Cenni sulla fiscalità delle opere d’arte Premessa Viaggio al centro della terra (evitando le buche più dure)
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Parlare del rapporto tra arte e fisco è l’inizio di un viaggio come quello di Otto Lidenbtock al centro della terra. Non una passeggiata: un tragitto in cui sai da dove parti ma non sai dove arrivi. Se arrivi. Come quello di Teseo: riuscire a gettare lo sguardo all’interno di un labirinto dionisiaco di norme, percorsi, prassi e dubbi cercando di uscirne senza venirne risucchiati. Il labirinto è un’opera di Dioniso, archetipo dello scultore, artigiano, artista che costruì una trappola mortale per chi ne era suo malgrado ospite ma anche per chi si trovava a entrarci. Un enigma di difficile soluzione, un conflitto tra uomo e dio che, perdonate il paragone, non ha effetti diversi da quello tra contribuente e legislatore. La normativa fiscale non si occupa specificamente delle opere d’arte in quanto le stesse, di fatto, sono assimilate a qualsiasi altro bene posseduto da un soggetto salvo poi accorgersi che le cose non funzionano esattamente così.
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Tre uomini in barca (per non parlar dell’arte)
Gli attori: • artista • intermediario • collezionista * La trama: • Preludio: l’acquisto • direttamente dall’artista • tramite un intermediario • Svolgimento: il possesso e la conservazione da parte del collezionista • Scena finale: la cessione a terzi
Leo Castelli, Ivan Karp, Andy Warhol Foto: Sam Falk/The New York Times/Redux
Ai fini della presente trattazione, per meglio comprendere gli aspetti fiscali e tributari del possesso o della compravendita di opere d’arte, si è ritenuto di identificare e approfondire i tre momenti cruciali del viaggio di un’opera: • l’acquisto dell’opera d’arte • il possesso e la conservazione dell’opera d’arte da parte del collezionista • la cessione dell’opera d’arte a terzi L’acquisto dell’opera d’arte Il giro del mondo in aliquote
!! IVA! Import/Export! !! vendite!in!galleria! cessioni!dall'ar8sta! !! Australia) 10%) 10%) -) Austria) 20%) 10%) 10%) Belgio) 21%) 6%) 6%) Canada) 12%-20%) 12%-20%) -) Cina) 17%) 17%) 15,5%-31%) Danimarca) 25%) 5%) 25%) Francia) 19,60%) 5,50%) 5,50%) Germania) 7%) 7%) 7%) Giappone) 5%) 5%) 5%) Italia! 22%! 10%! 10%! Paesi)Bassi) 19%) 6%) 6%) Regno)Unito) 20%) 20%) 5%) Russia) 18%) 18%) -) Spagna) 16%) 7%) 7%) Svezia) 25%) 12%) 12%) Svizzera)) 8%) 8%) 8%) USA) 0%-11,5%) 0%-11,5%) 0%-8,875%)
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IVA L’Italia è quella delle aliquote alte. Non è sempre così ma spesso. E questo è sempre stato un nostro difetto di prospettiva. Applicare percentuali di imposizione più elevate non vuol dire, necessariamente, incrementare il gettito. Un’IVA doppia potrebbe (e spesso lo fa davvero) non corrispondere per lo Stato a maggiori entrate perché gli scambi giocoforza diminuiscono. E, soprattutto una ipotetica diminuzione diretta del gettito potrebbe (e spesso lo fa) essere compensata da altri e diversi benefici sociali, culturali, identitari e, perché no, economici. È un concetto semplice, al limite del banale, ma che è ben chiaro ai governanti del Regno Unito, della Francia e di tutti gli stati che hanno capito il valore economico del mercato dell’arte. Da noi, diciamola così, si è sempre fatta un po’ più di fatica. E quindi: l’aliquota IVA da applicarsi alle cessioni effettuate da gallerie d’arte, case d’asta e mercanti d’arte in genere è quella ordinaria, attualmente pari al 22%. Se le cessioni vengono effettuate dall’autore titolare di partita IVA, invece, l’aliquota si abbassa al 10%. Le cessioni di opere d’arte tra privati non sono invece soggette a IVA, mancandone il presupposto soggettivo per l’applicazione dell’Iva, che prevede che le operazioni siano assoggettabili a imposta quando compiute da imprese, artisti o professionisti nell'esercizio dell'attività. In caso di importazione dell’opera d’arte l’aliquota IVA applicabile è quella agevolata del 10%, oltre ai dazi doganali. Confrontando la normativa italiana con quella vigente negli altri paesi dell’Unione Europea si nota come tali aliquote siano spesso superiori rispetto quelle vigenti negli altri Stati (con l’eccezione svedese che però non è un diretto concorrente in questo settore), non favorendo così gli investimenti in arte nel nostro paese e limitando lo sviluppo del mercato dell’arte. In particolare, poi, le differenze più forti si riscontrano sulle aliquote applicate alle importazioni. L’Italia applica una imposizione doppia rispetto a Regno Unito e Francia (e questi sì che sono mercati di riferimento) con l’effetto che qualsiasi collezionista che voglia importare un’opera nel territorio dell’Unione non lo farà certamente in Italia, paese in cui sosterrebbe costi più alti senza alcun un giustificato motivo.
