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Culture Nature Special 2012
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Editorial
di Anna Quinz 6
…wenn die Kuh auf der Alm im Theater… von Barbara Gramegna 10
Bolzano, il Parco delle Rive. Che non c'è. di Barbara Breda 14
Alla conquista degli spazi per la musica “open air” a Bolzano di Luca Sticcotti
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Arte Sella
di Aaron Ceolan 24
Freiräume am Wasser von Verena Sprechtenhauser 28
Le Dolomiti risuonano ancora? di Marco Segabinazzi 34
Nicht nur Bäume von Wolfgang Nöckler 40
Reclaim the streets von Evelyn Gruber-Fischnaller
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Index
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Culture Nature Special, Juli 2012, Online Edition Texte: Anna Quinz, Barbara Gramegna, Barbara Breda, Luca Sticcotti, Aaron Ceolan, Verena Spechtenhauser, Marco Segabinazzi, Wolfgang NĂśckler, Evelyn Gruber-Fischnaller Grafik, Illustration & Layout: Philip Santa
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EDITORIAL Quando si parla – soprattutto fuori di qui – di Trentino Alto Adige, si pensa subito a una natura incontaminata, a prati verdi, fiumi che scorrono allegri, a vette dolomitiche di rara bellezza, a laghi in cui specchiare un cielo azzurro da cartolina, a vigneti e meleti morbidamente appoggiati sulle colline, a rifugi in luoghi che paiono più vicini al paradiso che alla terra, a boschi rigogliosi e pascoli accoglienti per mucche e altri animali. Tutto questo di certo, esiste, e siamo fortunati ad averlo proprio dietro casa. Ma tutto questo, non è solo meta di sportivi e amanti della natura, o di gitanti della domenica. Tutto questo, in estate sopratutto, diventa (o può diventare), scenografia ideale per eventi culturali, per il teatro e la musica, per una conferenza o la proiezione di un film, per un festival o una performance. Dunque, il legame tra natura e cultura, dalle nostre parti è come ci si aspetterebbe, un legame stretto e intenso. Ci sono festival che sull’essere “in natura” hanno fatto il loro successo. Altri festival invece, capito il potenziale, hanno iniziato ad organizzare il concerto all’alba sulle vette, o la performance in funivia salendo sulle vette. Ci sono parchi che hanno trasformato l’arte in natura e la natura in arte. E poi ci sono produzioni cinematografiche che si spingono nelle profondità delle valli, per riportare sullo schermo, attraverso fiction e film, le bellezze naturali delle nostre montagne. Ma è tutto oro quello che luccica sotto il sole? Si tratta di un fenomeno “di tendenza”, o di una ricerca profonda di dialogo tra elementi vicini, come l’espressione culturale e l’espressione naturale? E la natura, poi, come risponde a tutto questo? Accoglie o respinge?
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Soffre o gioisce? Certo è che l’economia, anche in funzione del potenziamento di offerta per il turista, di queste iniziative non può che gioire. E gli altoatesini e i trentini, invece come rispondono? E poi, non dimentichiamo altri spazi verdi, polmoni urbani fondamentali per sopportare l’estate in città. Che dire dei Prati lungo il Talvera a Bolzano ad esempio? Non si potrebbe pensare ad un potenziamento di questo luogo idilliaco, a due passi dal traffico e lontano dal traffico, come luogo di vita estiva vera della città? Anche solo per una passeggiata serale rinfrescante o un drink lungo il fiume? Merano un piccolo esempio di apertura sul fiume l’ha proprio recentemente lanciato. Basterà? Farà da esempio? Tutti conosciamo le esperienze di Parigi o Berlino, o tante altre città che dentro la città, lungo i fiumi, hanno regalato alla popolazione spazi da vivere. Perché qui, che la natura è da sempre amica, questo non succede? Noi della redazione di Franz, in preparazione all’estate, ci siamo posti queste ed altre domande su questo tema e così, da oggi fino a domenica, cercheremo di analizzarlo e di farci altre domande, per discutere insieme a voi del legame che intercorre tra la nostra natura e la nostra cultura. Dal Lungo Talvera al Lungo Passirio, da Arte Sella a Suoni delle Dolomiti, dalle tante cose che succedono a quelle che potrebbero succedere, troviamoci sulle pagine virtuali di Franz, per 7 giorni e discutiamo insieme. E poi, magari troviamoci nella natura, per godere anche, ma non solo, di un po’ di cultura. Anna Quinz
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...wenn die Kuh auf der Alm im Theater... D Text verfasst von Barbara Gramegna
ie Tage des Fu Tourismus, eine zukünftige Kunst der Vergangenheit, sind vorbei, die Zeit des Na Tourismus, ein ‘Akt’ an sich, kommt voran. Die Saison von Natur HUND Kultur, anerkannte Vierpfotenlebensperspektive, ist hinter der Ecke, Naturn bei Meran zeigt Prokulus im Erlebnisbad; Nathurn & Taxis vergleicht ihren Bierschaum mit der von Forst.
