Franco Pucci Nato in un paesino della Bergamasca, dopo aver frequentato le Scuole Tecniche con un profitto senza infamia e senza lode, decide di comunicare con il mondo esterno attraverso immagini e segni entrando così nel mondo della grafica. Un corso serale triennale di Grafica Pubblicitaria, tenuto da Albert Steiner presso la Scuola Umanitaria, il lavoro e la passione per il mondo della comunicazione lo assorbono totalmente non impedendogli però di sposarsi e di contribuire a mettere al mondo quattro figli. Un’esperienza di circa 4 anni come disegnatore tecnico presso aziende e studi di ingegneria e architettura e poi il salto nel mondo della grafica pura. La sirena della pubblicità e della televisione lo cattura definitivamente e per oltre un trentennio si occupa di creatività nella comunicazione come Direttore Creativo di agenzie e strutture promozionali nazionali e internazionali. Pubblica le sue poesie e i suoi scritti sul suo blog www.francopuccibricole.blogspot.it e sul sito www.rossovenexiano.com
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Scarabocchi Ah! Sentissi come stride e graffia nei versi l’amore dimenticato nel gelo della tastiera. Come vecchia matita -stanca di rigar drittos’è ribellato e m’ha scarabocchiato l’anima. Quasi fosse una lavagna. Disegnerò con gli aquiloni della mia fantasia uno splendido, un fantasmagorico ghirigoro. Gli anelli della sua coda colorata -intrecciatigraffieranno il cielo. Guarda lassù, non vedi? È uno scarabocchio, ma c’è scritto ti amo.
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Dico e dicono di me
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Special guest Gerardina Orlando
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"Scarabocchi" "Scarabocchi" nasce dopo quasi un anno da una raccolta di poesie, intitolata "Prologo" Prologo non raccoglieva mille poesie, era la conclusione di un percorso, prima di lui c’era stata Bricole, poi Spifferi, ecco che allora Prologo chiude il cerchio di un volo fatto di mille poesie scritte negli anni e ne conclude la corsa. Nel contempo è preambolo, prefazione del futuro. (romanzo?-forse-) ma segna un confine, delinea un arrivo per una ripartenza dopo il quale l'autore annuncia una pausa per amore di una promessa: scrivere finalmente un romanzo. Ma ogni volta che veniva meno all'impegno, Franco Pucci definiva i suoi versi "falene" e col retino, le chiudeva in un recinto immaginario. Oggi nel baule dorme un progetto e tra le mani sfogliamo una silloge fatta di ali colorate. Leggiamo un volo, un viaggio che dal cuore attraversa l'anima di ognuno e lascia un segno, un disegno di rette e curve, uno scarabocchio d'amore. Le poesie rappresentano il percorso di un quotidiano in continuo fermento creativo, dove le notti più delle volte sostituiscono il giorno e l'autore trasforma le emozioni in graffianti sussurri per non svegliare nessuno. – L'ironia è potente, nasconde una sconfinata passione per la vita. Una vita trascorsa nell'arte nota la sua professione di Art Director - spesa a creare tratti in china e matite, in linguaggi nuovi, coinvolgenti...fino all'ultimo respiro. È questa l'arma che lo porta ad accettare ed affrontare le scale degli anni e lo racconta con poesie sempre in crescendo; non cessa l'evoluzione e la pienezza della sua scrittura, anzi, matura ed esplode in quel coraggio e voglia di spogliarsi, di fronte all'amore. Scarabocchi unici e vitali, testimoni e giudici senza risparmio. Scrive sulle vicissitudine di sé e descrive il territorio nel quale vive, pur dichiarandosi un uomo senza radici. Riconosce ed ama il paesaggio che lo circonda e si perde nei versi, quando lo racconta. Lo sguardo mira il filo che separa il cielo dal suo mare e benché diviso a metà, non rinuncia alle opportunità di una terra di mezzo: cogliere e sentire. Franco Pucci è in ognuna di queste poesie in fila, come i giorni della sua vita. G.O.
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Il poeta della realtà onirica, il pittore degli stati d'animo. Non so precisamente in che modo e in quale circostanza ho conosciuto Franco. Direi più che si è insinuato su di me attraverso la sua poetica. Scalandomi, verso dopo verso. Solo successivamente l'ho scoperto pittore. Mi sembra di ricordare, dopo aver mostrato l'entusiasmo per un suo schizzo, che mi disse di aver frequentato la scuola di arte grafica, o qualcosa del genere. Un artista colmo di profondità, di intimità ed estremismo. Nelle sue parole, nei suoi dipinti abita tutta l'immaginazione futura, quella che, da estranea, riesce a far sentire l'altro il vero protagonista. Con naturalezza cattura l'interpretazione di ogni stato d'animo i colori accesi, visibili non solo nei dipinti ma anche nelle parole e lo stile della sua tecnica danno come la sensazione di immergersi in un universo interiore, lirico e labile. I versi, densi, contenuti in questo ecosistema astratto che sa creare si infilano nella pelle come spine. Costringendo a succhiare il sangue che ne esce, scrutandosi dove mai si è arrivati prima. Una poetica introspettiva che riesce a far assaporare se stessi. Dalla denuncia riflessiva dell'io, all'erotica dolcezza crepuscolare dell'amore, Franco è un artista, che tra la sete del sale e gli spigoli della roccia, riesce sempre a far sentire il rumore del mare. Originale d'impatto con abitudini capovolte, preme addosso un sentire continuo pulsante, dove anche il bianco adotta significato. Sia nelle poesie che nei dipinti, Franco riesce a collegare e far dominare, la parte sognante di tutti noi, con quella più cruda, reale e tangibile. Ed è proprio quando gli occhi vanno a toccare quell'immagine che si riesce ad arrivare in un oltre infinito senza tempo né età. Qualcosa di appena nato e che ci ascolta da milioni di anni. Nelle sue frasi, ed in ogni particolare, fa cadere la luce nell'esatto lato oscuro e invisibile che ci preme sullo stomaco. Franco ci nasconde il visibile romantico, mette "la luna in un secchiello" per farla risplendere maggiormente. Un poeta che racconta della vita alla vita e la insegue, anche da fermo, 7
chiedendosi chi è che corre verso chi. E lo fa sempre - "a modo suo" -"sopra un vecchio aereo di carta a quadretti" Isabelle Maite
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Bozzolo tra i seni di primavera No, non c’è alternativa al sogno. Sono rimasto così -incastratotra il respiro e l’attimo indocile, presenza inopportuna -cuneoche inciampa nel metronomo signore disattento del mio cuore. forse ho esagerato con vino e fave illuso clone di champagne e fragole Se non fosse perché il filo sottile che separa il sogno dalla realtà s’è sfilacciato ormai da tempo, considererei normale risveglio una passeggiata nella follia ilare. Sogno e realtà ora si confondono nel mio divincolarmi dalla stretta tanto che il sospiro s’è spezzato e l’attimo è spirato tra le labbra. il campanile di Sant’ Andrea urla assenzio fragole e fave sul sagrato La luna che filtra dalle imposte accentua la tenerezza del rimmel -trucco del tempo-tra le tue ciglia. Ribelle il respiro riannoda il filo, l’attimo è tornato, la scelta inutile i fianchi dolce declivio all’inguine. sogno e realtà sorridono alla follia non c’è alternativa, chiudo gli occhi
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Figlio d’edera -senza frettaÈ una bugia avvelenata sulla punta della lingua -come crescono in fretta le bacche rosse dei roviNon ha fretta di crescere invece -questo fiore d’azzurro anemicofiglio di rampicante clandestina che ha messo radici inestirpabili. Vedi -occhi miei stanchi di penanon ho sole bastante per i petali non ho colore sulle dita indolenti e non posso rubare laguna per te. È una bugia spudorata dirti basterebbe il mare -come vorrei regalarti quell’azzurro, senza saleFiglio d’edera -senza fretta
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Sabbia e nevischio in questo rosa di Marzo E poi sanno di sabbia e nevischio questi anni noi, orfani del racconto degli altalenanti passi consci della fatica dell’accettarsi negli sguardi. Non riconosco il rosa di questo Marzo riottoso dei fiori di pesco, dei rossori virginei delle albe quando il giorno s’imbelletta prima di sorgere. Non riconosco -di rosa- se non le lenzuola stese vele improbabili di vascello d’Olandese Volante alla fonda in attesa del figlio apparente di Eolo. E poi vorrei la neve quando il passo la sostiene e poi sabbia per colorare nuovamente i castelli -di rosa- trascurato fiore di primavere lontane. Sa di sabbia e nevischio il rosa di questo Marzo.
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Tattoo Poesia clandestina reietta, fuggita dal mio recinto voli -adessomia poesia di sale -ti ho presa infineNon chiedere ora che n’è di me -di tese il sale brucerà le cicatrici -tu saiconosci il dolore. -sei sulla mia pelleNo, non chiedere -non ho più risposte-non ho più domandetu sai e nascondi al cuore la risposta.
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T’avessi incontrata prima Oh, t’avessi incontrata prima -mia Musanon avrei caleidoscopi arrotati negli occhi non lacrime di vetro tintinnanti tra i versi -avrei accettato serenamente la tua penaCome vorrei emozionare/arti ancora, Dio guardarti negli occhi mentre mi spogliavi degli inutili e falsi orpelli della mia vanità anni a scrivere false identità, perché mai? Anni affastellati, soma incollata all’anima (otre da rovesciare sulla tavola imbandita dai ricordi -sicari prezzolati- dall’angoscia dal fiato gelido della neve che m’opprime) Oh, t’avessi incontrata prima -mia poesia-
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T’ho vissuto così -sulla mia pelleLiberavo l’istinto pur se m’aprivo al sogno e le toppe sui ginocchi e i graffi dell’anima poi a primavera sul prato davanti a scuola polmoni tesi al sole parevano senza eclissi. Questo lascerei scritto su un piccolo foglio con la scrittura malferma a me appiccicata come i passi incerti saluto delle primavere. Lì troverai i versi -il nocciolo di quel cuoreche ha sognato la magia proprio lì, dietro l’angolo, sotto la conchiglia, sulla sua pelle. A te amore lascerei il gioco delle tre carte -consapevoli che la fortuna ha già bussatoma è una mano vincente non puoi perdere -tu- sai dove si nasconde la regina di cuori. [conto le biglie di vetro nel taschino, ancora sfrecciano veloci ramarri dalla gola azzurra con la coda ritta come spada fendono l’aria]
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Di braccialetti rossi e zucchero radioattivo “Dottore, cos’è?” “Zucchero. Zucchero radioattivo” La voce ora è davanti a me. Occhi profondi, nera pece ardente mi fissano dalla poltroncina dinanzi attraversano i miei per un momento. Un istante è il racconto di una vita. Mi dicono il suo dolore, ma è già ieri. Poi il gioco, il sorriso diventano il senso dei suoi anni, del suo esser bambino nelle mani e negli abbracci della madre. [Dio, perché? -mi chiedo- Dov’eri? Dov’eri quando la vita all’improvviso è diventata matrigna a quegli occhi?] Ho conosciuto anch’io quelle manette. Gelidi codici a barre, fragili passe-partout fredde strisce di plastica smorta al polso -imperfetti cloni di identità in transitoNon so di braccialetti rossi, ma di occhi. Occhi che bucano l’anima e ti uccidono occhi sereni, consapevoli, che attendono. Stempero la comune attesa nel sorriso. [No piccolo, non è zucchero filato.]
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Di un sole obliquo e un respiro a metà [il sole è obliquo sui sampietrini illividisce la riva, acceca il canale il cielo è terso, solo qualche baffo inganna questa spietata bellezza] Poi vorrei raccontarti di come le rondini siano esperte in volo ma tu già sai l’azzurro graffiato dalle geometrie di ali sì ardite. Vorrei parlarti ora che il cuore ha il sangue operaio che fatica ora che l’anima ha ancora vita per dare fiato a labbra incerte. Tu sai. E credi inutili le parole. Ma fammi ripetere all’infinito che un respiro sia pure a metà con te vicino è un sorriso raro. Forse saranno brevi i miei voli ali di gabbiano senza timoniera mantice sfiatato di fisarmonica suonerò valzer di una nota sola. Sarà una nuova offesa al costato. I polmoni stanchi avranno aria bastante per questo sole obliquo? Un respiro a metà è la risposta.
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Spietatamente bello Il sole obliquo di Febbraio ha lame di luce acuminate ferisce gli occhi nei riflessi fa a nascondino coi ricordi. *** Sarà come sull’ottovolante -la discesa di ripidi viottolipagare il sorriso sulla vetta celando i declivi alla vista? Mitezza del mio/tuo respiro -la brezza gentile della seralo sguardo di lassù è sereno abbracciati sull’ottovolante. *** Il prossimo giro è prenotato -vorrei un biglietto per dueil respiro a metà è una lama del sole obliquo di Febbraio. Spietatamente bello.
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Soliloquio “Hai piedi.” -Lo so. “Puoi andartene.” -Nevica. Uscire dalla metafora? Il cielo è livida pomice a est fuggono i cavalli il carro ha ruote bolse. [è capovolto il mare nel cristallo nevica polvere di antico dolore] Non chiederti cos’è la cenere che t’inneva da capo a piedi, il giorno che speravi radioso a oriente è nato orbo di sole. [la sfera di cristallo m’è matrigna ma ha seno bastante pel ritorno] “Hai piedi.” -Lo so. “Puoi tornare.” -Nevica.
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Il canto del cigno (che si credeva usignolo) (non avevo il collo sinuoso dell’airone né la voce gorgheggiante dell’usignolo ma l’arrogante nitore della mia divisa scagionava la mistificazione all’anima) Ma cantai. Pinneggiavo la mia bellezza nello stagno -l’acqua indolente accarezzava gli umorinel maleodorante regno di lucci affamati pigre moltitudini di boccaloni genuflessi. Così nella mia colpevole e totale alterigia concionavo l’indifferenza di rane e girini l’acqua marciva mentre i creduloni in fila -pinne adoranti- seguivano l’astuto luccio. Fu un bel discorso ma l’applauso non sortì la voce uscì dal becco urticante e sgraziata il luccio sfacciatamente divorò i boccaloni con arroganza cantai di me quasi usignolo. Fu l’ultimo canto, il luccio non abboccò.
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La sottrazione dei pani e dei pesci Dio, dove sei? Sento l’urlo fin dentro me, urlo che scassa il petto, il torace è una discarica di pietre riarse dalle bombe dall’odio mentecatto e concupiscente dell’uomo. Uomo, dove sei? Aleppo l’ho letta e straziata negli occhi dei bambini e il terrore che traspariva in quelle pupille lacerate da quell’orrore inspiegabile m’ha gelato vene e parole. Hai sottratto la vita moltiplicando l’odio. I conti non tornano.
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…e così sia! ho chiuso i battenti, arroccato gli scuri con un guanto di ferro pulito i pensieri l’orgoglio piagato nelle battaglie di ieri è patacca d’oro dei miei anni immaturi [il piccolo fardello tutto sommato non pesa l’incoscienza non ha età così come il sorriso e rido di me della mia cocciutaggine annosa ma prenderne coscienza oggi m’ha sorpreso] ho socchiuso i battenti, divelto gli scuri con lo zefiro dolce ho titillato i pensieri l’orgoglio tra i denti ha sibili battaglieri ho un ghigno feroce -speriamo che durifilastrocca -quasi un mantra- o litania? Così è (se vi pare)…e così sia!
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A bout de souffle Nel vuoto pneumatico dei miei pensieri cerco Non ho luci in tasca né indovini al guinzaglio Toglietemi dal polmone d’acciaio delle utopie Ho una voglia di respirare aria vera -sinceraQuanto costa l’ossigeno del tuo amore, cuore? Una nuvola bianca di occhi -sorrisi oltremareBastano a raccontare mondi irreali -mentonoTorno a contare i passi che mi separano da te Ma nel girotondo di nuvole e anemico sereno Il gabbiano trova il modo di straziare il grido E se lo scoglio immobile attende l’abbraccio Perché mai dovrei temere per la tua assenza? Non ho paura del vuoto ma l’assenza d’amore Che senso hanno stasera queste parole legate Una gabbia di lacci emostatici e aghi d’acciaio Lascia filtrare voci, emozioni -ritengo il fiatoL’urlo tace -il cielo è attonita ardesia appesaAncora un attimo di stupore e poi sarà apnea Dell’incoscienza del coraggio senile ti parlerò C’è uno spiraglio il cuore quietamente respira Te
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Accadde così, una notte Così, quasi fosse inevitabile mentre l’acciaio mordeva e bucava il refolo fuggiasco recitò sospiri che lusingarono la notte morente. Eppure pareva indistruttibile quella corazza temprata dagli anni ma l’anelito, un verso, la poesia furono bastanti a darti ali inattese. Così, quasi fosse un aliante mentre il sogno librava sul dolore la corazza come pupa inanimata restò appesa alle paure del passato. Eppure pareva impossibile oltrepassare la caligine della neve le certezze degli antichi tratturi per riscoprire l’amore dimenticato. Così, quasi fosse giorno.
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Adieau chador Oh, sì oltre il limite dell’indifferenza a volo planare sulla “Torre dei Ferri” mentre il muezzin alza il richiamo imploro con gli occhi il tuo consenso. Che so non sarà mio. Padre Non ho paura del giudizio, bensì del pregiudizio. Padre Ho occhi sfrontati dell’età e sogni nello zainetto. So che lassù mi sorride un cielo cielo da condividere oltre il dolore cielo promesso straziato dal sangue e dall’orrenda cecità della guerra. Padre Ho occhi che sanno di luna e capelli color del grano… Lo sapevi? No. Adieau chador, alors.
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Ad occhi chiusi “Se devi credere ai demoni notturni troverai albe leviatane ad attenderti. Se devi accendere ceri alla speranza ricordati che lucignolo arde in fretta.” Quant’è meglio sai un ossuto bastone -di quelli di solido legno al comandole tue braccia martoriate comunque reggeranno il volo nell’ignoto atteso. Potrei abituarmi al piacere del buio vasta distesa del niente dove il tutto spazia senza confini e lascia a terra rimpianti, amori -stanche vestigiaAd occhi chiusi accetterei quel salto adagiato sul tuo sorriso senza paura m’inoltrerei lungo quel viale scabro decifrando il sussulto dei tuoi seni. “Se credi alla magia delle eteree ali cerca tra aurore discinte l’efebo sole ma se accendi il cero della speranza non scordarti il pegno allo scaccino.” Sbrigati allora, che il buio scalpita.
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Ad un passo dalla paura Non sai amico mio quante volte sul precipizio ho chiuso gli occhi quante volte ho cercato coraggio nei ceri consunti della memoria. E la musica che batteva in petto era grancassa di un cuore stanco mentre tutt’intorno cantava odio rinchiuso a riccio pregavo amore. Non il sapore agro dello stupore -non la frenesia dell’incoscienzainevitabile il buio lusinga e cerca ma hai persa l’anima nei calzoni. Se poi il passo trema e non regge sappi che ho rubato le ali alla vita e nelle dita le fantasie degli occhi cantano cieli che la paura spaura. No, non conterò più i passi.
