Monte Bianco 93

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MONTE BIANCO 93 Avevo iniziato a sognare ad occhi aperti dal mese di febbraio del 1993 e, studiando materiale riguardante il Trentino e la Valle d’Aosta, cercavo di organizzare la gita sociale della mia Sezione CAI di Ortona. Avevo già messo insieme parecchie escursioni e salite oltre i 3000 metri ma, passando in rassegna le varie cartine sentieristiche mi si presentavano davanti cime dai nomi accattivanti: Adamello, Cevedale, Ortles, Monviso, Rosa, Cervino, Bianco; per ognuna di esse sognavo la via ideale per poterla avvicinare, per poterla scalare, per poterla vivere. Mettevo insieme tutti i dati in mio possesso, i tempi di percorrenza, i periodi migliori per fare quelle ascensioni, il materiale occorrente, le persone che volevano e potevano farle. La mia immaginazione viaggiava ogni qualvolta aprivo una cartina sul tavolo e mi ritrovavo su sentieri che non avevo ancora fatto ma, che nella mia mente conoscevo benissimo. Forse questo si chiama mal di Montagna? Non lo sapevo ancora ma sentivo che avevo bisogno, come adesso, di quei momenti per poter sognare ad occhi aperti delle mie Montagne. Insieme a questi pensieri convivevo per giorni e giorni cercando di trasmettere tutta questa mia euforia anche a quegli Amici che tante volte erano stati compagni di salita e che, ero certo, volevano condividere lo stesso entusiasmo. L’ho buttata lì: “ragazzi che ne dite di scalare il Monte Bianco?” Non l’avessi mai detto: eravamo già in vetta. Il mio sogno iniziava a realizzarsi. Enzino, Franco, Nino ed io sembravamo dei bambini a cui avevano dato un nuovo giocattolo tutto da scoprire. Eravamo coscienti che l’impresa sarebbe stata ardua soprattutto per quanto riguardava l’altitudine, poiché nessuno di noi era mai salito così in alto. Come avrebbe reagito il nostro organismo alla fatica di un’ascensione oltre i 4000 metri? La vetta più alta che avevamo raggiunto fino ad allora era Cima Vioz, nel Parco Nazionale dello Stelvio, a 3635 metri di quota.


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