IVA
vendite in galleria
Import/Export
cessioni dall'artista
Diritto di seguito si/no
soglia
% massima
Australia
10%
10%
-
n
-
-
Austria
20%
10%
10%
s
€ 3.000
4%
Belgio
21%
6%
6%
s
€ 2.000
4%
Canada
12%-20%
12%-20%
-
n
-
-
Cina
17%
17%
15,5%-31%
n
-
-
Danimarca
25%
5%
25%
s
€ 300
5%
19,60%
5,50%
5,50%
s
€ 750
4%
Francia
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Germania
7%
7%
7%
s
€ 400
4%
Giappone
5%
5%
5%
n
-
-
Italia
22%
10%
10%
s
€ 3.000
4%
Paesi Bassi
19%
6%
6%
s
€ 3.000
4%
Regno Unito
20%
20%
5%
s
£1.000
4%
Russia
18%
18%
-
s
-
5%
Spagna
16%
7%
7%
s
€ 1.200
4%
Svezia
25%
12%
12%
s
-
5%
Svizzera
8%
8%
8%
n
-
-
0%-11,5%
0%-11,5%
0%-8,875%
n
-
-
USA
Nel caso in cui l’acquirente sia un imprenditore, occorrerà distinguere se è un mercante d’arte o un soggetto che svolge attività commerciale diversa. • Nel primo caso, ovviamente, si deve ritenere che il bene acquistato sia destinato alla futura rivendita: l’IVA seguirà le ordinarie regole previste per le attività di tipo commerciale. • Nel secondo caso, l’acquisto dell’opera sarà identificato come “spesa di rappresentanza” in quanto il bene, non destinato alla rivendita o all’utilizzo diretto nel processo produttivo dell’impresa, sarà destinato ad abbellimento dei locali del soggetto acquirente. L’IVA sarà totalmente indetraibile da parte dell’acquirente. Le relazioni pericolose: gli aspetti civilisti e fiscali del passaggio delle opere
• il rapporto contrattuale con l’artista • il passaggio di proprietà • la fatturazione
Peggy Guggenheim ingondola sul Canal Grande con "Venice, I Lagoon" di William Congdon Archivi Collezione Guggenheim. Foto di Lucio Berzioli
La galleria d’arte si interpone nella compravendita tra l’artista e il collezionista: l’artista consegna alla galleria l’opera affinché la stessa si impegni a venderla (in forza di un contratto di mandato senza rappresentanza) a un collezionista. La galleria, identificato il cliente e concluso l’affare,
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procede a vendere l’opera in nome proprio ma per conto dell’artista (in forza del mandato), incassa il corrispettivo previsto per la vendita e versa all’artista il corrispettivo stesso, trattenendo quanto pattuito a titolo di commissione. Sul piano del diritto civile, la proprietà del bene si trasferisce direttamente dall’artista al collezionista mentre il possesso dell’opera subisce un doppio passaggio, prima in capo alla galleria e in secondo luogo in capo al collezionista. Secondo questo schema contrattuale basato sul mandato senza rappresentanza (o contratto di commissione) la galleria d’arte non sarà mai proprietaria dell’opera, benché la stessa sia consegnata presso i locali della galleria a fini espositivi o a fini di vendita in esecuzione del contratto di mandato stesso. Dal punto di vista economico vi è una netta distinzione tra la figura dell’intermediario e quella del commissionario. Il primo compra e rivende un bene per conto proprio, il secondo non anticipa finanziariamente il costo di acquisto del bene, in quanto non ne diventa mai il proprietario, né tantomeno sopporta il rischio di eventuali invenduti. Dal punto di vista fiscale, poi, l’inquadramento giuridico-contrattuale mediante il quale vengono regolati i rapporti fra artista, gallerista e collezionista è di fondamentale importanza. Ai fini dell’applicazione dell’IVA in caso del mandato senza rappresentanza (o contratto di commissione) è opportuno analizzare puntualmente quale sia il momento di effettuazione dell’operazione ex art. 6 co. 1 DPR 633/72 da cui consegue l’obbligo di fatturazione. In particolare il trasferimento del possesso dell’opera dall’artista alla galleria d’arte (primo momento giuridico) a seguito del contratto di mandato, pur essendo considerato ai fini IVA quale cessione di beni, non costituisce momento di effettuazione dell’operazione, non generando così alcun obbligo in merito all’emissione della fattura in capo all’artista nei confronti della galleria. Il momento della fatturazione viene quindi differito (secondo momento giuridico) al passaggio del bene dalla galleria al collezionista. L’obbligo di fatturazione da parte dell’artista alla galleria sorge quindi unicamente nel momento in cui la galleria stessa vende in nome proprio ma per conto dell’artista, l’opera d’arte al collezionista: in tale momento sorge l’obbligo di fatturazione in capo all’artista nei confronti della galleria e in capo a quest’ultima nei confronti del collezionista.