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Aglio, olio e peperoncino -il sapore della vitaAglio olio e peperoncino -tracce salate sulle labbranon lo sapevi che i ricordi lasciano sapori e sospiri? Guardami stasera mentre al tuo fianco m’accoccolo come un pulcino bagnato dopo un tuffo nel passato e un sorriso ebete stampato negli occhi mi dipinge. Guardami mentre le dita annaspano l’aria -cercanoi pochi spiccioli di vitalità che giusto i sogni donano stringimi a te nonostante la vita ci metta all’angolo. La luna stravolta di questa notte d’Aprile ingiurioso è un piatto sporco stanco d’avanzi di stagioni scotte e il desco è orfano della tovaglia ricamata di stelle. Abbracciami allora mentre come un pilota navigato invento una rotta che ci porti all’unisono al nirvana e abile chef t’imbandisco una favola ricca di spirito. Aglio, olio e peperoncino? Ha ancora sapore la vita…
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Attesa Non so se quello strascicar il fiato, -quell’illividito, afono epigrammacustodito penosamente nel costato abbia mai avuto pena di disvelarsi. Non so se il tempo allora congelò il mio profilo, diafano maratoneta protagonista/figurante errabondo per asettici corridoi notte e giorno. O fu il dolore che celò i miei versi? Di quei sentieri d’anima scorticati m’è rimasto questo saio monacale quasi che lo scarno poetare possa beffare l’ombra che m’era accanto. (senza lacci semantici anima mia lungo quei corridoi -quelle corsieho navigato i momenti della vita accarezzando tra le dita la paura) Dell’attesa.
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Autarchia di un amore Bastasse essere sempre se stessi per amarsi a sufficienza -io e tee non dover appendere l’amore alle labbra dell’amante lunatica. E quel bastardo sospiro di Crono non vestisse la tonaca del saggio mentendo spudoratamente l’ora allora sarebbe fantastica allegria. -ma io e teGuarda laggiù l’onda muore sola -non v’è spuma che la rimpiangae lo scoglio indifferente l’accoglie se il mare non versa una lacrima. Stanotte ti racconterò dell’amore che ci sommergerà come marea, forse la luna -amante prezzolataci concederà lo sberleffo a Crono. Basterà.
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Ballade du Pierrot Lunaire (poème de doléance) Lascia che io sia per una volta ancora -l’ultimala maschera che più mi s’addice e più mi veste. Lassù hai compagnia, le stelle sfoggian lustrini e l’amante tuo Sole s’è eclissato rosso d’invidia. La pista è deserta stasera e le tripoline attonite paion come braccia scheletriche protese al cielo attendono che il cannone -orbo della sua damaerutti fiamme e lapilli come Vulcano ingannato. (la Donna Cannone s’è persa lassù fra le stelle ora di lamé e lustrini vestita recita a soggetto) Oh, guardiana dei sogni di noi lunatici erranti, tu che conosci le strade che portano al delirio ferma questo mio cuore colmo d’un -amor foue guida il mio lamento verso crinali più sereni. Preso da un vento sconosciuto e ammaliatore ho dedicato versi e ululati -tu mi perdoneraicolmi d’amore e passione talmente incatenati che la dama scapigliata accolse con un sorriso. (Eolo s’è chetato, più non trasporta il mio dire e la dama è oramai una flebile brezza gentile) Lascia ordunque che io sia il Pierrot Lunaire che declama alle stelle la sua ultima canzone, ho colto il verso dimenticato in questa poesia e lo voglio dedicare a te mia confidente amica. La chanson c’est fini, rien ne va plus. (la Donna Cannone non è più tornata)
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Canterei questa notte [Seduto tra le felci, recitare versi allo gnomo custode del fungo dal cappello rosso a pois. Nascondere nel risvolto dei jeans fiori di loto, penne timoniere di gabbiani sbadati, reginette scolorite dal sale, un paguro triste e sognare di avere ali a sufficienza per tornare a casa.] -se solo sapessi comeVedi -cuore mio- non ho versi marinari -oggiper incantarti le labbra, ma pensieri terragni. E’ una crociera gratis nella fantasia questa ho burlato lo gnomo piccolo Caronte precario. Seduto sulla rena asciugo al sole di questa estate vendicativa i sogni intrisi della rugiada silvana e consolo il cuore raccontandomi di incontri con balene albine, Moby Dick e Capitani Achab. -se solo sapessi cantareTroppo cuore giullare mal si addice a un vecchio -viandante portoghese- come me che attraversa gli anni sulle ali della fantasia pur di non pagare il prezzo del biglietto sull’accelerato della vita. La meridiana degli anni racconta di ombre testarde sempre più lunghe, riottose a qualsiasi mediazione se non fosse che il cuscino stanotte non m’ha patito lo gnomo mi è apparso tra le piccole foglie d‘edera..! -se mi ridate il sogno, ci provo-
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C’era una volta Poesia Eri nel mio cuore -spina dolorosa- e poi svanita nel nulla della matura ragione e dalla antica consuetudine di un amore. -atteso accantoPaure ancestrali, indecenti maldicenze -congiunzioni astrali, battiti condivisipoi sorrisi incatenati a una massa di bit. Parole e sospiri che graffiarono la rena -ora fagocitate per sempre dal marela marea ne ha cancellato le impronte. -restano i versiCon te accanto, Poesia scriverei versi ma tu amante mia di disperato amore te ne sei andata senza abbracciarmi. -c’era una volta PoesiaTu, mia Musa tornami ancora nel cuore sarà dolore ma i versi scorreranno liberi e la gabbia che li costringe si spezzerà. -oh mio canuto Peter PanRinnovato incanto di un volo temerario ancora sorriderò tra un battito e l’altro e tu -mia Musa- guiderai la mia mano. -sarà sereno l’approdoQui.
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Così cheta che pareva [quel tuo gesto con la mano quel tuo domandarmi vicino quel tuo esigere le mie mani quel tuo sussurrare il nome] Così cheta che pareva riposassi. M’ero illuso della consuetudine ma il lucore dei tuoi occhi velati ha in un amen offuscato la luce e riacceso le mie paure, le ansie. Così cheta che pareva sognassi. [e al mio fianco per un attimo un attimo lungo quanto la vita è passato in flash back il tempo dei ricordi che spezzano il fiato] In un gelido spazio della mente le immagini si sono pietrificate. La rugiada non disdegnava l’età -ma le ciglia rifiutarono l’ordinementre il tuo respiro era nel mio la paura piano vestiva di sollievo. Così cheta che pareva.
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Decomposizione finale [falci -parentesi- apprensive ipotesi alate chiosate su uno spartito azzurro ipocrita] Quella falce bianca e nera lassù si inclina una folle parabola il tuffo nella bambagia che un cielo sbrindellato ha abbandonato -lacerti bianchi, stelle filanti nel turchinoConosco queste esibizioni, la mano esige un sospiro -tempo per riflettere il segnoper stemperare l’ansia, l’amore sul foglio e fermare l’attimo di quel colore volubile. [le parentesi lassù racchiudono il dolore -falci ingorde si tuffano nel verde laguna-] Vorrei rubare quel tuo sorriso in un flash -ma la tenerezza ha ormai chiome niveenella mia tavolozza v’è solo nero seppia e il rosa ha sapore antico di amore perso. Guardo il cielo lassù -il capitombolo urlauna falce ardita ora ha lacerato l’azzurro mi ricorda che nell’amore ci vuole cuore. Come ricomporre un’idea di tranquillità? [è una pista quadrata, e sul palcoscenico della vita il mio volo senza ali è schianto] I colori non consolano è decomposizione? È una parentesi.
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Di mani piccole, bugie -disperse poesie“ho mani troppo piccole, vuote di parole han colto troppe lacrime essiccate al sole hanno dipinto angeli con ali d’aquilone e han diretto il coro dell’ultima canzone” Ho passato la notte a interrogare le mani queste mie assurde appendici dell’anima piccole -ma vetuste ormai nel disincantoorfane di voci bastanti a celarne il pianto. Sai, ormai le parole rifuggono dalle dita non vogliono essere complici di misfatti e gli occhi afoni di immagini e metafore versano lacrime di rancida gommapane. “ho mani ormai sfinite d’inseguir poesie han teso tante trappole nel contar bugie hanno alienato l’oro per truccare versi accarezzato invano cieli ormai dispersi” Sarà poi colpa delle mani?
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Terre riemerse, vino cattivo e vele lontane Riemergere, scambiare i portici per sinceri tratturi perdere la rotta tra le voci arrochite di cattivo vino e poi leggere bonaccia nei cristalli aranciati di sole. Vele lontane. Sorrisi appesi alle code di folaghe perse al tramonto e la camicetta di seta testimone di un amore maturo che lampi di sole screziati accendono a sguardi felini. Pessimo layout. Seduto al tavolino conciono la boccia di brusco vino mi annullo tra i passi strascicati dello struscio serale e ascolto i pensieri farsi largo tra rintocchi petulanti. Poche bracciate di terra, una laguna che mi canzona. Riemergo tuttavia.
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Dies irae? (caffè nero, amaro e bollente) Il cielo cola lava e bitume stamane è così difficile penetrarne l’essenza. Muro che stilla onice e riga la volta che istruisce t’esclama e t’interroga. Alterna bagliori rosso sangue d’ira che spaccano il cuore di chi assiste a cupi brontolii di vulcano piagato. E sia, non so e non posso sottrarmi. -flashbackPiccole croci di legno senza nome croci d’osso ingiallito di sole cattivo conchiglie, perline di vetro colorato rosario d’ingenua e blasfema speme. Stretto in pugno di livido nerofumo la cordicella di sporco antico pende le nocche tagliate sorridono al sole, un primo piano nel mare del pianto. -recallIo che stringo tra le dita la tazzina, che guaisco dei miei piccoli dolori non ho ancora capito che la verità è nel cuore di chi sa leggere il cielo. E l’alba -livida come il mio umoreparata dall’istrionico cielo di pietra fa la sua recita sul palco della vita mentre inseguo un sonno agitato.
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Non basta annegare la tua albagia in un mare liquido nero e bollente, non sempre le parole ti sono note e le istantanee del cielo avvelenano. Non so più seguire stracci d’anima e il caffè è solo amaro, non sutura. Non so più leggere i versi né il vero e il vocabolario ormai sa di muffa. Buongiorno Dio. Caffè?
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Dio, ma è già domani? Se riesco a dipanare questo filo sudato -indolente e appiccicaticcio- dei ricordi forse riesco ad avvolgerne la matassa. (la memoria ormai è come una vecchia scatola di latta orfana dei suoi biscotti e le date sono biglie di vetro impazzite) Non voglio dedicare terzine senza fiato a chi da troppo tempo lotta con la vita a chi pretende il domani serenamente. (la memoria è una giara di terracotta cassa armonica di serenate cristalline e i versi danzano l’amore nota su nota) A te che ogni volta stupisci l’almanacco e che regali sorrisi dolcissimi nel dolore a te -anima mia- regalo questo respiro. Dio, ma è già domani? Auguri.
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Disilluse illusioni di un'anima borderline Dapprima la pece, il nulla senza fiato poi un big bang di accecante fragore tsunami di polvere, cenere e sabbia rimane tra i denti in un amore venale. -occhi alieni, becchi di famelici corvi attendono la soluzione del contrattoIncosciente allineato ai telematici fili di nuove generazioni genuflesse ai bit o canuto irriverente restio al richiamo delle sirene della cecità della ragione? -la luce dei tuoi occhi è il mio risveglio è la ragione stessa delle mie certezzeIl nulla della pece ingoia le disillusioni.
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E poi…è e poi e poi ritrovarsi sulla riva -quando l’acqua si chetae all’imbrunire fa gibigiana e poi giocare a rimbalzello e litigare ridendo sulla conta e così m’appare oggi il mare …è è un’alea l’azzardo col cuore è un desiderio bambino è un rifugiarsi nel tuo sogno è negare l’anima e il tempo è dipingere i nostri pensieri è bianco asettico delle corsie e poi…è amare la vita -semplice, no?-
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Ecco, noi Lo strillo bussa sugli scuri, rimbalza -arrochito nella calle cerca confortoforse un’alzavola, un gabbiano irato. Nulla mi distrae in questo momento la notte mi avvolge nella sua zimarra mi regala pensieri limpidi pel futuro. -rumori di vetri chiusi in tutta fretta strazi di amori scompigliati all’apiceSeguo distrattamente rivoli sul vetro indugio gli occhi dinanzi ai ghirigori, assorto nei miei pensieri scrivo di me. Intingo ciglia nel calamaio dell’anima sono versi che moriranno in un amen fiochi al principiare del nuovo giorno. Sei qui, in queste parole, accanto a me mentre graffio vetri vedo il tuo sorriso sento il tuo respiro, i tuoi seni pulsare. Così la melanconia pian piano dissolve e il tempo che ancora incatena il cuore trova rifugio sotto la sottana di Aurora. -mormorio di vetri chiusi dolcemente sospiro di un amore sempre all’apiceEcco, noi. Comunque. (lo strillo è un’eco sbiadito che muore)
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Eredità T’ho lasciato uno sbaffo d’azzurro un foglio bianco -una matita di legno sinceroquattro righe sul bordo -una virgola, un pensierouna gomma morbida come il burro. Scrivimi con i pensieri appesi al cielo chiudi gli occhi, sono lì -tra due parentesi infinitecolora d’azzurro la mia ombra -è tua, usa le mie matitetroverai la mia impronta sul tuo telo. T’ho lasciato un mazzo di parole sull’uscio legale al cuore con la marea che ti porterà la luna stasera fanne un falò per una -sarabanda sulla renanon scordare l’azzurro -tra il fuoco e il guscioScrivimi adesso -che ancora non volosenza ali sono ancorato l’amore che non muore non buttare via quel foglio intriso di lacrime e dolore ho l’azzurro -in questi versi e ti consoloT’ho lasciato un -aquilone di carta velinala coda di anelli azzurri intrecciati a mo’ di catena tienilo stretto tra le dita quel filo che t’allevia la pena ti porterà da me -ci ameremo stamattinaNon servirà notaio.
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Estemporanea di tende, veli e tenerezza Ho stretto per troppo tempo le parole e le grida tra le mani inatteso il dolore ha liberato tutti i versi e i ricordi soffocati. La voce s’è sparsa sul foglio, versi e parole hanno scacciato i fantasmi e le paure incistate nelle mani -desuete al trattoCon la mente e i nervi tesi come vibrisse feline ora catturo l’occasione per descriverti, e mi libero dei vecchi lacciuoli. Lo scatto mi basta dipingo, il sorriso saltella gaio tra le dita la tela d’incanto si compone e tra i veli la tenerezza traspare. Così come -semplicemente- ogni volta vela i miei occhi.
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Estro: esaltazione o pungolo? Morso di tafano o resipiscenza tardiva? [troppi i lustri, troppe le lune indagatrici troppi i fogli infiorati di versi innamorati troppa infine la comprensione materna per le mani discole e riottose al richiamo] Fu morso di tafano. Ora sì, nonostante il torrido dell’estate sia giustamente un ricordo sbiadito, il pungolo delle mani -ridestate all’antico sapere e ammaliate di nuovo dai coloriha sostituito di soppiatto l’estro dei versi. Ma ho un laccio nella poesia che doma l’imbizzarrire delle dita sulle tele virginee e sa come riportarle al racconto sereno di un anima ormai quieta nella dicotomia. O resipiscenza tardiva? Anima mia, l’amore ha sospiri colorati e saperli catturare con poesie e pennelli è esercizio che gratifica e esalta l’anima. Lo chiamerei estro.
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Fado (di coraggio, sorrisi e nostalgiche note) (tre bianche monachelle in processione) Ahimè anime insofferenti lungo il Corso che fugaci rimandate bianchi ectoplasmi e riflettete indecenti ombre nel bicchiere vi tuffate senza ritegno nel rosso cinabro. (lo struscio aliena, non fa distinzioni) Due occhi di basalto si riflettono nei miei su una carrozzella -da iniqua pena legataun’anima bambina mi osserva incuriosita sorride serena al duro inciampo della vita. La bandana arcobaleno che cinge la fronte è urlo di fantasia mai arresa al nero dolore è pretesa di prati tinti d’azzurro fiordaliso è inno alla vita nonostante il mondo cieco. (ora sì, ora è musica lontana) Cos’è questa musica queste note -nostalgiacome ballerina triste di una Lisboa Antigua vita zingara -“cigana” dai troppi sì concessifascinosa etera, col sorriso pretendi il saldo. Chiedi pure a me che ho ballato queste note ingannando ombre e ciottoli lungo la strada -che ho affogato nella laguna sogni e aliantie che tuttora sorrido del mio cuore bambino. (è nostalgico Fado?) Chissenefrega, nacchere! Ole'!
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Famelico amore È stato il vento, un fortunale improvviso forse un maestrale incattivito dai ricordi? Veloce, violento nel suo spazzare l’anima ha stralunato i sospiri, allibito i pensieri. È stato il vento che scoperchiando il vaso donò cenno d’intesa a Pandora assopita? Eppure nell’otre di cuoio del progenitore ebbe fratelli in egual misura amati e cari. Forse fu rabbia o forse fame d’amore. Questa fu la visione allo scemar del sonno che mi colse all’addiaccio scalzo sull’assito lo strabuzzar degli occhi pittava coi colori fantasie di amori esplosi e mai ricomposti. Ohi come sbatte sul canterano dei ricordi rivoltandone i tiretti spazzando gli album e in quel turbinare di logore icone amanti mi ritrovai ad inseguire un sogno canuto. Fantasia di un amor famelico deflagrante -ma ho tra le dita una tavolozza di lagunaLa fame si calmerà? Se mai.
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Fermoimmagine Spesso ho violentato tasti e manopole avvolgendo e riavvolgendo la pellicola nella frenetica ricerca di un’immagine di un’istantanea -del sorriso della vitaSpesso ho sfogliato l’album dei ricordi, ne ho scollato vecchie fotografie -iconeflash di un passato colto nei tuoi occhi ma inchiodato su un anonimo cartone. Ora so. Ora so quanto inutile fosse quell’assillo quell’ostinarsi a setacciare nell’archivio la vita gioca a nascondarello col tempo, se sai cogliere l’attimo, eterni il sorriso. Click.
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Forse sì, forse è così Sì, forse la magia della notte delle stelle cadenti, seppure non abbia mitigato con il suo spettacolo il dolore e lo sconcerto per un sorriso interrotto, ha senz’altro chiarito quale avido cielo aspettarsi d’ora in avanti. Ognuno in cerca di una sua stella da catturare, imprigionare nella scatoletta d’osso incurante se il cuore protesta il suo spazio rubato. Convinto delle sue certezze acquisite o espropriate non si cura delle sofferenze altrui e -pronto, abilenel catturare errori o dimenticanze, non perdona. Io che non ho l’abecedario celeste non leggo l’oltre e che a poco a poco dissecco la fonte dei miei versi, mi ritiro come paguro attonito nel carapace rubato. Non più sorrisi oramai, solo distratta indifferenza. Inutile esercizio flagellare l’anima interrogandosi, quando hai la coscienza di aver stretto la tua stella e non averla saputo custodire nella teca di cristallo. Gli errori sono figli di supponenza, di superficialità e non vale più d’un soldo bucato dar loro cognome le stagioni incalzano non si curano dei tuoi patemi. Sarà perché spesso si è distratti nel misurar la vita? Sì, forse è così. Ma non basta.
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Giano o Pierrot? (lavori in corso) È un cielo lacerato -lassù m’attendeSospeso come un Pierrot irrequieto cerco appiglio tra i seni delle nuvole mentre l’attesa disegna astri avversi. Se la tristezza tradisse il tratto felice avrei ago e refe per suturare la volta e l’indecisione dietro il mesto sorriso l’alienerei al suk come burla circense. Così sento. Così resto. Così scrivo. Scrivo il passato -immagino il futuroocchi oltre la volta catturo Supernova. Così se fossi Giano aprirei quella porta che nega serenità alle anime irresolute. Ma sono un Pierrot dalla lacrima finta e se della mia maschera il cielo si burla recito al meglio il tramontar degli anni beffando l’incerto equinozio d’autunno. Così coloro la tela riottosa. La vita.
