Emilio De Paola
Franco Laratta
Franco Laratta Padre Antonio Pignanelli Padre Antonio Pignanelli a 25 anni dalla morte
con amore la vita fervida e densa di P. Antonio Pignanelli. Lo ha fatto sulla base di un continuo, fecondo rapporto che gli ha consentito di conoscere in profondità tutte le pieghe della personalità complessa se pur umile di questo cappuccino esemplare. Non si tratta allora di un diario, anche se gli avvenimenti sono raccontati in ordine cronologico, ma della vivificazione di una esperienza di una vita che ha realizzato nel suo mondo una testimonianza spirituale straordinaria e che per ciò stesso non può essere smarrita o dissolta nel nulla, ma deve continuare a creare momenti di aggregazione lungo un solco tracciato per costituire terreno di nuove messi. Il lavoro – infatti – non si prefigge soltanto di essere una raccolta di accadimenti per proporli così asetticamente di volta in volta al lettore, ma dà sostanza di riflessione sui grandi fermenti che animavano lo spirito e l’intelligenza di P. Antonio Pignanelli, fermenti rivolti a costituire intorno a sé una cellula viva ed operante di umanità, così compatta da trascinare, così fermentata da redimere, così viva da dirompere le incrostazioni della pigrizia religiosa. Ci troviamo, quindi, di fronte al tentativo riuscito di dar voce a tanti fatti, a tante situazioni, a tante battaglie, a tante amarezze che formano per l’unione di più frammenti la vita di P. Antonio, cogliendo di essa in ogni circostanza l’aspetto peculiare, il segno impercettibile della grazia, il tocco del sublime. Un compito quanto mai impegnativo col rischio di cadere nel banale, nel semplicistico, nel racconto per il racconto. Franco Laratta ha superato questo rischio e ci ha offerto di P. Antonio una immagine reale e non mitica, in una dimensione naturale al di fuori di qualunque processo di tentazione apologetica che avrebbe fatto intendere una costruzione artificiosa di un personaggio che invece è vero e profondo in ogni sua sfaccettatura.
Franco Laratta
Franco Laratta ha saputo percorrere
Euro 6,00
ISBN 978-88-88637-40-2
a 25 anni dalla morte
Ha pubblicato: Miseria e Nobiltà della politica, della società (2009), La lunga notte della Calabria (2006), Riflessioni Libere (2004), Il Villaggio svanito (1999), Quando in Sila cade la neve (1994), La villa dei sette piani (1992), Non sparate sul cronista (1990), Biografia di P. Antonio Pignanelli (1987).
Franco Laratta
Padre Antonio Pignanelli
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Edizioni Librare ISBN 978-88-88637-40-2 Progetto grafico: Francesco Spinelli Impaginazione: Massimo Barberio Scansioni e ottimizzazione immagini: Domenico Olivito Editing e correzione bozze: Maurizio Passarelli Supervisione: Simona Pescatore Librare è un marchio Plane srl San Giovanni in Fiore (CS) Tel. 0984 971002 - Fax 0984 976037 www.librare.it - www.planeonline.it Servizi di prestampa: Plane Š 2011 Librare
Padre Antonio Pignanelli
a 25 anni dalla morte
Indice La sua presenza aleggia ancora su tutti noi P. Giovambattista Urso.......................................................................................................5 Frate Antonio Pignanelli: sacerdote francescano don Emilio Salatino............................................................................................................7 “Credere per capire e capire per credere� Franco Rizzuto...................................................................................................................9 Introduzione Franco Laratta................................................................................................................. 13 Presentazione
P. Leopoldo Tiano........................................................................................................... 15
Padre Antonio Pignanelli a 25 anni dalla morte......................................................... 17 P. Antonio ad Acri e in America............................................................................. 21 P. Antonio: Assistente del T.O.F. di S. Giovanni in Fiore.................................. 29 P. Antonio: Parroco di S. Lucia............................................................................... 33 P. Antonio: le grandi battaglie................................................................................ 45 P. Antonio: viaggio in Terra Santa......................................................................... 59 P. Antonio: la sofferenza finale................................................................................ 66 Il testamento di P. Antonio....................................................................................... 73 Saluto di commiato dei parrocchiani...................................................................... 77
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Padre Antonio Pignanelli
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La sua presenza aleggia ancora su tutti noi
I
l fare memoria del passato è una attività mentale e spirituale che si trasforma in riconoscenza e canto di lode per gli avvenimenti e le persone che il Signore ci mette accanto per costruire un segmento della nostra storia che si perpetua nel presente, attraverso quella testimonianza di vita che difficilmente si potrà cancellare. Ricordare a distanza di 25 anni dalla sua morte la ricca personalità di Padre Antonio Pignanelli, significa per tanti che l’hanno conosciuto e amato, rivivere con una certa commozione una parte della propria storia legata a quest’umile frate cappuccino che ha segnato indelebilmente la vita di una provincia cappuccina e l’esaltante inizio di una parrocchia come quella di S. Lucia in S. Giovanni in Fiore. Sembra che questi 25 anni non abbiano affatto sfocato la figura di Padre Antonio. Basterebbe fermarsi un attimo, così come faccio io ora, chiudere gli occhi e portarsi negli anni di pieno vigore e di intensa attività di P. Antonio. Tutto ti sembra prendere vita; in una visione quasi onirica emergono con freschezza fatti, episodi, aneddoti e soprattutto la sua ieratica figura. Il suo camminare con passo veloce come a dire: “non si deve perdere tempo, ci sono urgenze apostoliche che non possono aspettare”, mentre con una mano sgrana la corona del S. Rosario, anticipando con la preghiera i colloqui con le persone o le visite agli ammalati. Il suo aspetto severo e altero poteva inizialmente incutere un certo timore, ma in una conoscenza più ravvicinata, potevi capire che dietro quella apparenza c’era il cuore di un padre che sapeva accoglierti affettuosamente. Quanti giovani hanno fatto esperienza di questa sua amabile paternità! Prima nella fraternità dell’Ordine Francescano Secolare che ha guidato con passione e competenza, trasfondendo soprattutto nei giovani francescani, il suo grande amore per il Padre S. Francesco, poi nella nascente parrocchia di S. Lucia per la quale ha speso gli ultimi e migliori anni della sua vita, imprimendo a livello spirituale e organizzativo una rete di comunione e di condivisione che ha resistito al tempo e alle prove, continuando ancora oggi a dare i suoi frutti. Il suo infaticabile apostolato, la sua premura per le singole persone, la sua totale abnegazione verso l’impegno parrocchiale, compresa la fatica e l’incessante preoccupazione per la costruzione della nuova chiesa, non gli impediva di curare la sua vita spirituale, dando tempo alla preghiera personale e alla sua formazione intellettuale. La sua spiritualità, forse, per alcuni poteva risentire di particolari tradizioni o pratiche devozionali di altri tempi, ma per lui rimaneva la fonte costante per attingere quella vitalità e quella forza 5
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che sosteneva tutto il suo apostolato. Certamente il fascino della sua parola e l’efficacia del suo apostolato trasudavano da questa sua vita interiore fondata sul suo grande amore al Dio che lo aveva scelto sulla strada della consacrazione. Non meraviglia, perciò, come il solo pronunciare il nome di P. Antonio desti ancora oggi affetto e nostalgia per un frate, un sacerdote che sapeva dare a piene mani, restando comunque sempre fedele alla sua identità, mostrando con sano e gioioso orgoglio la sua appartenenza alla famiglia francescanacappuccina. Non credo di essere smentito se affermo che in questi 25 anni, la presenza di P. Antonio ha aleggiato e ancora aleggia invisibilmente, ma tangibilmente sulla “sua parrocchia” e sui “suoi parrocchiani” che ha amato e servito con amore. Se le nostre storie si intrecciano provvidenzialmente e incontrano frati come P. Antonio che diventano presenza di Dio in mezzo al suo popolo, allora possiamo essere certi che la speranza non muore e che il Signore continua, attraverso tali testimoni, a mostrare il suo eterno e vivo Amore. Lamezia Terme, agosto 2011. P. Giovambattista Urso Ministro Provinciale Cappuccini di Calabria
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Frate Antonio Pignanelli: Sacerdote Francescano
L
a ricorrenza del XXV anniversario del ritorno alla Casa del Padre del compianto frate Antonio Pignanelli, sacerdote cappuccino e primo parroco di Santa Lucia in San Giovanni in Fiore, ha spinto l’onorevole Franco Laratta, già suo figlio spirituale, a ristampare il volume: Padre Antonio Pignanelli. Superiore ad Acri. Predicatore in America. Parroco a San Giovanni in Fiore. La figura e l’opera del frate cappuccino sono mirabilmente tratteggiate nelle pagine scritte da Franco Laratta. Il mio intervento, perciò, non volendo ridursi ad una mera ripetizione di quanto già detto, intende richiamare le caratteristiche del sacerdote secondo la visione di San Francesco d’Assisi. Il Poverello ha sempre associato la persona del vescovo a quella del presbitero poiché nutriva per entrambe la stessa devozione filiale. La sua condotta è stata continuamente caratterizzata da una profonda riverenza verso coloro che, nonostante l’eventuale stato di peccato personale, con le loro mani «toccano il Verbo di vita e possiedono un potere sovrumano» (Fonti Francescane = FF 790). Il suo grande rispetto per l’intera gerarchia ecclesiastica si manifestava con chiari segni: «Se mi capitasse [diceva] d’incontrare insieme un santo che viene dal cielo ed un sacerdote poverello [= peccatore], saluterei prima il prete e correrei a baciargli la mano» (FF 790). Questa scelta nasce dal rispetto verso la dignità del sacerdote che rimane tale anche se la sua condotta non fosse esemplare: «Guai a coloro che li disprezzano, quand’anche, infatti, siano peccatori, nessuno li deve giudicare, poiché solo il Signore si è riservato di giudicarli» (FF 176). Intimamente convinto di queste affermazioni Francesco giungerà ad inginocchiarsi pubblicamente davanti ad un sacerdote concubino proclamando: «Io non so se le mani di costui sono quali le descrive quest’uomo [un eretico patarino]; ma se anche lo fossero, io so e credo che ciò non può indebolire la forza e l’efficacia dei divini sacramenti. È attraverso queste mani che Dio riversa benefici e doni sul suo popolo» (FF 2253). L’unico vincolo che il Poverello pone a tale venerazione è che i sacerdoti, nell’amministrare i sacramenti, devono vivere secondo le norme «della santa Chiesa romana» (FF 112). Il motivo di questa condizione previa è da ricercarsi nel fatto che «dell’altissimo Figlio di Dio, nient’altro io vedo corporalmente in questo mondo, se non il santissimo corpo e il sangue suo che essi solo consacrano [si riferisce ai sacerdoti] ed essi solo amministrano agli altri» (FF 113). Altri motivi di riverenza verso i presbiteri sono: l’annuncio della Parola di Dio (FF 1427) e la celebrazione del sacramento della riconciliazione. Riguardo a quest’ultimo chiarisce che possiamo confessare i peccati a tutti, ma che 7
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solo dal sacerdote ordinato possiamo avere l’assoluzione (FF 53). Francesco d’Assisi ha sempre unito il servizio spirituale a quello corporale tanto che nel suo peregrinare «portava una scopa per pulire le chiese» (FF1565). Alla luce di queste linee sacerdotali francescane, dunque, possiamo ben comprendere la radice da cui è scaturita l’azione pastorale di frate Antonio Pignanelli. San Giovanni in Fiore, agosto 2011. don Emilio Salatino Parroco di Santa Lucia e docente di Teologia Morale presso l’ISSR di Cosenza
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Padre Antonio Pignanelli
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“Credere per capire e capire per credere”
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1.05.2011, ore 9.00 il mio caro amico Franco Laratta, mi dice “Franco, in occasione del 25° Anno della morte di Padre Antonio Pignanelli ricorrente quest’anno, ho in mente di riscrivere il libro che tanti anni fa ho pubblicato su di lui. Vorrei che tu scrivessi i tuoi ricordi sui bei tempi trascorsi con lui.” A questa richiesta non nascondo che tutto il mio essere ha reagito con profonda emozione. Un brivido ha attraversato tutta la mia schiena fino a interessare tutti i bulbi piliferi della cute. Un gioia profonda velata di tristezza ha riempito il mio cuore alla sola pronuncia del nome di Padre Antonio. La mia mente ha effettuato un tuffo nel mare profondo dei ricordi che legano la mia adolescenza e quella di tanti altri ragazzi alla figura di Padre Antonio. “Signore cosa vuoi che io faccia” Nel 1971, da ragazzo frequentavo l’azione Cattolica della Chiesa dei Padri Cappuccini, luogo d’incontro per giocare un po’ al biliardino, a ping pong, per fare del teatro, cantare, suonare, etc., ma anche per respirare nei polmoni della nostra fede in crescita dell’aria impregnata di buoni pensieri di formazione cristiana durante gli incontri spirituali settimanali (grazie a Padre Bernardino, Padre Innocenzo, Padre Salvatore Pace, Padre Tarcisio). Un giorno (1972) sulla porta del convento c’èra un manifesto con questa scritta “Signore cosa vuoi che io faccia”, se vuoi scoprirlo iscriviti al T.O.F. Incuriosito di scoprire cosa fosse il T.O.F., il Tao francescano e di capire cosa volesse da me il Signore,e spinto anche da mia madre già terziara francescana iniziai un nuovo cammino spirituale la cui orma segna tuttora la mia vita. Fu allora che conobbi Padre Antonio, frate umile e coraggioso, uomo di fede e di preghiera. La preghiera (fate della preghiera e della contemplazione l’anima del vostro essere e del vostro operare regola n° 8) è stata il motore primario della sua azione nella comunità dei fratti cappuccini, nella chiesa, nella società e nella comunità dove era stato chiamato ad operare. Franco “da Dio viene la nostra forza, con la preghiera attingiamo alla sua sorgente, Dio chiama ciascuno di noi a svolgere azioni che non sono mai superiori alla nostra capacità, perciò prega Franco, prega e troverai la soluzione ad ogni problema, ad ogni perchè, ad ogni come o quando”. Questo mi disse Padre Antonio un giorno che l’incontrai nel corridoio del convento mentre pregava con il suo breviario in mano. Lui credeva tanto nella forza dirompente della preghiera. In particolare c’èra una preghiera a cui lui teneva tanto e noi francescani per diversi anni la recitammo prima della comunione, durante la messa domenicale. 9
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Preghiera Semplice Oh! Signore, fa di me un istrumento della tua Pace Dove è odio, fa ch’io porti L’Amore. Dove è offesa, ch’io porti il Perdono Dove è discordia, ch’io porti l’Unione. Dove è dubbio, ch’io porti la Fede. Dove è errore ch’io porti la Verità Dove è disperazione, ch’io porti la Speranza. Dove è tristezza ch’io porti la Gioia. Dove sono le tenebre,ch’io porti la Luce. Oh! Maestro, fa ch’io non cerchi tanto: Ad essere consolato, quanto a consolare. Ad essere compreso, quanto a comprendere. Ad essere amato, quanto ad amare. Poiché: Si è: Dando, che si riceve; Perdonando che si è perdonati; Morendo, che si risuscita a Vita Eterna.