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I misteri dell’IVA: margine, porti franchi, paludi e altri animali fantastici
• aliquote • il regime del margine • porti franchi o trattamento IVA o Attrattività o criticità
Il regime del margine è un regime speciale previsto dalla normativa italiana per il commercio di beni mobili usati, di oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione. Con il regime del margine il tradizionale metodo di calcolo dell’Iva “imposta da imposta” viene sostituito con il metodo “base da base”, in base al quale l’IVA è applicata solo sulla differenza tra il prezzo di vendita del bene e il suo costo di acquisto al lordo dell’imposta (c.d. margine). Perché si possa beneficiare del regime del margine, è necessario che i beni siano stati acquistati da: • soggetti privati, i quali non hanno non possono addebitare l’IVA per rivalsa; • un soggetto IVA che non ha esercitato alcuna detrazione, data da una previsione di indetraibilità oggettiva o soggettiva, il quale cede il bene in esenzione secondo quanto previsto dall’art. 10, n. 27-quinquies del Dpr 633/72; • un soggetto passivo che effettua abitualmente cessioni di beni rientranti nell’ambito oggettivo di applicazione della disciplina del margine; • un soggetto IVA comunitario che gode del regime di esonero nel proprio stato. I beni devono essere stati acquistati da privati in Italia o in altro Stato membro dell’UE. Porti franchi Per quanto concerne l'IVA, le merci che vengono inviate dall'Italia in questi territori sono considerate esportate, mentre quelle che vi provengono sono considerate importate. Pertanto, le cessioni di beni inviati nelle zone franche sono non imponibili, in quanto cessioni all'esportazione (art. 8, D.P.R. n. 633/1983). Le cessioni all’interno di beni depositati in luoghi sottoposti a vigilanza doganale (cosiddette "cessioni di beni viaggianti allo Stato estero"), quali, appunto, le zone franche e i depositi franchi,
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costituiscono operazioni fuori dal campo di applicazione dell'IVA e ciò anche se i beni si trovano materialmente nel territorio nazionale (C.M. n. 26/411138 del 1979). Come evidenziato in precedenza, infatti, le zone franche e i depositi franchi, pur se appartenenti a tutti gli effetti al territorio politico dello Stato, costituiscono zone assimilate ai territori extradoganali, così come qualsiasi altra località italiana (R.M. nn. 184/1995 e 3/1996). Tali cessioni, tuttavia, pur se non rientranti nel campo di applicazione dell'IVA, devono essere fatturate (riportando la seguente dizione: "operazione non soggetta"), nonché registrate e rilevano per quanto concerne la formazione del volume di affari, anche se non ai fini del "plafond" IVA (art. 21, c. 6, Decreto IVA). L’aumento esponenziale negli ultimi anni dell’utilizzo dei porti franchi, quali magazzini extraterritoriali, come spazi espositivi o di vendita è dovuto soprattutto a motivi di natura amministrativa e fiscale per risparmi in termini di adempimenti e di imposte. È possibile introdurre beni nel territorio di uno stato con l’espletamento di formalità doganali ridotti o assenti e senza il pagamento di dazi e imposte fino a quando i beni non giungano a destinazione finale. In tal modo si ha un differimento del pagamento delle imposte. Uno dei vantaggi dell’utilizzo di porti franchi è dato anche dalla possibilità di poter stoccare senza limiti di tempo i beni provenienti dall’estero in magazzini che hanno elevati standard di sicurezza e un notevole serie di servizi offerti (come ad esempio, per le opere d’arte, il controllo della temperatura e dell’umidità, servizi di restauro, autentica e valutazione). Molte gallerie d’arte vi hanno trasferito la propria sede. Le opere d’arte compravendute, usufruendo dell’esenzione sia delle tasse su importazioni ed esportazioni che delle tasse di transazione, fino a quando l’opera d’arte resta immagazzinata nel porto franco, possono rimanere stoccate per anni, cambiando solo il proprietario. Se, da un lato, lo strumento dei porti franchi ha consentito un rapido ed esponenziale incremento delle vendite di opere d’arte nel mondo, rendendo globale anche questo settore del commercio e favorendo l’incontro tra domanda e offerta anche in mercati emergenti, dall’altro ha sminuito il significato per il quale tali opere sono state realizzate: ovvero per essere godute dal proprietario. Imposte sui redditi Per amore, non per denaro: il collezionista
Il collezionista possiede una preziosa qualità, la capacità di meravigliarsi del mondo e dei suoi oggetti, di intuirne la potenza evocativa, di entusiasmarsi della loro scoperta, di creare nessi tra i grandi capolavori e le piccole cose che ne hanno costituito il contesto storico, dando un’immagine più completa della cultura del passato (W. Benjamin)
• lavoratori autonomi • persone giuridiche • privati Paul Getty alla Royal Academy Summer Exhibition Foto: McKeown/Express/Getty
Ph. Matt Fay