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Ho vissuto cantando (memories) oh vita matrigna/dalla larga sottana/ vita strozzina/di cambiali da puttana/ quel che hai dato/interessi esagerati/ non t’eccitare/col sangue li ho pagati Dicono avessi una bella voce giovane perché mai ho inanellato note bolse? Non ho più chitarra e dita per accordi sfumati tra spartiti e notti senza lune. Vorrei raccontarti ancora fole allegre con l’innocente incoscienza del bimbo che non ha mai voluto donare al vento il suo nido sull’aquilone della fantasia. oh vita matrigna/dalla larga sottana/ vita strozzina/di cambiali da puttana/ quel che hai dato/interessi esagerati/ non t’eccitare/col sangue li ho pagati È un mantra ancora canto nonostante quel tuo sorriso sulle mie note canute racconti come il tempo benevolmente abbia celato alla vita l’ultimo spartito. Ho pochi spiccioli di cuore indolente da dedicare al canto -le ultime notevorrei che fosse duetto, un’esibizione da applausi e che la vita rosichi pure. Nota su nota a squarciagola. Ancora. Io e te.
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Ideologie e utopie prêt-à-porter Prima che la pigrizia mi fagociti come d’abitudine fate che io sprimacci questi versi -morbide piumee mi attrezzi a seguire un volo planare senza radar. Una civetta smaniosa di compagnia affetta la voce ticchetta sul pavé una danza propiziatoria alla luna è scena surreale ma il vecchio al tavolino annuisce. Un’accozzaglia di note sudate dondola pigramente sul pentagramma di un piano indolente e scordato voci/echi lontane di un afoso, sconcio adescamento. I tetti da quassù hanno lo stesso grigio delle lapidi non uno squarcio di colore, che so, di allegri coppi l’allegria di Peter Pan -illuso Icaro- è merce salata. Il vecchio dimentica il vino cattivo sorride al canto segue il ticchettio che sparisce là sotto il lampione certo che domani la brezza accoglierà il suo respiro. Graffio con le unghie il ricordo di certezze sfiorite sono coriandoli di parole e pagine di libero arbitrio ali d’un aliante -appeso alla coda cullo la mia cunaPrima che io mi acchioccioli nel mio bozzolo/madre fate che il mondo non ferisca lo sguardo oltremodo poi lasciatemi l’illusione del divenire di ogni utopia. Taglia XXL per favore.
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Pane e fagioli Le foglie di tabacco ad asciugare al sole lenzuola verderame d’acceso salentino. Ăˆ incedere d’assonnato treno su binari e vecchie traversine squarci di blumare che acceca ulivi e sassi -case bianco calceAttraversa il tavoliere quasi tradotta lento offre allo sguardo aie assolate giochi di luce riflessa tra mare e case tra capperi e ulivi, tabacco e vigneti. Ăˆ lampo di memoria impigrita lettere di tastiera immaginaria schegge di sole e blu tra le dita Salento riarso tra le mie ciglia. Sulla soglia di pietra sostano piccoli piedi sorridono alle labbra il sole, pane e fagioli.
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La ragnatela strappata Oggi un ciottolo ha lacerato la mia trasognata ragnatela assurda nelle sue geometrie rattoppata ma tenacemente avvinghiata, legata alla vita. [poi, barene di verde livido coppale e garzette attonite statuine di gesso] Anni sconvolti di affannoso tessere geometrie assurde, rattoppi faticosi. Il mio scudo è una ragnatela appesa tra cielo e terra tra sogno e abbaglio improbabile trappola per il destino. [poi, il ciottolo che saltella sull’acciaio la laguna una lastra, la vita si diverte] CosÏ rimango appeso all’ultima bava ciottolo nella tela, predatore e preda.
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Mi sei dentro, è inevitabile In ogni piega, in ogni respiro. Io e te. Tu sei me, simbiosi univoca, perfetta non puoi/non ci possiamo ingannare. E parliamo con una voce sola, io e te e poi ci stupiamo, ipocriti per amore. E poi scrivo, e sei il mio foglio bianco io la tua pagina dove scrivi la mia vita. -mi sei dentroFosse l’ultimo afflato -l’ultimo io e tel’ultimo verso di questa cattiva poesia, l’ultimo -ti amo- scritto con il pudore, la consapevolezza dei battiti del cuore. Anche se il blu del mare stingerà le ali e l’aquilone non avrà il vento a favore l’ultimo volo sarà un assolo a due voci. -è inevitabile-
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Padre dimmi della paura Perché tu possa capire mio caro padre che quel che m’uccide è solo il cruccio di un volo zoppo -senza ala compagnaè la paura che il coraggio prenda l’aire. -nel sogno la luna si camuffa da soleIl sole disegna una griglia sul soffitto e lame di luce giallo sporco scrostano il verde ammuffito, ancestrale ricordo del bar enfaticamente chiamato “Zip” Tu mi guardi con occhi di liquido cielo io tremo a che il racconto prenda corpo il cartoccio del panino suda olio stantio e un moscone decide un menu vegano. La scena ha un che di surreale letterario la strada nero bitume che asfalta le gole e il bar rifugio di una controra assassina non fosse che stringo lenzuola sudaticce. -rotola timoroso un cucciolo nel sogno-
Tu sai, conosci il disegno, perché il sogno
è spesso cabala crudele per chi ci crede o scarabocchio d’alea nell’anima per il cieco che gioca, mentre rampogni la mia paura. Ulula lacrime d’uomo. Tra i versi.
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Quel raggio di sole appeso Quel raggio di sole appeso all’ingiù tra la fionda e la retina per le falene -celato tra le costole- è una canzone una filastrocca che tormenta la sera. Fa capolino -occhieggia nell’attesavuol uscire, sanare il cielo graffiato sorridere alle promesse mantenute. Perché quel velo di tristezza allora? La fionda senza il sasso a che serve? Farfalle ne presi a mani nude allora -porporina iridescente colora le ditaservirà la retina per catturare versi? La fionda, la retina -il raggio di solelà finiscono i ricordi. I sogni. Forse.
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Passando da Nostradamus a il Pendolo Ora che a poco a poco il traguardo s’avvicina riconosco profumi e colori che mi paiono gemelli, simbiotici padrini della nostra lunga storia. E così le rocce di tufo su cui crescono i capperi le olive -gocce di sapere e sapore antico- del Salento e l’Egeo che t’ha depositato come rara conchiglia. Si fondono ricordi cittadini di periferia milanese, di un fiume malato che bruciava le sue sponde l’allegra leggerezza di piccoli artigiani della fantasia tra capanne di rovi e battaglie con la cerbottana. Radici, respiri diversi, magicamente spiaggiati e magicamente fusi in un’anima, una poesia sola. Mille e non più Mille poesie sono una promessa un furto di tempo per scrivere una scommessa. Questo count-down è arbitro del mio futuro -se cesserò di scrivere per ricominciare a scrivereavrò ancora cielo per raccontarne l’armonia?
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Un graffio al cielo -sanguina[Se non fosse perché le settimane scompaiono alla vista, e le attese presto germoglieranno nei colori -quasi profumi della primaverasarebbe tedio lo scrivere di notti e giorni appuntati sul calendario dell’anima e mortificare l’amore di chi sostiene e m’accompagna in questa avventura da decenni.] Lacerare il cielo è ottusa lena. Il suo respiro è il mio, negli occhi l’intesa di una tenerezza infinita. Prendo fiato. Inseguendo il sogno. Cerco artigli rossi sulle le dita, ma ho le mani di bambino -nella folae il lupo cattivo non sanguina mai. Non dire nulla -ho graffiato il cieloe il dolore non ha fiori da poggiolo. Sanguina.
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Di me e dei miei se L’ultima volta che t’ho incontrata eri altezzosa, sicura di te -scioccaio andavo incontro al buio, quieto e tu affannavi il mio cuore invano. Se …avessi creduto alle tue lusinghe? …mi fossi arreso alle tue minacce? …avessi adombrato l’anima a Dio? …avessi pronunciato il tuo nome? Dei miei se, dei miei brevi brividi ora che ti conosco -paura- sorrido li ho presi per mano come piccini camminano con me serenamente. Di me -ora che sai- puoi scordarti.
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Si vorrebbe poesia là dove tace Si vorrebbe alfine una carezza -dolce tepore di materno senoinvece è aspro sorriso irridente di un caparbio gelo marzolino. Eppure il cielo è azzurro, lindo -che m’incalza all’abbandonoma paguro timoroso recalcitro e ascolto le paure rinnovarsi. Sì, vorrei quella voce querula -l’amore non intende bon-tonche il gabbiano reitera all’alba ma il pudore è vezzo superbo. Eppure Proserpina è alle porte -e il cuore dirupa a primaverama sarà primula l’attesa di vita? Ubbie di Marzo, smorfie silenti. Si vorrebbe poesia là dove tace.
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L’ultima falena -fragile porporinaÈ grigio stamane -dovrei dolermenema il sole di Marzo è illusoria esca bugiardo marinaio di stantie parole d’angiporto -assonnato e irriverenteLa calle è sospesa -la cuna di canapoun silenzio ovattato stranisce le attese e ogni rigurgito d’ansia e di memoria rimane domanda irrisolta allo sterno. Attendo il guizzo d’argento nel canale -liquido acciaio, bigio come i pensierilo specchio affumicato si concede, ma rimbalzano le mie irresolutezze -paureMille falene sfuggite al retino disperso hanno deflorato di porporina -oh, etereil bianco asettico del foglio elettronico. Mille Salomè -storie discinte senza veliRitardataria rincorro -l’ultima poesiache adescata dalle lusinghe del canale si bea delle ali -fragili specchi coloratigode della bellezza d’un giorno in fieri.
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Stolta -penso- se non vedrai il domani a cosa servirĂ la tua fragile porporina? [il retino rimasto appeso -lĂ sul costatosorride tra la fionda e un raggio di sole] Ăˆ grigio stamane -dovrei dolermene-
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Immaginami, poi [nella camera orfana di cornici quando l’esplosione dei colori lascia solo graffi come cicatrici sul muro, epigramma di dolori] …e poi sentimi nelle mani spaurite rifugiate sul tuo seno nelle labbra smaniose di quel volo sereno nei refoli di vento tra i granelli della rena nell’andar dei fianchi a confortar la pena …e poi parlami dimmi che le nuvole son là dietro la luna che il trifoglio bara promettendo fortuna che questi versi t’hanno lacerato il cuore e raccontami una fiaba, scegli tu il colore ...immaginami, poi
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Ranuncoli di laguna -Marzo surrealeÈ questa voglia assassina di primavera -che mi fa sognare ranuncoli di lagunasurreali sfumano dondolando alla vista e fluttua una tavola di puntini colorati. È questa voglia di spogliare ogni petalo di togliere la sera il velo a versi soffocati -rime baciate ammanettate tra le labbra parole in attesa sulla punta della linguaÈ questa voglia infine che mi fa anelare dolci declivi della tua pelle, colli e forre desuete immagini da ritrarre sulla rena -intanto il sole s’alza e la luna si rivesteRanuncoli di laguna -un cielo a puntiniuna rondine zoppa insegue l’ora legale.
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Batter d’ali tra ansia e paura Se mi trovi incollato ai vetri -mi catturiocchi che inseguono parentesi nel cielo, che non ti rispondono parlando d’altro, chiedimi se ancora le ali reggono il volo. Se poi ti scrivo nei miei versi imperfetti tu cercami tra la nostalgia e il soliloquio -nei miei passi circospetti, ciondolantimarinaio ebbro di luna in fondo al gotto. E allora prendimi per mano e risvegliami -la cuna dei sogni non dondola all’infinitola paura m’è sposa posso affascinarla, ma l’ansia è una puttana che non vale il soldo. E ancora posso volare, non son ali di cera.
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Baci e abbracci, e-mail non pervenute È la distanza di bit che soffoca -sentimenti e convenienzeo l’indolenza delle articolazioni -dita rafferme mai lievitate?[sterile esercizio d’analisi illogica la ricerca di pulsazioni cardiache o una qualsivoglia attività emotiva non paludata da artefatte identità] È l’ingenua, credulona inquietudine -alibi all’incapace oculatezzao l’effettivo desiderio di comunione -saggio d’interesse pari a zero?[quanti versi spesi nel rosso declinare ruffiani orpelli a blandire tornaconti *applausi di mani orfane di amicizia* baci e abbracci, e-mail non pervenute]
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Il coraggio sa la paura [e ora liberato dalle rime e da catene scriverò in libertà dell’anima dolente siamo rimasti incastrati io e te -lassùnell’ultima cabina della ruota gigante] È un giro panoramico -ora il cuore sbuffae i cardini della cabina cigolano -ruggine“Ho paura…”-dici, ma ti scappa da ridere“Anch’io…”-e il singhiozzo stroppia le parole“Coraggio, riparte…” -gli occhi s’accarezzanoLa ruota è sospesa tra la paura e il coraggio e la cabina dondola -la vita è un hula-hoopIl coraggio di vivere sa la paura di morire.
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L’innocenza degli angeli è un battito di ciglia E ora guardami mentre la schiena s’inarca le labbra s’aprono al sorriso, la fronte s’imperla. -nel batter di ciglia il lampo verde giadaOra dipingi l’ultimo volo con un grido di carminio nel delicato rosa l’Alba è deflorata dal rosso nascente. -lieve rossore l’annuncio di quieta acquamarinaInfine raccontati nel consueto pudore dei tuoi gesti mentre il sole irrompe plagiando Mondrian sulle pareti. -l’ultimo sguardo ha l’innocenza di un angelo-
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Un’alba su misura Ora sì attraverso i vetri, spazio libero inseguendo una falena -ali di sorrisola porporina colora la neve degli anni. Sono coriandoli di nostalgia i ricordi. Legami i polsi, vorrò volare. Cadrei, sì. Ho ancora negli occhi -vicino al cuorequel frullare d'ali. Ma è tempo scaduto. Spoglia l‘anima cerca il calore del seno. La luna rimette la gonna orba di stelle spaurito dal buio torna piccolo l’uomo -è solo il respiro di un attimo sospesoAlba, sì. Se vuoi. Ho dita d’arcobaleno. Le ali? Sono qui, della mia misura.
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Fragilità È quando t’accorgi che per vedere le stelle laceri la notte con le unghie ma il dolore che t’assale insegna che hai ferito il petto e la luce ha accecato il cuore. - ma tu insegnamiÈ quando le parole sanno togliere la polvere dai cassetti del canterano dove avevi nascosto il racconto dei tuoi anni e ti scoprono nudo e indifeso. -ma tu difendimiFragilità è infine la coscienza dell’irrequieto desiderio dell’infinito quando sei a braccia aperte sul ciglio dell’orrido e sai di non avere più le ali. La fragilità dei miei anni è tutta in quell’abaco reietto.
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Vento straniero Mi hai preso per mano, forte e caldo sconosciuto a quel vecchio marinaio che aveva ancorato alla luna il cuore. [e intanto tu te ne stai seduta lì -accoccolatain quel pigiamone troppo grande che spacci sexy e bevi il tuo caffè] Quattro braccia di mare e poi la rena avrebbe raccontato di quello stupore l’imprevedibile congiunzione astrale. [e intanto tu te ne stai seduta lì -accoccolatain quel pigiamone troppo grande e annacqui di lacrime il tuo caffè] Vento straniero che arrovelli bussole spingi ora la mia vela verso l’approdo m’aspetta un mare calmo e tranquillo.
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Acciaio e pennelli di seta Quella spina d’acciaio -che attende lo sternoriflette la felina ferocia del sorriso di una luna. Nera. Quel grumo di versi -in bilico sulla puntacome penna sospira il calamaio di quarzo. Rosa. Occhi come pennelli -scaltre sibille di setastemperano sull’ago quella lacrima reietta. Rossa. Ora, dipingi e sutura.
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Due gocce Neppure due gocce esplose -lapilli di me incandescentisarebbero bastate quella sera in quella fucina senza tempo. Due stille come due lacrime -custodi d’amori impossibilihanno disegnato una mappa tatuato d’ocra la tua schiena. Due gocce sono state infine -avvisaglia di lava imminenteil percorso sicuro per l’Eden la chiave per aprire il sogno Il mare ha spento il vulcano -due lapilli tenaci diamantihan fuso la rena per sempre ho la mappa non mi perderò. Ho ancora due gocce di lava -feroci premono all’inguinegiro il cuscino del sogno, poi disegno la mappa sul muro.
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Spigoli smussati Le spine dei pruni di Maggio Oh come graffiavano le gambe! Il grigio dei marciapiedi orbi di verde Oh come urla quel gabbiano innamorato! [acqua di laguna -mare malinconianel cortile di sassi come sanpietrini] Le lune di Maggio hanno le stesse sottane -quando adescano in Monte Napoleone-quando fanno shopping di cuori sul Corsoammaliano lupi solitari sulla riva del canale. E tu ridi di questa dicotomia di cuore mentre asfalto il mare quasi fosse periferia. Allora -sĂŹ- mi tuffo nel tuo sogno e smusso gli spigoli della nostalgia.
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Lascio una valigia Lascio una valigia aperta ma sì, farò bagagli domani e tu sparecchia i desideri le briciole d’amore sul letto. -il giaciglio dei sogniOra non ho lena -cuoretroppe le parole appese ai se troppi i disegni incompiuti da stivare in quella valigia. -bagaglio da sdoganareLasciala come ferita aperta in attesa di mano esperta cucirai con il refe d’allora tu sai come lenire il dolore.
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Abbracciato ad un’alba crepuscolare Sorrido mentre l’alba stamane s’interroga s’imporpora le gote e stupisce sorpresa all’abbraccio di quel rosso acceso, inatteso e focoso amante. -non è così che volea vestir il giornoM’interroga questo silenzio innaturale, l’afasia seppur momentanea della calle, al cangiar del verdemare del canale attonite anche le voci stupiscono. -le risposte disattese perse all’occasoScrivo seppure i versi velati di nostalgia spoglino l’anima degli ultimi orpelli senza tema d’arrossir pel carminio abbraccio l’aurora crepuscolare. Sorrido. -attendo il rosa per una nuova tela-
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Ali lontane (equazioni difficili) [due gabbiani in volo lassù come due parentesi -che racchiudonouna equazione di tempo irrisolto s’allontanano repentine al foglio e il sogno soffoca l’acquamarina] Scolorano. L’acqua del canale non m’è stata mai nemica, aliena come stasera i passi che risuonano sconosciuti alla mia anima riportano una eco di sottile dolore, eterna nostalgia di cieli diversi e matite azzurrine. L’emozione. Tempere e acrilici pittati su tavole -ricordano icone cinquecenteschemi raccontano in uno story-board protagonista illogico d’un fumetto. I colori nell’acqua sciolgono i toni, è rimmel il tratto d’anima inquieta. Matematicamente. Gli occhi seguono colori nel canale il peschereccio che salpa scombina lo story-board la cui sceneggiatura è racchiusa tra due parentesi, lassù. Le ali lontane di due gabbiani poeti non potranno risolvere l’equazione. Può un sorriso deflorare l’incognita?