S. Francesco d’Assisi.
Fu grazie a Padre Antonio che cominciai “a credere per capire e capire per credere”, come nutrivo il corpo fisico e la mente anche lo spirito cresceva parallelamente. La specificità di una scelta vocazionale laica francescana come stile e qualità di una vita cristiana in Cristo, nella chiesa, ad modum di terziario cresceva sempre più in me facendo mio il concetto di identità (essere per poter essere ciò che si è). Essenzialità della fraternità, luogo di condivisione dove poter pregare e imparare a pregare da soli ed insieme agli altri, la condivisione e la messa in opera dei propri carismi, la visione Cristologica del Francescanesimo per l’uomo e con l’uomo,la difesa dei diritti dei più deboli e dei più piccoli la visita agli ammalati e ai vecchietti dello ospizio, il servizio a chi era solo, povero e indifeso. La presa di posizione di ciò che si era in famiglia nella scuola e nella società civile; ( basta pensare alle marce e agli appelli fatti alle autorità di allora sui problemi del paese, alla presa di posizione decisa ed autoritaria sulla santità e sull’indissolubilità della famiglia (74 referendum abrogativo sul divorzio) e sul diritto alla vita (aborto), un mix perfetto di valori evangelici e umani, venivano donati, e come cittadini e cristiani venivamo chiamati a metterli in pratica nei nostri impegni tempo10
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rali e sociali. Lui teneva tanto che i suoi giovani si informassero e sapessero di tutto. È ancora vivo il ricordo di quando ancora quattordicenne (insieme a Giovanni Militerno, Luigi Astorino e Salvatore Maramia) partecipai a un convengo T.O.F. interregionale a Siracusa, delle varie gite nei luoghi del Santo Francesco (Assisi, Spello, Rivotorto, Santa Maria degli Angeli, etc.) che fecero nascere sempre più nel nostro cuore l’amore verso il Poverello d’Assisi, un uomo che si spogliò di tutto per sposare “Madonna Povertà” è offrire un modello di vita consistente nello sforzo d’imitare “sine glossa” il Figlio di Dio venuto in Terra per noi per invitarci a vivere <secondo la forma del Santo Vangelo>, e a vivere in perfetta letizia il messaggio d’amore e di pace. Era un modo come un altro per farci conoscere, studiare e amare la Regola dell’Ordine Francescano Secolare (regola n°17 e n°4), e i valori eminentemente Evangelici in essa contenuti, per farci vivere questi valori in fraternità e poi nel contesto del mondo in cui noi e la nostra vocazione secolare eravamo coinvolti e radicati. In quegli anni il passaporto per noi giovani francescani doveva avere il visto dell’amore, della pace, del rispetto del prossimo nonché di noi stessi. La nostra presenza doveva portare un messaggio ricco di gioia, di letizia, di fede profonda, di concordia e di pace, dovevamo essere testimoni di Cristo con la vita e con la Parola. Questi valori evangelici, nonché i valori umani, mi accompagnarono durante gli studi universitari (seguii l’O.F.S. di Bologna come presidente della fraternità locale, poi come presidente di quella regionale dell’Emilia Romagna, poi divenni vice-presidente nazionale della gioventù francescana, partecipai fortemente a formulare come laico lo statuto della gifra). Tuttora nella mia professione di medico specialista in odontoiatria cerco di dare un anima cristiana e umana a tutte le cose che faccio, in ogni realtà terrena, sociale e umana. Ancora oggi, in un mondo dove la globalità fa da padrona, dove l’efficienza arriva fino all’esasperazione, dove la tecnocrazia, le frontiere ardite della genetica e dell’ informatica portano l’uomo alla solitudine e alla scontentezza interiore, la fede in Dio e l’essere cristiano francescano riempiono di gioia e serenità il mio essere e il mio vivere. Spero, come mi ha insegnato il mio maestro, Padre Antonio Pignanelli, di accendere ovunque la lampada della speranza, della fiducia, dell’ottimismo, trovando la sorgente nel Signore Stesso. Grazie Padre Antonio e alla comunità tutta dei Padri Cappuccini. San Giovanni in Fiore, agosto 2011. Franco Rizzuto
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Padre Antonio Pignanelli
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S
ono passati 25 anni dalla morte di p. Antonio. Una vita! Eppure “fratello parroco” è vivo, è sempre in mezzo a noi, nella nostra vita, nei ricordi, nell’insegnamento che ci ha lasciato. Chiudi gli occhi e lo vedi, lo senti, lo tocchi. Ha lasciato tanto, ci ha insegnato tanto, ha fatto molto da non poter essere dimenticato. Ed ecco la ragione per cui abbiamo pensato di riproporre la sua biografia, scritta di getto subito dopo la sua morte. La potrete leggere di seguito, per riscoprire, ritrovare, rivivere una storia grande, una vicenda umana, religiosa, sociale che ha caratterizzato la vita della nostra comunità, dei Cappuccini e di Santa Lucia — la “sua” parrocchia — e del convento di Acri. P. Antonio Pignanelli ha segnato la vita di tantissimi di noi. E quello che ci ha dato ha guidato il nostro impegno, ha orientato le nostre scelte, ci ha aiutato ad essere uomini e donne, suore e frati... protagonisti e attori del nostro tempo. Ma sempre nel nome di Francesco di Assisi, che lui ci ha fatto conoscere ed amare in profondità. E per sempre! Abbiamo avuto la fortuna di avere incontrato p. Antonio e di aver percorso con lui un tratto importante del nostro cammino su questa terra: è stato un dono bellissimo, che porteremo per sempre con noi. San Giovanni in Fiore, settembre 2011. Franco Laratta
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Padre Antonio Pignanelli
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Presentazione
A
ssieme a Padre Antonio ho iniziato il cammino verso la vita religiosa e sacerdotale. Ci siamo incontrati ad Acri, nel Seminario del Beato Angelo. Lui vi era entrato due anni prima di me e subito fu amicizia fraterna, che si consolidò per tutti gli anni che fummo insieme, vale a dire tutto il tempo della nostra comune formazione: seminario ad Acri e Belvedere, noviziato a Chiaravalle, studentato a Cosenza. In tutto, dieci anni! Dopo l’ordinazione sacerdotale ci dividemmo: lui ad Acri ed io a Rossano, ma l’amicizia e la stima reciproca non vennero mai meno ed era festa quando ci incontravamo. P. Antonio aveva un carisma che già esercitava fin da seminarista: la leadership. Era, come lo chiamavamo noi per scherzo, l’uomo. Punto di riferimento insostituibile, mandava giù a memoria date e ricorrenze, scadenze da ossequiare per non incorrere nella severità del direttore. Parlo del tempo della nostra formazione perché P. Antonio era già allora quello che sarebbe stato per tutta la sua vita: uomo di preghiera e di azione. Nel seminario, come nello studentato, P. Antonio ha dichiarato il suo amore incondizionato verso la preghiera: accanto alle orazioni stabilite dal nostro regolamento, ogni giorno recitava il rosario per intero unitamente al Piccolo Ufficio della Madonna, che portava in tasca ed estraeva nei ritagli di tempo. Un’altra devozione a cui teneva erano i Quindici sabati in onore della Madonna di Pompei, che lui mi trasmise e aiutò ad osservare: “Leopo’, domani è sabato”. Dotato di fortissima volontà, era lui, in qualità di decano, a suonare il campanello degli atti comuni, e quando gli orologi erano poco diffusi, per osservare gli orari adoperava una vecchia sveglia con la quale si muoveva lungo i corridoi: scena che accendeva la nostra ilarità, a cui opponeva un didascalico gesto della mano che invitava alla precisione, sdrammatizzato da un’espressione soddisfatta che gli dipingeva il volto. Parte della mia educazione alla preghiera la debbo proprio a P. Antonio, che l’ha sempre messa al primo posto. Inculcava agli altri un valore a cui egli credeva e che praticava fermamente. Non mi meraviglio se entrando nella chiesa di S. Lucia trovo persone che pregano e adorano Gesù Eucarestia: è quel seme che P. Antonio ha sparso e che continua a svilupparsi sotto l’azione benefica dello Spirito Santo. P. Antonio fu uomo di azione: è stato detto che i più grandi mistici sono stati i più grandi uomini di azione. È vero. Ce lo dimostra la storia della Chiesa: i grandi Padri passavano dal deserto alla guida delle Diocesi e della Chiesa; i grandi monaci del Medio Evo passavano dai conventi alle opere sociali e alla evangelizzazione dell’Europa; S. Francesco, dai luoghi di ritiro alla pre15
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dicazione itinerante e alla pacificazione dei Comuni; così Teresa da Calcutta, dalla contemplazione ai marciapiedi per raccogliere i morenti abbandonati. P. Antonio non si fermò alla preghiera, ma fece di essa il fondamento della sua azione. Intanto agiva, in quanto la preghiera lo spingeva ad operare. Per lui l’apostolato non era un’occasione per evadere dalla vita religiosa, ma un bisogno di comunicare agli altri quello che lo Spirito gli suggeriva nella preghiera.Quando andava a predicare per i vari paesi non divagava, ma tornava in convento per ricaricarsi; da parroco si era imposto di ritornare puntuale in convento per unirsi alla preghiera comunitaria. Ci si meraviglia della grande mole di opere e di iniziative di P. Antonio, io non mi meraviglio, sono la naturale conseguenza del suo spirito di preghiera. Nella preghiera attingeva la forza di operare e l’azione non lo distoglieva dall’orazione, memore di quanto diceva S. Francesco: “… a quei frati ai quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, lavorino fedelmente e devotamente da non estinguere lo spirito della santa devozione e orazione”. Quando ad Acri dotava di riscaldamenti il convento e la basilica di banchi, quando rifondeva le campane, quando peregrinava per gli Stati Uniti alla ricerca di fondi per finanziare i lavori, mai trascurava il suo primario impegno della preghiera. E quando la Provvidenza lo ha chiamato parroco a S. Lucia, il suo lavoro apostolico lo ha poggiato su salde fondamenta: la preghiera. Uomo evangelico, P. Antonio, non voleva costruire sulle sabbie mobili della logica umana, ma sulla roccia, perché era consapevole che il Signore lo aveva mandato a S. Lucia per gettare salde fondamenta affinché altri, dopo di lui, potessero continuare quanto aveva iniziato. La preghiera lo spingeva a difendere i diritti dei più piccoli: chi non ricorda le marce, gli appelli, perché le autorità lavorassero con più impegno per risolvere i vari problemi del paese; le battaglie per difendere la santità e la indissolubilità della famiglia; la battaglia contro l’aborto? Tutto questo perché credeva nei valori fondamentali della vita. Alla fine di queste semplici riflessioni, mi debbo congratulare con te, caro Franco, che, spinto da un grande affetto, hai voluto raccogliere scritti e testimonianze per presentarle agli amici di P. Antonio perché la sua memoria sia in benedizione e il suo esempio sia di sprone alla larga schiera di collaboratori rimasti ad edificare su quanto lui ha iniziato. Esempio ai giovani, perché i più sensibili e generosi ne seguano l’esempio e la vocazione, perché il nostro paese continui ad essere serbatoio di vocazioni per la nostra Provincia di Frati Cappuccini che si onora di avere dato un frate cappuccino come P. Antonio Pignanelli. Cosenza, 16-5-87
P. Leopoldo Tiano Min. Provinciale Cappuccini – Cosenza 16
Padre Antonio Pignanelli
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“Offro per voi questa mia sofferenza”
C
on queste parole Padre Antonio salutò Francesca e me nel giorno del nostro matrimonio, il 27 settembre 1986, una settimana prima della sua morte. Da molti giorni, ormai, non riusciva più ad alzarsi dal letto, a causa delle precipitate condizioni di salute; volle però partecipare ugualmente alla gioia delle nostre nozze. Non potendo dunque celebrare la Messa per quel giorno, come aveva desiderato, volle benedirci nella sua stanzetta del convento dei Padri Cappuccini di San Giovanni in Fiore, al termine del rito svoltosi nella chiesa conventuale. Salimmo io, Francesca e P. Cornelio Saita il quale, insieme ad altri frati, aveva celebrato la funzione religiosa. Lo trovammo in attesa e preoccupato del nostro ritardo. Ripeteva: “Ma quando vengono, quando vengono?”: temeva infatti di perdere la lucidità da un momento all’altro, conscio forse della fine imminente. Aveva voluto per l’occasione che la sua stanza fosse rimessa in ordine, quasi per apparire in festa per noi; alla porta sostavano i suoi familiari, Giuseppina e Severina, che lo assistevano con cura e devozione ammirevoli. Appena entrati nella stanza, Padre Antonio si sforzò di mostrarsi quasi allegro, e un lieve sorriso affiorò per un istante sul suo viso ormai disfatto. Ci pregò immediatamente di alzarci (ci eravamo infatti inginocchiati davanti a quel sacrificio che si consumava lentamente) e, prese le nostre mani tra le sue, sussurrò: “Avevo preparato un discorsetto per voi, ma non so se ci riesco”. La voce sempre più esile, lo sguardo partecipe ma stanco, le mani tremanti. “Vi dico solo di volervi bene, di stare uniti, di avere fede e di frequentare sempre l’Eucarestia” – concluse benedicendoci. Il suo sguardo ci seguì fino a quando non uscimmo dalla stanza, mentre a stento trattenemmo le lacrime: era quella l’ultima volta che lo avremmo visto, ed io lo sentivo. Al ritorno infatti dal mio breve viaggio di nozze, quella stanza la trovai chiusa e quel corridoio vuoto. Fino a poco tempo prima della sua morte, aveva tanta speranza di riprendersi, si aggrappava ad un sottile filo che lo univa tenacemente ancora alla vita. Non perdeva mai l’occasione per dire a chiunque gli facesse visita che voleva tornare subito nella sua parrocchia perché aveva lasciato tante cose in sospeso, perché dovevano riprendere al più presto i lavori della costruenda chiesa parrocchiale. Voleva vivere ancora, voleva tornare fra la sua gente, si 17
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sentiva ancora forte ed in grado di continuare a svolgere il suo lavoro. Del resto Padre Antonio Pignanelli aveva trascorso tutta la sua vita senza mai concedersi un momento di pausa. Si fermava solo per pregare: un ampio spazio della sua giornata era dedicato alla meditazione, alla lettura del breviario e alla recita del Rosario. Era infatti nella preghiera costante che trovava la forza per portare avanti i suoi progetti. Sin da bambino, il piccolo Salvatore Pignanelli aveva esibito un carattere forte e un coraggio non comune. Erano anni di fame e di guerra per l’Italia, così rimasti scolpiti nella memoria di Padre Antonio: “Ho frequentato le scuole elementari ed il 1° Industriale in San Giovanni in Fiore. Era periodo di guerra, tempi tristi sotto ogni aspetto. Ero il primo dei fratelli maschi e papà aveva una grande fiducia in me, poiché, seppur piccolo, riuscivo in tutte le imprese. Regnava una fame terribile: ebbene, ritornavo a casa portando sempre qualcosa. Compravo di tutto, spuntandola sulla folla di manzoniana memoria accalcata davanti ai forni e ai negozi. Mamma mi svegliava di buon mattino e così evitavo la fila. Una volta fui tenuto con le mani in alto dai tedeschi, i quali volevano per forza delle macchine. Ero in quell’ officina ad attendere un amico di papà che doveva consegnarmi della farina”. Padre Antonio Pignanelli nacque a San Giovanni in Fiore il 26 settembre 1931 (“Sono nato lo stesso giorno in cui nacquero San Francesco d’Assisi e Papa Paolo VI”). Morì il 3 ottobre 1986 (il 3 ottobre moriva San Francesco!). Il padre era falegname, la madre casalinga. Dei cinque fratelli, Maria, Gilda, Rosetta, Franco e Mario, la prima è suora (Suor Marcellina della Congregazione delle Suore Battistine). Salvatore Pignanelli decise di entrare in convento, fra i Cappuccini, il 17 Novembre 1945: “Raggiunsi Acri – scrive – con un camion, alle 11,45. In Acri frequentai il ginnasio. Il 6 dicembre, sempre con un camion, partii assieme agli altri seminaristi con a capo il direttore, P. Alfonso Basile, il vicedirettore, P. Aurelio Tiano, ed il guardiano di Acri, P. Agatangelo Peluso, diretti a Belvedere Marittimo dove era stato trasferito il Seminario. Il 14 ottobre 1950 partii per il noviziato di Chiaravalle insieme a Giovanni De Luca e P. Aurelio. Ebbi due maestri: da ottobre ad aprile P. Gregorio della Provincia di Salerno, da aprile ad ottobre P. Elia da Cupramontana (Ancona). Feci la vestizione il 24 ottobre (S. Raffaele). I miei compagni furono F. Pio e F. Daniele. Il 25 ottobre del 1951 (Cristo Re) emisi la professione semplice. Il giorno dopo lasciammo Chiaravalle per lo studentato di Cosenza. L’8 dicembre del ’54 (Anno Mariano) emisi i voti solenni. Il 12 gennaio del ’58 fui ordinato sacerdote. Il 24 novembre del ’65 sono stato eletto superiore di Acri. Dabit virtutem, qui contulit dignitatem (Leone I)”. 18
Padre Antonio Pignanelli
a 25 anni dalla morte
La vicenda di Acri, i viaggi in America e la sua avventura parrocchiale a San Giovanni in Fiore saranno qui ripercorsi in ordine cronologico, sperando di non banalizzare col nostro entusiasmo una figura così nobile. Quell’estate ’86 P. Antonio la trascorse semimobile nel letto, che abbandonava solo per sottoporsi ad accertamenti specialistici e all’estenuante chemioterapia negli ospedali romani. Nonostante le gravi condizioni di salute, continuava a guidare le attività parrocchiali e programmare il futuro. Aveva infatti l’abitudine di organizzare il suo lavoro con molto anticipo: un anno prima reclutava i vari predicatori, fissava le date delle conferenze, dei viaggi e di ogni altra attività. Era di carattere esigente e severo, anche con se stesso, tanto che bisognava rimproverarlo per convincerlo ad alleggerirsi delle sue costanti preoccupazioni. Aveva cieca fiducia nell’aiuto divino, che non lo esonerava però dal lavoro, indispensabile per propiziarsi i doni della Provvidenza. Impressionava la sua pignoleria, il culto del dettaglio e la ricerca della perfezione. Ricordo quando lo accompagnavo a Cosenza o altrove (capitò spesso, non aveva la patente di guida): mi chiamava puntuale il giorno prima per sollecitarmi a fare benzina e poter partire presto l’indomani. Me lo rammentava pur sapendo che non me ne sarei dimenticato, consapevole di quanto fosse scrupoloso e ligio. Questo rigore gli consentiva di arrivare sempre in orario a qualsiasi appuntamento, anche se fissato un mese prima; così per le varie riunioni, nonostante fosse al corrente della brutta consuetudine della mezzora di tolleranza sull’inizio dei lavori. Il suo orologio era perennemente in avanti di 10 minuti sull’ora reale, nella improbabile ipotesi di un suo forzato ritardo. Non gli sfuggiva niente: per l’onomastico delle persone a lui più vicine aveva un pensiero gentile, una telefonata, e non mancava di inviare una cartolina di saluti quando si trovava fuori, anche per qualche giorno, per un convegno o un periodo di riposo. Ho conosciuto P. Antonio sin dal primo giorno del suo trasferimento a San Giovanni in Fiore. Era il 1972. In quegli anni il convento dei Cappuccini era ancora un punto di riferimento e di ritrovo per molti ragazzini che come me vi trascorrevano gran parte del loro tempo libero, aiutando i frati nelle funzioni religiose e nelle attività conventuali. Il convento dei Cappuccini era per tradizione considerato la casa dove chiunque veniva ben accolto dagli ospitali frati, che amavano circondarsi di giovani e adulti dell’Azione Cattolica. Purtroppo, col passare degli anni non fu più così, per vari motivi, fra cui il cambiamento profondo della società degli anni ’70 e la conseguente secolarizzazione della vita e del pensiero.
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P. Antonio proveniva da Acri, dove aveva speso gli anni giovanili, aiutato anche dalla salute ancora buona. Fu mandato in quel convento subito dopo la sua ordinazione sacerdotale e vi rimase per circa 13 anni come superiore della Comunità cappuccina, insegnante, padre spirituale e vicedirettore del Seminario. In quegli anni ebbe occasione di farsi apprezzare anche come predicatore. Da guardiano del convento, si adoperò per ristrutturare la casa e dare lustro al Santuario del Beato Angelo: per reperire i fondi si recò più volte in America, e questi lunghi viaggi provarono il suo fisico. Ad Acri, per celebrare il 3° centenario della nascita del Beato Angelo, concepì e realizzò il pellegrinaggio dell’urna per la terra calabra. In quell’occasione fu proprio il suo spirito organizzativo a prevalere sulle difficoltà incontrate, e a sancire un meritato successo. I 13 anni di apostolato ad Acri hanno lasciato un segno profondo: ancora oggi P. Antonio è vivo nel ricordo di quella comunità.
