una nuova società dell’uguaglianza. Un’altra considerazione che dimostra l’avanguardia di Cape Town è nella volontà di rendere partecipe tutta la popolazione di ogni passaggio burocratico che investe l’amministrazione della città. Ne è testimonianza lo Spatial Development Framework, che permette una pianificazione partecipata.* Infine, il tentativo di rilanciare la sua immagine a livello internazionale è una dimostrazione della volontà di riscatto nei confronti della storia legata all’apartheid, mettendo in atto una serie di strategie economiche, politiche e sociali che mirano ad attirare investimenti e rapporti internazionali, in cerca anche di una nuova visibilità. Sindrome da città del mondo Perseguendo l’idea di “città del mondo”, Cape Town ha effettuato importanti investimenti nei settori di servizio e nelle reti tecnologiche di comunicazione per far fronte alle esigenze di un’élite transnazionale. Dall’altro lato ha cominciato a risanare e quindi a dotare di servizi tutti gli insediamenti (ereditati dal periodo dell’apartheid) in cui viveva la popolazione con un basso reddito. Khayelitsha, con
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i suoi oltre 300.000 abitanti, rappresenta un caso studio emblematico della tipologia di intervento oggetto di questa ricerca. Dopo aver spiegato i motivi che hanno portato a soffermarsi sul caso di Cape Town invece che su altre città del Sudafrica, cerchiamo di capire se questa città possa essere definita “città del mondo”, ma prima è necessario comprendere cosa si intenda con questa definizione. L’espressione “città del mondo” è sempre più utilizzata nella letteratura popolare e accademica, per definire le grandi città in un mondo globalizzato. Originariamente attribuita a Goethe, ha trovato la sua collocazione nella letteratura accademica contemporanea attraverso l’opera di P. Hall 1966, il quale a sua volta ha tratto ispirazione dall’opera di P. Geddes sulla proposta di istituire un’alleanza mondiale delle città nel 1920. Dopo essersi espresso su come fosse il sistema nazionale urbano presente, e al tempo dell’economia mondiale Fordista, il libro di Hall * presentava le “città del mondo” come isole di cultura politica, economica e di sviluppo tecnologico. Fino agli anni ‘80 il termine veniva associato all’idea di un’ampia economia mondiale. La ricerca della città del mondo, come sappiamo oggi, inizia quando la ristrutturazione economica mondiale fa da idea a un mosaico di sistemi urbani separati, che appaiono irrilevanti e anacronistici (...). Si senti-
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va il bisogno di un nuovo pensiero di città e una letteratura delle città del mondo emerge nel 1980 e fiorisce negli anni 90 come tema centrale della globalizzazione”. *(Taylor 2004) Le odierne “città del mondo” sono quantitativamente e qualitativamente differenti dalle loro precedenti, e richiedono diversi strumenti di analisi. Tenendo conto del passato di Cape Town come stazione di rifornimento olandese nel XVII sec., si potrebbe affermare che sia sempre stata fin dalla sua fondazione, una sorta di “città del mondo”. Un’altra denominazione è “città di classe mondiale”, espressione molto diffusa in Sudafrica. Il termine è giunto a rappresentare un forte impegno ideologico verso la globalizzazione ed è un importante esempio del desiderio dei politici di Cape Town di vederla diventare una città del mondo. Cerchiamo quindi di individuare le caratteristiche che identificano una città del mondo. La globalizzazione crea l’esigenza di concentrazione spaziale. La globalizzazione rende necessario centralizzare e concentrare tutte le funzioni legate alla gestione aziendale, per coordinarne le attività. Pur centralizzando le attività direzionali, molte funzioni vengono però delocalizzate. Questa dispersione geografica delle imprese di produzione, che Sassen* definisce ‘globalizzazione economica’ è facilitata dai progressi nel settore delle telecomunicazioni e dei trasporti, che riducono i limiti spazio-tempo. Secondo alcuni analisti, i progressi nel settore dei trasporti e delle telecomunicazioni creerebbero una diffusione dei fenomeni di sub-urbanizzazione e de-urbanizzazione, come se la gente non avesse bisogno della città. (Williamson 1990).* E’ comunque proprio la crescente dispersione delle attività aziendali in un’economia globalizzata, che induce a concentrare le attività legate al loro controllo. Un’economia connessa alla produzione di servizi Un’altra ipotesi, su ciò che farebbe di una città una “città del mondo” riguarda l’esternalizzazione delle funzioni di controllo delle aziende, in quanto diventate troppo complesse. La loro delocalizzazione crea un secondo sito di controllo delle funzioni al di fuori delle ditte produttrici. Ciò porta alla rapida espansione del settore dei servizi delle compagnie produttive globalizzate. Tra le attività di servizio ci sono la contabilità, il diritto, la pubblicità, la gestione dei viaggi aziendali, la sicurezza, le relazioni pubbliche, la consulenza di gestione, la tecnologia dell’informazione, l’ambito immobiliare, la gestione dei magazzini, l’elaborazione dei dati e le assicurazioni.
Figura 1 Skyline di Cape Town ripreso dalla Table Mountain
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Le aziende di servizio specializzate sono cresciute e si sono internazionalizzate proprio per ottenere i requisiti necessari all’esternalizzazione specializzata delle stesse funzioni di comando e di controllo. Il ciclo di crescita di produzione e dell’espansione delle compagnie di servizio, implica una trasformazione radicale dell’economia globale. La crescita enorme dei servizi finanziari, cresciuti più velocemente di tutti gli altri, è dovuta principalmente alla deregolamentazione partita dagli Stati Uniti e poi diffusasi, dopo il 1990, nel resto del mondo. Le esigenze del settore finanziario hanno anche influenzato lo sviluppo di altri servizi di supporto, allettati soprattutto dal potenziale di alti profitti. Questo enorme potenziale, tuttavia, ha determinato la svalutazione del settore produttivo. Le economie di agglomerizzazione L’esternalizzazione delle funzioni di controllo delle multinazionali ha fatto sì che queste si sentissero libere di collocare i propri uffici dove volessero. Ecco perché, negli ultimi due decenni, si è assistito alla fuga delle multinazionali di produzione dalle città come Londra e New York, per collocare la propria sede in città più piccole e meno onerose. Le aziende di servizi specializzati, che sono sempre più soggette ad economie di agglomerazione, si collocano invece nelle città più grandi, dove
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si trovano le attività di servizio complementari. Questa concentrazione territoriale consente e facilita, infatti, incontri, relazioni, scambi di idee. Da sottolineare che per rendere efficiente questo tipo di economia è necessaria un’infrastruttura composta da centri congressuali, reti di trasporto, sistemi di telecomunicazioni, ristoranti e alloggi. Il tutto determina un’agglomerazione di servizi con cui la città deve garantire il necessario a chi lavora. Le più importanti “città del mondo” sono quelle che riescono a provvedere a queste infrastrutture. Sedi di produzione non più accentrate Le multinazionali di produzione hanno spostato la loro sede in luoghi distanti dalle città perché non sono più soggetti ad economie di agglomerazione. La rete delle città del mondo Le economie di agglomerazione operano su scale differenti. I servizi specializzati devono infatti essere in grado di comunicare con ogni altra sede nelle “città del mondo”. Anche in questo caso, l’infrastruttura svolge un ruolo fondamentale. Il risultato è un ‘sistema urbano transnazionale’ in cui più città sono economicamente e tecnologicamente collegate, nonché socialmente e politicamente connesse. Ne derivano tre conseguenze: la prima è che le città e le regioni competono per la loro posizione in questo circuito transnazionale, nel tentativo di collocarsi il più vicino possibile alle “città del mondo”. Questa competizione comporta un’agevolazione degli incentivi fiscali per attrarre e trattenere le imprese di questa rete urbana. La seconda conseguenza è che le “città del mondo” cooperano tra loro. Infatti le imprese che operano nei mercati globali non mirano alla competizione tra una città e l’altra ma sono interessate a costruire una rete strategica. La cooperazione tra le città ha sempre portato a una complessa divisione del lavoro tra le imprese di servizio, aggiungendo un ulteriore livello di interdipendenza urbana. (Basta vedere il settore della finanza a Francoforte, in competizione per la supremazia del mercato finanziario europeo con Londra, attualmente opera in maniera più collaborativa che competitiva con la sua controparte. Se le sedi di Francoforte gestiscono l’economia europea, le sedi collocate a Londra trattano contratti a livello globale, in pratica cercano di compensarsi a vicenda piuttosto che competere.) Una terza conseguenza della connettività tra le città è nel contributo che questo fenomeno dà all’omogeneizzazione dei centri urbani di tutto il mondo, dal punto di vista sociale, economico, politico e geografico. Ecco perché alcune “città del mondo” cercano di distinguersi rispetto alle altre con particolari edifici che le rendano
Figura 2 Heerengracht street in prossimità della stazione ferroviaria. Figura 3 e 4 Immagini del Business Centre di Cape Town.
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riconoscibili e uniche. Il rischio è infatti quello dell’omologazione e della monotonia: in alcune aree, soprattutto quelle deputate alle attività commerciali, città come Singapore, Londra e Johannesburg si differenziano a mala pena. Naturalmente ci sono ancora notevoli differenze tra le “città del mondo” (spaziali, culturali, economiche e politiche) dato che ogni città continua a rispondere alle pressioni del capitalismo in modo sempre diverso. La globalizzazione economica rende omogenee le città a un ritmo che storicamente non ha precedenti ma questo processo non è regolare e quindi non è prevedibile. Disconnessioni locali Le città sembrano essersi distaccate dal loro immediato entroterra. Le aree urbane piccole e rurali, che un tempo facevano parte dell’economia della città, diventano meno importanti per la vita sociale economica e politica delle “città del mondo”. Naturalmente nessuna città può scollegarsi completamente dalle aree adiacenti ma si nota che questi legami locali si stanno indebolendo. Ciò è evidente soprattutto negli importanti centri di affari delle “città del mondo”, dove l’acceso ai servizi e alle infrastrutture viene visto sempre più come un ambito riservato alle élite transnazionali, a discapito delle realtà locali. Il risultato è un indebolimento dei legami regionali e nazionali, a vantaggio della connessione tra le “città del mondo”. 5
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Polarizzazione spaziale e socioeconomica Quali sono, infine, gli effetti socio-economici dello sviluppo delle “città del mondo”? Considerando che diversi tipi di crescita economica determinano diversi tipi di forme sociali, nelle “città del mondo” si crea una nuova geografia sociale in cui coloro che operano nei settori di servizio occupano una posizione più alta; al contrario, il settore della produzione viene svalutato e questo comporta una disparità sempre maggiore di reddito, e quindi una disuguaglianza spaziale e socio-economica sempre maggiore. A questo punto, dopo aver fatto una panoramica delle caratteristiche che deve possedere una città per essere considerata “città del mondo”, ci si può chiedere se Cape Town possa definirsi tale. Ripercorriamo quindi l’elenco delle caratteristiche sopra elencate, confrontandolo con la situazione di Cape Town: Un’economia connessa alla produzione di servizi Il fatto che Cape Town abbia un’economia orientata ai servizi, concentrata sulla finanza (32%), i trasporti (11%), e altri servizi (19%), attribuisce a Cape Town una delle caratteristiche prioritarie di una “città del mondo”. La produzione riveste ancora un ruolo fondamentale nell’economia della città, ma non ha mai dominato sull’economia di Cape Town. La maggior parte della produzione si concentra nell’industria leggera, come il settore tessile e di abbigliamento. Questo settore ha dato lavoro per molti decenni, ma a metà degli anni ‘90 è stato investito da una crisi che ha fatto perdere il lavoro a 12.000 persone solo nel 2004. Il ministro delle finanze Trevor Manuel afferma che l’economia di Cape Town si deve adattare alla realtà di un’economia globale. Quindi la città ha cercato di adeguarsi aprendosi ad altri mercati come la costruzione di yacht di lusso e di componenti per auto. C’è stata anche una crescita nel settore della pesca e dell’agricoltura nell’area di Cape Town, con esportazione di frutta e vino, che si è ripercossa nel settore dei servizi. Una forte crescita economica si è vista nella produzione dei servizi alla persona, come la ristorazione, il trasporto, la comunicazione. Il turismo è un altro settore di servizio in cui Cape Town spera di svilupparsi. Attualmente è uno dei settori che sta crescendo più rapidamente nell’economia della città. A Cape Town il settore dei servizi, pur rappresentando una frazione dell’economia della città, si impone sull’economia generale attraverso pressioni politiche, creando una nuova dinamica di valutazione che ha avuto effetti devastanti in diversi settori. Ciò non vuol dire che la produzione sia irrilevante per la città dominata dai servizi ma bisogna comunque osservare che i lavori che una volta appartenevano al set-
Figura 5 Il nuovo aerporto di Cape Town realizzato per i Mondiali di Calcio del 2010
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tore produttivo, con l’introduzione delle nuove tecnologie si sono spostati dal piano della fabbrica a quello dell’ufficio. Si è creato una nuova forza lavoro conseguente allo sviluppo della hight tech. Le economie di agglomerazione Il fatto che la maggior parte delle imprese di servizi abbiano i propri uffici nel centro direzionale, dove tra l’altro sta crescendo il numero delle sedi delle aziende nazionali e internazionali, indica la presenza di economie di agglomerazione a Cape Town. Connettività internazionale Passiamo ora all’aspetto più importante della posizione di Cape Town come “città del mondo”: il suo grado di connettività nella rete delle città del mondo. Abbiamo visto che Cape Town ha un’economia prevalentemente legata ai servizi, con le necessarie infrastrutture e la configurazione spaziale per farne un prototipo di città del mondo. Pur essendo ben collegata alle altre “città del mondo”, riveste però un ruolo terziario nelle rete, perché si trova al sesto posto nella scala del grado di connettività con le città del mondo. Tuttavia, riveste un ruolo di primo piano nella rete delle “città del mondo” regionali, che dominano la scena nazionale/continentale in termini economici.
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Competizione / cooperazione Se si sostiene che la connettività conduce sia alla competizione che alla cooperazione tra i centri urbani, Cape Town non è diversa a questo proposito. Sul fronte concorrenziale Cape Town è avvantaggiata rispetto alle altre “città del mondo” in quanto offre economie emergenti a basso costo e allo stesso tempo svago e possibilità di affari. L’area a basso costo è destinata ai centri di assistenza (intaccando quelli di Bombay e Delhi), mentre quella più ricca attira registi, compagnie di bio tecnologiche e compagnie finanziarie (intaccando quelle di Los Angeles, Toronto e Sidney). Per mantenere queste aziende di alto livello, Cape Town, deve investire molto nelle infrastrutture (utilizzando fondi pubblici e privati) anche per essere competitiva sul fronte urbano a livello internazionale. Anche sul fronte della cooperazione Cape Town è in sintonia con le tendenze internazionali: burocrati e politici comunali fanno parte regolarmente di organizzazioni come l’UN Habitat e la World Bank. Omogeneizzazione Molti fattori distinguono Cape Town dalle altre “città del mondo”: la forte presenza del Capo Malay nella tradizione religiosa e culturale, la sua composizione demografica unica, la presenza delle Table Montain. Tuttavia molti fattori la rendono omogenea alle altre “città del mondo”, soprattutto le strutture per lo svago e per le attività dei servizi. Infatti il Sudafrica nel costruire i propri centri di servizio, si è appropriato delle architetture delle altre “città del mondo”. Il fatto che queste architetture siano prive di identità comporta che siano esportabili in qualsiasi “città del mondo”, e quindi rendono Cape Town una città omogenea. Disconnessioni locali Altra caratteristica delle “città del mondo” che si riconosce in Cape Town è il crescente indebolimento dei legami con gli immediati dintorni geografici. Cape Town è sempre più collegata alla rete del sistema globale, e trova sempre più difficoltà a comunicare con il suo entroterra. Disuguaglianze socio-economiche e spaziali Cape Town è una delle città più disomogenee al mondo. La disuguaglianza è dovuta a redditi medio bassi della popolazione coloured, e al divario economico e sociale tra popolazioni bianche, coloured e africani. Non è, però, solo una questione di reddito: il problema è legato anche ai tassi di disoccupazione in continua crescita. Un’altra disuguaglianza si trova inoltre nell’inferiore erogazione dei servizi nelle township. Ci si chiede, allora, se il tentativo di andare verso una città globale possa accentuare o indebolire questa disuguaglianza. Rispondendo alla nostra domanda iniziale, sul fatto che Cape Town possa o no essere considerata una città Figura 6 Vista dalla Vista Mountain della area di Green Point con le attrezzature per i mondiali di calcio del 2010
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del mondo, possiamo concludere in maniera affermativa. Cape Town infatti è caratterizzata da un’economia di servizi internazionali, da una rete di affari con le altre città del mondo, da mezzi tecnologici e sistemi di telecomunicazione, dallo sviluppo di strutture che accolgono un élite transnazionale. Appare evidente inoltre come Cape Town stia investendo molto nel settore dei servizi, del turismo, in un’ottica internazionale, pur non trovando ancora le risorse sufficienti per intervenire nelle aree a basso reddito e quindi nelle township.
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Disegno politico di una metropoli Prospettive e contraddizioni di transizione
2 2.1
La pianificazione del territorio, da parte del governo, è stato a lungo utilizzata in Sudafrica per gestire gli spazi in base alla presenza di diversi gruppi razziali e per realizzare alloggi e strutture per la popolazione africana e di colore, ritenute necessarie per l’economia urbana1. Prima del 1948, il ruolo della pianificazione in funzione della segregazione razziale si era manifestato in un’apposita proposta per rimuovere gli slum e le zone insalubri, e fornire abitazioni pubbliche agli sfollati. Dopo il 1948, tuttavia, la segregazione razziale urbana diventò una politica esplicita di governo, e l’urbanistica cominciò ad essere vista come lo strumento principale attraverso cui il paesaggio urbano sarebbe potuto diventare un modello (vedi Mabin e Smit 1997). L’idea di fornire un ambiente più sano e più ‘moderno’ era stata promossa da singoli individui già nella prima parte del secolo, e si era concretizzata nel ruolo di un organo consultivo del governo nel 1944. Le proposte del Consiglio2 includevano l’introduzione di una funzione di pianificazione a livello di governo nazionale, e l’adozione di una visione regionale più ampia sui modelli di insediamento, che seguiva i principi di pianificazione internazionale dei quartieri separati di cinture verdi (Wilkinson 1996). Durante l’apartheid questi due principi di pianificazione convissero, in modi che a volte sembravano rafforzarsi reciprocamente. In particolare, i progettisti coinvolti nella segregazione razziale giustificavano la progettazione di quartieri residenziali discreti, circondati da aree verdi e con poche vie di accesso (che consentivano alla polizia un controllo più efficace), citando la loro compatibilità con i principi scientifici su cui si basava la prassi internazionale e contemporanea3. In pratica, la pianificazione come strumento di segregazione razziale guadagnava legittimità nell’ottica di strumento in grado di garantire un più elevato stato di benessere4. Ma alla fine degli anni ‘80, gli eventi che si verificarono nelle zone più povere di Cape Town cominciarono a dimostrare che la pianificazione, (come strumento per
1 La commissione British Barlow del 1940 aveva fatto vincolare la crescita delle dimensioni delle grandi città, aveva orientato lo sconfinamento della popolazione in nuove città al di la della frangia urbana. Un esempio di punto di deconcetrazione è Atlantide, creata come città per i residenti di colore a 45 km a nord dall’area metropolitana. 2 Il Regional Services Council era nato nel 1985 nel tentativo di assicurare la leggitimità del sistema di sgretolamento delle autorità locali separate razzialmente. Questo forma il secondo livello di governo metropolitano della Cape Town, che era tenuto sotto controllo politico dal Partito nazionale che non permetteva la messa in discussione di uno dei cardini fondamentali dell’aphartheid, la natura e la crescita dell’area urbana. 3 Nel 1986 con l’annuncio da parte del governo di un nuovo Libro Bianco sull’Urbanizzazione (Reeppublica del Sudafrica 1986) che dichiarava che gli africani potevano circolare all’interno della città liberamente, ma che i luoghi di vita venivano distinti in base ai gruppi di popolazione appartenenti. Questo Libro inoltre consigliava ai funzionari locali di individuare nuove aree di terreno per l’insediamento africano, promuovendo i punti di decentramento attorno ai grandi centri. 4 Nel 1983 il governo annuncia che un nuovo tratto di terreno sarebbe stato messo a disposizione per la gente africana nella Cape Town: Khayelitsha a 40 km dalla città.
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l’allontanamento della gente di colore africana), e la segregazione razziale5, stavano diventando sempre meno efficaci6. Il potere esercitato da un numero crescente di abitanti delle baracche, nel loro sforzo di rivendicare il suolo urbano, e dalle organizzazioni squatter, generò proteste e manifestazioni7. Anche quando il progettista del Consiglio della Cape Town, de Tolly, sostiene che il comitato deve considerare l’integrazione a lungo termine della regione e l’ottimizzazione delle sue potenzialità, si risottolinea il ruolo della pianificazione come strumento in grado di elevare il benessere della popolazione8. Ci si rende conto e si accetta, allora, il problema spaziale di Cape Town: la sua dimensione eccessiva, e la soluzione spaziale definita come una deconcentrazione in nodi razziali, viene sfidata da un nuovo discorso emergente che respinge la considerazione di Cape Town come troppo grande, sottolineando che ciò che è necessario è una ristrutturazione spaziale interna alla città, per ottenere degli spazi integrati, compatti, e ad alta densità9. Le forme spaziali promosse dai due approcci sono radicalmente opposte: lo sviluppo verso l’esterno si contrappone allo sviluppo verso l’interno, e la separazione dei gruppi razziali si contrappone all’integrazione, allo sviluppo misto e compatto. Ma ci sono anche importanti punti in comune. Entrambi i discorsi sono modernisti: si basano sul presupposto che è possibile immaginare un futuro alternativo e più desiderabile per Cape Town. Ed entrambi concepiscono lo spazio come elemento di realtà che può essere oggettivato (esternato, concretizzato) e manipolato verso precisi fini sociali ed economici. Queste intese sulla pianificazione, che prevalevano
5 L’approcio adottato dalla Relazione del METPLAN del 1988 nel era il ‘metodo setaccio’, che seguiva dei criteri per stabilire il terreno considerato accettabile per lo sviluppo degli alloggi a basso reddito. I criteri primari in base ai vincoli ambientali che interessavano il Piano Guida. I criteri secondari riguardavano la disponibilità di percorsi di lavoro e di trasporto. I criteri terziari erano legati in base alle considerazioni di carattere politico vedevano la disponibilità di strutture ricreative. 6 Con il 16 giugno del 1976 quando la polizia aprì il fuoco su un corteo di protesta degli studenti africani a Soweto, si iniziò la resistenza che nel 1980 prese forma con il processo di transizione politica verso un governo democratico liberale, segnato ufficialmente dalle elezioni generali del 1994. 7 Il 13 settembre del 1989 30.000 persone ditutte le razze marciarono pacificamente per le vie del centro della Cape Town sotto la bandiera del ANC, da questo momento finalmente l’autorità di pianificazione metropolitana della Cape Town aveva rivolto la sua attenzione al futuro della città. 8 Il 16 giugno del 1989 i funzionari del gruppo di pianificazione si riunirono per discutere dell’idea di una strategia di sviluppo regionale, intrapresero il processo di pianificazione metropolitana. 9 C’erano due visioni: - De Tolly (progettista del consiglio della Cape Town) che credeva nella necessità di un processo piuttosto che di un masterplan fisso, pone l’attenzione sul bisogno di stabilire procedure, e di indicare criteri decisionali e le strategie di sviluppo al fine di ‘utilizzarei un ‘processo di pianificazione strategica’ per affrontare sia le questioni spaziali che non spaziali per lo sviluppo di una strategia di gestione della crescita. Credeva nella strategia di sviluppo regionale - Dall’altra parte 1990 Theunissen prese il posto di capo della Pianificazione regionale presso i Servizi del Consiglio Regionale e sosteneva che doveva essere un piano a struttura subregionale che doveva soddisfare i requisiti minimi della pianificazione territoriale. La messa in atto di una struttura di una serie di piani submetropolitani che sarebbero andati a coprire l’intera area del Regional Services Council. Egli credeva che incastrando tutta una serie di piani sub regionali, si andava a produrre un piano generale metropolitano.
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negli anni dell’apartheid, rimangono incontrastate nel nuovo discorso10. Tuttavia, data l’importanza apparente della segregazione razziale per il progetto di apartheid globale, la fragilità del discorso della coalizione preesistente è evidente, e sorprendente. La sostituzione di una forma spaziale con un’altra si presentava come una questione molto meno conflittuale (per i progettisti, per lo meno) rispetto alla domanda sulla necessità che il processo di pianificazione fosse controllato dalla metropoli o dall’autorità comunale. Non c’era nessuna inevitabilità circa la proposta e l’accettazione di un diverso modello spaziale. Molto dipendeva dalle azioni del progettista del Cape Town City Council, De Tolly, che attraverso la pressione che esercitava tramite conferenze, riunioni e convocazioni, sollevava la possibilità di un discorso alternativo. Molto dipendeva anche dal progettista del Regional Services Council, Theunissen, che aveva dato spazio al nuovo discorso, anche se i lavori come la ricerca di terreni per alloggiamenti a basso reddito continuavano sotto la sua direzione. Termini come “integrazione”, “onecity” (città unica) e “ridistribuzione” potevano circolare in ambito urbanistico e in discorsi politici, dando una parvenza di unità tra i due settori. Di qui, la politica di posizionamento strategico dei progettisti, che sceglievano di adottare il nuovo approccio. Processi che avvengono all’interno delle istituzioni e organizzazioni che si muovono al di fuori dello spazio territoriale metropolitano cominciano a influenzare direttamente le azioni dei progettisti. Il progresso dei negoziati tra i membri del Partito Nazionale e l’ANC (African National Congress) indica che un cambiamento di governo è probabile con conseguenti trasformazioni in politica, nelle regole e nelle strategie. In particolare, un documento dell’ANC del 1994 sulla Ricostruzione e sullo Sviluppo, afferma l’intenzione di mettere in atto cambiamenti in tutti gli aspetti di governo11. I progressi dei negoziati nazionali servono anche ai gruppi politici di opposizione, che operano a livello regionale e locale; l’aspettativa dell’opposizione, di assumere posizioni (forse al governo) di maggior potere, indica che
10 In assenza di una pianificazione efficace del sistema amministrativo metropolitano, alcuni organismi avevano iniziato con le loro iniziative di pianificazione. Uno tra questi era il WESGRO, un organismo istituito per promuovere l’investimento economico e gli interessi delle imprese nel Western Cape con lo scopo di fornire una visione economica e la strategia per la città attraverso un processo partecipativo. Poi c’era La Urban Fondation, un organismo nazionale istituito dal settore privato, aveva promosso politiche di sviluppo urbano volte a stabilire a un’equilibrata classe media africana di e accomodanti principi del libero mercato. Infine la Urban Problems Research Unit, allegata alla Scuola di Architettura e Pianificazione presso l’Università di Cape Town, era da tempo uno promotrice di una particolare visione dei problemi di Cape Town e una strategia di assetto del territorio che poteva rispondere a queste problemi. Il modulo spaziale promossa da questa startegia era, per molti aspetti, l’esatto opposto della strategia multinodale promossa dal Piano Guida e dal lavoro METPLAN precedenti. Nella riunione del 22 ottobre del 1990 si era d’accordo che i problemi della pianificazione della Cape Town non erano dovuti alle dimensioni e alla crescita ma alla sua struttura fisica 11 Ginsburg 1996, Marais 1998
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le esigenze di questi gruppi sono tenute in maggiore considerazione12. La richiesta degli enti locali e delle organizzazioni delle township-based della Cape Town, di essere coinvolte in qualsiasi pianificazione ufficiale dell’area metropolitana non è una domanda nuova, quindi i funzionari del Regional Services Council ritengono che sia importante prestare attenzione a ciò. Si pone quindi la questione di come gestire il processo di partecipazione, e viene portata avanti nell’ambito del Western Cape Economic Development Forum. L’inserimento del processo di pianificazione metropolitana nei lavori della Commissione Sviluppo Urbano del Forum apporta un contributo importante a supporto dell’idea di un sistema integrato, di un modello di città compatta. Lo stesso Forum13 è costituito da una vasta gamma di gruppi14, (in passato anche in conflitto tra di loro) ma uniti da ciò che è percepito come una preoccupazione comune per il futuro sviluppo dell’area metropolitana. All’interno del Forum si assiste infatti al rafforzamento dell’idea della città compatta. I componenti di molte organizzazioni e istituzioni (esclusi i rappresentanti del Partito Nazionale, che non partecipano al Forum) si esprimono sull’organizzazione territoriale della città e sulla carta, almeno, vi è ora il sostegno di una vasta gamma di rappresentanti delle parti interessate. Ci sono due stadi, sovrapposti, in cui può essere rintracciato lo sviluppo del processo di pianificazione territoriale. Il primo, centrato sul Forum, comporta l’allargamento della compagine che sostiene l’idea della città compatta; questa compagine include le organizzazioni metropolitane che rappresentano il mondo economico, i sindacati e le associazioni civiche. Il progettista Tommalin15 del Regional Services Council si assume un notevole rischio personale per garantire che il processo di pianificazione si trovi all’interno della singola istituzione (il Forum) che consentirà l’ampliamento della coalizione. Allargare la coalizione non significa, tuttavia, che i funzionari di pianificazione non vogliano esercitare il potere sul processo. Tomalin,
12 Nel giugno del 1993 si era concordata la data delle elezioni e a novembre si era accettata una nuova costituzione basata su principi fondati della democrazia di più partiti e non raziale 13 Il Forum è stato motivato come un modo per unire importanti attori per elaborare strategie di sviluppo , legittimarle, e potenziare i gruppi di comunità. L’adesione al forum era quella di trarre dalle grandi organizzazioni una partecipazione regionale di sviluppo. Quattro categorie di organizzazioni avevano il diritto di voto sul forum: -gli enti de lavoro –gli enti commerciali -le istituzioni civiche –i partiti politici e le autorità locali e regionali. Ogni categoria era rappresentata da non più di 20 persone. Il Forum era in grado di operare su tre livelli, di cui l’ultimo prevedeva che fossero presenti i rappresentanti di tutte le categoirie. 14 WESGRO è un’associazione, istituita nel 1980, che promuove la crescita economica nella Cape Town. Nel 1990 aveva avviato un progetto destinato a raccogliere informazioni sull’economia della Cape Town e di individuare le tendenze e le opportunità possibili nel futuro. A questo progetto vi parteciparono altri gruppi/ associazioni. 15 Nel 1992 il pianificatore Tomallin del Regional Services Council erano diventato presidente del Metropolitan Development Framework e coordinatore del MDFCWG. Questo era il gruppo formatosi dopo la Conferenza di Caledon a metà del 1991 ed era composta dai funzionari della pianificazione regionale del comune della Cape Town, dall’amministrazione provinciale, dal Regional Services Council, e da un rappresentante della camera di commercio. Tomalin aveva ricoperto anche la carica del vicecapo del Direttore di Pianificazione e rispondeva alla caica del capo dell’ufficio tecnico.
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almeno, entra nel processo del Forum con la convinzione che continuare l’esercizio del potere sarebbe stato possibile, anche se non poteva avere un’idea chiara di come questo sarebbe avvenuto. D’altra parte, i pianificatori hanno tradizionalmente usato il potere della persuasione come mezzo di promozione di un determinato approccio alla pianificazione. La loro posizione come esperti, e la loro capacità nella presentazione dei dati, nella produzione grafica e nella riformulazione degli argomenti, potevano esercitare un forte potere di persuasione. La ricerca di consenso è avvantaggiata anche dai rapporti con i funzionari del Regional Services Council, che si affidavano in larga misura a consulenti per gestire gruppi di lavoro che venivano coinvolti con presentazioni illustrate e con una dettagliata documentazione. Una seconda serie di circostanze che consentono ai funzionari di pensare a una continuazione del proprio ruolo strategico è nella struttura e nel funzionamento del forum stesso. Anche se il comitato era stato definito con l’intenzione di coinvolgere in maniera paritaria le organizzazioni legali e non, e affinché prevalesse un approccio libero e democratico, lo squilibrio in termini di risorse e di capacità tra i membri legali e non, rendeva la struttura non appropriata e non giusta. La difficoltà vissuta dai cittadini, dai sindacati e dai membri dell’opposizione politica, nella partecipazione a riunioni e seminari, e nel comprendere e rispondere alle relazioni tecniche, riduceva inevitabilmente la loro capacità di esercitare il potere nel processo di pianificazione. Anche il presidente dell’ANC dello Urban Development Commission limitava la partecipazione alle riunioni proprio per questi motivi. Questi fattori hanno influito sulla natura della coalizione costruita attorno all’idea di città compatta. C’era un accordo tra i membri del Forum sulla definizione del problema spaziale di Cape Town, ma non c’era accordo sui principi e sugli obiettivi che dovevano guidare un nuovo piano16. Problemi come i lunghi e costosi viaggi dovuti alle distanze dal lavoro, nonché ad uno sviluppo urbano tentacolare e frammentato, facevano parte della quotidianità dei poveri abitanti di Cape Town, e gli obiettivi come l’integrazione e l’equità coincidevano con la retorica della politica del governo entrante. Ci sono molto meno prove che i membri del Forum comprendessero sia la necessità di un piano metropolitano nella forma indicata dai consulenti sia le sue implicazioni. Il loro accordo con il piano, e quindi la loro presenza nella coalizione, dipendeva molto di più dalla fiducia che avevano nei progettisti. La loro presenza nella coalizione può quindi essere considerata non ancora completamente definita
16 Van Deventer aveva visto che le idee non erano realiste dal punto di vista economico e sosteneva che le proposte per costruire gli alloggi per le famiglie che avevano un basso reddito organizzate ad alta densità, sarebbero stati troppo onerosi i prezzi per gli abitanti
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e fragile. Il secondo stadio in cui può essere rintracciato lo sviluppo del processo di pianificazione è quello che coinvolge i funzionari di pianificazione e i consulenti coinvolti nel piano di produzione. In questione qui è la forma assunta dal piano. da una parte la posizione dei pianificatori del Regional Services Council e dei loro consulenti; dall’altra quella dei progettisti comunali e dal pianificatore NGO (No governmental Organization). Il conflitto si ritrova molto più in questa fase che nella forma del piano stesso. Gli sforzi dei progettisti del Regional Services Council per la produzione di una particolare forma di piano sembravano far parte di una strategia consapevole. I consulenti erano interessati al modo in cui il piano sarebbe stato sostenuto da altre istituzioni dello Stato, supponendo (come sarebbe poi accaduto) che questo corpo di funzionari sarebbe rimasto sostanzialmente invariato dopo l’elezione del nuovo governo democratico. Credendo che questi funzionari avrebbero ben accettato piani di riassetto più esaustivi di quelli dei giorni dell’apartheid, i consulenti ritenevano che l’adozione di questa forma di piano sarebbe stata ben vista. Significativa la continuità con la pianificazione passata17, anche se gli obiettivi di pianificazione rappresentano una rottura netta con il passato. I cambiamenti drammatici, che si verificarono negli enti locali e territoriali dopo il 199418, alterarono significativamente il contesto in cui i progettisti della metropoli di Cape Town si trovarono ad operare. Il lavoro burocratico era rallentato notevolmente per la riorganizzazione degli enti e del personale, e per l’elevata sostituzione del personale. Nuovi e spesso inesperti consiglieri locali approvavano argomenti che spesso non avevano compreso. Si alterava anche il rapporto tra l’autorità metropolitana e le nuove municipalità. A complicare questi nuovi rapporti era poi la nuova natura del partito politico dei consigli, che allineava i consigli provinciali e metropolitani con alcuni dei comuni limitrofi, ma non con il comune di Cape Town (dominato dal’ANC). All’interno dell’autorità metropolitana, il lavoro dei singoli reparti era fondamentalmente influenzato dalle direttive della politica nazionale. Particolarmente importante in questo senso fu l’affermarsi di una nuova direzione per il governo locale: l’idea che dovesse trasmettere il pensiero “di sviluppo”19 (piuttosto che svolgere
17 Metropolitan Development Framework 1994 18 Nell’aprile del 1994 le elezioni del Sudafrica hanno avuto luogo in un ambiente tranquillo stranamente. Il ANC aveva ottenuto una vittoria schiacciante . 19 La visione del governo del postapharteid si basava sullo sviluppo delle clausole contenute nel RDP del 1994 ( il Reconstruction and Development Programme era stato destinato a definire il programma del nuovo governo di unità nazionale. Era visto come un’icona del manifestarsi del cambiamneto del nuovo Sudafrica e come un quadro di sviluppo volto a completare il riordino della politica, dell’economia e della società. Il RDP aveva origini all’interno del movimento sindacale nel 1993, ma successivamente venne riformulato da altre organizzazioni come anche la ANC). Il ruolo del RDP era stato sancito nel 1996 dalla Costituzione e sviluppato in due documenti politici, chiamato nel ‘Libro Verde’ e nel ‘Libro Bianco’ sul governo locale. In questi due documenti richiedevano la realizzazione dello sviluppo sociale e la crescita economica delle comunità, la pianificazione di uno spazio socialmente integrato e sostenibile. Questa visione implica una rottura drammatica con la forma precedente del governo locale.
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semplicemente un ruolo amministrativo) e che la sua linea d’azione dovesse essere integrata attraverso la nuova IDP (Integrated Development Plan). Rispondere a questa esigenza significava coinvolgere i pianificatori territoriali nella negoziazione di nuovi rapporti; un processo che a sua volta cominciava a incidere sulla loro posizione rispetto all’autorità metropolitana. I pianificatori della città metropolitana, che avevano promosso il costituirsi della coalizione facendo leva sulla compatibilità tra il RDP (Reconstruction and Development Programme) e la struttura del loro piano, si trovarono improvvisamente a dover negoziare un nuovo discorso che poneva l’obiettivo di un “governo imprenditoriale”. Inoltre, accanto alla necessità di una ridistribuzione dello spazio urbano, emergeva il bisogno di lottare contro la povertà e la disoccupazione. Ciò che emerge da queste osservazioni è che mentre le regole nazionali e politiche cambiavano in modo significativo, mentre le forme governative si trasformavano, e mentre molti nuovi politici locali si allineavano al governo dell’ANC, negli uffici dei funzionari degli enti locali il potere veniva esercitato più o meno allo stesso modo di prima20. Accanto al cambiamento, c’è dunque la continuità. Come fanno i progettisti metropolitani a questo punto a utilizzare la legislazione come strumento per potenziare il loro piano? L’alternativa, dopo tutto, è lasciare il rapporto tecnico del 1996 come un documento di guida, e utilizzare i poteri della persuasione (e forse, indirettamente, l’assegnazione della risorsa pubblica) per reindirizzare la pianificazione comunale e il modello di sviluppo della Cape Town. Un percorso, questo, che sarebbe stato in linea con il governo politico locale dopo il 1994, il quale richiedeva la ricerca di consensi tra le autorità, una politica che ormai andava contro il rapporto gerarchico assunto in virtù del LUPO (Land Use Planning Ordinance). Quest’ultima si basava su un meccanismo giuridico che aveva lavorato per un decennio, e che era precedentemente già in parte elaborato. Dal consenso e dalla persuasione, la Pianificazione riceveva una via incerta, in cui la perdita di controllo era possibile. Metodi di consenso erano stati utilizzati con successo nell’ambito del Forum, quando non c’era alternativa disponibile, ma il fattore di rischio di questa situazione era stato ormai riconosciuto. LUPO, ancora disponibile come strumento di gestione, offriva una via d’uscita chiara e prevedibile, altamente auspicabile in un contesto di grandi cambiamenti e di incertezze, e probabilmente di opposizione comunale. Emerge quindi l’importanza del processo rispetto al prodotto. Mentre il prodotto del modello di pianificazione pre-1994 (il modello multinodale, la città segregata) veniva abbandonato con una relativa
20 I presupposti di una corretta partecipazione al processo di pianificazione metropolitana era diventato meno chiaro anche se i pianificatori metropolitani della città cercavano di sforzarsi in questa direzione
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facilità, non accadeva lo stesso al processo di pianificazione precedente al 1994 (LUPO). L’aspetto più significativo riguardo agli sforzi della pianificazione metropolitana successiva al 1994 era il grado con il quale le energie dei progettisti erano concentrate quasi interamente al fine di stabilire legalmente il nuovo piano. Non vi è dubbio che i diversi processi decisionali offrono il potenziale per gli individui ad esercitare il potere in modo differente, e per questi motivi possono venir sia promossi che neutralizzati. Al riguardo è significativo il discorso di Foucault, i cui punti chiave non sono solo nel ‘parlare’, ma anche in una vasta gamma di pratiche, di cui una è la stesura di documenti politici. Infatti i documenti di programmazione, quali la Technical Report del MSDF (Metropolitan Spatial Development Framework), rappresentano anche un luogo di lotta, in cui la conoscenza è mobilitata per sollecitare una particolare concezione del problema di pianificazione che come tale deve essere affrontato. I documenti di Pianificazione costituiscono quindi uno strumento che può essere chiamato “rappresentazione degli spazi dei progettisti” (Lefebvre 1991): “lo spazio concettualizzato, lo spazio degli scienziati, dei progettisti, degli urbanisti, dei diversi tecnocratici e degli ingegneri sociali, come di un certo tipo di artista con una inclinazione scientifica – vanno a identificare ciò che è vissuto e percepito con ciò che è concepito. Tale concetto diventa significativo nei riguardi del rapporto tecnico del 1996 che rappresenta lo strumento con cui viene costruito il concetto di città compatta. Il Rapporto rappresenta quindi il successo dei progettisti metropolitani (e dei consulenti) nello stabilire la loro visione del piano al di là di ciò che facevano i pianificatori del comune della Cape Town, impegnati nel promuovere quello che veniva definito un approccio strategico. La forma scelta per il piano nella relazione tecnica era in realtà più compatibile con un approccio per la gestione del territorio che si affidava pesantemente ai meccanismi di regolamentazione (LUPO) per la sua attuazione. La sua forma globale, precisa e a lungo termine consente ai pianificatori di intervenire significativamente nella struttura spaziale dell’area metropolitana; uno sforzo che credono sia necessario per rimuovere le ingiustizie e le inefficienze della città dell’apartheid. Significativo è il modo in cui il concetto è stato ampliato per inglobare anche quello proveniente dal nuovo governo, di macro-politica economica neoliberista; significativa è inoltre la logica di intervento, che associa la preoccupazione per la crescita economica con la preoccupazione precedente per l’equità e la redistribuzione. Non viene tuttavia modificata la natura o la forma del piano, per cui assume particolare rilevanza in questo caso la nozione di Hajer (1995) sulla trama mutevole, che diventa un veicolo per il cambiamento. Quello che diventa evidente più avanti nella storia del MSDF è una emergente co-
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alizione del discorso politico, una sfida che difficilmente i progettisti del territorio potranno contemplare in questo momento. Una concezione della città come un modello degli usi del suolo (che può essere manipolato) è molto diversa una visione che lo intende come un luogo su cui si intrecciano fattori internazionali, nazionali, locali, relazioni sociali ed economiche. Si tratta di due ‘diversi’ regimi di razionalità che non coincidono e non convivono facilmente. Lo svantaggio dei pianificatori territoriali negli anni che seguono viene colmato dalla carenza della credibilità di una teoria di divulgazione (conoscenza) nel settore della pianificazione territoriale che può rendere convincente invece una connessione tra particolari strategie territoriali e i loro effetti economici e sociali. L’emergere del pensiero del MSDF si è verificato grazie ad una combinazione delle sue idee storicamente influenti, con questioni e considerazioni di carattere politico (la richiesta di ciascun comune di un corridoio infrastrutturato di riconnessione con la città). Ciò che è evidente in questo periodo del MSDF è il modo in cui le sfide al piano, in parte provenienti dai comuni e sempre più da altri dipartimenti funzionali in seno all’autorità metropolitana (in particolare i pianificatori economici e gli ingegneri dei trasporti), coincidono con gli sforzi intensificati da parte dei pianificatori territoriali di trasformare il progetto in un documento legale. Si trattava di ipotizzare che ci fosse una possibile connessione tra le due tendenze, e che la sicurezza e il privilegio del ruolo giuridico per fare in modo che il piano diventasse sempre più necessario in contrapposizione alla crescente incertezza istituzionale. In questo senso, il cambiamento contribuisce a rafforzare la continuità. Evidente anche la gamma di pratiche attraverso le quali i pianificatori territoriali coinvolti cercarono di realizzare la loro legittimazione. Un’ampia varietà delle procedure burocratiche prese come normali, come il presiedere alle riunioni, la redazione di commenti ufficiali, e così via, si rendevano utili per perseguire questo scopo. Lo scenario rappresentato del piano era fondamentale per redigere uno strumento di regolamentazione molto, più di quanto potrebbero esserlo un insieme di principi o politiche. Da parte dei pianificatori comunali nacquero tensioni, tentativi di ricucire e conciliare, argomentazioni razionali riguardo le difficoltà di controllo dell’uso del territorio locale, ricorso ad arbitrato legale Da queste tensioni si rese necessario convogliare tutti i diversi dipartimenti e le differenti esigenze in un piano di sviluppo integrato. Queste sfide si aggiungevano alla crescente richiesta da parte dei distretti di partecipare e veder integrate nel piano di sviluppo le loro specifiche esigenze. Infine, la ristrutturazione istituzionale e la prospettiva di una scomparsa della gestione gestita unicamente dai pianificatori di Cape Town iniziava a limitare le possibilità di cambiamento da parte dei pianificatori comunali. Ironia della sorte, è
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proprio a questo punto che un nuovo responsabile provvisorio all’interno del dipartimento di pianificazione territoriale metropolitana, rifocalizza gli sforzi attorno al piano come un’ attuativa del progetto, una mossa che potrebbe comunque cambiare il rapporto tra i pianificatori metropolitani e comunali. Ma questi tentativi di aggiustare lo scenario iniziale rischiavano di risultare marginali e tardivi. Ciò che diviene fondamentale in queste dispute sulla forma del MSDF, è una sfida molto più importante che porta alla nascita di un nuova coalizione e ad una lotta crescente sulla questione dell’esistenza indipendente della pianificazione del territorio. L’emergere di una nuova coalizione si deve alla penetrazione della filosofia neo-liberale nelle istituzioni pubbliche e nel governo locale in particolare. A livello internazionale i termini ‘nuova gestione pubblica’ e ‘governo imprenditoriale’ sono al centro di questo discorso, e in Sudafrica era stato promosso attraverso i nuovi giornali politici e le amministrazioni locali, il concetto di sviluppo integrato di pianificazione sulla base di un coordinamento attraverso la partecipazione cittadina preventiva. In breve, il nuovo percorso della pianificazione si centra sulla nozione di un governo ‘di sviluppo’ locale, che è cliente-mirato e prodotto guidato, e che può svolgere un ruolo a livello locale in relazione agli obiettivi nazionali di posizionamento globale (collocazione a livello internazionale) nonché generare i posti di lavoro / riduzione della povertà. Negli ultimi anni, la pianificazione territoriale all’interno del Cape Metropolitan Council ha avuto qualche difficoltà, ponendosi in relazione a questo nuovo discorso. Il suo monopolio, all’inizio degli anni Novanta, sulla trasmissione di pensiero all’autorità metropolitana (assieme con il presupposto che il pensiero portato avanti era essenzialmente un pensiero spaziale) viene messo in discussione dall’idea che il governo locale, nel suo complesso, dovrebbe aver trasmesso il pensiero (o di sviluppo). Il monopolio viene usurpato in particolare da coloro che, all’interno del nuovo Economic and Social Development Directorate nell’autorità metropolitana, sottolineavano l’importanza dell’economia globale e locale (LED Local Economy Development) per lo sviluppo economico. Vengono anche contemplati i problemi spaziali, ma come somma alle preoccupazioni economiche. Un fatto, questo, che lo avvicina al GEAR (il POSR-macroeconomico I996 politica), in opposizione alla MSDF che è rimasta radicata alla situazione del pensiero del RDP antecedente al 1996. L’adesione dei pianificatori territoriali ad un forma di pianificazione che contemplava la possibilità dell’amministrazione locale di controllare la posizione degli investimenti privati, che faceva affidamento per la sua attuazione ai controlli legali e che vedeva il prodotto finale della pianificazione nella produzione di un piano spaziale, le munizioni conferite a quelli che avevavno sostenuto che il MSDF era ormai datato e burocratico: queste posizioni molto diverse costruivano un discor-
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so unico ma un’opzione improbabile. Una difficoltà ulteriore per la pianificazione territoriale era emersa a seguito dell’introduzione degli Integrated Development Plans. Questo mise in discussione il ruolo storico dei pianificatori territoriali come sintetizzatori generici, coordinando gli elementi territoriali del lavoro degli altri servizi. Tuttavia lo IDP lasciava aperta la questione della pianificazione su come la pianificazione territoriale , appunto,dovrebbe essere stata integrata. Con il loro vecchio ruolo funzionale compromesso e uno nuovo non in atto, non era esattamente chiaro ai pianificatori come dovessero collocarsi istituzionalmente. I discorsi relativi alla pianificazione territoriale e alla città compatta erano sempre più influenzati da quelli riguardanti le preoccupazioni territoriali che si dovevano adattare ai bisogni economici contemporanei. La pianificazione attuale Problemi per la pianificazione Analizzato le sfide e le difficoltà della pianificazione territoriale nell’area metropolitana di Cape Town, emerge come, nonostante l’apertura di quella che sembrava essere una finestra di opportunità durante i primi tempi della politica di transizione, dopo il 2000 la pianificazione urbanistica a livello territoriale sia risultata ancora emarginata e delegittimata.