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Calendimaggio stonato e bastardo Ma quali canti propiziatori quest’anno -ché Primavera nemmeno ora sbadigliaresto incompiuto con la penna in mano e tarderanno i germogli di versi novelli. Stonato sì ché infine senza metronomo -ceduto per pochi versi all’asta beneficaerrasti tempo e intonazione dell’incipit e per l’inciampo Primavera zittì il cuore. Bastardo ché le nubi confondono i sogni -le ansie scalpitano vecchie baldracchee rari mezzi respiri a concionar lo sterno a raccontar speranze appese alla poesia. Bastardo e stonato-così uccidi le attese-
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17,15 Nonostante un cielo d’acciaio cerco le mie tracce sulla rena so che la risacca non perdona ma il cuore insegue le gambe. Cosa m’avrà fagocitato quando il mondo come Gerico rovina? Un’iris tra le dita ho la mappa so che le troverò -nonostanteE il mare intanto prende e da.
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Il sale della saggezza [Il mare appassionato è respiro degli umori altalenanti della luna] Ama e abbandona la rena lasciando perle cristalline ad asciugare sulla schiena. La saggezza che sa di sale è amara ma conosce il sole.
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Il riccio di mare e l’isola che non c’è Custode dell’argento che incanta la luna ha una piuma a mo’ di timone pel vento è verde come la giubba ma orbo delle ali. Indosso quel cappellino -sorrido e volo-raro è spiaggiar del riccio su questa rena finché la luna divise le onde e l’isola sortìIl mare l’abbandonò, gli aculei ritti al cielo ora affiora dalla sabbia naufrago d’amore e sfida con la sua corazza il mio desiderio ma so il dolce del suo cuore -le sue spine-la polvere d’argento è pei cuori bambini il volo continua se non dai peso alle spineE il mare intanto protegge e ammonisce.
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Il mercato del Giovedì e la skipper Giovedì. Senti come crocchia il mercato. Una teoria di grigie beghine -compuntetra rosari di plastica e crocefissi di legno segue a piccoli passi una bruna suorina. Ora la trattativa in nuce è un battagliar il prezzo e sfilano ratte in Sant’Andrea. Adoro questo intercalar di voci, di grida chiame a mischiar i Santi con il profano. Lo sguardo oltre il molo non vede profilo scompare anche Pellestrina all’orizzonte la nebbia si dirada là dove il mare piegò e incrociai quell’isola -burla dei marinaiSì, lo dissero nelle sere al bar là sulla riva che furono fuochi fatui come nei cimiteri altri derisero il mio rapporto con il mare credendomi millantar cuore ed emozioni. E tu che dopo i miei versi -carte nautichetu che sola hai letto con i miei occhi, sai di venti australi -nodi marini e naufragiabile skipper troverai le rotte del silenzio. Ceduto il comando me ne sto in panciolle e il mare intanto sorride e rincalza le onde. -nel silenzio quel trepestar di vita al cielo-
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Lo scoglio, la musa e il canto del passato [Ascoltar sirene cara Musa è infanticidio è genocidio di anime candide alla malìa è la eco delle note infrante sullo scoglio è un rapinoso controcanto all’intelletto.] E si va, comunque. E poi -beffati gli occhiil canto si affaccia divincolandosi dai lacci intona una melodia cara alle tue orecchie il dolce lasciarsi andar alle giustificazioni. Musa quando le sirene intonarono il canto stavo ancora afferrando la vita non ascoltai gli occhi -seppur stanchi- lessero l’inganno e il passato m’è rimasto sereno compagno. È l’inciampo del cuore sulla neve degli anni o il rifiuto dell’essere, il mio “mal de vivre”? Dovessi risentir quel canto, il loro richiamo beffami gli occhi con i versi, cantali al mare. Ma il mare intanto se la canta e se la suona.
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Cuore di porcospino e ali salate Quando mi hai trovato ero un ispido porcospino dagli aculei bianco/marroni. Erano soldati di uno Shangai conficcati testa all’insù su un corpo di gomma pane. Policromi -adescanti insultizagaglie puntute rivolte al cielo erano il fortino inespugnabile di un tenero cuore di pasta frolla. ruvida crostata/corazza melancholia di sottobosco Quando ti ho trovata eri una vivida rosa di mare spiaggiata su una rena ignota. Uno scirocco innamorato t’ha persa su scogli di cemento serrati i petali alieni al grigio. Ali salate -desiderio di volobraccia di mare, nostalgici colori cercavi l’abbraccio compagno da cullare sul cuore di marzapane. follia di marzapane racchiusa in un bozzolo di zucchero filato Ora dimmi -il ricordo- delle spine quando l’amore è dolce sapore di pasta frolla e marzapane, potrai?
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Alberto e la mia corazza Se davvero sono un guerriero come tu dici scenderò in campo, ma tu dammi l’indirizzo dove poter comprare una nuova corazza, quella rimastami dalle precedenti battaglie l’ho sepolta con le mie armi -illuso vincitoredi una guerra combattuta e in fondo mai vinta. a te a cui ho dato il nome di mio padre a te a cui oggi parlo e dedico questi versi a te il tempo chiederà di scrivere una storia Come se fosse stata un’intervista a tuo padre ansimante dopo l’ennesimo giro di pista un incontro seduti sull’erba a bordo campo, come dopo l’ultima partita di un campionato giocato con l’handicap del tempo sospeso da battitore libero in difesa dell’ultimo minuto. A te -figlio mio- racconterò della nuova corazza.
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Di Orione, numeri binari e bit E tornerò a contare le stelle con l’abaco nella vena anche se i buchi nel soffitto celassero ai miei occhi puntini colorati, led elettronici, bit e numeri binari Orione da inseguire e afferrare prima che svanisca la mappa di cristallo liquido è insensibile al dolore che stupirà la messinscena della mia piccola morte. Che vuoi che sia -mia adorata compagna- il nulla? Cecità di bit e molecole che m’accoglierà nel vuoto nell’unica dimensione in cui nulla vale la tua soma. Il peso dei tuoi anni riaffioreranno quando sarai là a un passo dalla falsa costellazione da te agognata e il clic della gigantesca mistificazione s’accenderà. Poi Orione, numeri binari e bit. Onirica anestesia?
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Nulla da chiedere (soliloquio allo specchio) (ho la barba lunga, dovrei tagliarla…) Click. (strano, la luce funziona) “buongiorno, Franco!” "Che vuoi, ruffiano reperto di silice squagliata? Hai il solito falso sorriso da paraculo incallito. Mi trovi strano? Diverso? Va bene, te lo dico: mi sono innamorato, innamorato di una poesia.” “scrivila…!” “Fatto!” “e allora che vuoi di più?” “Nulla.” “nulla?” “Nulla da chiedere, se non il coraggio di chiedere.” “hai la barba lunga, tagliala!” “No!” Click. (lo sapevo, non funziona)
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Capita così -intanto sorridoCapita un empito di tenera follia ti scopri ad inseguire un foglietto. Ingiallito brogliaccio su quadretti -rigatino, divisa d’azzurro pallidoche ad ascoltarlo par di avvertire il mugugnar di lontane istitutrici. Capita poi che con il breve respiro che Calliope -riottosa- mi concede, io riesca ad acciuffarlo tra le righe. Appunti notturni, frasi smozzicate versi disattesi -appesi a parentesisintonie in attesa di prendere luce. Tutto quel fiato sprecato per nulla? A chi potrei dedicare questa zoppia questo pot-pourri di parole e versi? Questo Hellzapoppin di sentimenti arruffati? Riconduci i versi al cuore e capita che t’innamori della poesia. Ti sconcerta t’afferra “quella poesia” che morde dentro, non ti molla mai e pare universale ma a te solo parla. A te che intendi il cuore di chi scrive ruba gli occhi, incanta in ogni verso. Capita così scrivo, leggo. Un’utopia? Forse, ma intanto sorrido.
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Di terre riemerse, felci e tratturi L’acqua si ritira. La marea cala. La barena riemerge, s’asciuga al sole garzette e aironi in tenuta di gala improvvisano danze, confondono suoni. Con occhi distratti e schiena dolente seguo lo scorrere della laguna accanto nel cristallino l’immagine si spezza e il gioco di specchi frantuma i colori. Dipingo? Coriandoli di verde s’addensano. È una tavolozza di terre e ocra, verdi declivi, tenere felci -mille falenesottobosco, pastello, terra di Siena, oliva olio pastoso, chimico acrilico -matiteAcre l’odore di trementina m’assale, preparo i colori per una nostalgica tela? Sorrido. Seguo sulla barena un tratturo irreale, fatico a ritrovare lo Zenith -ricomporrela scena è un pot-pourri di ricordi e dolore. Vorrei una tastiera di verde cristallo, i tasti bianchi aironi pronti al volo -arditi-
e poi il foglio sicuro rifugio di poesia tratturo inevitabile che porta al sorriso. Riemergo.
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È difficile rassomigliarsi ancora È difficile rassomigliarsi allora, e ancora quando l’ultimo dei tuoi respiri s’è perso nella sala degli specchi. Quella macchia lilla laggiù -delicata voglia di tenerezzascolora il cotto dei mattoni giallo veleno asfalta le vene. È difficile riconoscersi allora, e ancora quando riflesse le ultime piume le ali ripiegate irridono il volo. Il rosso-mattone affoga stasera -anche il rospo gracida nervosoè l’attesa del tuono che fagocita remote paure e timori ancestrali? (ho risposte disattese) Non mi rassomiglio, non così. La Zingara credeva fossi forte ma no, ho solo guardato dritto -negli occhi- la vita e la morte. Poi il tunnel, la volta di specchi la paura senza ali e senza fiato, il ratto salta la riva dove fugge? La Zingara gioca a rimpiattino (ho domande impellenti) Quella tenerezza lilla laggiù mi guarda e sorride, c’è spazio nelle tasche insolenti dei jeans tu lo sai, il glicine non morirà. 103
Ma il muro è oltre il cancello il rospo brontola cupo -pianomentre piove brucia la lacrima è lava inattesa, l’età è derisa. È difficile rassomigliarsi allora, e ancora quando l’ultimo dei tuoi respiri s’è perso nella sala degli specchi. No, non è facile rassomigliarsi. Dopo.
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Giuro, non sono stato io [mille ali d’acciaio in volo come falci mietono il cielo semino fiocchi di pop-corn rastrello fascine di nuvole l'azzurro lacerato lacrima] Cos'è mai questa angoscia questa repulsa che prende questo scansare lo sguardo dal mondo per accucciarsi nell’utero caldo dell'apatia? Troppe cicatrici negli occhi. Ho legato lacrime d'azzurro a una perla d’opalina al collo onirico monile portafortuna utile passe-partout della vita icastica asserzione di castità. Sono quindi infondati timori soffocanti percezioni di colpa l’inutile rovistare tra la muffa di sbagli tumulati dal tempo? Non saprei, torno nel bozzolo. Giuro, non sono stato io.
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Inevitabile poesia Come il tuono -orfano del lampo che precede il suo cieco furore come il suo brontolio che rincorre bestemmiando il suo corifeo. Inevitabile Come l'abbraccio che due pellegrini -sherpa canuti- dal tempo vigliacco recitano l'amore cosi come la pelle vuole che sia il profumo dei versi. Inevitabile è La primavera che mente gli affanni e dona nuova linfa laddove medica poi strazia quei desideri impossibili fatti di labbra fugaci come farfalle Inevitabile infine Ăˆ questa mia esplosione di parole -piccole -dolci Madeleine- mattatrici di un timido assalto all'ipocrisia che recita neve orfana di sentimento. (farisaica pruderie -cieca mise en scèneper chi da sempre apre gli occhi all'oblio) Irresistibile -inevitabile- mia poesia.
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Tanto è solo una canzonaccia una primavera mai arrivata un’estate di beltà mascherata mostrano i lati d’una coperta troppo corta per dare calore Così era nato l’amore acefalo feto precoce di un cuore antico dal battito sereno -bambinoa piccoli passi lungo il tragitto nel bosco dei sentimenti dispersi nel tascapane briciole di neve. [sogni senza età appesi alla nuvola la casa celata nel petto -Pollicino-] una primavera mai arrivata un’estate di beltà mascherata han lacerato i versi, la poesia non ha voce ormai la fantasia Ma in fondo che importa? L’amore spesso è una canzone sin troppo facile da imparare la puoi cantare anche stonando così una voce roca e scorticata è bastante nel silenzio dell’anima. Tanto è solo una canzonaccia. Che uccide.
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Vorrei una lettera tra l’edera e il sorriso Ho pensieri -emozioni- liquide parole inafferrabili gocce di etere indisponenti che inseguo inutilmente -scompaionobattiti asincroni del mio cuore stonato. È sempre nostalgia l’incendio d’amore che scolora fagocitato dalle prime ombre del tramonto. Vorrei non avere imposte guardiane lacrime serrate tra le ciglia stasera. Sai, ho lasciato l’ultimo rantolo sospeso in bilico sulla chioma di un’edera vanitosa che perpetua eterna sulla ruggine nonostante. Ho negli occhi un piccolo naviglio, solo. Il tempo punisce l’incuria, sta morendo servirebbe l’amore -una mano di giallomille parole mai dette incise sullo scafo. Prima che la vampa affoghi laggiù e il buio fagociti anche me beffato dal blu della luna sciogli le parole -intrappolate tra le labbrae scrivimi una lettera che sappia lo stupore. Sorriderò all’edera che avvinghia l’attesa.
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Alienazione di un cuore poeta Le navigate mani riunite a coppa stringevano avide un cuore antico gocce di pastoso rubino tra le dita echeggiavano sull’assito d’acciaio. Neanche d’uno sguardo fu degno il corpo lacerato del vecchio poeta macerava pian piano tra gli umori fagocitato dalla grata del liquame. Luna Giacobina assisteva da lassù -di luce il ghigno era piombo fusofece scivolar nella pece del canale improvvidi incipit che decapitava. Ti cingo il fianco ho sicuro disagio dietro di te mi vedo morire -poetail petto lacerato, privato del cuore Pierrot di marzapane pasto di ratti. Ora il disagio s’è acconciato dolore fitte laceranti al petto che danzano con la levità del maglio di fonderia. tu ridi cristallini gorgheggi catartici. La grata m’attende oscena carcassa sarò in un amen tra ratti e gabbiani nell’eco delle risa di Luna Giacobina cuore di vecchio poeta in formalina.
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Avessi…(lettera aperta a Tyche, dea Fortuna) Avessi quegli anni che ho divorato bulimico ora sarei snello come airone planerei algido sul futuro, sorridente alzerei il becco al cielo e griderei l’arroganza delle ali agili e falcate. Avessi il radar che della nottola equilibrista fa ballerina per la sua innata perizia circense non incrocerei ostacoli tra le nuvole e i sogni dormirei sereno a testa ingiù appeso al cuore. Avessi me! Non faticherei al mattino l’identità riconoscerei riflessa -mentre sorvolo la spuma dell’ultimo peschereccio che attracca al molola sigla inconfondibile della mia irrequietezza. Avessi infine coscienza piena di quel che sono non chiederei ciò che la vita mi ha già donato se l’ingratitudine si misura contando gli anni anche lo stupore soffoca rimpianti affastellati.
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Basta un alito per un volo in maschera Poi tornare nel recinto a liberar falene riottose disabituate alla libertà. Sai, han dismesso le ali -la porporina sfarinataè scia iridata nel sogno. ***** Nel respiro di fuoco che la terra oggi sfiata ritaglio un fazzoletto d’azzurro solo per me vorrei regalare un volo sereno ai miei versi se fosse poesia quell’alito che mi è rimasto. Le ali di carta velina colorata non reggono tu -mio cuore aquilone- hai nascosto balsa logorata e colla liquefatta per cieco amore, ma così il volo è bugia travestita da sospiro. Ho piegato il luccichio della carta stagnola seguendo le istruzioni dell’abile rivenditore. Sorrideva mefistofelico alla mia goffaggine …ho qualche dubbio, fallirò anche stavolta? Carta velina e stagnola -un volo in maschera-
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Controra avvelenata I sampietrini sulla riva del canale luccicano, sudano la controra assassina il sole cuoce gli audaci e i gabbiani attendono. L’ombra m’insegue ostinata, non m’abbandona m’aspetto il ticchettio adescatore. Ti conosco ombra. T’ho incontrata navigata frequentatrice d’angiporti traballante su quei tacchi -pericolosi inciampisorridente un mestiere che non t’appartiene eppure gemella nel disincantato sguardo discinta nella notte al fuoco dei falò. (troppo caldo, riparo in un liquido ambrato cui non chiedo carta d’identità né etichetta) Strano -rimugino- non mi ricordo d’avere mai indossato scarpe da donna. ma il ticchettio di quei trampoli m’insegue. Bevo m’affretto verso casa -sulla riva scordol’ombra adescatrice evaporata nel cristallo così svanisce l’affanno. Era assenzio? I gabbiani attendono.
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E adesso? voglio un dopobarba al sapor di gelsomino una bambola di pezza dal sorriso birichino il cero acceso al Santo per una processione che affumichi i versi di questa mia canzone Non adesso. Non ora. non è ancora il momento di giocar la sorte né di irridere il cuore per chiudere le porte sto scrivendo in rima versi che misconosco non trovo gelsomini nel rovo di sottobosco Non adesso. Per ora. voglio divertire un’anima che so irrequieta non dice una parola e l’aurora non la cheta cocciuta risoluta rifugge ogni mio sostegno ho un ramo di pruno farò un cuore di legno E adesso? Ora. voglio i tuoi occhi divertirsi su questo foglio cercarne un senso è trovare un quadrifoglio nel cielo sempreverde di chi ama l’emozione per sorridere alla vita cantando una canzone Adesso canta.
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La tenda alla veneziana Il cielo plumbeo stasera è un panorama color ossidiana. Quel cielo tagliato a fette. Puoi immaginarlo, se vuoi -cucito, rattoppatoma non puoi sentirlo vivere sulla pelle. Come me. Io lo distinguo, sì. Lo vedo. Così. Ma la luce filtra lo stesso. E sento. Sì ti sento. Così. È malinconia quell’azzardo di labbra a sfiorare il seno o è ricerca di carezzevole tepore? È inverecondia lo scollinare il declivio o è ricerca di linfa nuova? [quel cielo di ossidiana stasera ostile volta -tagliata a fettequel desiderio rimasto lassù testimone malinconico di un tempo immaginario, ha il colore di trasognato amore] Ma l’urlo filtra lo stesso. Potresti sentirlo anche tu. Dopo. Se tu avessi una tenda alla veneziana. La vita come fosse una “zingarata” E feci capolino tra le cosce d’Aurora: gli occhi mi si riempirono di lacrime. Straniato in un cortile di calzoni corti lacrimavo la tristezza a quattro suore
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Anch’io ho inciso sui banchi di scuola col temperino l’ansia di sfottere la noia. Ho fatto capolino tra le cosce avvizzite d’Atena, nell’età che vorrebbe saggezza. Ma è piu forte di me, prendersi sul serio vorrebbe dire aprire gli occhi al pianto, così rido e nonostante sia imprevedibile vivo questa vita come l’ultima zingarata. È troppo chiedere un sorriso agli Dei?
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Questi miei anni in una bolla a mezz’aria [questi miei anni sono una vestaglia un tartan scozzese alquanto ridicolo -nonchalance di scialle ammantatocomodo sospensorio di sogni inevasi] Veleggio rintanato in una bolla a mezz’aria asettico rifugio dalle pulsioni di un mondo che rimbalza -illusoria e preziosa murrinasulle sue contraddizioni come in un flipper. Vivo una apnea coatta da déjà-vu costante che mi estranea e costringe al volo planare uno sguardo e il remake di quel film antico è il cocciuto tentativo di un pessimo regista. [questi miei anni sono un trip d’acido -egocentrismo di accidentale riflessomolecole di albagia in circolo ematico utile proroga di ratei scaduti alla vita] Questi miei anni -sospesi appesi- a mezz’aria.