P. Antonio e i cappuccini di Acri nella cripta del Beato Angelo. 20
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P. Antonio ad Acri e in America
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ell’esperienza acrese ne parla ampiamente P. Arcangelo da San Giovanni in Fiore, già superiore provinciale dei Cappuccini e per diversi anni guardiano del convento di Acri. L’anziano frate ha seguito sin dai primi anni la vicenda religiosa di P. Antonio. “Io, P. Arcangelo, terminato il mandato di superiore provinciale, lasciai la sede di Cosenza e per obbedienza fui mandato a presiedere la nostra comunità nel convento di Morano Calabro. Alla fine del triennio i nostri studenti mi fecero una sorpresa: nel luglio del ’53, ricorrendo il mio 25° di sacerdozio, accompagnati dall’allora provinciale, P. Giovanni da Bucita, e da altri padri, vollero farmi corona. Tra questi si distingueva il giovane F. Antonio Pignanelli, che mostrava una encomiabile deferenza per gli anziani ex superiori. Nell’ottobre del 1953 fui mandato ad Acri quale padre guardiano di quel convento e durante il sessennio di guardiania, quasi ogni anno, gli studenti venivano a trascorrere le vacanze al Santuario del Beato Angelo. Spesso vedevo F. Antonio pregare inginocchiato dinanzi all’urna che conteneva le reliquie. Devozione che egli conservò ininterrottamente fino agli ultimi giorni della sua vita. Nel 1958 fu ordinato sacerdote. Terminato il mio mandato di superiore ad Acri, fui chiamato a dirigere il Seminario Serafico nell’ottobre 1959 e quale vicedirettore fu nominato il giovane P. Antonio. Si rivelò un validissimo aiuto nella gestione dei seminaristi. Zelante ed entusiasta, eccelse nella regolare osservanza quanto nella vita comune. I superiori del tempo, compresi i suoi carismi che lo predisponevano a una squisita carità fraterna ed una spiccata attitudine per la guida delle anime, lo elessero padre guardiano della Fraternità di Acri. Nel corso del sessennio si rivelò all’altezza di tale ufficio. Al suo fianco come vicario ed economo, posso testimoniare la sua incessante preoccupazione per il bene spirituale e materiale dei confratelli, e per il decoro pastorale del Santuario del Beato Angelo e della piccola chiesa conventuale. Di quest’ultima ebbe particolare cura, rinnovandone il pavimento con pietra di Trani. Sull’altare centrale del santuario, a sinistra di chi entra, situò l’urna del Beato Angelo, dietro suggerimento dell’architetto. Andò una prima volta in America, raccogliendo l’invito di amici che lo stimavano: nei 20 giorni di permanenza conobbe la calda ospitalità degli emigrati acresi. L’anno dopo vi ritornò per un periodo più lungo, durante il quale avrebbe visitato le famiglie degli emigrati e chiesto aiuto per le emergenze del convento e del seminario, che egli voleva dotare di riscaldamento 21
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nonostante la proibitiva spesa calcolata in 12 milioni di lire. La sua umiltà, mista a gentilezza e garbo, gli aprì le porte dei paesani, che sensibilizzò anche al progetto di decoro che interessava il Santuario, monumento del Beato Angelo, e la piccola chiesa cappuccina, dove il Beato ricevette il germe della sua vocazione, iniziò la sua missione apostolica e dove il suo corpo rimase sepolto per circa un secolo. Era inverno. Mi raccontava che quell’anno in America fu rigidissimo, e Lui cominciò ad avvertire un lancinante dolore nelle viscere. Poiché ogni americano dalla mattina fino al pomeriggio inoltrato era occupato nel lavoro, lui era costretto a starsene rannicchiato negli angoli delle botteghe dei paesani ad attendere le ore libere della sera per avere un compagno che lo conducesse nelle case delle famiglie. Allora, forte della sua gioventù, camminava volentieri fino ad ora tarda. Gli amici devoti del Beato Angelo imbandivano tavole con ogni ben di Dio. P. Antonio ringraziava dell’ospitalità, accettando lo stretto necessario per non minare la sua malferma salute. Era soddisfatto quando rincasava dall’ anziano amico che gli offriva una stanza riscaldata per riposare e lo aiutava a registrare le offerte. Alla fine di ogni mese spediva acconti alla ditta a cui era stata appaltata l’installazione dei termosifoni. Come era contento quando gli scrivevo che il lavoro era a buon punto e l’imprenditore era soddisfatto! Rientrato ad Acri, sollevato dai risultati che il suo sacrificio aveva prodotto, fissò un nuovo obiettivo. Si avvicinava l’anno 1969 e, per celebrare solennemente il 3° centenario della nascita del Beato angelo, pensò ad un pellegrinaggio attraverso i paesi della provincia di Cosenza dove il Beato per circa quarant’anni svolse l’impegno apostolico. I Padri Superiori del tempo accolsero favorevolmente l’idea. P. Antonio, dal canto suo, accompagnato da alcuni volenterosi, andò di porta in porta nel paese e nella campagna di Acri per raccogliere i fondi. La gente, dinanzi all’abnegazione del P. Guardiano del convento, corrispondeva generosamente. In pochi giorni racimolò il necessario col quale finanziare le manifestazioni religiose e folkloristiche. L’ultimo giorno, alla presenza del cardinale Ursi di Napoli, che aveva celebrato un solenne pontificale, il padre provinciale, P. Francesco Scannavino, rimpiazzò le sette spade d’argento che trafiggono il cuore dell’Addolorata del Beato Angelo con altrettante spade d’oro. Medesima sostituzione per il cuore d’argento che la statua reca in mano. Si poteva scorgere nell’espressione stanca ma vitale di P. Antonio la contentezza per la risposta entusiasta dei fedeli: segno che la devozione verso il Beato Angelo era profondamente radicata. Dopo tre anni di vicedirettore del Seminario e sei anni di guardiano del con22
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Visita del cardinale Ursi al Convento di Acri. 23
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vento di Acri, nutriva il segreto desiderio di rimanere ancora sul campo a lavorare, ma la volontà di Dio, manifestatasi attraverso i superiori, disponeva che la sua multiforme attività si esplicasse nel suo paese natìo. E così, con rinnovato coraggio, si cimentò nell’ambizioso progetto di costruire una nuova chiesa. Ci sarebbe riuscito per l’indomita costanza della sua volontà” (P. Arcangelo da San Giovanni in Fiore). Qui di seguito alcuni appunti in cui P. Antonio scrive dei viaggi in America compiuti nel periodo acrese: “17 ottobre 1969: partenza per Brooklyn. 26 ottobre: Panegirico del Beato Angelo nella Chiesa dei Frati Minori. 2 novembre: Panegirico del Beato Angelo nella Chiesa di Mount Vernon (New York). 6 novembre: parlai dalla stazione radio italiana di New York agli emigrati. Dal 9 novembre, per 15 giorni, mi sono fermato a Westerly. Dal 3 al 22 dicembre, a Nutley, Netticonk ecc. (per il freddo mi si è bloccato il cibo nello stomaco). Dal 23 al 27 dicembre a Brooklyn (qui mi sono ammalato di bronchite). Dal 9 al 16 febbraio nel Massachusetts; poi nello stato di New York dove ho predicato la Quaresima agli italiani della parrocchia di S. Rosalia in Brooklyn. Il 15 giugno del ’70 lasciai l’America e inaugurai il primo volo di ritorno del Jumbo Jet Alitalia”. Il 27 ottobre del 1970 avvenne in Acri un fatto straordinario. La campana di 11 quintali si staccò dal supporto e cadde sul piano della cella campanaria inghiottendo il fratino Rinaldo Panza e amputando l’alluce ad un altro che, insieme ad un gruppetto di ragazzini, si accingeva a suonare le campane per l’imminente festività del Beato Angelo. Ecco la scena descritta dal cronista del convento di Acri: “L’allarme venne dato dal fratino Mario Lupinacci, il quale, incurante della ferita al piede, chiese aiuto in chiesa per il compagno rimasto sotto la campana. Figurarsi l’impressione del superiore, P. Antonio Pignanelli. Tutta la fraternità si mobilitò in quel tragico momento: tutti accorsero per sollevare il campanone. Sotto la guida del Superiore, che diede prova di un coraggio leonino e una presenza di spirito eccezionale, si riuscì a liberare il fratino dopo un’ora, grazie all’intervento di altri uomini. Secondo i tecnici, fra i quali l’ing. Lucenti di Roma, data la statura del ragazzo era inevitabile la disgrazia. Invece, rimase illeso”. Quella sventata tragedia, e così anche la decisione di un nuovo viaggio in America, venne così ricordato da P. Antonio: “Fu una notte indimenticabile! Dopo questo mirabile avvenimento si cominciò a parlare della fusione della campana. 24
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La campana del santuario di Acri. 25
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Il 1�������������������������������������������������������������������������� ° novembre 1970 partii ���������������������������������������������������������� per il Policlinico Gemelli di Roma dove era ricoverato il mio caro papà. Incontrai la ditta Lucenti, che nel lontano 1897 aveva fuso le campane, e feci visita al P. Generale per ottenere il permesso di recarmi nuovamente in America per la raccolta di fondi. La ditta Lucenti stipulò il contratto: fusione, dispositivo elettrico e messa in opera, L. 3.500.000. Inoltre, per la sistemazione delle scale, un altro milione e mezzo. Il 10 marzo al refettorio tenni la riunione della Fraternità. Discutemmo su tanti problemi e, al margine di essa, annunciai la mia partenza per la predicazione in America. Il 19 marzo decollavo dall’aeroporto di Fiumicino alla volta dell’America. Con quanta tristezza lasciavo l’Italia, i miei cari, i miei confratelli: nessuno potrà mai capirlo! Tristezza esacerbata anche dall’incertezza della mia impresa. In America fui accolto con grande simpatia ed affetto dagli amici più intimi e dagli altri che conobbi durante il soggiorno”. P. Antonio rimase in America per tre mesi, predicando nelle varie chiese frequentate dagli emigrati italiani. Furono giorni di sacrifici e di notevole sforzo fisico, ai quali non aveva inteso sottrarsi per onorare la sua missione. I frutti non tardarono, e consentirono al Superiore di Acri di realizzare molte opere. Ecco il consuntivo da lui stesso tracciato: “Il 14 luglio 1972 è scaduto il mio mandato di superiore in Acri. Circa sette anni di superiorato durante il quale ho portato a termine le seguenti opere: 1) restauro della chiesa piccola; 2) biblioteca; 3) sei bagni e due stanzette per lavapiedi, lavatrice ecc.; 4) riparazione della cupola; 5) installazione dei termosifoni nelle due chiese, in convento e nel seminario; 6) banchi nuovi nelle due chiese; 7) fusione e suoneria automatica delle campane; 8) citofoni in convento; 9) illuminazione al quarzo nel Santuario; 10) muro con cancellata in ferro; 11) altare nuovo del Beato Angelo; 12) parafulmine. Il 5 settembre del 1972, dopo 13 anni di residenza ad Acri, venni trasferito nel mio paese natale col ruolo di vicesuperiore”. Ecco cosa ha scritto il 24 maggio 1970 il più diffuso giornale della comunità italo-americana, Il Progresso italo-americano: “Una serata di addio in onore di Padre Antonio Pignanelli, superiore del 26
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convento del Beato Angelo d’Acri (Cosenza), avrà luogo il 30 maggio nella sala Columbus, 86th st., 13th Avenue in Brooklyn. Allieterà la manifestazione l’orchestra di Joe Lurito, con Gina Rosa e la partecipazione straordinaria di Claudio De Angelis. Farà da maestro di cerimonie Antonio Piraino. Padre Antonio Pignanelli ha predicato la missione in preparazione alla Pasqua nella chiesa di S. Rosalia di Brooklyn, gremita di fedeli e curiosi. Il giovane predicatore ha dissertato su temi d’attualità con incisiva chiarezza, tanto da riscuotere il plauso di tutti gli intervenuti che in lui hanno visto la figura di un autentico figlio di S. Francesco d’Assisi. Padre Antonio, cosciente del suo ruolo di superiore di un convento che ospita 50 ragazzi, deve però ritornare in Calabria. Gli oriundi della cittadina di Acri organizzano per congedarlo un buffet-dancing: sollecitano offerte a sostegno dell’opera del Padre e gli strappano la promessa di una nuova visita per riascoltare la sua calda e appassionante parola francescana”.
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P. Antonio con il primo gruppo di giovani terziari francescani. 28
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P. Antonio: assistente del T.O.F. di San Giovanni in Fiore
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iunto a San Giovanni in Fiore nel 1972, Padre Antonio cominciò a lavorare come assistente spirituale della Fraternità francescana secolare (il TOF) nel tentativo di darle un rinnovato impulso. Moralmente era abbattuto per l’improvvisa morte di entrambi i genitori avvenuta nel giro di sette giorni: “Il 9 giugno alle 7.00, mio padre, dopo tante inaudite sofferenze, volava in cielo – così scrive – e il 16 giugno mamma, non sapendo resistere alla dipartita di papà, alle 16.00, lo raggiungeva per iniziare insieme le vacanze eterne. Che giorni terribili! Solo la fede e l’amore verso Gesù mi diedero la forza di sopportare una così grave perdita. Fiat voluntas tua”. La Fraternità francescana secolare, oramai in pieno declino, venne completamente ringiovanita sotto la guida di Padre Antonio: con la sua dolcezza, il suo morbido approccio, conquistò molti giovani, ai quali illustrò l’attualità del messaggio francescano, convincendoli ad aderire al gruppo e partecipare agli incontri settimanali che egli teneva. Il Terz’Ordine divenne presto una frequentatissima scuola sul francescanesimo, e con il passare del tempo il gruppo giovanile imparò ad uscire allo scoperto e ad affrontare temi sociali, partecipando a diverse iniziative, alcune delle quali clamorose per quell’epoca. P. Antonio portò i giovani a visitare i più importanti luoghi francescani d’Italia: Spello, Assisi, La Verna, Cerbaiolo, furono tappe indimenticabili. Il fascino della natura avvolto in un clima di spiritualità che rende unici questi borghi, inebriarono il gruppo. La visita ad Assisi e, soprattutto, alla Verna; la settimana di ritiro nel convento di Spello, messoci a disposizione dai Cappuccini, provocarono una dolce violenta scossa alle nostre coscienze. Per alcuni fu l’inizio di un percorso spirituale culminato con la decisione di abbracciare il sacerdozio. Gli altri, che pure avevano conosciuto emozioni intense nel tour francescano, poterono così esprimersi nel bollettino interno del gruppo: “Dopo questo ritiro ho capito che l’unica cosa veramente importante è amare il prossimo. Alla Verna stavo inginocchiato sulla pietra e in quel momento Padre Antonio mi disse che lì aveva dormito San Francesco. Sentii un freddo nelle ginocchia e non riuscivo ad alzarmi se non dopo la preghiera” (Tonino Foglia). “Nella quiete e nel silenzio progredisce l’anima devota. È necessario che nella vita ci sia un po’ di meditazione: io dopo aver visto quei posti dell’Umbria mi sento cambiata, anche perché ho capito che Francesco cercava la vera libertà attraverso la liberazione dell’anima. Inoltre, dopo aver visitato La Verna non ho fatto altro che piangere!” (Mena Pignanelli). 29
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“Ho appena 16 anni e finora non ho mai provato una gioia come quella provata in questo ritiro. Mi sento un po’ cambiata in tutti i campi: questo ritiro mi è servito e mi servirà durante il cammino che dovrò fare, mi ha insegnato tante cose che prima la mia mente neppure sfiorava. È stata un’esperienza bellissima” (Antonella Audia). “… non lo so, ma sulla Verna non ero più capace di leggermi dentro. Avrei voluto pregare, ma non mi riusciva di aprire bocca: il cuore stava già urlando la sua preghiera più violenta di mille parole, e l’anima recitava il suo primo io credo sincero, spontaneo, inarrestabile. Provate voi che non credete, che non avete mai conosciuto Cristo, provate ad entrare nella grotta dove Francesco ha posato per tante notti il suo corpo stanco e consumato da troppo amore, dove per 39 giorni vi è rimasto digiunando, ripagato solo del suo colloquio con Dio, e quando ne uscirete, ne sono certa, Cristo avrà piantato la sua spina anche nel vostro cuore. Noi quando siamo usciti abbiamo pianto, senza saperne il perché, e ancora adesso non riusciamo a parlare con tranquillità della Verna. Forse è perché ci siamo trovati davanti a qualcosa di troppo grande, di inspiegabile, che non riusciamo a farcene una ragione” (Lucia Ruà). “Durante le meditazioni del ritiro ognuno di noi ha capito che è una pietra della Chiesa e deve fare del suo meglio perché essa non vada in rovina, anzi si propaghi e si consolidi. Il ritiro ci ha insegnato ad amare, ma nessuno di noi può dare quello che non ha: bisogna amare prima Dio per poi poter amare il prossimo” (Domenico Foglia). “È molto difficile spiegare quello che si è sentito in quei luoghi. Posso dire di aver visto dentro me stesso la mia nudità, la mia incoerenza con Cristo, la maschera che porto per nasconderla, i miei pochi pregi e i tanti difetti” (Luigi Congi). Al termine di ognuna di quelle esperienze nei luoghi francescani d’Italia tornavano carichi di tanta voglia di vivere e di cambiare il mondo. Con Padre Antonio andai dappertutto: dall’Umbria a Venezia, Roma, Firenze, Pompei, San Giovanni Rotondo. Voleva che andassi anche quando i problemi economici giovanili me lo impedivano: pensava lui poi a trovare la solita anima pia disposta a sacrificarsi e a contribuire finanziariamente. P. Antonio si impegnava tantissimo per il Terz’Ordine, ma viveva continua30
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mente nel dubbio di non essere in grado di soddisfare le richieste di tanti giovani che oramai affollavano il gruppo. Ecco cosa scriveva alla giovane terziaria Gina Cirillo nel ’77: “Vorrei dare di più, ma forse oggi io sono già superato. In seno al TOF ci vorrà uno che abbia le qualità adatte per il momento attuale. Vorrei infondere in tutti quel senso di fratellanza, quella finezza d’animo, quella profonda pietà, quella schiettezza francescana, ma mi sento così incapace che tante volte mi sento smarrito, solo, e mi viene la voglia di piangere perché penso che tante persone, tanti giovani, si attendono molto da me ed in me c’è così poco. Vorrei inginocchiarmi dinnanzi a ciascuno di voi per la stima che nutrite per me e che io non merito”. Col tempo, il Terz’Ordine di San Giovanni in Fiore entrò in contatto coi gruppi francescani di altre regioni. Cominciò così una lunga stagione fatta di incontri, convegni e seminari, alla quale non mancarono mai i delegati di San Giovanni in Fiore. Padre Antonio teneva moltissimo alla partecipazione dei suoi giovani ai vari appuntamenti organizzati a livello nazionale, tanto che l’allora assistente nazionale del TOF, Padre Vincenzo Frezza, volle pubblicamente elogiare l’impegno dei giovani sangiovannesi portandoli quali esempio agli altri gruppi francescani. Anche il padre provinciale di Cosenza, Padre Celestino Marra, seguì con attenzione il lavoro di P. Antonio. Andava tanto orgoglioso del Terz’Ordine di San Giovanni in Fiore da dichiarare: “Devo dire che il gruppo che mi ha dato più soddisfazioni da provinciale è stato il TOF di San Giovanni in Fiore. I giovani del TOF hanno portato la loro voce in tutte le parti. Hanno lavorato con serietà, credono veramente e si impegnano in molti campi. Ovunque hanno portato il francescanesimo: nelle piazze, nelle scuole, nelle case. Padre Antonio è un abile maestro per loro!”. Fra le tante iniziative portate a termine da quei giovani va ricordato il Natale francescano, nel 1975: una straordinaria raccolta di capi di abbigliamento da consegnare alle famiglie bisognose del paese. Altrettanto lodevole, la pubblicazione di un giornalino interno del gruppo francescano (distribuito in seguito davanti le chiese e le scuole cittadine), che andò avanti per alcuni anni e che si occupava di tanti argomenti. Padre Antonio affidò a me la direzione di quel bollettino, redatto con altri ragazzi del gruppo. Si interessò personalmente della sua diffusione, ma mai invase la nostra autonomia nella scelta o impostazione degli articoli da pubblicare: aveva rispetto delle nostre intelligenze! Il gruppo si allargava e Padre Antonio puntava a coinvolgerlo sui temi sociali, portandolo al fianco di quanti soffrivano e lottavano per la mancanza del lavoro (la disoccupazione dalle nostre parti è sempre stato un dramma). Si spiega così la partecipazione a manifestazioni sindacali e la distribuzione di volantini all’interno di esse con cui esprimere la solidarietà agli operai in lotta. 31
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Per quegli anni, i cattolici nei cortei dei lavoratori rappresentavano una novità, salutata ovunque con benevolenza. I giovani del TOF non mancarono all’importante appuntamento per la scuola a metà anni ’70 quando si tennero le prime elezioni dei consigli di distretto scolastico e d’istituto, volute dai famosi decreti delegati. Molti giovani francescani vennero eletti in questi nuovi organismi dopo battaglie vivaci, fatte di confronti e anche di scontri. Il 1974 era l’anno del referendum abrogativo della legge sul divorzio. Per tale occasione, grande fu l’impegno di P. Antonio, il quale scese nelle piazze in difesa dell’indissolubilità del matrimonio. Tenne una serie di comizi nel nostro paese e nel circondario entusiasmando la folla accorsa: non capita spesso vedere un frate affrontare con tanta disinvoltura le piazze gremite! Non ebbe difficoltà nell’affrontare i cattolici per il NO: per loro, era semmai dispiaciuto; diceva spesso che non si erano resi conto di essere degli strumenti in mano a certa propaganda. Il confronto con quei preti (tutti sospesi a divinis) si svolse in un clima di grande tensione nel corso di una manifestazione organizzata dal fronte divorzista (i partiti della sinistra e i cosiddetti laici), davanti ad un pubblico ovviamente ostile verso chiunque sostenesse tesi diverse dalle loro. P. Antonio affrontò con garbo e tanta forza le contestazioni del pubblico, che respinse con argomenti politici, religiosi e storici. Per la chiusura della campagna referendaria parlò in Piazza delle Poste davanti a migliaia di persone. Il suo discorso non deluse gli intervenuti, ma non per questo egli credette di avere partita vinta. Da noi, come in tutta Italia, i risultati penalizzarono gli antidivorzisti. La strada della cosiddetta modernizzazione era spianata: al divorzio seguì l’aborto e ben presto… sarà la volta dell’eutanasia?! Lo stesso impegno in favore della vita e contro l’aborto venne profuso da P. Antonio quando verso la fine degli anni ’70 si tenne il referendum abrogativo della legge che permetteva l’interruzione della gravidanza. Di nuovo sulle piazze, nei cinema, per i paesi: ovunque c’era P. Antonio pronto ad una nuova battaglia. Nonostante la salute malferma che da sempre lo tormentava, il cappuccino di fuoco non lesinò energie per sostenere la vita. Anche stavolta non nutriva grosso ottimismo, scoraggiato dal fiacco impegno da parte della Chiesa e dei cristiani. Memorabile è rimasto il comizio conclusivo in un cinema cittadino dove, dopo l’on. Pierino Buffone, don Vincenzo Mascaro ed il sottoscritto, incantò l’uditorio. Nelle sue parole tanta tristezza, fra la gente un mare di commozione: lesse la Lettera di un bambino mai nato e si appellò alla coscienza cristiana del popolo italiano. I risultati non lo colsero di sorpresa ma lo amareggiarono.