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L’abito fa il monaco I lavoratori autonomi • attività occasionale • attività commerciale non abituale • spese di rappresentanza • commercio d’arte Le società • operazioni non inerenti • spese di rappresentanza • commercio di opere d’arte The last supper. Ron English
Privati • vendite occasionali • vendite abituali
Ai sensi dell’art. 54 del TUIR, il costo d’acquisto o l’importazione degli oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, può essere considerato alla stregua delle spese di rappresentanza. Tale previsione normativa esclude del tutto la possibilità di dedurre i costi sostenuti per l’acquisto delle opere attraverso il meccanismo dell’ammortamento, così come previsto per i beni strumentali che concorrono all’esercizio dell’arte e della professione. Di fatto, l’art. 54 co. 2 prevede espressamente che per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, esclusi gli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione, sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei. Come disposto dal co. 5 dell’art. 54 TUIR, le spese sostenute (effettivamente e idoneamente documentate) per l’acquisto o l’importazione di oggetti di arte di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali, si considerano spese di rappresentanza, pertanto sono deducibili nei limiti dell’1,5% dei compensi percepiti dall’esercente arti e professioni nel periodo di imposta. Per quanto riguarda, infine, l’acquisto di un’opera d’arte da parte di titolari di reddito di impresa (esercitata in forma individuale o societaria), la deducibilità del costo deve considerarsi quasi sempre esclusa ai fini delle imposte dirette. La disciplina civilistica e fiscale italiana non ha individuato regole relativamente il trattamento fiscale nell’ambito delle imprese che sostengono spese relative l’acquisto di opere d’arte che non costituiscono oggetto dell’attività d’impresa. Per valutare la deducibilità dei costi delle opere d’arte, occorre valutare primariamente la sussistenza del requisito dell’inerenza richiesto dall’art. 109 TUIR. In particolare i costi che l’impresa sostiene per l’acquisto di tali beni, sono ritenuti dalla normativa fiscale deducibili solo nel caso in cui rispondono al principio di inerenza, così come richiesto
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dall’art. 109 Tuir, n. 5, secondo il quale secondo cui “le spese e gli altri componenti negativi del reddito sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa”. Il costo deve essere pertinente alla creazione di valore, deve esserci una correlazione tra il sostenimento delle stesso e i benefici economici che ne possono derivare al fine di poter considerare il costo deducibile. Perché i costi possano essere considerati inerenti, quindi deducibili, è necessario che gli stessi, oltre a rispondere a un requisito qualitativo, siano coerenti anche dal punto di vista qualitativo ovvero l’entità dei costi sostenuti deve essere congrua. L’unica eccezione potrebbe riguardare l’ipotesi di documentare una comprovata inerenza del costo di acquisto dell’opera d’arte rispetto alla produzione del reddito. Nel caso in cui l’oggetto di attività d’impresa sia il commercio di opere d’arte e di antiquariato, i beni acquistati nell’ambito dell’attività sono classificati quali “beni merce”, suscettibili di alienazione nell’ambito dell’attività tipica d’impresa. L’alienazione di tali beni sul mercato determina per l’impresa i ricavi d’esercizio, che al netto dei costi, vanno a formare il reddito d’impresa. Il possesso e la conservazione dell’opera d’arte da parte del collezionista Come già detto in precedenza, la normativa fiscale non tratta in modo specifico le problematiche connesse con le opere d’arte: sarà necessario mutuare le regole ordinarie normalmente applicabili a qualsiasi altro oggetto d’arredamento o di collezione. Il possesso in Italia, da parte di un privato, di beni, anche di rilevante valore, non comporta alcuna tassazione in quanto non esiste in Italia un’imposta di tipo patrimoniale. La conseguenza diretta di questa impostazione fiscale comporta la totale indeducibilità di tutti i costi eventualmente sostenuti dal collezionista privato. In tal senso si deve pensare ai costi di mantenimento, deposito, custodia, restauro, catalogazione o pubblicazione che non trovano alcun riconoscimento diretto o indiretto da parte del legislatore fiscale per le opere che non siano state riconosciute di interesse storico o artistico da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. E’ necessario invece ribadire che eventuali corrispettivi derivanti dalla cessione di diritti di sfruttamento dell’immagine dell’opera d’arte, dalla sua pubblicazione, utilizzo e/o diffusione nonché dall’esposizione delle opere in mostre o musei, sono imponibili secondo le ordinarie categorie di reddito (definiti redditi diversi) da assoggettarsi all’IRPEF con aliquota progressiva in capo alla persona fisica proprietaria dell’opera d’arte. Il possesso di opere d’arte possedute da collezionisti privati italiani ma detenute all’estero, comporta l’obbligo di un continuo monitoraggio fiscale attraverso la compilazione del quadro RW nella dichiarazione annuale dei redditi.