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All’inizio degli anni ’90, la capacità dei pianificatori territoriali di definire una linea guida che contemplasse sia la filosofia macro-economica che il sentimento politico del tempo, consentiva loro di ricoprire un certo ruolo, attraverso l’ambito politico, che in precedenza non avevano avuto. Il concetto di città compatta, integrata ed equa, come antidoto a quella segregata, (città apartheid), si dimostrava influente: trovava la sua strada (in varie forme) in termini di pianificazione territoriale, in molte delle principali città del Sudafrica, e nei piani legislativi nazionali. A Cape Town, in ambito politico amministrativo, i principi del vecchio discorso erano stati conservati e si combinavano con il nuovo. Il potenziale di continuità che ne derivava veniva rafforzato dalla natura essenzialmente modernista di entrambi i piani, durante l’apartheid e post-apanheid. Entrambi immaginavano un ideale futuro urbano e presumevano che la pianificazione del territorio potesse venire usata come uno strumento fondamentale per raggiungere questo ideale. Osservando i rapporti tra i cambiamenti politici ed economici, (anche oltre l’ambito nazionale) e gli eventi che si verificavano all’interno della società (nel caso particolare dell’autorità metropolitana della Cape Town) emerge la loro complessità e contraddittorietà, nonché un processo di rapida trasformazione. E’ evidente come sia il cambiamento che la continuità abbiano segnato l’evolversi del piano metropolitano e come la partecipazione alle precedenti pratiche fosse diventata un modo per accompagnare i cambiamenti. Così, il significativo cambiamento che si verifica nella retorica della pianificazione territoriale su più ampia scala si intreccia con il processo di pianificazione preesistente, che sembrava offrire ai pianificatori territoriali la prevedibilità e la potenza necessarie per sviluppare una nuova visione efficace. Era forse la costante adesione a questi strumenti del passato che collocava i pianificatori territoriali in contrasto con le nuove dinamiche di cambiamento, che invece interessavano il governo locale soprattutto negli anni successivi al 1996. Marris cattura la natura di questo problema: “l’atto di fare il piano è caratteristicamente così diverso dal comportamento quotidiano degli affari politici ed economici, che non c’era struttura di relazione dalla quale si potesse essere a una svolta (…). Invece verranno tradotti, nel ruolo amministrativo e di linea guida, incentivi fiscali, speciali sovvenzioni e progetti, la cui interpretazione, l’uso e lo sforzo cumulativo potevano essere diversi da tutte le intenzioni del piano e tutte immediatamente soggette ai cambiamenti della politica e del governo. Tutto ciò che resta del progetto originario è espressione d’intenti, Figura 2 La città divisa: le aree con accesso alle opportunità urbane e le aree precluse a queste Fonte: Tecnical Report dell’amministrazione di Cape Town (1996) in: Vanessa Watson, Change and continuity in spatial planning, Routledge, London, 2002.
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ogni giorno sempre più aggiornati. (Marris 1996) A partire dalla metà degli anni ‘90, il processo di pianificazione metropolitana nel Cape Metropolitan Council dovette fare i conti con le disuguaglianze che la trasformazione aveva innescato e con i cambiamenti emersi dalla coalizione di colore. Questi fattori, infatti, ridefinivano il ruolo del governo locale, nonché il significato, più in generale, dello sviluppo. Nell’ottica di un governo locale inteso come entità con obiettivi ben definiti e con un approccio imprenditoriale, integrato funzionalmente (bilancio) e aperto alla gestione delle prestazioni, il piano territoriale non riusciva facilmente a trovare un ruolo ben definito. Inoltre, poiché dopo il 1996 si affermò l’idea che lo sviluppo nazionale del Sudafrica doveva porre in primo piano la crescita economica e la competitività, principalmente attraverso gli sforzi del settore privato, la retorica del ‘social welfare’ del piano metropolitano era sempre più vista come antiquata. La più grave di queste sfide proveniva dai piani economici, che rivestivano un ruolo di primo piano nella nuova idea di nazione, ma lo stesso si può dire per il piano dei trasporti, settore che aveva fatto propria l’idea di città compatta anche nel tradizionale quadro del traffico (efficiente) e della sicurezza. Si potrebbe sostenere, forse, che al di là dell’impegno della coalizione che sosteneva l’idea della città compatta, la ristretta cerchia di pianificatori era sempre stata effimera, a giudicare dalla natura della partecipazione dei gruppi delle comunità e dalle imprese organizzate nella Urban Development Commision negli anni del Forum. Al di là del MSDF La domanda che si poneva era: quale atteggiamento avrebbero dovuto assumere i pianificatori, i decisori politici e i rappresentanti delle istituzioni riguardo ai problemi che affliggevano le città del Sudafrica? La forma territoriale che caratterizzava le città del Sudafrica era stata descritta dalla World Bank Mission nel 1993 come la forma più estrema di distorsioni spaziali che non compariva in nessun altro luogo della storia moderna. Non vi è alcun dubbio che questo patrimonio spaziale imponesse costi sia pubblici sia individuali che potevano essere affrontati a mala pena. Nel periodo post-aphartheid le disparità territoriali ed economiche hanno resistito e sono diventate più complesse. Allo stesso tempo, prevaleva l’interesse per la ricostruzione e lo sviluppo, con una filosofia più favorevole all’economia del governo nazionale di passaggio. Il dibattito continuava nella letteratura, imperversando sul fatto che, nell’era della postmodernità, era realistico immaginare un intervento pubblico nelle città. Accuse erano state rivolte a coloro che ancora speravano in un miglior futuro. Tuttavia, di abbandonare ogni sforzo volto a migliorare le condizioni miserabili e degradanti
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in cui vivevano la maggior parte degli abitanti di Cape Town, sembrava completamente inaccettabile. Pur facendo attenzione a non cadere in semplicistiche nozioni riguardanti la dinamica delle relazioni sociali ed economiche a Cape Town e il ruolo che lo spazio/ territorio svolgeva in questa, pur rimanendo realista su ciò che l’intervento poteva e non poteva attuare, la natura sfaccettata e multi-culturale del problema spaziale/ territoriale a Cape Town sembrava essere un forte motivo per riaprire la questione, a livello metropolitano, sulla misura che avrebbe dovuto prendere la pianifìcazione. Le sezioni seguenti fanno emergere alcune di queste considerazioni. La mutata natura dello spazio economico di Cape Town Numerosi autori hanno sottolineato che, nell’ultima parte del XX secolo, le città in tutto il mondo sono state oggetto di importanti cambiamenti. I modelli di uso del territorio e quelli relativi alle dinamiche sociali hanno subito forti cambiamenti rispetto alla precedente città ‘moderna’ o ‘Fordista’. Nelle città sudafricane, molti elementi di questa struttura spaziale pre-esistente hanno continuato a sussistere, ma sono diventati sempre più complessi sia spazialmente sia dal punto di vista relazionale. In una certa misura questo fenomeno è derivato dall’eliminazione delle leggi razziali, ma i cambiamenti nella politica economica interna e nella struttura economica, nonché il ripristino più solido dei collegamenti tra questo paese e il resto del mondo, hanno avuto degli effetti significativi. La testimonianza delle principali città sudafricane suggerisce che la divisione e la frammentazione del territorio portava semplicemente a nuove forme e dimensioni, piuttosto che a sparire. L’economia di Cape Town continuava ad essere dominata dal settore manifatturiero, gran parte del quale era stato decentrato dall’interno dell’area metropolitana in località che offrivano maggiori siti e minori costi dei terreni. In questo senso il modello di produzione fordista era durato. Tuttavia, i settori di crescita più veloci erano il commercio e la finanza, alimentati dalla crescita dell’industria del turismo e dalla concentrazione di uffici della finanza, dell’assicurazione e della sede sociale. A crescere sarebbero stati i settori abili nel trarre vantaggi dall’esportazione (turismo, beni immobili, industrie di alte tecnologie, finanza), e quelli che avrebbero fatto proprio un modello di localizzazione dispersa. Queste dinamiche economiche hanno avuto un maggior effetto sulla distribuzione del reddito, sia settorialmente sia relativamente alla distribuzione territoriale. Prima del 1994 il Sudafrica aveva una delle peggiori distribuzioni di reddito nel mondo. Nonostante le politiche nazionali e i programmi mirati alla ridistribuzione, dopo il 1994 la situazione è peggiorata. Pertanto, le disuguaglianze permanevano, anche se il legame con le categorie razziali iniziava ad indebolirsi. Le trasforma-
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zioni nell’ambito del mercato del lavoro continuavano ad alimentare le disuguaglianze. Infatti qui, come altrove, le industrie manifatturiere e quelle minerarie vivevano un momento di difficoltà, dovuto al declino del commercio internazionale, alla rimozione di tariffe protettive e allo scambio con un’economia di esportazione diretta. A Cape Town l’industria tessile era stata colpita duramente dalla competizione internazionale. La perdita di lavoro riguardava in particolare le donne di colore, che si erano concentrate nel settore tessile e vestiario. Come risultato, la disoccupazione aumentò dal 6% nel 1980 al 19% nel 1996. Intanto il settore della finanza cresceva rapidamente, il commercio e le attività libere tendevano a creare una forza lavoro più qualificata, che generava una ricca élite, fattore che aggrava le disuguaglianze. Per molti aspetti, dunque, ma non sempre per le stesse ragioni, i modelli internazionali di polarizzazione sociale accentuavano le disuguaglianze di reddito. Questo tipo di sviluppo economico e di crescita settoriale, con le relative ripercussioni a livello di disuguaglianze e distribuzione dei redditi, si manifestava anche territorialmente. Nelle città dell’aphartheid emergevano i sintomi estremi delle esclusioni sociali e territoriali come un diretto risultato della segregazione politica razziale. Ma i modelli delle ingiustizie e delle esclusioni persistevano nel periodo post-apartheid, anche se ora potevano essere attribuiti alle disuguaglianze di reddito e alla povertà, invece che alle barriere razziali (legali). A livello generale, le divisioni erano chiare tra le zone ricche e quelle rimaste più povere. L’area metropolitana di Cape Town, più di ogni altra grande città del Sudafrica, era sempre stata altamente centralizzata in termini spaziali/territoriali. Corridoi radiali persone e veicoli nella dominante CBD (Central Business District), che ospitava la più grande concentrazione di uffici e piccole attività produttive. Il comune di Cape Town comprende ancora oggi il 40% della popolazione metropolitana ed è fonte di occupazione per più dell’80% di tutta la popolazione. Negli altri centri di grandi dimensioni, come Johannesburg e Durban, le aree urbane si sono trasformate poiché prima vi risiedevano i bianchi poi gli africani, ma il CBD di Cape Town rimane sotto il controllo della finanza e della vendita al dettaglio, e poche persone di colore hanno fatto pressione per vivere o commerciare in quest’area. Il modello spaziale è, tuttavia, all’inizio del cambiamento, con fenomeni di dispersione e decentralizzazione su terreni pubblici e privati. Nel CBD, le attività terziarie e la vendita al dettaglio sono state decentralizzate a causa del “reato sporcizia”, del traffico congestionato, e della diffusione dei parcheggi. Rimane invece la sua anima di centro turistico, di intrattenimento e sede dell’industria cinematografica. La storia dei sottocentri di Claremont e di Bellville, localizzati vicino ai sobborghi ricchi sul maggior corridoio viario, non è nuova. Il
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trend più importante e più recente è saper fare megaprogetti: complessi di grandi dimensioni, ad uso misto, dalle attività commerciali agli uffici e agli spazi per il tempo libero. Alla base, una logica di decentralizzazione a nord della città, e contemporaneamente di concentrazione di attrattive. Tali sviluppi richiamano sempre più attività commerciali al di fuori dei centri storici e dei corridoi, sollevando domande ovvie circa la fattibilità dei corridoi individuati dal MSDF. Ma mentre il processo di decentramento minava il precedente modello di sviluppo centro-periferia di Cape Town, non è riuscito a cambiare i contrasti economici tra le parti ricche e più povere della metropoli. E ‘ nelle zone più povere della città, in particolare sulla Cape Flats, che la reale ‘urbanizzazione dei sobborghi’ ha avuto luogo. Il 34% della forza lavoro di Cape Town è classificata come se fosse in servizio informale o disoccupato, e data l’assenza di un sistema di welfare, si può presumere che la maggior parte di questi sopravviva con redditi formati informalmente (lavoro in nero). Una piccola percentuale di questi posti di lavoro non in regola si trova nelle parti più ricche della città, dove la negoziazione avviene in maniera più libera rispetto ai giorni dell’apartheid, e dove le famiglie della classe media talvolta operano nelle imprese di casa. La maggior parte del reddito informale è generato nei Comuni più poveri, sulle strade, nelle case o attraverso reti di lavoro di criminali e gangster; coloro che ne sono interessati provengono da tutta l’area metropolitana e dalle aree rurali dei dintorni e nel caso degli africani si tratta di commercio di droga e armi, a livello internazionale. In queste zone povere continua a prevalere una popolazione quasi completamente africana e di colore, con limitati casi di ricchezza. Si può dire che la distribuzione territoriale del reddito e delle razze rimane praticamente intatta. Cape Town è ora caratterizzata da alcuni elementi che Soja (1995) attribuisce all’urbanistica del postmodernismo, e che nel contesto possono ricondursi alla crescente polarizzazione sociale, alla disuguaglianza e ai fenomeni di esclusione. In particolare, i tassi di criminalità sono aumentati drammaticamente, con conseguenti provvedimenti nelle aree residenziali e degli affari. I controlli agli accessi e le telecamere di sorveglianza sono diventati di routine, come nella città di Los Angeles. Inevitabilmente sono le zone più povere che sopportano il peso di attività criminali, e a Cape Town il controllo di grandi settori e delle townships è nelle mani dei gangster, che hanno reso queste zone ingovernabili. Per esempio il comune di Cape Town ha trovato sempre più difficoltà nel gestire le ‘scorte’ degli alloggi pubblici, mentre le bande si spostano nel raccogliere gli affitti delle unità collettive. Negli insediamenti baracca, i ‘signori della guerra’ raccolgono mensilmente gli affitti in cambio di protezione e organizzano attività di resistenza verso i progetti di alloggi che eliminerebbero la loro fonte di reddito.
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Vista questa complessità di relazioni, è chiaro che i modelli spaziali della povertà e della ricchezza di Cape Town non dovrebbero essere semplificati. Un esempio sta nel fatto che una significativa generazione di reddito si registra anche nella Cape Flats, spesso attraverso attività illegali. Similarmente i focolai della povertà si trovano anche nelle parti ricche della città. Questa situazione genera complessi posizionamenti territoriali di fasce di cittadini, con tagli trasversali. Secondo Graham e Healey queste nuove complessità interessano tutte le città in misura maggiore o minore, e hanno influenzato la visione dei pianificatori territoriali. “I progettisti presumono che la città sia un luogo fisicamente integrato, suscettibile all’uso del suolo e alle politiche locali di sviluppo… il compito dei pianificatori è stato quello di gestire la struttura eliminando i problemi economici, sociali e ambientali… Lo spazio, la distanza e la città, in effetti, era delineata come sforzo per determinare la forma del mondo sociale ed economico in maniera semplice, lineare, tipo causa ed effetto. L’ordine socio spaziale desiderato della città, era poi espresso e promosso in un masterplan.” Graham e Healey continuano a discutere sulla tendenza a considerare la città come unica, integrata, unitaria, oggetto materiale, suscettibile a usi del territorio locale, a politiche di sviluppo, contenitori di spazio-tempo che delimitano le attività che vanno avanti al suo interno, messi in discussione da attuali dinamiche di cambiamento. Piuttosto che una coesa struttura, la città ha infatti un molteplice circuito di rapporti con persone e attività sviluppate al suo interno e oltre; una struttura quindi, incontenibile entro una forma fisica particolare. Le relazioni tra la struttura spaziale e la forma della città, e le relazioni sociali ed economiche che si sviluppano al suo interno, sono complesse e spesso imprevedibili. Interventi concepiti in termini strettamente spaziali possono dirigere la società e l’economia; non possono fare altro che, come suggerisce Marri (I996), provvedere a una rassicurazione temporanea, indicando che la minaccia del disordine può essere contenuta e che la società sia molto più governabile. Implicazioni per la pianificazione Il processo di transizione politica ha aperto crepe di opportunità, per quanto piccole, che consentiranno margini di pensiero e azione per un futuro urbano migliore. Il pensiero post-modernista ha introdotto quella moderazione necessaria ai sogni grandiosi e irreali dei grandi pensatori utopici, ma non può escludere la possibilità, individualmente o collettivamente, che i cittadini di Cape Town possano avere un ruolo determinante nell’orientare il proprio futuro urbano. L’esperienza, sia a Cape Town che altrove, dimostra che non è difficile guadagnare il consenso sugli obbiettivi di massima secondo il programma e la visione prospet-
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tati da MSDF. Chi non condividerebbe l’idea di una città sostenibile, basata su un processo decisionale responsabile, dove gli ambienti sono sicuri e piacevoli e dove la popolazione è ricca? Questi obiettivi sono moralmente difendibili e vale la pena lottare. Ma questi obiettivi sono penalizzati dai vincoli della realtà. Il Sudafrica, dopo tutto, è una nazione povera, punta di un continente che è stato ampiamente ignorato dai flussi internazionali delle risorse. Si tratta di un Paese in cui la realtà di vita degli abitanti coincide con una disperata lotta alla sopravvivenza e dove la povertà, la criminalità e la minaccia dell’aids sono in continuo sviluppo. Come in molte altre città sudafricane, la posizione e l’attività del governo sono facilmente minacciate, e l’abilità dello stato nel gestire i processi di sviluppo viene messa facilmente in questione. In questo paese, come in tanti altri, è avvertito l’impatto delle forze globali in vari modi. Ci sono impatti sull’economia, che causano la crescita di alcuni settori e in altri il fallimento, ci sono impatti sulla distribuzione del reddito, sui modelli di consumo da parte dei cittadini. Questi fattori hanno influenzato le dinamiche spaziali delle città. Sempre più, quindi, le città e le persone sono soggette alle forze che non possono venir facilmente governate e che non sono facilmente riconducibili al reindirizzamento locale. La posizione emergente a livello di pianificazione prende in considerazione queste nuove dinamiche e propone un determinato approccio. Secondo questo approccio, una risposta alla pianificazione realistica deve partire da un’idea ben definita del ruolo dell’amministrazione sullo sviluppo sociale ed economico della città. Le implicazioni spaziali di queste idee sono di importanza cruciale, ma è vitale che questa comprensione spaziale rimanga una preoccupazione integrata piuttosto che separata. E’ importante che la pianificazione abbia ambizioni più ampie sulla ristrutturazione economica e territoriale della città, andando oltre la realizzazione a breve termine e individuando
progetti che possano gradualmente avere un
impatto sull’economia del territorio . Ciò non significa ritornare al progetto base, alla pianificazione del 1980, che si è sviluppata a partire dalla considerazione di come il più ampio spazio economico della città doveva funzionare. La visione più ampia è cruciale, come si avverte dalla natura e dall’individuazione di azioni a breve termine, ma è strategica e flessibile. E’ anche importante riconoscere che certi elementi sonoancora richiesti a una scala di intervento più ampia: i sistemi ambientali possono riguardare aree che vanno oltre la città e la regione; la sicurezza richiede interventi su un largo territorio; i trasporti pubblici richiedono sistemi più ampi di pianificazione per tener conto degli interscambi (modali); bisogna inoltre individuare il territorio su cui realizzare alloggi per le persone con un basso reddito. Gli sforzi necessari per rendere attuabili queste azioni devono essere immediati.
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Altro fattore importante è la sensibilità del contesto nel quale la pianificazione si inserisce. Progetti di trasformazione urbana. I pianificatori territoriali ed economici necessitavano di lavorare assieme per sviluppare un sistema integrato di spazio economico urbano e per identificare al suo interno un potenziale progetto di trasformazione. L’obiettivo era capitalizzare quei settori economici che mostravano segni di potenziale crescita, individuabili soprattuto nell’ambito delle attività di esportazione e delle attività connesse ai bisogni locali. Fisicamente bisognava innestare questi progetti di trasformazione urbana in luoghi ben determinati, inizialmente soprattutto all’interno delle aree di passaggio tra le parti povere e quelle ricche della città, riconoscendo che gli investimenti privati non avrebbero coinvolto le zone povere. Altro aspetto importante: i progetti di trasformazione urbana dovevano prestare particolare attenzione alla qualità dell’ambiente pubblico urbano. In questo caso riveste una particolare importanza lo sviluppo di spazi pubblici su cui impiantare strutture sociali e mercati destinati ai piccoli commercianti. La forma e la natura esatta di questi progetti non è prevedibile: non ci sono modelli predefiniti per iniziative di questo tipo: le espressioni della cultura locale e le differenze sociali devono essere considerati come elementi che orientano il disegno e il processo del progetto. Le disparità e le ingiustizie non possono essere indirizzate nello stesso modo in ogni parte dell’area metropolitana; la natura e i contenuti di ogni progetto devono essere localmente informati. Questo approccio ha importanti implicazioni sui risultati della pianificazione. E ‘chiaro che le competenze dei pianificatori si sono ampliate. C’è bisogno di capire il territorio, inteso non come un elemento variabile ma come una parte integrata della forza sociale ed economica. C’è anche un bisogno crescente, da parte dei pianificatori, di capire come intervenire sull’economia urbana, di comprendere come gli attori economici (grandi e piccoli) rispondono agli interventi pubblici, e come raggiungere la sostenibilità finanziaria. C’è bisogno inoltre di una maggiore sensibilità, da parte dei pianificatori, verso il contesto sociale su cui propongono i loro interventi. Il rispetto per la cultura locale,dunque, è essenziale. Questo approccio apre la strada alla formazione di professionisti specializzati, impegnati solamente su particolari progetti, e quindi ad un’organizzazione del lavoro attraverso dipartimenti periferici. I piani che producono sono differenti da quelli precedenti. Si tratta di progetti che nascono dall’esigenza di vedere come si evolve l’attuazione di un piano. Il prodotto finale non è ancora un documento o una mappa: sono idee, che
Figura 3 I principali siti di sviluppo completati e proposti, giugno 1998 - 1999. Fonte: Spatial Planning, Cape Metropolitan Council.
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vengono testate e raffinate, su come il progetto procede e su come la consultazione progredisce. Questo approccio influisce anche nel lavoro delle istituzioni locali e nella burocrazia. La separazione dei piani territoriali nel lavoro di più dipartimenti può importante per l’affermazione dell’identità professionale, ma non aiuta ad integrare le idee territoriali nel lavoro del governo. Mentre il lavoro di controllo sullo sviluppo può richiedere uno spazio dedicato, i pianificatori territoriali, piuttosto, si integrano nella linee funzionali dei dipartimenti. Diversità e differenze: riconoscendo il multiculturalismo Nelle città di tutto il mondo c’è stato un processo graduale di assimilazione sociale e di omogeneizzazione della disparità, che ha interessato etnie diverse e gruppi socialmente “diversi” che difendono i propri diritti e chiedono riconoscimenti. Questa politica, favorevole al riconoscimento delle differenze, ha ricevuto sempre maggiori appoggi teorici, come risultato dell’immigrazione internazionale e dell’incremento della componente multiculturale di molte città. In un contesto nel quale una sfida al sistema capitalistico dominante sembra quasi impossibile, i movimenti sociali organizzati intorno alla questione delle etnie, delle preferenze sessuali, dei diritti degli africani di colore e dei problemi ambientali si sono fatti sentire. Una politica di differenze era anche compatibile
con una visione post moderna del
mondo che respinge il singolo, che universalizza le spiegazioni e le soluzioni e che celebra le differenze, la diversità e il multiplo. Alla luce di ciò, ci si interroga sulla natura di una visione a lungo termine, che possa orientare le azioni a breve termine da attuare a Cape Town. L’etica dell’uguaglianza e della ridistribuzione richiede che gli interventi metropolitani nelle parti povere della città siano equivalenti a quelli delle parti più vecchie e ricche. Qual era, allora, il modo di agire del MSDF? Le ipotesi erano diverse così come i risvolti pratici che ne seguivano. Si tratta di questioni di estrema importanza nel contesto attuale del Sudafrica. Nel recente passato la gente di colore era soggetta a politiche secondo le quali le differenti abitudini culturali definivano gruppi politici e geografici con sviluppi differenti. Questo fatto forniva la giustificazione per la protezione dalle forme di disuguaglianza e di ingiustizia. Non è sorprendente, quindi, che i primi documenti politici del postaphartheid si enfatizzassero l’etica dell’ ugualianza e dell’eliminazione delle disuguaglianze. È tuttavia necessario adesso fare un passo oltre questa posizione e analizzare più da vicino il nostro concetto di uguaglianza. Vi è un crescente sostegno, all’interno della disciplina di pianificazione, verso una fondazione
Figura 4 Il porcesso del Metropolitan Spatial Development Framework. Fonte: Technical Report (1996) Amministrazione di Cape Town
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etica che si aggiunge al tradizionale concetto di uguaglianza: una preoccupazione sul riconoscimento della differenza. Come Foucault si inserisce in tutto questo? L’apertura del dibattito verso una serie di obiettivi di ampio respiro e moralmente difendibili sul futuro di Cape Town è un primo passo importante: senza un fondamento etico condiviso, qualsiasi via da seguire diventa problematica. Un esempio è l’esperienza dei primi anni del MSDF che ha dimostrato come gruppi e organizzazioni possono impegnarsi piuttosto prontamente, anche se la forza e la durata di tale impegno non è prevedibile. Le alleanze sono fragili, e sono facilmente contestabili o rimpiazzabili. Il pericolo maggiore della pianificazione metropolitana è soprattutto nel fatto che le risorse pubbliche e private sono concentrate in un numero limitato di progetti o di aree. (L’ampio movimento politico progressista, che Marshall nel 2000 vede come un garante degli obiettivi di ridistribuzione, non esiste a Cape Town a questo punto della transizione politica).La decisione di intraprendere questo approccio di pianificazione rappresenta un maggior rischio in questo senso, e potrebbe anche portare all’aggravamento delle disparità e delle disuguaglianze già esistenti. Pianificare, un modo di esercitare il potere Esplorare la storia del processo del MSDF ha chiaramente dimostrato che la pianificazione non può pretendere di essere un esercizio tecnico e razionale, che produce soluzioni incontestabili per inquadrare particolari problemi urbani. Con questo non si afferma che il MSDF sia irrazionale, ma che il processo di pianificazione sia stato plasmato da singoli individui, che operavano in un contesto particolare, che singolarmente o in combinazione con altri poteri determinavano un’ampia varietà di modelli, per fini personali o pubblici molto diversi. Si può affermare che questo possa essere il caso di qualsiasi processo di pianificazione. In processo di pianificazione metropolitana poteva essere ben progettato, ma offriva l’opportunità di esercitare il potere, opportunità che poteva essere contemporaneamente positiva e produttiva o negativa e sovrana (di dominio). Negli anni del Forum del MSDF molte delle condizioni a favore di un procedimento democratico sembravano raggiunte, ma gle esiti dei loro sforzi risultavano meno efficienti. Al momento, le condizioni per un procedimento di pianificazione democratico, con conseguenze eque e ridistributive, sono meno lontane rispetto ai buoni auspici del 1990, quando la minaccia di azione di dominio era di gran lunga maggiore. Questo non significa necessariamente che qualsiasi sforzo di pianificazione fosse inutile. Una normativa razionale avrebbe fornito gli ideali per i quali valeva la pena lottare ma era una guida povera per ottenere una strategia ideale. Foucault richiama alla nostra attenzione la necessità di concentrarsi sulle relazioni
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di potere e controbattere le relazioni di dominio. Essere attenti al potere, quindi, dando sostegno alle sue forme produttive e positive, e monitorando invece quelle negative, diventando così elementi importanti dell’attività di pianificazione e di quei pianificatori seriamente impegnati nell’azione etica. Non spetta, tuttavia, solo ai pianificatori e ai professionisti fare questo. L’idea di Focault non ha solo il potenziale per essere una tecnica di analisi, ma è pensata anche in relazione alle azioni pubbliche. Una questione finale che sussiste riguarda le tattiche e le strategie per contrastare le forme negative di potere. Focault rifiuta l’idea di generalizzare i ruoli e i criteri che guiderebbero le azioni in queste circostanze, sostenendo invece che le tattiche dipendono dal contesto. Se, quindi, i processi di pianificazione che coinvolgono Cape Town portano a riflettere sul passato, su come le forze di potere hanno determinato la pianificazione della città fino ad oggi, e su come il potere si manifesta in vari modi, sia positivi che negativi, la conoscenza potrebbe rendere più proficua l’attività su ciò che resta ancora da fare. Cronologia - 1988 METPLAN sub-comitato ( Inestigating Land for Future Housing for the Low Income Group)) riceve una relazione della sua consulente ma decide di rinviare la presa di una decisione fino all’incontro di giugno del 1989. - 1989 Giugno: prima riunione dei funzionari della pianificazione per discutere una possibile - strategia di sviluppo regionale, svoltosi presso gli uffici del Regional Council Services. - 1990 Nelson Mandela viene liberato dalla prigione. - 1990 Giugno: workshop su una nuova direzione per la pianificazione metropolitana, convocato dal Regional Council Services. - 1990 ottobre: prima riunione del ricostituito Regional Development Strategy Steering Committee. - 1991 Giugno: la conferenza di Caledon, a cui hanno partecipato le communità, le associazioni e le organizzazioni politiche della Cape Town, così come i funzionari della pianificazione locale. L’obiettivo è di avviare un processo di partecipazione nel futuro della - pianificazione metropolitana. - 1991 Novembre: accordo a livello nazionale tra i principali partiti politici per avviare i negoziati per la condivisione del potere. - 1992 Dicembre: il lancio del Western Cape Economic Development Forum. I pianificatori metropolitani si trovano sotto il Forum’s Urban Development Commis-
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sion. - 1994 Aprile: prime elezioni democratiche in Sudafrica. - 1995 Gennaio: il processo di pianificazione metropolitana trasferito sotto la - controllo del Regional Council Services. l Forum si scioglie. - 1995 Il progetto del Metropolitan Spatial Development Framework è diffuso - In altri dipartimenti governativi per un commento. - Marzo 1996: il governo nazionale adotta la sua nuova politica (neo-liberale) macroeconomica, GEAR. - Maggio 1996: prime elezioni governative democratiche locali di Cape Town, formano il Cape Metropolitan Council e sei comuni. - Giugno 1996: vengono rilasciate le copie del documento-Metropolitan Spatial Development Framework (MSDF) - Dicembre 1996: lancio pubblico del MSDF. - 1997-1998 MSDF distribuito ai Comuni e al pubblico per per un commento in vista al piano legale. - Dicembre 1997: Cape Metropolitan Council avvia un primo tentativo per - la preparazione di un Integrated Development Plan (IDP). - 1998 I funzionari della pianificazione del Cape Metropolitan Council cominciano a lavorare alla preparazione di un progetto di un piano legale. - 1999 Aprile: il (Draft Statuory MSDF è sottomesso al Ministero Provinciale per approvare i termini del Land Use Planning Ordinance. - 2000 Gennaio: inizia la pianificazione per il prossimo turno della riorganizzazione del governo locale, coinvolgendo la trasformazione dell’autorità metropolitana e i sei comuni in un’unica ‘unicity’. - 2000 Settembre: il MSDF Coordinating Working Group tiene la sua ultima - riunione. in cui vengono riportati i soli fini e principi del MSDF che verranno presentati alla legislazione - 2000 Dicembre: elezioni comunali, inaugurando la nuova ‘unicity’. Abbreviazioni: - ANC African National Congress - CAHAC Cape Areas Housing Action Committee - CBD Central Business District - CMC Cape Metropolitan Council - CODESA Convention for a Democratic South Africa - COSATU Congress of South African Trade Unions
Figura 5 Diagrammi concettuali di: corridoio, bordo urbano e bordo costiero. Fonte: Vanessa Watson, Change and continuity in spatial planning, Routledge, London, 2002.
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- GEAR Growth, Employment and Redistribution - IDASA Institute for a Democratic Alternative in South Africa - IDP Integrated Development Plan - LDO Land Development Objective - LUPO Land Use Planning Ordinance - MDF Metropolitan Development Framework - MDFCWG Metropolitan Development Framework coordinating WorkingGroup - METPLAN Metropolitan Planning Agency - MOSS Metropolitan Open Space System - MSDF Metropolitan Spatial Development Framework - MSDFCWG Metropolitan Spatial Development Framework coordinatingWorking Group - MSDF-SWG Metropolitan Spatial Development Framework Statutory Working group - NGO No governmental Organization - NSMS National Security Management System - PDF Progressive Development Forum - RDP Reconstruction and Development Programme - RSC Regional Services Council - SACP South African Communist Party - SANCO South African National Civics Organization - SWOT Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats - TMS Transitional Municipal Structures - UDC Urban Development Commission - UPRU Urban Problems Research Unit - WCCA Western Cape Civics Association
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Disegno politico di una metropoli Programmazione partecipata di una città multi culturale
2 2.2
Come già accennato nel capitolo 1.1 (“Storia di una nazione euro-africana”), durante gli anni dell’apartheid il governo Sudafricano aveva reso impossibile qualsiasi forma di partecipazione alla vita politica per la popolazione non bianca. Era un modello di segregazione istituzionalizzato dal punto di vista legislativo, in cui lo Stato controllava e opprimeva la popolazione di colore e il suo sviluppo, mentre mirava a favorire solo la razza bianca. Oltre ed essere precluso qualsiasi diritto alla popolazione non bianca, era prevista la spoliazione stessa del territorio (vedi ad esempio Il Native Land Act del 1913), regolando l’accesso al lavoro (per esempio con il Mines and Work Amendment Act del 1926) fino ad arrivare, con la costruzione politica del Grand apartheid (dopo la vittoria alle elezioni, da parte del National Party tra il 1948 e il 1955), all’allontanamento dai nuclei cittadini e alla segregazione in riserve di contenimento, le township. Tutto l’impianto normativo, sociale ed economico, per anni ha sorretto questo regime che, per quanto deprecato, osteggiato e motivo di restrizioni da parte dell’ONU, ha garantito il benessere della popolazione bianca. Negli anni ‘80 iniziarono a nascere organizzazioni (innanzitutto il COSATU, Federazione dei Sindacati Uniti Africani) che diventarono punti di riferimento nella lotta contro l’apartheid. La ribellione “morbida” (nonostante gli innumerevoli scontri violenti) promossa da Mandela portò il caso Sudafrica sotto gli occhi del mondo, contribuendo a preparare il clima per il dialogo. Tutto questo, insieme ad una convergenza economica non più favorevole al regime sudafricano, indusse il governo De Klerk a decretare la fine dell’apartheid nel 1990. Venne quindi promosso un periodo di transizione, periodo di confronto e concertazione guidata dal premio nobel Nelson Mandela, che portò tutto il Paese alle libere elezioni del 1994. Il nuovo Sudafrica Democratico vide l’approvazione della nuova Costituzione nel 1996. Tra i sentimenti ispiratori di questa carta, emerge una marcata volontà di condivisione di diritti, valori e libertà tra tutta la popolazione, considerata indistintamente uguale, così come sancito principalmente dall’articolo 1: <<La Repubblica del Sudafrica è uno stato unitario, sovrano e democratico, fondato sui seguenti valori: a)la dignità umana, il perseguimento dell’uguaglianza e l’avanzamento dei diritti umani e delle libertà; b)il rifiuto delle discriminazioni razziali e di genere;
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c)la supremazia della costituzione e dello stato di diritto; d)il suffragio universale, un unico registro elettorale, elezioni regolari in un sistema di governo democratico multipartitico, al fine di assicurare responsabilità, capacità di dare risposta alle sollecitazioni provenienti dal basso e trasparenza>> e dall’articolo 3: <<Esiste un’unica comune cittadinanza sudafricana Tutti i cittadini : godono dei medesimi diritti, privilegi e benefici derivanti dalla cittadinanza; sono egualmente soggetti ai doveri e alle responsabilità derivanti dalla cittadinanza L’acquisizione, la perdita e il riacquisto della cittadinanza sono regolate dalla legge nazionale>> II nuovo sistema si basa sul suffragio universale, sulla separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, su un graduale trasferimento di poteri al livello locale e sulla difesa dei diritti civili, politici, individuali e collettivi, senza alcuna forma di discriminazione. Dopo anni di ingiustizie, in cui il potere era nelle mani di pochi, il governo ha cercato di identificare gli interessi comuni a tutta la popolazione, al fine di forgiare una nuova base di consenso sociale, che fosse in grado di ristrutturare la società su fondamenta egualitarie. Ma proprio perché il governo si sentiva in debito e quindi in obbligo di riscatto verso la popolazione di colore, ora, quasi eccessivamente, tendeva a renderla partecipe di ogni processo del sistema amministrativo e di ogni fase della vita politica. La transizione si è dunque fondata su principi di riconciliazione che dovevano rimpiazzare qualsiasi idea di conflitto. Le basi su cui si era costruita storicamente la società del Sudafrica dovevano essere sostituite da un modello che includesse tutta la popolazione. Il Sudafrica si è trovato di fronte a una sorta di eccessiva volontà di trasparenza, di condivisione, che se sul piano politico assumeva forme di democrazia, gestibili sia a livello nazionale sia locale, nelle valutazioni fatte nel paragrafo 2.1- “Prospettive e contraddizioni di transizione”, hanno reso piuttosto difficoltoso e a volte tecnicamente poco autorevole la stesura dello Spatial Development Framework.
Figura 1 La struttura del Western Cape Economic Development Forum e la Urban Development Commission. Fonte: Vanessa Watson, Change and continuity in spatial planning, Routledge, London, 2002.