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P. Antonio: parroco di S. Lucia
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na svolta nella vita di P. Antonio si registrò quando l’allora provinciale dei Cappuccini di Cosenza, P. Celestino Marra, che per diversi anni guidò egregiamente la Provincia monastica, gli comunicò di averlo prescelto per dirigere la nuova parrocchia di Santa Lucia. Ecco P. Celestino come ricorda il fatto: “Una vasta zona di San Giovanni in Fiore, denominata Santa Lucia perché vi esisteva ab immemorabili una edicoletta della santa, dopo la guerra ha avuto un incremento considerevole di costruzioni e di abitanti: era senza attrezzature per erigervi una parrocchia, e lontana dalle altre chiese; istruzione religiosa niente e il sacerdote si vedeva solo quando il parroco della Chiesa Madre doveva andare a prelevare qualche defunto. Agglomerato di case con diverse migliaia di persone, tra cui famiglie senza tetto occupanti alcuni lotti di case popolari, la zona cominciò ad avere un
P. Antonio con Mons. Enea Selis. 33
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consistente sviluppo quando vi fu costruito il municipio e l’ospedale. All’estremo sud esisteva, adiacente ai campi, una chiesetta fatiscente intitolata a San Francesco da Paola e bisognosa di radicali restauri. L’Arcivescovo mons. Enea Selis avvertì la necessità di erigervi una parrocchia e si rivolse ai Cappuccini, nella persona del Padre Provinciale. Questi, sentito il suo Consiglio, non poté dire di no alle pressanti richieste dell’Arcivescovo; così la scelta dell’ affidatario più adeguato alla complessità dell’ incarico cadde senza indugi su P. Antonio, già di sede a San Giovanni. Il religioso dalla fede robusta, per nulla intimorito dalle responsabilità che un progetto così ambizioso avrebbe comportato, chiese solo un po’ di tempo per ricevere lumi dal Signore attraverso la preghiera. Sciolse presto la riserva e accettò, individuando nella proposta dei superiori il disegno di Dio. Parroco della vasta zona di Santa Lucia, cui furono aggiunte frange della parrocchia dei Cappuccini e della Chiesa Madre, iniziava l’ultimo capitolo della sua intensa vita di frate: il più significativo, il più denso di impegni e responsabilità, indubbiamente anche quello che avrebbe dato maggiori frutti. Seguiremo quest’ultimo atto della sua vita ripercorrendo, anno dopo anno, le tappe fondamentali del cammino di Fratello Parroco. Il 19 ottobre 1975 P. Antonio prendeva possesso della nuova parrocchia. La vita del frate, va detto, è disseminata di coincidenze, che i credenti trovano più appropriato definire segni: la modalità e la tempistica con cui si sono presentati lasciano presagire una volontà superiore. Il 19 ottobre ricorre l’anniversario della nascita del Beato Angelo d’Acri e, come appena menzionato, il 19 ottobre P. Antonio si insediò quale parroco di S. Lucia; P. Antonio, inoltre, moriva il pomeriggio del 3 ottobre, proprio nello stesso giorno in cui morì San Francesco d’Assisi: nel momento esatto in cui P. Antonio moriva, in tutte le chiese si celebrava il Transito del Poverello di Assisi! La cerimonia di insediamento del primo parroco di Santa Lucia avvenne nella chiesetta del Crocifisso (nella quale aveva in precedenza operato don Giovanni Lavigna). Avvenne alla presenza di tutti i parroci cittadini e della ‘nuova’ comunità, che non trovava posto all’interno tanto era accorsa numerosa. Il Parroco, coadiuvato da P. Tarcisio Oliverio, suo fedele vicario, volle subito rendersi conto del contesto in cui avrebbe lavorato, e le indicazioni tratte non furono confortanti. Per avvicinare la gente bisognava ascoltare i problemi che essa denunciava, e il parroco non poteva starsene nella piccola e lontana chiesetta del Crocifisso ed attendere i fedeli. Così P. Antonio cominciò a celebrare Messa nei luoghi più impensabili: nei garage dove la gente chiudeva le proprie auto e teneva la legna; nelle palestre 34
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delle scuole, nei corridoi dell’ospedale non ancora in funzione… all’aperto! La zona non era tra le più ricche del paese, di per sé povero: era un quartiere di famiglie di emigrati che avevano lasciato moglie e bambini, e di famiglie indigenti alle quali era stato assegnato un alloggio popolare. Il Parroco condivise le angosce di quella gente, per la quale rappresentò spesso l’unico riferimento nella soddisfazione delle necessità più impellenti. P. Antonio seppe essere, dunque, missionario in una zona desiderosa di crescere e progredire. Fratello Parroco (così amava farsi chiamare) cominciò la sua missione in stretto contatto con il viceparroco, circondandosi di giovani, collaboratori, con i quali discutere ed impiantare il lavoro, perché solo agendo in sintonia con gli altri poteva nascere quella Chiesa viva a cui aspirava. Presto, intorno a lui, si strinsero anche coloro che lo avevano accolto con freddezza, ora disponibili a condividere gioie e dolori del parroco per contribuire alla nascita di una Chiesa dei poveri, per i poveri.
P. Antonio e P. Tarcisio con le suore di Santa Lucia (Suor Lorenza, Suor Elisabetta, Suor Angiolina). 35
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P. Antonio mirò subito in alto, determinato ad uscire al più presto dalla fase dell’emergenza e della provvisorietà: il S.O.S. (Suore Orazione Suolo) fu l’appello che rivolse alla sua comunità, alle redazioni dei giornali, agli ordini religiosi femminili, ai vescovi, agli emigrati, affinché, con la forza della preghiera e la buona volontà di tutti, la parrocchia potesse avere le suore ed un suolo dove edificare la nuova chiesa materiale. Giunsero lettere di risposta, solidarietà e qualche contributo: ma né le suore, né il suolo divennero realtà. Non si scoraggiò, anzi accrebbe la sua tenacia e moltiplicò nella chiesetta del Crocifisso le celebrazioni: tridui, novene e altre ricorrenze religiose. Nel luglio del 1976 fece la prima visita alla nuova parrocchia l’Arcivescovo Enea Selis, in occasione del conferimento della Cresima ad una cinquantina di ragazzi di Santa Lucia. Il Vescovo rimase colpito dal dinamismo del Parroco, dalla tempra con cui gestiva le difficoltà, dai positivi riscontri della gente. Da quel momento s’instaurò un profondo rapporto di stima ed amicizia fra Mons. Selis e P. Antonio, testimoniato dalle numerose ed informali visite che i due si scambiarono, e dalla grande fiducia del Presule, che sosteneva ed incoraggiava il Parroco di Santa Lucia.
P. Antonio a Lourdes in pellegrinaggio un gruppo di parrocchiani. 36
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Tra mille problemi, le attività pastorali aumentavano, come pure i collaboratori del Parroco. Soprattutto i giovani dimostrarono di credere in quel frate, offrendogli il proprio tempo libero. Il Parroco venne così circondato da tanti ragazzi che non lo lasciarono mai da solo e per i quali nutriva belle speranze. Quei giovani rappresentarono il fiore all’occhiello della parrocchia di S. Lucia, l’emblema ed il segno tangibile di una Chiesa viva nata dal nulla. Qualcuno ha intrapreso la via del sacerdozio, ricevendo l’Ordinazione quando P. Antonio era ancora in vita; altri lo diventeranno più tardi: l’esempio di Fratello Parroco è stato come un seme che non è morto ma che ha prodotto molti frutti. In quel primo anno di duro lavoro ed in attesa della nuova chiesa parrocchiale, per la quale ancora non si intravedevano serie possibilità, il Parroco mise mano alla piccola chiesa del Crocifisso, restaurandola e rendendola accogliente. I lavori furono realizzati dalla locale impresa Spadafora: da quel momento Francesco Spadafora ed il giovane figlio Pino rimasero sempre a fianco di P. Antonio fino a diventarne ascoltati consiglieri in vista della costruzione di una nuova chiesa. Pino si sarebbe spinto oltre, fino ad assistere il Parroco sofferente, ad accompagnarlo nei viaggi da un ospedale all’altro, a rimanergli accanto giorno e notte negli ultimi mesi di vita. Nell’estate del ’76 giunse una prima risposta positiva all’SOS lanciato dal Parroco. Una improvvisa visita della Superiora Generale delle Dorotee di Vicenza lasciò intendere che sarebbero presto arrivate le suore in parrocchia. P. Antonio in quel periodo si trovava ricoverato presso l’ospedale di Crotone (la sua salute cominciò a risentire dei primi faticosi mesi di attività parrocchiali nei freddi ed umidi garage-chiesa). La Madre Generale in un primo momento non sembrò entusiasta all’idea di aprire una casa a San Giovanni in Fiore, preoccupata forse della situazione di incertezza iniziale in cui si trovava la parrocchia e soprattutto perché non aveva avuto modo di conoscere il parroco. Solo una sua provvidenziale visita a P. Antonio in ospedale, che deve averla rassicurata, la convinse a ritornare sui suoi passi. Così il 25 settembre dello stesso anno arrivarono le tanto attese suore. Erano tre venete molto preparate ed aperte al contatto con la gente (per loro deve essersi trattato di un lavoro non facile in una realtà così diversa da quella in cui avevano operato fino ad allora): Suor Dolores, Suor Anna Maria, Suor Lorenza. Più in là si aggiunse Suor Elisabetta Ruffato, reduce da una lunga esperienza in ospedale; per questo si dedicò subito all’assistenza degli ammalati, fino a diventare il medico dei poveri. La Suora si distinse per la sua disponibilità e la sua umiltà nel correre, in qualunque momento, al capezzale di tanti ammalati (non c’era ancora l’o37
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spedale, e reperire un medico non era semplice). La casa delle suore venne trasformata in un vero e proprio ambulatorio nel quale chiunque otteneva assistenza gratuita ed immediata. Le altre suore si impegnarono con risultati incoraggianti nella catechesi, nella scuola e nelle attività caritative, facendosi apprezzare da tutti per la loro cordialità e la simpatia che suscitavano. Arrivate le suore, mancava giusto il suolo perché la risposta all’SOS potesse definirsi completa. La cosa si rivelò più difficile del previsto per la indisponibilità di tanti proprietari a donare un pezzo di terra. P. Antonio, nonostante i tanti no incassati, non demorse. Si affidò alla Provvidenza e all’intercessione di San Francesco da Paola, al cui santuario portò in pellegrinaggio oltre 100 bambini per chiedere la grazia. La Parrocchia di Santa Lucia venne battezzata da P. Antonio parrocchia della evangelizzazione e promozione umana per riaffermare ancora una volta la sua azione in favore dell’uomo per la sua crescita culturale e sociale. Non esitò a denunciare tutti i mali che affliggevano i suoi fedeli e l’intero paese. Con una partecipata manifestazione popolare richiamò l’attenzione dell’opinione pubblica e della classe politica sulle cose più impellenti da realizzare. Quel 27 dicembre 1976 alcuni striscioni precedevano il lungo corteo guidato da P. Antonio: Il paese dell’acqua… senz’acqua era scritto su uno di essi, per portare alla ribalta l’assurda situazione di San Giovanni in Fiore, dove l’acqua mancava per diverse ore al giorno pur trovandosi in piena Sila; Una farmacia per il rione Santa Lucia si leggeva su un altro striscione; Pace, lavoro, progresso era scritto ancora, per sensibilizzare istituzioni e società civile sulla grave crisi occupazionale in cui versava, e versa tutt’oggi, un paese di 25.000 abitanti a cui solo una forte emigrazione consentiva la sopravvivenza! Nel suo discorso in Piazza Municipio, al termine della manifestazione, non esitò ad accusare chi aveva consentito il degrado di un intero paese, rivendicando per la Chiesa il diritto di essere voce di chi non ha voce. P. Antonio aveva così definitivamente fatto la sua scelta in favore dei più deboli, incarnando una Chiesa missionaria che lotta per le conquiste sociali. Fratello Parroco non stava con i potenti: francescano fino in fondo, si schierò apertamente coi più semplici, gli umili. A me, citando Manzoni, piaceva chiamarlo Fra’ Cristoforo. Dopo le estenuanti ricerche di un possidente disposto a cedere a titolo gratuito il terreno su cui edificare la chiesa, nel 1977 la Provvidenza operò il miracolo: i fratelli Tiano compirono l’atto di generosità tanto atteso. Archiviato il primo successo, Padre Antonio convenne che per il raggiungimento dell’obiettivo, ancora troppo distante e infìdo, doveva destinare ad esso più tempo: “I problemi della Parrocchia mi tormentano – scrisse – ne soffro 38
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terribilmente e quindi ogni giorno mi devo donare, sacrificare”. Ciò lo persuase a rinunciare, con dolore, a molte delle sue attività, a partire dall’insegnamento. A quell’ora di religione teneva moltissimo. Non andava mai impreparato a lezione, e la sua cultura gli permetteva di muoversi agilmente su temi diversi. Gli anni di esperienza scolastica giovarono ai molti studenti che ebbero la fortuna di conoscerlo. Le sue lezioni non erano mai superficiali né terminavano con il suono della campanella. Seguiva alcuni casi a fondo e spesso si recava dai suoi alunni per intervenire meglio. Ancora più dolorose furono le dimissioni dalla guida del Terz’Ordine Francescano. Gli oltre 50 giovani che da anni lo seguivano non presero bene la cosa: P. Antonio non poteva lasciarli, appartiene a tutti. “P. Antonio non appartiene a se stesso, è vero – lui rispose - , ed ogni giorno me ne rendo conto. Cosa dovrò fare? Le mie suore, i giovani dell’Azione Cattolica, la guida spirituale di tante anime che vogliono intraprendere una vita di consacrazione mi assillano ogni giorno”. Decise alla fine di essere parroco a tempo pieno: “Il Signore vuole questo da me” disse salutando la commossa assemblea dei terziari. Fratello Parroco doveva necessariamente ridurre i suoi impegni, anche a causa del progressivo peggioramento delle sue condizioni di salute. L’affatica-
P. Antonio e mons. A. Lauro con i fratelli Tiano donatori del suolo della Chiesa di S. Lucia. 39
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mento e lo stress accumulati, uniti ad un carattere eccessivamente apprensivo e ansioso, stavano minando il suo fisico. Di ciò era consapevole, tanto da scrivere già nel novembre ‘78: “È vero, non sto bene, i dolori sembra si siano attutiti, però all’improvviso la pressione mi si è abbassata molto: 80 la massima! L’impareggiabile superiora Suor Elisabetta con il dottore Guzzo mi hanno prescritto le cure che sto eseguendo a puntino, ma i risultati… Non per colpa dei medicinali, ma perché non sono psicologicamente sereno. Spiritualmente vado bene, ma la situazione della chiesa mi sta distruggendo (P. Antonio si riferisce a specifiche vicende legate alla costruzione della chiesa). Sono rassegnato a tutto, il Signore disponga di me secondo la sua volontà”. Dedicandosi esclusivamente alla parrocchia, P. Antonio poté dare una spinta a tutte le iniziative in cantiere, realizzando così quel tipo di Chiesa viva che lui aveva tanto a cuore. Non si accontentò di mettere in piedi una parrocchia dalle consuete attività spirituali, caritative, assistenziali: volle creare una comunità dinamica, attenta e preparata. Come parroco non era affatto ostile alle innovazioni, purché non implicassero rotture traumatiche col passato. Mi piace definirlo innovatore prudente, sempre pronto a cogliere i segnali di cambiamento provenienti dalla società, facendosene interprete. Quanto fosse innovatore lo prova il fatto che già nel ’76 in parrocchia diede vita al Consiglio Pastorale: quell’organismo di guida e collaborazione col parroco che è divenuto obbligatorio per tutte le parrocchie italiane solo all’indomani del nuovo Concordato tra Stato e Chiesa. Non solo: c’era un gruppo che si occupava della gestione finanziaria della parrocchia e redigeva il bilancio annuale, della cui pubblicizzazione si occupava il Parroco. Infine, l’istituzione di un triduo ogni anno a Gioacchino da Fiore, nel giorno in cui cade la festività voluta dall’Ordine Cistercense. Da sottolineare che Gioacchino era considerato beato dal suo Ordine, non dalla Chiesa. Padre Antonio, che la figura dell’Abate aveva studiato, sentiva doveroso riabilitare Gioacchino da Fiore, tanto da riconoscere la grandezza delle sue idee e da promuovere un triduo in suo onore! Ritornando alla istituzione del Consiglio Pastorale, del quale aveva chiamato a far parte i collaboratori più stretti, non si pensi ad uno dei tanti organismi vuoti, privi di potere. All’interno di esso si formava la volontà della parrocchia. E il suo successo, misurabile nella buona riuscita delle iniziative avviate, scaturì dalla felice intuizione di Padre Antonio: il coinvolgimento totale dei laici nella vita della parrocchia. Il Parroco di Santa Lucia, insomma, realizzò in pieno il Concilio Vaticano II, aprendosi ai laici e incentivando la loro partecipazione nella vita della Chiesa. Il consenso dei suoi collaboratori era centrale, ed ogni idea veniva 40
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sempre discussa preventivamente negli organismi parrocchiali. Un parroco, quindi, democratico, rispettoso delle esigenze e dei suggerimenti della base, che, pagò talvolta questa sua politica inclusiva nelle decisioni con episodi che gli procurarono sofferenza e lo costrinsero a chiudersi in una sorta di silenzio-attesa. Ecco un ritratto di P. Antonio fatto dall’allora superiora provinciale delle Dorotee, Suor Irma Zorzanello, che lo incontrò in più occasioni: “Uno dei primi aspetti che ho ammirato in P. Antonio è stato il suo parlare prudente: s’intratteneva volentieri in conversazione, sentiva il bisogno di comunicare i suoi progetti, le difficoltà, le ansie, ma nei confronti degli altri misurava le parole, era discreto, benevolo, pieno di speranza e di stima, a mio avviso possedeva la virtù della prudenza ed era perciò capace di collaborare senza invadere le competenze altrui e senza mai giudicare. Lasciava all’interlocutore la convinzione che amava e stimava quanti collaboravano con lui, ed aveva l’audacia e la prudenza del Buon Pastore. Possedeva fantasia apostolica e praticità prudente. Con il suo spirito di discernimento dimostrava rispetto per le scelte altrui e, pur presentando le proprie necessità, aspettava che anche gli altri si convincessero, e mai creava delle fratture nei rapporti, anche se le opinioni erano diverse e rimanevano tali. Ebbe anch’egli delle grosse delusioni provocate da persone, situazioni ed avvenimenti, ma sapeva spiegarseli in modo intelligente e lungimirante, pur dopo notti insonni e travaglio interiore. A questo riguardo penso al suo struggente desiderio che i suoi parrocchiani potessero avere una chiesa, semplice, ma bella, dove tutto potesse raccogliere in Dio e a Dio rendere lode. Ho notato che nei primi anni il travaglio della costruzione della chiesa era per lui una sofferenza che esprimeva e che lo tormentava. Il tempo e il suo lavorio interiore lo avevano portato ad un abbandono meraviglioso in Dio. Negli ultimi incontri non solo lo intuivo, ma ogni sua parola lo rivelava, mettendomi di fronte ad una sua splendida conquista spirituale. Partecipavo tanto volentieri alla S. Messa celebrata da P. Antonio. Egli celebrava il Mistero Eucaristico con tutto se stesso, si vedeva che era profondamente compreso del suo essere mediatore tra Dio e gli uomini: trasmetteva il senso di Dio e del Mistero. Con lui si pregava bene, sapeva coinvolgere tutti i presenti nelle sue celebrazioni. Credo che le sue omelie fossero preparate con molta cura, meditate in preghiera per renderle concrete e comprensibili ai fedeli che lo ascoltavano, e questo anche nei giorni feriali. Era il Servo buono e fedele del Vangelo, che non solo trafficava per sé i propri talenti, ma li faceva trafficare anche agli altri, coinvolgendoli. P. Antonio coltivava nel suo animo il senso della riconoscenza, che è una 41
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dimensione che si sviluppa solo in una persona di animo nobile e capace di rapporti costruttivi. Ricevuto un favore, ringraziava per iscritto o telefonicamente, e magari più volte, facendoti partecipe dei traguardi raggiunti e della sua gioia. Soffriva per l’ingratitudine, ma trovava il modo per superarla. L’amore per il suo Ordine Religioso era fatto di stima, di rilievi costruttivi, di contributi effettivi ed anche di spinte che lo facessero camminare con i tempi per essere un segno leggibile nel mondo attuale. Aveva a cuore il bene e non gli interessava da chi veniva fatto, ma che fosse fatto. Tutte le persone, anche se vivono intensamente, hanno dei limiti che sono tanto più vistosi quanto più ci sono virtù sviluppate. È però un dono divino incontrare una persona così nella vita. È il segno che Gesù continua ancora a fare il Buon Pastore e ogni tanto suscita degli uomini che manifestino di più questo aspetto del Suo infinito Amore”. Nel ’77 P. Antonio percorse le amare ed interminabili tappe burocratiche per giungere alla posa della prima pietra della nuova chiesa. Roma, Cosenza,
Chiesa parrocchiale “Santa Lucia” (plastico). 42
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Catanzaro: fu un via vai di speranze e delusioni per l’ottenimento di autorizzazioni, licenze e finanziamenti. Una via crucis durata molti anni e tuttora non conclusa, che non giovò certo alla già precaria salute di Fratello Parroco. Sul letto di morte confessò il rimpianto di non aver visto la sua chiesa ultimata. P. Antonio, quell’anno, voleva festeggiare degnamente San Francesco da Paola, ma le casse parrocchiali non lo permettevano. Confidando nella solidarietà dei fedeli, la festa si fece, riscuotendo un lusinghiero successo. Questo episodio ci offre lo spunto per illustrare il pensiero di P. Antonio sulle feste parrocchiali. Egli era contrario ai festeggiamenti civili allietati con canzonette ed esibizioni varie. Vana fu la sua battaglia all’interno dei comitati interparrocchiali per convincere gli altri parroci ad abbandonare quel genere di feste. Nella sua parrocchia si prediligevano spettacoli canori di bambini, della banda musicale e, per il resto, ampio risalto alla parte religiosa. Perfino sulle processioni, P. Antonio non era molto d’accordo: le voleva nell’ambito di ogni singola parrocchia, fatta eccezione per quella del Corpus Domini cui dare maggiore risonanza. Ecco la sintesi di una sua relazione del 23 febbraio 1982 in merito alle feste religiose: “L’uomo di oggi non è l’uomo del tempo di Mosè né di Davide, che manifesta la propria fede con il canto religioso; non è l’uomo del Medio Evo, tutto impregnato di fede in quanto tutto ciò che lo circonda ha un sensus fidei. L’uomo di oggi, imbevuto di materialismo, non crede ad un Essere trascendente, ma a quello che vede e che tocca, per cui delle festività esterne ne prende soltanto il lato peggiore. Ecco perché in questo sono radicale: le festività esterne vanno coraggiosamente soppresse! Del resto è venuto meno il pretesto che un tempo poteva giustificarle, e cioè che esse rappresentavano davvero un motivo di sano divertimento, un punto di incontro tra persone che vivevano lontane tra loro, per la maggior parte in campagna a lavorare da mattina a sera; erano veramente motivo di richiamo alla conversazione ed al ravvedimento, e non scusa di peccato e dissoluzione. Il popolo è saturo di cantanti e canzonette: ha la tv, la radio, con i vari Festival e Cantagiri; ha le feste dei partiti e via dicendo. È tempo di prendere decisioni chiare e di accettare davvero l’invito di Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo!”; al Vangelo delle beatitudini della povertà. Se ci convertiremo al Vangelo, senz’altro porteremo il popolo al vero senso religioso. Pietro citava passi biblici al suo uditorio e veniva capito perché gli ascoltatori conoscevano la Bibbia. Paolo parlava della natura del creato perché coloro che lo ascol43
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tavano credevano in un Essere Supremo. Oggi la massa può credere soltanto se noi diamo veramente testimonianza, e se noi offriamo delle alternative valide alla soppressione delle feste esterne, se diamo dei grandi ideali. I risultati, forse, non li vedremo noi; non importa! Giovanni Bosco, Don Alberione, P. Massimiliano Kolbe, P. Agnellus Andrew (F.C. del 14/2/82) ci possono essere maestri in questo e ci possono far capire che con la buona volontà e l’impegno si può ottenere molto. Continuiamo pure a mantenere le feste religiose con un ottimo novenario e, magari, con la processione se proprio non possiamo farne a meno; ma eliminiamo la festa esterna che sa di paganesimo! Diamo la nostra testimonianza con opere veramente valide e ripresenteremo, così, il vero volto di Cristo!”. P. Antonio era da tempo in trattative con i Frati Minimi di Paola per ottenere le reliquie di San Francesco. Nel maggio del ’77 le reliquie vennero trasportate nella parrocchia di Santa Lucia, dove restarono per tre giorni, meta incessante di fedeli.