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L’eventuale omissione di detta segnalazione ai fini del monitoraggio fiscale, comporta pesanti sanzioni commisurate al valore del bene non dichiarato. Tale obbligo di monitoraggio non sussiste nell’ipotesi che i beni all’estero siano oggetto di un mandato conferito ad un intermediario finanziario italiano abilitato che sia anche obbligato a gestirne gli eventuali flussi finanziari. In questo caso gli adempimenti ai fini del monitoraggio fiscale saranno interamente a suo carico. La cessione dell’opera d’arte a terzi Nel caso di cessione dell’opera d’arte a terzi, è necessario identificare preventivamente in quale inquadramento fiscale ci si trova ad operare in relazione alle diverse caratteristiche del venditore. Infatti lo stesso può essere: • persona fisica privata • lavoratore autonomo (in ambito diverso dal mondo dell’arte) • soggetto esercente attività d’impresa (in forma societaria o come associazione, fondazione o Trust) Persona fisica privata Al contrario di quanto avviene per la disciplina del reddito d’impresa, la disciplina fiscale relativa il reddito di lavoro autonomo, così come disciplinata dall’art. 53 e ss. del TUIR, prevede specifiche disposizioni concernenti l’acquisto e la cessione di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione1. L’art. 54 co. 1 del Tuir disciplina il reddito di lavoro autonomo stabilendo quali sono i fattori che concorrono alla sua determinazione e in particolare prevede che il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni sia costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione. L’art. 54 co.1-bis, però, dispone espressamente che, per i contribuenti esercitanti arti e professioni, le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione non concorrano alla formazione del reddito di lavoro autonomo quando realizzate mediante cessione a titolo oneroso o derivanti da un risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni e quando riferite a beni che vengono destinati al consumo personale o familiare o siano comunque estranei alla professione esercitata. È utile ricordare che l’esenzione di cui sopra, viene meno nel momento in cui venga riscontrata una attività di tipo “commerciale”, ancorché non prevalente non organizzata e saltuaria. 1 Per oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione, la giurisprudenza fa riferimento a quanto individuato nella Tabella allegata all’art. 36 co. 1
del D.L. 41 del 23 febbraio 1995
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Il confine tra l’attività ordinaria di compravendita tipica del collezionista privato e l’attività di tipo “commerciale” è estremamente sottile e dipende da molte variabili induttive comprovanti lo spirito imprenditoriale dell’attività svolta in contrapposizione allo spirito occasionale e non speculativo del privato. Ove fosse disconosciuto il carattere personale dell’attività del collezionista, la plusvalenza da cessione del bene rientrerebbe tra i redditi diversi. Lavoratore autonomo (nell’ambito diverso dal mondo dell’arte) La normativa fiscale stabilisce espressamente che le plusvalenze realizzate mediante cessione di “oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione” anche se utilizzati come beni strumentali, sono escluse da imposizioni. Secondo la sentenza n. 826 depositata dalla CTR Toscana in data 9 maggio 2016, l’acquisto e la successiva rivendita da parte di un collezionista, anche on line tramite piattaforma eBay, non rientra nell’attività imprenditoriale in quanto carente dei requisiti di professionalità e di specifica organizzazione economica e mancanza di fine di lucro. Tale sentenza consente di affermare che, sul versante fiscale, vi è differenza tra il collezionista ed il mercante. Per collezionista si intende l’appassionato di un determinato bene che, per proprio piacere, attiva una serie di scambi finalizzati al completamento della propria collezione oppure non avere come scopo il guadagno, ma la disponibilità liquida per acquistare un’altra opera d’arte che più l’appassiona; per mercante, invece, si intende il soggetto che fa di tali scambi una propria attività, finalizzata non al completamento della collezione, bensì all’introito di denaro, ha un fine lucrativo. Secondo la sentenza della CTR di Firenze la linea di demarcazione tra i collezionista e mercanti d’arte “è rappresentata dalla presenza o meno dei requisiti della commercialità, il collezionista rimane tale sino a quando non assume le caratteristiche dell’imprenditore abituale. La generica attività di vendita di un bene risulta soggetta ad adempimenti di natura formale (contabile, fiscale, ecc.) qualora venga realizzata in via professionale ed abituale: quest’ultimi requisiti devono emergere dalla regolare sistematicità e ripetitività con cui il soggetto realizza atti economici finalizzati, al raggiungimento di uno scopo.” A fini fiscali, pertanto, ciò che distingue il mercante d’arte dal collezionista è il comportamento speculativo e commerciale finalizzato appunto alla compravendita di quell’opera fin già dall’origine. Ad esempio la semplice dismissione di una collezione ricevuta in eredità non comporta in linea di massima alcuna tassazione. Soggetto esercente attività d’impresa (in forma societaria o come associazione, fondazione o Trust) La plusvalenza derivante dalla cessione di opere d’arte da parte di soggetti esercenti attività di impresa, sarà in ogni caso imponibile ai fini fiscali