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I principi dell’uguaglianza e della partecipazione, basati su un approccio libero e democratico, si ripercuotevano infatti nel campo della pianificazione territoriale, consentendo a tutta la comunità di intervenire nella pianificazione. Quindi, fino al 1994 e anche oltre, in parallelo al sistema amministrativo metropolitano che era nelle mani del governo, iniziarono ad agire una serie di organizzazioni che proponevano nuove iniziative. Tra questi organismi il WESGRO, un organismo istituito per promuovere l’investimento economico e gli interessi delle imprese nel Western Cape con lo scopo di fornire una visione economica e una strategia per la città, attraverso un processo partecipativo. Poi c’era la Urban Fondation, un organismo nazionale istituito dal settore privato, che aveva promosso politiche di sviluppo urbano secondo i principi del libero mercato. La nascita di queste organizzazioni segnava l’inizio del tentativo della programmazione partecipata: prevedevano la massima trasparenza e sottoponevano inderogabilmente la pianificazione regionale, comunale e dei singoli distretti, non solo alle osservazioni popolari, ma ad una vera e propria legittimazione da parte della cittadinanza. In questo periodo viene palesata dal Regional Council Services la preoccupazione
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quindi si istituì il Western Cape Economic Development Forum. L’inserimento del processo di pianificazione metropolitana nei lavori della Commissione dello Sviluppo Urbano del Forum apportò un contributo importante a supporto dell’idea di un sistema integrato, di un modello di città compatta. Lo stesso Forum era costituito da una vasta gamma di gruppi, uniti da ciò che era percepito come una preoccupazione comune per il futuro sviluppo dell’area metropolitana. Anche se il comitato (Forum) aveva l’intenzione di coinvolgere in maniera paritaria le organizzazioni legali e non, affinché prevalesse un approccio libero e democratico, lo squilibrio in termini di risorse e di capacità tra i membri legali e non rendeva la struttura non appropriata. La difficoltà vissuta dai cittadini, dai sindacati e dai membri dell’opposizione politica, nella partecipazione alle riunioni e ai seminari, e nel comprendere e rispondere alle relazioni tecniche, riduceva inevitabilmente la loro capacità di esercitare il potere nel processo di pianificazione. Inoltre il progetto di città era rallentato notevolmente per la riorganizzazione degli enti e del personale, e per l’elevata sostituzione del personale. Nuovi e spesso inesperti consiglieri locali discutevano e proponevano modifiche di problematiche urbane, molto tecniche e strategiche non di loro competenza. Si era alterato anche il rapporto tra l’autorità metropolitana e le nuove municipalità. Quindi venne introdotto il concetto dello sviluppo integrato di pianificazione sulla base di un coordinamento attraverso la partecipazione cittadina preventiva. Concretamente, il nuovo percorso della pianificazione si centrava sulla nozione di un governo di sviluppo locale in relazione agli obiettivi nazionali. Proprio per questo motivo i pianificatori territoriali ed economici necessitavano di lavorare assieme per sviluppare un sistema integrato di spazio economico urbano e per identificare, all’interno di questo, un potenziale progetto di trasformazione urbana. Come abbiamo visto, in questa fase di transizione l’inadeguatezza amministrativa (con il rallentamento del sistema) aveva fatto perdere importanza allo stesso corpo amministrativo. Finalmente, dopo molti anni di tentativi, la città provvide con uno strumento normativo e di pianificazione, lo Spatial Development Framework (SDF), a guidare e gestire la crescita urbana, equiparando gli interessi concorrenti per lo sfruttamento del territorio e prevedendo una pianificazione a lungo termine che potesse dare
Figura 2 Il lancio pubblico del MSDF Technical Report nel 1996. Fonte: fotografia di S. Pheiffer, Cape metropolitan Council, in V. Watson, Change and continuity in spatial planning, Routledge, London, 2002.
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di doversi confrontare con decisioni di importanza strategica e altamente tecnica e specialistica, con delegati amministratori. I progettisti del Regional Council Services non potevano più operare liberamente, ma dovevano chiedere consenso alle comunità, spesso non preparate a recepire e commentare il complesso lavoro. Nonostante il bisogno manifestato da parte delle comunità di pianificare una città nel suo complesso, il Regional Council Services, sotto la guida di Theunissen, presentò dei lavori sulla base di una struttura subregionale. Dopo le prime esperienze dei vari forum, l’amministrazione di Cape Town si rese conto che diveniva a questo punto indispensabile che la pianificazione urbana facesse parte di un contenitore che comprendesse tutti i dipartimenti, in modo da coordinare e interpretare in modo strategico ed efficace la volontà espressa dal popolo. Ma ci si rese conto del problema e con il Metropolitan Development Framework (MDF) si tentò di proporre un piano globale post apharteid. Finalmente, dopo anni di segregazione, il governo tramite il Regional Council Services si impegnò nel mantenere contatti con tutte le comunità; a tal proposito venne istituito un organo rappresentativo delle comunità (Progressive Development Forum), e ci si rese conto che affrontare la questione della gestione del processo di partecipazione
era un problema non secondario
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forma e struttura alla città. Nella messa a punto dello SDF si cercava di garantire un costante interscambio con i distretti metropolitani, con strategie di condivisione dei differenti dipartimenti, rendendo la pianificazione integrata e partecipata. In particolare, le normative nazionali e regionali sottopongono il processo di pianificazione a tre fasi di partecipazione, secondo un preciso schema: - Fase 1. Il governo attua il coinvolgimento pubblico attraverso 23 sottoconsigli di zona. Le proposte della prima consultazione (2008) sono: attivare il processo di pianificazione, coinvolgere i cittadini e tutte le realtà interessate, rilevare le richieste e le osservazioni degli esponenti del distretto. - Fase 2. Si affronta il problema dello spazio urbano, quindi la relazione tecnica SDF presta particolare attenzione agli emendamenti proposti per definire il margine della città, per il bordo costiero e per la strategia di densificazione. La proposta del piano distrettuale SPD si sofferma in particolare sull’enviromental management frame work (EMF), sul frame work concettuale, sule nuove aree di sviluppo e sulla ristrutturazione urbana. - Fase 3. Il coinvolgimento pubblico avviene dopo che la seconda stesura, rivista e corretta, dello SDF e dello SDP distrettuale hanno ottenuto un primo avvallo da parte degli organi provinciali preposti alla loro approvazione. L’intera pianificazione deve comunque sottostare alle normative nazionali e alla carta costituzionale. Si sottolinea l’importanza, sentita dal governo, di istituire un programma di gestione della crescita, che fornisca una piattaforma per l’attuazione della pianificazione, un programma da sviluppare in collaborazione con tutte le sfere di governo, dai comuni limitrofi alle comunità. Se analizzato tenendo conto dei principi della pianificazione, questo processo ha ottenuto degli ottimi risultati, ma i singoli piani di distretto (SPD) rispecchiano, per quanto mediato dalle capacità tecniche dei progettisti, una volontà di crescita indipendente e slegata dai principi generali, legata più alle esigenze espresse dai singoli consigli di quartiere. Per semplificare i processi di riqualificazione, lo sviluppo dei distretti periferici attraverso lo Zoning Scheme (CTIZS) coordinato al LUMS (Land Use Management System) dovrebbe mirare a: a. integrare i diversi sistemi di gestione del territorio e le politiche di sviluppo in un unico sistema armonico; Figura 3 Immagine di un area pedonale in prossimità di un Business Centre
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b. garantire l’autonomia decisionale ai distretti. c. fornire supporto tecnico, normativo e uniformare le modalità di gestione degli uffici locali. d. consentire la consultazione telematica di tutta la documentazione sia da parte dei fruitori esterni, che agli uffici locali L’attuale pianificazione si confronta però con la scarsità di risorse necessarie ad attuare gli obiettivi previsti. Infatti ai fattori strutturali (come la difficoltà di far fronte alla manutenzione delle infrastrutture esistenti e l’impossibilità di realizzarne nuove, necessarie alla continua espansione) si aggiunge l’imperativo di garantire la sussistenza e la dignità, costituzionalmente auspicata, degli abitanti delle township. Il governo non ha ancora dimostrato di avere polso per affrontare il problema del dilagante abusivismo edilizio, che oltre ad intaccare il centro metropolitano, contribuisce ad alimentare l’inarrestabile sconfinamento della città. Questo atteggiamento tollerante potrebbe essere giustificato considerando l’eredità scomoda del periodo segregazionista, quando veniva negata la cittadinanza agli africani e si progettavano aree urbane destinate ai non bianchi (township). Oggi l’obiettivo resta quello di evitare grandi concentrazioni di edilizia sovvenzio-
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nata, promuovendo invece una maggiore eterogeneità tra le classi di reddito che andranno ad abitare in un dato quartiere, tentando quindi di correggere gli squilibri storici dell’edilizia residenziale. Bisogna frenare perciò l’iniziativa del settore immobiliare privato che mira soprattutto ad una fascia di reddito medio-alta e bisogna colmare un vuoto importante nel mercato immobiliare, fornendo soluzioni abitative a prezzi accessibili. Ecco il perché, quindi, dei programmi adottati da alcune città, che propongono e attuano una serie di misure che sostengono o inibiscono lo sviluppo immobiliare in determinate località. Si tratta di provvedimenti di natura economica/ amministrativa/normativa/finanziaria, che consistono ad esempio nell’adozione di una tassa di proprietà che supporti un determinato investimento e ne penalizzi altri. Nessun nuovo sviluppo urbano viene consentito, ad esempio, nel settore minerario, nelle servitù (linee elettriche, stradali, ferroviari, ecc), nelle zone industriali, nello smaltimento dei rifiuti solidi e delle acque reflue, nei siti destinati ai cimiteri. Inoltre, lo sviluppo urbano che si svolge nelle vicinanze del CTIA e degli altri aeroporti all’interno dell’area metropolitana di Cape Town, deve avvenire nel quadro delle restrizioni imposte dal governo nazionale (il ministro dei Trasporti) sull’uso del suolo nelle zone di rumore degli aeroporti. Criteri per le priorità di sviluppo Fase 1 -Capacità delle infrastrutture esistenti per tutti/maggior parte dei servizi. -Le infrastrutture hanno urgente bisogno di essere riabilitate e/o aggiornate. -Nuove capacità devono essere create per affrontare rischi ambientali e alla salute. -Gli investimenti di capitale sono impegnati contrattualmente, e saranno concretizzati entro un periodo breve di tempo. Fase 2: - Capacità delle infrastrutture già esiste per alcuni servizi. - L’infrastruttura ha urgente bisogno di essere riabilitata e/o aggiornato. Gli investimenti di capitale sono impegnati per contratto ma saranno concretizzati entro alcuni anni. Fase 3: - Nuove aree di sviluppo che sono una logica espansione della rete di infrastrutture, allineate con le tendenze di sviluppo dei piani di crescita della città.
Figura 4 Mercato improvvisato in una delle aree riqualificate del centro urbano
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Disegno politico di una metropoli Il tentativo di formare una città metropolitana compatta
2 2.3
Alla fine degli anni 80 gli eventi nelle zone più povere di Cape Town cominciano a dimostrare che la pianificazione, (come strumento per la gestione separata dalla città della gente coloured), e la segregazione razziale, stavano diventando sempre meno efficaci. Il potere esercitato da un numero crescente di abitanti delle Township, nel loro sforzo di rivendicare il suolo urbano, e dalle organizzazioni squatters dirrompe in proteste, in manifestazioni che invadono non solo le periferie, ma anche il centro cittadino di Cape Town. Il Regional Services Council, nato nel 1985 con l’intento di rafforzare la difesa della supremazia bianca e di rinforzare con progetti urbanistici strategici la “tranquillità” dei distretti e delle città minacciate dai disordini, riuscì a rallentare, a riportare all’interno delle Township le rivolte, separandole con assi stradali ad alto scrorrimento dal resto della città, innalzando recinzioni e limitando a pochi se non ad un unico accesso la permeabilità con il resto della popolazione. L’idea che i gruppi razziali dovessero rimanere separati seppur contestata ed in parte condivisa da alcuni settori governativi locali, era comunque ancora ufficialmente sancita dalla legislazione del governo attuale. Mantenendo oramai in modo del tutto anacronistico già che la commissione della British Barlow del 1940 che vincolava entro ai limiti storici la crescita delle dimensioni delle grandi città (quello di Londra in particolare) e di orientare lo ‘sconfinamento’ di popolazione di nuove città al di là della frangia urbana, viene strategicamente impiegato dalle città del Sudafrica per emarginare le popolazioni non bianche, Cape Town creò una città riserva (punto di deconcentrazione) dove convogliare le popolazioni di colore, asiatiche e colored immigrate verso le prospettive economiche della città a nord est del nucleo urbano. La povertà di queste riserve non permise alle popolazioni di autogenerare strutture economiche, produttive ed economiche di autosussistenza. Senza contare che per sopravvivere dipendevano sempre di più dal centro cittadino volutamente lontano 45 km dagli insediamenti degli immigrati. Il Piano Guida del 1988, che si basava sul concetto multinodale del 1975, ribadisce, quasi come speranza ossessiva, che la crescita futura urbana avrebbe dovuto accogliere al di fuori dei confini di Cape Town una serie di punti di deconcentrazione. Non considerando le precedenti esperienze ma perseguendo la strategia dell’allontanamento, in aree sempre più esterne, prive di infrastrutture e dalle dimensioni ragguardavoli. Queste riserve, divennero inesorabilmente baraccopoli stanziali – Township – con tenori di vita al di sotto dei minimi esistenziali, prive di ogni tipo di servizio, dove la parte di popolazione occupata (quasi sotto forma schiavistica) nella città, si trovava a dover percorrere 40 o 50 chilometri per poter raggiungere i luoghi di lavoro. A causa delle condizioni precarie e degradanti dei soggetti che seppur sottopagati contribuivano alla gestione
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della città, nascono differenti forme di abusivismo, parassitismo e occupazione di fabbricati in disuso più vicini al luogo di lavoro. Il dilagante fenomeno dell’abusivismo, l’impossibilità di contenere i disordini all’inteno delle riserve ed anche la percezione degli amministratori che qualcosa stava cambiando, pone le basi, seppur ancora in embrione, per arrivare ad una nuova concezione di sistema urbano. Ci si rende conto che oramai è necessaria una ristrutturazione spaziale della città per ottenere degli spazi integrati, compatti, e ad alta densità, in quanto l’eccessiva diffusione e frammentazione non era più sostenibile, troppo dispendiose le infrastrutture capillari e non sufficienti le arterie di penetrazione alla città. Come già scritto De Tolly presidente al METPLAN (Metropolitan Planning Agency), nel 1988, ipotizza la necessità di agire a livello regionale, e non solo a livello comunale, in quanto le problematiche esterne alla città di Cape Town non potevano essere ignorate, propone quindi una definizione di città che esca dai confini politici e contempli la ricomposizione spaziale e la gestione compatta ed efficiente di tutta l’urbanizzazione regionale. Questa affermazione, sottointende che oramai, per la sopravvivenza della stessa città di Cape Town, erano diventati anacronistici ed insostenibili i modelli di allontanamento, segregazione e dispersione perpetrati
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negli anni più bui dell’apartheid. Nel 1990 Theunissen nel tentativo di interpretare correttamente il concetto di piano regionale e città compatta, redige una serie di piani submetropolitani che coprivano l’intera area del Regional Services Council; credendo che incastrando tutta una serie di piani sub regionali, si sarebbe potuto produrre un piano generale metropolitano; piano che per la natura stessa delle analisi iniziali (strettamente legate alle esigenze di ogni singolo distretto) si concretizza in una sorta di peckwork difficilmente sovrapponibile e coordinabile per infrastrutture, servizi e soprattutto per una visione metropolitana della regione. L’inasprimento della violenza nelle township convinse il gruppo coordinato da Roelof che il nodo centrale delle rivendicazioni sociali, risiedesse nella struttura fisica urbana che localizzava le persone più povere al limite estremo della città, ben distanti dai servizi, dai posti di lavoro, mentre le strutture erano state concentrate nel centro storico della Cape Town. Questa presa di coscienza urbanistica convinse il gruppo di progettisti a considerare il problema della struttura fisica sbagliata e inefficiente dal punto di vista spaziale, questo gruppo perseguì la visione di uno scenario di Cape Town come città compatta, che opera come un sistema integrato, che funziona bene solo a livello di minimo comune denominatore. Secondo questo gruppo le misure da prendere, per far fronte a questo problema, consistevano nel limitare l’espansione tramite una rete regionale di alberi da piantare sistematicamente (cintura verde), una compattazione e una densificazione dello sviluppo, promuovendo la nascita di un sistema lineare di collegamenti e di trasporto pubblico; concetti già presenti nella letteratura internazionale riguardo l’approcio della città compatta. Affermato l’assunto che i problemi di pianificazione di Cape Town non erano dovuti alle dimensioni e alla crescita ma alla sua struttura fisica ed alla sua bassa densità, il Regional Services Council con De Tolly considerava però imprescindibili altri fattori, ritenendo che la crescita della regione, dipendesse anche da altri sei parametri: - spaziale - economico - ambientale - sociale - giuridico - istituzionale Allo stesso tempo la ricerca accademica dell’Università di Cape Town, avevano introdotto con il loro pensiero termini come integrazione, onecity (città unica)
Figura 1 Insediamento tipico della periferia di Cape Town per la media borghesia bianca
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e ridistribuzione, legittimando e consentendo ai progettisti di utilizzare questi concetti (pur essendo ancora sotto al regime dell’apartheid) con la garanzia di operare sotto ad una forma di tutela ufficializzata. A questo punto i progettisti sono pronti a far accettare ai politici l’esistenza del problema spaziale di Cape Town non solo nella sua dimensione eccessiva, ma che tale dimensione eccessiva scaturiva proprio dalla deconcentrazione in nodi razziali, quindi palesando un nuovo concetto di dimensione spaziale, che se è vero che la città è troppo estesa a causa degli allontanamenti razziali, la soluzione è quella di procedere verso una ristrutturazione spaziale interna alla città, ed estesa alla ragione, per ottenere degli spazi integrati, compatti, sostenibili e socialmente stabili. In questo contesto e con questa filosofia viene indetto il primo forum della Urban Development Commission che apportò un contributo importante a supporto dell’idea di un sistema integrato, di un modello di città compatta, oltre al necessario inserimento del processo di pianificazione in un’ottica metropolitana allargata a tutta la regione. Forum che si inserisce opportunamente nel periodo fra il 1990 e il 1994, quindi senza le indicazioni politiche di regime, e con la libertà di non avere ancora una rappresentanza politica legittimata. Per perseguire questa teoria, il forum dovrà ora confrontarsi con le strutture regionali che presiedono ai singoli progetti di pianificazione, dovendo quindi cercare di allargare quelle compagnie che sostinevano l’idea della città compatta oltre i confini della municipalità cittadina. Questo tentativo all’inizio non trovò molto riscontro, i vecchi piani di distretto resistevano ancora negli scenari regionali, e l’accordo condiviso dal forum di Cape Town, lo era solo sulla definizione e analisi del problema spaziale, ma non lo era affatto sui principi e sugli obiettivi che dovevano guidare il nuovo piano, rendendo debole e poco convincenti gli scenari proposti. La nuova carta costituzionale e la nuova amministrazione politica, fanno propri i problemi come i lunghi e costosi viaggi dovuti alle distanze dal lavoro, nonché ad uno sviluppo urbano tentacolare e frammentato, facevano parte della quotidianità dei poveri abitanti di Cape Town, e gli obiettivi come l’integrazione e l’equità coincidevano con la retorica della politica entrante. La Technical Report del 1996, rappresenta lo strumento con cui viene costruito il concetto di città compatta. Relazione che incentra i discorsi relativi alla pianificazione territoriale e alla città compatta sulle strutture territoriali che si dovevano adattare ai bisogni economici contemporanei. Il concetto di città compatta, integrata ed equa, come antidoto a quella segregata, Figura 2 La dispersione urbana aggredise parte del parco nazionale delle Table Mountain
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(città apartheid), ha dimostrato di essere influente: ha trovato la sua strada negli sforzi della pianificazione territoriale in molte delle principali città del Sudafrica, e nei piani legislativi nazionali. I nuovi concetti intorno alla forma territoriale si sono dimostrati quindi utili e percorribili per i progettisti pur nella pratica dovendo sottostare ad una progressiva perdita di competenze e potere a favore di istanze politiche e sociali; istanze ora accolte e a volte sovraesposte dalla nuova politica dell’uguaglianza e della partecipazione popolare. Questo nuovo assetto di estrema concertazione, portò a porre veti, richieste, non sopiti rancori sulla gestione di buona parte dei territori, sulle politiche di rinnovamento ed anche sulle limitazioni dell’espansione rurale auspicata dai pianificatori. Senza contare che in modo molto veloce e non regolamentato, l’assetto economico e sociale della città si stava modificando e si andava delineando una struttura spontanea ancora più complessa nella sua gestione. Un nuovo modello di localizzazione dispersa si era sviluppato in concomitanza alle dinamiche economiche della città (il settore manuffattiero, che dominava l’economia della città, si andava a sviluppare nelle zone decentrate della metropoli, dove i costi dei terreni erano inferiori rispetto a quelli delle zone centrali), che a loro volta
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influenzavano la distribuzione del reddito sia settorialmente che spazialmente. Ormai erano sempre più chiare e ben distinte le zone ricche da quelle rimaste più povere della città, povertà che risiedeva all’interno della città, e non nelle Township. Se le zone più povere, erano centro di attività criminali, dove il controllo delle TownShips era nelle mani dei gangster, avevano reso queste zone ingovernabili, similarmente i focolai della povertà si trovavano anche nelle parti ricche della città, dove la popolazione senza fissa dimora stava crescendo sopravviveva nelle strade. Sia le attività economiche ufficiali che abusive ed improvvisate, erano distribuite in maniera dispersa nella città. Se i pianificatori continuano a discutere sul concetto di una città metropolitana integrata ed unitaria, le diverse attività, le diverse politiche di sviluppo mettono in discussione e rallentano il processo di approvazione del piano, la città caratterizzata da un molteplice circuito di rapporti di persone e di imprese diventa sempre più incontenibile entro una forma fisica particolare. Le relazioni tra la struttura spaziale e la forma della città, e le relazioni sociali ed economici che operano al suo interno, sono complesse imprevedibili e soprattutto rapidamente mutevoli. Se il piano non viene legittimato, lo sviluppo a bassa densità, la frammentazione che ha prevalso a
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Cape Town negli gli ultimi 40-60 anni, la maggior parte del territorio entro i confini della città - e oltre l’attuale bordo urbano – saranno saturare entro pochidecenni. Infatti storicamente, l’entità fisica di Cape Town è cresciuta del 40% tra il 1985 e il 2005. Se dal 1977 al 1988, la città si è sviluppata con una media di 701 ettari l’anno, ora si sviluppa ad un tasso medio di 1.232 ettari l’anno (quasi il doppio delle precedenti medie). La richiesta di nuovi territori al di fuori dal limite urbano aumenterà, e i pianificatori sono consapevoli che la città metropolitana dovrà agire fermamente, opporsi proponendo un adeguato assetto del territorio e non negoziare con ulteriori richieste. Questo deve esser sostenuto anche dal fatto, che l’attuale difficoltà di far fronte ad una manutenzione necessaria alle infrastrutture esistenti, dovuta alla mancanza dei necessari investimenti economici, dimostra che non si riuscirebbe a realizzare nuove infrastrutture (necessarie per un’ulteriore espansione della città). La situazione è oltretutto aggravata da una carenza di stanziamenti economici necessari alla gestione programmate delle strade, delle acque piovane, dell’acqua potabile, delle acque reflue e delle infrastrutture di trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi. L’impatto di questa mancanza di investimenti è particolarmente pronunciato nelle parti più vecchie della città, e nei trasporti, nella rete dello smaltimento delle acque piovane e delle acque reflue. Gran parte delle strade richiedono manutenzioni urgenti, mentre molte degli impianti di depurazione sono in funzione oltre la capacità, e sono soggetti a guasti (con gravi impatti ambientali). La diminuzione delle superfici di captazione del terreno (dovuta alla costruzione di nuovi edifici, strade private e posti auto) sta incrementando la capacità di deflusso delle acque piovane, insieme alla scarsa qualità delle acque meteoriche, sconvolge il ciclo naturale dell’acqua. Anche il sistema di trasporti pubblici in una città caratterizzata dalla frammentazione urbana, dalla monofunzionalità d’uso del territorio, e dalla bassa densità residenziale risulta inadeguato. Le persone che vivono in periferia (spesso a basso reddito) hanno costi di trasporto molto elevati. La situazione derivante dagli scarsi investimenti nell’infrastruttura ferroviaria, dei treni, dei bus, dalla mancanza di regolamentazione del settore dei taxi, porta a trasporti pubblici di scarsa qualità, insicuri e sovraffollati. Le strutture e infrastrutture per il traffico pedonale (a piedi e in bicicletta) sono assolutamente insufficienti. Questi utenti risultano quindi vulnerabili e sempre più a rischio a causa della scarsa sicurezza stradale.
Figura 3 Quartiere residenziale per la borghesia
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Inoltre Cape Town si trova ad affrontare l’aumento della congestione stradale negli orari di punta dovuti allo spostamento di lavoratori e studenti (spesso proveniente da molti chilometri di distanza) che si concentrano nelle prime ore del mattino e nell’orario di rientro pomeridiano congestionando i nodi principali e causando un rallentamento che si protrae per tutto il giorno. L’aumento della circolazione di merci su strada rende la situazione peggiore. La congestione del traffico spreco di tempo e di denaro, diminuisce le prestazioni economiche, aumentando l’inquinamento dell’aria con emissioni di gas nocivi in atmosfera. Da aggiungere che la futura direzione di crescita della città nel territorio, limitata dalla presenza di barriere geografiche come l’oceano, e le montagne, sarebbe portata (se spontanea e non regolamentata) verso zone destinate attualmente a lavorazioni pericolose e rumorose (discariche e areoporti). Lo sviluppo compatto, la gestione della crescita urbana, e la tutela dei fondamentali beni naturali sono l’unica soluzione sostenibile. Nuovi sviluppi non potranno essere né praticabili né sostenibili perché non sarà possibile incrementare le infrastrutture di servizio in modo così ramificato e soprattutto a favore di utenze disseminate in modo così disperso nel territorio.
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Il futuro sviluppo spaziale di Cape Town deve essere funzionale; ha bisogno di sfruttare al meglio le capacità, e le risorse delle infrastrutture esistenti, prevedendo gli investimenti necessari ad un adeguata manutenzione di tali sistemi, prima di creare nuove infrastrutture. A questo punto, l’amministrazione di Cape Town e l’amministrazione regionale, costrette a considerare le problematiche denunciate da: tecnici, teorici ed accademici, introiettarono nel piano coordinato di sviluppo, a livello di principio guida i seguenti concetti, in analogia con le riflessioni iniziate negli anni ’80. Il governo della città dotato di una struttura di analisi e pianificazione integrata, gestisce ed indirizza lo sviluppo pubblico e privato secondo le strategie condivise dai differenti dipartimenti, dalla municipalità e della regione, con il principio dalla pianificazione integrata e partecipata, definita mantenendo un costante interscambio con i distretti metropolitani. Le strategie che si palesano alla base del piano tengono necessariamente conto della tutela e valorizzazione della città in chiave economica, sociale; delle risorse ambientali e persegue l’obiettivo di estendere queste opportunità economiche, sociali e ambientali a tutti gli abitanti della città. La città si è quindi dotata di uno strumento normativo e di pianificazione Spatial Development Framework con il fine di guidare e gestire la crescita urbana; equilibrando gli interessi concorrenti per lo sfruttamento del territorio, prevedendo una pianificazione a lungo termine che dia forma e struttura alla città. La prosperità di Cape Town sarà determinata da quanto bene risponderà ai cambiamenti all’interno e all’esterno. Dovrà confrontarsi con una rapida urbanizzazione; con l’estrema divaricazione fra povertà e ricchezza, con l’elevata disoccupazione, rafforzare ed ampliare infrastrutture e servizi. Inoltre, la città avrà bisogno di competere a livello nazionale e globale per gli investimenti al fine di aumentare la crescita, e superare la storicizzata povertà. La posizione geografica e le sue riserve naturalistiche rendono Cape Town una città “particolare” lo sviluppo deve quindi preservare le caratteristiche naturali gli
sforzi
e
morfologiche della
crescita
attualmente economica
esistenti della
città,
per non
non
vedere
deve
vanificati
diventare
una
metropoli, fagocitando tutte le città circostanti nel suo percorso di crescita. In questa logica, le diverse identità, le funzioni e le opportunità di crescita delle cittadine e delle piccole comunità (Stellenbosch, Malmesbury, Klapmuts e Paarl) devono essere conservate, e le loro interrelazioni funzionali riconosciute, rispettate e migliorate. E’ importante capire che per lo sviluppo futuro di Cape Town ed il suo bordo
Figura 4 Vista di Cape Town e della sua periferia e dell’estensione della sua periferia che raggiunge i limiti della riserva nazionale
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urbanizzato è fondamentale una pianificazione coordinata di gestione dello sviluppo infrastrutturale dell’intera regione. In aggiunta, è necessario unificare le politiche di sviluppo del turismo risorsa fondamentale sia per la città che per l’intera regione. La città deve offrire una gamma adeguata di strutture, servizi e luoghi di incontro, che sono, per quanto possibile accessibile a piedi, in bicicletta, bus e auto (in questo ordine di priorità); dovrà inoltre garantire alle imprese e alle industrie indispensabili all’economia della città un diverso tipo di accessibilità, facilitando il raggiungimento dei servizi, delle industrie consentendo un efficiente movimento delle merci e degli addetti. Le risorse e gli assetti sono stabiliti dal Metropolitan Open Space System, che stabilisce, consolida e estende un sistema spaziale aperto ma interconnesso. Il Metropolitan Open Space System include tre diversi tipi di spazio aperto: -Lo spazio terrestre costituito da foreste, biodiversità, parchi campi sportivi, aree agricole e strutture sportive. -Lo spazio dell’acqua, con i fiumi le paludi naturali, le dighe gli estuari, il trattamento e la depurazione delle acque. -Lo spazio costiero. L’obiettivo e quello di migliorare la multifunzionalità degli spazi, le connessioni tra questi, permettendo percorsi continui pedonali o ciclabili, aumentare la fruizione di questi spazi da parte della popolazione. Una città più compatta migliorerà l’efficienza di Cape Town e la sua sostenibilità contribuendo a proteggere il territorio ecologicamente sensibile, riducendo la domanda di territori da urbanizzare permetterà un migliore utilizzo delle limitate risorse della città per investimenti infrastrutturali e di manutenzione. Nel breve periodo, l’espansione della città all’esterno degli attuali limiti dovrà essere per quanto possibile limitata, in questo modo potrà essere affrontata la capacità di manutenzione delle attuali infrastrutture, attuando un sistema di trasporto pubblico ben funzionante. Le densità più elevate dovranno essere raggiunte nelle aree urbane esistenti e nelle aree non sviluppate all’interno del margine urbano. Nel entro
medio il
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la sia
tutto
urbano
il
esistente,
pianificazione, allineato
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infrastrutture
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Lo sviluppo urbano non dovrebbe espandersi verso est, e dovrebbe essere selettivo nella crescita verso nord, al fine di tutelare l’attività agricola, il
Figura 5 Ipotesi amministrativa di densificazione lungo assi viari principali e progressivo sprawl delle fasce periferiche
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patrimonio e le risorse della biodiversità. La crescita futura dovrebbe essere rivolta verso le colline di Durbanville e lungo i corridoi di sviluppo est ovest. A lungo termine, se indispensabile, e una volta che i servizi urbani il margine urbano che funge da limite di gestione a medio termine della crescita, potrà essere sciolto e ristabilito in un luogo appropriato per lo sviluppo di corridoi a nord-est e nord-ovest. Dato il lascito dell’apartheid, la trasformazione delle borgate e gli insediamenti informali in periferia non avverrà nel giro di una notte, né sarà in grado di avvenire senza un piano d’azione ben formulato e sostenuto da investimenti pubblici. La priorità dovrebbe essere data a incrementare il miglioramento delle condizioni di vita aumentando il senso di cittadinanza dei più emarginati, i senzatetto, e mal alloggiati. Per ospitare la crescente popolazione di Cape Town con successo, e per contrastare l’attuale frammentazione, la città ha bisogno di promuovere modelli di insediamento più integrati degli attuali e nelle nuove aree residenziali. La gente ha bisogno di vivere più vicino agli impianti, ai servizi e alle comodità. Essi dovrebbero essere in grado di accedere a risorse di comfort e ordine superiore in 15 minuti di viaggio per mezzo dei trasporti pubblici. Attraverso una buona gestione urbana molte delle
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attività si stanzieranno all’interno o nelle vicinanze delle aree residenziali. I soli usi del suolo non compatibili con lo sviluppo residenziale sono un certo tipo di industria, particolarmente nociva e le industrie che fanno un uso estensivo del suolo, osterie e negozi di liquori senza licenza; attività che attirano grandi volumi di traffico e le attività rumorose. Tra gli obiettivi quello di evitare grandi concentrazioni di edilizia popolare, e promuovere invece un maggiore “mix” tra le classi di reddito che andranno ad abitare in un dato quartiere. Se da un lato l’amministrazione ha finalmente accolto i principi urbanistici palesati nel piano, si è reso indispensabile definire periodicamente i limiti della città, in forte via di sviluppo, tramite uno strumento di analisi e proiezione delle effettive o previste esigenze di occupazione del suolo. Questo strumento indispensabile per evitare sconfinamenti al di fuori dell’Urban Edge, agisce su base quinquennale attingendo a numerosi parametri storici statistici e algoritmi di previsione. La politica dell’Urban Edge è una politica che la città ha approvato per la pianificazione territoriale volta a limitare la proliferazione urbana e uno sviluppo frammentato, incoraggiando nel contempo una maggiore densità urbana e una forma più compatta. Svolge inoltre un ruolo importante nella protezione del territorio rurale e ecologicamente sensibile. L’Urban Edge delimita il “recinto” di espansione della città, oltre questo limite lo sviluppo non è più sostenibile dall’attuale pianificazione. L’obiettivo di questa politica è quello di promuovere uno sviluppo urbano compatto e di crescita individuandone i luoghi appropriati, l’intenzione non è quindi di limitare la crescita urbana e lo sviluppo, ma di fornire un’ampia base statistica per poterla regimentare. Per questo motivo l’Urban Edge non è fisso ed è soggetto a revisione periodica. Il piano di Spatial Development Framework ne prevede volutamente una revisione quinquennale sulla scorta di nuovi e significativi indici statistici e morfologici. L’ultima analisi statistica alla quale lo Spatial Development Framework dovrà adeguarsi, o quantomeno considerarne le nuove variabili, facendo riferimento alla valutazione del territorio di Cape Town fra il 2008 e il 2010. Queste rilevazioni si pongono i seguenti quesiti necessari ad un’eventuale rimodulazione dello Spatial Development Framework 1. Quanto terreno vuoto esiste all’interno del bordo urbano? 2. Quanto veloce sarà la crescita futura della città? Tutti i siti non edificati o edificati in modo parziale nell’ambito del margine urbano sono stati valutati per la loro idoneità e potenzialità di sviluppo urbano. Ciò è stato fatto utilizzando informazioni provenienti da fonti diverse.
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In primo luogo, una valutazione globale di tutte le particelle di terreno sotto utilizzate risulta fondamentale per definire il modello di densificazione e sfruttamento delle aree sotto utilizzate In questa valutazione oltre 37.000 siti sono stati valutati per: potenziale di sviluppo, percentuale disponibile residua, l’idoneità a specifici usi, la densità e la priorità per il suo utilizzo. Per ragioni pragmatiche questa valutazione è stata generalmente limitata ai siti più grandi di un ettaro analizzati in diverse fasi di studio, ed approfonditi nel dettaglio per quanto riguarda le aree potenzialmente residenziali. Il censimento e l’analisi hanno portato a definire un totale di 12.260 siti residenziali distribuiti su 718 ettari, e 491 siti industriali su 163 ettari. Successivamente sono state accolte le richieste di nuove aree edificabili espresse dai distretti metropolitani, aree che normalmente richiedono un’antropizzazione di vasti territori rurali. Infine, l’analisi dovrà considerare le esigenze specifiche delle aree sottosviluppate (Township). La totalità del terreno disponibile viene prima considerata per soddisfare le attuali esigenze del sito e successivamente verificata con la stima delle possibilità di sviluppo del sito stesso. Come ultima verifica si ipotizza una stima che verifichi la rispondenza del sito fino al 2021 e ne ipotizzi una possibile evoluzione anche dopo questa data. Il calcolo dei terreni disponibili, deve ovviamente tener conto dell’incidenza delle opere di urbanizzazione specifiche per ogni appezzamento ed in funzione alla sua destinazione d’uso. Stime di crescita della citta’ La crescita della città è stata calcolata su base statistica storica e con algoritmi statistici di previsione. Le proiezioni di crescita sono calcolate in ettari e confrontate con la quantità di terreno precedentemente individuato all’interno dell’Urban Edge. Per il modello di crescita urbana poteva essere utilizzata una proiezione della popolazione; se questo approccio può essere considerato significativo per le città occidentali sviluppate, non è attendibile nel caso di Cape Town dove la crescita della popolazione non è direttamente correlata all’espansione urbana e non ne influenza la densità poiché la crescita della popolazione è statisticamente più elevata in comunità povere, comunità che hanno un impatto relativamente minore in termini di espansione urbana, dato che generalmente vivono in densità residenziali maggiori. La loro crescita spaziale è subordinata dall’erogazione di sussidi per la casa dipendenti dal programma e dalle risorse disponibili per la realizzazione, e non tanto dal numero di abitanti che ne fanno richiesta. Inoltre, la crescita in
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superfici non residenziali come i terreni industriali è influenzata più dalla crescita economica che dalla crescita della popolazione. Tuttavia, le proiezioni di popolazione sono in grado fornire indicazioni utili sulla crescita analizzando le tendenze a lungo termine. A riguardo è importante notare che le proiezioni mostrano tassi di crescita della popolazione in declino. Proiezioni sul trend di crescita urbana Questa stima utilizza tassi di crescita urbana del passato per proiettare la crescita futura della città. I dati sulla crescita urbana rivelano che la città stava crescendo a un tasso medio di circa 650 ettari all’anno (netti) tra il 1996 e il 2007, includendo nel calcolo tutti i terreni urbani utilizzati come l’alloggio, l’industria, scuole, le cliniche, le infrastrutture e gli insediamenti abusivi, tuttavia, escludendo parchi, campi sportivi, spazi aperti pubblici e strade. Entro il 2021 dalle proiezioni di crescita (al tasso di 650 ettari all’anno di crescita) si prevede una crescita di 9.100 ettari all’anno. Questa previsione di crescita del territorio è stata poi confrontata con le stime di terreno disponibile per lo sviluppo urbano generale all’interno del Urban Edge. Ciò suggerisce che vi sia disponibilità di terreno sufficiente per lo sviluppo urbano fino
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al 2021. La proiezione di crescita si avvicina alla stima più bassa di occupazione dei terreni all’interno dell’Urban Edge nel 2021, la proiezione è stata volutamente considerata nel suo limite inferiore, in quanto fa riferimento a dati storici, e non può quindi sbilanciarsi a considerare lo sviluppo massimo in quanto non prevedibile, proprio perché queste analisi sono state effettuate in un periodo di forte sviluppo e quindi soggette a eccessive variabili, senza contare che parallelamente allo sviluppo edilizio, bisognerà prevedere un’adeguata quantità di opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Modelli di crescita per il terreno residenziale Un importante fattore che guida la crescita urbana è l’espansione derivante dal territorio destinato allo sviluppo residenziale. Un secondo modello di crescita tiene dunque in considerazione gli scenari dell’edilizia abitativa abusiva, l’edilizia convenzionata e il mercato immobiliare. Due scenari sono stati sviluppati per l’edilizia sovvenzionata. Il primo scenario prevede la sovvenzione 10.000 case con una dimensione media di 100mq consegnate all’anno. Questi dati si basano sugli attuali bilanci. Il secondo scenario presuppone un cambiamento della politica di consegna degli alloggi che si traduce in 2.500 case e 17.000 siti di site-and-service1 forniti all’anno. È stato inoltre ipotizzato che questo cambiamento della politica entri in vigore a partire dal 2016. Market housing: Informazioni sulle tendenze del passato sono state ottenute utilizzando il modello di crescita urbana sviluppato dal Comune di Cape Town di sviluppo strategico dell’informazione. Questo modello fa uso di un certo numero di fonti, tra cui connessioni alla rete elettrica, registrazione dei rifiuti solidi e la costruzione dei piani d’informazione. Questo indica che, in media, 15.700 unità di abitazione per anno sono state sviluppate tra il 2002 e il 2008. Risultati e confronto
1 Site and service è una politica che mira a fornire un riparo alle classi più povere. La stragrande maggioranza della famiglie povere, costruiscono il loro proprio rifugio senza possibilità di accedere alla rete elettrica e fognaria, di conseguenza in condizioni sanitarie pessime e senza le basilari norme igieniche. L’idea sfrutta le leggi del mercato, per evitare la rivendita di edilizia sociale, rivolta ai gruppi a basso reddito. Il primo schema pianificato da Benninger, ad Arambakkum in Chennai (isola di Madras), ha creato circa 7.000 unità abitative, in grado di essere acquistate dalle classi povere delle aree urbane. Entro cinque anni la MMDA Madras Metropolitan Development Authority aveva creato più di 20.000 unità. Tale approccio è diventato una delle principali strategie della Banca mondiale per affrontare i problemi delle necessità abitative a livello globale.
Figura 6 Business Centre lungo Long street Figura 7 Skyline di Cape Town ripreso dalla Table Mountain
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Secondo le proiezioni, le aree necessarie per gli insediamenti abusivi, le abitazioni sovvenzionate e il mercato immobiliare sono stati combinati per dare luogo a due proiezioni. Questi sono stati poi confrontati con le stime per i terreni all’interno del Urban Edge disponibili per lo sviluppo e identificato per uso residenziale. Questi suggeriscono che vi sia disponibilità di terreno sufficiente per lo sviluppo urbano all’interno dello Edge fino al 2021. Entrambi i modelli utilizzati per prevedere la crescita fanno stime prudenti dei terreni necessari per adattarsi alla crescita di Cape Town in quanto sono basati sul modello business as usual, le tendenze non riflettono la densità più alta ottenuta grazie a innovazioni residenziali degli ultimi anni. Le stime, inoltre, non fanno previsioni per l’addensamento degli immobili esistenti sviluppati all’interno della città. I risultati dimostrano che, la terra disponibile è sufficiente per la crescita urbana fino al 2021. Dovrebbe esserci un sostanziale incremento della consegna di alloggi. Il valore dei terreni, i modelli di proprietà, considerazioni sociali e la natura e l’entità delle richieste degli alloggi sociali, suggeriscono che i terreni all’interno dell’Urban Edge siano generalmente più adatti allo sviluppo del settore privato che alla consegna su larga scala di edilizia sovvenzionata.