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P. Antonio: le grandi battaglie
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empre nel ’77 - a soli due anni dalla nascita della parrocchia, in seguito a ripetute visite del presidente dell’UALSI (Unione Amici di Lourdes e Santuari Italiani), Federico Pepe - P. Antonio organizzava un pellegrinaggio a Lourdes al quale aderirono decine di fedeli, soprattutto ammalati, che riempirono i treni della speranza. I pellegrinaggi a Lourdes divennero più numerosi con gli anni e registrarono una crescente partecipazione. L’Arcivescovo di Cosenza, attento alle vicende della parrocchia, conferì quell’anno il Ministero del Lettorato all’ins. Franco Gabriele, uno dei più assidui collaboratori del Parroco. Il riconoscimento fu significativo perché prima di allora mai nessun laico della Diocesi di Cosenza aveva ricevuto quel Ministero. Intanto, tardava l’approvazione del progetto della chiesa da parte del Comune. Era in carica un’inedita giunta DC-PCI di compromesso storico, guidata dal democristiano Elio Foglia. Quel progetto faceva discutere, mentre si avvicinava inesorabile la scadenza dei tre anni per l’inizio dei lavori, fissata nell’atto dai donatori del terreno. P. Antonio non se ne stette con le mani in mano e pensò di avviare una sottoscrizione popolare per ottenere l’immediata approvazione del progetto. 3.250 persone firmarono la richiesta, ma la commissione edilizia non era ancora in grado di approvarlo. Finalmente, la notte di Natale del 1977, P. Antonio annunciò soddisfatto il via libera del progetto, emendato in alcune parti. Un’altra battaglia era stata vinta, e ora si ingaggiava una vera e propria corsa contro il tempo per iniziare i lavori entro i tre anni stabiliti nell’atto di donazione dai fratelli Peppino e Giovambattista Tiano. Il paziente P. Tarcisio elaborava il plastico della chiesa, mentre migliaia di lettere vennero spedite un po’ ovunque, in cerca di aiuto.
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Ecco la lettera che P. Antonio recapitò ai sangiovannesi:
PARROCCHIA “S. LUCIA” Tel. (0964) 99 22 50 87055 S. Giovanni in Fiore (Cosenza) C.C.P. 21-4141
CARISSIMI CONCITTADINI
Avrete certamente sentito parlare della nuova chiesa che si vuole costruire nella zona di S. Lucia, che come sapete è una delle zone nuove del nostro paese, priva di servizi sociali e densamente popolata. Voi che avete la fortuna di avere la vostra parrocchia, sapete come questa costituisce, oltre che un luogo di preghiera e di raccoglimento spirituale, anche un punto d’incontro per gli abitanti del quartiere. La chiesa ed il complesso parrocchiale, sono una struttura importante del territorio in cui viviamo, quindi parte integrante della nostra vita di tutti i giorni e principalmente delle scelte decisive della nostra vita di cittadini cristiani, come il battesimo, la cresima, il matrimonio... Gli abitanti della zona di S. Lucia desiderano che il loro territorio sia rivalutato e potenziato, con servizi sociali ed anche con il complesso parrocchiale; perciò ogni persona del paese deve sentirsi solidale e compartecipe di questi problemi, contribuendo a risolverli con generosità di cuore, offrendo un piccolo dono per un dono più grande. Ringraziamenti e saluti cordiali
IL PARROCO P. Antonio Pignanelli
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Il Parroco voleva accelerare i tempi ed iniziare i lavori di sbancamento ad ogni costo. Si racconta al riguardo un curioso aneddoto: trovata, dopo le consuete difficoltà, l’impresa disponibile a realizzare i lavori di sbancamento, il titolare, domandò al parroco quanti soldi avesse in cassa per affrontare tali spese. Egli, con francescana ingenuità, rispose: “Ho 400 mila lire!”. E l’altro: “E voi con 400 mila lire volete costruire una chiesa? Ma siete proprio incosciente”. P. Antonio, forte della sua fiducia nella Provvidenza, chiosò: “Quello che faccio non è mio; Dio mi aiuterà!”. Colpito da tanta fede, il titolare dell’impresa fece eseguire i lavori di sbancamento senza chiedere una lira! Così si arrivò alla posa della prima pietra l’8 maggio 1978, nell’anno in cui ricorreva l’ottavo centenario della nascita di San Francesco d’Assisi. Tutto il paese quel giorno si ritrovò là dove sarebbe sorta la chiesa. Con la sua ostinazione, il suo sacrificio personale ed una fede incrollabile, P. Antonio aveva vinto un’altra scommessa. Le attività parrocchiali si erano moltiplicate. Nacque anche il gruppo dei Buoni Samaritani, impegnato a tempo pieno nell’assistere i sofferenti. Molte furono le iniziative dell’UALSI, mentre lo stesso Parroco portava una parola di conforto agli ammalati, che andava a visitare nelle case.
Posa della prima pietra della chiesa “Santa Lucia” (8 maggio 1978). 47
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Per loro celebrava ogni domenica la Messa trasmessa in diretta da Radio Sila Tre. Particolare attenzione era riservata ai chierichetti, e più in generale, ai giovanissimi, per i quali venne organizzato il Grest (gruppo estivo): una settimana estiva di lavoro, studio, svago, a contatto con esperti di settore. Ai giovani delle scuole superiori erano dedicati incontri settimanali in cui si discuteva dei problemi tipici dell’età adolescenziale, di problemi sociali e religiosi. La parrocchia di S. Lucia fu un vivaio di vocazioni religiose. Scrive a proposito P. Celestino:“P. Antonio aveva restaurato la chiesetta di San Francesco, avviato e portato a buon punto la grande chiesa parrocchiale di S. Lucia, e di questo era intimamente contento. Quel che lo compensava delle sue fatiche, dei suoi sacrifici, che lo consolava sul calvario delle sue sofferenze fisiche, era la certezza di avere costruito l’altra Chiesa, quella non fatta di cemento armato e mattoni, ma la Chiesa delle anime, la grande famiglia parrocchiale: una fioritura di anime di ogni ceto sociale, motivata seriamente a vivere secondo il Vangelo. La gioventù, maschile e femminile, assorbì l’entusiasmo di P. Antonio. Ed ecco, quindi, l’organizzazione fiorente, lo spirito francescano lievitante nelle anime dei giovani. Ecco lo sbocciare di vocazioni allo stato religioso. È merito dell’apostolato di P. Antonio se vari giovani della sua parrocchia sono già promettenti pianticelle della nostra Provincia Cappuccina. Prima di volare al Cielo, P. Antonio ha avuto l’incomparabile gioia di vedere uno dei suoi giovani ordinato sacerdote e celebrare la prima Messa nell’aula a piano terra del nuovo complesso parrocchiale, stipato di gente sino all’inverosimile. Altri giovani si avvicinano alla meta. Quanta gloria in Cielo ha per questo P. Antonio!”.Il primo dei giovani della parrocchia diventato sacerdote è Salvatore Verardi, il quale, al termine degli studi liceali a San Giovanni in Fiore e dopo l’ esperienza francescana nel TOF guidato da P. Antonio, scelse la via del seminario. Tra le ragazze, la prima a scoprire la vocazione religiosa è stata Angela Cimino, che, diplomatasi ragioniera, lasciò la parrocchia e andò a vivere la sua vocazione tra le Dorotee di Vicenza. Scrive Daniela Laratta, una delle più giovani del gruppo: “P. Antonio era un parroco straordinario che ha dato tutto se stesso per la sua parrocchia. Era soprattutto un amico per tutti. Affrontava e risolveva ogni problema e anche dinanzi alle situazioni più difficili non si arrendeva mai, sicuro che prima o poi sarebbe giunto un aiuto dal Cielo. Questa stessa convinzione e la stessa fiducia nella vita riusciva a trasmettere a coloro che gli stavano vicino”. 48
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La parrocchia di S. Lucia era anche il centro di una minuziosa campagna in favore della stampa cattolica. P. Antonio aveva capito quanto scarso fosse lâ&#x20AC;&#x2122;interesse verso le pubblicazioni di carattere religioso e si era prodigato perchĂŠ ogni famiglia avesse in casa un giornale cattolico. CosĂŹ iniziava la campagna abbonamenti a Famiglia Cristiana e Avvenire, venduti anche davanti alla porta della chiesa e distribuiti casa per casa da un gruppo di giovani. Egli voleva una parrocchia viva, attenta ed aggiornata, in grado di carpire e affrontare i problemi attuali secondo la visione della Chiesa: non si accontentava di fedeli capaci solo di tenere il rosario in mano o di partecipare passivamente alle cerimonie religiose.
P. Antonio con un gruppo di giovani. 49
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P. Antonio era un avido lettore. Divorava libri su libri, leggeva diversi quotidiani, si informava sempre su tutto. Gli piaceva essere aggiornato e per questo approfondiva gli argomenti e i temi dell’attualità confrontandosi con tutti. Sapendomi impegnato in varie attività e ritenendolo utile alla mia formazione, ogni tanto mi passava qualche libro o anche ritagli di giornali. La cosa mi rallegrava, anche perché mi faceva capire quanto P. Antonio mi tenesse presente. Si deve a lui la riscoperta di una eccezionale figura di pia donna, morta in odore di santità. Venne in possesso di una rarissima biografia della donna, Isabella Pizzi, e dopo averla letta, colpito, pregò un suo confratello, P. Egidio Picucci, autore di alcuni testi, di ricavare e pubblicare qualcosa da quella biografia. Il volumetto venne stampato e diffuso nel 1980. La formazione, l’aggiornamento, la conoscenza: erano questi i punti su cui insisteva P. Antonio, e che lo motivarono ad istituire in parrocchia una scuola per catechisti. Nessuna improvvisazione per gli insegnanti. Nessuna approssimazione per chi voleva accedere ai Sacramenti. Corsi obbligatori: su questo P. Antonio era intransigente! Sulla scuola dei catechisti aveva investito molto del suo inesauribile tempo: la seguiva da vicino, senza però interferire nel lavoro svolto. Faceva sempre qualche visita a sorpresa, portava ai catechisti il solito pensierino: un libretto o qualche dolce. Prima della sua morte, fece chiamare la professoressa Fifina Brunetti, la quale insieme alle suore teneva lezione ai catechisti, per farle sapere quanto teneva che quei giovani partecipassero al convegno nazionale dei catechisti previsto a Roma nell’87. Nel 1980 l’Arcivescovo di Cosenza, Enea Selis, lasciava la guida della Diocesi cosentina per motivi di salute. Egli, come accennato, aveva seguito con attenzione le vicende della parrocchia che aveva voluto ex novo a San Giovanni in Fiore. Era stato sempre disponibile col Parroco di S. Lucia fino a divenirne un prezioso amico. Altrettanta premura per la giovane parrocchia dimostrò il nuovo Arcivescovo Dino Trabalzini, che di P. Antonio disse: “Spesso dovevo frenarlo anziché incoraggiarlo, ma la costruzione di quella chiesa metteva paura, era qualcosa di molto difficile”. Mons. Trabalzini volle visitare per l’ultima volta il Parroco pochi giorni prima della sua morte. P. Antonio davanti al suo Vescovo riuscì appena ad esclamare con un filo di voce: “Perdonatemi”. 50
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Ottimi sono sempre stati i rapporti tra P. Antonio e l’Episcopato calabrese. Molti vescovi, visitando la parrocchia, si congratulavano col suo rettore. Così Tarcisio Cortese, Augusto Lauro, Benigno Papa, Umberto Altomare e altri ancora. Ma il giorno dei suoi funerali, quel 4 ottobre 1986, né il Vescovo di Cosenza, né gli altri vescovi, poterono partecipare. Si trovavano tutti ad Assisi per offrire l’olio alla lampada della Basilica di San Francesco. Nel settembre del 1980 un altro giovane comunica la sua intenzione di scegliere la via del convento: Emilio Morrone, giovane impegnato nel Terz’Ordine e uno dei più assidui collaboratori della parrocchia di Santa Lucia. Fra’ Emilio così spiega la sua esperienza: “La mia vocazione c’era già da tempo, senza P. Antonio non sarei però entrato fra i Cappuccini. P. Antonio era persona da imitare, in lui si vedeva Cristo. Egli dava a noi la sua vita quale esempio, questo era il suo apostolato vocazionale. Mi ha aiutato a capire e a scegliere, è stato per me un modello che Dio mi ha donato in un momento particolare della mia vita: la persona giusta al momento giusto. P. Antonio è stato il servo che ha saputo lavorare, lasciando con la sua vita il seme di Dio. Questo seme è ancora vivo in tanti giovani che lo hanno conosciuto”. A due anni dalla posa della prima pietra, il piano terra del complesso parrocchiale della chiesa venne ultimato. Il primo piano è quello dove tuttora si celebra la Messa nel grande salone centrale: da un lato si è ricavato l’alloggio delle suore e dall’altro vi trova posto una sala riunioni, un laboratorio affidato alle suore e l’ufficio parrocchiale. Al momento di inaugurare questa prima parte del complesso parrocchiale, vi era grande soddisfazione in P. Antonio e nei parrocchiani tutti. La fase dell’emergenza, delle garage-chiese, delle riunioni nelle case private, era terminata. Scrive P. Celestino: “P. Antonio era felice per quanto era stato realizzato e la sua grande fede, pur in mezzo a tante inevitabili difficoltà, gli faceva vedere la grande chiesa finita. Ma quel che lo rendeva veramente felice nelle profondità del suo cuore, nascoste dalla sua umiltà e riservatezza, ma evidenti nel suo sereno dinamismo, era la Chiesa viva delle anime che aveva saputo realizzare: la vera, fedele, operante e orante grande famiglia parrocchiale. P. Antonio poteva e faceva ben pensare di se stesso quel che aveva fatto il Padre San Francesco: questi aveva restaurato le chiese materiali, ma con i suoi Figli aveva dato un volto nuovo alla Chiesa universale, fatta di pietre vive, di uomini che aveva avviato al rinnovamento”. A proposito dell’inaugurazione del salone centrale del primo piano del com51
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P. Antonio con la prima superiora delle Dorotee - Suor Elisabetta Ruffato. 52
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plesso parrocchiale di Santa Lucia, si racconta un episodio che conferma il ruolo-chiave giocato dalla Provvidenza nella vita di P. Antonio. A pochi giorni dall’8 dicembre (siamo sempre nel 1980), nel salone non si poteva celebrare la Messa dell’inaugurazione perché mancava l’impianto elettrico e non c’erano fondi nella cassa parrocchiale per sostenere la spesa. Fortuna però volle che in quelle ore un fedele si presentò dal parroco garantendo l’accollo integrale della cifra. In tutta fretta i giovani dell’Azione Cattolica eseguirono il lavoro e girarono al Parroco la fattura di 146.000 lire, che non poté essere subito onorata per il dileguarsi del presunto benefattore. P. Antonio mantenne saldi i nervi e invitò anche coloro che lo circondavano, preoccupati per l’ingente debito contratto, ad avere fiducia nella Provvidenza. Il salone venne inaugurato come previsto l’8 dicembre, festa dell’Immacolata, e per quella occasione le messe erano affollatissime. Durante le omelie il Parroco illustrava la situazione occorsagli e sollecitava un aiuto per superarla brillantemente. Al termine delle funzioni religiose, le offerte raccolte ammontarono a… 146.000 lire! L’impianto elettrico venne così pagato: coincidenza o segno della Provvidenza?! Il Parroco di S. Lucia nutriva interesse verso i mass-media, e in particolar modo verso quelle nuove conquiste di libertà e di informazione che erano e sono le radio locali. Quando seppe che anche a San Giovanni in Fiore era in fase di costituzione una radio libera di ispirazione cattolica (Radio Sila Tre), cominciò subito a pensare come farne uno strumento per una migliore diffusione della Parola di Dio. Intanto incoraggiò l’iniziativa offrendo il suo sostegno nei momenti in cui il progetto rischiò di fallire: quanto mi spronava nel mio compito di direttore di quella radio! P. Antonio da Radio Sila Tre tenne per due anni una fortunata rubrica settimanale dal titolo Caro padre, durante la quale rispondeva alle numerose lettere degli ascoltatori. Col suo parlare dolce e persuasivo, le sue risposte precise ed esaurienti, conquistò sempre più pubblico tanto da far fatica a gestire l’accresciuta corrispondenza. Purtroppo la trasmissione si interruppe per le tante priorità che si sono sempre contese il tempo di Fratello Parroco. Ricordo la serietà nel confezionare una risposta soddisfacente alle lettere degli ascoltatori, consultando testi, riprendendo le Sacre Scritture e approfondendo l’argomento sollecitato in modo da non deludere chi lo ascoltava. Entrare nelle case degli ammalati da quei microfoni era un’autentica fonte di gioia: ogni domenica Radio Sila Tre trasmetteva la Messa in diretta, ed il parroco si preoccupava personalmente della regolare messa in onda, lamentandosi quando per problemi tecnici una trasmissione saltava, perché significava deludere quegli speciali ascoltatori. 53
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Per i ragazzi della radio aveva pensieri molto gentili. Non è mai passato un Natale senza il dolce per tutto lo staff di Radio Sila Tre, recapitato gentilmente da P. Antonio con il consueto bigliettino di ringraziamento per il lavoro svolto. In due occasioni, accluse persino una busta contenente denaro: un contributo per le spese della radio. Un povero che fa un’offerta?! - pensammo. E, nonostante le mie, le proteste di tutti, non ci fu modo per farlo recedere da quel nobile gesto. Sapeva delle difficoltà economiche della Radio, e ci stimolava a non desistere: l’emittente aveva un grosso seguito, e lui credeva nelle potenzialità del medium, che, sapientemente usato, poteva fare del bene. L’aggravarsi delle condizioni economiche del paese, il suo degrado, la crescente disoccupazione, la soppressione della Tenenza dei Carabinieri, il mancato decollo dell’ospedale, la ventilata chiusura della Ferrovia Calabro Lucana, preoccuparono molto l’attento Parroco di Santa Lucia, che si fece promotore di una manifestazione popolare di protesta alla quale aderì tutta la comunità cristiana sangiovannese. Migliaia di persone guidate dai parroci, il 4 aprile del 1981, all’insegna dello slogan Svegliamoci, sfilarono per le vie cittadine, rivendicando il decollo economico-sociale del paese.