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Donazione e successione Successioni e donazioni: finché morte (o interesse) non ci separi
• tassazione con aliquote variabili • forfettizzazione del 10% • beni immobili vincolati e le imposte ipocatastali
Dave Navarro and Carmen Electra’s wedding invitation photo. Foto: David Lachapelle
Le norme vigenti in Italia (D.lgs. 346/1990 e D.L. 262/2006) in materia di imposte sulle successioni prevedono che il patrimonio devoluto agli eredi all’atto del decesso sia assoggettato a tassazione con aliquote variabili in funzione del grado di parentela esistente tra il defunto e gli eredi. In altri termini, l’asse ereditario è assoggettato alle seguenti aliquote: - 4% sul valore complessivo dei beni ereditati che eccede la franchigia di 1.000.000 di Euro (per ogni erede) se gli eredi sono il coniuge o i parenti in linea retta; - 6% dello stesso valore che eccede la franchigia di Euro 100.000 (sempre per ogni erede) se gli eredi sono fratelli e sorelle; - 6% dello stesso valore ma senza nessuna franchigia se gli eredi sono altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta o affini in linea collaterale fino al terzo grado; - 8% dello stesso valore, anche in questo caso senza nessuna franchigia, se gli eredi sono soggetti diversi dai precedenti. Tali aliquote si applicano all’intero asse ereditario, ovvero l’insieme dei beni e dei diritti che “cadono” in successione, salvo alcune previsioni specifiche. L’articolo 9 del D.lgs. 346/90 prevede tuttavia che si considerino compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore dell’asse ereditario netto (ovvero quello eccedente le eventuali franchigie applicabili), anche se non dichiarati all’atto della successione. Per presunzione le opere d’arte, anche se non indicate nella dichiarazione di successione, sono soggette all’imposta sulle successioni solo per importo pari al 10% del valore dell’asse ereditario netto. Ne consegue un vantaggio di carattere fiscale nel caso in cui il loro valore di mercato sia notevolmente superiore che, in tal modo, verrebbero, se non quasi del tutto, largamente esentati
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da imposizione. E’ tuttavia importante notare che la forfetizzazione al 10% trova applicazione solo qualora le opere siano detenute in abitazioni private, escludendo così dall’agevolazione le collezioni custodite in caveaux, depositi, ecc.. Anche per le donazioni ai fini del calcolo dell'imposta, le aliquote applicabili variano in base al grado di parentela (o affinità) esistente tra il donante e il donatario (dal 4% oltre la franchigia di 1.000.000 di euro se i beneficiari sono il coniuge o i parenti in linea retta, al 6% oltre la franchigia di 100.000 euro per i beneficiari di secondo grado; fino all'8% senza franchigia per gli altri soggetti). Per quanto attiene i beni immobili “vincolati” secondo la disciplina del Codice di Beni Culturali, tali beni godono di un’esenzione dall’imposta di successione e donazione se: - risultino vincolati anteriormente all’apertura della successione; - siano stati assolti i conseguenti obblighi di conservazione e protezione; - Venga prodotta attestazione conforme rilasciata dall’autorità preposta alla tutela del vincolo da allegare alla dichiarazione di successione, previa predisposizione di un inventario con una descrizione analitica dei beni culturali. Successioni e donazioni in giro per il mondo
Imposta'di'successione'e'donazione'
Eredità'e'donazioni'sono'sogge5e'alle'stesse'aliquote'che'vanno'dal' 5%'al'40%'a'seconda'del'valore'del'bene'per'i'paren?'in'linea're5a' (franchigia'pari'a'100.000'euro)'e'dal'35%'al'60%'per'gli'altri'eredi.'
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Imposta'di'successione'e'donazione'unificata'
Le'aliquote'dipendono'dal'grado'di'parentela'e'dal'valor'e'dei'beni' acquisi?.'Per'i'paren?'streK'le'aliquote'variano'dal'7%'al'19%'se'il'' valore'dei'beni'<600.000,'dal'23%'al'30%''se'il'valore'dei'beni' >600.000.'Per'i'paren?'lontani'l'aliquota'dal'15%'al'30%'se'il'valore' dei'beni'<600.000'euro,'dal'35%'al'43%'altrimen?;'per'gli'altri'eredi' l'aliquota'è'del'30%'se'valore'beni'<600.000'euro,'sopra'i'600.000' euro'
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Francia'
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Eredità:'aliquota'del'40%''['Donazione:'aliquota'del'20%'
Spagna'
Imposta'di'successione'e'di'donazione''
L'imposta'sulle'successioni'e'donazioni'si'applica'sul'valore' complessivo'dei'beni'trasferi?'a'ciascun'beneficiario'e'si'applica'con' aliquote'variabili'dal'7,65%'al'34%.'
Sta?'Uni?''
Imposta'federale'sugli'immobili'
Gli'Sta?'Uni?'impongono'una'tassa'sul'trasferimento'dell'immobile' del'deceduto:'l'aliquota'è'del'40%'del'valore'dell'immobile'con'una' franchigia'di'5'milioni'di'dollari.'