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Una metropoli dispersa Densificazione programmatica e frammentazione dei distretti
3 3.1
Nei capitoli precedenti sono stati descritti i piani strategici che Cape Town ha pianificato per definire la forma e lo sviluppo della città. Il piano per lo Spatial Development Plan SDF prevede uno sviluppo che nelle intenzioni dovrebbe portare la città ad una progressiva densificazione, densificazione che appare assolutamente necessaria per porre rimedio ad una dispersione dell’edificato frammentato e spesso diffuso ed isolato. Questo sprawl diffuso, rende di difficile gestione, particolarmente oneroso, servire ed infrastrutturare una rete così vasta frammentata ed economicamente insostenibile. Allo stato attuale una grossa parte del bilancio cittadino è assorbito dalla gestione di tutte queste reti, compresi i trasporti per collegarle suddette realtà diffuse, spesso lontane e difficili da raggiungere. Oltre alla difficoltà di gestire le reti, la città deve subire una periodica congestione delle principali arterie che portano verso il centro amministrativo e commerciale, dato che le offerte di lavoro sono quasi esclusivamente concentrate in questo luogo. Questa congestione, oltre a produrre una concentrazione di emissioni sempre più elevata, porta a
rallentare gli interscambi commerciali interni ai distretti ed in
modo più significativo verso l’interno del paese. I pianificatori, ben consapevoli della necessità di affrontare e risolvere nel medio e lungo periodo la problematica, hanno giustamente definito negli strumenti urbanistici vincoli molto stretti e perentori; vincoli che devono portare la città ad una struttura urbana più gestibile, sia dal punto di vista delle risorse economiche che dell’ottimizzazione delle dinamiche di spostamento su gomma. La dispersione oltre ad essere generata dallo stile di vita della popolazione borghese si è impadronita di ampie zone di territorio, a volte di zone all’interno di aree protette; l’esteso e sistematico abusivismo si è a sua volta inserito in aree particolarmente pregiate e di difficile collegamento. Nei capitoli precedenti abbiamo analizzato come il governo cittadino sia fortemente interessato a risolvere la problematica della dispersione dello sprawl urbanistico, spinta sia dal punto di vista economico che di salvaguardia del territorio. Una delle principali risorse della città di Cape Town risiede proprio nell’attrazione turistica dei suoi territori e delle aree protette che attualmente la rende una città di elevato pregio naturalistico, sia a livello nazionale che internazionale. E’ possibile notare, a fronte di questa necessità e degli intenti programmatici, come questi progetti e strategie siano un po’ alla volta smontate e contraddette, a causa dell’incapacità di imporre a livello di distretto l’accoglimento e la condivisione dei
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principi generali del piano. Una prima contraddizione la troviamo espressa dal documento di analisi dello stato attuale della città, documento che a fronte di un censimento minuzioso e capillare della città e dei suoi distretti, documento che si spinge a: catalogare i siti, analizzare le aree vuote, censire le aree da preservare e le aree da densificare. Sintetizza in modo palesemente antitetico sia con le rilevazioni riportate nel medesimo documento, che con le volontà fondative dello SDF. La conclusione di queste analisi da un lato rileva che all’interno della Urban Edge, la cintura urbana, vi sono 9500 ettari vuoti e frammentati, dall’altro sostiene in modo non propositivo che la città con l’attuale stato di crescita urbana, pari a 650 ettari potrà proseguire la sua espansione all’interno della propria cintura urbana fino al 2021. Nel riportare questa analisi il documento sembra semplicemente avvallare tranquillizzando gli amministratori che il territorio di Cape Town potrà sostenere nel medio periodo ritmi di espansione elevati e caratterizzati dalle attuali tipologie insediative; perseguendo invece la filosofia dell’SDF risulta sicuramente auspicabile che l‘analisi proponesse una contrazione del ring stesso e una definizione non solo dei terreni interstiziali liberi, ma di una concreta identificazione delle aree da rendere obbligatoriamente più dense e compatte. Sulla scorta di questo documento, ma anche a causa delle
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pressioni dei consigli di distretto, lo strumento attuativo dello Spatial Development Framework SDF ratifica e fa proprie le analisi del documento ponendosi a sua volta in modo non propositivo, evitando di produrre norme attuative, rigide e non interpretabili, arrivando al punto di vanificare gli assunti definiti nelle strategie fondanti dello strumento stesso. Gli stessi distretti poi con i loro piani attuativi SDP snaturano ulteriormente le strategie di piano. L’attuale dispersione viene ricercata al fine di offrire ampie zone edificabili con conseguente diminuzione del valore della rendita fondiaria e con l’obbiettivo di attrarre insediamenti produttivi, abitazioni di pregio, ospitare parcellizzati insediamenti costieri, continuando a perpetuare una dispersione che per quanto economicamente insostenibile e degradante delle aree protette perseverano lo stile storicizzato delle abitazioni disposte su un piano con pertinenze di grandi dimensioni. Assistiamo quindi ad una applicazione delle strategie e delle volontà di densificazione che interessano esclusivamente la city di Cape Town dove non tanto la pianificazione urbanistica, ma l’elevata rendita fondiaria dei terreni e la competitività degli investitori nel volersi collocare nel centro cittadino , è riuscita in pochi anni a modificare lo skyline e ad aumentare la concentrazione dell’edificato. Le conseguenze è la riconferma dello status quo nei distretti e nelle periferie si continua ad autorizzare edificazioni a bassissima densità in zone isolate e difficilmente raggiungibili dalle infrastrutture, viene autorizzata la realizzazione di piccoli agglomerati (10- 15 residenze) in aree boschive o costiere. Non traspare quindi nessuna volontà di invertire la tendenza per ricercare ed incentivare insediamenti produttivi o residenziali più efficienti sia dal punto di vista dell’ottimizzazione dei servizi, sia dal punto di vista del risparmio del territorio e della salvaguardia delle aree di pregio. Di particolare interesse ai fini di questa ricerca diviene emblematico e rappresentativo della volontà di non affrontare abitudini oramai consolidate , ma ripercorrendo sistemi insediativi che continueranno ad accentuare le problematiche sopra descritte. Le strategie previste dallo SDP per la riqualificazione di Khayelitsha prevede la realizzazione di 10 mila nuovi alloggi nei primi 10 anni e di 5 mila alloggi nei 5 anni successivi. Le tipologie proposte che direttamente sono state rilevate nel sopralluogo perseguono l’idea dell’abitazione ad un piano inserita al centro di un lotto di proprietà. Tipologia insediativa che se effettivamente dovesse soddisfare le richieste dei 300
Figura 1 Vista della City
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mila abitanti non solo avrebbe un costo di realizzazione insostenibile, ma alla luce della compattezza quasi monolitica dell’attuale baraccopoli, necessiterebbe di aree ancora più grandi rispetto alla già vasta estensione dell’attuale riserva. La conseguenza non è quindi una pianificazione della viabilità e della ramificazione dei servizi che pianifica le tipologie insediative, ma sono gli insediamenti stessi che generano reticoli viari sotto servizi ramificati che inseguono in modo scoordinato la costruzione degli edifici. Quindi per quanto sia previsto dalle leggi nazionali e dall’impianto programmatico dell’SDF regionale nulla di concreto sembra andare nella direzione non solo auspicabile, ma indispensabile alla futura espansione integrata della città di Cape Town. Se percorrendo la periferia e i distretti ci si rende conto della drammatica situazione dell’uso del territorio, volando sopra Cape Town si ha la percezione immediata di una città completamente dispersa e frammentata. La bassa densità edificatoria, gli agglomerati dispersi, gli insediamenti abusivi rendono praticamente impossibile definire la forma della città o quanto meno la morfologia dei centri dei distretti. Appaiono invece per quanto drammatica gli ettari di territorio dove le Township si palesano come un monolite compatto dove Figura 2 Edifici ad alta densità di nuova realizzazione nell’area di Green Point
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Figura 3 Planimetria con perimetrazione dei distretti
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la sequenza di baracche si propone l’immagine per quanto distorta dell’impianto di una città medievale. Percorrendo i 40 km di free way che portano dall’aeroporto al centro di Cape Town si attraversano pianure che soluzione di continuità scandiscono a destra e a sinistra una sequenza di baracche, case , zone produttive, piccoli insediamenti, palazzi popolari, nuovamente baracche e così via fino a pochi km dal centro di Cape Town. Come dicevamo, solo qui nella city, le strategie del piano riescono a trovare effettiva applicazione. Il centro cittadino è un blocco compatto con uno skyline tipico di molte città europee e nordamericane; palazzi, grattacieli, blocchi residenziali danno la percezione che almeno qui gli intenti dei pianificatori siano stati recepiti. Il centro quindi si presenta compatto, anche se inevitabilmente commerciale, sede di multinazionali e residenze ad alto valore commerciale. Ampie zone dismesse nell’area portuale e in altri nuclei degradati nella città vecchia sono stati oggetto di riuso, riqualificazione, densificazione parassitaria o sostitutiva. Nell’immediata periferia o nelle nuove zone di espansione di Green Point, Victoria Basin, Sea Point e Bantry Bay, grazie all’elevata rendita fondiaria, vengono realizzati insediamenti più sostenibili, ad alta densità, permettendo così la pianificazione Figura 4 Piccolo insediamento protetto della media borghesia bianca realizzato nella periferia di Cape Town durante il periodo dell’apartheid
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efficiente di riempimento di vuoti urbani non funzionali, definizione di stock e parcheggi correttamente dimensionati ed un corretto rapporto di aree verdi, aree pedonali e spazi pubblici. Solamente la possibilità della città di sostenere una crescita urbana che passerà dagli attuali di 650 ettari ai 9100 ettari annui, conclude con il solo assunto che non sarà necessario ampliare la Urban Edge fino al 2021, senza proporre coerentemente la contrazione del ring stesso. Deduzione che assorbita nello strumento attuativo dello SDF rende vani i ferrei e perentori assunti definiti nelle strategie fondanti dello strumento stesso. Analizzando i piani di distretto, non solo quelli delle aree occupate dalle Township, ma anche quelli dei distretti interessati da risorse naturalistiche e dalla forte vocazione turistica, prevale la ferma volontà di perpetuare nei propri piani attuativi il mantenimento della dispersione attuale, a volte favorendola in modo da attrarre quella popolazione benestante che si allontana dal centro cittadino e pretende la realizzazione di abitazioni ad un solo piano estese e con pertinenze asclusive di notevole estensione. Tale possibilità è resa possibile dal fatto che pianificando aree edificabili molto vaste, il valore dei terreni è molto basso e quindi appetibile da chi ambisce ad avere a disposizione abitazioni di grandi dimensioni isolate. Figura 5 Interventi di edilizia popolare realizzati ai margini della Township di Mitchell’s Plain
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Una metropoli dispersa
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Il dibattito occidentale attorno alla densità
3.2
Una volta esposte le opportune discordanze, si cerca di stabilire un confronto tra le città diffuse europee (in particolare quelle italiane) e quella di Cape Town. Nelle periferie europee (nello specifico nella Pianura Padana) sono sorti insediamenti residenziali “dormitorio” a servizio delle attività produttive che hanno contribuito all’espansione/ ampliamento/ sconfinamento delle città esistenti portandole al punto di occupare porzioni di territorio, talmente vaste, che sono venute a far parte di un unico sistema urbano, un’unica grande metropoli che si estende su gran parte del nord italia, da Torino a Venezia. Pertanto i motivi della dispersione delle città europee non si possono paragonare a quelli di Cape Town. Fatte le debite distinzioni, in questo capitolo si cerca di fare un parallelo fra la dispersione delle metropoli italiane ed europee, con la dispersione della metropoli di Cape Town. I motivi della dispersione non sono assolutamente paragonabili, né per tipologia abitativa, né per le differenti cause che l’anno provocata. È innegabile però che nelle periferie europee, ed in particolare nella pianura padana, sono sorti insediamenti residenziali “dormitorio” a servizio delle attività produttive. In alcuni casi insediamenti di nuova costruzione o ampliamenti di cittadine esistenti, fino a produrre una città metropolitana che occupando porzioni molto vaste di territorio hanno prodotto una metropoli pressoché continua da Torino a Venezia. Il parallelo non sarò quindi qualitativo o socio economico, ma puramente urbanistico, considerando in astratto la dispersione della città di Cape Town, frutto di segregazione, allontanamento notturno della manovalanza e non rispetto del suolo, solo nei risvolti teorici affrontati teorizzati e sviscerati nella bibliografia europea ed americana. Questo strumento, permetterà di affrontare le tematiche della dispersione di Cape Town con strumenti teorici ed applicati in grado di supportare le successive valutazioni in merito alla ricomposizione delle Township della città Sudafricana. Nella teoria Urbanistica, la densità intesa come parametro quantitativo è definita da un rapporto (abitanti su chilometro quadrato o edificato su chilometro quadrato); rapporto del quale non si parla mai in senso assoluto,
ma diventa termine di
paragone per confrontare diverse aree, salvo i casi in cui parlando di densità media, si vanno a negare le condizioni locali. Maggiore o minore densità hanno prodotto storicamente modelli insediativi diversi il cui complesso rapporto con la forma urbana ha dato di volta in volta differenti risultati, mostrando come non necessariamente
ad un alta densità sia poi
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corrisposta una compattezza della forma1, smentendo una supposta biunivocità, tra un dato indice di densità e una specifica conformazione urbana2. La storia dell’urbanistica non ha saputo scegliere in un senso o nell’altro, mostrando in diversi casi, quanto città dense aspirino o abbiano aspirato ad una maggior apertura o dispersione e viceversa. Talvolta la discussione sulle diverse qualità di alta e bassa densità urbanistica si è spostata sul piano ideologico, a sostegno di opposte idee sul tipo di urbanità3. Ai nostri giorni la ricerca dell’urbanistica sul modello di una “giusta densità” e del conseguente dibattito sul rapporto tra densità e idea di urbanità, rinnova il suo interesse cercando una nuova definizione per le relativamente recenti trasformazioni del territorio. Trasformazioni che dalla metà del secolo scorso interessano il territorio europeo sottoforma dell’intensificarsi del fenomeno della dispersione opposta apparentemente alla concentrazione caratterizzante i periodi precedenti4. I fattori che determinano il fenomeno della dispersione sono diversi e a seconda delle diverse regioni europee connaturati a fattori di tipo economico, politico, storico o sociale. Pur essendo soltanto un aspetto dei complessi meccanismi che compongono la storia dell’habitat europeo contemporaneo, la dispersione è un aspetto che risulta immediatamente percepibile, che pur essendo variamente decritto e testimoniato, risulta tuttavia di difficile comprensione, ingenerando un “ansia” legata all’inerzia degli strumenti disciplinari tradizionali (osservativi, cognitivi, descrittivi, interpretativi) che invece di essere riformulati, si adeguano lentamente alle trasformazioni in atto5. Fenomeno di lungo periodo, seppure oggi assuma portata inedita, a dispersione ha risvolti estremamente positivi (miglioramento stili di vita, progressiva diffusione del benessere) ma anche negativi, basti pensare al progressivo aumento del consumo del suolo e della mobilità.
1 Ne sono una prova gli attuali fenomeni di densificazione di insediamenti dispersi. 2 Per quanto comunque può capitare che un raddensamento si accompagni anche con una ricompattazione della città: è il caso del piano di ricostruzione critica di Berlino (A.R.Burelli, P.Gennaro, a cura di, La città come investitore. Il piano di ricostruzione urbana, Gaspari 2007) 3 Il noto dibattito svoltosi negli anni sessanta ha visto Jane Jacobs e M. Webberprendere due opposte posizioni in merito. Jacobs in “American cities” si è posta a tutela e difesa dei un urbanità caratterizzata da alta densità; elvin Webber in “Community without propinquità” ha sostenuto che il carattere urbano prescinde totalmente dalla forma urbana e dalla sua densità. 4 “Il senso principale di queste trasformazioni è quello di una progressiva dispersione degli insediamenti residenziali, produttivi e commerciali; una dispersione che si oppone a prima vista alla concentrazione che ha connotato periodi precedenti e che riempie di se l’immaginario collettivo della nostra epoca..” B. Secchi, Le forme del territorio italiano, in “Ambienti insediativi e contesti locali” n. 2, Laterza 1996 5 B. Secchi La città europea contemporanea e il suo progetto in Paola Viganò, a cura di, New territories: situations, projects, scenarios for the european city and territory, Q2 officina edizioni, Roma 2004: …si dissolve il concetto di funzione emergono i concetti d compatibilità e incompatibilità. Nella molteplicità e diversità delle situazioni si dissolve il concetto di zona omogenea e gerarchia; lentamente sta emergendo quello di porosità. Nella dispersione si dissolvono i concetti di densità e prossimità; lentamente sta emergendo quello di giusta distanza…P.Viganò (testo citato) il concetto di densità ha ispirato la città moderna. Oggi va riformulato
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Nell’ottica dell’emergente coscienza ecologica e della diversa sensibilità nei confronti del territorio si sono concretizzate strategie di densificazione e raddensamento, intese come tendenza a costruire sul già costruito , sul riuso e sul recupero, sulla demolizione e ricostruzione. Tali strategie sono invece da considerarsi inattuali e inadeguate quando sono generate dalla perdita di una certa idea di urbanità, legata alle idee tradizionali di alta densità e prossimità degli spazi, in quanto questo atteggiamento rifiuta di prendere atto delle affettive condizioni mutate di un territorio, dell’effettivo cambiamento dell’idea di urbanità, nonché della legittimità e irreversibilità di un fenomeno trasformativo in atto. Non esistono più modelli di alta o bassa densità, ma sfumature intermedie in continua trasformazione6; un nuovo tipo di urbanità non più legato all’alta densità e che rende necessaria la ridefinizione dell’idea di densità, incorporando le esigenze di comfort urbano legate ai rapporti di prossimità e i criteri di crescita sostenibile. La densità deve trovare declinazione oltre che in termini quantitativi, (accumulazione di cose visibili nella loro materialità e solidità) anche in termini qualitativi, legandosi all’idea di mixitè e promiscuità (quantità e qualità delle funzioni urbane) e di intensità (relazione fra le persone e l’urbano). In Italia, il fenomeno della dispersione che interessa il Veneto è ampiamente documentato, quello in Friuli molto meno, infatti questo caso non appare nei testi dedicati al tema, forse perché dimostra una certa forma di ritardo o resistenza alla dispersione. Il territorio italiano ed in particolare la pianura padana spesse volte è stato descritto come l’immagine di “città diffusa” e “campagna urbanizzata”. Si tratta di una condizione ne urbana, ne rurale, ne suburbana. L’attuale dispersione del territorio appare ora come una “densificazione della dispersione”7 se consideriamo la tendenza di questo territorio ad essere sempre dispersamente abitato, caratterizzato da un articolata e capillare rete infrastrutturale. Il territorio è stato definito come “palinsesto” ovvero come spazio depositario di continue riscritture all’interno del quale si può fare un “uso allargato del territorio”8. Analisi in termini qualitativi del concetto di densità, ne hanno declinato concetti quali il vertical stacking o l’orizzontal staking e la densità senza, includendo all’accezione quantitativa, parametri qualitativi come la diversità, la complessità e
6 L’Europa è un continente grigio: formato da una serie di densità medie. (P.Bozzuto, L.Fabian,S.Loddo, G.Musante Scenari X-treme Europe, in Paola Viganò, (a cura di), New Territories: situations, projects, scenarios for the european city and territory,Q2 officina edizioni, Roma 2004) 7 B.Secchi, Le forme del territorio italiano,In “Ambienti insediativi e contesti locali”, n. 2, Laterza 1996 8 Ibidem
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la promisquità9. Ne costituiscono un esempio la teoria sulla congestione di Rem Koolhaas, formulata su Manhattan, che rilegge la densità come accumulazione verticale di metri quadri e la combinazione di diversi programmi, o gli studi biennali del gruppo olandese MVRDV che prosegue il ragionamento intorno all’alta densità e alla mixitè programmatica intesa come accumulazione verticale. Risalgono agli anni settanta, le ricerche di Alice Smithson sui mat buildings che cercano una risposta orizzontale alle questioni di densità e promiscuità; mentre negli anni ottanta, koolhaas applica le teorie newyorkesi in Europa, senza però accumulazione di materia. Il termine che Koolhaas usa riferendosi alla densità e quello di “congestione”, che non ne è sinonimo, bensì riguarda gli effetti dell’alta densità. Il vertical stacking, ovvero la sovrapposizione vericale di metri quadri, consente un alto indice di densità volumetrica. La congestione si ottiene attraverso la sovrapposizione, combinazione e scontro (casuale) all’interno dei metri quadri di differenti programmi (indeterminatezza). La congestione è un parametro percettivo, legato al dato quantitativo della densità (accumulazione verticale di metri quadri) e al dato qualitativo di promiscuità (accumulazione verticale di funzioni)10. Gli MVRDV da anni ripropongono il tema della densità attraverso modelli di sviluppo che lascino libero il suolo. Il loro primo studio biennale, Farmax-Excursion on Density11 legato ai fenomeni della dispersione in Europa, prende in considerazione un ampia fascia di territorio europeo, la cosiddetta Randstad compresa tra le città di Bruxelles, Rotterdam, Amsterdam e Colonia, presenta la densità media più alta al mondo: 350 persone su Kilometro quadrato. Tale paesaggio definito “grey matter” è un tappeto edilizio continuo12 eccessivamente dispendioso in termini ecologici, economici e sociali ( ascalarità dell’infrastruttura, assenza di spazi pubblici, privatizzazione dei suoli, individualismo, fobie…); l’idea proposta dal gruppo è quella di comprimere la popolazione e lasciare libero più spazio possibile. Tale ipotesi sembra essere decisamente a favore del vuoto, del non costruito e del landscape. Dalla manipolazione delle statistiche di pertinenza di geografi e pianificatori, il
9 “…si dissolve il concetto di funzione; lentamente emergono i concetti d compatibilità e incompatibilità. Nella molteplicità e diversità delle situazioni si dissolve il concetto di zona omogenea e gerarchia; lentamente sta emergendo quello di porosità. Nella dispersione si dissolvono i concetti di densità e prossimità; lentamente sta emergendo quello digiusta distanza…”. In B. Secchi La città europea contemporanea e il suo progetto, in Paola Viganò, (a cura di), NewTerritories: situations, projects, scenarios for the european city and territory,Q2 officina edizioni, Roma 2004. “Il concetto didensità ha ispirato la città moderna. Oggi va riformulato” In P.Viganò, ibidem. 10 Koolhaas richiama spesso il termine di condensatori sociali (richiamando le esperienze sovietiche e poi di Le Corbusier). 11 MVRDV, (a cura di), Farmax, Excursion on Density, 010 Publishers, Rotterdam 1998 12 B.Secchi Medium-sized cities and the new forms of the European metropolis, in Marco De Michelis, a cura di, Mcity!European cityscape, Verlag der Buchhandlung Walther Konig, 2006 …un area grande come Parigi, ma ha un’altra forma….non è una collezione di città ma una nuova città, una sorta di parco abitato in cui si riconoscono nuclei più densi…
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gruppo arriva a definire un far max ovvero una floor area ratio massima che descrive il rapporto tra il costruito e l’area disponibile. Da questa formula vengono proposti alcuni studi iniziali per la densificazione del centro di Amsterdam13 che prevedono un aumento della densità nel centro storico, estrudendo lo spazio libero dentro gli isolati; solido che una volta estruso, viene tagliato in base agli assi di proiezione visiva secondo le norme del Monument act olandese, che intende proteggere le facciate storiche alla vista delle nuove costruzioni. A conseguenza di ciò, il blocco ottocentesco, con una far di 0.8 viene interamente riempito fino a portarlo ad una far di 7.8. L’identità della città storica risiede nella sua capacità di trasformarsi continuamente, mentre tali operazioni di svuotamento e re-infilling di involucri storici (maschere) tendono a creare una realtà illusoria, congelando l’immagine della città a uso turistico (staged authenticity14 o tassidermia). Il riuso parassitario di uno spazio costruito ricalca una prassi antica e nell’ottica di una crescita sostenibile della città che costruisce su se stessa a volte rischia di inficiare l’identità stessa della città. Il far max ottimale, non si ottiene soltanto densificando (impilando una serie di piani uno sopra l’altro, ovvero moltiplicando e sovrapponendo n volte la superficie di base - vertical stacking- ma anche mescolando le funzioni e le tipologie (attraverso un mixing qualitativo di abitazione, uffici, parcheggi…), considerando ad esempio il problema nell’ottica di una razionalizzazione dell’uso dello spazio legato ad esempio ai parametri sulla luce, spazi come i parcheggi non hanno bisogno di luce, gli uffici poca, e le abitazioni molta; attraverso un ragionato mix di queste funzioni si ottiene un far max. tale da permettere di superare il typical plan,(la segregazione dei piani), di variare continuamente la pianta, variare gli interpiani, inserire differenti tipologie e a volte interi paesaggi o ecologie artificiali all’interno dello stesso piano (operazioni che evocano peraltro alcune sperimentazioni progettuali dei Site degli anni 80). Il legame tra la densità e la promiscuità vengono indagate in vari progetti residenziali ad alta densità abitativa con formula partecipata, sia sperimentali (284 case per Berlino,1991; Finca Rustica, 1997) che realizzati (Silodamm, 1995; Casa
13 MVRDV, Gothics,study for the densification of the centre of Amsterdam,1996, in MVRDV, (a cura di), Farmax, Excursion on Density, 010 Publishers, Rotterdam 1998. 14 Lo svuotamento residenziale dei centri storici è dovuto a svariati fattori tra cui l’insediamento di funzioni terziarie e direzionali,la questione delle rendite (la ristrutturazione degli immobili viene fatta per aumentare il valore immobiliare), l’invasione turistica (le strutture residenziali vengono sostituite con strutture ricettive), la presenza di università, i cui studenti in mancanza di campus,accedono agli appartamenti sul libero mercato. Vedasi anche il progetto di Ian+ per Roma, presentato alla biennale di Venezia, che presenta le stesse caratteristiche: il progetto prevede la demolizione degli edifici sottoutilizzati, mantenendone i prospetti
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a Uthrecht, 1997). Il Silodamm15, realizzato sul porto di Amsterdam, è un blocco misto, con 165 abitazioni e uffici. All’interno si è cercato di promuovere un interdipendenza tra gli spazi, creando unità di vicinato verticali che evitino la segregazione di classe: gli appartamenti più ampi sono mescolati a quelli più piccoli; mentre i vari alloggi e la loro posizione hanno subito un processo di negoziazione coi futuri residenti. Nel progetto, non realizzato, 284 case per Berlino, una collezione di abitazioni ideali (casa con superfinestra, casa senza muri, casa cattolica) viene stoccata all’interno di un unico volume, secondo un principio di incastro che evoca il gioco del tetris e portando alle estreme conseguenze il principio di negoziazione e personalizzazione degli alloggi. Il progetto è accompagnato dall’immagine di un uomo e una donna appoggiati agli stipiti di una porta, immagine significativamente intitolata proximity. L’idea viene poi realizzata nella Double House a Utrecht16, un unico volume all’interno del quale trovano posto due alloggi “intrecciati”, in cui il muro che li separa viene definito “therapeutic first move”. Il dibattito sulla densità è rimasto per lungo tempo univocamente concentrato sull’accumulazione verticale di persone, funzioni e edifici. Negli anni 70 le ricerche introdotte dagli Smithson richiamano invece ad un concetto di accumulazione orizzontale e di densità bidimensionale17 . Alice Smithson, in un articolo comparso su Architectural Design nel 197418, dal titolo “How to recognize and reading Mat Building”, introduce l’idea di mat building, che non definisce né una tipologia, né tantomeno una categoria di edificio, ma piuttosto un’attitudine del progetto urbanistico e architettonico che si può rintracciare (a posteriori) in alcuni edifici. Punti di partenza sono la Berlin Free University
di
Candilis-Josic-Woods del 1963 e il progetto per l’orfanotrofio di Amsterdam di Van Eyck del 1960; per continuare con altri progetti di Candilis-Josic e Woods per Fort Lamy, Bochum, Francoforte, Bilbao e Tolosa; passando per il progetto per l’ospedale di Venezia di Le Corbusier19 e il suo museo a crescita illimitata e finire con alcuni esempi miesiani (le case a corte e gli edifici universitari); tale attitudine
15 MVRDV, Negotiations in a housing silo, mixed dwellings and business units, IJ channell,Amsterdam, 1995, in MVRDV, (a cura di), Farmax, Excursion on Density, 010 Publishers, Rotterdam 1998. 16 MVRDV, (a cura di), Therapy, Double house,Utrecht, MVRDV, 1997; ibidem 17 T.Avermaete, (a cura di), Mat building. Smithson’s concept of 2d Density, in “Inside Density. International Colloquium on Architecture and Cities”, Brussels 2003. 18 A. Smithson, (a cura di), How to recognize and reading Mat Building, “Architectural Design”, n. 9, 1974. 19 T.Avermaete definisce il mat building come strumento euristico, ovvero uno specifico modo di analizzare l’architettura; il mat building non ha un denominatore formale o stilistico: “to be able to recognize the phenomenon calls for a specially prepared frame of mind ..to deliberately not to look too closely at the detailed language”(A.Smithson). In T.Avermaete, (a cura di), Mat building. Smithson’s concept of 2d Density, in “Inside Density. International Colloquium on Architecture and Cities”, Brussels 2003.
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è visibile anche in alcuni progetti contemporanei. Mat significa stuoia o groviglio: come molti dei termini utilizzati nell’articolo di Alice Smithson, tra cui weave, web e knit, anche mat ha a che fare con l’intrecciare e con il tessuto. Un mat building è un sistema denso di collegamenti tra oggetti fittamente intrecciati tra loro, definito dalla progressione di stem (rami) e cluster (gruppi). L’elemento generatore è la strada (stem) che diventa edificio e poi città, in uno sfumarsi del confine fra architettura e urbanistica: il mat building è architettura urbanizzata e urbanismo architettonico20, che però non ha nulla a che vedere con il modello della città come compilazione di edifici individuali e articolazione di volumi, ma è un unico sistema continuo, isotropico, non gerarchizzato, potenzialmente infinito (e sprawled); opposto alla visione tettonica dell’architettura, il mat building non ha scala né tipologia né stile. Guardando le fotografie dei modelli della Berlin Free University o di altri mat building dell’epoca è evidente quanto essi siano altro dalla città in cui si vanno a inserire contaminandola. Il lungo elenco (costruito esso stesso come un nastro) dei progetti che Alice Smithson annovera tra i mat buildings termina con l’Old Nijo Palace di Kyoto, centenario edificio giapponese. Alcuni esempi attuali di mat building
sono il progetto Nexus World Housing di
Koolhaas del 1991, il progetto per il Yokohama Port Terminal di FOA del 2002, o gli ideogrammi di Spacefighter degli MVRDV del 200721 o come il progetto di concorso per il parco della Villette di Tschumi e Koolhaas del 1982 a Parigi. L’area parigina dell’ex macello, descritta come un terrain vague tra il centro storico e il plankton della banlieu, viene considerata il campo per una possibile applicazione della cultura della congestione europea, ma con una sostanziale differenza: in questo progetto non c’è l’uso di “materia”. Il progetto viene descritto nei testi Congestion without matter (1982) ed Elegy for the vacant lot (1985)22 Le teorie sulla congestione di Koolhaas, rintracciate a Manhattan (e teorizzate nel testo del 1978 Delirious New York), che rileggono la densità come accumulazione verticale di metri quadri e scontro tra diversi programmi all’interno del grattacielo, definito come condensatore sociale, vengono riprese, sovrapponendo attraverso l’uso dei
20 “ The time has come to approach architecture urbanistically and urbanism architectonically” In A.Smithson, (a cura di) Team 10 Primer, Mit Press, Cambridge 1968. 21 In Y. Zhu, Neo mat building, (abstract) 4th International Conference of the International Forum on Urbanism “The new urban question: urbanism beyond neo-liberism”, Amsterdam/Delft 2009. Mentre T.Avermaete intravvede un recupero dei mat building nei progetti delle Terme di Vaals di Zumthor del 1997 e nel progetto degli MVRDV di Villa VPRO dello stesso anno. In T.Avermaete, (a cura di) Mat building. Smithson’s concept of 2d Density, in “Inside Density. International Colloquium on Architecture and Cities”, Brussels 2003. 22 R. Koolhaas, (a cura di), Congestion without matter, progetto di concorso per il parco della Villette,1982 e Elegy for the vacant lot,1985, SMLXL, Monacelli Press, 2002.
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layers, sistemi contenenti programmi diversi. I layers di cui si compone il progetto sono cinque: Strips è costituito da una serie di fasce parallele larghe 50 metri, contenenti funzioni diverse e disposte a random; all’interno di questa tipologia le funzioni vengono distribuite, non concentrate; la natura fa parte del programma e quindi viene trattata come “striscia”. I Point grids o Confetti, costituito da una serie di elementi a piccola scala (bar e chioschi) disposti secondo esigenza e calcolati matematicamente; per il solo fatto di sovrapporsi i “confetti” generano effetti non prevedibili: d’altronde il tema del parco è centrato sulle relazioni casuali/caotiche, tema già trattato da alcune avanguardie del 900. Access and circulation è costituito da un Boulevard che corre da nord a sud, aperto anche di notte, che si incrocia con una promenade generando un percorso a otto; entrambi sono attrezzati, per cui la vista complessiva diventa cumulativa. L’ultimo layer contiene gli edifici esistenti o aggiunti, che, per via della scala, non possono essere compresi nei layer precedenti e che costituiscono una sorta di sfondo su cui essi si stagliano. Ogni singolo layer è perfettamente controllato in sede progettuale; ciò che non è controllato è l’esito finale prodotto dalla loro sovrapposizione. Il processo di layering
applicato in
questo progetto è stato estremamente innovativo, probabilmente generato in concomitanza con l’affermarsi in quel periodo dell’uso dei sistemi cad, ma soprattutto è esemplificativo di un mutato atteggiamento dell’architetto nei confronti del progetto, che concentra la propria attenzione sul processo progettuale, perdendo interesse (o forse capacità) a controllare l’esito progettuale. E’ una sorta di resa dell’architetto di fronte alla complessità del reale, atteggiamento che è in linea con la presa di coscienza avvenuta negli anni settanta della “perdita dell’unità”, della difficoltà se non dell’impossibilità a comporre un intero. Molte ricerche negli anni settanta si sono concentrate infatti sul tema del frammento: composizione per frammenti, montaggio di parti, elenco (ricerche non solo in ambito architettonicodalla città analoga di Rossi al frammento analitico di Purini-ma anche in letteratura e cinema cen Eisenstein). I vari layers che Koolhaas sovrappone nel progetto della Villette sono leggibili come frammenti di un intero montati uno sopra l’altro ( da sottolineare che nel caso di Koolhaas non c’è nostalgia per un intero perduto). L’esito di tale sovrapposizione è uno stato congestionato, analogo a quello del grattacielo americano. Ciascuno dei layer (strips, confetti..) può essere infatti assimilato ai piani del grattacielo; processo che Koolhaas evoca immaginando di spalmare, o di tradurre bidimensionalmente la sezione del Downtown Athletic club (esemplificativo grattacielo newyorkese) sull’intera estensione del lotto della Villette: la sequenza dei piani impilati del grattacielo- ciascuno con proprio programma (vertical stacking) - si traspone nei layer sovrapposti del parco (orizzontal stacking); questa
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trasposizione genera, come nel grattacielo, una congestione (di eventi) e il parco si definisce come condensatore sociale orizzontale, con la differenza però che a Parigi la prossimità è molto stressata e soprattutto che il progetto è puro programma senza segregazione di piani, senza ostacolo architettonico, senza “materia”. Si può ottenere uno stato congestionato senza l’uso di cubatura e ciò perché la congestione è legata al programma e allo scontro di diversi programmi23, a prescindere dalla fisicità dell’edifici. Tale effetto può essere definito densità senza (materia), una declinazione qualitativa della densità (o una qualità della densità?), che riguarda la percezione della densità e non la densità come quantità e che si ottiene attraverso promiscuità, intensità degli usi (e casualità). Paradosso. Colin Rowe (rettore della Cornell University presso cui Rem Koolhaas ha scritto Delirious Nyc nel 1978) in appendice al celebre testo Collage city ha scritto: i parchi sono i luoghi dove si costruisce una urbanità senza l’uso della costruzione67. Il progetto della Villette, che ha costituito il pretesto per teorizzare la densità senza (in appendice alla questione della congestione) è un parco. La densità esisterebbe senza i parchi? La risposta è probabilmente no, perché al di fuori del parco, la densità è un paradosso. Possiamo osservare come nel processo di emancipazione del mat building dagli anni 60 a oggi, si mantiene la matrice concettuale (sovrapposizione di forme, programma e superfici,
indeterminatezza e densità del tessuto) ma muta la
configurazione formale: il didascalico sistema attraverso cui il diagramma dei mat buildings veniva tradotto in geometrie cartesiane viene abbandonato; il mat building liberato da forme ortodosse, leggibili e statiche, viene re-intrecciato in un nuovo stato di flussi e complessità a differenti livelli. Spariti i solidi geometrici con una forma, sparito l’edificio, resta solo la matrice di una rete senza fine. Sullo sfondo oggi di determinati fenomeni di dispersione cheb interessano il territorio, la questione in merito alla densità è legata da un lato alla questione sulla crescita sostenibile della città, e dall’altro a una nuova necessaria idea di comfort urbano, basato su mutati rapporti di prossimità.
23 Le questioni in merito all’indeterminatezza programmatica costituiscono uno dei fulcri dell’opera progettuale di Koolhaas, di cui tre sono i concetti chiave: lo scontro tra la specificità architettonica e l’indeterminatezza programmatica; la possibilità che la diminuzione della specificità architettonica paradossalmente generi un aumento della densità; la possibilità di ottenere un indeterminatezza programmatica attraverso lo scontro di sistemi diversi e una diminuzione di specificità attraverso la cancellatura. Per quanto riguarda il primo concetto, Koolhaas scrive: “Cercavo una risposta a quello che loro (Alison e Peter Smithson) lasciavano senza risolvere: come combinare l’indeterminatezza reale con la specificità architettonica”. Tale tema ha molti precedenti oltre che nelle ricerche degli Smithson, anche nelle ricerche delle avanguardie artistico letterarie dei primi del 900, che hanno a lungo sondato gli effetti degli incontri casuali di sistemi diversi. La possibilità di ridurre la specificità dell’architettura, a fronte di una grande apertura programmatica, è una teoria che sembra essere particolarmente consona alla realtà urbana attuale, pervasa da una incredibile accelerazione delle trasformazioni, cui l’architettura sembra adeguarsi troppo lentamente. Sembra necessario tentare di togliere peso, perentorietà e definizione all’architettura: “alleggerire l’architettura in modo da farla coincidere con il vivere stesso”.
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Qual è il rapporto tra densità (legata a certi criteri di sostenibilità) nelle città contemporanee (ipotizzata nell’equilibrio tra vivibilità ed efficienza)? In altre parole: densificare è sostenibile nella città attuale? L’aumento di densità può scontrarsi con il carattere di vivibilità (definito nell’equilibrio tra macchina-grembo come carattere della città media che permette la sua resistenza/persistenza/ sopravvivenza)? Se può anche essere vero (a volte) che all’alta densità si possa associare una diminuzione di impatto ambientale, come si fa a sapere se un centro denso è vivibile di una periferia meno densa? Un’ iniezione di densità può alterare le distanze che suggellano l’equilibrio (ipotizzato) della città media? Cosa succede se affianco alla densità fisica (densità volumetrica) altre declinazioni di densità (densità programmatica, densità bidimensionale, densità senza) vengono iniettate nella città già formate?
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Una metropoli dispersa
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La città “bianca” perde i limiti dell’apartheid
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La ricerca e l’approfondimento del materiale reperito in Italia, e la rete intessuta con gli atenei e i governi locali, portavano a considerazioni molto positive in merito alle strategie previste per la pianificazione urbana, a concetti molto forti per quanto riguarda il recupero sociale e la coesione etnica. Si percepiva la sensazione di un paese che finalmente uscito dal regime razziale che a fatica ed in modo anacronistico aveva oppresso e segregato la maggioranza della popolazione non “bianca”. La città, ma come del resto l’intera nazione Sudafricana, cerca di presentarsi come già detto in altri capitoli, come una città evoluta, cerca una visibilità mondiale che la sdogani definitivamente dal suo pesante passato. Nazione che ha fatto della partecipazione e dell’uguaglianza i fondamenti della propria costituzione e che ora vuole esibire al resto del mondo e diventare come democrazia evoluta e potenzialmente ricca, la guida per la rinascita dell’intero continente e dell’orgoglio africano. La trasferta a Cape Town ha permesso di attualizzare quanto fino ad allora approfondito; la città è in tale fermento che le pubblicazioni più recenti sono già superate, i periodici, gli stessi siti internet locali fanno fatica a seguire e a
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Ed. alto reddito Ed. storici Percorsi pedonali Zone sportive Victoria Basin
Central
Stazione
Zona riqualificata
Zona di Loop-Long Green Point Common
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monitorare il repentino sviluppo. Molti degli obiettivi sono stati raggiunti e lo sono con risultati positivi, altri sono ben lontani dalla soluzione, e altri ancora sono talmente grandi che non si riesce ancora ad analizzarne le problematiche e ad ipotizzarne i rimedi. La città si presenta poliedrica e multietnica; è una città viva che in modo molto europeo gestisce gli spazi preziosi del centro storico. Il centro cittadino è costellato da cantieri: di nuovi fabbricati, di riqualificazione urbana e di realizzazione di infrastrutture, attività frenetica che diventa ancora più evidente nelle aree limitrofe al centro amministrativo e affacciate sulla costa. Il forte incremento turistico richiede: alloggi, strutture attrezzate, spiagge ben gestite, campi da golf, parchi urbani e lunghissimi percorsi ciclopedonali sul lungo mare. Accanto a questo sfrenato neoliberismo, a questa sete di riscatto e di rivincita, la città è anche riuscita ad accogliere parte della popolazione non bianca, occupata o meno che sia, questa popolazione libera dall’oppressione dell’apartheid, e forte Figura 1 City di Cape Town Figura 2 Edifici storici lungo Loop street riqualificati e gestiti dalle diverse etnie presenti in Sudafrica. Figura 3 Edificio storico tipicamente olandese.
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dei diritti sanciti dalla nuova costituzione, si è impadronita, in modo pacifico delle strade, delle piazze, dei parchi, insomma di tutte le aree pubbliche. La città ha completamente aperto le porte alla popolazione prima segregata e allontanata. Le strategie di riconciliazione e di sostegno economico ha portato il governo locale ad affidare interi blocchi urbani, luoghi e vie storiche e degradate alle diverse etnie, senza distinzione razziale o economica, aree da riqualificare e restituire alla loro funzione originaria. L’amministrazione tramite prestiti, o altre forme di sovvenzione ha permesso la realizzazione di numerosi progetti commerciali e produttivi. Intere aree cittadine dismesse sono così diventate un mix culturale etnico che vive non solo dei cittadini, ma sempre di più si rivolge ai turisti che sono in aumento esponenziale. Lungo Long street e Loop street (assi direttamente collegati con il centro amministrativo) e in tutte le zone limitrofe troviamo oggi ogni tipo di attività; dalla ristorazione multietnica ai locali notturni con musica e spettacoli dal vivo, ambienti tradizionali africani o austeramente inglesi. Figura 4 Stratificazione lungo Long street di edifici tipicamente olandesi, inglesi e architetture contemporanee. Figura 5 Immagine della stratificazione culturale delle attività commerciali prossime al Business Centre
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I negozianti offrono tutte le varietà di negozio. Troviamo dalle gioiellerie alla bigiotteria africana; passando da una boutique di firma italiana ad un’altra di sartorie locali emergenti. Senza distinzione etnica troviamo negozi specifici dedicati alla popolazione più povera, dove possono trovare: abbigliamento, alimenti ed anche ornamenti realmente tradizionali. Da questi quartieri posti a sud-ovest del centro amministrativo ed economico della città, le due arterie principali, sono costellate da strade e piazze pedonali, luoghi che danno un’immagine ancora più reale dell’integrazione. Oltre a trovare mercati stabili di africani e colored, e spesso anche di bianchi nelle piazze più belle, dove si affacciano alberghi lussuosi, istituzioni, biblioteche nazionali; tutte le altre aree pedonali ospitano chioschi, attività che convivono a stretto contatto con negozi di pregio in una sorta di rambla Sudafricana. La città è viva, colorata, non si percepisce la sensazione di separazione, di conflitti sociali ed etnici. Continuando verso il centro amministrativo ed economico, lo troviamo ordinato, con un arredo urbano curato a volte raffinato; certo non troviamo i colori africani Figura 6 e 7 Mercato stabile multietnico in una piazza nell’area del Parlamento. Figura 8 e 9 Immagine della riqualificazione urbana delle aree pedonali prossime al Parlamento con attività commerciali
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cui c’eravamo abituati fino a poche centinaia di metri prima, i grattacieli delle banche, delle multinazionali e di altre realtà economiche rilevanti insediatesi da poco, mal convivono con un uso così “anarchico” degli spazi. In questo luogo di potere economico, gli occupati sono giovani di ogni etnia. È la nuova classe dirigente, che comincia nella successione delle generazioni ad affiancare, e a volte a sostituire quella precedente. Certamente i 20 anni trascorsi dalla fine dell’apartheid, non consente ancora ai non bianchi di accedere ai livelli dirigenziali più importanti, ma si sono inseriti, sono capaci, hanno guadagnato duramente e spesso tramite borse di studio o prestiti d’onore la loro istruzione e preparazione culturale. Ora si mettono a disposizione della città, e la città in via di sviluppo non può più permettersi di farne a meno. La pressione demografica delle popolazioni povere supplisce la sempre più congenita e marcata minoranza bianca, diventando una linfa vitale di giovani colti e competenti, motivati spesso
Figura Figura Figura Figura Figura
10 Bancarella condivisa fra un anziana signora della borghesia bianca e una persona di colore. 11 Stazione storica di Victoria Station. 12 Ampliamento della stazione di Victoria Station con ampie zone coperte, sede di mercati stabili o occasionali. 13 Torre dell’ABSA Bank, nel cuore del Business Centre. 14 Area pedonale.