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Scusami Dio, ma c’è luna piena [c’è luna piena stanotte -luna blu- meditabonda] Scusami Dio ma non ho ben capito quali conti avessi in sospeso con la vita. Che fossi moroso -lo sapevo era durama i ratei che pago son alti, san d'usura. Scusami Dio se ti pare arrogante questo mio ricorso respingi al mittente. Ma ridurmi l'azzurro -quasi rata scadutasenza alcun avviso a me pare eccedente. [c’è luna piena stanotte -luna blu-invereconda]
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Tra i mezzi toni del grigio e del seppia Tra i mezzi toni del grigio e del seppia nei chiaroscuri delle ombre contrastate dalla patina ormai consunta della carta riaffiorano ricordi e dolore mai chetato. (ci fosse stato tempo) T’avrei chiesto in prestito il tuo sorriso e quel buonumore che tutto contagiava quella tua voglia di vita contro la morte che non mentiva anni di fatica e trincea. (per un alito di vento) Tra i mezzi toni del grigio e dei seppia nei giochi di luce e nei riflessi argentati io e te nell’attimo di un clic assordante foto ricordo di un viaggio mai concluso. (sulle vele rattoppate) T’avrei chiesto le domande e le risposte -troppo vicino era il tempo tra noi dueeri un fratello un padre forse il gemello di quell’incauto che al largo annaspava.
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Tu, a poco a poco Misurare a passi rapidi il buio del corridoio poi scoprire che nel respiro è rimasta dentro paura. (a poco a poco) Elitre -zoppo elicotterocosì mulinavo le gambe era un tunnel nei sogni l’impietosa adolescenza. (tutto d’un fiato) Ho visto l’orrido infine -acne abusata da CronoHo spiato i lai del cuore era asincronia della vita. (angosciosa apnea) Misurare circospezione è quasi pane quotidiano -ti ascolto sei la sinapsimia sincronica armonia. Tu, a poco a poco.
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Il canto del cigno (che si credeva usignolo) (non avevo il collo sinuoso dell’airone né la voce gorgheggiante dell’usignolo ma l’arrogante nitore della mia divisa scagionava la mistificazione all’anima) Ma cantai. Pinneggiavo la mia bellezza nello stagno -l’acqua indolente accarezzava gli umorinel maleodorante regno di lucci affamati pigre moltitudini di boccaloni genuflessi. Così nella mia colpevole e totale alterigia concionavo l’indifferenza di rane e girini l’acqua marciva mentre i creduloni in fila -pinne adoranti- seguivano l’astuto luccio. Fu un bel discorso ma l’applauso non sortì la voce uscì dal becco urticante e sgraziata il luccio sfacciatamente divorò i boccaloni con arroganza cantai di me quasi usignolo. Fu l’ultimo canto, il luccio non abboccò.
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Il traghetto per l’Eden Quel piccolo naviglio di sambuco -incerottata e traballante chiattas’è insabbiato su un lido avverso ora reclama la tua guida esperta. Presuntuoso timoniere del vento solcavo il mare infido degli anni -dimentico e inesperto marinaiorincorrendo sirene immaginarie. ***** La notte è dolce matrigna di visioni -quanto vorrei essere traghettatolaggiù oltre il limite rosso del mare dove l’oltre ha la divisa dell’infinito. Stasera il sole incendia il tramonto -è illusione o desiderio recondito?io e te in un mondo di eguali utopie sul piccolo legno che avvera i sogni. Cuore e sambuco, L’Eden è vicino.
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Odio questi miei versi Odio questi miei versi aridi -ingabbiaticostretti tra una vecchiaia incipiente e una spensieratezza di cuore bambino. Una tenaglia che serra le ali della libertà della spontaneità -del mio raccontar poesiaho perso l’incipit e il suo respiro è sospeso. Scrivo odiando questo mondo che non vivo protetto -chiuso nel bozzolo della repulsaparlo d’amore di ricordi appeso a un foglio. Odio questi miei versi ingabbiati dall’ansia dalla sfida al tempo che fugge -silente ladrodall’inganno di questo placebo ammiccante. Sì, odio questi miei versi.
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Tra l’estro del vento e Paulo Coelho Non fosse altro che per il fetido odore di salmastro e calafature orfane di pece che ti accorgeresti della bava di vento che ansante sta facendosi largo tra le spire velenose e indolenti di questa estate e l’accidia che inevitabilmente mi assale. -annuso il vento come cucciolo ferito che attende il respiro infermiere della madreHo risposte ipocrite ed assassine quando chiedo attorno se mai Cristo fosse passato di qui e annusato il vento prima di fermarsi a Eboli. O se qualche paludato solone l’avesse invitato ad un giro promozionale sul gommone in attesa. Caronte ha sembianze umane, ma è un clone. -annuso il vento come animale abbandonato che attende la mano salvifica che viene dal mareHo lo stomaco sottosopra come se fossi in barca come se il vento si divertisse alle mie spalle. Amico mio sospingi i fratelli che agognano la riva, dimentica le mie piccole e stupide pene d’amore. Ha il grasso dell’indifferenza che ottunde la ragione lo sciacallo che si appresta alla disputa con i corvi. -annuso il vento come lupo affamato che sa il profumo di pane del mattino sul Corso“un guerriero della luce sa che, nel silenzio del suo cuore, c’è un ordine che lo guida” *(Paulo Coelho: Manuale del guerriero della luce)
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Troppo sole (estate inquieta) [sul crinale dell’inquietudine ho concitato passi maldestri -è spartiacque il mio respiroacrobata su un cielo a metà] Ho provato a volare credimi ma troppo sole -troppa lucehanno sbiadito l’arcobaleno e il ricordo dell’azzurro tace. Non ha senso il volo oramai senza il seguir dei tuoi occhi -ora ho ali come segnalibroappese a pagine mai scritte. E non conosco il braille.
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Un uomo? (tutte quelle volte) Per tutti quei passi di ieri sull’asfalto di periferia che hanno segnato le orme che oggi lascio sulla rena. Per tutti quegli amori uccisi nelle ore dei giovani aquiloni e per quelli feriti dall’Ego dimentico della sua costola. ***** Sei metà uomo e metà donna stesso impasto -idem sentirele cicatrici dolgono eguali. La sensibilità non ha prezzo il dolore incontrato nella vita ti ha insegnato ciò che vale. Per quelle volte che ho scritto dell’amore passato -vissutonegando l’incognito -in attesaSorprendono nuove emozioni di inaspettati aquiloni fuggitivi cerco il filo rubato dal tempo. Un uomo? Tutte quelle volte.
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Vita (lenzuola di carta velina e cielo di gesso) Quanta vita avremo da raccontarci ancora? Lenzuola di carta velina profumano d’attesa e i ricordi galleggiano nella tazzina di caffè. -il soffitto è un cielo di gesso-cobalto stinto le stelle fantasmagoria di paillettes scucite e il silenzio sarà la voce del nostro respiroQuanta strada -faticosi passi- non ti voltare le orme muoiono all’imbrunire del racconto quando mancano poche righe e perdi il filo. -il soffitto è mantello di cielo gesso-rubino i sudari di carta velina sanno l’antico gioco e rimandano ancora l’eco di sorrisi e umoriQuanta vita è rimasta appesa alla speranza se la Nera Signora muore nell’indifferenza? Tanta -vita mia- Credici.
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La speranza è un urlo al cielo [l’azzurro del cielo pare vergine deflorata dal volteggiare dei gabbiani e degli aironi e nuvole medicano con baffi di bambagia] Non so se il vecchio naviglio incerottato potrà ancora attraccare al porto dei savi i remi sugli scalmi paiono versi negletti che il poeta sconfessa -rifiuta di editare[vedi anima mia non cadere nella trappola i ricordi -etere ansiose ai bordi dell’animacircuiscono il cuore, annebbiano il senno] Ho ancorato infine al porto della speranza -troppo il vuoto senza te e angustierebbenon so se sciogliere questi versi con l’urlo che il cuore mi spinge a scrivere fiducioso. [l’azzurro del cielo ha ricomposto le vesti il volteggiare dei gabbiani ora è parentesi e il racconto persevera tra baffi di sereno] L’urlo tace, i gabbiani spaurano.
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Oblìo dell’Orsa Maggiore [nell’inseguire giorni indifferenti settimane gemelle indistinguibili effemeridi capovolte dall’accidia ho dimenticato l’Orsa Maggiore] Forse è banale questa considerazione -il tempo pare lento solo ai tuoi occhirincorri il dolore che ieri t’angustiava e oggi non trovi più il filo del discorso. Sai, non vorrei vedere il mare sfiorire -il marmo su cui siedo è lapide irrealeti aspetto, il caffè rasserena gli umori saliremo abbracciati sul Grande Carro. Non ci saranno metafore ad attenderci ma poesie che parlano dirette al cuore. Avremo Crono aggiogato ai nostri piedi e l’Orsa presa al laccio dai versi sinceri. Ma in fondo lo Zenit è qui, non trovi?
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Vedrai altre primavere (a spring spleen) Vedrai altre primavere così mi ripetevo allora un mantra una autoconsolazione una panacea quando il sole spauriva al cospetto della notte e “spleen” era ancora un termine di là a venire. [intanto là nei giardini dietro a quel cespuglio l’amore acerbo maturava in fretta i suoi anni] Vedrai altre primavere così mi ripetevo ancora quando il senno s’adagiava al potere del sogno e la vita bruciava le algide foglie di quel rosaio. Ho visto altre primavere sai -l’utopia ammaliaperché l’anima senza voce disincanta la litania. Non trovo più rose per giocare a nasconderella la vita ha regalato frutti dolci e amare stagioni. [i gabbiani straziano mentre sorrido all’utopia e petali fiammeggiano sul canale al tramonto] Vedrò altre primavere, ho imparato l’inglese.
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Senza musica non c’è voce… Non l’Addolorata né la Donna Cannone non i versi di Guccini né di De Gregori nelle vene non ho la poesia di Neruda né l’amore infinito e gentile di Prevert. Non la tristezza sincopata di Lucio Dalla né il cinismo urbano del poeta maledetto nelle dita ho coriandoli -schegge di versiche non sanno quant’è profondo il mare. Avessi almeno la musica. Canterei. (ho barattato la voce al mercatino delle pulci in cambio di una chimera di legno intagliata) Come vorrei non essere preso nella morsa delle incertezze o dei desideri insoddisfatti so della neve che è scesa velata ai miei occhi che ha gelato nelle mani il ticket del ritorno. Se il Mare calmo della sera ha voce potente e i Cieli d’Irlanda sorridono a verdi colline -resto indeciso spaccato a metà tra due cielidove il mare muore nell’infinito mi troverai. Senza voce. Ti scriverò una canzone. (ho perso una collezione di 33 giri in soffitta ora ho note ingabbiate in un canterano di bit)
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Allegorie di lemmi volanti L’instabilità del suono L’indifferenza all’eleganza L’assuefazione alla banalità L’ignavia della fantasia In volo. La messinscena dell’accezione La desuetudine all’analisi La bulimia del neologismo La deflagrazione della poesia Lemmi. Nottole parolaie.
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Abulia (in un vuoto pneumatico) nulla. vuoto come il peschereccio al molo dopo che l’ultimo gabbiano vorace ha ripulito il desco e se n’è andato. abulia. non un pensiero -un moto d’animauna parvenza di racconto -una voceed è noia l’attesa nelle dita abuliche nulla. e dicono la pazienza sia virtù. dicono. forse la metterò tra gli altri shanghai potrei vincere l’ultima partita. chissà. e se. il bozzolo s’è inaridito -ormai inutilemi rifugerò tra le coltri del tuo sorriso metterò cera e ali esauste all’incanto. apathie ou mal du vivre?
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Cielo color cenere e piombo sotto i ponti E ti racconterò -mentre il tempo scoloradi lampi di cuore che feriscono gli occhi di frattali di memorie scolpiti nel tempo di respiri sospesi a mezz’aria nei calzoni. (scusami se oggi paio un poco dissennato ma le nuvole lassù ingrigiscono i pensieri) L’acqua stenta a fluire nei canali -sospiracosì i miei battiti s’affrettano in anarchia complicano il passo sudano allo scirocco e non basta un’apnea per chetare il cuore. (il piombo fuso che poltrisce sotto i ponti fotografa senza pietà le rughe dell’anima) Ti racconterò tutto quello che già conosci ti ripeterò all’infinito le parole incanutite che mi legano quassù sulle pietre antiche mentre guardo il cielo che sospira cenere. E tu ascolterai la fola stanotte, sorridendo.
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Io e te dentro una murrina Oggi il cielo sembra precipitare nella laguna, dividersi e l’acqua inghiottire gocce di luce iridate. Precipitiamo -mano nella manocosì i sorrisi s’aprono alle labbra negli occhi il ricordo di altri tuffi. Altro mare dove fare l’amore noi -con l’impudicizia degli amantil’azzurra sfrontatezza degli anni. Io e te. L’uomo ha bussato alla mia porta -con la ferocia ottusa della bombacon il sorriso di un corvo in attesa. Non avrei altro da raccontare ora -il tempo ha cristallizzato la nevema dentro la murrina sorridiamo. In un silenzio di schegge colorate le parole che cantano solo per noi hanno l’eco cristallino dell’amore. Come dentro una murrina.
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Cerbottane d’Ottobre (miravi al cuore) -canne d’ottone e fogli di papiro e castagne e profumi d’OttobreAppese al muro armi di bimbo dimentico mollette da bucato nastro adesivo bianco. Vecchi lampadari -orbi dell’asta d’ottonepiangono gocce di falso cristallo sul pavé le braccia sinuose non diffondono lucore. Bussolotti di quaderno dalla fodera stinta infilzati su un riccio di castagna ottobrina. Cicatrici immaginarie di vecchie battaglie rincorse negli orti e nei campi di periferia strategie di fantasiosi capitani di ventura. Storie narrate come navigati combattenti la fanciullezza aveva il profumo d’Ottobre. -e miravi al cuore facile bersaglio coi tuoi occhi bussolotti appuntiti-
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Di cattive parole, pensieri e cattivi maestri Nebbia e parole. Che ne sai della nebbia che si taglia a fette, coltre di bambagia che ovatta i pensieri e li restituisce dall’arcano affamati di sapere mentre insegui il caldo profumo del pane. L’odore dell’inchiostro fresco sul quotidiano parole appena nate -panni stesi ad asciugareparole divorate con cura -infine ripiegatein fretta -sottobraccio- inseguendo il tram. Pane e cattive parole. Delle parole che il denaro ha ammaestrato ha coartato, sconfitto e soggiogato a se. Ha assunto come precarie -nude di valoresfruttate in agorà di falsa libertà di pensiero. Di quelle che hanno incartato le speranze -fantasmagoriche promesse della tecnologiae t’hanno spacciato per progresso l’ingordigia nei rottami di una pretesa gioventù di pensiero. Quattro soldi di becera chimera. “Pecunia non olet” dicono i cattivi professori invitandoti alla corte del gran ballo globale protagonista e vittima dello spettacolo gratuito. Balle. Il denaro puzza. Di morte.
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Verde eskimo e blu denim [e poi sono tornato -scalzoma negli occhi ho il sorriso di quel piccolo, nuovo cria che il mondo ha chiamato] Milano -i colori sfumanoAnche la memoria degli anni s’è persa la rotta del paradiso quando -mio cuore nomadecalzai jeans, spiegai ali ribelli. E sono tornato là nonostante -negli occhi lacrime di nebbiail Naviglio coccoli la mestizia dei colori annegati dell’utopia. Verde eskimo e blu denim.
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Voglia di caffè Inevitabile lo sguardo alla laguna impietrita mentre la corriera va soffoca metri sul ponte dal finestrino tagli di luce sull’acqua cinerea fanno gibigianna col pallore di un sole restio. Le barene paiono pallottole di carta da pacco fradice e spugnose risaltano col loro nocciola dipingono sullo specchio immoto come vetro una inattesa estemporanea dai colori uggiosi. Anima mia irrequieta ancora non t’è abitudine questo tuo pencolare questa tua basita apnea? Dovresti annegare gli occhi e scatenare i versi ogni volta che assisti a queste mise-en-scéne. Ho negli occhi la carta da pacco color nocciola -vorrei tingere i capelli di mare ma poi scoloraOh sì annegherei volentieri tra queste lenzuola ma vienimi vicino ho troppo da raccontare ora. Ho voglia di caffè.
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Brogliaccio d’amore e poesia Scorre la laguna sui finestrini -come semprei pensieri seguono traiettorie ormai consuete -ti pensoIncido sul vetro la malinconia di questi versi graffio con le unghie un desiderio di libertà -non ho aliLascio alle mie spalle quattro camici bianchi mille tuffi al cuore e un pugno di speranze -mai domeIn una sorta di “sliding doors” entro ed esco perso nella stanza degli specchi al luna park della vita. Non è primavera anima irrequieta, gli spifferi della disillusione ti aspettano, dietro la prossima porta. Presto sarà Natale e un rocchetto di refe rossa sarà compagno dell’ago che suturerà le ferite novelle. Nell’atelier di un improbabile designer di ali forse troverò le piume acconce per il mio volo agognato. In un fermo immagine questa corriera sfiancata m’appare simile alla mia anima nuda -alla tua mercéPrendo nota. Ho straziato le unghie sul finestrino ma lo scorrere del tempo sulla laguna irride il desiderio. Non posso volare, non c’è spazio sulla schiena solo il sogno tatuato tra un punto e l’altro -chimeraL’alzavola straniera litiga il posto sulla barena, ma è tardi anche per volare mi fermo qui -e sogno fiordalisiLa corriera va. Tra i campi di grano.
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Fiaba di un poeta folle c’era una volta... e un castello di carta stagnola il poeta piegò con incerti gesti -mani canute restie agli ordinie una finestra aperta sul mare una strada ferrata dimenticata una serenata -miagolii e stridaaprì il cuore al sogno del poeta e tu eri lì nelle orme sulla rena nel respiro delle onde del mare nell’ammiccare della luna etera nella pazzia di lucciole nel cielo e il poeta s’innamorò nel sogno il cuore silente -anima assopitadonò i versi a quel vento ribelle e tu eri lì, all’inizio dell’infinito to be continued…
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Fiaba di un poeta folle (la fine) il poeta la cercò all’inizio dell’infinito [ma l’inizio dell’infinito ha due porte due campanelli due toppe da infilare due opportunità di irridere la morte cieli diversi d’amare o bestemmiare] così il menestrello sbeffeggiò l’aedo quando il poeta misurò il suo dolore e nel castello l’argento fu verderame e nel fossato i cuori degli amori finiti ora la luna mi sorride senza inganni ora ti posso narrare come poeta folle ora ho la licenza d’amare come vuoi ora ho l’età e posso scegliere la toppa ora ho la chiave -il castello s’è sciolto[ma l’inizio dell’infinito ha due porte due campanelli due toppe da infilare due opportunità di irridere la morte cieli diversi d’amare o bestemmiare] ora non ha la poesia -il poeta impazzì-
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Ascoltando l’arte, l’amante Ma che ne sai tu che hai bruciato il tempo -mentre guidavi i tuoi anni a velocità follepugni in tasca e orgoglio da qualche parte, tu nascosto all’amore quasi folletto silvano -da accarezzare con promesse abbagliantie innamorare nei sogni ruggine d’autunno? Ascolta, l’arte. Così scrisse il poeta -cuore sognante- e lei Musa sfuggente danzava nei versi l’amore, celava nelle metafore le emozioni di cuore. Ma tu non sapevi leggere i moti dell’anima -arrogante riccio- ti raccoglievi nelle spine e come proiettile esplodevi nelle tue poesie. Ascolta, l’amante. Così scrivi nelle notti che scolorano giorno -rimbomba nelle vene l’amore Tersicoreodimentico degli anni folli circuisci il foglio. Imbratti la tela di un impossibile amplesso e nel sogno ascolti l’incedere dei suoi versi. L’incipit è dardo che s’incunea nello sterno. Ora lo sai, ascolta.