Foto: Andy Reynolds
Con la riforma della tassazione dei trasferimenti immobiliari a titolo oneroso, ai sensi dell’art. 10 del D. Lgs. n. 23/2011 e dell’art. 26 del D. L. n. 104/2013, il trasferimento di immobili di interesse storico-artistico, a condizione che l’acquirente non venga meno agli obblighi di conservazione dell’immobile oggetto di trasferimento, è soggetto ad un’imposta di registro pari al 9%, con un minimo dovuto pari ad € 1.000 e ad imposte ipocatastali in misura fissa per un importo pari ad € 50 ciascuna. Nel confronto con altri Paesi Europei, si evidenzia come le soglie di esenzione, ai fini delle imposte sulla successione e sulla donazione, siano più basse e le aliquote più elevate.
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Diritto di seguito Il diritto di seguito e le vedove di guerra
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Foto: Ron English
Il droit de suite nacque in Francia nel 1920 come una sorta di indennizzo alle vedove e ai figli degli artisti morti in guerra. In Italia fu introdotto abbastanza presto, quando nel 1941 fu approvata la legge sul diritto d’autore. Ben prima che in Germania (1965), Spagna (1987) e Grecia (1993), mentre la Gran Bretagna se ne guardò bene dal pensarci finché ha potuto farlo. Il problema, però, fu che i legislatori italiani, da sempre creativi e fedeli alla loro tradizione, si inventarono un sistema probabilmente più equo dell’attuale ma pesantemente burocratico, incredibilmente macchinoso e completamente privo di certezza (una partecipazione dell’autore all’incremento del valore dell’opera calcolato in percentuale sul prezzo della prima vendita) tale da essere, nella pratica, inattuabile e che perciò rimase, coerentemente, inattuato. Con l’approvazione della direttiva europea relativa al diritto dell’autore di un’opera d’arte sulle successive vendite dell’originale, le cose sono in parte cambiate. Il fondamento del diritto di seguito è quello di uniformare gli artisti indipendentemente dal loro specifico campo. Le opere musicali, teatrali e letterarie sono legate al loro autore e questi trae frutto dalla loro più o meno grande fortuna. Il diritto di seguito consente agli artisti “figurativi” di trarre profitto, almeno in parte, da quello che è l’unico momento avvicinabile all’utilizzazione successiva: la rivendita. Il diritto di seguito è il diritto dell’autore di un’opera d’arte di beneficiare dell’incremento del valore dell’opera d’arte per ogni vendita successiva alla prima (quella tra artista e mercante). Il diritto di seguito è dovuto unicamente in relazione alle vendite successive alla prima, cui partecipi, come venditore, acquirente o intermediario, un professionista del mercato dell’arte. Il compenso è irrinunciabile dall’artista ed è posto a carico del venditore.
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Il diritto di seguito è un diritto inalienabile e successorio, spetterà agli eredi in caso di morte dell’autore. È tutelato dalla legge per tutta la vita dell’autore e per 70 anni dopo la sua morte ed è calcolato sul prezzo di vendita, al netto dell’imposta, in base all’applicazione di percentuali differenziate per scaglione che qui di seguito si riportano: • 4% per la parte del prezzo di vendita fino a € 50.000,00; • 3% per la parte del prezzo di vendita compresa tra € 50.000,01 e € 200.000,00; • 1% per la parte del prezzo di vendita compresa tra € 200.000,01 e € 350.000,00; • 0,5% per la parte del prezzo di vendita compresa tra € 350.000,01e € 500.000,00; • 0,25% per la parte del prezzo di vendita superiore a € 500.000,00. L’ente preposto alla riscossione del diritto di seguito per conto di tutti gli artisti, anche se non associati all’ente stesso, è, come già detto, la SIAE. Passaggio generazionale Padri e figli: il passaggio generazionale come problema sociale
• il trust • le fondazioni • società benefit • altri strumenti
Jean Michel Basquiat and Andy Warhol Foto: Bart Van Leeuwen
Il passaggio generazionale di un patrimonio artistico è un momento delicato caratterizzato dalla trasformazione di una collezione da passione e volontà di un singolo compratore/collezionista a vero e proprio asset ereditario di valore da gestire, amministrare e proteggere. Il problema principale del passaggio generazionale del patrimonio artistico può essere il mantenimento della sua integrità e della sua conservazione poiché, in caso di smembramento, potrebbe perdere di valore sia artistico che economico. Esistono strutture giuridiche capaci di veicolare una collezione artistica mantenendone il valore, e sono: il trust, la fondazione e la società benefit. Il trust