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dalla loro voglia di riscatto, dalla volontà di essere finalmente uguali, energia dalla quale la città non può più prescindere, altrimenti vedrebbe vanificato il progetto di espansione, di affermazione a livello mondiale sia in campo economico che sociale. Alla base di questa crescita professionale e conseguente innalzamento della qualità di vita delle popolazioni povere, il governo nazionale si è impegnato con finanziamenti (per il momento ancora esigui) a garantire e favorire l’istruzione dalla formazione di base fino all’università ed all’accesso alla ricerca ed alle cattedre degli atenei. Frequentando per molti giorni l’università, la stessa miscellanea multiculturale conviveva nelle aule, nelle biblioteche, nei gruppi di lavoro, dove gli studenti poveri provenienti dalle Township grazie alle ai fondi per lo studio collaboravano con colleghi di qualsiasi etnia o posizione sociale; intrattenevano discussioni colte o si impegnavano alla stesura di un progetto, o a gruppi di studio. Ritornando alla città, inoltrandosi nella city amministrativa e entrando nella torre amministrativa di Cape Town, ci si trova in una grande hall che è ben lontana dall’austerità che ci si sarebbe aspettati, lo spazio è una sorta di mercato coperto. I fruitori dei servizi attraversano questo suk per accedere ai piani degli uffici, gli impiegati si ristorano, fanno la loro pausa caffè questo mercato di sapore molto africano, che contrasta superandolo in fascino con le strutture ardite dell’edificio. Poco lontano troviamo la stazione ferroviaria di vittoriana memoria ampliata per diventare polo di interscambio gomma/rotaia, la nuova struttura è stata realizzata, non solo per sopportare il notevole afflusso di pendolari, ma come luogo non solo di transito, troviamo spazi coperti e piazze, normalmente luogo di sosta, dialogo e come sempre commercio di frutta e mercanzie varie. La città, vista dall’esterno, appare come un’esplosione incontenibile di persone di colore che la invadono, ci lavorano, sopravvivono di espedienti o cercano una dignità per troppo tempo negata. La stazione sembra l’epicentro di questo fenomeno, quotidianamente inietta nella città migliaia di pendolari provenienti dalle Township, da qui si diramano, si inoltrano e si mettono al servizio della città, 20 anni fa come manovalanza sfruttata, ora come motore per la rinascita del Sudafrica. Una delle zone più pregiate e frequentata da tutte le stratificazioni sociali è l’area dello stadio dei mondiali 2010. Tutta la zona è stata trasformata e riqualificata come parco urbano, con lunghe piste ciclopedonali, aree di gioco e attrezzature
Figura 15 Area pedonale. Figura 16 Mercati abusivi ai margini delle aree riqualificate del centro urbano.
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varie, spazio pubblico utilizzato da tutta la popolazione. Nonostante
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sforzi
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disoccupazione delle classi povere rappresenta una delle sfide più importanti che il Sudafrica deve vincere. Un sostegno alla disoccupazione è rappresentato dal governo cittadino, la gestione della città è affidata a lavoratori poveri provenienti dalle Township: operai, manutentori, addetti alla regolamentazione del traffico popolano quasi in modo invasivo e sicuramente sovradimensionato le strade della città. Negli uffici oltre alle assunzioni di diplomati e laureati, troviamo un numero spropositato di guardiani, security, addetti alle pulizie. Questi impieghi pubblici, pur con il nobile intento di togliere più persone possibili dal loro stato di indigenza, dissanguano le casse del governo cittadino non consentendo di investire in infrastrutture che realmente possano garantire un’economia autonoma alle Township. Attualmente rimane comunque visibile l’alto tasso di disoccupazione e povertà; le lunghe file davanti alle agenzie del lavoro, pubbliche o private lo palesano. Le bancarelle abusive e molto provvisorie si insinuano nel tessuto urbano dove c’è meno controllo; sono una presenza inevitabile, frutto di anni di apartheid e segregazione, di sfruttamento a basso costo della miseria delle Township. Il Sudafrica è una democrazia ancora molto giovane, ha subito una profonda crisi economica dopo la fine dell’apartheid, la redistribuzione delle terre, e delle risorse governative hanno inciso profondamente nel debito pubblico della nazione Considerando inoltre che l’obiettivo di perseguire la visibilità mondiale, di ospitare eventi e di attrarre e favorire investimenti esteri impegna una quota importante delle risorse cittadine, le fasce più deboli sono inevitabilmente sacrificate in nome di questo neo liberismo. Problema che non è pianificabile nemmeno nel lungo periodo; lo stesso dipartimento incaricato di monitorare il fenomeno della disoccupazione non riesce ad ipotizzare un tempo di risposta agli interventi programmati. Arrivando addirittura a sostenere con rassegnazione che molti dei poveri delle Township non riusciranno mai ad uscire dal loro stato di indigenza. La popolazione povera e disoccupata, supera il 40% della popolazione delle riserve, inoltre la richiesta di alloggi sovvenzionati supera di molto il budget disponibile per questo tipo di assistenza.
Figura 17 Area pedonale.
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I confini della città “bianca” come dicevamo sono stati abbattuti dalla nuova costituzione dello stato democratico, la città ha accolto, integrato, la popolazione segregata, oramai maggioranza nel centro cittadino. Parallelamente, Cape Town ha ampliato i suoi confini, li ha espansi, si è protesa verso le Township, ne ha riconosciuto inevitabilmente la simbiosi e sta cercando di perpetuarla con interventi, che seppur minimi cerchino di dare dignità a questi luoghi. Questi interventi iniziati fin dai primi anni ’90, consistono in infrastrutture di minima sussistenza, strade asfaltate, fognature e fornitura di acqua potabile ed elettricità. Le stazioni periferiche sono nodi di interscambio dove la popolazione impiegata nella città vi giunge con un sistema efficiente su rotaia. Prima di calarsi nella realtà ancora estremamente degradata delle abitazioni e delle baracche, attraversa strutture di commercio, spazi pubblici riqualificati, impianti sportivi di recente realizzazione, per poi essere travasata su sistemi improvvisati e disorganizzati di minibus privati che percorrono gli oltre 7 chilometri di lunghezza da un capo all’altro di Khayelitsha. Figura 18 Fascia costiera di Green Point attrezzata a parco pubblico cittadino. Figura 19 Viali del Parco di Green Point. Figura 20 Parco pubblico cittadino di Green Point, sullo sfondo lo stadio.
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Quello che si può oggettivamente considerare quindi, è la ferma volontà di ricercare e rafforzare una simbiosi storicizzata se vogliamo, dapprima segregata, ora libera. La povertà è paragonabile, ma la conquista della libertà è percepibile, se le Township rispettano e proteggono ogni briciola di intervento governativo, dall’altro lato il governo cerca di creare un sistema strategico di innalzamento del tenore di vita di queste popolazioni. Seppur con risorse di molto inferiori a quelle stanziate per rendere Cape Town una città internazionale, accompagna le nuove generazioni all’istruzione scolastica fino ai massimi livelli, garantisce un buon livello sanitario e sostiene le iniziative economiche dei poveri, ma in una massa di popolazione che sopravvive di espedienti, deve tollerare abusivismo edilizio e attività commerciali illecite. Oltre alla scolarizzazione, gli interventi attualmente più efficaci consistono nella realizzazione di impianti sportivi e di centri civici che allontanino i giovani dalla malavita organizzata, e da altre forme di microcriminalità, dal consumo e spaccio di droga e dalla prostituzione. La realtà è che sono migliaia gli abitanti che difficilmente potranno sfuggire al proprio destino, la disoccupazione Figura 21 Vista dalla Table Mountain. Figura 22 Fascia costiera ciclo-pedonale di Green Point con il parco cittadino e le recenti edificazioni. Figura 23 Disoccupati di colore di fronte agli ufficio di collocamento
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è elevatissima, e dai rapporti di sviluppo non ci sarà nessuna possibilità (come già accennato in precedenza), sia nel breve che nel lungo periodo, che la città possa offrire opportunità di lavoro alla popolazione più di quanto fatto fino ad oggi. Ogni lavoratore, a prescindere dalla sua posizione, deve sostenere il carico di intere famiglie, nuclei famigliari che di media sono composte da 7 persone. Quindi senza nessuna possibilità di risparmio ed emancipazione, senza contare che da parte delle banche se vogliamo ancora decisamente “non emancipate”, l’accesso al credito è praticamente impedito, a causa delle richieste di garanzie impossibili da fornire da parte dei lavoratori delle Township. Quindi è molto difficile che un lavoratore nato nelle aree di segregazione possa emanciparsi e allontanarsi da quella realtà alla ricerca di una nuova dignità personale. Il paradosso più frequente consiste proprio nel veder uscire da baracche stabili, ma a volte anche da baracche abusive, uomini e donne elegantemente vestite, che escono da queste misere abitazioni per recarsi al lavoro in città, a volte in treno o autobus, ma in molti casi con auto quasi nuove. Posti di lavoro dove sono impiegati Figura 24 La Township di Khayelitsha perde il proprio perimetro ed intacca le aree protette delle dune costiere. Figura 25 La baraccopoli di Khayelitsha. Figura 26 Fattoria abusiva nell’area protetta delle dune costiere
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non solo come bassa manovalanza, ma spesso dirigono attività commerciali di rilievo, alberghi ed altre realtà di livello medio alto. Gli interventi infrastrutturali governativi, per quanto siano importanti per queste comunità, risultano scoordinati e soprattutto di mera assistenza e sussistenza quasi a tamponare e gestire il problema, nell’auspicio di poterlo affrontare e risolvere in un periodo economicamente più favorevole, e con una democrazia divenuta stabile e strutturata. La considerazione che evidenza questa assenza di pianificazione risiede proprio nella volontà, quasi ineluttabile e scontatata di realizzare gli interventi sempre all’interno del recinto della riserva, senza tentare di creare insediamenti più vicini alla città e più integrati con lo spazio urbano. Volontà che attuata tramite interventi di sostituzione delle baracche con abitazioni popolari, di potenziamento dei trasporti ed altre strutture ed infrastrutture, ribadisce il concetto di una ineluttabilità di immutata anche se ora democratica riserva; certamente più dignitosa, meglio attrezzata, ma che continuerà a contenere solo in Khayelitsha più di trecentomila abitanti tutti della stessa razza e accomunati da un destino di miseria ancora molto lontano da essere risolto.
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Khayelitsha - laboratorio di pragmatismo urbano “Leggere” Khayelitsha
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Distretti Aree di interesse
BLAAUWBERG
NORTHERN
CENTRO STORICO DI CAPE TOWN
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TABLE BAY
TYGERBERG
KLIPFONTEIN / FALSE BAY
MITCHELLS PLAIN / KHAYELITSHA
TOWNSHIP DI KHAYELITSHA
EASTERN
SOUTHERN (EXCLUDING FALSE BAY)
RISERVA DI TABLE MOUNTAIN
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Strada principale Linea ferroviaria Aree di interesse Area di Cape Town
CENTRO STORICO DI CAPE TOWN
2 AEROPORTO
TOWNSHIP DI KHAYELITSHA
RISERVA DI TABLE MOUNTAIN
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Prima di illustrare, nei paragrafi successivi, le valutazioni derivanti da questa ricerca, si riporta quanto previsto nel piano distrettuale “Khayelitsha Mitchells Plain”, in particolare facendo il punto sulle aree a cui è riservato l’intervento. Il piano di distretto è sviluppato all'interno del quadro legislativo della Land Use Planning Ordinance (LUPO) e cerca, attraverso il suo allineamento con lo Spatial Development Framework (SDF), di sviluppare: -I principi della Development Facilitation Act -Le direttive della politica del territorio nazionale e Provinciale per lo sviluppo delle prospettive di crescita -Le Normative di pianificazione regionale. Oltre a queste politiche di distretto e ai piani a grande scala, ci sono vari piani particolareggiati, destinati in particolare alle aree di quartiere. Il loro obiettivo è portare a termine ogni proposta del piano di distretto a scala adeguata. Il distretto rappresenta una delle aree più marginalizzate della città, caratterizzata da zone residenziali utilizzate esattamente come dormitori, abitate da popolazione con un basso reddito e un'alta disoccupazione. E’ il quartiere che più necessita di rinnovamento e sviluppo economico, nonché di alloggi adeguati e di un sistema di trasporti efficace, di connessione alla città. Il Distretto F (719 512) comprende il 24% della popolazione totale della città di Cape Town ed è caratterizzato dalla più alta densità abitativa degli otto distretti, in prevalenza concentrata in Khayelitsha (2001 abitanti: 329 000), seguita da Mitchells Plan (2001 abitanti 283 196) e Philippi (2001 abitanti: 110 321).Oltre ad essere il più densamente popolato, questo distretto si caratterizza per la più bassa qualità di vita e ha il più alto tasso di disoccupazione in città.
Figura 1 Suddivisione dei distreti e perimetrazione del centro storico di Cape Town e della Township di Khayelitsha. Figura 2 Principali arterie stradali e ferroviarie di collegamento tra Cape Town e Khayelitsha. Figura 3 Planimetria estratta dallo SDF di Mitchell’s Plain e Khayelitsha
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L’età media degli abitanti è la più bassa all’interno dell’area metropolitana. Più di un quarto dei giovani della città (27,9%) vive in questo quartiere; il 36,4% dei residenti del distretto è al di sotto dei 17 anni), viceversa il quartiere riflette la più bassa percentuale di persone anziane di tutti i distretti (5 anziani ogni 100ab); il distretto F ha il più alto numero (21.436) di famiglie composte da sette o più persone (percentuale 11.92%). Mentre la crescita della popolazione nel centro città è destinata a rallentare nei prossimi 15 anni, è probabile invece che l’immigrazione verso Cape Town continui, il che, con tutta probabilità, influenzerà la crescita della popolazione del Distretto. Il quartiere è carente soprattutto per quanto riguarda le attività produttive, con una
bassissima percentuale di attività commerciali e industriali. Gli immobili destinati ad attività commerciali rappresentano il 3,6%, la proprietà industriale solo 1,1%:sono le più basse percentuali di attività commerciali e industriali di tutti i distretti e non si prevedono sostanziali investimenti.
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Relativamente pochi gli investimenti nel distretto, il quartiere ha il più alto livello di disoccupazione in città, 30,8%, ciò è particolarmente significativo se si considera che il 42% della popolazione cittadina risiede all’interno di questo distretto. Tra i vari distretti che compongono la città di Cape Town, ha uno dei peggiori tassi di criminalità. Nel 2005/2006 era di gran lunga il più pericoloso con una percentuale del 44,6% degli omicidi e stupri denunciati in città; centro di spaccio di droga (19,7%). Il quartiere ha la più alta percentuale di abitazioni abusive della città 43,7%, con i peggiori servizi, spesso privi dei minimi requisiti igienici e sanitari ecc. I modelli di insediamento dell’area sono caratterizzati da una stratificazione disomogenea che riflette la recente costruzione (la maggior parte del quartiere si è sviluppata negli ultimi 30 anni). Si tratta, in particolare, di una serie diffusa di forme residenziali regolari, edificate tra gli anni Settanta e gli Ottanta. La maggior parte di questi edifici si è sviluppata attraverso l’intervento pubblico, generalmente con densità vicine ai 20ab/ha. La forma delle abitazioni non varia, vi è una dominanza di singole unità residenziali individuali; la variazione avviene invece nelle forme delle unità indipendenti; predominano gli appartamenti nelle zone di Mitchells Plain e in una forma più limitata a Khayelitsha e Philippi. Accanto troviamo vaste aree in cui prevalgono gli insediamenti abusivi, con servizi minimi, inesistenti o parziali. Questi insediamenti si trovano soprattutto lungo il perimetro dell’area, negli spazi aperti, nelle servitù o negli spazi delle ex aree di servizio dove non era stato previsto nessun tipo di insediamento. Secondo le intenzioni del governo locale, l’area dovrebbe svilupparsi correlando lo sviluppo urbano con quello residenziale: -Controllando la crescita degli insediamenti abusivi, -Attuando alcuni livelli di de-densificazione dove l’intervento pubblico era già intervenuto -Incrementando il nuovo sviluppo di edilizia regolare nelle aree libere all’interno del perimetro del distretto, quindi con dei limiti di espansione per il nuovo sviluppo. L’attività economica nella zona è stata storicamente limitata da bassi livelli di proprietà commerciale ed industriale. La maggior parte degli investimenti è andata a finanziare sostanzialmente gli esercizi commerciali in prossimità degli snodi del servizio pubblico su rotaia. Mitchells Plain è l’area del distretto in cui si è investito di più; tra i recenti interventi: lo sviluppo del centro commerciale più importante del distretto. L’attività industriale esistente è concentrata in poche aree, incluso il Denel site (Storicamente un deposito di armi e munizioni) per il quale sono in fase di definizione progetti per il recupero dell’esistente, in particolare la relativamente sotto-
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sviluppata area industriale a Silvertown e Khaya e la sviluppata zona industriale di Philippi Industrial Area (PIA). Le attività non abusive nella zona sono una parte significativa dell’economia locale, anche se relativamente limitata. Queste attività riflettono una predominanza delle funzioni commerciali al dettaglio, concentrate negli interscambi principali dei mezzi di trasporto pubblici e lungo i percorsi pedonali. Il distretto ha un forte bisogno di servizi sociali, in particolare quelli per la sicurezza, la salute e l’educazione. Dall’analisi preliminare degli organi di pianificazione del governo locale, sono emersi alcuni dati di fatto: -generale mancanza di strutture ospedaliere; -generale mancanza di accesso agli impianti sportivi -carenza di spazi aperti attrezzati (come i parchi metropolitani e di distretto). In termini di spostamenti e viabilità, questo quartiere è sottoposto ad un forte volume di traffico, causato dal limitato numero di posti di lavoro locali. Ecco come si presenta la situazione: - il trasporto pubblico è molto utilizzato (in particolare a Khayelitsha, sebbene il ricorso ad autobus e taxi sia significativo in tutte le aree) per il lavoro e non. - lo spostamento pedonale rappresenta la modalità più utilizzata per muoversi - l’uso dei veicoli è limitato perché poche persone posseggono una macchina La connessione del distretto con la metro, a nord e nordest, è un aiuto per la mobilità, in via di miglioramento grazie alla costruzione della Symphony way che va ad aumentare i collegamenti già esistenti. Il distretto è servito relativamente bene dalla linea ferroviaria, con otto stazioni localizzate lungo la linea di Khayelitsha e Mitchell Plain, che si divide dopo la stazione di Philippi. Il trasporto ferroviario all’interno Khayelitsha è il più utilizzato. La forte fiducia nel trasporto pubblico si riflette nel fatto che diversi mezzi di trasporto pubblico nel quartiere sono tra i più attivi in città. Khayelitsha è una comunità multiculturale relativamente giovane, prodotto di una politica razziale piuttosto che di una scelta degli abitanti. Gli investimenti realizzati storicamente nel distretto sono stati minimi. L’attrattiva della zona per gli investimenti è limitata da una molteplicità di fattori: - problemi di localizzazione spaziale, frutto di strategie di allontanamento e segregazione; l’area è dislocata lontano dai poli economici di Cape Town che comprendono maggiori concentrazioni di occupazione; -strutture insufficienti di collegamento con le zone circostanti e il resto della città;
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- problematici collegamenti nord-sud, nonché di accesso diretto alla zona industriale di Philippi; - alta concentrazione della povertà; - percezione di “pericolo” associato alla forte delinquenza. Con il Michells Plain gli investimenti hanno quindi avuto un impatto relativo sulla grave disoccupazione della popolazione del Distretto (45,1% di disoccupazione il livello più alto tra gli otto Distretti); le opportunità di occupazione generate dal centro commerciale, e dalle attività commerciali più piccole, sono infatti limitate rispetto alle prospettive che sarebbero derivate da attività diversificate e complementari. Le prospettive di crescita occupazionale sono ulteriormente limitate anche da una serie di fattori, alcuni di questi sono da associare all’ambito urbanistico. Generalmente, le strutture produttive della zona non supportano le piccole attività economiche: favoriscono la mobilità invece che sostenere l’agglomerazione di attività in risposta a flussi di energia. I piccoli centri commerciali non abusivi, ad esempio, sono stati in molti casi progettati con scarsità di mezzi e non sono in grado di attirare i flussi di clienti di passaggio. Le attività abusive hanno in alcuni casi sopraffatto queste attività, collocandosi in luoghi più esposti al passaggio. Questo ha portato alla competizione “in termini di uso di queste aree”. La maggior parte del territorio si è sviluppata negli ultimi 30 anni, con le aree di Mitchells Plain e Khayelitsha formalmente negli anni 1970 e ‘80. Mentre alcune zone all’interno del distretto sono stabili e non soggette a cambiamenti significativi (ad esempio alcuni sobborghi di Mitchells Plain), gran parte del quartiere sta letteralmente superando i limiti di densità massimi, a causa dell’edificazione abusiva. Diversi i problemi sorti in seguito a quest’espansione: -affollamento nei pressi dei servizi pubblici e di determinate aree urbane, con conseguenti problemi sociali causati della mancanza di servizi -occupazione abusiva di terreni strategici, di terreni minacciati da inondazioni e aree ecologicamente sensibili - criminalità e diffusione di malattie legate alla bassa qualità di vita in molti insediamenti abusivi (assenza di servizi di base). I tempi di consegna degli alloggi cercano di tenere il passo della crescente domanda che si aggiunge a quelle arretrate. Le richieste attuali corrispondono a più di 68000 unità. In questo contesto, gran parte del territorio che potrebbe rientrare in progetti di ri-
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strutturazione e sviluppo urbano è occupata da insediamenti abusivi. Questo fatto pregiudica, naturalmente, la possibilità di farle raggiungere obiettivi più ampi, al di là della realizzazione di alloggi. In secondo luogo, vi è una chiara necessità di proteggere le risorse naturali che si trovano nel quartiere, compreso il corridoio della biodiversità costiera, nonostante queste aree siano protette. La mancanza di qualità ambientale è evidente in molte zone dove l’edilizia abusiva è stata invasiva; la pianificazione non è stata in grado di promuovere progetti di riqualificazione, in aree che potevano diventare una risorsa per le comunità locali. Lo spazio aperto in molte zone risulta poco sviluppato e di scarsa qualità, per diversi motivi, tra cui: -applicazione di standard eccessivamente densi per le abitazioni, con scarso utilizzo delle zone destinate al commercio e all’industria - limitato interscambio tra l’ambiente costruito e gli ambienti pubblici come le strade e gli spazi aperti. - limitato sviluppo di spazi aperti strutturati all’interno di aree funzionali attive, ad esempio parchi o campi sportivi. La scarsa qualità delle strutture pubbliche ha un forte legame con la diffusione della criminalità. Nonostante la popolazione del distretto costituisca quasi un quarto dei residenti in Città, l’accesso alle attrezzature pubbliche è limitato. La preservazione delle aree naturali rappresenta un problema rilevante, in quanto questi ambienti sensibili sono invasi da insediamenti abusivi e dall’accumulo di rifiuti. OPPORTUNITÀ STRATEGICHE DI SVILUPPO TERRITORIALE NELL’AMBITO DEL DISTRETTO: -Risorse naturali, connessioni costiere, valorizzazione delle opportunità fornite dall’ambiente naturale -Parte del centro del distretto è ancora sottosviluppato ma potenzialmente sviluppabile -Trasporti pubblici, connessioni sviluppate e ancora da sviluppare. -Presenza di potenziale economico incentrato sui nodi costieri, l’area industriale di Philippi, e le
stazioni
-Potenzialità latenti associate a aree naturali e artificiali (incluse le coste, nodi costieri, punti panoramici, gli ampi spazi liberi) Inoltre, si deve riconoscere che ci sono diverse opportunità al di fuori del distretto che potrebbero
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rivalutare il distretto. -La capacità del distretto di assorbire ulteriore densificazione è limitata, tuttavia nuove possibilità di sviluppo esistono a nord del quartiere; -Le opportunità di lavoro esistenti nelle vicinanze del quartiere tra cui la zona industriale, l’aeroporto, il Metropolitan Open Space System (MOSS) è il concetto chiave che guida lo sviluppo e la salvaguardia delle aree verdi all’interno del distretto. Diversi imperativi, come espresso dalle strategie di sviluppo della città pianificate nello Spatial Development Framework SDF, sono al centro del piano MOSS: - Collegamento e continuità: l’obiettivo è quello di promuovere un sistema di spazi aperti collegati e continui. Sostenere l’integrità dei sistemi naturali e di fornire un’opportunità di accesso e collegamento multifunzionale attivo / passivo dei sistemi di spazi aperti. - l’obiettivo di fornire uno spazio aperto che sia fruibile e accessibile e al tempo stesso promuova l’accesso ad una gamma di livelli e di tipi di spazi diversi, dal locale e metropolitano che supporti un ampio spettro di attività (sport, passeggiate, incontri, eventi). -
Su scala urbana:
- Il mantenimento di un collegamento continuo naturale lungo la costa False Bay e il naturale corridoio della biodiversità tra il sistema costiero e la zona ad alta biodiversità all’interno del Denel site; - proteggere il sistema del fiume Kuils e l’ambiente naturale delle zone a rischio alluvione; - Proteggere e conservare il sistema delle Macassar dunes; - Esplorare le opportunità di un parco a scala urbana associato al sito di Swartklip. Su scala locale: - mantenimento e potenziamento di spazi aperti polifunzionali continui e collegati sottoforma di corridoi associati con il sistema delle acque; - Sviluppare e rafforzare l’accessibilità allo sport a livello distrettuale con strutture ricreative come parte della rete degli spazi aperti. Il piano prevede la razionalizzazione del sistema di spazi aperti, per promuovere la sicurezza, così come la redditività, riducendo la quantità di spazio aperto non gestito. INTEGRAZIONE E SVILUPPO DELLA STRATEGIA : STABILIRE UNA RETE STRUTTURALE INTEGRATA PER IL SISTEMA DEI MOVIMENTI. La creazione e il rafforzamento di una rete viaria che permetta l’accessibilità multi direzionale è la chiave che permetterà lo sviluppo all’interno del distretto. A questo
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riguardo, due considerazioni sono fondamentali: Collegamento e accessibilità: L’obiettivo è di creare una griglia di accessibilità che faciliti convenientemente l’accesso e il movimento multidirezionale tra il quartiere e le altre parti della città (“griglia primaria di accessibilità”) e l’interno del quartiere (“griglia secondaria di accessibilità”) alimentando la griglia primaria. Ordine e tipologia: L’obiettivo è di stabilire una gerarchia di percorsi idonei che distinguano diversi ruoli, ma complementari alla funzione di ospitare un continuum di mobilità e di accessibilità. Da questo presupposto si provvederà ad un sistema di trasporto pubblico. La gerarchia della struttura viaria fornirà inoltre una positiva risposta di utilizzo del territorio rafforzando le vie di trasporto pubblico. STRATEGIA DI INSEDIAMENTO: DIRIGERE LA CRESCITA URBANA E PROMUOVERE LO SVILUPPO COMPATTO E INTEGRATO. La creazione di un bordo urbano è un concetto spaziale chiave che interesserà l’espansione degli insediamenti all’interno del distretto. Sono diverse le considerazioni insediative fondamentali in materia di rafforzamento dello SDF della città, tra queste: -Protezione delle risorse sensibili: lo sviluppo urbano deve essere diretto lontano dalle risorse significative (ad esempio la natura e le aree agricole) e i rischi (ad esempio, aree soggette ad inondazioni) - integrazione e crescita diretta: la crescita del territorio deve avvenire in via prioritaria all’interno dell’attuale ring dell’insediamento. Sviluppato come parte di un graduale processo di crescita coordinata alle infrastrutture e agli impianti a disposizione. Khayelitsha: a)
Washington Square
Si propone per questo sito la funzione di ospitare una vasta gamma di usi urbani. Lo sviluppo deve essere promosso sul bordo Lansdowne Road contribuendo all’interfaccia con la strada. Deve essere promossa la media densità abitativa, il sito dovrebbe ospitare un mix di forme residenziali, nonché adeguate strutture comunitarie. Di pari passo con la pianificazione locale del sito deve essere rafforzata la presenza di infrastrutture scolastiche. b)
OR Tambo Precinct
Il distretto di OR Tambo è situato in una zona penalizzata dalla vicinanza a uno dei due punti di accesso a Khayelitsha. Le proposte per il sito consistono nel cercare di capitalizzare su questa opportunità
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di visibilità e incoraggiando lo sviluppo di nuovi insediamenti aumentando la mixitè. Questo potrebbe includere un nuovo sviluppo del settore commerciale, nonché un mix di media / alta densità abitativa. Opportunità che saranno definite con la pianificazione locale. Il Nuovo sviluppo dovrebbe creare un’interfaccia con Lansdowne Road, che definisce lo spazio pubblico attraverso interfacce attive al piano terra. Il palazzetto dello sport dovrebbe costituire una parte integrante del nuovo sviluppo del sito, oltre a nuovi impianti sportivi diversificati, e dei relativi nuovi sport e opportunità di svago devono essere considerate come componenti essenziali della zona di espansione. Lo sviluppo della zona (adiacente questi siti) dovrebbe prevedere l’estensione delle Blue Downs Rail. c)
Khayelitsha Business District (KBD)
Un livello di flessibilità grazie al quale le attività dovrebbero essere sistemate nella zona KBD è necessario, tuttavia, esiste la preoccupazione che gli investimenti pubblici in infrastrutture possano tagliare fuori opportunità di investimento privato e una riduzione generale del potenziale indispensabile per migliorare la vitalità del KBD. A ovest terreni liberi di Walter Sisulu Drive verso la stazione, presentano la possibilità per un più intenso sviluppo ad uso misto (la densità residenziale, commerciale e residenziale). Il nuovo sviluppo dovrebbe creare delle relazioni con la struttura pedonale (comprese le piazze civiche, le strutture, servizi di taxi e autobus) e oltre a Walter Sisulu Drive. Dovrebbe essere promosso attraverso lo sviluppo di relazioni commerciali (e strutture pubbliche) al piano terra. Il lato occidentale della stazione presenta opportunità per un nuovo sviluppo. d)
Kuyasa Station
Un certo numero di lotti di terreno non edificato strategicamente situato intorno alla zona della stazione dovrebbe costituire la base per il nuovo sviluppo che mira a intensificare la zona attraverso un mix di sviluppo residenziale a media densità, strutture pubbliche e commerciali / industriali. La destinazione d’uso mista o di sviluppo commerciale dovrebbe essere sostenute lungo Walter Sisulu Drive e l’interfacciata con la zona della stazione. Soluzioni di arredo urbano dovrebbero essere considerate per assicurare che l’ambiente del quartiere della stazione privilegi le esigenze del pedone. Ciò potrebbe comportare a considerare il riallineamento della porzione di Walter Sisulu Drive tra Steve Tshwete e Tambo Road. e)
Monwabisi resorts and environs
Un certo numero di lotti di terreno non edificato situati strategicamente intorno
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alla zona della stazione dovrebbe costituire la base per il nuovo sviluppo che mira a intensificare la zona attraverso un mix di sviluppo di media densità residenziale e strutture pubbliche. L’accesso alla costa: attraverso uno sviluppo più intenso delle strutture, garantire un accesso sicuro alla costa promosso in una zona dove saranno garantiti i servizi balneari di alta qualità. Nuovo parco metropolitano: un nuovo parco metropolitano si propone sul terreno Denel. Questo parco dovrebbe comprendere una vasta gamma di attività tra cui verde urbano, attività culturali, impianti sportivi, turismo ed educazione ambientale. Nuovi parchi di quartiere: si propone che alcuni nuovi parchi di quartiere siano sviluppati all’interno di Khayelitsha: -all’interno della rete esistente di spazi aperti lineari, in particolare adiacenti alle scuole esistenti. Aree che dovrebbero essere progettate a questo proposito sono: - parte o del sistema lineare del Mandela Park che collega il complesso sportivo di Mandela Park con L’Oval Cricket nel KBD (potenzialmente lungo Oscar Mpetha Road), - parte del sistema lineare attraverso Eyethu (potenzialmente lungo Pama Road), - parte del sistema di Harare Ilitha Park (potenzialmente in prossimità della Harare nodo di investimento pubblico). Il Distretto presenta vaste aree di insediamento abusivi che vanno dalle baracche alle abitazioni con vari livelli di accesso ai servizi di base. Alcune aree sono situate su terreni privati, servitù o terreni insalubri. Chiaramente un’approccio differenziato è richiesto a seconda dei casi. Uno dei principali problemi di risanamento di queste aree è la questione di quali tra questi insediamenti devono essere considerati permanenti. A questo proposito, i seguenti criteri sono proposti per valutare il fatto che una zona d’insediamento debba essere considerata come temporanea dato che una delocalizzazione e / o de-densificazione è indispensabile: -insediamenti situati in zone inadatte per l’infrastruttura permanente (per esempio soggetta a inondazioni, siti di discarica per rifiuti pericolosi), dove la sicurezza pubblica è a rischio. -insediamenti abusivi in terreni pubblici strategici necessari per sbloccare la latenza economica o in zone che danno opportunità di sviluppo. Alla luce di questi criteri, un numero significativo di insediamenti abusivi all’interno del distretto sono considerati come zone di insediamento permanente. A questo proposito, è fondamentale che queste aree vengano risanate attraverso un chiaro e programma di intervento.
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Khayelitsha - laboratorio di pragmatismo urbano (ri) “leggere” Khayelitsha
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Khayelitsha è una presenza costante ed incombente nella memoria e nell’attualità di Cape Town. La percezione di questa memoria la si riscontra parlando con i governatori, con i ricercatori universitari, ma anche nella cittadinanza di Cape Town. Quando si parla di segregazione, di Township e di apartheid, Khayelitsha viene portata ad esempio come simbolo o memoria storica del passato. Un passato ancora troppo presente per permettere ai sudafricani non solo di dimenticare il regime razzista e le battaglie per la libertà, ma anche di superare le umiliazioni e la terribile eredità delle aree di segregazione razziale. I dirigenti dei dipartimenti interessati dallo Spatial Development Framework non riportano ipotesi di intervento concrete. Loro stessi affermano che le analisi effettuate, le indicazioni dello Spatial Development Plan e la volontà governativa, riescono per il momento solamente ad analizzare e a realizzare interventi puntuali per affrontare il territorio. Interventi che consistono nel realizzare qualche strada, completare le infrastrutture di sussistenza di base, elettricità, acqua potabile e fognature per arginare le epidemie, scuole e qualche impianto sportivo per cercare di strappare i giovani alla delinquenza ed alla prostituzione, attualmente fonte primaria di sostentamento. Per quanto riguarda le esigenze abitative attinge ad un piano scarsamente finanziato e disorganizzato per la costruzione di abitazioni con quote annue assolutamente sottodimensionate a risolvere la questione. Anche Khayelitsha, come tutte le aree analizzate nel piano (si veda il paragrafo precedente) è stata oggetto di una minuziosa e capillare analisi; analisi che ne sottolinea le problematiche principali ed i valori sia naturalistici che economici. Per quanto minuziosa sia questa analisi, la fase applicativa di pianificazione dell’intervento di quartiere produce a fronte di principi condivisibili, strategie di intervento deboli ed evidentemente condizionate da una sorta di rassegnata ineluttabilità nel non avere una prospettiva di soluzione sia nel medio che nel lungo periodo. Il distretto F che comprende Khayelitsha, Mitchells Plain e Philippi ospita le due più grandi Township della città: da sole ospitano circa 719 mila abitanti, divisi in comunità ben distinte e monorazziali. Se a Mitchells Plain (280 mila abitanti) e a Philippi (110 mila abitanti) troviamo una piccola comunità di colore mentre la maggioranza è formata da meticci e asiatici (coloured), la spianata di Khayelitsha (330 mila abitanti) è costituita essenzialmente da neri, regolarizzati o immigrati abusivi provenienti dai territori interni. Le Township abitate dai coloured sono state da sempre riserve più “sviluppate”
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(anche in periodo di apartheid) in quanto gli interventi governativi di regime hanno provveduto a mantenere un livello di discriminazione razziale più morbido, dato che l’impiego di questa popolazione come manovalanza, mediamente più istruita e specializzata rispetto alla popolazione nera, ne richiedeva un’assistenza seppur minima, esclusivamente orientata a non perdere forza lavoro. Mitchells Plain ad esempio è fornita di scuole, impianti sportivi, una stazione intermodale, centri di commercio e realtà industriali. Parte di queste strutture sono state realizzate negli anni dell’apartheid ed in parte integrate dagli interventi del governo democratico. La popolazione nera al contrario ha subito la peggiore delle discriminazioni razziali, Khayelitsha è rimasta fino all’insediamento del nuovo governo democratico, un contenitore di bassa manovalanza, essenzialmente impiegata nelle aree minerarie e nell’agricoltura, risorsa facilmente sostituibile e rimpiazzabile grazie alla forte immigrazione. La già problematica questione di recupero di queste aree è gravemente inficiata dalla crisi economica subita dal paese nei primi anni della democrazia e tuttora in difficile via di risoluzione. L’affermazione che poco si potrà fare per queste popolazioni, se non tentare
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un minimo di sussistenza sanitaria ed alimentare, viene riportata dai dirigenti dei dipartimenti e inoltre ratificata nel piano, sottolineando che la popolazione di Khayelitsha difficilmente riuscirà a trovare un impiego e quindi ad accedere all’edilizia popolare, per quanto sia estremamente esiguo il contributo richiesto. Lo Spatial Development Framework e nella sua definizione più attuativa contenuta nello Spatial Development Plan non possono fare altro che limitarsi alle analisi dello stato dei luoghi identificando ed evidenziando quei valori quali la linea costiera,le riserve naturalistiche,la vicinanza con l’aeroporto,la vicinanza alle arterie di scorrimento e ferroviarie,tutte opportunità effettivamente presenti, ma non sufficienti a creare un volano di sviluppo della riserva. La città quindi si prende cura di queste persone, cerca di salvare qualche giovane e affidarlo a proprie spese alle università, favorisce le attività sportive e ricreative per allontanare i giovani dalla delinquenza organizzata e dalla microcriminalità, costruisce qualche centro di recupero per tossico dipendenti, prostitute, ecc., allestisce cliniche distribuite più o meno casualmente nel territorio per affrontare le periodiche e devastanti epidemie di colera, di tubercolosi e la sempre più dilagante AIDS. Le risorse stanziate e il consolidamento di questa situazione non permettono di fare molto operazioni più consistenti in quanto la popolazione da integrare, occupare, e dotare di abitazioni dignitose è enorme. Lo spazio delle riserve non sarà mai sufficiente; il solo intervento dal punto di vista abitativo se perseguito con l’attuale tipologia insediativa necessiterebbe di quasi 3 volte lo spazio attualmente occupato dall’insediamento. I piani di intervento urbanistico ipotizzano a livello molto teorico le soluzioni auspicabili,sottolineando ulteriormente l’incapacità governativa di riuscire a dare seguito alla dettagliata e minuziosa analisi dello stato di fatto. Ci viene anche qui confermato che la maggioranza di queste popolazioni continuerà a vivere nelle baracche, a sopravvivere grazie alla assistenza governativa e Khayelitsha rimarrà luogo di delinquenza e malattie epidemiche per un periodo attualmente non definibile. Carol Wright, manager dell’area di sviluppo, nel corso dell’intervista, dopo aver ribadito nuovamente il pessimismo nei confronti di Khayelitsha, propone e sostiene caldamente che l’applicazione e la verifica dell’obiettivo, tema di questa tesi, abbia come ambito di applicazione sperimentale, proprio la Township di Khayelitsha. Affrontare Khayelitsha è un tema ardito, la popolazione ha una dimensione
Figura 1 Boulevard riqualificato nell’area di Mitchell’s plain nell’area della stazione
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paragonabile a molte delle province italiane, è uno spazio complesso, storicamente ancorato a quel luogo nato come area di segregazione ed ora diventato unico luogo di sopravvivenza per una popolazione dal futuro incerto. Dallo studio della cartografia fornita dai dipartimenti governativi, dall’analisi degli aerofotogrammetrici, dai progetti di piano, dai dati dei censimenti ed altro materiale fornito risulta difficile calarsi nella realtà e nelle problematiche riportate nei vari colloqui. La dimensione spaziale, l’estensione e la densità non sono immediatamente percepibili dal materiale cartaceo. Solo pianificando il sopralluogo e cercando nelle mappe satellitari l’esatta collocazione dell’area di studio, già a scala provinciale se ne legge la forma, se ne intuisce la collocazione ed il rapporto con la città, quindi ci si rende conto di aver avuto una lettura distorta delle mappe, ci si rende conto che le valutazioni restituiscono una scala territoriale talmente vasta da risultare paradossalmente sottodimensionata. Per quanto la documentazione fornita fosse stata approfondita ed i dati statistici sulla popolazione e sull’area occupata fossero
Figura 2 Area pedonale nella zona della stazione di Mitchell’s Plain. Figura 3 Ponte di collegamento tra la stazione e lepiazze commerciali di Mitchell’s Plain
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accurati, la realtà appare evidente nella sua effettiva dimensione, confrontando la spianata occupata da Khayelitsha in rapporto al centro cittadino di Cape Town. La città di baracche abitata da persone del tutto dipendenti dalla city stessa ne supera di gran lunga la dimensione e l’impatto territoriale. Riprendendo nuovamente in mano la cartografia e la documentazione ci si rende conto di essere di fronte ad un tessuto medievale nato dalla ricerca di uno spazio di 3 metri per 3 dove collocare la propria baracca; baracca che viene adagiata seguendo le asperità del terreno o cercando di intuire l’andamento delle acque meteoriche. Un dedalo adimensionale che continua ad espandersi, trabocca dai recinti appropriandosi di aree palustri e malsane, intaccando aree protette. Una città che sta esplodendo: la vastità e i suoi trecento mila abitanti rendono comprensibili i timori e la sensazione di stasi palesata nei colloqui con le autorità. La Township di Khayelitsha è un’eredità pesante, intimorisce gli amministratori, richiede sovvenzioni enormi e concede ai progettisti del ridisegno urbano della città di produrre pochi e scoordinati interventi. Non si tratta di riqualificare un quartiere, ma di edificare pressoché da zero una grande città. L’intervento richiama alla memoria esperienze di città di fondazione Figura 4, 5 e 6 Aree per mercati stabili, nella zona riqualificata della stazione di Mitchell’s Plain. Figura 7 Aree riqualificate nella zona di Mitchell’s Plain.
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del periodo fascista o delle teorie insediative lecorbouseriane.1 Una città da 300 mila abitanti da rendere autonoma e autosufficiente; città che deve fornire lavoro e istruzione, assistenza medica e servizi alla popolazione, interventi indispensabili per riuscire a liberare e reimpiegare in modo più efficace le risorse di Cape Town. L’obiettivo è di cercare di svincolare Khayelitsha dalla sussistenza governativa creando progressivi processi virtuosi che portino all’autonomia economica e strutturale, nel tentativo di rendere la Township non più una drammatica memoria del regime, ma un elemento di sviluppo per la regione stessa. Riscattare i soprusi di regime che l’hanno istituita come contenitore di approvvigionamento schiavistico per trasformarla in risorsa economica e vitale, protagonista dello sviluppo della metropoli di Cape Town.
1 Riportare città di nuova fondazione e interventi a cui si fa riferimento.
Figura 8 Ospedale pediatrico a Mitchell’s Plain. Figura 9 Area pedonale nella zona della stazione di Mitchell’s Plain. Figura 10 Ponte di collegamento tra la stazione e lepiazze commerciali di Mitchell’s Plain.
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Le deduzioni contrastano con i piani di sviluppo. I piani parlano di potenziali strategici, di grandi opportunità date dalla posizione, valori naturalistici e tutti quei valori elencati nelle strategie attuative, ma si intuisce anche la difficoltà, se non addirittura l’impossibilità, di perseguire queste stesse strategie. Il problema dei fondi insufficienti oltre alla reiterata applicazione della tipologia insediativa protocollata dal governo (tramite la realizzazione di piccole case isolate edificate su un unico piano, per assecondare abitudini consolidate e tentare con una distanza sanitaria di diminuire la diffusione delle malattie) rendono ulteriormente utopistica qualunque soluzione timidamente proposta dai pianificatori. Queste tipologie di insediamento urbano iniziato poco dopo la caduta del regime vengono perseguite in modo indifferente, senza che vi sia una programmazione o un’analisi sull’impatto territoriale e sociale. Abitazioni sottodimensionate vengono realizzate ai bordi della baraccopoli; l’esigua dimensione rende vano il tentativo di mantenere la ricercata distanza sanitaria. Pensare di creare alloggi per 2 occupanti a fronte di statistiche che vedono una media di 7 persone per ogni famiglia, significa semplicemente creare dei nuclei puntuali muniti di infrastrutture primarie che, grazie all’inventiva e all’autocostruzione degli abitanti, fortunatamente consente di ricercare gli spazi necessari fino ad arrivare
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alla completa saturazione del lotto. Riconosciuta la complessità di Khayelitsha l’unico modo per leggerne la realtà sociale, urbanistica, infrastrutturale e abitativa è quello di documentare direttamente l’area d’intervento. Per raggiungere Khayelitsha si percorre la FreeWay (la stessa che porta all’aeroporto) allontanandosi di 40 kilometri dal centro cittadino. In lontananza la baraccopoli si confonde quasi in mezzo ai tanti costoni rocciosi,la diversa prospettiva di un viadotto ne svela la sua reale e surreale dimensione. Distese di baracche riempiono l’orizzonte. Il tentativo di contenere gli insediamenti nei recinti è reso vano, il recinto stesso demolito in più punti è diventato punto di connessione con i nuovi insediamenti abusivi ed è spesso l’unica via d’uscita verso lo spazio verde dove i ragazzini possono giocare. Si accede a Khayelitsha da un’unica strada costellata da cumuli di macerie, scarti edilizi della città che trasportati qui diventano risorsa indispensabile all’autocostruzione e alla riparazione delle baracche. Entrando nel perimetro della riserva si nota l’urbanizzazione governativa, poche Figura 11 Stadio di calcio di Mitchell’s Plain per i campionati di distretto. Figura 12 Area riqualificata di Mitchell’s Plain.