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Ho provato sai (troppa nebbia tra le dita) [la tenevo tra le dita come una volta mi sorprendo di saperlo fare ancora un moto di tenerezza -l’ho guardatapoi ho violato il bianco di quel foglio] Ho provato sai a credere che ancora la magia di un tempo tornasse, che facesse scorrere la matita senza indugi e intoppi ma il campanile sul corso impazza oh Dio fermatelo! I rintocchi inseguono la grafite -s’è impastata- piove? Avrei voluto dirti sai che l’emozione l’avresti trovata tra i miei chiaroscuri, le mie volute -le mie fughe- nei soqquadri degli spazi. Albeggia, sono tornato alla tastiera -ho perso ancoraguardo il foglio no, non mi riconosco in questo cielo! C’è nebbia fuori e piove tra le dita -mare tra le ciglia-
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Ti porto al mare Stasera ti porto al mare dai, vestiti d’autunno che il mare d’inverno beffa le ciglia, trascolora. Una foglia di platano dondola nel canale vieni, la laguna gioca e spettina l’onda ribelle. Briciole di luna sul seno a piedi nudi, ricordi? Noi e le risate di sera noi e l’amore sfrontato. Al mare.
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Zoppia di un tempo diverso (asincronia d’amore) la ruvida astratta nostalgia di un tempo diverso mai vissuto -mai respiratoè carta vetrata di quel tempo disegnato sulle punta delle dita di profumati -aspri coloriè tela violentata del blu di quelle labbra rapite alle more -alle spinedi quei passi di danza è ritmo diseguale di quel tempo impari è rimasta solo la zoppia di un cuore -un respiroè asincronia d’amore e il tuo tic-tac sull’anima nello scorrere delle ore aliene
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Il ruzzolo delle nuvole [e poi le nuvole ruzzolarono lo scoppio atterrì le garzette così livido m’apparve il cielo] Sui vetri riflessi rosso sangue un’emozione che serra la gola. [la televisione urla la morte il vento che passa indolente racconta dell’odio assassino] Se le nuvole tacessero il piombo potrei scrivere ancora della vita. [e poi le nuvole annichilirono il pianto piovve irrefrenabile del ruzzolo s’imprecò il dolore] L’alba allinea petali sulla strada vittime ignare di una icona folle.
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Mattanza (quale Dio?) Quale Dio? -nel nome di quale Dios’è spenta la luce nella vostra anima? Quale bestemmia è l’oro che premia la morte nei cuori, nelle vostre mani? Quale fede distorta è valore assoluto che misconosce il disprezzo umano? Quale cielo infine è grembo complice che vi assolve dopo l’orrida mattanza? Quale Dio? In nome di Dio.
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Quanti gradini hanno le scale del cielo? Ma quanti gradini hanno le scale del cielo? Guardo il soffitto e l’azzurro sbianca l’intonaco lo stanzone è scrostato come l’anima che urla. Non c’è dolore compagno allo strazio del cuore gemello alla contezza che quando tutto finirà dovrò salire quella scala mozza fiato -ne avrò?Ma quanti gradini hanno le scale del cielo! Ho perso il conto mentre abbraccio i tuoi occhi stanotte il tuo respiro -la tua tenerezza- è il mio. Piove -acqua su acqua- il sogno scivola piano e dondola beffardo sul canale, mi canzona. Non ho stivali acconci per salire quei gradini. Sorridi, contarli è esercizio inutile. Non ora.
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Questi miei anni tra quiete e soprassalto al cuore È arduo raccontar la quiete di questi miei anni è arduo scovarne il tremolio, il tenero affanno e seppure ora sia tempo di ormeggiare il legno all’orizzonte l’approdo non sarà fata Morgana. Potrei evitar la conta, ma l’eco ancora m’assale l’eco di quei dolori sepolti dall’ignavia al cuore potrei, ma non sarebbe sincero il mio racconto e tu volgeresti altrove i tuoi occhi per l’inganno. Vorrei la poesia che buca l’anima che emoziona poesia che graffia ma solo se ne abbracci i versi l’angustia muore, t’apri al sorriso e illudi Crono mentre vesti di quiete l’amore che vai scrivendo. “Questi miei anni agili ninfee ballerine sospese sulle punte étoile provette di passi arditi dispensatrici di labile quiete.” Sino al prossimo soprassalto al cuore.
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Profumo Oggi basta uno straccetto di nuvola -occhieggia come audace minigonnache gioca e circuisce un timido sole ed ecco arrivare il profumo del pane che avvince e addolcisce il salmastro. Ho poco tempo per decidere la rotta quale scia seguire, poi la nave salperà. Profumo. Profumo di donna -ricordoquel ticchettare ritmato sul selciato, il seno affannoso che insegue il passo. Le nuvole si diradano e un cereo sole s’affaccia con il pudore di una vergine scopertasi attrice di un gioco ardito. Affretto il passo -ho comprato il panela nave salpa indifferente ai desideri. Lascio alle spalle questa confusione questo pot-pourri di profumi -ricordo“Venezia, andata e ritorno. Grazie” Sul ponte guardo sfrontato l’orizzonte respiro il mare, la scia. Non mi volto. Il mare -stanotte- è tutt’altro profumo.
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Guardo fuori -la vita è una pazza fola[oplà Mangiafuoco s’incendia sull'assito “telone” -reclama- ma il gatto s’è sparito la volpe è senza l’uva nonostante il salto la fola scolora nell’acqua color basalto] ***** Tu che appoggiato al finestrino vedi riflesso nella laguna il viso assopito della compagna accucciata accanto e che dalla vita ha avuto come pegno solo cambiali di tempo mai vissuto. Tu che pensi lo scrivere sia vano mentre bestemmi i sobbalzi della corriera ricordi d’un tratto che la Signora vi ha visto guerrieri vincere insieme il dolore col sorriso ogni dì più sfrontato. Tu che hai annebbiato il finestrino che fingi sian condensa quelle gocce tra le ciglia tu che hai parole inespresse -falsa anarchia- sulle dita ricordi a ogni pietra quale amore ci sia in quel viso assopito. ***** [piove sul carro ora lo spettacolo è finito aironi e gabbiani -pubblico senza invitonon levano in volo e straniscono l’elogio laguna e Mangiafuoco eran sortilegio?] Guardo fuori, ma piove dentro.
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Svicoli d’anima Lo svicolo è quel sito dell’anima amica dove il cuore spaurito spesso si rifugia è la coperta calda nella notte innevata dove l’abbraccio della madre rassicura. Svicoli quei spigoli che m’hanno velato che spesso ho affittato a prezzi di saldo riparandomi così dagli insulti della vita mentre l’anima ingorda esigeva la retta. Forse gioco lessicale, una provocazione -un sondare amori e dolori sottotracciaspogliarsi di orpelli e timori dell’ignoto abusando d’ogni angolo buio e riparato. Fin qui t’ho raccontato -di me il ritrattoma quante volte dovrò svicolare ancora per non cedere alle tue tenere trappole? L’anima è colma, non v’è spazio alcuno. Necessito nuovi svicoli, un’anima nuova. Per non svicolare ancora.
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Namastè Non è l’aria di Natale non l’agrodolce profumo di mandarino sulle dita. Non sono aghi di pino che crocchiano allegria ai passi sotto le scarpe. Non è la piva nomade non l’invito di ceri accesi è un’apnea che sa di sale. “non ancora” -è urlo di sirena[Ora il Natale sulla marina sfila gelido sul bagnasciuga e l’inverno indossa la morte. Sul corso cristalli sanguigni allettano etere incellofanate come strenne donano oblio] “non ancora” -è tuono di bombaNamastè mondo, è ora.
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Perché ci vuole cuore stasera per deflorare questo silenzio inquieto -foderato di caligine ovattatache rabbrividisce sul marmo della panchina ci vuole cuore raccontar discreto di te in punta di piedi -ma il pensiero che tuona nella mentenon ha rispetto alcuno e spoglia la tua anima chiamare gabbiano la tua solitudine e accoccolarsi nella poesia -quasi tra le braccia di un’amantetu, Peter Pan accucciato in questo spigolo di cielo e ne vorresti ancor di più per fare spazio all’umanità che preme -accogliendo le piccole bare in fondo al marementre sorridi a chi il suo spazio ha di già avuto ma -forse- ci vorrebbe un altro cuore
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Steli recisi -rose di mareLi incontro -spesso ci inciamponel tunnel chiaroscuro della vita sono sogni bugiardi da uccidere prima che venga l’alba -vita miaRecido rose -l’alba non perdonaQueste poche righe -senza spineanemoni che profumano di mare. Ma sì, se non fosse perché mi ami diresti di me che ho perso il lume. Rose di mare senza steli né spine. Le rose spesso tradiscono gli steli tu ignorale, lasciale al mare, però ho poco tempo -il blu mi attendee le parole sono rasoi affilatissimi. L’alba non perdonerà le mie bugie le regalerò un mazzo di steli recisi. Riemergo.
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Volevo scriverti una poesia (luci e ombre) Volevo scriverti una poesia stanotte, ma stolto -ho baloccato il tempo inseguendo una farfallaLei infiltrata chissà come tra gli scuri socchiusi io perso in un infantile svago di luci e di ombre. Volevo pittarti coi versi iridati delle sue ali, ma -la porporina s’è stranita in volo e il refolo rideLa tela è pelle in controluce, ora l’ombra è rena gioco nel sogno e dipingo falene come tatuaggi. Volevo scriverti una poesia, ma tu sei volata via il sole uccide i sogni all’alba e la rena si sfarina.
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Calce viva (ranuncoli disattesi) In questo solstizio d’inverno così uggioso di nebbia marina un fiore lasciato sul davanzale è quasi speranza di primavera. c’è chi innalza muri di parole -calce viva per un sole malatoPiù in là un vecchio colorato sul sagrato soffoca gli auguri tende la mano ma infastiditi scostano lo sguardo i parolai. c’è chi annega speranze di vita -calce viva per anime indecentiUn Natale così è da seppellire.
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Un tempo diverso (ou le mal de vivre) (di quel tempo sì diverso e parallelo così incastrato tra l’anima e il cuore conosci il respiro dei versi e l’amore urlati dal vento che percuote il cielo) È uno stipo, un cassetto uno sgabuzzino, un angolo segreto una scatola di scarpe chiusa con lo scotch un diario ingiallito protetto da un lucchetto. È il tuo rifugio, la cassaforte, il salvadanaio dove nascondere e conservare i tuoi se, i tuoi forse il tuo “mal de vivre” i tuoi reconditi umori, i desideri dove tutto hai stipato alla rinfusa, in un allegro ginepraio. È un tempo abortito, mai nato, mai vissuto eppure mai così desiderato dalla tua anima inquieta. Cosa ti manca? Ti sei chiesto spesso mentendo la risposta: la chiave per aprire la porta, il lucchetto, la penna per contarlo? Ma in quel tempo diverso anche le bugie avrebbero sorriso di te.
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Ho bisogno di un momento…cosi Ho bisogno di un momento, sai. Per riflettere. Per sorridere. Per decidere. Per andare. Per morire. Notte stranita di vento e di pioggia. Notte guerriera di anni in attesa. Notte orfana di rossori d'amore. Notte materna dolcissima custode delle tenerezze d’età e del dolore. Piove, non ha capo né coda questa mia riflessione. È un gomitolo di lana tra le zampe di un gattino, come un tenero, feroce gioco di desideri arruffati. Pochi versi in ordine sparso, polluzioni amorose nostalgie di un tempo sfuggito di mano, illusioni -passeggere clandestine- di un aquilone anarchico zuppo di pioggia, tenace paradigma della mia vita. La goccia che ora testarda insiste sul vetro, bussa. Inseguo giocando con le dita sul vetro la sua corsa dispettosa lei scompare in una crepa dello stucco. Goccia gemella che precipiti rigandomi la guancia attendi il sorriso, un dito che ti fermi sulle labbra? Forse per (ri)nascere domani dovrò un po' morire. Scusami, piove…è un momento così.
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In quel tempo, di quel tempo, oggi In quel tempo, quando per essere felici bastavano solo due dita di cielo -rubateaffacciati sulla terrazza della mansarda. (in quel tempo quando si sconoscevano i graffi che gli artigli della vita regalano) Di quel tempo -vita mia- che è rimasto se non il tenero sorriso del tuo sguardo che mente serenità per non spaurirmi? (c’è ancora quella piccola mansarda, sai sulle nostre labbra nel contarci gli anni) Oggi che audace mi sporgo dal poggiolo vorrei poter rubare due dita di cielo, ma ho solo questi versi, pochi graffi nel buio. (vicino all’edera anarchica sul davanzale potrei coltivare fiori d’azzurra speranza) In quel tempo, di quel tempo, oggi ho te.
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Un giorno in più Inaspettatamente e vigliaccamente tutte le speranze vengono disattese il sole che sognavi facesse capolino dalla nebbia degli affanni, s’è celato e il sorriso ha sconosciuto le labbra. A che pro inveire, ululare versi acidi verso il destino baro, la cabala ostile? Se non avrò la forza ovvero la voglia di arrancare con la soma e la zoppia in quel giorno in più di questo anno già prodromo di pensieri batticuore chi mi venderà il coraggio disilluso? Un giorno in più, forse il sole ce la fa.
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Tre del mattino L’ultimo sogno di un sonno decente s’è fuggito con una elegante piroetta. Le nuvole paiono fiocchi di cemento appiccicati a una coltre di pece nera. L’alito di salmastro viene dal canale -è respiro di reti fatiche senza tempopensieri, parole sono guizzi argentei imprigionati nella pania della mente. Ho rovesciato il calamaio della notte è un caos di lettere, versi e intenzioni la poesia rimane utopia e fa capolino dai fiocchi di cemento -irride- si cela. Surreale susseguirsi di grigio e nero, vecchio cemento crepato e cielo pece -i fiocchi colano trementina e coloree la calle è pinacoteca claustrofobica. Tre del mattino. Appunti sguaiati.
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Crisalide Non sai nascondere quella tua smania e la tua malcelata voglia di mutamento come una crisalide -inespressa farfallabrucia il tempo che hai avuto e vissuto. (ho piccole mani che non sanno di terra ma piccoli sforzi per inventare fantasie) Mi guardi e io non so trovare soluzione all’inquietudine dei tuoi occhi. Fermati. Ascolta il cuore di chi ti è accanto, batte e non sa ancora se sia ritmo all’unisono. (ho piccole mani che non sanno fingere ma raccontano grandi sforzi per amore) È tempo, chetati.
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La sottrazione dei pani e dei pesci Dio, dove sei? Sento l’urlo fin dentro me, urlo che scassa il petto, il torace è una discarica di pietre riarse dalle bombe dall’odio mentecatto e concupiscente dell’uomo. Uomo, dove sei? Aleppo l’ho letta e straziata negli occhi dei bambini e il terrore che traspariva in quelle pupille lacerate da quell’orrore inspiegabile m’ha gelato vene e parole. Hai sottratto la vita moltiplicando l’odio. I conti non tornano.
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L’irrefrenabile voglia Se poi pensi che siano ormai lampi d’intesa -cenni sottesi tra le ciglia per una richiestanon frenare il desiderio se sono dentro di te. [niente potrà mai cancellare il nostro diario sapessi le volte che ne ho riscritto le pagine] Se poi sfoglio una rosa rossa come margherita non credere alle parole dell’ingannevole gioco è solo un’irrefrenabile voglia di fare all’amore. [sarà che a volte mal interpreto la tenerezza ma a un cuore bambino perdonerai l’ardire] Così petalo dopo petalo il rosso piano scolora e il nostro viaggio riempie pagine di blu mare ormai alle viste dell’approdo, torneremo? No. Sulla mia scrivania la penna, orpello inutile.
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Quella volta che parlai con Dio Ci accordammo. Credimi sarĂ un bel giorno -non vorrei lacrime inutilie tutte le volte che le piansi non lavarono mai il dolore. [sarĂ allora un mare calmo -lastra di falsa madreperlagabbiani arrochiti in lutto] E tu stretta la teca sul cuore con un filo di voce brucerai gli ultimi versi della poesia. Poi il mare aprirĂ le braccia. Oppure non sarĂ il mare?
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Gouache L’alzavola coglie il volo e si tuffa, sfidando il gelo, lascia la bricola. Anch’io dimentico il mio calore assiso sul marmo della panchina. Io e l’alzavola -poeti temerariStempero. Fatico a dipanare negli occhi quella ragnatela di grigi umori che il cielo ha impresso stamane. Cerco il sorriso di un cielo amico che so mio, egoisticamente mio. L’urlo di un gabbiano innamorato arrochisce su un cassero laggiù. Sfinito tace -triste pierrot piumatoLa motonave saluta il molo fischiando chiama alla conta gli sbadati, i restii. Il cielo s’è aperto, il sole si specchia nel ghiaccio iridescente della darsena. Arrossisce, la dipinge d’oro e sorride. [L’alzavola torna. Lo stridio dei gabbiani che inseguono il rientro dei pescherecci è sobbalzo, allegro ghirigoro delle dita.] Nel bianco, uno sbaffo d’azzurro.
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Non sempre hai ragione, caro Pessoa Non sempre hai ragione mio caro Pessoa non sempre il poeta è un “gran fingitore” non sempre dipinge gaiezza il suo dolore ma palesa la sua anima se scrive col cuore. Così mi rappresento nudo, per mia scelta il coraggio dei sentimenti è serena canizie e scrivo di me, dei miei amori, del dolore protetto da un bozzolo di semplici parole. Accomodato in quel guscio claustrofobico parlo solo di me con una punta di egoismo il mondo che mi rivuole spesso m’è alieno -dovrei mentire per nascondere la ripulsa(dipingo l’amore e non fingo, caro Pessoa sai, ho uno sbaffo d’azzurro sulle labbra!)
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Azzurra rassicurazione… Dimmi di sì -dimmelo orache ho intinto il pennello nell’azzurro e ho scoperto che il nuovo segno era rimasto nelle pieghe dell’antico sapere. Dimmi di sì -dimmelo ancorache non è sprecato l’amore che scrivo che non è lama sottile e tagliente che lacera le coscienze di cartone, ma vivo. Dimmi di sì -dimmelo infineche l’attesa ai piedi del monte dei colori non fu vano esercizio, ma inevitabile scelta forse fu anche preghiera ma poi vinse il colore. Dimmi di sì, diversamente l’azzurro muore.
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Ti sento Sentirti Sentirti sul petto mentre ti stringo -colmo il vuoto col calore dei tuoi seniSospiro fuoco e li circondo Sentirti sì Nelle notti irrequiete di sesso sognato -paziente ricamo di ragnatele d’argentoIl desiderio è chimera dalle ali matrigne. Ti sento adesso Mentre scrivo questi versi e il mondo urla -ma sento con gli occhi del cuore – Abbracciami, riempi quel vuoto, ti sento. Come non mai.