P. Antonio in Piazza Municipio. 54
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SVEGLIAMOCI! GRANDE MANIFESTAZIONE CITTADINA − 4 APRILE 1981 − La Comunità Cristiana di San Giovanni in Fiore, sensibile ai problemi che travagliano la nostra Cittadina, mobilitando tutta la popolazione, vuole sollecitare le Autorità competenti perché vengano incontro ai bisogni dei cittadini risolvendo penose situazioni che rimandano di anno in anno. In particolare chiede che: - venga finalmente aperto l’Ospedale Civile - la Tenenza dei Carabinieri resti a San Giovanni in Fiore - sia potenziata e non soppressa la ferrovia Calabro-Lucana - vengano costruiti i necessari edifici scolastici - ci siano autobus cittadini per collegare centro e periferia - sia potenziata la rete idrica ed elettrica - si prendano provvedimenti per una rete stradale interna più efficiente - si aiutino le scuole materne private con sussidi - tutti abbiano la possibilità di costruirsi un loculo al Cimitero - sia ampliata la rete telefonica “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di color che per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità... Ai tempi nostri, la complessità dei problemi obbliga i pubblici poteri ad intervenire più frequentemente in materia sociale, economica e culturale, per determinare le condizioni più favorevoli che permettano, ai cittadini ed ai gruppi di perseguire più efficacemente, nella libertà il bene completo dell’uomo”. (Costituzione Conciliare “La Chiesa nel mondo contemporaneo” n. 75)
LA COMUNITÀ CRISTIANA DI S. GIOVANNI IN FIORE
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L’iniziativa non venne ben vista da certi ambienti politici e dai sindacati: i primi temevano accuse contro la Giunta Comunale, gli altri si sentivano scavalcati nel loro naturale ruolo. La cosa non preoccupò più di tanto P. Antonio. In un acceso discorso tenuto insieme a don Vincenzo Mascaro, in Piazza Municipio, non fece sconti ai tanti, troppi responsabili della grave crisi che attanagliava San Giovanni in Fiore. Non si associ però Fratello Parroco alla figura di un detrattore qualunquista o di un demagogo, di un sobillatore. Alle denunce seguivano puntuali le azioni, rivolte, per la sua parte, ai poveri e bisognosi, che aiutava usando molta discrezione. Spesso era il primo a mettere mani al suo portafogli per offrire anche gli spiccioli. Alle suore che lo richiamavano replicava: “Non preoccupatevi, la Provvidenza paga sempre”. La sua filantropia non si esauriva con l’invio di danaro, abbigliamento o alimentari, ma delegava le suore perché si accertassero delle situazioni e riferissero sugli sviluppi. Arrivava anche ad interessarsi per un sia pur provvisorio posto di lavoro, per una pensione, per ogni altra pratica. Molte volte mi capitava di vederlo triste, preoccupato perché non riusciva a far molto per tante famiglie. Ci rimaneva male quando le sue azioni non davano frutti, capiva che per tanta gente lui era l’ultima àncora di salvezza. A chi per rincuorarlo gli ricordava che un sacerdote non può risolvere problemi sociali complessi quali la mancanza di lavoro e di case, lui prontamente ribatteva: “Ma se non ci pensa il Parroco, come farà questa gente?”. Così caricava sulle sue fragili ed accoglienti spalle il disagio altrui. Soffriva per la tanta povertà esistente in alcune zone della sua parrocchia, se ne faceva una colpa, si sentiva inutile ed impotente. Non si dava comunque per vinto, continuava a battersi e ad affidarsi alla Provvidenza. Nella parrocchia di Santa Lucia tuttora funziona un gruppo dedito alle attività caritative in favore delle famiglie povere del paese. Un bel giorno, un altro giovane, Mario Cimino, silenzioso ma attivo nel gruppo parrocchiale, parte per verificare la sua vocazione. Mario ha anche assistito con tanta umiltà e disponibilità il suo Parroco morente, fino alla fine. P. Antonio era prudente dinanzi alle facili infervorazioni, ai cosiddetti fuochi di paglia, per cui spesso frenava l’entusiasmo di chi scopriva di essere attratto dalla vita religiosa. Lo testimonia Emilio Morrone: “Quando gli ho confessato la mia intenzione, la sua prima risposta fu ‘non avere fretta!’. Poi mi ascoltò attentamente, senza parlare. Per alcuni anni mi ha seguito, consigliandomi di finire gli studi superiori, invitandomi a riflettere bene e a far maturare la mia vocazione nella parrocchia. Quello che di lui mi ha colpito era il suo sa56
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per ascoltare, il suo saper tacere, il suo silenzio denso di contenuti inespressi. Egli è stato uno strumento di Dio, disponibile a tutto, anche a soffrire: P. Antonio in silenzio, come ogni profeta, ha sofferto molto per realizzare il disegno di Dio”. Che il Parroco di S. Lucia fosse schivo era cosa nota, ma non al punto da far passare quasi del tutto inosservato il suo 25° anno di sacerdozio. Di solito una ricorrenza così importante è�������������������������������������������� festeggiata ������������������������������������������ con molto risalto, ma P. Antonio non si concedeva neppure questo. Così agli inizi del 1983, una piccola cerimonia in chiesa, senza alcun clamore, ricordava i 25 anni di sacerdozio di Fratello Parroco. Tutto in sordina, tanto che molti non se ne accorsero nemmeno. Una persona così rigorosa sapeva essere anche allegra e sorridente. P. Antonio comunicava felicità, strappava un sorriso anche alle persone tristi. Durante le riunioni settimanali, sia al Terz’Ordine che all’Azione Cattolica, cercava di non rendere pesante e noiosa la conversazione, alleggerendola con qualche aneddoto, prendendo bonariamente in giro qualcuno dei presenti. All’indomani del suo 25° di sacerdozio un collasso cardiaco colpì il nostro amato Padre, che, ricoverato d’urgenza nell’ospedale di Crotone, fu per fortuna dimesso, con la seria raccomandazione di adottare uno stile di vita più tranquillo. Il monito dei medici rimase lettera morta: P. Antonio osservò il riposo prescrittogli per qualche settimana, dopodiché tornò ostinatamente ai consueti ritmi. La superiora della suore, Suor Elisabetta, nel 1983, il 1° settembre, lasciava la parrocchia portando con sé un’altra ragazza che aveva deciso di prendere i voti: Paola Sciarrotta. La sua scelta era maturata nel gruppo dei catechisti di cui abbiamo parlato. La partenza di Suor Elisabetta, che tanto si era spesa in favore della gente più povera, suscitò tanta delusione. Mentre tutto ciò avveniva, la parrocchia proseguiva nella sua crescita, ma sempre vivi erano i timori del Parroco e dei suoi collaboratori circa i lavori di completamento della chiesa. Una coppia di emigrati, commossa per quanto si stava facendo, prima di ritornare in America regalò alla parrocchia di Santa Lucia un organo. Ed è proprio all’organo che è legato l’ennesimo episodio che giustifica l’inesauribile fiducia di P. Antonio verso la Provvidenza. L’organo venne prestato per una ricorrenza. Quando fu restituito, le suore si accorsero di un guasto al pedale. Il danno ammontava ad oltre mezzo milione. L’oramai proverbiale ottimismo di Padre Antonio venne stavolta le57
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gittimato dal gesto di una coppia di sposini che, al termine della Messa, consegnò al parroco l’intera busta paga del marito: oggetto del voto fatto a suo tempo e ora rispettato per la grazia ricevuta (il lavoro ottenuto dal giovane). L’organo poteva essere così riparato! I superiori di P. Antonio (da P. Celestino, al provinciale uscente P. Luca Falcone, al nuovo provinciale P. Leopoldo Tiano, eletto nell’84, amico e compagno del Parroco di Santa Lucia) non smisero di seguire le vicende della parrocchia. Per i suoi 10 anni di vita si organizzarono manifestazioni, conferenze, cerimonie religiose di ringraziamento. Tutto – e lo ribadiamo – senza distrazioni superficiali a base di canzonette e spettacoli, alle quali P.Antonio anteponeva la preparazione religiosa dei fedeli, dando una grande importanza alla conoscenza delle Sacre Scritture. Nell’ottobre dell’85, nel quadro dei festeggiamenti per il 10° anno di vita della parrocchia, promosse una settimana biblico-liturgica curata dai Padri, Francesco Tudda e Francesco Critelli, e trasmessa in diretta da Radio Sila Tre. Per quell’anniversario visitò la parrocchia anche Mons. Benigno Papa, e intervennero sacerdoti da fuori regione per predicare la Parola di Dio. La ricorrenza venne vissuta con maturità spirituale dall’intera comunità e fu anche l’occasione per un primo bilancio dei lavori svolti.
P. Antonio nella chiesetta del Crocefisso. 58
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P. Antonio: viaggio in Terra Santa
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egli ultimi mesi del 1985 le condizioni generali di salute del Parroco erano peggiorate sensibilmente. A tutti appariva pallido, mangiava sempre meno e dimagriva a vista d’occhio. Vane furono le insistenze della superiora Suor Michela perché si ricoverasse. P. Antonio aveva già programmato di andare in pellegrinaggio in Terra Santa. Quel viaggio lo aspettava da anni e non intendeva rinunciarci per nessun motivo. Durante la permanenza in Terra Santa la salute ne risentì: il male era in uno stato avanzatissimo, non riusciva a camminare, e grande fu lo sforzo per terminare il pellegrinaggio. Ritornò da quei luoghi profondamente colpito, ne parlava sempre a tutti; diceva di volerci ritornare con i suoi parrocchiani. Per lui forse l’esperienza più bella della sua vita. P. Antonio annota in un diario le sue impressioni sulle tappe del viaggio. Ne traspare tutta la sua fede e la soddisfazione per aver visitato quei luoghi che rappresentano la culla del Cristianesimo. Il diario, a mio avviso, può considerarsi una straordinaria manifestazione di fede, il grazie per i doni avuti da Dio e insieme la speranza di una vita interiore sempre più ricca. Queste pagine, scritte con il cuore, assolutamente prive di retorica proprio perché non destinate nelle sue intenzioni ad essere conosciute da altri, sono la più bella predica mai pronunciata da P. Antonio. Sono il suo ultimo scritto e senz’altro il più significativo: Martedì 5 novembre 1985 Alla vigilia della partenza per il mio primo pellegrinaggio in Palestina, Signore, desidero prepararmi spiritualmente a questo viaggio che mi porta là dove Tu, Gesù, hai vissuto per compiere un’azione più grande di quella che hai compiuto creando dal nulla l’immenso Universo. In questo Universo hai compiuto un atto di infinito Amore quando hai creato dal nulla l’anima umana a Tua immagine e somiglianza. Ma questo nuovo essere, che superava nella Tua Onnipotenza tutto ciò che era stato operato dalla Tua Sapienza, si è ribellato a Te proprio per quella volontà che era un Tuo atto di volontà. Ha usato questa volontà per ribellarsi a Te e quindi meritarsi per questa ingiustizia, perché ogni peccato è un atto di ingiustizia contro Te, una condanna di proporzioni infinite, come è di dimensione infinita la ribellione, non da parte di chi la commette, ma da parte di Te che la ricevi. Ora là in Palestina hai voluto dimostrare la potenza del Tuo Amore, unendo, nella Persona del Figlio, alla natura divina la nostra natura umana, affinché 59
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P. Antonio in Terra Santa - 12 novembre 1985 (ultima foto da vivo). 60
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per l’unione di queste due nature in un’unica Persona, quella di Gesù, la possibilità che la natura umana in tutti coloro che la posseggono potesse riparare nella Persona di Gesù, per la Sua Incarnazione, Passione e Morte, tutti i reati commessi contro Dio e quindi ottenere la piena riabilitazione per merito di Gesù. E tutta questa azione di amore infinito tra noi, per le nostre anime, è avvenuta là, in quei luoghi che io domani visiterò. Quanta venerazione, quanta gratitudine, quanto amore debbo avere per Gesù percorrendo quella terra che Lui ha scelto per ricondurre le anime a Dio e per dare loro la possibilità di una eternità felice! O mio Dio, che possa la mia intelligenza capire tutto l’Amore del Padre per noi e fa’ che io davanti ad ogni tentazione del demonio possa dire: preferisco il Padre che per me ha sacrificato il Suo Figlio unigenito. Spirito di Dio vivi sempre in me. Mercoledì 6 novembre 1985, ore 13.30 (Partenza per la Palestina) O mio Signore, vorrei partire per questa Terra con quell’amore che ebbero prima gli Ebrei perché era la terra che avevi loro promesso per la loro liberazione da ogni schiavitù; e con quell’amore che ebbero i crociati, che sopportarono tante sofferenze affinché questa Terra venisse riconosciuta come la Terra nella quale è vissuto Gesù e dove Egli, con la Sua Incarnazione, Passione e Morte, ha compiuto la nostra redenzione, come si espresse sulla Croce quando dopo aver detto quelj Sitio, cioè che era assetato, di salvare le anime e di dare gloria al Padre, dopo Cum ergo accepisset Jesus acetum, dixit “Consummatum est” et inclinato capite emisit Spiritum (Gv. 19, 28-30). Ed io oggi vado là, in quella Terra che viene ben a ragione definita santa, perché in essa si è dimostrato tutto l’Amore di Dio per noi che per salvarci dalla pena ha voluto pagare il nostro debito con la Giustizia Divina, con il suo preziosissimo sangue. Debbo amare questo popolo che Iddio ha scelto con tanto amore fino a dare la natura umana del suo Figlio prediletto da quel popolo, al quale apparteneva la Vergine Maria. Giovedì 7 novembre 1985 (Nazareth – Albergo Casa Nova) O Padre, Padre Mio, quale grande grazia mi stai facendo! Non sono degno di un dono così grande, di potermi trovare in un luogo che Tu hai scelto per far concepire nel Grembo di Maria la natura umana del Tuo Figlio Unigenito. A pochi metri da me hai mandato il Tuo Ambasciatore a una Creatura Immacolata e l’hai mandato per salutare questa Creatura con le parole sublimi che mai prima di allora erano state pronunciate su questa terra: “Ti saluto o piena di grazia, il Signore è con Te”. È stato qui il luogo nel quale la creatura 61
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umana è stata inserita nella SS. Trinità per ridare a questa creatura, che con tanto amore avevi creato a tua immagine e somiglianza, e che per il peccato aveva perduto questa immagine e somiglianza con Te, questa creatura umana l’ha potuta riacquistare con il Sacrificio del Tuo Unigenito Figlio, che al Tuo Amore ha risposto con un ecce venio per rinnovare in essa la natura divina, per cui Tu le avevi detto “Dei estate et filii Excelsi omnes” ma che per il peccato si era strappata da sé questa immagine e somiglianza. È qui il luogo dove ogni creatura umana dovrebbe stare in ginocchio con la faccia a terra per ringraziare ciò che nella Tua infinita potenza e nel Tuo inenarrabile Amore Tu, Padre, hai fatto. O Padre, Tu mi concedi la Grazia di essere Tuo ambasciatore ogni volta che ripeto a Maria il saluto di Gabriele, il Tuo ambasciatore, perché anche io, per Tua grazia, posso salutare Maria. O Gesù, qui concepito per salvarci, Grazie, Grazie, Grazie! Venerdì 8 novembre 1985 (Nazareth – Pellegrinaggio alla Montagna delle Beatitudini) Signore Gesù, Divino Maestro, oggi Tu mi conduci su quella collinetta che viene chiamata Monte delle Beatitudini. Mi conduci là non per fare il turista; non per fare una fotografia a quel luogo, mi conduci là non per vedere, ma per ascoltare. Possa salire su quel monte ricco di tante cose, ma lì Tu mi ripeterai ciò che è fondamentale per la mia Vita, per la Vita di tutti, soprattutto per ripetere alla mia anima la prima beatitudine, che è la più importante, perché è il corollario di tutte le altre beatitudini, perché in essa vi è la tua finalità per cui mi hai creato dal nulla: Beati i poveri in Spirito perché di essi è il Regno dei Cieli; Beati voi poveri perché vostro è il Regno di Dio. Povero davanti a Te non è colui che non possiede beni materiali o spirituali, povero per Te è chi non possiede Te, mio unico e vero Dio. Povero sono se non mi sento continuamente figlio del Padre, fratello Tuo, mio Gesù, privo dello Spirito Santo. Ossia, Tu mi chiamerai Beato quando avrò coscienza di avere un assoluto bisogno di Te, mio Dio. Quale ricchezza potrò contrapporre a Te, mio unico vero Dio? Solo allora sarò Beato, quando sarò povero nello spirito, quando riconoscerò che mi mancherà ciò che mi fa essere veramente ricco e cioè mi farà possedere la Vera Ricchezza che consiste nel possedere il Regno dei Cieli. O Gesù quanto sento in me bisogno di Te. Sabato 9 novembre 1985 (Nazareth) Nazareth addio. Parto, ti lascio, ma, o Dio, fa’ che il profumo di questo fiore mi segua per tutto il tempo che ancora mi lasci vivere in questa terra. Quanto 62
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ti amo o meraviglioso luogo, il più importante di tutta la terra perché è qui che il verbum caro factum est. È qui il luogo che per Te, o mio Dio, è avvenuta la manifestazione della Tua Gloria e del Tuo Amore, perché è qui che il demonio è stato vinto e la creatura umana ha potuto, con la volontà che le avevi dato, chiedere umilmente perdono ed ottenerlo per mezzo dell’Incarnazione della Tua Parola, o Padre, che divenuto uno di noi con la sua Passione e Morte, ha potuto riparare i nostri debiti, che ci avrebbero tenuti lontani da Te per l’eternità. Padre, Padre mio ti prego, ti scongiuro, non permettere che nel resto della mia vita io possa ricadere, anche per un solo istante, in quelle tenebre che non vedono Gesù. Fa’ che prima muoia! Domenica 10 novembre 1985 (Gerusalemme – Albergo Notre Dame – S. Messa al Cenacolo) Gesù ci ama fino all’estremo dell’Amore. O Gesù, oggi là nel Cenacolo, dove cominciò la Tua vita eucaristica ripeterò in Tua memoria l’Azione più grande e più divina che la Tua Sapienza ed il Tuo Amore potevano escogitare. Là nel Cenacolo ci hai amato e ci ami all’estremo del Tuo Amore.