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La struttura di un trust in ambito di passaggio generazionale del patrimonio artistico prevede che un collezionista (disponente) trasferisca la propria collezione ad un affidatario (trustee) affinché quest’ultimo la amministri e gestisca preservandone l’unitarietà nel tempo, in maniera autonoma e dinamica, nell’interesse di uno o più eredi. Un collezionista può costituire un trust per conferirvi l’intera collezione per evitare che venga frammentata tra gli eredi perdendo valore, ovvero nominare beneficiario un erede con competenze artistiche, senza lesione di legittima. Il trust determina la segregazione dei beni rispetto al patrimonio personale del disponente sia con riguardo a quello dell’intestatario dei beni (trustee). Quando il collezionista trasferisce al trustee le opere che intende segregare in trust ne perde la proprietà a favore del trustee, che diventa a tutti gli effetti il vero proprietario di questi beni. Il trustee è, tuttavia, un proprietario fiduciario e, pertanto, deve impiegare quanto gli viene trasferito esclusivamente secondo le disposizioni dell’atto istitutivo di trust. Ai fini fiscali però, sono considerati illegittimi i trust che sono istituiti e gestiti per realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni; pertanto i beni facenti parte del patrimonio del trust non possono continuare ad essere a disposizione del disponente né questi può beneficiare dei relativi redditi. Dal punto di vista fiscale, il trasferimento delle opere d’arte a favore di un trust italiano, formalizzato in Italia durante la vita del collezionista con la donazione, sconta l’imposta di donazione sempre con le aliquote del 4%, del 6% o dell’8% (a seconda della relazione o meno di parentela o di affinità esistente tra il collezionista e i beneficiari del trust con la applicazione delle relative franchigie); aliquote che si applicano sul valore di mercato delle opere d’arte. Invece, se il collezionista non pianifica la sua successione, al momento del decesso, gli eredi pagheranno l’imposta sulle successioni, con le stesse aliquote, ma solo sul 10% del valore dell’asse ereditario al netto delle franchigie. Il trust successorio con beneficiari i discendenti in linea retta del disponente godono di una franchigia di un milione di euro per ogni beneficiario e un’aliquota del 4% sul maggior valore che rispetto agli altri Stati UE risulta essere più vantaggiosa. Negli altri paesi Europei le soglie di esenzione sono di gran lunga più basse e le aliquote più elevate. Le fondazioni Le Fondazioni d’arte sono istituti con vincoli di scopo nella forma di enti privati no profit, dotati di un patrimonio e di un organo di governo il cui obiettivo è utilizzare al meglio i mezzi finanziari a disposizione per preservare il valore del patrimonio artistico. Permettono la fruizione al pubblico di collezioni private e si affiancano alla realtà museali istituzionali italiane. Il compito delle fondazioni è la promozione e conservazione di collezioni e la raccolta fondi utile a sostenere nel tempo l’attività culturale e a finanziare i progetti più ambiziosi, evitando di ricorrere ad altre forme come le sponsorizzazioni. Vi sono molte fondazioni nate per iniziativa di un artista che, oltre a raccogliere un nucleo significativo delle proprie opere, sono un centro di sviluppo per l’arte. Società benefit
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Le società Benefit sono una nuova forma societaria introdotta nell’ordinamento italiano dalla Legge di Stabilità 2016 che coniugano gli obiettivi di profitto e lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera. Si tratta di società a scopo di lucro che esercitano un’attività economica e perseguono contemporaneamente una o più attività di beneficio comune, operando in modo responsabile e sostenibile mentre distribuiscono gli utili. Le finalità sociali perseguite devono essere inserite nello statuto societario come oggetto sociale e vanno monitorate attraverso relazioni annuali di valutazione complessiva dell’impatto generato verso un ampio profilo di stakeholder e del raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Tali società hanno precise regole di gestione amministrativa. Infatti, devono essere amministrate individuando i soggetti responsabili del perseguimento dell’obiettivo comune, bilanciando l’interesse dei soci con quello di coloro sui quali l’attività sociale ha impatto. Il vantaggio di questo tipo di società è poter usare la denominazione “Società Benefit” nei titoli emessi e in tutte le documentazioni verso terzi, ottenendo quindi un riconoscimento reputazionale di trasparenza. Sono una valida alternativa ai trust e alle fondazioni per la pianificazione del passaggio generazionale atto a conservare il valore di patrimoni familiari integrati. Altri strumenti Esistono altri due strumenti che vengono utilizzati per la pianificazione del passaggio generazionale di collezioni d’arte, pur non nascendo per tale scopo specifico. Il primo è il mandato fiduciario senza intestazione, contratto tra società fiduciarie e clienti dove la fiduciaria assume l’amministrazione di opere d’arte, ovunque localizzate, per conto dei fiducianti senza assumerne la custodia. Tale istituto permette a chi detiene all’estero opere d’arte di ovviare alla denuncia in dichiarazione dei redditi. Il secondo è la donazione con riserva di disporre che permette al donante di un bene il diritto di cambiare idea sulla destinazione del bene stesso se il disegno successorio o le sue aspettative non dovessero essere state rispettate. Tale diritto di riserva cessa alla morte del donatore ma permette maggiore flessibilità di vincolo di donazione. Affiancando a tale istituto il mandato fiduciario senza intestazione si può obbligare il donatario ad accettare istruzioni sulla disposizione dei beni, quali il vincolo a conservare i beni oppure a non venderli.
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