175
La merla racconta… Sei del mattino. Il letto mi ricorda quel roveto grigiastro osceno spacciatore di more emofiliache che ricopriva buona parte delle sponde del Seveso malato vicino casa, a Milano. -spine dolorose, oh! mani avide e incauteEsco. La merla mi presenta una Chioggia livida, ha il sorriso decrepito e l’occhio acquoso di un Achab canuto, sconfitto, mai domo. Mi stringo nel piumino, brividi mattutini. -pensieri appesi al cielo, gelide stalattitiIl cielo irride. Nelle orecchie l’eco del tuono magnetico e nelle natiche il rantolare della corriera. Ora la merla zittisce, i pensieri sciolgono e i versi paiono testarde primule precoci. -sole sfacciato, utopia di primavera attesaVolubile azzurro. La merla sorride e affila il becco -s’intonaveloce arroto i tasti prima che geli il cuore. Scrivo, mentre il bianco della sala d’attesa fa il paio coi camici solerti delle infermiere. -sorrido, ho l’azzurro in tascaLa merla stona il fischio, muore nel bianco.
176
Una ciotola di legno chiaro “una ciotola di legno chiaro colma di conchiglie riarse un guscio iridato d’ostrica e un ricordo di ippocampo” Non v’è altro qui che abbia il sapore del mare non v’è sabbia negli angoli del letto, non più non vi sono ciabatte da mare buttate qua e là. Se apri quella porta, è tutto quello che ti lascio ma non c’è tempo, corri, se no perdi l’autobus. La spiaggia come sempre t’attende. Ti attendo. Hai messo gli occhiali scuri, vero? Oh sì, si usa. Al sole quelle perle sospese alle ciglia brillano, tradiscono, dicono l’emozione che vuoi solo tua. Hai con te la mia ciotola di legno chiaro. Vuota. Riempila è un buon momento per le conchiglie e non scordare il cavalluccio marino laggiù. Vedi? “una ciotola di legno chiaro colma di conchiglie riarse un guscio iridato d’ostrica e un ricordo di ippocampo” La radio canta…dormi serena.
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Perdersi altrove sotto un cielo diverso frutto immaturo sconosciuto al tatto raccolto d’istinto -pendeva distrattodelizia di fragola agro di melograno sogno primino di un mondo lontano Perdersi. Un gioco di falci arcuate lassù nel cielo ancora distrae e rapisce i miei sospiri essere altrove, uno spettacolo diverso forse varrebbe il soldo preteso stasera. Vedi parrebbe una tenera inquietudine occhi al cielo e -spalancata meravigliala voglia d’inseguire nuvole e gabbiani. Monologo d’istrione -vorrei perdermiAltrove. come improbabile ma generosa étoile danzo in equilibrio sulla mia fragilità il mondo ha tarpato le mie ali di voile sorrido non m’arrendo a tale iniquità Sotto un cielo diverso.
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Affresco di una notte di San Valentino Ho lasciato le chiavi appese al corno di questa luna mezzana sono quelle del mio cuore, usale con gentilezza sai che soffre. Qualche scatto e poi l’anima spalancata ti abbraccerà stretta una rosa di notte non scolorisce, ma non spezzarne le attese. Vedi sul canale i pescatori hanno steso le nasse ad asciugare di notte la magia di San Valentino colora anche le tradizioni. Aspettami sulla riva anche quando la luna t’inviterà ruffiana lei sa che ho giocato a dadi le mie notti in cambio della vita. L’ attesa avrà i colori di un affresco e il profumo di una rosa hai le chiavi, la luna mezzana ammicca -io ti aspetterò lassùSai ho ancorato la tavolozza alla riva -ti sorrido tra le nasseVieni.
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E ancora sei qui Ancora sostieni il mio passo quando -allacciati come marionette zoppeincespichiamo foglie ruggine d’autunno. Ancora leggo nei tuoi occhi quando -sui seni il fruscio delle mie maniè tenerezza di un desiderio mai sopito. E ancora sei qui. Ancora scriverò per te stasera quando -sarà nido il tuo volo nel mio cuorei versi saranno fiordalisi tra grano e sole. Ancora il sorriso sarà la nostra canzone -una carezza al domani d’eterne notequando il gelo dell’inverno ferma i battiti. E l’occaso pare aurora.
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La gatta canta nella calle e la vita balla Quando la vita smetterà di danzare sulle punte piroettando, menando l’anca -vecchia bagasciatroverà pace braccandone le orme la mia divisa con le mostrine bene in vista da eroe cresimato. Oggi non ho la forza di levare lo sguardo al cielo ipnotizza il grigio claustrofobico dell’antica casa che uccide ogni mio anelito di spazio e d’azzurro tono su tono con gli scuri serrati veste l’angoscia. [l’amore della gatta cieca affligge la calle -il cantonon conosce note diseguali, il giorno dalla notte] Non ho risposte né le desidero, t’aspetto al molo e poche bracciate di fantasia arcobaleno bastano a colorare questa giornata carcerata da versi bigi vedi, anche il gabbiano sui coppi lassù annuisce. Porta con te lo spartito dei giorni migliori al sole quando stonavamo le note tra le risa sulle labbra celiando la vita che danzava sulle anche libertine e il grigio era desiderio da travet chiuso in banca. [ora la vita danza sulle note strazianti della gatta ferma l’anca -etera canuta- la musica è cambiata] Esco, il grigio scolora, la gatta ha trovato l’amore.
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Dell’amore e della vita “Ho capito che nella vita ci sono tante vite, per quante volte in vita abbiamo amato.” (Evgenij Aleksandrovič Evtušenko) Non ho ancora scelto la nuvola dove stare quando il mare renderà le ceneri affogate. Sarà su una rena sconosciuta ai tuoi passi e il sole e il vento ne ruberanno il ricordo? Potrebbero essere l’incipit di questa poesia o la stanchezza dell’attesa -celata nei versiqueste dannate parole buttate lì sul foglio. Tu non capirai, ma non ho mai amato così. La vita. La amo da morire.
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L’inutile ulular alla luna E sei affacciato al precipizio degli anni non ti sei mai accorto dei tuoi affanni? Nulla ha mutato il colore dei tuoi sogni -egoista della notte- pretendi i bisogni. T’ho cercata stanotte etera lama di luce mentre il pensiero pigro viaggia, m’alzo piove e il vento strapazza i vecchi scuri. Il cielo è minaccioso -seppure volubilescherza con le ansie, le attese dei vecchi poco sonno e tanto straziar di memorie. Ciabatte ai piedi m’avvio stanco ai vetri arranco ma sorrido dei miei umori tetri ho penna e carta, ma rifuggo la tastiera “scrivi sbilenco, bestemmi l’età stasera”? T’ho sentito m’affaccio e -vento arrogante“non so far di conto gli anni m’han fottuto” Inutile ululato, sorridi e mostri il fianco. Luna?
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L’uomo che divise il cielo a metà (non fu per egoistico divertimento ma l’amore è necessità inevitabile) “Il sonno lo colse così rannicchiato contro la schiena della sua donna -quasi feto incanutito dall’attesaIl sogno l’irretì poi con l’inganno barattando la sega dai denti d’oro -in cambio delle sue notti insonniL’aurora lo cercò invano nel letto il mare non recitò omertosi versi -ma la rena fu inconfutabile testeIl mattino incontrò solo il sorriso insultava gli occhi l’oro dei denti -ma il cielo diviso non si lagnavaL’uomo donò la sega al suk celeste colorò cieli gemelli di altre poesie poi s’avviò verso un nuovo giorno” Così raccontò lo specchio. A metà.
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Recinto per falene, poetica utopia Poesie come falene? [Catturale e chiudile in un recinto, ma seguile, controllale senza sosta prima che Aurora ne reclami le ali. Appendi il retino, quando ponente avrà chiamato a se l’ultimo raggio, il tuo fiato non avrà lena bastante] Così mi contavo inseguendo i versi -abulici nell’attesa della primaveradi questa poesia evasa dalla galera. Non fosse che oggi il cielo m’allieta e l’animo riprende passi incatenati scrivere di noi involontari guerrieri m’apre al sorriso cicatrizza le ansie. Senza retino né trappole adescanti -accarezzo parole e do fiato alle aliacchiappala, si poserà a te accanto e il volo è breve può morir domani. No, le poesie son chimere con le ali.
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Mimose e calze a rete Come da un poster pubblicitario ti sorridono mimose -solo oggi?Fiore misconosciuto tutto l’anno ruffiano ammicchi infiocchettato. Perché accodarsi agli ipocriti lai se la memoria latita? -falso alibiMeglio allora un sorriso sincero e fermo volere di cambiamento. Cambiare? Sì. Ora -subitoCambiare i sorrisi fiorati di giallo e strappare i poster dell’ipocrisia. Cambiare la pretesa di egemonia e poi diventare uomo finalmente. E calze a rete che fasciano gambe siano per te solo voglia di libertà. Oggi donale rose -stille di scusee mimose come sole tutti i giorni. Sarebbe 8 Marzo anche domani.
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Nel giardino dell’età incompiuta E nel giardino dell’età incompiuta ho coltivato le speranze come rose stufo di inseguire sul selciato versi pagine colorate in fuga dal rosario. Quante tele imbrattate da iperbole e pagine di diario -vergini stuprateda poesie e versi, propositi irrisolti attimi fugaci di quieta malinconia. E no, non mi consola il condividere -il dolore che la risacca abbandonacon te che vinci lo spaurito allarme alienando noi e il respiro del mare. Nel giardino dell’età incompiuta, io ho lasciato un quaderno di appunti brogliacci d’emozioni abortite, note io che del domani ho solo vaghezza. Ho ancora due semi di speranza sai sono lì, tra le note di un’età stonata. Scortica il domani, usali.
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Passion flower (non ho il pollice verde) Io no che non ho fatto la guerra allora -ma ho infiorato i cannoni di chimereero troppo giovane per la corsa all’oro e troppo vecchio per incazzarmi -oraColtivo fiori. Della passione. Non prendo sul serio il mondo malato è storia che si ripete nulla s’è imparato amo le piante e i fiori, ma non la serra non sopporto i gas che violano la terra. E te l’ho detto in rima. È una canzone. Coltivo questi fiori -crescono sulla nevenon temono le stagioni passate -l’obliodisegnano i ritmi circadiani su misura, adeguano i battiti alle note dell’amore. Metronomi dell’età. Ci vuole passione.
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Barene e corriere S’agitano in nuvole di piume pensieri scapigliati, arruffati versi s’affacciano la mente liberata da legacci di miserie spazia oltre il vetro e s’accuccia docile. Questo pencolare del limite alla vista ogni volta mi tiene -mi ubriaca i sensiquesto narrar della laguna che ritrosa s’apre all’inatteso cuore di salso verde. Mi prende sai -mi straniaVorrei ricordare ogni parola, ogni volo che sfugge al mio annotare e al ricordo non so quale magia accada ma è la vita la laguna che recita sul palco di barene. Così mentre la corriera fagocita lo zaino con gli occhi fissi all’isola che ci attende incido nella memoria -quasi scalpellinol’emozione che ti racconto in un attimo. Guarda -oltre il vetro- la vita sa di sale.
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C’è una consapevolezza nuova Una dolcezza che liquefa l’amaro in bocca quando mi accorgo che ho sciolto i lacci che mi legavano alla falsa certezza degli anni. Ora lo so. Ora posso riderne. Forse potrei. Potrei anche decidere di lasciare l’impronta del mio corpo qui, su questa erme di versi che ospita la mia anima esausta di eternauta. Oh, sì! Ora c’è un alberello di giovane ulivo che sta crescendo nell’anima raggrinzita restia, ma arrendevole alla fine. Vieni qui. C’è una consapevolezza nuova ora. C’è la certezza di vestire i miei abiti infine e il sorriso di chi attendeva la metamorfosi è premio al traguardo che lenisce i dolori. Ma tutto questo lo conosci da tempo, vero? Moglie, amante, madre di generoso ventre m’hai atteso nonostante le bugie i dubbi, le paure ingiustificate puerili, le mie fughe. Ora posso anche attendere sereno altra neve seduto sulla riva del mio fantastico Lete comodo rifugio, quasi alcova tra i tuoi seni. Dovrò solo convincere il tempo. Aspettami.
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Amen Ma dove va a finire l’urlo del vento? Bussano alla porta pensieri reietti… Nella calle rotolano parole ubriache il canale le attende. Non bestemmie. Più ci penso, più non dovevo tornare e il poggiolo in queste notti di Marzo è un trampolino verso il buio malato -piove luce da un colino sgangheratoMa dove va a finire l’urlo del vento? Sibilano gli infissi note diatoniche… Nella calle scivolano poesie blasfeme il canale attende. Non sento prediche. Più ci penso, e più ti vorrei incontrare -anima irrequieta che insegui l’ombrail cuore che ti precede tamburella, osa! Battiti asincroni sui sampietrini bruni. Non ho chiuso gli scuri e il vento urla spengo il buio quasi scaccino discinto. Amen.
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Due passi, ancora Due passi. era quando il respiro era sibilo di una gomma bucata era quando il buio aveva i confini della tua assenza era infine quando la luna aveva chiuso gli scuri Quanta strada, quanti versi ho percorso, ho abortito gemelli. Quanto amore perso nel tempo ho corso una vita rimanendo fermo. Sai è proprio quando misuri la distanza tra il sogno e la realtà che ti accorgi che era semplice: bastava fare due passi, ancora. SÏ, sono sempre stato qui. A due passi. Da te.
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Perché poesia? È l’inutile ricerca di un sussurro, -incontenibile voglia di racconto che giustifica l’ansia batticuorequesto bisogno di sfogliare versi? È poi inutile violentare la tastiera non ha memoria del destinatario. Dissimulo tra le parole e i perché questa poesia che ancora sopisce. Non è tempo sai di mietere grano le spighe -frasi e metafore doratesono bozzoli di seta orfani di baco e la via del sogno è filo d’Arianna. Potrei fermarmi qui, ma mentirei -nel difficile esercizio della veritàraccontare l’anima è gioco atroce ma so rubare il cuore di chi legge. Tu cercami allora quando la Luna del Grano porterà l’atteso raccolto udirò il tuo sussurro tra le spighe, sfoglierò versi cercando consenso. Sei poesia, ecco perché.
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Un incipit risoluto per un’aurora in fieri Stasera l’anima balla il rock’n roll il cuore uno slow battiti -tappi di desideri rullati nel blu dei jeansesplodono come passi di gigante in una notte afona. La luna -lampada di opale bianca come il tuo senoscorda emozioni in libera uscita sul ciglio del sogno e le labbra non ricusano il sorriso all’aurora in fieri. L’incipit del nuovo giorno è un’aurora da deflorare. A volte ci riesco.
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Ad libitum Ho perso il filo del racconto stanotte, cerco faticosamente l’incipit smarrito e ho parole e versi sparsi sul cuscino. La lama di luce sul soffitto è metafora l’immagine che traluce sorride serena sono io che m’arrovello nella chimera? Vedi, non ho meta alcuna, -errabondosaltello, giro a zonzo sul pentagramma ma scrivo da musicante abborracciato. Come posso difendermi se la tua bocca è come un’onda blu che bacia gli errori e il rosso del diniego m’incendia il viso? Buonanotte, se t’aggrada.
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Come una lucertola Come una lucertola intristita -senza soleti lascio un desiderio disatteso di girasoli cosĂŹ un pezzetto di coda -tra le tue manivivrĂ e reclamerĂ il sorriso di un ricordo. Nel frattempo -in attesa di Apollo restiomi crogiolo nella mia incosciente poesia versi -parole in fuga- rare formiche alate che come una lucertola rincorro in sogno. Senza coda.
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Lentamente muore Lentamente. In silenzio -che nessuno se ne accorgavigliaccamente sto uccidendo il tempo riflesso nel canale risalgo, dondolando. Ho addolcito la pillola con lo zucchero delle autoassoluzioni e dell’ironica viltà scientemente ho aiutato il killer, la vita. Il bambino che era in me sta morendo il distacco graffia l’anima -rigo il vetronon è pioggia la stilla che traccia la via. Lentamente muore.
201
L’ultimo volo, confuso tra ali e colori Era come osservare il mondo da un trampolino avevo un’ala spezzata piegata in due dal dolore quando ti vidi -eri tu?-spiccare il volo verso Est e nel mio cielo ci fu confusione d’ali e di colori. Mi dissero allora che il poeta disconosca realtà ma come gigante d’argilla riarso al sole sgretoli e viva il suo mondo di sogno scisso dal profano amante e sicario della vita così come la conosci. Niente può compensare l’ebbrezza dell’irrealtà l’aria che mi sferza al mattino e viene dal mare la follia che mi prende -vive e muore tra le ditaè l’illusione di riconciliare il mondo con la vita. Seppure ogni volto che incontro mi sia avverso forestiero alle rotte che immagino nei miei voli e ogni respiro, ogni parola, mi trascini indietro non è nostalgia il colore che abbruma gli occhi. È un volo tra sogno e realtà l’inganno al dolore.
202
Gore, carbone e nerofumo Non ho mai guardato il cielo con ansietà -ma l’ombra è legata al chiodo della vitaHo lasciato lenzuola sfatte, sogni a metà e l’orgoglio da qualche parte nei calzoni. Nella piazza la vedovella piange cristalli -io come un fiotto di sangue sull’asfaltoVivo nonostante la corsa folle di stasera tra nuvole di basalto e ombre nerofumo. Aveva sedici anni o poco più la rondine -quando lasciò il nido e fu il primo voloScoprì l’amore tra il carbone in cantina e le labbra dipinte dichiararono il gioco. La luna non ha pietà nel riflesso, ancora -l’ombra piano si scioglie resto in bilicoEppure amavo quella nebbia -stella miae il tuo sorriso pallido nel sole cittadino. Stasera l’acqua di mare è una gora scura -alletta pensieri imbrattati di nerofumoVorrei rallegrarti il cuore ma -stella miala notte esplode tra le dita senza fiatare. Portami via.
203
La vita come fosse una “zingarata” E feci capolino tra le cosce d’Aurora: gli occhi mi si riempirono di lacrime. Straniato in un cortile di calzoni corti lacrimavo la tristezza a quattro suore Anch’io ho inciso sui banchi di scuola col temperino l’ansia di sfottere la noia. Ho fatto capolino tra le cosce avvizzite d’Atena, nell’età che vorrebbe saggezza. Ma è piu forte di me, prendersi sul serio vorrebbe dire aprire gli occhi al pianto, così rido e nonostante sia imprevedibile vivo questa vita come l’ultima zingarata. È troppo chiedere un sorriso agli Dei?
204
Noi e la vita -tressette col morto[e la vita ogni volta spariglia le carte al tavolo del tressette vince il morto] Noi. Molecole imbottite di numeri binari -bit, password ridicole e dimentichecorriamo i giorni su cavi rosi da topi per tuffarci inseguendo un pifferaio. Noi ricchi di nulla ma poveri di tutto signori illusi di un tempo incanutito -giochiamo le ore al tavolo dei sanialziamo la posta, perdiamo la mano. [e la vita ogni volta è regina e cavallo il tempo è fante in armi, il re è nero] Noi due. Le tasche piene di stagioni barattate con bigonce d’orgoglio e di speranze -che il tempo ha reso pessimo acetoabbiam suturato le ferite col sorriso. Ancora rincorriamo antichi aquiloni -sogni alati, carta velina e shanghainel cielo color bitume falci d’acciaio riflettono voli di gabbiani in amore. [e la vita è sempre mazzo e mazziere in questa partita il fante fa il morto] Noi e la vita. Non è gioco da ragazzi.