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strade asfaltate penetrano in profondità nei territori, gli impianti tecnologici si diramano in una selva di cavi per la fornitura di energia elettrica, i sottoservizi (elettricità, acqua potabile e fognature) tentano di raggiungere tutti gli alloggi. Si nota come la realizzazione delle case governative di cui parlavamo prima sono ormai assorbite dalle baracche che le hanno ampliate o dove spesso negli interstizi, in modo parassitario, si sono inseriti alloggi di altre famiglie. La dimensione non è palpabile percorrendo in auto Khayelitsha, per avere la percezione di questi luoghi bisogna misurarla attraversandola a piedi. Dai passi e dallo scorrere del tempo ci si rende conto della reale dimensione di un territorio lungo 7 km e largo 5, brulicante di 300 mila persone per lo più bambini e persone in giovane età. I dati statistici ci dicono infatti che qui difficilmente si riesce ad invecchiare. La sensazione è quella di essere fagocitati dalle baracche: si cammina in un monolite scultoreo che richiama le sensazioni del cretto di Burri a Gibellina. La poliedrica e decadente successione ininterrotta di baracche realizzate con qualsiasi materiale di recupero alla fine rende il tutto omogeneo. Quello che traspare da questo fondo uniforme è la vitalità della popolazione, la dignitosa miseria e la Figura 13, 14 e 15 Aree riqualificate di Mitchell’s Plain. Figura 16, 17, 18 e 19 Interventi di edilizia popolare realizzati ai margini della Township di Mitchell’s Plain
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voglia di riscatto che nonostante tutto sopravvive speranzosa nell’aiuto salvifico della giovane democrazia. Non si percepisce la rassegnazione degli amministratori, qui ogni intervento governativo seppur puntuale, insufficiente e scoordinato è accolto come emancipazione. Una nuova scuola, un campo da calcio, degli indispensabili wc biologici sono visti come conquiste generate dalla nuova costituzione democratica. Non bastano due giornate per esplorare Khayelitsha, si cerca quindi di percorrerne i margini, dall’interno si intravedono quei valori naturalistici esposti nel piano: le dune, le riserve boschive, l’oceano indiano e la sua costa, sono separati dai soliti recinti; sembrano lontani tanto sono in contrasto con la realtà della baraccopoli, ma alla fine si omogeneizzano grazie alla medesima natura organica.
Figura 20 e 21 Township di Mitchell’s Plain riservata agli abitanti di colore con abitazioni realizzate prima della fine dell’apartheid Figura 22 Interventi di edilizia popolare realizzati ai margini della Township di Mitchell’s Plain Figura 23 Aree riqualificate di Mitchell’s Plain. Figura 24 Ampliamento spontaneo di un alloggio minimo in una zona ancora da riqualificare. Figura 25 Nucleo famigliare medio delle Township statisticamente composto da una media di sette persone ma frequentemente di composizione fino a 15 persone Figura 26 Vendita al dettaglio di ortaggi tra Khayelitsha e Mitchell’s plain
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Si capisce che appartengono a questi luoghi, la natura imponente ha una dimensione africana e si intuisce la validità dei potenziali di sviluppo e delle risorse che avvolgono Khayelitsha. Si decide quindi di cambiare prospettiva: la realtà delle baraccopoli effettivamente generano una dimensione così uniforme e inattaccabile da scoraggiare ogni tipo di intervento. La si osserva dall’esterno, la si traguarda dalla costa, dalla spiaggia, dalle fasce naturalistiche e dalle dune e si scopre che la spianata della baraccopoli è in buona parte circondata da queste risorse fondamentali. Da questa prospettiva la questione assume un nuovo risvolto, la metabolizzazione di queste spazi pregiati, la tangenza delle direttrici stradali e l’asta ferroviaria che già si insinua nei territori. Queste forze devono trovare la capacità di entrare in Khayelitsha perché se è vero che la genesi della Township, la segregazione e l’apartheid hanno costruito recinti di contenimento e mura di separazione, il futuro, la sopravvivenza e lo sviluppo di Khayelitsha dipenderà dagli stretti legami che si riusciranno ad instaurare. Figura 27 Immagine della spianata di Khayelitsha da un viadotto della Freeway. Figura 28 Area riqualificata di Mitchell’s Plain Figura 29 La baraccopoli di Khayelitsha in cui si notano le infrastrutture minime di assistenza con i servizi sanitari comuni
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Devono avere la forza di entrare nella città tuttora democraticamente segregata. La viabilità primaria e anche quella di scorrimento devono poterla attraversare, la costa con le sue spiagge devono poter interagire con la popolazione, le aree boschive e le dune devono abbattere i recinti ed integrarsi nelle Township. Cape Town deve trovare fisicamente la forza di entrare in questi territori, deve condividere le proprie risorse naturalistiche, il proprio paesaggio e togliere quei recinti che tentano di preservarne l’integrità. Questo nuovo punto di vista pone le basi dell’ipotesi d’intervento, modello che non intende produrre un piano particolareggiato, ma ricerca delle strategie d’intervento reimpiegabili in altre realtà simili presenti nel territorio sudafricano. Non si cerca di produrre piani particolareggiati, non è questo l’obiettivo della tesi; le analisi storiche, sociali, urbanistiche e la raccolta documentale che ha permesso di redigere i precedenti capitoli non devono servire ad inventare una nuova città, a Figura Figura Figura Figura Figura Figura
30 Ingresso della Township di Khayelitsha. Ai margini dell’insediamento vengono depositati inerti e altri materiali provenienti da demolizioni e recuperati dagli abitanti per l’autocostruzione delle ba- racche. 31 Distribuzione dell’energia elettrica alle singole baracche. 32 Khayelitsha, Centro sociale di assistenza per famiglie in difficoltà, tossicodipendenza, malattie. 33 Strada all’interno della Township di Khayelitsha 34 e 35 Immagini di Khayelitsha 36 “Approdo” ferroviario Township di Khayelitsha
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produrre master plain futuribili e di difficile utopica attuazione e verifica. Si cerca di definire quegli assunti che assumono il giusto approfondimento culturale per generare regole da applicare caso per caso. Le chiavi di lettura della sperimentazione fonderanno perciò le loro basi su questi assunti: -Township: quartiere città, deve assumere la dignità dei centri distrettuali dal resto della provincia; -assi di penetrazione (boulevard) devono connettere, ricucire e convogliare la viabilità esterna, permettendo anche la distribuzione primaria all’interno della Township. Questi boulevard devono essere affiancati da attività economiche, servizi, piazze, luoghi di ritrovo, centri civici e tutte quelle strutture che lo rendano elemento urbano; -le riserve naturalistiche, le dune, le spiagge devono essere integrate all’insediamento urbano, devono essere facilmente fruibili dagli abitanti ed attrezzate per la ricettività turistica; -l’intervento amministrativo, non disponendo di risorse sufficienti per soddisfare le esigenze abitative, deve dotarsi di sistemi misti dove il governo fornisca una base minima di infrastruttura residenziale che possa essere completata, ampliata e
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definita grazie all’istinto di sopravvivenza tipico degli abitanti di questi luoghi e alla stessa autocostruzione che fino ad oggi è stata l’unica risorsa di una popolazione schiacciata da una economia inesistente. In questo modo le stesse Township potranno aiutare l’amministrazione a trovare l’auspicabile soluzione del problema. A questo punto i riferimenti culturali a cui attingere non sono più quelli del Social Housing delle metropoli europee, dell’urbanistica delle città di fondazione o dei quartieri satellite, ma vanno ricercati nella sperimentazione del recupero degli insediamenti poveri dell’America latina, più affini alla realtà africana e accumunati dall’autocostruzione. Si deve quindi smettere di pensare ad interventi di semplice sussistenza calata dall’alto quasi fosse elemosina dovuta, ma dovranno essere gli abitanti delle Township che aiuteranno il governo stesso ad affrontare e risolvere il problema, così come il cambiamento del punto di vista (dall’esterno verso l’interno) ci ha portato alla definizione degli assunti strategici che si fondano sul concetto che l’esterno interagisca con l’insediamento. Con la stessa logica le sovvenzioni governative devono cambiare le loro prospettive, liberare i confini dei territori, definire un substrato attivo e propositivo, affidando alle risorse della popolazione la capacità di innalzare la qualità della loro prospettiva di vita.
Figura 45 Recupero di materiale da costruzione e di qualsiasi altro oggetto utile a costruire le baracche delle township Figura 46 Costruzione in serie di baracche prefabbricate
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La Township di Khayelitsha laboratorio di pragmatismo urbano Strategie di densificazione
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Come accennato nel paragrafo precedente, una volta cambiato il punto di vista e percepita la Township di Khayelitsha dall’esterno si sono palesati i valori che hanno consentito di affrontare un tema così complesso, stratificato e di dimensioni talmente imponenti da impedire una qualsiasi valutazione che possa nascere dal tessuto interno degli insediamenti stessi. Quindi per intaccare la struttura monolitica si parte dall’esterno, si valutano i valori direttamente connessi alla Township o convogliabili verso la zona ignorando l’attuale tessuto. Le strategie di intervento ipotizzate come obbiettivo e verificate in questa Township non potranno comunque essere applicate facendo tabula rasa delle baracche esistenti, in quanto sarebbe illogico pensare di gestire la transizione temporanea degli abitanti e auspicare investimenti governativi di tale portata nel breve periodo. I sistemi di intervento dovranno quindi considerare una progressione di applicazione per step successivi pianificabili nel medio-lungo periodo. Tali assunti non nascono dalla sola analisi di Khayelitsha ma sono stati definiti tramite sopralluoghi effettuati in altre aree di segregazione della periferia di Cape Town. Un’ulteriore validazione la si è ricercata verificando se pur non direttamente le principali Township presenti nelle principali città sudafricane più grandi. La natura del territorio stesso del Sudafrica presenta valori naturalistici ambientali quasi sempre di grande pregio e interesse dal punto di vista paesaggistico e come attrazione turistica. Queste aree di segregazione si collocano lontano dai centri cittadini, in quanto la politica governativa di regime mal sopportava la presenza dei non bianchi al di fuori dell’impiego come forza lavoro. Tale collocazione ha irrimediabilmente emarginato le popolazioni, ma ha anche costretto il governo dell’apartheid a realizzare quell’infrastruttura necessaria a raggiungere i luoghi di lavoro. Queste aree sono servite sia dal trasporto su ferro che su gomma. Richiamando al paragrafo 1.1.4 (Il Sudafrica della segregazione), nell’ultimo periodo del regime sono state rafforzate quelle misure di controllo dei territori in quanto le pressioni democratiche provocavano sempre più spesso disordini nelle Township. L’allontanamento diventa quindi separazione fisica, vengono edificati recinti e mura, vi si accede tramite un unico accesso (facilmente controllabile dalle forze di polizia), racchiudendole in un ipotetico argine costituto dalle freeway ad alto scorrimento. Negli anni della segregazione queste infrastrutture, di trasporto e di contenimento, rappresentavano il potere del regime, si rivelano fondamentali per ipotizzare le strategie proposte in questa tesi: Città satellite La dimensione del numero di abitanti normalmente riscontrabile nelle Township ne richiede uno sviluppo autonomo sia dal punto di vista infrastrutturale che dal punto di vista economico, commerciale e produttivo. Non dovranno più essere accampamenti che sopravvivono esclusivamente grazie alla sovvenzione governativa, così come gli abitanti non possono continuare a vivere di espedienti, di attività malavitosa
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e di prostituzione. Il supporto governativo dovrà essere orientato a generare quelle economie che progressivamente permetteranno non più la sopravvivenza, ma un’esistenza dignitosa. I governi locali dovranno inizialmente predisporre le infrastrutture primarie, realizzare parte degli interventi edilizi residenziali; ma soprattutto promuovere e co-finanziare le strutture imprenditoriali di media e piccola dimensione. Investimenti non solo finalizzati all’eventuale imprenditoria interna ai territori, ma cercando di attivare un processo virtuoso che attragga investitori esterni. Infrastrutture di penetrazione e collegamento La viabilità e le infrastrutture presenti dovranno creare degli assi di attraversamento dell’area, quindi nuovi punti d’acceso. Questi assi non dovranno solo convogliare la viabilità esterna, ma dovranno svolgere la funzione di connessione con le aree di pregio (coste, spiagge, aree naturalistiche) favorendo quindi la sosta e la fruizione di questi luoghi anche da parte di utenti esterni; dovranno inoltre essere collocati in modo da garantire sia la viabilità primaria che intercettare i nodi di interscambio ferro-gomma. Questi assi dovranno consentire quindi la penetrazione dell’area del trasporto su gomma, ma anche la penetrazione del trasporto su ferro potenziato tramite un ammodernamento del sistema metropolitano su rotaie di superficie. Per amplificare l’effetto auspicato da queste nuovi connessioni urbane queste direttrici dovranno assumere la dignità di Boulevard proponendo alberature, piste ciclabili, aree di sosta e spazi ricreativi; nel medio lungo periodo dovranno inoltre diventare il motore economico per il sostentamento e lo sviluppo dell’economia locale. Dovrà essere prevista una graduale edificazione ai margini di questi corridoi di attività economiche prevedendo inizialmente insediamenti governativi, centri civici, delegazioni amministrative, biblioteche, teatri ed altre strutture. Strips-tessuto urbano Il pretesto di prendere come riferimento il progetto di Rem Koolhaas per il Parc de la Villette di Parigi, viene reinterpretato come strategia di suddivisione dell’area nell’obbiettivo di creare una sorta di spartito in cui inscrivere una diversificazione funzionale necessaria a creare una mixité di residenze, aree verdi, spazi collettivi ed infrastrutture primarie (scuole, ospedali...). Questo spartito consentirà inoltre interventi graduali e quindi non traumatici per la popolazione, pianificabili inoltre in sequenze logiche e sostenibili dai governi locali in base alle risorse stanziate. Queste fasce dovranno interagire sia con gli assi principali, non solo per garantire un’adeguata distribuzione veicolare, ma favorendo e rafforzando in modo più capillare i valori esterni all’insediamento, potranno quindi generare una sequenza di corridoi verdi , di fasce ciclo-pedonali come interscambio tra l’interno e l’esterno dell’area; andando quindi a scardinare definitivamente i limiti fisici e storicamente consolidati dell’insediamento. Densificazione delle residenze La strategia di insediamento residenziale attinge da due caratteristiche
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apparentemente in contraddizione fra loro, ma che già convivono all’interno della Township. L’edilizia governativa coesiste con l’auto costruzione e gli insediamenti abusivi. Da un lato il governo realizza abitazioni provviste di allacciamenti infrastrutturali, dall’altro gli abitanti delle Township le ampliano sistematicamente per adeguare la dimensione anacronistica che permette che ospita il massimo di 3 abitanti alle maggiori esigenze di nuclei familiari in media composti da 7 persone. Ampliamenti realizzati grazie all’auto costruzione con materiali di recupero o di scarto della città. Anche in questo caso, come nella strategia di penetrazione si è reso necessario cambiare il punto di vista anche qui i due sistemi di natura antitetica vengono ridefiniti. Prendendo come riferimento alcuni sistemi insediativi ipotizzati o realizzati nelle favelas sudamericane ed in particolare il progetto di Alejandro Aravena; gli edifici “legittimati” dall’edificazione governativa dovranno prevedere già in fase di ideazione ampliamenti effettuati grazie all’auto costruzione. Decade quindi il principio di edificio autorizzato ed edificio abusivo, in quanto i due elementi diventano sinergici e collaborano alla realizzazione di insediamenti abitativi che possono garantire le infrastrutture necessarie ma anche gli spazi vitali. Densificazione L’attuale distribuzione delle baracche è compatto e quasi monolitico in quanto realizzato su un unico piano per ovvi motivi economici e quindi strutturali. La filosofia attuata dagli insediamenti governativi conformandosi a questa realtà (peraltro tipologia caratteristica delle abitazioni della media borghesia sudafricana), persevera nel realizzare abitazioni realizzate su un unico piano inserite al centro del lotto di pertinenza. Questa tipologia insediativa oltre a comportare un consumo eccessivo del suolo, non riuscirà mai ad ospitare tutti gli abitanti delle attuali Township, proseguendo con questa logica sarà impossibile alloggiare tutti gli abitanti se non espandendo l’area attuale intaccando ulteriormente territori attualmente non edificati. Si dovrà quindi modificare l’attuale tipologia insediativa orientandosi verso tipologie maggiormente ricettive, multipiano ed edificate in linea con lo scopo non solo di soddisfare le esigenze abitative ma come auspicabile liberare parte del territorio da destinare a spazi comuni ed estremizzando tentare la contrazione del perimetro stesso dell’insediamento stesso. Riferimenti Per quanto riguarda i riferimenti proposti, non li si vuole trasmettere quali elementi compositivi di progetto, in quanto la tesi non solo non ne prevede una stesura particolareggiata, ma si pone l’obbiettivo di definire delle linee guida e dei principi estendibili ad altre realtà assimilabili con particolare riguardo alle Township sudafricane. Questi riferimenti progettuali vengono quindi utilizzati come semplici strumenti di verifica delle strategie e degli assunti a conclusione della tesi. Quindi la documentazione a supporto potrebbe attingere da un intaglio decisamente più ampio, o nella realtà applicativa progettata ex-novo.
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OMA Rem Koolhaas, Parc de la Villette, Paris, France, 1982 Il parco è una messa in scena di tre diverse categorie della natura. 1.
Le regioni in cui il programma stesso è la natura, cioè zone dove domina il vegetale
(giardini tematici, orti ddattici, parchi gioco,ecc..). Spesso queste aree sono state ragruppate per occupare grandi aree di aggregazione in modo da dare un’immagine di campi aperti. 2.
Gli schemi di alberi paralleli alle bande, che definiscono le zone, ma al tempo stesso
creano una serie di successivi paesaggi. Questa marcatura da est verso ovest delle zone sotto forma di 930 schermi arborei (di altezza, specie, trasparenza, densità, omogeneità diverse) produce delle scenografie, insieme si comportano come un Paesage in coulisses. Visualizzando la varietà di ogni specie, questo accostamento ha sia una funzione didattica che estetica. Due modalià di percezione vengono generate: dal punto di vista nord-sud, questo schermi si intrecciano e suggeriscono la presenza di una massa (circa 6000 alberi) che copre il sito. Dal punto di vista opposto est-ovest, la composizione degli schermi forma degli spazi aperti, come campi. Occasionali violazioni che aprono delle prospettive. Questo gioco di enclavi e connessioni produce l’effetto di contrarre o di ampliare apparentemente il campo visivo. Questa strategia è adottata in particolare per rendere lo spazio tra il museo e il canale, come una zona centrale del parco, inizialmente uno spazio emarginato. L’opposizione tra queste diverse percezioni è ulteriormente enfatizzata dalla circolazione degli assi principali, la Promenade e il Boulevard. Mentre la fine della Promenade è continuamente deviata, il corso del viale si svolge senza sorprese, le sue fasi progressive sono sempre esplicite. La Promenade è una sorpresa, il Boulevard è certezza. 3.
Gli elementi vegetali concepiti a scala dei principali elementi architettonici del sito,
formano il contrappunto. Il bosco lineare, a sud del canale l’Orcq, e il bosco circolare, a centro del parco, hanno una corrispondenza dialettica: dal naturale all’artificiale, dal solido al vuoto, dai sempre verdi agli alberi a foglia caduca. Queste opposizioni forniscono l’intero spettro di possibili variazioni sul tema dell’immagine del bosco. Il bosco lineare costituisce un quadro nel quale tutte le componenti vegetali e architettoniche spiccano nella parte sud. In sezione, attraverso la variabilità degli alberi, degli arbusti, dei rampicanti sempreverdi assume una massima impermeabilità. Il tutto è piantato in un libero modello, quasi naturale, come una parte di bosco. Attraverso tagli occasionali la sua massa solida garantisce collegamenti visivi con importanti elementi sul lato opposto del canale. In questo modo il bosco lineare agisce come un tampone e filtro al Museo della Scienza. Il bosco circolare è sollevato su un zoccolo di tre metri. Mentre il bosco lineare è un catalogo di caratteristiche naturali, il bosco circolare
rappresenta il bosco come programma, comprimendo in un
artificiale modo un numero massimo di sensazioni e delle associazioni collegate con l’idea di bosco. Dove il bosco lineare agisce come una densa massa, il bosco circolare è un
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interno. I suoi alberi producono un effetto di maestosi filari di colonne coperte da un tetto verde scuro della vegetazione, che durante la giornata calibra i raggi di luce che penetrano dall’alto, e di notte è artificialmente illuminato da terra. Un pavimento in marmo attraversa il bosco circolare. Procedendo da lontano, portata da un acquedotto l’acqua arriva al parco e progressivamente si trasforma: parte come un fiume e arriva in getti che si riversano nel bosco circolare,nel quale raccoglie l’acqua in una conca, che poi diventa un canale, e infine si trasforma in una cascata in una radura nel bosco. Indipendentemente dai tre sistemi della natura, il paesaggio incorpora una serie di elementi anticategorici: sparsi sul sito sono degli isolotti naturali vergini, dove singoli alberi o piccoli gruppi crescono naturalmente/ liberamente. Queste isole costituiscono un arcipelago di frammenti esplosi dal tradizionale parco romantico e figure geometriche colorate sull’erba e sul terreno; applicato come una sorta di carta da parati floreale, questi campi di colore vengono attivati dalle stagioni, intense ed effimere apparizioni, quasi come un miraggio. 4. Paesaggistica Conformante al principio utilitaristico del servizio della poesia, il paesaggio è concepito come la somma degli interventi infrastrutturali necessari. Alla Villette il terreno è spesso sterile, e la nostra strategia implica la fertilità vegetale. Prendiamo vantaggio dalla necessità di trasporto del suolo per il nuovo sito, trasformando questo all’introduzione di un nuovo tema: la differenziazione della natura degli strati del terreno richiesto giustapponendo scene del vegetale artificiale e naturale, e che mostri chiaramente i diversi strati in elevazione per accentuare ulteriormente la terza dimensione del paesaggio.
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1. Ipotesi iniziale
2. Le strips
Un diagramma rivela, il sito della Villette troppo piccolo, e il progetto troppo grande, per creare un parco nel senso riconoscibile della parola. Un parco tradizionale è una replica di una natura tenuta in ordine da un numero mininmo di attività che garantiscono il divertimento; il progetto del Parc de la Villette si estende come un denso bosco di strumenti sociali attraverso il sito. A questo punto non ha senso disegnare i dettagli del parco. Abbiamo letto il progetto come una suggestione, una previsione di elementi alettanti. I lavori per il parco faranno parte di una costante revisione. Il suo disegno dovrebbe essere quindi una proposta di un metodo che unisce la specificità architettonica con l’indeterminatezza programmmatica. In altre parole, vediamo questo schema non come un semplice progetto ma sopratutto come una proposta tattica per ricavre il massimo beneficio dall’impianto del sito di un numero di attività nel più efficiente ed esplosivo modo, mentre allo stesso tempo offre una costante esperienza estetica. Il principio alla base dell’indeterminatezza programmatica come fondamento del concetto formale consente che il verificarsi di qualsiasi cambiamento, modifica, sostituzione avvenga senza danneggiare l’ipotesi iniziale. Si orchestra sul campo metropolitano la coesistenza più dinamica delle attività x, y, e z e si progetta un condensatore sociale, basato su una condensazione orizzontale, la dimensione del parco. Per fare questo si propongono le seguenti proiezioni che, sovrapposte al sito, costituiscono il parco (i layers).
Nel primo gesto primordiale, l’intero sito è suddiviso in una serie di bande parallele - che vanno da est verso ovest- che possono ospitare, in linea di principio, le zone delle principali categorie di codice: i giardini tematici, i campi da gioco (50%), la scoperta di giardini, ecc... In questo modo la concentrazione, o il ragruppamento di qualsiasi particolare componente programmatica è evitata; le bande possono essere distribuite in tutto il sito in parte a random, in parte secondo una logica derivata dalle caratteristiche del sito. La direzione delle bande è scelta in modo che gli elemnti dominanti già presenti sul sito, (il Museo della Scienza e della Grande Halle) sono incorporati nel sistema: il museo come una banda dimensionata (che potrebbe a sua volta essere diviso in analoghe bande tematiche) e la Grande Halle come una parte acessoria coperta da un’altra serie di bande che corrono attraveso di essa. Le strips si basano su certe dimensioni standard - una larghezza di base di 50 metri, divisibile in incrementi di 5, 10, 25 o 40 metri - che facilitano il cambiameneto e la sostituzione senza interruzioni, e che creano punti fissi per l’infrastruttura. La natura verrà pianificata. Blocchi o schemi di alberi e i diversi giardini si comporteranno come piani diversi di una scenografia: veranno trasmesse illusioni di diversi paesaggi, di profondità, senza offrire la sostanza. La stratificazione non è dissimile dall’esperinza di un edificio alto, con i suoi piani sovrapposti, tutti in grado di supportare diversi eventi programmatici, ma tutti che contribuiscono alla sommatoria di un accumulo di parti.
3. Griglie di punti, o Coriandoli
4. Il sistema di accesso e di circolazione
Esclusi dal trattamento delle strips sono relativamente di piccole dimensioni che si ripetono in tutto il sito con una certa frequenza: i chioschi (11), i campi da gioco (il 50% non sono organizzati in bande ma divisi in 15 unità), i chioschi di vendita (30), i punti di ristoro (15), le aree di picnic (5 grandi aree che rappresentano il 50% del totale con il resto atomizzato in 25 aree più piccole). La loro distribuzione sottoforma di differenti griglie di punti in tutto il sito è stabilita matematicamente sulla base della loro frequenza desiderabile. Il calcolo della frequenza è relativa all’area disponibile, alla superficie totale per ogni servizio richiesto nel programma, alla valutazione dell’ottimale numero di punti richiesti nel sito, e alla necessità della distribuzione in tutto o in parte dell’area (sito). Poichè il parco è diviso in bande, ne consegue che gli elemti sulle griglie dei punti si distribuiranno in diverse zone, acquisendo e influenzando il carattere delle zone di accoglienza. La vicinanza occasionale dei vari elementi distribuiti secondo le varie griglie, porta alla concentrazione casuale e accidentale che danno un carattere e una configurazione unici a ogni costellazione di punti. Oltre alla loro identità autonoma, la loro proiezione su tutto il sito da forma a un’unità attraverso la frammentazione. Anche se piccoli, gli episodi dei punti nella griglia consisteranno in permutazioni di composizione di una serie di identici, forti, riconoscibili elementi che si distribuiranno nel sito - come se dopo un bombardamento di piccole meteoriti - con tettonici coriandoli.
Il sistema di accesso e di circolazione si basa su tutti gli episodi delparco e ne assicura il più intenso sfruttamento. Si compone in due elementi principali: il Boulevard, e la Promenade. Il Boulevard, in direzione nord-sud, in modo sistematico interseca tutte le bande ad angolo retto e collega i principali componenti architettonici direttamente sul parco - il Museo della Scienza, le Terme nel nord, la Città della Musica, e la Grande Halle a sud - nella sua larghezza totale di 25 metri. La Promenade, complementare al Boulevard, è generata attraverso l’identificazione e la successiva demarcazione di alcune significative sezioni attraverso le bande. Questi luoghi all’interno del sito sono caratterizzati da attrezzature come ad esempio piccoli anfiteatri, sedute, tavoli per giocare a scacchi, tribune, teatri di marionette, superfici per pattinare, ecc... Ogni luogo ospita anche una serra, in modo che una lunga passeggiata lungo la Promenade diventa una sorta di visita cumulativa. Gli elemeti come la piazza della Promenade sono collegati da strips di percorsi che vanno da est verso ovest, lungo il canale Ourcq, il Boulevard e la Promenade sono formalmente uniti con una sponda mobile, in modo che il sistema di circolazione formi una figura simile al numero otto. Il Boulevard aperto 24 ore su 24, anche quando il resto del parco è chiuso, mantiene le attrezzature aperte, l’involucro del Boulevard sarà un elemento metropolitano fondamentale in relazione alla struttura di Paris, un’equivalente galleria del XX secolo.
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5. L’ultimo layer Il layer finale è una composizione degli elementi più importanti che essendo unici o troppo grandi non possono esser collocati secondo le regole di un sistema matematico. La relativa e neutrale regolarità dei primi tre layers forma un contesto dove questi elementi diventano significativi, sono di una dimensione intermedia, oggetti unici come la sfera del Museo delle Scienze, l’Ariane, la Rotonde des Vétérinaires, disposti secondo linee (linee guida) estrapolate dal contesto. La composizione di grandi dimensioni è costituita inoltre da due dati, di fatto importanti, il Museo e la Grand Halle, e da una serie di interventi architettonici che contribuiscono a definire i confini del parco senza necessariamente coincidere con il suo perimetro: la zona della musicaa sud, insieme con i suoi principali elementi, aiuta a definire una zona di ingresso; un edificio di facciata che visualizza gli ingressi sia per il Boulevard che per la promenade ed ospita le strutture necessaarie per l’accesso al parco (informazioni, polizia...)
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Alejandro Aravena, Elemental Quintal Monroy, Quinta Monroy, Iquique, Chile, 2003-04 Nel 2003 il programma governativo Chile-Bairro ha commissionato delle soluzioni abitative per il Quintal Monroy, un insediamento irregolare nel centro della città Iquique dove risiedono parte della popolazione più disagiata, sulla base di un sussidio di 10.000 dollari per famiglia (che comprende il costo del terrno, delle infrastrutture e del progetto). Per contenere tutte le famiglie all’interno della loro area, per avvalersi dei vantaggi infrastrutturali del fatto di trovarsi nel centro città, si è deciso di moltiplicare la densità abitativa. La strategia progettuale prevede di realizzare alloggi di 30 mq, pari al 50% di ogni abitazione da completare in una seconda fase di autocostruzione. Quindi Aravena progetta il nucleo di partenza, garantendo quelle strutture (bagno e cucina) che gli abitanti non sarebbero in grado di costruire autonomamente, per poi lasciare nelle mani dei singoli proprietari il completamento dell’abitazione (fino ad arrivare 7e mq). Si possono riassumere due fasi di cosruzione: la prima dove viene costruita la base dell’alloggio (50% dell’opera) e la seconda definita come autocostruzione da parte dell’abitante. In questo progetto si da particolare importanza allo spazio intermedio tra il privato il pubblico, lo si ritiene uno spazio collettivo per le famiglie che costituisce una risorsa economica per le famiglie più povere.
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Frédéric Druot, Etude de définition pour la transformation de la Favela Rocinha Favela, Rio de Janeiro, 2010 Quest’area collinare è oggetto di studio per il recupero e la trasformazine urbana da anni. L’intervento parte da un’analisi della situazione attuale, e si sviluppa con una serie di terrazzamenti sul fronte collinare che comporta la demolizione e il riciclo di parte delle case, e l’estensione delle abitazioni che vengono mantenute con una serie di ampliamenti che si traducono con delle strutture leggere come le terrazze, questi ampliamenti permettono appunto un maggior spazio abitativo e quindi un miglior sfruttamento del suolo. Tutto ciò quindi porta a una maggiore distribuzione delle infrastrutture e dei servizi e a una minore congestione. Qui, dopo naturalmente aver visto lo stato di fatto, vediamo dei diagrammi di studio di proposte progettuali, ricostruzioni virtuali del progetto nell’area.
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Bauhaus Dessau Foundation, Célula Urbana, Jacarezinho Favela, Rio de Janeiro, 2000-04 Il punto centrale di questo progetto è la definizione all’interno di una favela di una cellula urbana, un isolato di studio a cui applicare soluzioni di riqualificazione degli edifici e infrastrutturali per collegare la favela al resto della città. Qui vediamo un abaco degli strumenti, applicati inizialmente come esperimento, per poi diventare una soluzione applicabile in futuro, in maniera autonoma dagli abitanti delle favela per creare interventi puntuali che servono a riqualificare i quartieri.
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Urban Nouveau with SPARC and Mahila Milan, Incremental housing Strategy, Netaji Nagar, Yeramada, Pune, 2008-09 Si cerca di mettere a punto una strategia di miglioramento delle condizioni abitative allâ&#x20AC;&#x2122;interno degli insediamenti informali di Yeramada, quindi dopo un lavoro di rilievo che ha permesso di catalogare i diversi cluster si è passati a definire per ogni tipologia lâ&#x20AC;&#x2122;adeguato intervento per la sua riqualificazione, in maniera di arrivare a un miglior rapporto dimensionale con le strade e gli spazi aperti.
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Kikutake, Maki, Kurokawa, 1978 Fernadez Qui vediamo che l’edificio è composto da due zone, una di servizio che occupa tutta la lunghezza dell’edificio e che contiene due accessi e un’altra zona (camere) che si affaccia sul cortile interno. Pian piano negli anni questa casa diventa oggetto di diversi ampliamenti. Bisogna considerare l’alloggio come un processo dinamico.
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Charles Correa, 1978 Castro Il processo di espansione si può sintetizzare in due concetti man mano che la famiglia incrementa la superificie della propria casa: la flessibilità degli spazi e delle strutture che la famiglia ha a disposizione per ampliare la struttura.
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La freeway N2 tangente alla Township di Khayelisha permette un collegamento verso ovest con Cape Town e verso altre città costiere. L’intersezione con Cape Flats Road la collega con la freeway N1 che da Cape Town porta verso l’interno del Sudafrica. L’aeroporto dista pochi chilometri da Khayelisha. L’asta ferroviaria che attraversa l’area di studio fa parte a un più ampio sistema di distribuzione locale e nazionale.
Strada principale Linea ferroviaria Aree di interesse Area di Cape Town
CENTRO STORICO DI CAPE TOWN
AEROPORTO
TOWNSHIP DI KHAYELITSHA
RISERVA DI TABLE MOUNTAIN
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Il distretto F è composto dalla Township di Khayelisha, da Mitchell’s Plain e da Phillipi. L’area costiera e ampi spazi interni sono costituiti da spiagge, dune, aree naturalistiche. Oltre alla freeway sono già presenti strade di attraversamento del distretto. Sono trascurabili le zone industriali e commerciali in particolare poco influenti per l’area di studio.
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In questa planimetria si possono individuare i valori strategici assunti come linee guida per la verifica dellâ&#x20AC;&#x2122;obbiettivo della tesi: aree di pregio, collegamenti stradali.
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Layer 1 - Invarianti Le risorse esistenti vengono perimetrate per essere salvaguardate e quindi assorbite e conformate alle linee guida.
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Layer 2 - Infrastrutture di penetrazione
accesso 242
accessi al mare
accesso
accesso
accessi al mare
Le invarianti individuate vengono rese urbane tramite i Boulevard per rafforzare gli accessi e quindi lâ&#x20AC;&#x2122;attraversamento dellâ&#x20AC;&#x2122;area. Nei punti di intersezione con la linea ferroviaria dovranno essere realizzati dei nodi di scambio intermodale.
Sezione planimetrica del Boulevard I Boulevard dovranno essere luoghi urbani con alberatura, fasce ciclopedonali, attivitĂ commerciali, artigianali e servizi, aree di sosta e luoghi di ritrovo
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Vista dei Boulevard
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Vista dei Boulevard
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Layer 03 - Strips L’area viene suddivisa in fasce omogenee ma disomogenee una con l’altra, in una sequenza che preveda la giusta mixité fra fasce residenziali, fasce verdi, fasce attrezzate, connettività primaria e impianti sportivi, fasce da riservare alla coltivazione di fiorti od ortaggi a sostentamento dei residenti, eventualmente integrabili con fasce per piccoli insediamenti produttivi.
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Diagramma delle fasce funzionali
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Tipologia di insediamento governativa Inizialmente l’abitazione di lato 6 x 6 m edificata su un piano in centro a un lotto di lato 11 x 11 m viene autonomamente ampliata fino alla saturazione dell’area di pertinenza per soddisfare le necessità dei nuclei famigliari (121 mq di suolo occupato per 9 abitanti massimi).
SEZIONE UNITA' ABITATIVE MINIME
3
4
3
4
SEZIONE UNITA' ABITATIVE MINIME
12 12
PIANTE UNITA' ABITATIVE MINIME
PIANTE UNITA' ABITATIVE AMPLIATE
PIANTE UNITA' ABITATIVE MINIME
PIANTE UNITA' ABITATIVE AMPLIATE
12
6
12 6
6
6
11
6
11
9
11 11
9
6
piano terra
piano terra
piano terra PIANTE UNITA' ABITATIVE AMPLIATE ULTERIORMENTE PIANTE UNITA' ABITATIVE AMPLIATE ULTERIORMENTE 9
piano terra PIANTE UNITA' ABITATIVE MASSIVAMENTE AMPLIATE PIANTE UNITA' ABITATIVE MASSIVAMENTE AMPLIATE 12
9
9
9
9
9
12
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piano terra
piano terra
piano terra
piano terra
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Tipologia di insediamento Elemental - Alejandro Aravena Da un basamento di lato 6 x 6 m viene realizzato un primo e secondo livello forniti dai servizi primari tramite l’autocostruzione il primo e il secondo livello fino a contenere un massimo di 13 abitanti. L’alloggio al piano terra ha l’accesso dalla strada di quartiere, mentre l’alloggio al primo e al secondo livello viene servito dalla corte comune (66 mq di suolo occupato 13 abitanti massimi).
PIANTE UNITA' ABITATIVE MINIME REALIZZATE DAL GOVERNO
piano t.
piano 1
piano 2
PIANTE UNITA' ABITATIVE AMPLIATE (autocostruzione)
piano t.
piano 1
250
piano 1
capacità alloggio 4 + 5
piano 2
PIANTE UNITA' ABITATIVE A SATURAZIONE (autocostruzione)
piano t.
capacità alloggio 4 + 2
piano 2
capacità alloggio 4 + 9
Piante Ipotesi di incrementi spaziali e/o progressivi
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Raffronto tra lo schema di insediamento governativo attuale e lâ&#x20AC;&#x2122;insediamento di riferimento Insediamento Elemental 51 ha x 1000 abitanti Insediamento governativo 134 ha x 1000 abitanti Consumo di suolo del 62% in meno
PROPOSTA GOVERNATIVA x 100 abitanti = 1848 mq di terreno
PROPOSTA DI PROGETTO
84 40,6
40,6
84
120
87
30
22
22 252
30
87
120
x 100 abitanti = 485 mq di terreno
Vista delle residenze dalla viabilitĂ di quartiere
253
Sezione planimetrica della strip residenziale
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Sovrapposizione dei layer
Le invarianti, gli assi di penetrazione e le strips vanno a costituire il tessuto della cittĂ satellite
255
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Vista di una porzione di cittĂ satellite
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Appendice La Nuova Costituzione Sudafricana
1
Per il Sudafrica la Costituzione rappresenta la cristallizzazione giuridica dei principi che hanno animato la transizione politica del post-apartheid, il punto di arrivo di una storia che iniziò già negli anni 50. La Costituzione sudafricana è modernissima sia per il tipo di principi che vengono codificati nel bill of rights (Carta dei Diritti Fondamentali), ma soprattutto nelle tecniche giuridiche di protezione della Carta. La pressione esercitata dal gruppo “gay and lesbian” ha portato ad esempio all’inclusione del diritto di non discriminazione per gli orientamenti sessuali, cui si affiancano tutta una serie di diritti che rimandano alla storia recente del paese, come i divieti di segregazione e i diritti di accesso alla matrice economica. Ma la cosa più importante è sicuramente la tecnica con cui si è arrivati a scriverla, attraverso un lungo processo durato circa 6 anni, con una costituzione transitoria nel 1993, e poi l’istituzione della corte costituzionale ancora prima della sua definizione. Questo lungo periodo di concertazione è servito principalmente all’ampio processo inclusivo che si decise di mettere in atto e finalizzato a costituire unità in un corpo politico frammentato dal punto di vista linguistico, etnico e storico. Vi furono numerosi incontri cui presero parte un grande numero di attori politici, incluso quel National Party che guidò il paese dal 1961 nel periodo apartheid. Dopo un lungo periodo di apartheid, che in sé significa appunto “frammentazione” del corpo sociale e politico, la grande sfida fu quella di ottenere unità e inclusività di tutti gli esponenti del corpo politico e costruire una nuova idea di cittadinanza fondata sull’unità pur nelle differenze di lingua, etnia e colore della pelle. Per tali ragioni la costituzione è un testo che viene visto sicuramente con fierezza dai cittadini del Sudafrica. La via verso la riconciliazione per un paese si realizza in un lungo processo storico sociale basato sulla decisione di continuare a vivere assieme: gruppi che si sono fronteggiati in passato decidono di vivere in uno stesso territorio, sotto l’egida di leggi comuni e principi comuni. Laddove questa decisione non viene presa, e gli esempi non mancano, ci sono problemi enormi con divisioni del territorio e scontri.
La costituzione della Repubblica Sudafricana, 1996 Adottata l’8 maggio 1996 e emendata l’11 ottobre 1996 dall’Assemblea costituzionale Preambolo Titolo 1 Disposizioni fondamentali Titolo 2 Bill of rights Titolo 3 Governo cooperativo Titolo 4 Parlamento Titolo 5 Presidente e potere esecutivo nazionale Titolo 6 Province Titolo 7 Governo locale Titolo 8 Corti ed amministrazione della giustizia Titolo 9 Istituzioni dello Stato a sostegno della democrazia costituzionale Titolo 10 Amministrazione pubblica Titolo 11 Sicurezza collettiva Titolo 12 Capi tradizionali Titolo 13 Finanze Titolo 14 Disposizioni generali Allegato 1 Bandiera nazionale Allegato 2 Giuramenti e dichiarazioni solenni Allegato 3 Procedure elettorali Allegato 4 Aree funzionali di competenza concorrente tra organi legislativi provinciali e nazionale Allegato 5 Aree funzionali di competenza esclusiva degli organi legislativi provinciali Allegato 6 Disposizioni transitorie Allegato 7 Leggi abrogate Preambolo
259
Noi, popolo del Sudafrica, riconosciamo le ingiustizie del nostro passato; onoriamo coloro che hanno sofferto per la giustizia e per la libertà della nostra terra; rispettiamo coloro che hanno lavorato per costruire e sviluppare il nostro Paese; crediamo che il Sudafrica appartenga a tutti coloro che ci vivono, uniti nella diversità. Pertanto, attraverso i nostri rappresentanti eletti democraticamente, adottiamo questa Costituzione come legge suprema della Repubblica, al fine di: superare le divisioni del passato e fondare una società basata sui valori democratici, sulla giustizia sociale e sui diritti umani fondamentali; porre le fondamenta di una società democratica e aperta nella quale il governo sia basato sulla volontà del popolo e ogni cittadino sia protetto dalla legge in maniera eguale; migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini e liberare le potenzialità di ogni persona; costruire un Sudafrica unito e democratico, capace di assumere a pieno diritto il proprio posto come stato sovrano nella famiglia nelle nazioni. Possa Dio proteggere il nostro popolo. Nkosi Sikelel’iAfrika. Morena boloka setjhaba sa heso. God seën Suid-Afrika. Dio benedica il Sudafrica. Mudzimu fhatutshedza Afurika. Hosi katekisa Afrika. Titolo 1 - Disposizioni fondamentali Articolo 1- Repubblica del Sudafrica La Repubblica del Sudafrica è uno stato unitario, sovrano e democratico, fondato sui seguenti valori: a) la dignità umana, il perseguimento dell’uguaglianza e l’avanzamento dei diritti umani e delle libertà; b) il rifiuto delle discriminazioni razziali e di genere; c) la supremazia della costituzione e lo stato di diritto; d) il suffragio universale, un unico registro elettorale, elezioni regolari in un sistema di governo democratico multi-partitico, al fine di assicurare responsabilità, capacità di dare risposta alle sollecitazioni provenienti dal basso e trasparenza Art 2 - Supremazia della costituzione La Costituzione è la suprema legge della Repubblica; ogni legge o comportamento ad essa non conforme è invalido; si deve adempiere agli obblighi da essa imposti. Art 3- Cittadinanza (1) Esiste un’unica comune cittadinanza sudafricana. (2) Tutti i cittadini: a) godono dei medesimi diritti, privilegi e benefici derivanti dalla cittadinanza; b) sono egualmente soggetti ai doveri e alle responsabilità derivanti dalla cittadinanza. (3) L’acquisizione, la perdita e il riacquisto della cittadinanza sono regolate dalla legge nazionale Art 4 - Inno nazionale L’inno nazionale è stabilito dal Presidente attraverso una suo decreto. Art 5 - Bandiera nazionale La bandiera nazionale della Repubblica è nera, oro, verde, bianca, rossa e blu come descritto e disegnato nell’Allegato 1[2].