P. Antonio in un pellegrinaggio. 63
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Lunedì 11 novembre 1985 (Bethlem) Signore Gesù, vero Dio e vero uomo, vero Figlio del Padre, vero Figlio di Maria Vergine Immacolata, oggi celebrerò il Divino Sacrificio là a Bethlem dove tu Gesù vedesti la luce del mondo, ma non la luce quella che può dare il mondo, ma la “luce quella vera che illumina ogni uomo, che lì veniva nel mondo” (Giov. 1-9) perché Tu stesso sei “la luce che risplende nelle tenebre” (Giov. 1,5). Ma non posso pensare a Te Gesù se non metto vicino a Te la Vergine Maria. Oh Maria, grande protagonista della Salvezza, permettimi, aiutami questa mattina a tornare con la fantasia indietro nei secoli per vedere Te che tieni tra le braccia il Bambino Gesù, e gli dici con un amore sovrumano “Bimbo mio”. Ogni madre abbraccia il proprio bambino con tutta l’effusione del suo cuore. Ma a Te è riservata, però, insieme, una gioia e quasi un dolore, perché mentre lo ammiri, gli dici: “Bimbo mio, la tua bocca somiglia alla mia, i tuoi occhi somigliano ai miei, il mio cuore ti stringe” ma nello stesso tempo pensi: “Ma questo Bambino è il mio Dio” e ti senti quasi crudelmente staccata da Lui, perché a Lui devi dire “Questi è il mio Dio, il mio Vero Dio, non Lui dipende da Me, ma sono Io che dipendo da Lui”, per cui all’Amore di Madre deve unirsi il senso della tua piccolezza, della tua umiltà. Martedì 12 novembre 1985 (Gerusalemme - Getsemani) Questa mattina sarà da lì che salirà al cielo il rinnovamento incruento del Sacrificio della Croce. Credo che Tu sia risuscitato, credo che siedi alla destra del Padre, ma so anche che la Chiesa guidata dallo Spirito Santo ci pone avanti agli occhi il Crocifisso, affinché la nostra vita sia un continuo ricordo della Tua Passione. E quest’oggi lo Spirito Santo mi suggerisce di tornare con la mente a quei terribili momenti in cui Tu, Gesù, cadesti nella più profonda angoscia che ti prostrò fino a dire delle Parole, che sono in contraddizione con la ragione di essere, tanto che gettato bocconi per terra, pregasti e dicesti: “Padre mio, se è possibile passi da me questo calice; tuttavia non come voglio io, ma come vuoi Tu”. O Gesù fa’ che io nel mio cuore, Ti domandi perdono di tutti i peccati che io ho commesso nella mia vita, perché anche il più piccolo è stato causa di questa inaudita sofferenza. Signore Gesù, il pensiero del Getsemani fa’ che mi sia di aiuto nel momento della tentazione e il ricordo del Getsemani mi faccia ricordare ciò che dicesti ai tuoi Apostoli: “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Come sono vere queste Tue Parole! Il mio spirito è pronto perché voglio amarti sopra ogni altra cosa. Voglio preferire Te ad ogni allettamento che mi propone il nemico. Ma se io allento la vigilanza e la preghiera, la debolezza 64
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della mia carne è così grande che posso addormentarmi ed allora la mancanza di preghiera e vigilanza mi può condurre a quello stato d’animo che ebbero gli Apostoli che avendo dormito fuggirono lontano da Te, senza Te. Mercoledì 13 novembre 1985 (Gerusalemme) Padre, Ti scongiuro nel Nome del Tuo Figlio Gesù, accresci la mia fede. È stato lo Stesso Tuo Figlio Gesù ad indicarmi il modo con il quale io posso rivolgermi a Te, perché mi ha assicurato che ogni cosa che io Ti domanderò nel Nome Suo, Tu me la darai. Padre, tra poco andrò alla Basilica del Santo Sepolcro per celebrare il Santo Sacrificio. In Nome del Tuo Figlio Ti prego, Ti scongiuro, accresci la mia Fede, perché io creda che là, in quei pochi metri di terra, si è svolto tutto ciò che era necessario per la salvezza eterna, perché è là che Gesù ha pagato tutti i debiti che io e ogni creatura avevamo contratto con la Giustizia Divina e da lì è sorto quel Sole che illumina di Luce, di vera Luce nella visione beatifica l’eternità della mia anima e di tutte le anime. O Padre, nel momento della tentazione fa’ che per questa Passione, Morte e Resurrezione di Gesù io preferisca Te a tutti i beni che in modo subdolo mi offre il Tuo nemico. O Gesù, quanto ti ho fatto soffrire! Grazie per ogni goccia di sangue che Tu hai versato per lavarmi. In questo momento non posso più dimenticare ciò che dicesti, o Gesù, negli ultimi istanti: “Donna, ecco Tuo Figlio” e a me: “Ecco Tua Madre”. Padre, Gesù, Maria, Grazie!
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P. Antonio: la sofferenza finale
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ientrato dalla Terra Santa, il Parroco, quasi in sordina, partiva per Roma il 13 gennaio 1986 per una serie di accertamenti clinici. I medici appena poterono visitarlo si accorsero della gravità delle sue condizioni di salute, decidendo per un immediato intervento. Dopo oltre 4 ore l’operazione si concludeva positivamente, ma dava ai medici la certezza che oramai per P. Antonio non c’era molto da fare. Quasi nessuno sapeva delle sue reali condizioni e molta era la speranza in parrocchia di rivedere Fratello Parroco guarito. Anche dall’ospedale non cessava di preoccuparsi della sua parrocchia. Ecco il testo di una lettera del 13-2-1986 scritta al viceparroco P. Virgilio, che nel frattempo lo sostituiva: “Carissimo P. Virgilio, man mano che vado riprendendomi invio qualche parolina a coloro che si stanno sacrificando per me. Sono partito per una semplice visita di controllo ed invece guarda in quale stato mi sono trovato! Apprendo che stai lavorando tanto, senz’altro il Signore ti ricompenserà, ed alle benedizioni del Cielo unisco il mio grazie di cuore per tutto quello che stai facendo per l’onore della nostra fraternità e per il bene dei nostri cari parrocchiani e soprattutto per la gloria di Dio. Lavora con fervore francescano senza lasciarti vincere dalla sfiducia. Salutami tanto i fedeli e preghiamo insieme perché possa ritornare al più presto in mezzo a Voi”. Durante la sua permanenza romana all’ospedale scriveva un po’ a tutti, riceveva telefonate e continuava a dare disposizioni. Ritornò a San Giovanni in Fiore convinto che tutto stava andando per il meglio (non gli era stata rivelata la gravità del male). Potè in seguito riprendere a celebrare la messa nella cappella delle suore dei Cappuccini e cominciò a ricevere la gente, che sempre più numerosa voleva salutarlo. Aveva fiducia di ristabilirsi completamente, anche perché riusciva a mangiare di tutto, mentre per anni una fastidiosa colite gli aveva imposto una dieta rigorosissima. Ma le cose mutarono presto. L’incredibile chemioterapia a cui si sottopose in un continuo vai e vieni da Roma lo stava prostrando. Ne parlava come qualcosa di tremendo e dolorosissimo, e solo perché aveva tantissima voglia di guarire accettava questo tipo di cura, sempre assistito da Pino Spadafora e da Giuseppina Severina, oltre che dalla sorella e dai familiari. La Madre Generale delle Dorotee inviò anche una suora infermiera per le medicazioni e l’assistenza. Nella Settimana Santa di quell’anno volle addirittura scendere nella sua parrocchia per celebrare la Messa, in un clima di indescrivibile commozione: la sua voce era appena percettibile! Era quella l’ultima volta che tornava fra la sua gente, nella sua Chiesa. 66
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Risalito a Roma per ulteriori accertamenti, non dimenticò mai di interessarsi alla comunità parrocchiale. Ogni tanto P. Virgilio riceveva lettere indirizzate alle mamme, ai bambini, ai giovani, agli uomini, e le leggeva dall’altare. L’estate dell’86 fu un vero e proprio calvario per il Parroco di Santa Lucia. Le peggiorate condizioni di salute gli impedivano di uscire e di svolgere la minima attività. Nessuno aveva trovato il coraggio di dirgli la verità sulle reali possibilità di superare e sconfiggere il male. Del resto, la sua grande voglia di vivere scoraggiava la franchezza sull’ argomento. Ai bambini della parrocchia aveva scritto: “Il vostro Parroco, seppure malaticcio, ritornerà”; alle suore ed ai suoi collaboratori dava sempre appuntamenti per il suo rientro in parrocchia. Intanto la gente affluiva in continuazione al convento dei Cappuccini per fargli visita e per scambiare con lui due parole. Si interessava alle vicende personali, familiari, e a tutti raccomandava la sua parrocchia, la sua chiesa. Diventava sempre più debole, parlava a fatica, ma rimase lucidissimo sino alla fine. Passeggiava stancamente per il corridoio del convento, appoggiandosi a chi gli stava vicino. Si affacciava in continuazione dalla finestra della sua stanzetta, da dove poteva guardare in tutta la sua estensione la sua parrocchia e la costruenda chiesa. “Ecco i miei gioielli!”, esclamava. Quando il sospetto delle sue reali condizioni di salute si faceva avanti, ripeteva con un filo di voce: “Chissà se potrò più scendere in mezzo alla mia gente!”. Ridotto pelle ed ossa, impossibilitato oramai perfino ad alimentarsi, convinto della fine oramai prossima, mandò a chiamare una alla volta tutte le persone che in quegli ultimi anni gli erano state più vicine. Ai confratelli, al Provinciale, al suo Vescovo, visibilmente commossi, chiese “Perdono”. Ai suoi collaboratori, uno per uno, affidò precise indicazioni, proprio come fa chi è in partenza per un viaggio. Raccomandò ai vari responsabili parrocchiali, gli uomini, le donne ed i ragazzi di Azione Cattolica, i catechisti, i chierichetti, i giovani, le suore. A me, in un primo incontro, pregò di riferire al Terz’Ordine Francescano che lo teneva sempre nel suo cuore. Alla superiora Suor Michela confidò: “Dica alla gente che ho voluto bene a tutti ed a ciascuno in particolare. Vi prego di perdonarmi se non sono riuscito ad esprimere il mio affetto perché così era il mio carattere. Dica loro che li porto tutti nel cuore e che stiano uniti”. Poi alla Suora illustrò i dettagli del suo funerale, con la lucidità di chi sta organizzando le altrui esequie. Le chiese di non sgridare i chierichetti se nel corso della cerimonia non avessero fatto silenzio (“Ci sarà confusione”) e la sollecitò ad attenersi alle sue volontà. Anche per i suoi funerali tutto doveva funzionare alla perfezione, ogni cosa doveva essere al suo posto!
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Gli ultimi giorni di vita furono per lui tremendi: non riusciva a dormire, ad alzarsi dal letto, la voce era tremante, il volto, le mani e tutta la pelle erano diventati gialli. Si stava consumando lentamente, inesorabilmente, mentre la sua mente sempre lucida gli permetteva di vedersi morire momento dopo momento. Il 26 settembre gli portarono un mazzo di fiori: era il suo compleanno e qualcuno se ne era ricordato. Mezzo sorriso di P. Antonio fece capire che aveva gradito il pensiero, anche se in precedenza rimproverava sempre chi si preoccupava per lui. Il 27 settembre una coppia di sposi entrò nella sua stanzetta: egli aveva fatto mettere la partecipazione delle nozze sul comodino perché la cosa non gli sfuggisse (e quando mai a P. Antonio era sfuggita qualcosa!). Aveva preparato un piccolo discorso, si sforzava di apparire addirittura su di morale. L’ultima settimana di vita aveva il pensiero fisso di fare la comunione: se i frati del convento tardavano anche solo di qualche minuto, li mandava a cercare. Chiese perdono a tutti, e quel 3 ottobre, verso le 17, mentre in Chiesa iniziava la cerimonia religiosa del Transito di San Francesco d’Assisi, P. Antonio emise un profondo ultimo respiro col quale accolse sorella morte, pienamente cosciente e con una preghiera rimasta sospesa sulle labbra. Si spegneva così serenamente, prontissimo ad affrontare il passaggio a Nuova Vita. Lasciò un vuoto incolmabile, ed espresse il desiderio di essere sepolto nella chiesa di S. Lucia, una volta completata. I funerali si svolsero il 4 ottobre, il giorno in cui il grande amore della sua vita, San Francesco, viene ricordato in ogni chiesa e in ogni parte del mondo: il Santo poverello, il Santo della pace, l’altro Cristo, per il quale P. Antonio aveva fedelmente speso la sua vita terrena. Migliaia di persone salutarono per l’ultima volta quel Frate cappuccino che avevano conosciuto ed amato. Al cimitero venne portato a spalla dai giovani, mentre calavano le prime ombre della sera. Una donna affacciata dal balcone della sua casa nei pressi del cimitero, udendo canti religiosi provenire da una folla con le fiaccole, chiamò una vicina di casa dicendo: “Sta passando la processione di San Francesco”. P. Antonio ha lasciato questa terra, ma c’è chi adesso sta portando avanti quello che lui aveva iniziato. La parrocchia di S. Lucia vive e lavora in ricordo del suo primo parroco, ognuno sta assolvendo al compito che gli è stato assegnato. In ognuno vive Fratello Parroco, pronto ad indicare la strada giusta da seguire, attento che tutto si svolga senza intralci e che non sfugga nulla di quanto prestabilito. P. Antonio è vivo nel cuore di quanti ad Acri, a San Giovanni in Fiore, in America, lo hanno conosciuto ed amato. È vivo perché non lo dimenticheremo mai.