205
Proxima Centauri [quando la vita fa di tutti i tuoi errori un unico cartoccio, poi tira le somme chiede anche gli arretrati e ti accorgi che poetare non rima con compitare] Datemi una moneta un soldo farlocco un lingotto di belle speranze d’autore una poltrona rivestita di pelle di luna e una chimera di poesia immaginaria. Poi una patente che m’abiliti alla fuga -corrompendo la verità dei miei trattie una meraviglia di bit che m’attenda per il prossimo viaggio oltre le nuvole. Una stella rossa riscalderà la fantasia lascerò questo Aprile di gelo inacidito un percorso breve, lo spazio d’un fiato è una meta vicina ci andremo insieme. [aprire quel cartoccio è scelta dolorosa non è poesia la prosa che m’attanaglia -non ho un rimario per poetare sorrisima un biglietto scaduto di sola andata] Un soldo farlocco pagherà per due?
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Vento nero e petrolio Nero come petrolio il vento che ci attraversa. Atteso che il crine e il pelo innevano il volto e non fanno risvegliare resipiscenze remote che l’età non conforta ricordi inoppugnabili l’uomo pare immemore del suo male antico. Nero petrolio ai mari, vento d’odio ai monti. Distribuita la sua infingardaggine con equità ora si bea del vento nero che spazza le anime tronfio del suo concionare cuori pusillanimi si culla sull’amaca di xenofobie mai represse. -e alloraColtivo la speranza quasi fosse l’ultima prole come il minatore fo luce con tenue fiammella scavo nelle coscienze cercandone un barlume rosso come il fiore che riporterà la primavera. Una utopia che resisterà a vento e petrolio. -ora e sempre-
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Pulviscolo lunare e sale marino Sarà stata solo fortuna? Poi mi raccoglieranno, accucciato come feto sul selciato -pulviscolo lunare e sale marinosarà il tempo di mezzo in quell’indeciso brontolio degli Dei che il cielo si aprirà saranno finalmente more di gelso e roselline di Maggio? O forse no. Troppo il desiderio, troppa la foga giovanile, troppo il vuoto nello stomaco al solo proferir “distacco”? Ma era un tram che passava e la corsa era di sola andata gli anni cigolavano, hanno lasciato tenerezza negli occhi. Forse sì. Nulla è mutato se non la falsa misura del tempo il pulviscolo lunare -giocosa metaforaè figlio del mulino che ha macinato amore e vita e ha impastato pane azimo. Quel tram che ha ballato sui binari quasi fosse su un ring.
(sto ancora ballando, il biglietto è scaduto -rivedo il filme non ditemi che sono fortunato, perché potrei crederci) Pulviscolo lunare e sale marino negli occhi. Forse piove.
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n oscura la via le ritroverai come erme, tutore del tuo cammino. Ascolterò i tuoi passi battere nel mio petto, lassù e in quell’intervallo di tempo sospeso ti aspetterò. -al crepuscolo la fiamma è brace inestinguibileMa l’attesa spacca il cuore.
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Ninna nanna amore Strappami il cuore che urla il dolore sconfitto con un sorriso Strappami il cuore che ferisce l’anima col bianco delle corsie Cucimi l’anima col refe del coraggio che mi dai coi tuoi occhi Rattoppami il sorriso sulle labbra sgangherate dalle cicatrici Se avrai coraggio -disse la puttana dalla sottana larga e neraSe avrai coraggio salirai sulla coda della cometa dei Re Magi Volerai, sì, come Peter Pan e coccolerai il tuo cuore bambino Gli racconterai di come una fiaba possa vincere il tramonto Graffierai il cielo medicando i lacerti d’azzurro con abbracci Conterai i lettini soffocando le lacrime pensando all’ignavia Degli uomini per non dimenticare che l’Isola che non c’è è lì Scriverai una ninna nanna di versi disperati ma sinceri, veri. Lasciami sognare mia poesia che non ho le ali, non so volare. Ninna nanna amore.
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No Ho sognato che cadevo nel vuoto. È in queste notti orfane di luna arancio che la tela non ha l’allegria d’acquerello ma il cobalto della volta celeste barcolla vira in nero pece che spaurisce l’anima. Ho sognato che cantavo senza voce. Sai ho visto il dolore, conosco la paura il groppo in gola che non t’abbandona e non vale metterlo all’incanto nei ceri Crono affamato è scaccino inesorabile. Ho sognato la solitudine dello scoglio. E poi cercare le nostre orme sulla rena. Se il mare rifiuta l’abbraccio della riva e ritira il suo respiro orfano della luna potrei forse seguitare il nostro viaggio? No.
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Non dare retta a quelle voci Certo ti diranno convenevoli circostanze -tu saprai invocare col mio nome il vuotocercami col sorriso nelle ore in gramaglie perché le lacrime scolorano poesie e tele. Puoi credermi -ora che tutto m’è chiaroquando la congiunzione astrale disegna precise geometrie d’amore code di stelle adornano lo sguardo benigno della luna. Scrivimi, scrivimi delle tue parole orfane dei fianchi insonni in attesa delle carezze del seno che fu madre/amante degli anni e dei tuoi occhi orbi dei miei -raccontamiCerto ti diranno che l’indirizzo è precario che un cero lo scaccino non spegnerebbe che una devozione l’altare accoglierebbe che i santi in paradiso li ha chi ha sorriso. Ma tu non fermarti al primo sussurro. Scrivi.
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Non puoi uccidere la nostalgia Si può far finta di niente davanti al ladrocinio di anni all’idiozia, agli errori, all’albagia e l’imberbe boria, allo scempio del dolore che sta divorando il tuo tempo? (puoi cantare in falsetto la vita ma è squallida esibizione da guitti) Si può far finta di niente davanti alla migrazione di anime alla cancellazione di storie all’assassinio dell’umana pietà alla mistificazione della paura all’oblio coatto delle radici? (puoi cantare la canzone bugiarda della primavera di nuove chance) Così t’aspetto ogni sera amica mia il petto gonfio di emozioni da incasellare, stipare nell’anima affianco a ricordi svogliati, timidi coprotagonisti della pièce. Se solo riuscissi a non piangere. Nostalgia, inevitabile compagna.
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Non sono Ugolino Prima che la mia anima scordi la fantasia e che il cuore perda lo scandire dell’amore voglio sgranocchiare ancora parole e versi e sfamare l’appetito immanente di poesia. Voglio dimenticare su un naviglio di carta -varato ai piedi di una laguna indifferentele mille e più lacrime raccolte in un pugno pagine allibite di ricordi e utopie disattese. [occhi distratti seguono l’alzavola in volo mentre i gabbiani reclamano il loro cielo] Prima che Sant’Andrea chiami al vespero il ghiaccio che ancora m’ottunde scioglierà e il rivolo di versi liberi dei lacci Luciferini ricomporrà poesia in una danza sabbatica. Voglio ricordare ogni motto, ogni parentesi lo tsunami d’emozioni sommergerà il cuore così dita rattrappite rivivranno al richiamo dell’alzavola che coraggiosa sfida l’azzardo. [la fame rinchiusa nel gelo azzanna la gola ora che libera pretende poesie da divorare] Non ho versi per te in pasto famelica ombra non voglio spaccare il cuore ora che sorride non ho dizionari appesi al mio cielo di carta non ho più lacrime per navigare l’orizzonte. E non sono Ugolino.
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Nonsodireno Oggi il cielo è azzurro che liquefa gli occhi irride alle malinconiche speranze disattese si beffa del malumore e m’invita al sorriso. -costringo la stizza nella bisaccia dei ricordiHo imbevuto pupille e emozioni di cupezza ché fatico ad accettare un chetarsi d’anima ma apro le braccia come Cristo rasserenato. -ah, cuore di pan di spagna intriso di cielo! Oggi il cielo è diamante che acceca l’orgoglio sveste le malintese parole di accenti randagi incide il cristallo della teca delle disarmonie. -ah cuore, l’azzurro è alle labbra rasserenatiSì. Nonsodireno.
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Opium Tempo. Sgattaiola lesto dalle dita come ladro smaliziato in una notte senza luna. Filtra sinuoso dalle nocche come irresistibile danza di procace odalisca discinta. Ancora un sorriso, un respiro sì, ne godo di soppiatto lo rubo alla vita, spudorato. Onirico ora mi attraversa -la tua schiena tra i papaveriè canto per le mie labbra. È tempo. Laceri il cielo -mantide golosamentre il mio respiro, ratto si aggrappa unisono al tuo urlo. Brandelli d’azzurro tra le dita -sorridi al nuovo cieloil sogno è una vampa rossa. Furtivo raccolgo papaveri -ne farò un raccontostempero amore tra le nuvole. Io drogato di tempo -di attimisento i versi pulsare, poi l’incipit è nei lacerti di cielo. Opium.
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Pierrot le fou Aveva coltivato il suo amore come una incantevole falena ma il bozzolo abortì la ninfa sì altera che rigettò le sue ali. Cominciai così la narrazione di dolenti versi -piccoli sogniprono tra le pagine della vita e sanguigne gocce segnalibro. Come Pierrot racconto il volo che non ha saputo imbrigliare ali troppo leste per il cemento del viso pittato di bianca calce. Storia dipinta in punta di dita amore lacerato dal vivo colore fragile cuore di rosso baccarat! La pupa dispiegò il trine alato. E lui impazzì.
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Poesia precaria -a tempo determinatoVagolo a piedi nudi quest’assito colloso cercando inutilmente levità di pensiero le nubi sono cappotto d’astrakan -bigioIl gabbiano innamorato lacera la fodera vestirò questa malinconia che sa di mare la sfoggerò domani e sarà greve il passo. Vanno e vengono da Sant’Andrea beghine e non mi eccita il cinismo che fa capolino ma non v’è il fuoco nel cielo stasera -bigioÈ’ l’ora della confessione salvifica del cero penso che nulla salverebbe anime ipocrite se non una catarsi corale da cui non riparo. Chiedo poco altro per me -oh, sì fortunatosolo la tua ferrea convinzione che l’amore abbia supremazia anche sui disegni divini. Io e te -poesia precaria- ma determinata.
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Post-it Terza costola a sinistra sotto al cuore -giallocome foglia d’autunno un urlo ricorda -rossoIl tuo nome. Volevo un tattoo -cobaltoma Crono è insaziabile ha fagocitato l’anima e il tratto s’è spento -grigioTenace, abbarbicato. Nero di seppia indelebile muta l’azzurro del cielo incide il giallo della foglia e sollecita la memoria. Terza costola a sinistra sotto al cuore. Uno strappo. Il mio post-it arcobaleno. Tu.
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Quattro chiacchiere con un’amica Amica mia, saggia poesia. Il vento è calato ed è sopraggiunta la vita -vorace ha fagocitato gli ultimi refoli ribelliil cuore sta disegnando graffiti sull’anima ora ho un arcobaleno di emozioni spray. Amica mia, dolcissima poesia. Il racconto è affogato nel bianco del foglio -parole danzano sui bordi restie ai richiamipiccole gocce di sudore imperlano i versi lo tsunami non risparmia gli argini dell’età. Amica mia, malinconica poesia. Sorridimi, per te ho in serbo surreali viaggi -calette di bianchissima rena da scoprirequartine d’amore rubate al mare geloso e fantasmagoriche pièce su un palco lunare. Amica mia, intristita poesia. Non temere la vita non ha impaurito il fiato -forse ha scompigliato la neve tra i capellisai m’è rimasto abbastanza colore nelle dita e stasera la tastiera è penna d’oca e calamaio. Prima che la vita se ne accorga.
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Quel tram numero 68 Non so come possa essere successo ma il tempo si infilò di soppiatto tra le pieghe e i recessi del respiro dilatandolo a dismisura, tant’è vero che ancora adesso viviamo l’apnea di una eterna, dolcissima poesia. Non so se il controllo ci colse in fallo se il biglietto fosse scaduto o farlocco so solo che obliammo fermate -e oravacilliamo allo sferragliare della vita. Ma il viaggio meritava la baldanza e l’incoscienza di due cuori bambini. Fu dolce salire su quel tram -alloranell’aria le note di un vento di pace spazzando le incertezze del domani ti cullavano con splendide utopie. E il sorriso nel mare dei tuoi occhi non fu marinaio, ci sostiene tuttora. No, noi non scendiamo -non ancora*a Conny in occasione Del nostro 48° anniversario di matrimonio
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Se non avesse senso la vita me la giocherei Se non avesse senso la vita accanto alla tua donna, non avresti notti insonni, letti sfatti, tazze del caffè bruciate -occhi pesti al mattino guardando il cieloÈ il precetto che la vita ha scolpito nella tua anima graffiando il cuore ogniqualvolta il battito latitava -non ho smesso d’averti accanto, mio metronomoScandisci ancora il ritmo della mia vita. Se non fosse che ormai scambio gabbiani per virgole e il nero dei tasti racconti di algide lune orbe di stelle a letto inseguo anni bambini col retino per le farfalle. È la stagione della vita che porta con sé colori pacati tenerezza agli angoli degli occhi che scolorano realtà e poche bracciate di mare che separano all’attracco. Ti voglio così come la marea t’ha segnato. Se non sapessi che vita è stata scritta nel libro mastro chissà dipingerei un’età di girotondi e voli d’aquiloni e il nostro inventarsi sul cuscino scioglierebbe il buio. È prendersi per mano sorridendo dei passi malfidenti -guardie giurate di anni insicuri ingabbiati nel toracerughe di giocatori professionisti alla roulette della vita. Se non avesse senso la vita me la giocherei. Il mio resto sul rosso, s’il vous plait.
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Indice
"Scarabocchi" di Franco Pucci___________6 225
17,15____________________________91 Abbracciato ad un’alba crepuscolare______88 Abulia (in un vuoto pneumatico)________136 Acciaio e pennelli di seta______________84 Ad libitum_______________________199 Affresco di una notte di San Valentino____179 Alberto e la mia corazza_______________98 Ali lontane (equazioni difficili)__________89 Alienazione di un cuore poeta__________110 Allegorie di lemmi volanti_____________135 Amen__________________________195 Ascoltando l’arte, l’amante____________146 Avessi…(lettera aperta a Tyche, dea Fortuna)_ 111 Azzurra rassicurazione…______________174 Baci e abbracci, e-mail non pervenute______77 Barene e corriere___________________192 Basta un alito per un volo in maschera____113 Batter d’ali tra ansia e paura____________76 Bozzolo tra i seni di primavera___________9 Brogliaccio d’amore e poesia___________143 226
C’è una consapevolezza nuova__________194 Calce viva (ranuncoli disattesi)__________161 Calendimaggio stonato e bastardo________90 Capita così -intanto sorrido-___________101 Cerbottane d’Ottobre (miravi al cuore)____139 Cielo color cenere e piombo sotto i ponti___137 Come una lucertola_________________200 Controra avvelenata_________________114 Crisalide________________________167 Cuore di porcospino e ali salate__________96 Dell’amore e della vita_______________183 Di braccialetti rossi e zucchero radioattivo___15 Di cattive parole, pensieri e cattivi maestri_140 Di me e dei miei se__________________70 Di Orione, numeri binari e bit___________99 Di terre riemerse, felci e tratturi________102 Di un sole obliquo e un respiro a metà_____16 Due gocce________________________85 Due passi, ancora__________________196 E adesso?________________________116 227
E ancora sei qui____________________181 È difficile rassomigliarsi ancora_________103 Fiaba di un poeta folle_______________144 Fiaba di un poeta folle (la fine)_________145 Figlio d’edera -senza fretta-____________10 Fragilità_________________________81 Giuro, non sono stato io______________106 Gore, carbone e nerofumo____________203 Gouache________________________172 Guardo fuori -la vita è una pazza fola-_____155 Ho bisogno di un momento…cosi________163 Ho provato sai (troppa nebbia tra le dita)__147 Il coraggio sa la paura________________78 Il mercato del Giovedì e la skipper________94 Il riccio di mare e l’isola che non c’è_______93 Il ruzzolo delle nuvole_______________150 Il sale della saggezza_________________92 Il traghetto per l’Eden_______________125 Immaginami, poi___________________74 In quel tempo, di quel tempo, oggi_______164 228
nevitabile poesia___________________107 Io e te dentro una murrina____________138 L’innocenza degli angeli è un battito di ciglia_79 L’inutile ulular alla luna______________184 L’irrefrenabile voglia________________170 L’ultima falena -fragile porporina-________72 L’ultimo volo, confuso tra ali e colori_____202 L’uomo che divise il cielo a metà________185 La gatta canta nella calle e la vita balla____182 La merla racconta…_________________176 La ragnatela strappata________________63 La sottrazione dei pani e dei pesci_______168 La speranza è un urlo al cielo___________131 La tenda alla veneziana_______________117 La vita come fosse una “zingarata________117 La Zingara gioca a rimpiattino__________103 Lascio una valigia___________________87 Lentamente muore_________________201 Lo scoglio, la musa e il canto del passato____95 Mattanza (quale Dio?)_______________151 229
Mi sei dentro, è inevitabile_____________64 Mimose e calze a rete________________187 Namastè________________________157 Nel giardino dell’età incompiuta________189 Noi e la vita -tressette col morto-________205 Non puoi uccidere la nostalgia__________214 Non sempre hai ragione, caro Pessoa_____173 Nulla da chiedere (soliloquio allo specchio)_100 Oblìo dell’Orsa Maggiore_____________132 Odio questi miei versi_______________126 Padre dimmi della paura______________65 Pane e fagioli______________________62 Passando da Nostradamus a il Pendolo_____67 Passion flower (non ho il pollice verde)____190 Perché ci vuole cuore________________158 Perché poesia?____________________197 Perdersi altrove sotto un cielo diverso_____178 Profumo________________________154 Proxima Centauri__________________206 Pulviscolo lunare e sale marino_________208 230
Quanti gradini hanno le scale del cielo?____152 Quel raggio di sole appeso_____________66 Quella volta che parlai con Dio__________171 Questi miei anni in una bolla a mezz’aria___119 Questi miei anni tra quiete e soprassalto___153 Ranuncoli di laguna -Marzo surreale-______75 Recinto per falene, poetica utopia_______186 Sabbia e nevischio in questo rosa di Marzo__11 Scusami Dio, ma c’è luna piena_________120 Senza musica non c’è voce…___________134 Si vorrebbe poesia là dove tace__________71 Soliloquio________________________18 Spietatamente bello__________________17 Spigoli smussati____________________86 Steli recisi -rose di mare-_____________159 Svicoli d’anima____________________156 T’avessi incontrata prima______________13 T’ho vissuto così -sulla mia pelle-_________14 Tanto è solo una canzonaccia__________108 Tattoo___________________________12 231
Ti porto al mare___________________148 Ti sento_________________________175 Tra i mezzi toni del grigio e del seppia_____121 Tra l’estro del vento e Paulo Coelho______127 Tre del mattino____________________166 Troppo sole (estate inquieta)___________128 Tu, a poco a poco___________________122 Un giorno in più___________________165 Un graffio al cielo -sanguina-___________68 Un incipit risoluto per un’aurora in fieri___198 Un tempo diverso (ou le mal de vivre)_____162 Un uomo? (tutte quelle volte)__________129 Un’alba su misura__________________80 Una ciotola di legno chiaro____________177 Vedrai altre primavere (a spring spleen)___133 Vento nero e petrolio________________207 Vento straniero____________________83 Verde eskimo e blu denim_____________141 Vita (lenzuola di carta velina e cielo di gesso)_ 130 Voglia di caffè_____________________142 232
Volevo scriverti una poesia (luci e ombre)__160 Vorrei una lettera tra l’edera e il sorriso___109 Zoppia di un tempo diverso____________149
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