260
Art 6 - Lingue (1)Le lingue ufficiali della Repubblica sono Sepedi, Sesotho, Setswana, siSwati, Tshivenda, Xitsonga, Afrikaans, Inglese, isiNdebele, isiXhosa e isiZulu. (2) Riconoscendo l’uso e lo status storicamente ridotto delle lingue indigene del nostro popolo, lo stato deve adottare misure positive e concrete per elevare lo status e promuovere l’uso di queste lingue. (3) (a) Il governo nazionale ed i governi provinciali hanno la facoltà di usare ciascuna delle lingue ufficiali nelle loro attività di governo, tenendo conto delle usanze, della fattibilità, dei costi, del contesto regionale, nonchè dell’equilibrata valutazione dei bisogni e delle preferenze della popolazione nel suo insieme o nella provincia in questione; ma in ogni caso, il governo nazionale e ciascun governo provinciale deve far uso di almeno due delle lingue ufficiali. (b) Le municipalità devono tenere conto degli usi linguistici e delle preferenze dei loro residenti. (4) Il governo nazionale ed i governi provinciali disciplinano e verificano il loro uso delle lingue ufficiali a mezzo di misure legislative o di altre misure. Fatte salve le disposizioni del comma (2), tutte le lingue ufficiali devono godere della medesima considerazione e devono essere trattate su una base di eguaglianza. (5) Il Consiglio Linguistico Pan Sudafricano [Pan South African Language Board], istituito sulla base della legge nazionale, ha il compito di: (a) promuovere e creare le condizioni per lo sviluppo e l’uso di : i) tutte le lingue ufficiali; ii) le lingue Khoi, Nama e San; iii) il linguaggio dei segni; (b) promuovere e garantire il rispetto per: i) tutte le lingue usate dalle diverse comunità presenti in Sudafrica, compreso il Tedesco, il Greco, il Gujarati, l’Hindi, il Portoghese, il Tamil, il Telegu e l’Urdu; ii) l’Arabo, l’Ebraico, il Sanscrito e tutte le altre lingue usate in Sudafrica per fini religiosi. Titolo 2 - Bill of Rights Art.7 - Diritti (1) Questo Bill of rights è il fondamento della democrazia in Sudafrica. Esso racchiude i diritti di tutto il popolo nel nostro Paese e afferma i valori democratici della dignità umana, dell’uguaglianza e della libertà. (2) Lo stato ha il compito di rispettare, proteggere, promuovere ed attuare i diritti contenuti nel Bill of rights. (3) I diritti del Bill of right sono soggetti alle limitazioni previste dall’art.36 o in altre disposizioni del Bill. Art. 8 - Applicazione (1) Il Bill of rights si applica ad ogni legge, ed è vincolante per il potere legislativo, per il potere esecutivo, per il potere giudiziario e per tutti gli organi dello stato. (2) Ogni disposizione del Bill of rights è vincolante per le persone fisiche e per le persone giuridiche se, e nella misura in cui, essa è applicabile, considerando la natura del diritto e la natura di ogni obbligo imposto dal diritto in questione. (3) Nell’applicazione di ogni disposizione del Bill of rights nei confronti di una persona fisica o giuridica nei termini del comma (2), le corti: a) al fine di attuare qualunque diritto del presente Bill, devono applicare, e, ove necessario, sviluppare la common law, laddove la normativa non garantisca l’efficacia del diritto in questione; b) hanno la facoltà di sviluppare regole di common law per limitare il diritto in esame, garantendo che tale limitazione sia compatibile con l’art. 36(1). (4) Le persone giuridiche godono dei diritti del Bill of rights nella misura in cui lo richiedano la natura dei diritti stessi e la natura della persona giuridica in questione. Art. 9 - Eguaglianza (1) Tutti sono eguali di fronte alla legge e hanno diritto ad eguale protezione ed eguali benefici da parte della legge.
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(2) L’eguaglianza include il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà. Al fine di promuovere il pieno conseguimento dell’eguaglianza, si possono intraprendere misure legislative o altre misure finalizzate alla protezione o alla promozione di individui o di categorie di individui svantaggiati a causa di ingiuste discriminazioni. (3) Lo stato non può’ porre in essere, in via diretta o indiretta, ingiuste discriminazioni sulla base di uno o più motivi, tra cui razza, genere, sesso, maternità, stato civile, origini etniche o sociali, colore, orientamento sessuale, età, disabilità, religione, coscienza, credo, cultura, lingua o nascita. (4) Nessuno può ingiustamente discriminare altri direttamente o indirettamente sulla base di uno o più’ motivi di cui al comma (3). Leggi nazionali devono essere adottate allo scopo di prevenire e proibire ingiuste discriminazioni. (5) Le discriminazioni basate su di uno o più dei motivi indicati nel comma (3) sono considerate ingiuste fino a prova contraria. Art 10 - Dignità umana Tutti hanno una propria intrinseca dignità ed il diritto al rispetto e alla tutela della propria dignità. Art 11 - Vita Tutti hanno il diritto alla vita. Art 12 - Libertà e sicurezza della persona (1) Tutti hanno il diritto alla libertà e alla sicurezza della persona, che include il diritto a : a) non essere privati della libertà arbitrariamente o senza giusta causa; b) non essere detenuti senza processo; c) essere tutelati da ogni forma di violenza da parte di enti pubblici o privati; d) non essere torturati in alcuna forma; e) non essere sottoposti a trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti. (2) Tutti hanno diritto alla propria integrità fisica e psicologica, che include il diritto a : a) prendere decisioni in materia di riproduzione; b) alla sicurezza ed al controllo del proprio corpo; c) non essere sottoposti ad esperimenti medici o scientifici senza il proprio consenso informato. Art 13 - Schiavitù, servitù e lavori forzati Nessuno può essere soggetto a schiavitù, servitù o a lavoro forzato. Art 14 - Diritto alla riservatezza Tutti hanno il diritto alla riservatezza, che include il diritto a non essere assoggettati a : a) perquisizioni sulla propria persona e ella propria casa; b) perquisizioni su propri beni; c) sequestro di beni in loro possesso; d) violazioni della riservatezza delle comunicazioni. Art 15 - Libertà di religione, credo e opinione (1) Tutti hanno il diritto alla libertà di coscienza, di religione, di pensiero, di credo e di opinione. (2) Le pratiche religiose possono essere svolte in istituzioni statali o sovvenzionate dallo stato ammesso che: a) tali pratiche seguano le regole stabilite dalle autorità pubbliche competenti; b) siano svolte su una base di eguaglianza; c) la partecipazione sia libera e volontaria. (3) (a) Questo articolo non impedisce che una legge riconosca: i) matrimoni celebrati on base a qualsiasi tradizione o qualsiasi ordinamento religioso o ordinamento della persona r della famiglia; ii) ordinamenti della persona e della famiglia fondati su qualunque costume giuridico tradizionale, o a cui si sottopongano persone che professano una particolare religione; (b) Il riconoscimento ai sensi del comma (3) let. (a) deve essere conforme al presente articolo e alle altre disposizioni della Costituzione. Art 16- Libertà di espressione (1) Tutti hanno il diritto di libertà di espressione, che comprende:
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a) libertà di stampa e degli altri media; b) libertà di ricevere e di dare informazioni e idee; c) libertà di creatività artistica; d) libertà accademica e libertà di ricerca scientifica. (2) Il diritto ai sensi del comma (1) non tutela: a) la propaganda per la guerra; b) l’incitamento alla violenza; c) l’apologia dell’odio razziale, etnico, di genere o religioso, con incitamento a cagionare danno ad altri. Art 17 - Assemblea, dimostrazione, picchetto e petizione Tutti hanno diritto di riunirsi, di dimostrare, di effettuare picchetti purché in modo pacifico e senza armi, e di presentare petizioni. Art 18 - Libertà di associazione Tutti hanno il diritto alla libertà di associazione. Art 19 - Diritti politici (1) Ogni cittadino ha il diritto di effettuare scelte politiche, che include il diritto a : a) formare partiti politici; b) partecipare alle attività di un partito politico o reclutarne i membri; c) condurre campagne a favore di un partito politico o di una qualsiasi causa. (2) Ogni cittadino ha il diritto ad elezioni libere, corrette e regolari per ogni organo legislativo costituito ai sensi della Costituzione. (3) Ogni cittadino maggiorenne ha il diritto a: a) votare nelle elezioni per ogni organo legislativo costituito nei termini della Costituzione, e di farlo in segreto; b) presentarsi come candidato a ogni carica pubblica e, se eletto, ad esercitare le sue funzioni. Art 20 - Cittadinanza Nessun cittadino può essere privato della cittadinanza. Art 21 - Libertà di movimento e di residenza (1) Tutti hanno diritto alla libertà di movimento. (2) Tutti hanno diritto a lasciare il territorio della Repubblica. (3) Ogni cittadino ha diritto a entrare nel territorio della Repubblica, a rimanervi e a risiedere in qualsiasi luogo all’interno di essa. (4) Ogni cittadino ha diritto al passaporto. Art 22 - Libertà di mestiere, occupazione e professione Ogni cittadino ha diritto di scegliere il proprio mestiere, la propria occupazione o la propria professione liberamente. Lo svolgimento dei mestieri, delle occupazioni e delle professioni può essere regolato dalla legge. Art 23 - Rapporti di lavoro (1) Tutti hanno diritto a condizioni di lavoro eque. (2) Ogni lavoratore ha diritto a : a) costituire sindacati e ad aderirvi; b) partecipare alle attività e ai programmi dei sindacati; c) scioperare. (3) Ogni datore di lavoro ha diritto a : a) costituire e aderire ad organizzazioni di datori di lavoro ; b) partecipare alle attività e ai programmi delle organizzazioni dei datori di lavoro. (4) Ogni sindacato e ogni organizzazione di datori di lavoro ha diritto a: a) decidere in ordine alla propria amministrazione, ai propri programmi e alle proprie attività; b) organizzarsi;
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c) costituire una federazione o aderirvi. (5) Ogni sindacato ed ogni organizzazione di datori di lavoro ha il diritto di negoziare contratti collettivi di lavoro. Una legge nazionale disciplina la contrattazione collettiva. Nel caso in cui tale legge limiti un diritto previsto in questo Titolo, le limitazioni devono essere conformi all’art. 36(1). (6) La legge nazionale può recepire accordi sindacali in materia di sicurezza contenuti nei contratti collettivi di lavoro. Nel caso in cui tale normativa limiti un diritto previsto in questo Titolo, le limitazioni devono essere conformi all’art. 36(1). Art 24 - Ambiente Tutti hanno diritto a: (a) un ambiente che non sia nocivo alla propria salute o al proprio benessere; (b) alla protezione dell’ambiente, a beneficio delle generazioni presenti e future, sulla base di ragionevoli misure legislative e di altre misure che: i) prevengano l’inquinamento ed il degrado ambientale; ii) promuovano la buona conservazione dell’ambiente; iii) assicurino uno sviluppo ed un utilizzo delle risorse naturali ecologicamente sostenibile, promuovendo nel medesimo tempo un ragionevole sviluppo economico e sociale. Art 25 - Proprietà (1) Nessuno può essere privato di una proprietà se non sulla base di una legge generale, e nessuna legge può prevedere l’arbitraria privazione della proprietà. (2) Le proprietà possono essere espropriate unicamente sulla base di una legge generale : a) per motivi di pubblica utilità o di interesse pubblico; e b) con indennizzo, il cui ammontare e i cui termini e modalità di pagamento siano stati concordati con gli espropriati oppure stabiliti o approvati dalla magistratura. (3) L’ammontare e i termini e le modalità di pagamento dell’indennizzo devono essere giusti ed equi e devono riflettere un ragionevole equilibrio tra l’interesse pubblico e l’interesse degli espropriati, tenendo in dovuta considerazione tutte le circostanze rilevanti, tra cui: a) l’uso a cui la proprietà è destinata; b) la storia dell’acquisizione e dell’uso della proprietà; c) il valore di mercato della proprietà; d) l’entità dell’investimento pubblico e del contributo dato ai fini dell’acquisto e dell’incremento di valore della proprietà; e) il fine dell’espropriazione. (4) Ai fini di questo articolo: a) l’interesse pubblico include l’impegno nazionale a favore della riforma fondiaria, e a favore delle riforme finalizzate a garantire a tutti un eguale accesso alle risorse naturali del Sudafrica; b) la proprietà non è limitata alla terra. (5) Lo stato deve assumere ragionevoli misure legislative e altre misure, nel quadro delle risorse disponibili, per favorire condizioni che permettano ai cittadini di acquisire l’accesso alla terra su basi di eguaglianza. (6) Ciascun individuo o ciascuna comunità, il cui titolo di possesso della terra non siano garantiti giuridicamente a causa di leggi o pratiche discriminatorie del passato, ha diritto, sulla base di un atto del Parlamento, ad un titolo di possesso giuridicamente garantito ovvero ad un adeguato risarcimento. (7) Ciascun individuo o ciascuna comunità la cui proprietà sia stata espropriata dopo il 19 giugno 1913 a causa di leggi o pratiche discriminatorie del passato ha diritto, sulla base di un atto del Parlamento, alla restituzione della proprietà ovvero a un adeguato risarcimento. (8) Nessuna disposizione di questo articolo può impedire allo stato di adottare misure legislative o altre misure per giungere alla riforma terriera, idrica e correlati, al fine di porre rimedio agli effetti delle discriminazioni razziali del passato, a condizione che ogni azione intrapresa ai sensi di questo articolo sia conforme alle disposizioni dell’art. 36(1). (9) Il Parlamento ha l’obbligo di adottare le norme di cui al comma (6). Art 26 - Abitazione (1) Tutti hanno diritto di disporre di un’abitazione adeguata. (2) Lo stato deve adottare ragionevoli misure legislative e altre misure, nel quadro delle risorse disponibili, per attuare progressivamente questo diritto.
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(3) Nessuno può essere sfrattato, o avere la propria casa demolita senza una decisione della magistratura, assunta dopo aver preso in esame tutte le circostanze rilevanti. Nessuna legge può autorizzare sfratti arbitrari. Art 27 - Assistenza sanitaria, alimentazione, acqua e sicurezza sociale (1) Tutti hanno diritto ad avere accesso a: a) assistenza sanitaria, compresa l’assistenza sanitaria in materia di riproduzione; b) sufficiente alimentazione e acqua; c) sicurezza sociale, ivi compresa un’appropriata assistenza sociale, nel caso in cui una persona sia nell’impossibilità di assicurare la propria sussistenza e quella di coloro che sono a loro carico. (2) Lo stato deve adottare ragionevoli misure legislative e altre misure, nel quadro delle risorse disponibili, per attuare progressivamente questi diritti. (3) A nessuno si possono negare i trattamenti sanitari di emergenza. Art 28- Fanciulli (1) Ogni fanciullo ha diritto : a) ad un nome e ad una nazionalità sin dalla nascita; b) alle cure familiari o alle cure dei genitori, o ad appropriate cure alternative nel caso in cui siano stati allontanati dall’ambiente familiare; c) all’alimentazione essenziale, all’alloggio, a cure sanitarie e ai servizi sociali essenziali; d) ad essere protetto da maltrattamenti, da abbandono, da abuso o da trattamenti degradanti; e) ad essere protetto da pratiche di lavoro che lo sfruttino; f) a non essere obbligato o lasciato libero di intraprendere lavori o di prestare servizi che: i) risultino inappropriati per una persona della sua età; ii) mettano a rischio il benessere, l’educazione, la salute fisica o mentale del fanciullo, o il suo sviluppo spirituale, morale o sociale. g) a non essere detenuto, se non come misura estrema, nel cui caso in aggiunta ai diritti che il fanciullo gode ai sensi degli art 12 e 35, il fanciullo può essere detenuto solo per il minor lasso di tempo consentito, e ha il diritto di essere: i) tenuto separato dai detenuti di età superiore ai 18 anni; ii) trattato e custodito in condizioni confacenti alla sua età; h) ad avere un avvocato, assegnato e pagato dallo stato, in tutte le cause civili che lo riguardino, nel caso in cui altrimenti ne potrebbe risultare una sostanziale ingiustizia; i) a non essere utilizzato direttamente in alcun conflitto armato, e ad essere protetto in caso di conflitto armato. (2) L’interesse del fanciullo deve essere prioritariamente tutelato in ogni questione che lo concerna. (3) Ai fini di questo articolo, per “fanciullo” si deve intendere ogni persona di età inferiore ai 18 anni. Art 29- Istruzione (1) Tutti hanno il diritto: a) all’istruzione di base, compresa l’educazione di base per adulti; b) all’istruzione avanzata, che lo stato, a mezzo di ragionevoli misure, deve rendere progressivamente disponibile e accessibile. (2) Tutti hanno diritto a ricevere l’istruzione nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali di propria scelta in istituzioni scolastiche pubbliche in cui tale istruzione sia ragionevolmente praticabile. Al fine di assicurare l’accesso effettivo e l’attuazione di questo diritto, lo stato deve considerare tutte le possibili alternative scolastiche, prendendo in considerazione: a) l’equità; b) la fattibilità; c) la necessità di rimediare agli effetti delle leggi e delle pratiche di discriminazione razziale del passato. (3) Tutti hanno diritto di fondare e mantenere, a proprie spese, istituzioni educative indipendenti che: a) non discriminino in base a fattori razziali; b) siano registrate dallo stato; c) abbiano standard educativi non inferiori a quelli delle istituzioni educative pubbliche
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comparabili. (4) Il comma (3) non preclude l’erogazione di sussidi statali per le istituzioni educative indipendenti. Art 30 - Lingua e cultura Tutti hanno diritto di usare la lingua e di partecipare alla vita culturale di propria scelta, ma l’esercizio di tale diritto non dovrà essere in conflitto con nessuna delle disposizioni del Bill of rights. Art 31 - Comunità culturali, religiose e linguistiche (1) Le persone che appartengono a comunità culturali, religiose o linguistiche, insieme agli altri membri della medesima comunità, non possono essere private del diritto di: a) godere della propria cultura, praticare la propria religione e usare la propria lingua; b) formare, aderire e sostenere associazioni culturali, religiose o linguistiche e altre formazioni sociali. (2) L’esercizio dei diritti disciplinati nel comma (1) non può essere in contrasto con nessuna disposizione del Bill of rights. Art 32 - Accesso all’informazione (1) Tutti hanno diritto di prendere conoscenza: a) delle informazioni in possesso dello stato; b) di ogni altra informazione posseduta da altri che sia necessaria per l’esercizio o la tutela di un diritto. (2) Per attuare questo diritto deve essere emanata una legge nazionale, ed essa può stabilire ragionevoli misure per alleviare il carico amministrativo e finanziario che grava sullo stato. Art 33 - Corretta azione amministrativa (1) Tutti hanno diritto ad un’azione amministrativa conforme alla legge, ragionevole e proceduralmente corretta. (2) Tutti coloro i cui diritti siano stati negativamente incisi da un’azione amministrativa hanno diritto ad esigerne una motivazione scritta. (3) Per attuare tali diritti deve essere emanata una legge nazionale. La legge deve: a) prevedere la possibilità di ricorso davanti alla magistratura o, laddove appropriato, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale; b) imporre l’obbligo nei confronti dello stato di attuare i diritti di cui ai commi (1) e (2); c) promuovere un’amministrazione efficiente. Art 34 - Accesso alle Corti Tutti hanno diritto a che le controversie in cui siano coinvolti e che possano essere risolte sulla base delle leggi siano decise a seguito di un corretto processo pubblico di fronte alla magistratura o, laddove appropriato, di fronte ad un altro tribunale o ad un forum, indipendente ed imparziale. Art 35 - Persone arrestate, detenute e accusate (1) Ogni persona arrestata con l’accusa di aver compiuto un reato ha il diritto: a) di non rispondere; b) di essere informato prontamente: i) del diritto di non rispondere; ii) delle conseguenze del rispondere; c) di non essere forzata a fare una confessione o un’ammissione che possa essere usata come prova contro se stessa; d) di essere condotta di fronte ad un giudice non appena sia ragionevolmente possibile, e in ogni caso non più tardi di: i) 48 ore dall’arresto; ii) entro il primo giorno di funzionamento della corte dopo la scadenza delle 48 ore, nel caso in cui tale scadenza cada in un orario fuori dal normale funzionamento delle corti o in un giorno in cui normalmente la corte non si riunisce; e) al momento della prima comparsa di fronte ad una corte dopo l’arresto, di essere accusata o informata delle ragioni del prolungamento della detenzione ovvero di essere rilasciata; f) ad essere rilasciata sulla base di condizioni ragionevoli se lo consentono gli interessi
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della giustizia. (2)Ogni persona detenuta, compreso ogni detenuto che sia stato condannato, ha il diritto: a) di essere prontamente informata delle ragioni della propria detenzione; b) di scegliere un avvocato e di consultarsi con esso, e di essere prontamente informata del diritto di farlo; c) di vedersi assegnato un avvocato dallo stato e alle spese dello stato, nel caso in cui altrimenti ne potesse derivare un’ingiustizia sostanziale, e di essere prontamente informata di tale diritto; d) di contestare di persona di fronte ad una corte la legalità della propria detenzione e, nel caso in cui la detenzione risulti illegale, di essere rilasciata; e) a condizioni di detenzione rispettose della dignità umana, il che comporta quantomeno esercizio fisico e la provvista, a spese dello stato, di alloggio, alimentazione, materiali da leggere e cure mediche adeguati; f) di comunicare con e di ricevere visite da: i) coniuge o compagno/a; ii) parenti stretti; iii) religiosi di propria scelta; iv) medici di propria scelta. (3) Ogni persona accusata ha diritto ad un regolare processo, che include il diritto: a) ad essere informata delle accuse in maniera sufficientemente dettagliata da permettere una difesa; b) di avere tempo e condizioni adeguate per preparare la propria difesa; c) ad un processo pubblico di fronte ad una corte; d) a che il proprio processo inizi e si concluda senza ragionevole ritardo; e) ad essere presente al processo; f) di scegliere, e di essere rappresentata, da un avvocato, e di essere informata del diritto di farlo; g) di vedersi assegnato un avvocato dallo stato e alle spese dello stato, nel caso in cui altrimenti ne possa derivare un’ingiustizia sostanziale, e di essere prontamente informata di tale diritto; h) di essere considerata innocente fino alla condanna, di non rispondere e di non testimoniare nel corso del processo; i) di portare e di contestare prove; j) di non essere obbligata a fornire prove contro se stesso; k) di essere giudicata in una lingua che sia in grado di capire, o, laddove ciò non sia possibile, di avere un interprete durante tutto il corso del processo; l) di non essere giudicata colpevole per un atto o un’omissione che non costituivano reato né secondo il diritto interno né secondo il diritto internazionale al momento in cui sono stati commessi; m) di non essere giudicata per un reato, relativo ad un atto o un’omissione per il quale sia già stata precedentemente giudicata colpevole o sia stata assolta; n) di beneficiare delle pene meno severe nel caso in cui le pene prescritte per quel determinato reato siano state modificate nel periodo che intercorre tra quando il reato è stato commesso e il momento del processo; o) di ricorrere in appello, o per una revisione della sentenza, ad una corte di giustizia di grado superiore. (4) In ogni circostanza in cui, secondo questo articolo, si debbano fornire delle informazioni ad una persona, tali informazioni devono essere date in una lingua che la persona sia in grado di comprendere. (5) Le prove ottenute con modalità che violino qualunque diritto riconosciuto nel presente Bill of rights devono essere escluse nel caso in cui l’ammissione di tali prove possa rendere il processo non corretto o nel caso in cui essa possa in qualsiasi modo nuocere alla corretta amministrazione della giustizia. Art 36 Limitazione dei diritti (1) I diritti garantiti in questo Bill of rights possono essere limitati esclusivamente da una legge generale ed unicamente nel caso in cui le limitazioni siano ragionevoli e giustificabili in una società aperta e democratica, fondata sulla dignità umana, sull’eguaglianza e sulla libertà, prendendo in considerazione tutti i fattori rilevanti, tra cui:
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a) la natura del diritto; b) l’importanza dello scopo della limitazione; c) la natura ed il grado di estensione della limitazione; d) il rapporto tra la limitazione ed il suo scopo; e) le modalità meno restrittive possibili per il raggiungimento di tale scopo. (2) Salvo quanto previsto nel comma (1) o in qualsiasi altra disposizione della Costituzione, nessuna legge può limitare i diritti garantiti nel Bill of rights. Art 37 Stati di emergenza (1) Lo stato di emergenza può essere proclamato solo con un atto del Parlamento e solo quando: a) la vita della nazione è minacciata da guerra, invasione, insurrezione generale, disordini, disastri naturali o altre emergenze pubbliche; b) tale dichiarazione sia necessaria per ristabilire la pace e l’ordine. (2) La dichiarazione dello stato di emergenza e qualunque legge emanata, o qualunque altra azione intrapresa in forza di tale dichiarazione, sono efficaci solo: a) per il futuro; b) per un periodo di tempo non superiore ai 21 giorni dalla data della dichiarazione, a meno che l’Assemblea Nazionale decida di prorogare il termine fissato. L’Assemblea può prorogare lo stato di emergenza per un periodo non superiore ai tre mesi consecutivi. La prima estensione dello stato di emergenza deve essere contenuta in una risoluzione adottata con il voto favorevole della maggioranza dell’Assemblea. Ogni estensione successiva deve essere sancita da una risoluzione adottata con il voto favorevole di almeno il 60% dei componenti dell’Assemblea. Le risoluzioni previste da questo comma possono essere adottate solo dopo pubblico dibattito in seno all’Assemblea. (3) Ogni corte di giustizia competente può decidere della validità: a) della dichiarazione dello stato di emergenza; b) dell’estensione di una dichiarazione dello stato di emergenza; c) di ogni legge emanata, o di ogni azione intrapresa in forza di una dichiarazione dello stato di emergenza. (4) Ogni legge emanata in forza di una dichiarazione dello stato di emergenza può derogare le norme del Bill of rights solo nella misura in cui: a) la deroga sia strettamente richiesta dall’emergenza; b) la legge i) sia conforme agli obblighi assunti dalla Repubblica in materia di stato di emergenza secondo il diritto internazionale; ii) sia conforme al comma (5); iii) sia pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nazionale al più presto dopo essere stata emanata. (5) Nessuna legge del Parlamento che autorizzi una dichiarazione dello stato di emergenza e nessuna legge emanata o nessuna azione intrapresa in forza di tale dichiarazione possono facoltizzare o autorizzare: a) indennizzi allo stato, o a privati a seguito di atti illegittimi; b) nessuna deroga di questo comma; c) nessuna deroga di qualunque articolo menzionato nella prima colonna della Tabella dei diritti irrevocabili, nella misura indicata per il medesimo articolo nella terza colonna. TABELLA DEI DIRITTI IRREVOCABILI Numero Titolo art Livello di protezione del diritto art 9 Eguaglianza Con riferimento ad ingiuste discriminazioni unicamente sulla base di razza, colore, origine etnica o sociale, sesso, religione o lingua 10 Dignità umana Interamente 11 Vita Interamente 12 Libertà e sicurezza Con riferimento ai commi (1)(d)(e), e (2)(c) della persona 13 Schiavitù, servitù e Con riferimento a schiavitù e servitù lavoro forzato
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Fanciulli
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Persone arrestate, detenute e accusate
Con riferimento a : - comma (1) (d)(e); - i diritti ai sensi delle let. (i) e (ii) del comma (1)(g); - comma (1)(i) limitatamente a fanciulli di età inferiore ai 15 anni Con riferimento a: - commi (1)(a)(b)(c), e (2)(d); - i diritti enunciati al comma (3) da let. (a) a (o), escluso (d); - comma (4); - comma (5) in riferimento all’esclusione delle prove se l’ammissione di tali prove rendesse il processo ingiusto
(6) Nel caso in cui una persona sia detenuta senza processo in forza di una deroga ai diritti derivante dalla dichiarazione dello stato di emergenza, le seguenti condizioni devono essere rispettate: a) un membro adulto della famiglia o un amico del detenuto deve essere contattato nel minor lasso di tempo ragionevolmente possibile, ed informato dell’arresto della persona; b) entro cinque giorni dal momento dell’arresto, la Gazzetta Ufficiale nazionale deve pubblicare un avviso della detenzione della persona, specificandone il nome ed il luogo di detenzione ed il riferimento alle misure di emergenza in forza delle quali quella persona è detenuta; c) al detenuto deve essere permesso di scegliere e di essere visitato, in ogni occasione ragionevolmente possibile, da un medico; d) al detenuto deve essere permesso di scegliere e di essere visitato, in ogni occasione ragionevolmente possibile, da un avvocato. e) una corte deve prendere in esame il provvedimento di arresto non appena ragionevolmente possibile, ed in ogni caso non più tardi di 10 giorni dall’arresto, e la corte deve rilasciare il detenuto a meno che la detenzione sia necessaria per riportare la pace e l’ordine; f) il detenuto che non è stato rilasciato ai sensi e nei termini della lettera (e), potrà rivolgersi ad una corte per un rinnovato esame del proprio stato di detenzione in qualunque momento dopo 10 giorni dalla revisione precedente; la corte lo deve rilasciare a meno che la sua detenzione non sia ancora necessaria per riportare la pace e l’ordine; g) al detenuto deve essere permesso di comparire di persona di fronte alla corte che prende in esame la propria detenzione, di essere rappresentato da un avvocato ad ogni udienza e di presentare ricorsi contro il perdurare del suo stato di detenzione; h) lo stato deve presentare alla corte le motivazioni che giustificano il perdurare della detenzione per iscritto, e deve darne copia al detenuto entro il termine minimo di due giorni che prima dell’udienza di revisione della detenzione. (7) Se una corte rilascia un detenuto, la medesima persona non può essere nuovamente arrestata con le medesime motivazioni a meno che lo stato non provi preventivamente ad una corte l’esistenza di ragioni sufficienti per una nuova detenzione. (8) I commi (6) e (7) non si applicano a coloro che non sono cittadini Sudafricani e che sono detenuti in conseguenza di un conflitto armato internazionale. In tal caso, lo stato deve rispettare invece gli standard imposti alla Repubblica dalle norme del diritto umanitario per la detenzione di tali persone. Art 38 Applicazione dei diritti Ogni persona indicata in questo articolo ha il diritto di rivolgersi ad una corte competente nel caso in cui un diritto sancito nel Bill of rights sia stato violato o minacciato, e la corte deve garantire un rimedio appropriato, ivi compresa una dichiarazione dei suoi diritti. Le persone che possono rivolgersi alla corte sono: a) ogni persona che agisca nel proprio interesse; b) ogni persona che agisca per conto di un’altra persona impossibilitata ad agire personalmente; c) ogni persona che agisca come membro di un gruppo o una categoria di persone o nell’interesse dei medesimi; d) ogni persona che agisca nel pubblico interesse; e) le associazioni che agiscono nell’interesse dei propri membri.
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Art 39 - Interpretazione del Bill of rights (1) Nell’interpretare il Bill of rights, le corti, i tribunali, i forum: a) devono promuovere i valori di base di una società aperta e democratica, fondata sulla dignità umana, sull’eguaglianza e sulla libertà; b) devono tenere conto del diritto internazionale; c) possono tenere conto del diritto straniero. (2) Nell’interpretazione di ogni legge, e nello sviluppare le norme di common law e di diritto tradizionale, ogni corte, tribunale o forum deve promuovere lo spirito, il significato e gli obiettivi del Bill of rights. (3) Il Bill of rights non contraddice l’esistenza di qualunque altro diritto o libertà riconosciuto e garantito dalle norme di common law, dal diritto tradizionale o da una legge, fintanto che tali diritti siano conformi al presente Bill of rights. Titolo 3 - Governo fondato sulla cooperazione Art 40 - Il Governo della Repubblica (1) Nella Repubblica, il governo è costituito dai diversi livelli di governo nazionale, provinciale e locale, che sono distinti, indipendenti e collegati tra loro. (2) Tutti i livelli di governo devono osservare ed aderire ai princìpi enunciati in questo Titolo e devono agire all’interno dei parametri stabiliti da questo Titolo. Art 41 - Princìpi del governo cooperativo e rapporti intergovernativi (1) Tutti i livelli di governo e tutti gli organi dello stato di ciascun livello devono: a) preservare la pace, l’unità nazionale e l’indivisibilità della Repubblica; b) assicurare il benessere del popolo della Repubblica; c) garantire un governo efficace, trasparente, responsabile e coerente per la Repubblica nel suo complesso; d) essere leali alla costituzione, alla Repubblica e al suo popolo; e) rispettare lo status costituzionale, le istituzioni, i poteri e le funzioni del governo degli altri livelli di governo; f) non assumere altri poteri o funzioni salvo quelli attribuiti dalla Costituzione; g) esercitare i poteri ed espletare le funzioni in maniera tale da non ledere l’integrità geografica, funzionale o istituzionale del governo di un altro livello territoriale; h) cooperare tra loro in un atteggiamento di mutua fiducia e buona fede attraverso: i) la promozione di relazioni amichevoli; ii) l’assistenza ed il sostegno reciproci; iii) lo scambio di informazione e la consultazione per le questioni di interesse comune; iv) il coordinamento delle proprie azioni e delle proprie normative; v) l’adesione a procedure condivise; vi) evitare di intraprendere azioni legali gli uni contro gli altri. (2) Una legge del Parlamento: a) istituisce o prevede strutture ed istituzioni per promuovere e facilitare i rapporti intergovernativi; b) stabilisce i meccanismi e le procedure adeguate per facilitare la soluzione di eventuali controversie intergovernative (3) Ogni organo statale coinvolto in una controversia deve fare ogni possibile sforzo per ricomporre la controversia attraverso i meccanismi e le procedure appositamente approntate e deve aver esaurito tutti i possibili rimedi prima di ricorrere alle corti. (4) Se una corte ritiene che non tutte le condizioni di cui al comma (3) siano state adempiute può rinviare la controversia agli organi statali coinvolti. Titolo 4 - Parlamento Art 42 - Composizione del Parlamento (1) Il Parlamento è formato da: a) Assemblea Nazionale;
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b) Consiglio Nazionale delle Province. (2) L’Assemblea nazionale ed il Consiglio nazionale delle province partecipano al processo legislativo secondo le modalità stabilite dalla Costituzione. (3) L’Assemblea nazionale è eletta per rappresentare il popolo e garantire la sovranità popolare nel rispetto della Costituzione. Lo fa eleggendo il Presidente, fungendo da forum di dibattito pubblico, approvando le leggi e controllando e sorvegliando l’azione dell’esecutivo. (4) Il Consiglio nazionale delle province rappresenta le province e assicura che gli interessi provinciali siano tutelati al livello del governo nazionale. Lo fa principalmente partecipando al processo legislativo nazionale e costituendo un forum di dibattito pubblico per le questioni di interesse provinciale. (5) Il Presidente può convocare il Parlamento in seduta straordinaria in qualsiasi momento per affrontare speciali ordini del giorno. (6) La sede del Parlamento è a Cape Town, ma una legge del Parlamento emanata ai sensi del art 76(1)(5) può stabilire che la sede del Parlamento è in un altro luogo. Art. 43 - Potere legislativo della Repubblica Nella Repubblica, il potere legislativo: a) del livello nazionale di governo è attribuito al Parlamento, come stabilito dall’art. 44; b) del livello provinciale di governo è attribuito agli organi legislativi provinciali, come stabilito dall’art 104; c) del livello locale di governo è attribuito ai Consigli municipali, come stabilito dall’art. 156. Art. 44 - Potere legislativo nazionale (1) Il potere legislativo nazionale, che appartiene al Parlamento: a) attribuisce all’Assemblea nazionale il potere di: i) emendare la Costituzione; ii) emanare leggi su qualsiasi materia, comprese le materie elencate nelle aree funzionali nell’Allegato 4, ma escludendo, ai sensi del comma (2), le materie ricomprese nelle aree funzionali elencate nell’Allegato 5; iii) delegare i propri poteri legislativi, escluso quello di emendare la Costituzione, a qualunque corpo legislativo di un altro livello di governo; b) attribuisce al Consiglio nazionale delle province il potere di: i) partecipare ai processi di revisione costituzionale ai sensi dell’art. 74; ii) emanare leggi su qualsiasi materia afferente alle aree funzionali elencate nell’Allegato 4, ai sensi dell’art 76, e che riguardano qualunque altra materia che la Costituzione preveda sia regolata attraverso una legge approvata ai sensi dell’art 76; iii) esaminare, ai sensi dell’art 75, ogni altra normativa emanata dall’Assemblea nazionale. (2) Il Parlamento può intervenire, approvando una normativa ai sensi dell’art. 76(1), in materie che ricadono in un’area funzionale elencata nell’Allegato 5, quando ciò sia necessario per: a) preservare la sicurezza nazionale; b) mantenere l’unità economica del Paese; c) garantire il rispetto di standard nazionali essenziali; d) stabilire gli standard minimi richiesti per l’erogazione di alcuni servizi; e) prevenire qualunque azione irragionevole da parte delle province che possa pregiudicare gli interessi di un’altra provincia o del Paese nel suo insieme. (3)Ogni legge su materie che risultino ragionevolmente necessarie o inerenti all’esercizio effettivo di un potere riguardante una qualsiasi materia di cui all’Allegato 4 è da considerarsi a tutti gli effetti una legge che riguarda una materia di cui all’Allegato 4. (4) Nell’esercizio del potere legislativo, il Parlamento è soggetto solo alla Costituzione, e deve agire in conformità e nei limiti dettati dalla Costituzione. Art. 45 - Regolamenti interni comuni e commissioni congiunte (1) L’Assemblea nazionale ed il Consiglio nazionale delle province devono istituire una commissione per il regolamento comune, responsabile per l’elaborazione di regolamenti concernenti gli affari comuni ad Assemblea e Consiglio, compresi i regolamenti: a) per stabilire le procedure atte a facilitare il procedimento legislativo, ivi compresa la fissazione dei termini di ogni fase del procedimento;
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b) per istituire commissioni congiunte composte di rappresentanti sia dell’Assemblea sia del Consiglio al fine di esaminare le proposte di legge che, ai sensi degli artt. 74 e 75, siano rinviate a tale commissione; c) per istituire una commissione congiunta con il compito di sottoporre a verifica la Costituzione almeno su base annuale; d) per regolamentare le attività : i) della commissione sulle regole comuni; ii) della Commissione di conciliazione; iii) della commissione per la revisione costituzionale; edi ogni altra commissione istituita ai sensi let (b) del comma (1). (2) I componenti del Governo, i componenti dell’Assemblea nazionale e i delegati del Consiglio nazionale delle province godono dei medesimi privilegi e delle medesime immunità di cui godono di fronte all’Assemblea o al Consiglio, di fronte alle commissioni congiunte dell’Assemblea e del Consiglio. Assemblea Nazionale Art. 46 - Composizione ed elezione (1) L’Assemblea nazionale è composta da non meno di 350 e non più di 400 donne e uomini eletti come suoi componenti secondo un sistema elettorale che: a) deve essere stabilito dalla legge nazionale; b) deve essere basato su un unico registro elettorale; c) deve fissare l’età minima per votare a 18 anni; d) deve assicurare una rappresentanza tendenzialmente proporzionale. (2) La formula per determinare il numero esatto dei componenti dell’Assemblea nazionale sarà determinata da una legge del Parlamento Art. 47 - Componenti (1) Ogni cittadino titolare del diritto di votare per l’Assemblea nazionale può essere eletto componente dell’Assemblea, salvo: a) chi è nominato dallo stato o è al servizio dello stato ed è remunerato per tale nomina o per tale servizio, tranne che: i) il Presidente, il Vice-Presidente, i Ministri ed i Vice Ministri; ii) altri funzionari le cui funzioni sono compatibili con le funzioni dei componenti dell’Assemblea, e siano state dichiarate compatibili dalla legge nazionale; b) i delegati permanenti del Consiglio nazionale delle province o i membri di un organo legislativo provinciale o di un consiglio municipale; c) persone fallite che non siano state riabilitate; d) chiunque sia stato interdetto da una corte della Repubblica; e) chi, successivamente all’entrata in vigore di questo articolo, sia stato condannato ad una pena superiore ai 12 mesi di carcere senza la possibilità di commutare la pena in un’ammenda, sia nella Repubblica sia all’estero nel caso in cui il fatto che costituisce reato avrebbe costituito reato anche all’interno della Repubblica, ma nessuno deve essere considerato condannato prima che l’appello contro la sentenza di condanna sia stato deciso ovvero prima della scadenza dei termini per la presentazione dell’appello. La perdita della capacità elettorale prevista da questo comma termina cinque anni dopo che la pena è stata espiata. (2) Una persona che non può essere eletta componente dell’Assemblea nazionale ai sensi del comma 1 let (a) o (b) può candidarsi all’Assemblea, fatti salvi eventuali limiti e condizioni stabiliti dalla legge nazionale. (3) Una persona cessa di essere componente dell’Assemblea nazionale se: a) cessa di essere eleggibile; ovvero b) è assente dai lavori dell’Assemblea nazionale senza permesso nei casi in cui il regolamento dell’Assemblea nazionale prescrive la perdita della qualità di componente. (4) La legge nazionale stabilisce le norme per coprire i seggi vacanti dell’Assemblea nazionale. Art. 48 - Giuramento o promessa solenne Prima di assumere le funzioni, i componenti dell’Assemblea nazionale devono giurare o promettere solennemente fedeltà alla Repubblica e obbedienza alla Costituzione, ai sensi dell’Allegato 2[3].
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Art. 49 - Durata dell’Assemblea nazionale (1) L’Assemblea nazionale è eletta per un periodo di cinque anni (2) Se l’Assemblea nazionale è sciolta ai sensi dell’art. 50, o quando la legislatura volge al suo termine naturale, il Presidente fissa la data delle nuove elezioni, che devono essere indette entro 90 giorni dallo scioglimento dell’Assemblea o dal termine della legislatura. (3) Se i risultati delle elezioni non sono proclamati nei termini temporali stabiliti dall’art. 190, o se le elezioni sono annullate da un tribunale, il Presidente deve fissare la data di nuove elezioni, che devono aver luogo entro 90 giorni dal termine del periodo indicato ai sensi dell’art 190 o dall’annullamento da parte del tribunale. (4) L’Assemblea nazionale esercita le proprie funzioni nel periodo che intercorre dallo scioglimento o dal termine naturale del mandato fino al giorno che precede l’elezione della nuova Assemblea. Art. 50 - Scioglimento dell’Assemblea nazionale prima del termine naturale della legislatura (1) Il Presidente può sciogliere l’Assemblea nazionale se: a) l’Assemblea ha adottato a maggioranza assoulta una risoluzione di scioglimento; b) sono trascorsi tre anni dalle elezioni dell’Assemblea. (2) Il Presidente supplente deve sciogliere l’Assemblea nazionale se: a) la carica di Presidente è vacante; b) l’Assemblea non elegge un nuovo Presidente entro 30 giorni dalla vacanza della carica di Presidente. Art. 51 - Sedute e periodi in cui l’Assemblea non è in sessione (1) Dopo le elezioni, la prima seduta dell’Assemblea nazionale deve aver luogo in una data e ad un orario stabilito dal Presidente della Corte Costituzionale, entro il termine di 14 giorni dalla proclamazione dei risultati delle elezioni. L’Assemblea stabilisce i periodi e la durata delle proprie sedute e dei periodi in cui non è in sessione. (2) Il Presidente può convocare l’Assemblea in seduta straordinaria in ogni momento per affrontare questioni straordinarie. (3)Riunioni dell’Assemblea al di fuori della sede del Parlamento sono permesse solo se lo richiedono l’interesse pubblico, ragioni di sicurezza e di opportunità, e quando lo prevede il regolamento interno dell’Assemblea. Art. 52 - Speaker e Deputy Speaker (1) Nel corso della prima seduta dopo le elezioni o ogni qualvolta la carica risulti vacante, l’Assemblea nazionale elegge tra i propri componenti uno Speaker ed un Deputy Speaker. (2) Il Presidente della Corte Costituzionale presiede la seduta in occasione dell’elezione dello Speaker, o designa un altro giudice a farlo. Lo Speaker presiede la seduta in occasione dell’elezione del Deputy Speaker. (3) Alle elezioni di Speaker e Deputy Speaker si applicano le procedure stabilite nella Parte A dell’Allegato 3[4]. (4) L’Assemblea nazionale può rimuovere dalla carica Speaker e Deputy Speaker sulla base di una risoluzione. La maggioranza dei componenti dell’Assemblea deve essere presente in aula quando tale risoluzione è adottata. (5) Secondo le disposizioni del proprio regolamento, l’Assemblea nazionale può eleggere tra i propri componenti altri membri dell’ufficio di presidenza per assistere Speaker e Deputy Speaker. Art. 53 - Decisioni (1) Salvo diverse disposizioni della Costituzione: a) la maggioranza dei componenti dell’Assemblea nazionale deve essere presente per la votazione su un disegno di legge o su emendamenti ad un disegno di legge; b) almeno un terzo dei componenti dell’Assemblea deve essere presente per la votazione su qualunque altra questione sottoposta all’Assemblea; c) tutte le questioni portate davanti all’Assemblea sono decise a maggioranza dei voti espressi. (2) Colui che presiede una seduta dell’Assemblea nazionale non partecipa al voto, tuttavia: a) in caso di parità di voti ha l’obbligo di decidere con il proprio voto; b) nel caso in cui una questione debba essere deliberata a maggioranza dei due terzi dei membri dell’Assemblea, può prendere parte alla votazione.