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Come ha vissuto la Parrocchia di S. Lucia la dolorosa agonia del suo Parroco? Attraverso la cronaca parrocchiale, che P. Antonio voleva sempre aggiornata e accurata, riviviamo momento per momento la partecipazione dei parrocchiani all’ultimo atto della vita di Fratello Parroco. 13-1-1986. il Parroco parte per Roma con l’intento di ricoverarsi presso l’ospedale Villa Benedetta per una serie di analisi ed un eventuale intervento chirurgico. Da tempo non aveva pace né giorno né notte. La cura ordinata dal medico risultava inefficace ed il malessere generale è ancora esacerbato dalle sanguinanti emorroidi. Ha un viso molto pallido e teso, ma lo spirito è ben saldo nel Signore. 21-1-1986. P. Marcellino Villella, superiore del convento, parla telefonicamente con Suor Marcellina, sorella del nostro Parroco, nella cui clinica Villa Benedetta è ricoverato. Il decorso post-operatorio è soddisfacente, l’intervento è tecnicamente riuscito. Resta ancora l’incognita della cisti. 23-1-1986. Il Parroco parla telefonicamente con alcune persone, tra cui il Presidente parrocchiale di A.C. e si dimostra abbastanza ripreso e fiducioso di guarire completamente. È grato a San Francesco per come sono andate le cose e già prevede un pellegrinaggio di ringraziamento ad Assisi. 27-1-1986. Don Battista Cimino e P. Marcellino Villella partono alla volta di Roma per incontrarsi direttamente con il Parroco. Anche l’ex superiora Suor Elisabetta da Treviso si reca a Roma per parlare con P. Antonio, il quale raccomanda di non preoccuparsi della sua salute. 29-1-1986. Al Parroco viene praticata una nuova anestesia totale e condotto in sala operatoria gli vengono tolti i tamponi. Il risultato dell’esame istologico tarda per lo sciopero dei medici. 31-1-1986. P. Marcellino e Don Battista rientrano da Roma e si dimostrano ottimisti sullo stato di salute del Parroco. Raccomandano di non organizzare autobus per non creare confusione nella clinica, anche perché non vi sono luoghi adatti per ricevere tanta gente e poi perché P. Antonio ha soprattutto bisogno di riposare. Si raccomanda di non eccedere anche con le telefonate. 1-2-1986. Rientra da Roma anche Suor Michela e conferma le notizie. La speranza si apre verso orizzonti più sereni. 5-2-1986. La tanto sospirata notizia è finalmente arrivata: l’esame istologico è risultato negativo! Un grande incubo è così felicemente finito, ed ora si guarda al decorso post-operatorio con più tranquillità. Il nostro Parroco tornerà nuovamente in mezzo a noi! 23-3-1986. Vola la notizia che P. Antonio è giunto da Roma e si trova in convento. (Giovedì Santo) 27-3-1986. Una profonda emozione ed un caloroso applauso accolgono P. Antonio sceso in parrocchia per la concelebrazione eucari69
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stica. Egli appare piuttosto stanco, ma abbastanza vigoroso. La liturgia in Coena Domini si svolge con una certa solennità e con una lunga processione offertoriale. La tensione a stento trattenuta dai fedeli per non addolorare l’amato Parroco si scarica quasi spontaneamente quando P. Antonio prende la parola soprattutto per ringraziare tutti. Riesce però a dire poche cose: i continui battimani, le lacrime e la fortissima emozione che lo prende lo induce ad interrompere bruscamente. Mentre P. Virgilio si affretta a concludere la liturgia, P. Antonio viene riaccompagnato in convento. 7-4-1986. Il parroco, P. Antonio, riparte per Roma. Dovrà essere sottoposto ad una terapia intensiva e piuttosto dolorosa. Continueranno ad accompagnarlo le nostre preghiere, perché possa presto ritornare fra noi. 25-5-1986. Alle ore 15.00 P. Antonio rientra da Roma, accompagnato in macchina da Pino Spadafora. 29-5-1986. Le analisi del sangue segnano i globuli bianchi del Parroco a 1.500 per mm3. Sono ancora troppo bassi per poter affrontare l’altra flebo. 5-6-1986. Le nuove analisi del sangue del Parroco segnano una netta ripresa. Infatti i globuli bianchi superano i 3.000 per mm3 ed anche gli altri elementi sono buoni a tutto vantaggio delle condizioni generali. Pino Spadafora ne medica le ferite ogni giorno e tante volte dorme in convento. 18-6-1986. Le nuove analisi del Parroco evidenziano i valori normali degli elementi sanguigni per cui può prepararsi ad un nuovo ricovero ospedaliero per accertamenti. Siccome preferisce essere più vicino alla parrocchia si mette in contatto con l’ospedale di Cetraro dove opera una delle suore che lo ha assistito a Villa Benedetta. 26-6-1986. Di buon mattino, il Parroco parte alla volta di Cetraro per il proseguimento della cura. 1-7-1986. Ancora barcollante il Parroco rientra in sede perché non riesce a sopportare ulteriormente gli estremi disagi del nosocomio cetrarese e poi anche perché i medici hanno riscontrato attorno alle ferite una escrescenza di carne che deve essere bruciata con i sistemi adatti. 2/3-7-1986. Si cerca negli ospedali del circondario se vi sono i macchinari adatti per la cobaltoterapia. L’esito è negativo, per cui bisogna ritornare a Roma. La ferita continua a procurare atroci dolori ed il trasferimento a Roma non può più avvenire in macchina. 6-7-1986. A Lamezia Terme il Parroco prende l’aereo alla volta di Roma. La destinazione è la casa di cura Marco Polo dove gli viene assegnata una stanzetta. 8-7-1986. Dopo le analisi di rito inizia la cobaltoterapia che fiacca duramente il già provato fisico del Parroco. Il provinciale, P. Leopoldo Tiano, invia a Roma Fra’ Mario Cimino per assistere e far compagnia al Parroco. 30-7-1986. P. Antonio rientra da Roma, ma ha grossi problemi digestivi. La 70
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nuova suora infermiera, Suor Onorina, inizia il suo lavoro di assistenza al Parroco, dimostrando competenza ed estrema pazienza. La sofferenza del Parroco sembra insuperabile, ma alla fine il problema è risolto. 3-8-1986. Poiché si sente meglio, il Parroco riesce a celebrare la S. Messa presso la cappella delle suore dei Cappuccini, incontrando anche alcuni parrocchiani. 7-8-1986. Il Parroco è nuovamente in ospedale! Ha problemi di stitichezza, mentre avverte sempre più dolori insopportabili. Resta sotto continua osservazione, mentre la speranza di guarire va sempre più affievolendosi. 15/16-8-1986. I dolori aumentano sempre di più, tanto da dover ricorrere ad una flebo per calmarli. Il sollievo è molto leggero. Il Provinciale dei Cappuccini si reca da P. Antonio portando con sé il cappuccio che fu del Beato Angelo, al quale P. Antonio è devotissimo. 18-8-1986. Giunge Suor Elisabetta Ruffato, la nostra ex Superiora, in una fugace visita a P. Antonio. È visibilmente commossa e si dimostra sinceramente dispiaciuta per lo stato di salute del Parroco; è convinta, fra l’altro, di non rivederlo più vivo. 31-8-1986. Un fastidioso singhiozzo si aggiunge a rendere più dolorosa la malattia del Parroco. Continua a prendere le fiale della cura, nonostante il parere contrario dei medici locali che le ritengono oramai inutili. Infatti l’effetto è peggiore delle precedenti. Il viso di P. Antonio ha assunto il colore del limone, ma la speranza di una guarigione continua ad essere viva. Si parla di un suo ritorno a Roma. 3-9-1986. Le condizioni di salute del Parroco sono in continuo sensibile peggioramento. Incontra perfino delle difficoltà nel parlare e nel camminare. Anche il cibo gli procura atroci dolori. 10-9-1986. L’Arcivescovo di Cosenza, Dino Trabalzini, è in visita a P. Antonio, che dimostra profonda prostrazione dinanzi a colui che rappresenta l’unità della nostra Chiesa locale. È comunque sempre vivo in lui il desiderio di continuare a lavorare per completare l’opera iniziata pur nella consapevolezza della propria fragilità fisica. Il Presule usa le parole di incoraggiamento verso P. Antonio. Al termine della visita concretizza i suoi sentimenti con una congrua offerta per la costruzione della Chiesa. 15-9-1986. Qualsiasi posizione assunta dal Parroco nel letto è motivo di sofferenza. Non riesce a dare nemmeno un passo da solo e deve essere sorretto da due persone. Usa una carrozzella anche per i brevi spostamenti. 18-9-1986. Il Parroco ha convocato uno per volta e separatamente i suoi più stretti collaboratori. Oggi ha incontrato il Presidente dell’Azione Cattolica ed il delegato del settore adulti. Le conversazioni si svolgono in un clima di serenità per il continuo richiamarsi alla volontà di Dio. P. Antonio è ormai consapevole delle sue reali condizioni di salute e dell’estrema gravità del male 71
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che lo ha colpito. Si mostra sereno e disposto ad accettare qualsiasi cosa. La sua preoccupazione è rivolta alla parrocchia, proprio per questo invita i suoi collaboratori a supplirlo e a a continuare a lavorare; anzi li impegna a lavorare di più affinché il cammino iniziato non subisca arresti. Il colloquio di oggi fatto con il cuore in mano guardando in faccia la realtà, senza cadere in inutili pietismi e sterili rimpianti, ha rappresentato una vera grazia di Dio per P. Antonio, anche per il lieve sollievo procuratogli; ma il rinnovato dolore allo stomaco ha costretto ad interrompere la conversazione. 23-9-1986. Il viceparroco, P. Virgilio, apre la seduta del Consiglio Parrocchiale commentando le parole di Gesù: “Chi fa la volontà di Dio è mio Fratello e mia Madre”. Malgrado le difficoltà dovute soprattutto alla grave malattia del Parroco si sta ugualmente andando avanti, grazie all’impegno di tutti. Occorre continuare su questa scia, consapevoli della fede che portiamo e che ci spinge ad operare per dovere, forti della preghiera e dell’aiuto della Madonna. 24-9-1986. Le condizioni di salute del Parroco sono disperate, per cui dalla Svizzera e da Roma giungono i fratelli per poterlo salutare. La sorella Rosa che sta qui a San Giovanni in Fiore, appena completati gli obblighi scolastici corre ogni giorno al suo capezzale. 26-9-1986. In occasione del compleanno del Parroco si voleva organizzare una concelebrazione nella sua stanza, ma le sue condizioni di salute non lo consentono. Anche la visita della Madre Provinciale delle Suore Dorotee si limita allo stretto necessario. 27-9-1986. Tutti hanno l’impressione che la sofferenza di P. Antonio stia giungendo a termine. Da tutta la provincia giungono uno la volta i frati cappuccini che lo hanno conosciuto ed amato. È un via vai discreto e silenzioso che ha il sapore di un addio. 2-10-1986. I pellegrini della nostra parrocchia e della Calabria diretti ad Assisi per la Festa di San Francesco partono guidati dai vescovi calabresi e da tanti sacerdoti. Il nostro gruppo, guidato da P. Marcellino, pregherà sulla Tomba del Poverello per impetrare la grazia della guarigione di P. Antonio. Ma le sue condizioni sono estremamente disperate. 3-10-1986. P. Antonio Pignanelli, parroco di Santa Lucia, si è spento serenamente alle ore 17.00 nella sua stanzetta del convento dei Cappuccini.
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Il testamento di P. Antonio
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Saluto di commiato dei parrocchiani
«M
i sarei sottratto volentieri a questo compito così doloroso di porgere l’estremo saluto al nostro Fratello Parroco a nome di tutta la parrocchia, perché mi è impossibile trovare le parole adeguate ad esprimere quello che P. Antonio è stato per ciascuno di noi ed anche perché una ridda di pensieri si accavalla nella mente gareggiando a sopraffarsi a vicenda. Sì: già da tempo ci aspettavamo la tragica conseguenza di un male che non perdona; ma la speranza è rimasta sempre viva ed ha alimentato una fede che si è arricchita sempre di più di nuovi contenuti, senza tuttavia raggiungere, forse, una tale intensità da ottenere il miracolo. Così Padre Antonio ci ha lasciati, dopo che il Signore lo ha provato duramente, come si purifica l’oro nel crogiuolo; ne “ha arrotolato la vita come un tessitore e lo ha reciso dall’ordito”, togliendolo alla nostra vista in un suo imperscrutabile disegno di padre amoroso. “Se il chicco di grano non cade nel terreno e non muore non può portare frutto”, ci ricorda Gesù; e forse i maggiori frutti dell’operato di P. Antonio scaturiranno da questo suo supremo sacrificio! Nessuno può metterlo in dubbio: nei dieci anni e più di vita parrocchiale a S. Lucia, P. Antonio è stato instancabile e sul piano spirituale e su quello materiale: le cose che ci circondano gridano il suo impegno costante e caparbio, e solo l’ultimo delle coscienze potrebbe esprimere lapidariamente il bene che ha ricevuto dai suoi consigli e dai suoi interessamenti! C’è stato un solo problema dei suoi parrocchiani che non l’abbia interessato e che non l’abbia spinto a tentare qualsiasi mezzo per risolverlo? Quale attenzione non ha avuto per le proposte di bene che gli venivano rivolte? Quale umiltà non nascondeva dietro quel suo carattere che a volte poteva sembrare duro, fino a condividere anche fisicamente le sofferenze altrui? Ora non c’è più: fisicamente, però, perché la nostra fede ci dice che P. Antonio è più vivo che mai perché le sue opere lo accompagnano e ce lo rendono continuamente presente. Sta a noi impossessarci del suo messaggio e della sua testimonianza per continuare a lavorare sulla sua scia, incarnando nel mondo l’amore di Dio Padre. Non possiamo lasciar correre, una volta passata l’emozione del momento: non possiamo rimanere tranquilli con le mani in mano, ma dobbiamo sentire come un fuoco dentro che ci spinge ad agire, dichiarandoci completamente disponibili a collaborare con coloro che la Provvidenza Divina metterà sulla nostra strada a guidarci. È un impegno che dobbiamo assumere ora, dinanzi alla bara che raccoglie le spoglie mortali del nostro Parroco. 77
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Anche noi, tutti, ti portiamo nel cuore e vogliamo essere assieme a te, carissimo P. Antonio, quando verrà il nostro turno. Perciò il nostro non è un addio ma un arrivederci in cielo!». F. Gabriele
P
ochi giorni prima della sua morte, P. Antonio mi volle ancora una volta parlare per qualche minuto, da solo. Aveva oramai la certezza della fine imminente, tanto che subito mi disse: “Franco, P. Antonio sta morendo”. Ed io ad incoraggiarlo e fargli forza: “Ma no, cosa dite, passerà tutto, tornerete come prima, fatevi forza”. Era inutile, sapeva cosa lo aspettava: “No, Franco, P. Antonio se ne sta andando. Sono pronto, aspetto la mia ultima ora con tanta serenità”. Poi mi raccomandò la sua parrocchia, le suore, i giovani: “Se puoi, fai qualcosa per loro”. Mi strinse le mani e con la voce tremante mi licenziò dicendo: “… rimani sempre come io ti ho conosciuto”. Non ho pianto quel giorno, in quel momento, solo per non dargli altro dolore, ma avevo tanta voglia di urlare a Dio “Perché?”. Perché P. Antonio? Perché non lo hai lasciato ancora su questa terra, perché non hai ascoltato le nostre preghiere, il nostro dolore, la nostra supplica? Ma davanti alla sua dolcezza, anche in quei momenti di immenso dolore, lo sguardo di P. Antonio ti calmava, la sua serenità ti smarriva. Davanti a Lui, in quel letto di sofferenza, ti sentivi un niente. Davanti alla sua fede di acciaio ti sentivi inutile. P. Antonio, quando ha capito di dover morire, non ha smesso di avere fede in Dio, né ha smesso di pregare. Ha smesso solo di programmare! Che rabbia dentro quando lui faceva ancora progetti e tu sapevi che era tutto inutile, ancora un poco e non sarebbe stato più in mezzo a noi! Parlava, programmava, passeggiando stancamente per il corridoio del convento, appoggiato ogni volta a quelle persone che andavano a salutarlo. Ogni tanto, quella quiete veniva rotta dalla vivacità di Pino Spadafora, mentre con la coda dell’occhio notavi la tristezza sul volto delle ineguagliabili Giuseppina e Severina e della sorella Rosa. P. Antonio parlava e si informava di tutto. E la rabbia aumentava perché sapevi di non poter far altro che fingere, fingere. Quante bugie gli abbiamo detto! Chissà cosa avrà pensato di tutti noi, quando ha saputo della sua sorte: “Perché non me lo avete detto” esclamò. Sì, ma come? Quando? Forse potevamo dirglielo 5 mesi prima per rendere più lunga ed angosciosa la sua agonia? Adesso non è più in mezzo a noi, ed io la sua assenza l’ho toccata con mano, 78
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per la prima volta, una sera, presso il salone di Santa Lucia, dieci giorni dopo la sua morte. Arrivai un po’ in ritardo ad una riunione congiunta dei Consigli pastorali cittadini, ed il mio sguardo si posò su tutti i presenti, facendo il giro da una parte all’altra della sala. Uno per uno scrutai tutti: i soliti Gianni Belcastro, Domenico Foglia, più avanti Don Vincenzo, poi Fifina Brunetti, Don Carlo, P. Marcellino, Giovanni Martino, Biagio Belcastro e ancora le suore dei Cappuccini e quelle di Santa Lucia, e mano mano tutti gli altri presenti. Feci con lo sguardo due volte il giro della sala, mi accorsi che, inconsciamente, cercavo qualcuno che non c’era: stavo cercando P. Antonio! Ero assurdamente convinto che doveva esserci anche quella sera, visto che non mancava mai alle riunioni. Poi mi sono fermato di colpo, quasi a svegliarmi, e ho realizzato il motivo della sua assenza. Quel giorno, per la prima volta piansi, ed una certezza mi rese tanto triste: P. Antonio non era più in mezzo a noi! Franco Laratta (1986)
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Finito di stampare nel mese di settembre 2011 da Pubblisfera San Giovanni in Fiore (CS)
Emilio De Paola
Franco Laratta Padre Antonio Pignanelli Padre Antonio Pignanelli a 25 anni dalla morte
Ha pubblicato: Miseria e Nobiltà della politica, della società (2009), La lunga notte della Calabria (2006), Riflessioni Libere (2004), Il Villaggio svanito (1999), Quando in Sila cade la neve (1994), La villa dei sette piani (1992), Non sparate sul cronista (1990), Biografia di P. Antonio Pignanelli (1987).
Franco Laratta ha saputo percorrere con amore la vita fervida e densa di P. Antonio Pignanelli. Lo ha fatto sulla base di un continuo, fecondo rapporto che gli ha consentito di conoscere in profondità tutte le pieghe della personalità complessa se pur umile di questo cappuccino esemplare. Non si tratta allora di un diario, anche se gli avvenimenti sono raccontati in ordine cronologico, ma della vivificazione di una esperienza di una vita che ha realizzato nel suo mondo una testimonianza spirituale straordinaria e che per ciò stesso non può essere smarrita o dissolta nel nulla, ma deve continuare a creare momenti di aggregazione lungo un solco tracciato per costituire terreno di nuove messi. Il lavoro – infatti – non si prefigge soltanto di essere una raccolta di accadimenti per proporli così asetticamente di volta in volta al lettore, ma dà sostanza di riflessione sui grandi fermenti che animavano lo spirito e l’intelligenza di P. Antonio Pignanelli, fermenti rivolti a costituire intorno a sé una cellula viva ed operante di umanità, così compatta da trascinare, così fermentata da redimere, così viva da dirompere le incrostazioni della pigrizia religiosa. Ci troviamo, quindi, di fronte al tentativo riuscito di dar voce a tanti fatti, a tante situazioni, a tante battaglie, a tante amarezze che formano per l’unione di più frammenti la vita di P. Antonio, cogliendo di essa in ogni circostanza l’aspetto peculiare, il segno impercettibile della grazia, il tocco del sublime. Un compito quanto mai impegnativo col rischio di cadere nel banale, nel semplicistico, nel racconto per il racconto. Franco Laratta ha superato questo rischio e ci ha offerto di P. Antonio una immagine reale e non mitica, in una dimensione naturale al di fuori di qualunque processo di tentazione apologetica che avrebbe fatto intendere una costruzione artificiosa di un personaggio che invece è vero e profondo in ogni sua sfaccettatura.
Franco Laratta
Franco Laratta
a 25 anni dalla morte
Emilio De Paola
Franco Laratta
Franco Laratta Padre Antonio Pignanelli Padre Antonio Pignanelli a 25 anni dalla morte
con amore la vita fervida e densa di P. Antonio Pignanelli. Lo ha fatto sulla base di un continuo, fecondo rapporto che gli ha consentito di conoscere in profondità tutte le pieghe della personalità complessa se pur umile di questo cappuccino esemplare. Non si tratta allora di un diario, anche se gli avvenimenti sono raccontati in ordine cronologico, ma della vivificazione di una esperienza di una vita che ha realizzato nel suo mondo una testimonianza spirituale straordinaria e che per ciò stesso non può essere smarrita o dissolta nel nulla, ma deve continuare a creare momenti di aggregazione lungo un solco tracciato per costituire terreno di nuove messi. Il lavoro – infatti – non si prefigge soltanto di essere una raccolta di accadimenti per proporli così asetticamente di volta in volta al lettore, ma dà sostanza di riflessione sui grandi fermenti che animavano lo spirito e l’intelligenza di P. Antonio Pignanelli, fermenti rivolti a costituire intorno a sé una cellula viva ed operante di umanità, così compatta da trascinare, così fermentata da redimere, così viva da dirompere le incrostazioni della pigrizia religiosa. Ci troviamo, quindi, di fronte al tentativo riuscito di dar voce a tanti fatti, a tante situazioni, a tante battaglie, a tante amarezze che formano per l’unione di più frammenti la vita di P. Antonio, cogliendo di essa in ogni circostanza l’aspetto peculiare, il segno impercettibile della grazia, il tocco del sublime. Un compito quanto mai impegnativo col rischio di cadere nel banale, nel semplicistico, nel racconto per il racconto. Franco Laratta ha superato questo rischio e ci ha offerto di P. Antonio una immagine reale e non mitica, in una dimensione naturale al di fuori di qualunque processo di tentazione apologetica che avrebbe fatto intendere una costruzione artificiosa di un personaggio che invece è vero e profondo in ogni sua sfaccettatura.
Franco Laratta
Franco Laratta ha saputo percorrere
Euro 6,00
ISBN 978-88-88637-40-2
a 25 anni dalla morte
Ha pubblicato: Miseria e Nobiltà della politica, della società (2009), La lunga notte della Calabria (2006), Riflessioni Libere (2004), Il Villaggio svanito (1999), Quando in Sila cade la neve (1994), La villa dei sette piani (1992), Non sparate sul cronista (1990), Biografia di P. Antonio Pignanelli (1987).