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Art. 54 - Diritti di alcuni componenti del Cabinet nell’Assemblea nazionale Il Presidente e ciascun componente del governo che non sia componente dell’Assemblea nazionale possono assistere e prendere la parola nell’Assemblea, ma non hanno diritto di voto. Art. 55 - Poteri dell’Assemblea nazionale (1) Nell’esercizio dei propri poteri legislativi, l’Assemblea nazionale ha facoltà di: a) prendere in esame, approvare, emendare o respingere ogni proposta di legge presentata di fronte all’Assemblea; b) proporre o istruire proposte di legge, eccetto le leggi di bilancio. (2) L’Assemblea nazionale deve predisporre procedure: a) per assicurare che tutti gli organi esecutivi dello stato del livello di governo nazionale rispondano di fronte ad essa del proprio operato; b) vigilare: i) sull’esercizio dell’autorità esecutiva nazionale, ivi compresa l’attuazione delle leggi; ii) su ogni organo dello stato. Art. 56 - Prove o informazioni presentate all’Assemblea nazionale L’Assemblea nazionale o qualunque sua commissione può: a) convocare qualunque persona a comparire di fronte ad essa per testimoniare sotto giuramento o sotto promessa solenne o per fornire documentazione; b) richiedere a qualunque persona o istituzione di riferire ad essa; c) obbligare, sulla base della legge nazionale o del regolamento interno, qualunque persona o istituzione ad ottemperare alla convocazione o alle richieste ai sensi delle let. (a) o (b); d) ricevere petizioni, proteste e osservazioni da qualunque persona o istituzione che ne abbia interesse. Art. 57 - Disposizioni, procedimenti e procedure interne dell’Assemblea Nazionale (1) L’Assemblea nazionale può: a) stabilire e controllare le sue disposizioni, i suoi procedimenti e le sue procedure interne; b) adottare regolamenti riguardo al proprio funzionamento, nello specifico rispetto dei princìpi della democrazia rappresentativa e partecipata, della responsabilità, della trasparenza e del coinvolgimento dell’opinione pubblica. (2) Il regolamento interno dell’Assemblea Nazionale deve stabilire: a) l’istituzione, la composizione, i poteri, le funzioni, le procedure e la durata delle sue commissioni; b) la partecipazione ai lavori dell’Assemblea e delle sue commissioni dei partiti di minoranza rappresentati nell’Assemblea nel rispetto della democrazia; c) l’assistenza finanziaria ed amministrativa per tutti i partiti rappresentati nell’Assemblea in misura proporzionale alla propria rappresentatività, al fine di permettere ai partiti e ai loro leader di adempiere alle loro funzioni in Assemblea in maniera efficace; d) il riconoscimento del leader del principale partito dell’opposizione nell’Assemblea quale “Leader dell’opposizione”. Art. 58 - Privilegi (1) I componenti del Governo ed i componenti dell’Assemblea nazionale: a) godono della libertà di parola nell’Assemblea e nelle sue commissioni, secondo le norme stabilite nei regolamenti parlamentari; b) non possono essere perseguiti civilmente o penalmente, non possono essere fermati o arrestati o citati per danni in relazione: i) a qualsiasi cosa abbiano detto, presentato o sottoposto all’attenzione dell’Assemblea e delle sue commissioni; ii) a qualsiasi rivelazione sia stata fatta a proposito di qualunque cosa essi abbiano detto, presentato ovvero sottoposto all’attenzione dell’Assemblea e delle sue commissioni. (2) La legge nazionale può riconoscere altri privilegi e immunità all’Assemblea nazionale e ai componenti del governo e dell’Assemblea. (3) Gli stipendi, le indennità ed i benefici dei componenti dell’Assemblea nazionale sono a carico del
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Fondo nazionale delle entrate. Art. 59 - Accesso pubblico e partecipazione nell’Assemblea nazionale (1) L’Assemblea nazionale ha l’obbligo di: a) agevolare la partecipazione pubblica ai procedimenti legislativi e agli altri procedimenti dell’Assemblea e delle sue commissioni; b) agire in maniera trasparente, garantendo la pubblicità delle proprie sedute e quelle delle commissioni; tuttavia è lecito prendere misure per: i) regolare l’accesso del pubblico, compreso quello dei media, all’Assemblea e alle commissioni; ii) richiedere la perquisizione di qualunque persona e, ove giustificato, rifiutare l’ingresso o espellere qualunque persona. (2) L’Assemblea nazionale non può impedire l’accesso al pubblico, compresi i media, a sedute delle commissioni fatto salvo il caso in cui ciò sia ragionevole e giustificabile secondo i princìpi di una società aperta e democratica Consiglio Nazionale delle Province Art. 60 - Composizione del Consiglio Nazionale (1) Il Consiglio nazionale delle province è composto da una sola delegazione per ciascuna provincia, formata da dieci delegati. (2) I delegati sono: a) quattro delegati speciali: i) il presidente della provincia, o, nel caso in cui il presidente non sia disponibile, un componente dell’organo legislativo provinciale designato dal presidente o in via generale o per affrontare una questione specifica di fronte al Consiglio nazionale; ii) tre altri delegati speciali; b) sei delegati permanenti, nominati ai sensi dell’art. 61(2). (3) Il presidente della provincia, o, nel caso in cui il presidente non sia disponibile, un componente dell’organo legislativo provinciale designato dal presidente guida la delegazione. Art. 61 - Distribuzione dei delegati (1) I partiti rappresentati nell’organo legislativo provinciale hanno diritto ad esprimere delegati nella delegazione della provincia secondo la formula stabilita nella Parte B dell’Allegato 3[5]. (2) Entro il termine di 30 giorni dalla proclamazioni dei risultati delle elezioni degli organi legislativi provinciali, tali organi devono: a) stabilire, in conformità con la legge nazionale, quanti delegati di ogni partito devono essere delegati permanenti e quanti speciali; b) nominare i delegati permanenti sulla base delle designazioni dei partiti. (3) La legge nazionale di cui al comma (2)(a) deve tutelare la partecipazione dei partiti di minoranza alle delegazioni sia come delegati permanenti sia come delegati speciali, nel rispetto del principio democratico. (4) L’organo legislativo, in accordo con il presidente della provincia ed i partiti che hanno diritto ad esprimere delegati speciali, nomina di volta in volta i delegati speciali tra i suoi componenti. Art. 62 - Delegati permanenti (1) Le persone nominate delegati permanenti devono essere eleggibili come componenti dell’organo legislativo provinciale. (2) Se un componente di un organo legislativo provinciale è nominato delegato permanente, cessa di essere membro del legislativo. (3) La durata in carica dei delegati permanenti cessa immediatamente prima della prima sessione del successivo organo legislativo provinciale. (4) Una persona cessa di essere delegato permanente se: a) cessa di essere eleggibile come componente di un organo legislativo provinciale per qualunque altra ragione eccetto la nomina a delegato permanente; b) diventa componente del Governo; c) ha perso la fiducia dell’organo legislativo provinciale ed è revocata dal partito che l’ha nominata; d) cessa di essere componente del partito che l’ha nominata ed è revocata dal partito;
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e) non partecipa ai lavori del Consiglio nazionale delle province senza autorizzazione nei casi in cui il regolamento del Consiglio prescrive la perdita della carica di delegato permanente. (5) Le vacanze dei seggi dei delegati permanenti devono essere surrogate nei termini prescritti dalla legge nazionale. (6) Prima di assumere le funzioni in seno al Consiglio Nazionale delle province, i delegati permanenti devono giurare o promettere solennemente fedeltà alla Repubblica e obbedienza alla Costituzione come prescritto dall’Allegato 2. Art. 63 - Sedute del Consiglio Nazionale (1) Il Consiglio nazionale delle province può stabilire la data di convocazione e la durata delle sedute nonché i periodi in cui non è in sessione. (2) Il Presidente può convocare il Consiglio nazionale delle province in seduta straordinaria in ogni momento per affrontare questioni straordinarie. (3)Riunioni del Consiglio nazionale delle province al di fuori della sede del Parlamento sono permesse solo se lo richiedono l’interesse pubblico, ragioni di sicurezza e di opportunità, e quando lo prevede il regolamento interno del Consiglio. Art. 64 - Presidente e Vice-Presidente (1) Il Consiglio nazionale delle province elegge tra i suoi componenti un presidente ed due vicepresidenti. (2) Il presidente e uno dei vice-presidenti sono eletti tra i delegati permanenti per cinque anni, salvo nel caso in cui la durata del loro mandato di delegato permanente non cessi prima. (3) Il secondo vice- presidente è eletto per un periodo di un anno, e delegati di province diverse si devono succedere nella carica, affinché tutte le province siano rappresentate. (4) Il Presidente della Corte Costituzionale presiede la seduta in occasione dell’elezione del presidente del Consiglio nazionale delle province, o designa un altro giudice per farlo. Il presidente del Consiglio presiede la seduta in occasione dell’elezione del vice-presidente. (5) All’elezione del presidente e del vice-presidente si applicano le procedute stabilite nella parte A dell’Allegato 3. (6) Il Consiglio nazionale delle province può rimuovere presidente e vice-presidenti dalla loro carica. (7) Secondo le norme stabilite dal regolamento, il Consiglio nazionale delle province può eleggere tra i delegati componenti dell’ufficio di presidenza per assistere il presidente ed i vice-presidenti. Art. 65 - Decisioni (1) Salvo quando la Costituzione preveda altrimenti: a) ogni provincia gode di un voto, che è espresso a nome della provincia da chi guida la delegazione; b) tutte le questioni sottoposte al Consiglio nazionale delle province sono considerate approvate con il voto favorevole di almeno cinque province. (2) Una legge del Parlamento, approvata secondo le procedure di cui al comma (1) ovvero al comma (2) dell’art.76, stabilisce una procedura uniforme in base alla quale gli organi legislativi provinciali conferiscono alle loro delegazioni il potere di votare a loro nome.
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Dialoghi
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Carol Wright - Manager: Strategic Information, Strategic Development, 2.1 Information & GIS Department, - Strategy & Planning.
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Dopo la fine dell’Apartheid le elezioni democratiche in Sudafrica e a Cape Town hanno dato il potere ad un gruppo governativo che ha promosso e incentivato una politica di integrazione culturale ed etnica, una politica apparentemente legata ad un preciso progetto di pianificazione urbana. E’ effettivamente una strategia fondante il processo di pianificazione o è la normale conseguenza del superamento dell’apartheid?
Non è stata stilata una politica specifica, indirizzata direttamente al problema dell’integrazione. Tutte le iniziative politiche sudafricane siano di pianificazione, destinate al commercio o a qualsiasi altra competenza governativa, fanno riferimento alla Nuova Costituzione e a molti atti governativi che hanno come base comune l’uguaglianza etnica e di conseguenza l’integrazione razziale. Anche la pianificazione urbana quindi è fortemente legata a questi principi guida, ad esempio il fatto stesso di pensare all’uguaglianza tra i popoli si traduce in un tentativo di portare più popolazione multietnica all’interno della città. Tali tentativi non hanno sempre successo perché si devono scontrare con diverse problematiche contingenti, come per es. il costo della terra, la povertà della popolazione, le leggi del mercato … Senza contare che stiamo uscendo da un periodo molto complesso a livello amministrativo e politico, soprattutto a Cape Town per quanto riguarda l’amministrazione e il dialogo con i consigli di distretto. Sempre nell’obiettivo di far crescere la città sia dal punto di vista qualitativo, che economico, Cape Town stà sostenendo grossi investimenti per la riqualificazione principalmente del centro cittadino ma anche di aree periferiche di pregio con l’obiettivo di attrarre investimenti produttivi e turistici che possano sfruttare le notevoli risorse del territorio. Anche questi provvedimenti hanno come ricaduta immediata una richiesta di manodopera e quindi un’emancipazione degli strati più poveri della popolazione. Non c’è quindi la necessità di pianificare l’integrazione ma è la pianificazione dello sviluppo stesso che consentirà al Sudafrica di superare oltre alle differenze razziali, il ben più gravoso problema della disparità economica. -
Gli investimenti e i programmi di sviluppo sono di iniziativa provinciale o vengono coordinati e sovvenzionati dal governo nazionale?
In Sudafrica il Governo si dispiega in tre livelli amministrativi: nazionale, provinciale e locale. Queste tre entità collaborano in modo sinergico alla formazione di metropoli moderne e di respiro internazionale. Queste sinergie funzionano molto bene a livello di pianificazione teorica, ma il continuo interscambio e la partecipazione popolare ad ogni livello di programmazione rende difficile la realizzazione dei progetti rendendo tutto molto più lento e spesso costringendo i promotori ad accogliere istanze aspecifiche tali da modificare l’impianto del progetto stesso. Il governo deve quindi impegnarsi a trovare sistemi attuativi più semplici che siano in grado di rendere attuabile la realizzazione dei progetti. -
Il problema si pone quindi a livello locale, in quali termini?
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Visitando la città l’ho trovata molto “europea” dal punto di vista urbanistico. L’intera città è ricca di aree pedonali, parchi cittadini, piazze. Contemporaneamente, si notano mercati più o meno spontanei anche nelle zone più pregiate della città. E’ una condizione voluta dall’amministrazione o in qualche modo subita a causa dell’incapacità di governare il fenomeno?
Cape Town è composta da 23 consigli di quartiere, con una loro struttura politica autonoma e con deleghe amministrative di varia natura è quindi molto difficile dialogare con strutture spesso in contrasto tra loro e trovare le soluzioni che possano soddisfare sia una corretta pianificazione economica e urbana sia accogliere le istanze spesso contraddittorie provenienti dalle strutture locali. E qui ribadisco che il governo, anche a livello nazionale, dovrà affrontare questo problema non tanto per limitare il suffragio universale e la partecipazione popolare, ma definire degli ambiti dove la questione tecnica non venga inficiata da discussioni politiche.
C’è una vera e propria “Informal Trading Policy”: l’Amministrazione della città riconosce l’importanza degli ”Informal Traders” e cerca di favorire il loro riconoscimento e la loro ascesa sociale, cercando di portarli al di là del limite della povertà giorno per giorno. Inizia anche ad essere riconosciuto il fatto che, se non si “accettano” i loro “negozi”, possiamo ottenere solo risvolti negativi. La gente sta imparando ora la loro effettiva importanza, nonostante la competizione che ne deriva con gli altri commercianti (quelli ufficiali), perché diventa una competizione non solo necessaria, visto l’elevato numero di “informal traders”, ma anche costruttiva.
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Per quanto questi mercati siano molto colorati e pittoreschi ed effettivamente siano luogo di relazioni sociali, penso che la città debba in qualche modo gestire ed amministrare questa condizione. In che state affrontando la questione?
Abbiamo diverse politiche che agiscono per aiutare la gente a spostarsi dai bordi della strada all’interno di adeguate strutture, chiamate anche “Business Hives” (letteralmente alveari) realizzando strutture progettate per queste specifiche esigenze in aree anche molto appetibili dal punto di vista commerciale (la nuova stazione, piazza della borsa ecc). La difficoltà consiste nel fatto che molti dei “commercianti” preferiscono rimanerne al di fuori, perché una volta regolarizzati, la City richiederebbe loro di versare una piccola somma di denaro per essere registrati ed espletare tutte le formalità necessarie alla loro “ufficializzazione”. (Sono stati fatti diversi “studi” in questi anni riguardo a tale problema; essi sono interessanti in una prospettiva storica e per le sfide che il governo si propone … perché è possibile notare come ogni Amministrazione abbia i propri meccanismi e caratteristiche). Questo tipo di progetto rappresenta per noi una vera politica di integrazione, che si dimostra “conscia” della necessità di accettare ma regolamentare le necessità delle diverse comunità etniche, ad esempio quello di creare spazi pubblici di qualità, parchi urbani, aree pedonali . da noi non sono visti come progetti per diminuire la densità urbanistica o creare polmoni verdi ma è molto importante creare questi spazi proprio per permettere di essere utilizzati ed occupati secondo le molteplici usanze etniche e religiose. -
La riqualificazione della Green Point Area di Cape Town quindi rientra in questa strategia.
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Dal punto di vista sociale quali sono gli ambiti di cui è direttamente responsabile la City di Cape Town?
Esattamente. In 20 anni la città ha cominciato a riconoscere il valore degli spazi pubblici, soprattutto d’estate (per es. la “Sea Point Promenade” è uno spazio importante di condivisione per chiunque). E anche l’importanza di utilizzare le piazze per gli eventi pubblici e per varie attività di socializzazione.
L’amministrazione locale della città si occupa direttamente delle cliniche, dei servizi sportivi, degli spazi pubblici all’aperto, dei trasporti. Non della scuola però. Di quella si occupa la provincia. La scuola è pubblica ed è attraversata da diverse problematiche. Ci sono molte diversità fra scuola e scuola … alcune sono molto valide, altre meno. C’è poi una sorta di circolo vizioso in quanto molti manifestano insoddisfazione nei confronti delle carenze del corpo docente e gli insegnanti stessi, d’altra parte, spesso sottopagati, organizzano numerosi scioperi. A livello di Servizi Sociali sono state messe in atto alcune iniziative per migliorare la situazione attuale, come per es. il “Social Development Department” (Dipartimento per lo Sviluppo Sociale) che si focalizza sulla prima infanzia con interventi di vario tipo; fra queste anche la formazione degli insegnanti. -
Penso che per raggiungere la completa integrazione sia anche molto importante l’istruzione a livello universitario. I ragazzi delle township possono accedere ai livelli più ampi di istruzione?
Non direttamente. A Cape Town abbiamo 4 strutture universitarie, tutte pubbliche, ma è necessario pagare comunque. Esistono dei sussidi da parte di diversi enti: Compagnie private, l’Università stessa e la City, che elargiscono Borse di Studio a coloro che presentano una specifica domanda. Negli ultimi anni c’è stato un miglioramento nell’integrazione a vari livelli, ma non in ogni facoltà. Esiste anche il CHEC (Cape Higher Education Consorting) che coinvolge tutte e 4 le Università ed esiste un “Cooperation Agreement” (=Accordo di Cooperazione) nell’ambito della ricerca. E queste forme associative si rafforzeranno sicuramente nel tempo. -
Per uno studente delle township dopo la laurea è facile trovare un impiego?
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Come vede la situazione sudafricana in prospettiva?
Non proprio … i Sudafricani paragonati al resto della popolazione africana possiedono senza dubbio un buono standard e sono dei lavoratori instancabili, però il problema sussiste per il fatto che molti vanno a lavorare all’estero (medici e anche altre figure professionali di standard elevato escono dalla loro terra d’origine). In Sudafrica inoltre c’è carenza di figure professionali come artigiani e tecnici. La City ha molte idee in merito a questo problema , ma la difficoltà consiste nell’applicarle.
C’è una parte di popolazione che è molto povera (senza tetto senza risorse). Il problema è soprattutto
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in una questione di “scala” … nel senso che per i grandi spazi che abbiamo, necessitiamo di grandi interventi. Alcuni vengono fatti anche molto bene, ma non è possibile vedere i cambiamenti a breve termine. Abbiamo 3.700.000 abitanti a Cape Town.Un esempio di ottimo intervento è “West Lake”: un piccolo sobborgo. Era una sorta di “open land”, una terra libera fra le montagne e lungo la strada verso il mare. Esistevano “informal settlements” (= insediamenti informali), sorti spontaneamente … Grazie ad un ampio progetto di lavoro integrato l’area area è diventata un parco industriale e commerciale “misto”, occupato da gente benestante e tutti gli insediamenti “informali” sono stati sostituiti da case vere e proprie. È arrivata anche l’Ambasciata Americana e possiamo dire di aver “vinto” una vera e propria sfida sociale. Ci sono anche degli studi Accademici su “West Lake”. Esistono anche altri esempi. Uno di questi è “Cock Bay”, una vecchia zona sulla costa. C’erano villaggi di pescatori e lentamente si sta trasformando in un interessante esempio di ottima integrazione razziale.Un altro esempio è costituito dalle cosiddette “Grey Areas” ( Aree grigie), come per esempio “Woodstock”. Le difficili condizioni sociali rappresentano, più che degli ostacoli, delle sfide continue per l’Amministrazione locale che ha come obiettivo comune e costante quello di promuovere l’integrazione. Il problema della scala dell’intervento è emblematico nella township di Khayelitsha dove l’estensione, il numero di abitanti e la quantità di problematiche sono talmente grandi da intimorire la pianificazione di queste aree. Quindi i tempi per una normalizzazione di tutta Cape Town e del Sudafrica, non sono assolutamente quantificabili. -
“The Housing Program” nelle Township parla di piccole case a bassa densità e distribuite su territori molto vasti. Questi interventi non sono in contraddizione con il vostro programma di città metropolitana ad alta densità abitativa?
E’ una sfida che investe le sfere governative e profondi credi culturali al tempo stesso. Il governo stanzia ogni anno denaro a sufficienza per costruire 10.000 piccole abitazioni (le persone in lista sono almeno 400.000…). Negli ultimi periodi anche i politici ne hanno preso atto e quando fanno i loro discorsi dichiarano di non avere la possibilità di dare una casa a tutti. Iniziano a dire che è necessario trovare dei meccanismi per aiutare le persone, magari coinvolgendo Compagnie private. Una questione importante da sollevare è il fatto di avere l’eredità dell’”Apartheid Planning” (= pianificazione dell’Apartheid) … il risultato è un mercato della proprietà completamente “distorto” a Cape Town. Lentamente la situazione sta cambiando, nel senso che le case stanno iniziando a essere vendute a proprietari nuovi. A Cape Town per esempio ci sono delle aree molto belle, abitate da milionari e, al tempo stesso, ci sono molte difficoltà con la terra da spartire … e con l’edificare case dove la gente non vuole investire molto, perchè sono zone che non sono percepite come un buon investimento futuro. Adesso sta cambiando la situazione lentamente. -
Come avviene l’attribuzione delle nuove case?
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In conclusione questa sembra essere una buona politica per Cape Town. Non ho osservato Johannesburg. Ha adottato la stessa politica o esistono altre questioni, altri problemi e quindi altre soluzioni?
C’è una graduatoria in teoria, ma è molto difficile da rispettare, a causa delle circostanze economiche in essere e anche per il fatto che le case non sono numerose a sufficienza, di conseguenza si verifica il cosiddetto “Gap Housing” non si sa quando sarà colmato e verosimilmente non tutti riusciranno ad avere una casa Esiste molta gente che ha un lavoro, ma che non può permettersi una casa, devono aspettare… Questo è ciò che intendo quando mi riferisco al fatto che il “mercato” è distorto…Gap housing di cui parla sopra.. Introduce quindi Khayelitsha, situazione allo stato attuale impossibile da pianificare
Le sfide sono le stesse per entrambe le città, solo che Johannesburg ha alcuni vantaggi: i terreni più pianeggianti, mentre Cape Town ha montagna e mare.
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Dialoghi Trevor Wrigt – Head: Information Systems & Planning Sport, Recreation & Amenities.
2 2.2
Il dipartimento, si colloca all’interno della più complessa struttura di pianificazione integrata territoriale sociale ed economica della città metropolitana di Capetown; si occupa di realizzare e gestire attrezzature sociali con il particolare obiettivo di fornire un supporto concreto alle famiglie in situazioni di poverta’. Dopo la fine del regime dell’apartheid il nuovo governo democratico ha dovuto inevitabilmente farsi carico delle situazioni di disagio, povertà ed estremo degrado che caratterizzano le strutture sociali di quei luoghi La bassa scolarizzazione, la mancanza di occupazione e di reddito, la disgregazione familiare conseguente ai diffusi casi di tossicodipendenza e alcolismo, richiedono interventi mirati ad innalzare non solo la qualità della vita, ma anche offrire alternative a stili di vita degradanti. L’obiettivo è quindi l’arricchimento infrastrutturale di queste zone, con strutture sportive aggregative ed assistenziali che allontanino la popolazione ed in particolare i giovani dalle attività devianti e criminali che spesso diventano percorso obbligato. Tramite queste strutture si cerca di offrire una possibilità concreta di riabilitazione psico-sociale di coloro che hanno già purtroppo subito le conseguenze di violenze, disagi familiari, microcriminalità e povertà, si cerca di, come già detto, proporre una valida alternativa alle frequentazioni devianti ed allo stesso tempo soprattutto nei centri sportivi, si attua un’azione preventiva di formazione igienica e salute fisica nel tentativo di ridurre le frequenti pandemie di tubercolosi e colera. Queste strutture vengono realizzate dall’amministrazione metropolitana, e tramite un supervisore amministrativo, gestite dalle stesse persone che vi approdano come utenza dopo un adeguata riabilitazione e formazione, adeguatamente formate. Questo è il modo ottimale perché l’esperienza si tramuti non solo in possibilità occupazionale, ma divenga anche efficace promozione per coinvolgere altri soggetti disagiati. Il vissuto di coloro che sono divenuti gestori della struttura, garantisce una tipologia comunicativa e persuasiva assolutamente vincente per la promozione delle attività. Il dipartimento coordina inoltre le numerose ONG che operano nelle township. La pianificazione degli interventi utilizza come supporto fondamentale il sistema di gestione informatizzato del territorio messo appunto dalle amministrazioni metropolitane, strumento che grazie alla condivisione di dati e risorse di tutti i dipartimenti permetto di conoscere precisamente le caratteristiche sociali, culturali, economiche, demografiche del territorio, nonché le carat6teristiche di mobilità degli utenti delle strutture. Grazie a questo strumento è stato possibile pianificare in modo capillare i siti di intervento e le tipologie specifiche delle strutture necessarie ad ogni singola microzona. Il dipartimento ha quindi prodotto un piano di implementazione delle infrastrutture di sua competenza indubbiamente virtuoso. Questa pianificazione si confronta inevitabilmente con la mancanza di risorse economiche. La città di Cape Town, ma di fatto tutto il Sudafrica, si è posta come priorità, di investire la maggior parte delle risorse disponibili in infrastrutture indispensabili all’insediamento di realtà produttive nazionali e sovranazionali con l’obiettivo di una crescita generale del paese. Il tentativo di attivazione di questo volano economico, se da un lato appare un’efficace strategia proiettata nel lungo periodo, nel breve periodo porta inevitabilmente all’impossibilità di affrontare la realtà di milioni di sudafricani che vivono in povertà economica e nel disagio sociale. Il dipartimento pur consapevole di attuare in piccola parte quanto pianificato, richiede all’amministrazione di Cape Town di finanziare parti del progetto complessivo. In modo frustrante però i progetti predisposti e già da noi sottodimensionati, vengono finanziati in minima parte, rendendo l’attuazione del piano sempre più lontana e quasi utopistica. Con il rischio di disperdere anche questi piccoli investimenti in strutture che non riescono ad avere adeguato impatto nel territorio, vanificando le auspicate ricadute sociali. La condizione indispensabile per attuare gli strumenti sociali in modo compiuto sono quindi strettamente legati alla proiezione del Sudafrica nei rapporti internazionali e quindi alla crescita economica dell’intero paese. Obiettivo che deve essere raggiunto nel più breve tempo possibile che l’attuale degenerazione sociale si radichi in modo definitivo. Emblematico è il caso della township di khayelitsha. Se in altri insediamenti il governo razziale provvedeva in modo minimo a garantire la sopravvivenza degli abitanti per non deteriorare l’efficienza della forza lavoro, keilicia è sempre rimasta un deposito di popolazione africana immigrata dove le persone erano abbandonate al loro destino di manovalanza non istruita, facilmente sostituibile, socialmente collocabile vicino alla figura dello schiavo. A Khayelitsha manca ogni infrastruttura che garantisca la minima sussistenza, anche se siamo riusciti da poco a dotare i territori di servizi igenici comuni, acqua potabile, energia elettrica. L’enormità della massa di popolazione residente e di conseguenza l’entità dei fondi che sarebbero necessari per realizzare interventi anche minimi, rende flebile ogni programmazione di cambiamento se non addirittura impossibile determinare e garantire un futuro per gli attuali residenti, ma anche per le generazioni future. Di fronte all’enormità del problema, resa ancor più evidente dai sofisticati strumenti di analisi che ci consentono di studiarla e comprenderla, a volte si ha la percezione che termini come programmazione, pianificazione, medio o lungo periodo, si concretizzeranno mai in interventi compiuti e risolutori della drammatica situazione attuale.
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Dialoghi Yaghya Karrien – taxista “coloured” abitante delle Tawn Ship
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I diversi popoli che convivono nella città non sono più in conflitto fra loro, hanno vinto assieme la battaglia per la libertà, i bianchi in fin dei conti hanno perso pochi dei loro privilegi e grazie all’apertura verso il mondo hanno spesso potuto aumentare i profitti. La città è multietnica ed in pochi chilometri srotola centri politici, economici, edifici recuperati da ogni etnia con sovvenzioni governative per attività turistiche, di ristorazione ecc…. I mercati stabili o improvvisati sono ovunque, sono tollerati perché spesso unica risorsa per gran parte della popolazione. La città in cambio pretende solo che gli spazi occupati seppur abusivamente siano mantenuti sempre ordinati e puliti e che non ci siano problemi di ordine pubblico. Così in tutte le aree pregiate, storiche, ecc, troviamo una stretta convivenza fra le etnie che grazie agli scambi commerciali leciti o abusivi e all’iniziale ineluttabilità, divenuta ora abitudine di condividere gli stessi spazi, hanno piano piano amalgamato disparità economiche, raziali, ecc, superando di fatto l’eredità razzista lasciata dal regime dell’apartheid. La popolazione lavora principalmente nelle attività portuali, nella estrazione e lavorazione delle pietre preziose e in attività legate al turismo, tuttavia permangono tuttora differenze sulle occupazioni caratteristiche dei bianchi e gli impieghi più comuni della popolazione di colore. Le attività commerciali più importanti sono di proprietà dei bianchi, così come le posizioni dirigenziali sia in ambito privato che in ambito pubblico. Le tasse inoltre sono molto pesanti da sostenere per i redditi bassi, perché molto alte a causa della necessità di finanziare gli investimenti governativi. I coloured grazie a compartecipazioni governative, cominciano ad attivare una propria economia indipendente attualmente ancora a basso reddito, e spesso a servizio dell’imprenditoria della popolazione bianca. I nuclei familiari solitamente numerosi (da cinque a undici persone) è uno dei principali problemi che le popolazioni non bianche si trovano ad affrontare. Gli alloggi a loro disposizione siano essi di origine governativa o di proprietà sono spesso inadeguati e sottodimensionati e collocati spesso in quartieri fatiscenti in mano alla delinquenza. La popolazione non bianca che risiede in città, trova alloggio nelle township, campi di segregazione realizzati nel periodo dell’apartheid e costituiti per lo più da baracche autocostruite, ed in alcuni casi in piccoli alloggi popolari costituiti da una sola stanza ed un bagno. Abitazioni che spesso ospitano una media di sette persone. Le abitazioni più dignitose collocate sia in città che in periferia sono molto costose, è possibile però grazie ad una politica di incentivi economici accedere ad una forma di credito garantito dalla municipalità. Per accedere a tale credito è sufficiente dichiarare i redditi ed il numero delle persone che costituiscono il nucleo familiare ed ottenere una casa e la rateizzazione della spesa adeguata ai redditi dichiarati. Questa sorta di prestito d’onore è vincolata alla verifica della totale estraneità dell’intero gruppo familiare da attività criminali, prostituzione, abuso di alcool o sostanze stupefacenti. Di fatto diventa quindi molto difficile per chi proviene da realtà degradate risultare totalmente estraneo ad attività frutto di criminalità e degrado. Le abitazioni e le unità residenziali in città sono molto costose, ma ci sono coloured che riescono a permettersele. La realtà dei territori e caratterizzata dall’estrema indigenza della popolazione e sono numerosissime le situazioni di disagio legate alla tossicodipendenza, all’alcool e alle malattie; aids, tubercolosi e sporadiche pandemie di colera. Spesso unico passatempo dei giovani della baraccopoli è fumare una miscela chimica (TTK), molto economica e artigianale che spesso ne provoca la morte. La manovalanza asiatica, e gli immigrati provenienti dal centr’Africa è occupata in servizi a bassissimo reddito, spesso vive di espedienti e abita in accampamenti fatiscenti. Ai bordi delle strade è piano di venditori di giornali e libri usati. Uno degli espedienti più redditizi e legali dato che in Sudafrica non esistono giornalai e quindi i quotidiani vengono distribuiti in questo modo. Una delle attività socialmente utile delineata dal governo sono gli ausiliari del traffico, ogni 50 metri si vede una persona che controlla i parcheggi, oltre ad essere una forma di sussistenza seppur minima viene soprattutto utilizzata come reinserimento sociale di donne con problemi di tossicodipendenza, alcolismo, prostituzione ecc. Esiste una piccola elite di non bianchi impiegati in grosse compagnie di taxi a servizio di turisti e persone facoltose, o in servizi di vigilanza privata, onnipresenti in tutta la città. È una vera e propria elite in quanto oltre ad avere un buon reddito devono garantire di essere incensurati e del tutto estranei al consumo di alcol o droghe. Questa posizione di particolare referenziazione gli permette di accedere al credito bancario per l’acquisto di abitazioni o per aprire attività commerciali. La richiesta di manodopera anche specializzata è in costante aumento, grazie alla politica sudafricana che ha effettuato grossi investimenti in infrastruttura logistica in modo da attrarre attività produttive
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multinazionali. Il paese è quindi in crescita, anche se parallelamente la fragilità della giovane democrazia enfatizza i contrasti politici la corruzione e le diseguaglianze sociali. Un altro investimento fondamentale per il futuro del Sudafrica, è la visibilità mondiale anche turistica di questa nazione, turismo che si è definitivamente affermato e sta diventando una delle risorse fondamentali, grazie agli eventi mondiali ospitati dalla nazione. Le strutture turistiche sono sempre più numerose ed evolute e attraggono turisti soprattutto europei ma con un notevole incremento di presenze nord americane e asiatiche. L’obiettivo del Sudafrica è quello di presentare metropoli europee, oceani tropicali e “Africa nera”. La città è moderna, pulita, piena di spazi verdi e di aree pedonali. La nuova stazione, i nuovi alberghi, lo stadio e tutte le nuove infrastrutture sono uno sforzo economico che la popolazione accetta perché si sente parte del mondo, perché dopo la segregazione ora si sentono in uno stato di euforia globale. Sono sotto i riflettori, i media parlano delle loro città, delle loro bellezze naturalistiche ed architettoniche, si sentono come i rappresentanti dell’africa intera, della rinascita del continente. “Se siamo usciti dalla segregazione, dalla povertà, dalle epidemie e in pochi anni abbiamo ospitato eventi mondiali lo dobbiamo al fatto che siamo africani, abbiamo imparato dai bianchi a guardare il mondo, ad imparare dal mondo, ma siamo africani, forti e possiamo sopportare qualsiasi cosa se è bene per noi e se siamo noi a volerlo”. Le township sono una realtà molto pesante, nati come luogo di segregazione costituiscono tuttora, luogo di residenza di centinaia di migliaia di sudafricani. Il governo è intervenuto fornendo infrastrutture minime, fognature, acqua potabile ed elettricità, ma gli alloggi sono baracche umide e la Tbc è una delle principali cause di morte. Le township, proprio perché nate da politiche razziali, sono suddivise per razze, ci sono quelle per i coloured, quelle per i neri ed alcune più piccole degli asiatici. Nonostante i progressi economici e culturali rimangono comunque l’unico luogo di residenza di molti sudafricani, si mescolano quindi studenti universitari, impiegati, lavoratori, a stretto contatto con bande criminali, prostituzione ed ogni tipo di espediente per sopravvivere. Ovunque regna il concetto di fratellanza e “ubuntu”, espressione in lingua bantu che indica “benevolenza verso il prossimo” ed è una regola di vita basata sulla compassione e il rispetto dell’altro. questo spiega il perché non ci siano scontri o delinquenza all’interno degli insediamenti e i regolamenti fra bande non coinvolgono il resto della popolazione. I visitatori sono accolti con piacere e se accompagnati da un membro della comunità facilmente viene invitato nelle case degli abitanti a pranzare o a parlare per un pranzo o per due chiacchere. Un grosso problema è il fatto che i giovani piuttosto che andare a scuola preferiscono spacciare o vendere qualsiasi cosa sulla strada diventando vittime della criminalità e consumatori precoci di alcol e droghe spesso mortali. Il governo sta investendo molto, prima ancora di iniziare con il risanamento delle abitazioni ha costruito piscine, centri sportivi, centri sociali e di prima assistenza, oltre ad ospedali e a centri per il recupero di giovani vittime del degrado. In tutti gli insediamenti ci sono scuole di ogni livello, e gli studenti più meritevoli possono ottenere borse di studio per accedere all’università. In questo modo si cerca di allontanare i giovani dalla delinquenza tramite la scuola e lo sport. Le generazioni successive all’apartheid hanno capito che l’unica possibilità di emanciparsi rispetto allo stato attuale è quello di competere con i bianchi grazie all’istruzione alla cultura ed alla preparazione professionale. Sta quindi formandosi, una nuova generazione di sudafricani culturalmente preparati per gestire la crescita economica del paese. Come dice Mandela, l’unico modo per garantire un futuro ai nostri figli, è farli crescere aperti verso il mondo per imparare dal mondo. Tuttora rimane una disparità di trattamento tra bianchi e non bianchi, per un laureato, un tecnico e uno specializzato non bianco, poter accedere a posizioni dirigenziali vuol dire riuscire a dimostrare di poter fornire competenze di altissimo livello. Lo stato inoltre impone a livello di costituzione, la presenza di una quota di lavoratori non bianchi in ogni attività imprenditoriale sia a livello locale che nei confronti delle multinazionali che piano piano si stanno stanziando in Sudafrica. Esiste una forte consapevolezza da parte della popolazione non bianca di dover necessariamente governare il proprio futuro, di esserne gli artefici ma anche i responsabili, per questo la popolazione condivide in modo esteso le politiche del governo e in questa consapevolezza anche nelle township tutto ciò che è pubblico viene rispettato. Gli edifici e le strutture sono pulite, intatte, non si vedono atti vandalici: <<Noi le rspettiamo, le ha costruite il nostro governo e il nostro è il governo della vittoria sulla segregazione e della rinascita della nazione sudafricana>>
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G. Bam, Departmental Business Plan 2010/11
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Evaluation of Developable land within Urban Edge, Metropolitan Spatial Planning, Spatial Planning and Urban Design , City of Cape Town 2010
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P. Harrison, A. Todes & V. Watson, Planning and transformation, Learning from the postapartheid experience
Pubblicazioni interne del Governo di Cape Town Documentazione fornita da Carol Wright – Manager: Strategic Information – Strategic Development – Information & GIS Department – Strategy & Planning Documentazione fornita da City of Cape Town Five – year Plan for Cape Town Integrated Development Plan The city works for you Analisi Statistica fornita dall’Università di Cape Town UCT Periodici/ riviste pubblicato all’interno dell sistema amministrativo di Cape Town:
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City of Cape Town Five-year Plan for Cape Town Integrated Development Plan (IDP) 20072012 (2010 – 2011 Review) Annexure A IDP & BUDGET TIME-SCHEDULE FOR 2009/10 Annexure B City Space Planning Cape Town CAPE TOWN SPATIAL DEVELOPMENT FRAMEWORK TECHNICAL REPORT (draft for comment) august 2009 Annexure C City of Cape Town Enviromental AGENDA 2009 – 2014 IMEP (Integrated Metropolitan Enviromental Policy City of Cape Town) Annexure D City of Cape Town State of the Environment Report 2007/8 pubblicato City of Cape Town, Environmental Resource Management Department First edition 2008 Annexure E Informal Settlement Master plan – Management Summary Annexure F Economic and Human Development (EHD) STRATEGY EXECUTIVE SUMMARYRevised: May 2006 Director: Zolile Siswana Annexure F Economic and Human Development (EHD) STRATEGY PART 1: CONTEXT AND FRAMEWORK Revised: May 2006 Director Zolie Siswana Annexure F Economic and Human Development (EHD) STRATEGY PART 2: IMPLEMENTATION PLAN Revised: May 2006
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Director Zolie Siswana Annexure G Statuory Plan – organizational Development & Transformation Plan PLAN updated November 2009 Annexure H Integrated Transport Plan for the City of Cape Town 2006 To 2011 Revised on 02 november 2009 Annexure I Solid Waste Management Department Plan 2010/11 Solid Waste Management Sector Plan (Incorporating Integrated Waste Management Plan) 2010 Review Annexure J Water and Sanitation Department Water Services Development Plan Exen Summ 2010/11 Annexure J Water Services Development Plan for City of Cape Town 2010/11 – 2013/14 (Status : Final Report) 11 may 2010 Annexure K1a Air Qual Rep 2005 part. 1 Final Report Air Quality Management plan for the city of Cape Town Report AQM 20050823 – 001 23 august 2005 compiled by: City Health Department Air Pollution Control Section Annexure K1b Air Qual Rep 2005 part. 2a FOREWORD BY CLLR NOMSA MLANJENI: MAYORAL COMMITTEE MEMBER FOR HEALTH, AMENITIES AND SPORT Annexure K1c Air Qual Rep 2005 part. 3 Annexure K1d Air Qual Rep 2005 part. 4 OBJECTIVE 1 to formulate an Air Quality Management System for the city of Cape Town Annexure K1e Air Qual Rep 2005 part. 5 OBJECTIVE 4 to improve Air Quality in Informal Areas Annexure K2 City Health HIV AIDS TB Plan 0910 updates March HIV, Aids and TB PLAN 2009/2010 Annexure K3 District Health Plan 2007/08 v4 Final 151206 Annexure L Municipal Disaster Risk Management Plan may 2008 (final) Annexure M Summary of Engagements Annexure M2 Public Engagement Policy City of Cape Town Edited Final Annexure N1 CCT Annual Report 2008/9 web Annexure N2 Annual Report of City of Cape Town Executive Summary Annexure P Integrated Risk Management (IRM) Policy 31 march 2010 Annexure Q Draft Annual Police Plan Final Draft Annexure R Five year Integrated Housing Plan 2009/2010 – 2013/14 Annexure S CoCT Tas Turn – around Strategy april 2010 M1 Agenda Integrated Development plan’s engagement with neighbouring municipalities 21 august 2009. Purpose: Political/ Ofiicial engagement to identifity areas collaboration and the monitoring thereof. M1 IDP (Integrated Development Plan) Engagement with neighbouring municipalities and provincial government 21 august 2009 M1 Summary CoCT IDP Engagement with Neighbouring Municipalit
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Appendice cartografica Cartografia di Cape Town
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Appendice cartografica Cartografia di Khayelitsha
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