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Cool Tour in der NatUhr bietet etwas Frisches an. Natur und Kultur ist jetzt in Südtirol überAll zu finden, aufderAlm hingegen ist Jazz zu finden, während die Kühe? Im Theater grasen I Suoni erschallen in den Dolomiten und die Bergsteiger stimmen ihre Alpenstöcke. Wer sagt, dass das Leben in den Bergen langweilig ist?
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BOLZANO, IL PARCO DELLE RIVE. CHE NON C'È
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el 2007, ad un gruppo di 10 architetti altoatesini è stato affidato il compito di elaborare un documento preliminare al nuovo Masterplan, un interessante passaggio propedeutico soprattutto per la possibilità di discutere
mobilità, alle attività economiche, alle trasformazioni future, alla creazione di nuove centralità fino alle regole normative e procedurali, in relazione al tema affrontato da franz per lo speciale sui luoghi naturali per la cultura, é giusto
Da oltre un secolo Bolzano è regolata nei suoi processi di crescita e trasformazione da piani urbanistici che si configurano come strumenti per la gestione delle trasformazioni urbane e come regola e modello per tutelare le sue qualità architettoniche e ambientali.
Testo scritto da Barbara Breda
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lo strumento in ambito sociale e politico già in fase di formazione delle scelte, e quindi privilegiando un ampio spettro di direzioni possibili piuttosto che delle soluzioni definitive. In contrapposizione alle usuali logiche della pianificazione urbanistica di Bolzano, dove centrale era soprattutto la questione della scarsità del suolo cittadino, il nuovo documento ha guardato al territorio nella sua interezza e ha proposto un disegno complessivo di città, forte delle relazioni tra spazio verde, costruito e pendici. Senza entrare nel merito degli svariati temi discussi, che spaziano dalla
Bolzano, il parco delle rive. Che non c'è.
porre attenzione soprattutto alle proposte che interessano il verde urbano. Le priorità individuate dipingono uno scenario che molti di noi si augurerebbero per Bolzano: lo spostamento del viadotto autostradale e del tracciato dell’arginale in modo che la città possa recuperare il rapporto col fiume su entrambe le rive -un fiume che diventerebbe cosí elemento di unione e anziché di cesura tra le parti di città-, la conseguente consolidazione del parco fluviale in un grande sistema lineare continuo di verde e servizi da collegare al verde diffuso e con gli spazi pubblici di quartiere attraverso una capillare trama
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di percorsi pedonali, la valorizzazione delle pendici (prime fra tutte quelle del Virgolo), con azioni in grado di preservarle dalla speculazione edilizia, e di immetterle nel ciclo della fruizione civica come luoghi votati al godimento di natura, cultura, tempo libero. Le rive del Talvera e dell’Isarco, oltre a individuare nel loro punto d’incontro il centro orografico di Bolzano, sono al contempo struttura portante ed elemento unificante di tutte le zone della città. Per questo è stata indicata un’estesa opera di riqualificazione di tutte le superfici delle sponde, così come l’eliminazione di ogni impedimento per la loro libera accessibilità e fruizione, fosse esso strada (come ad esempio l’arginale), muro o recinzione. Il Parco delle Rive rappresenterebbe così l’ambito strategico della forma della città: ambito di qualità urbana, paesaggistica e ambientale da cui fa partire i raggi verdi urbani verso i quartieri. Certo, il piano è ambizioso e l’operazione non di semplice realizzazione, si tratta appunto di “visioni” -come vengono definite in gergo urbanistico-, di scenari verso cui tendere e direzionare le scelte,
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con la libertà di prefigurare i possibili assetti urbanistici futuri senza essere legati sin dal principio alle norme che li regoleranno. Se ci si lascia cullare da queste immagini, però, è facile quanto la cittá avrebbe da guadagnarci. Non solo un lungo, generoso affaccio sull’acqua, con nuove visuali emergenti sul fiume grazie allo sviluppo e all’espansione dei parchi lungo la sponda sinistra dell’Isarco, ma anche la possibilità di creare nuovi spazi per la cultura e per l’incontro affacciati sull’acqua e che dall’acqua assimilino una specifica identità di carattere urbano e architettonico. Il ridisegno delle sponde del Talvera in corrispondenza del ponte omonimo permetteva la realizzazione di un’isola attrezzata come spazio per il tempo libero e l’intrattenimento direttamente sul fiume. Una nuova torre per la ricerca, posta alla confluenza tra Talvera e Isarco, si aggiungeva alle strutture dell’Eurac per segnalare, come landmark, la sua funzione di centralità
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urbana. La balneazione libera nel fiume era resa possibile grazie a gradoni verdi di raccordo tra il retro del campo Druso e il piccolo corso d’acqua delimitante l’isola sul fiume, a sua volta collegata con delle leggere passerelle in legno. Un nuovo edificio-ponte pedociclabile collocato tra via Roma e via Palermo, con l’appoggio centrale su un’ampia isola dell’Isarco, favoriva un altro acceso sicuro all’acqua e un importante collegamento tra le due sponde. Infine, nel tratto tra ponte Palermo e ponte Resia, venivano pensati sulla sponda destra una Casa della Musica con sale da concerto, sala registrazioni, locali di prova per gruppi
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Bolzano, il parco delle rive. Che non c'è.
bandistici, una scuola di musica, una biblioteca audio-video e un bar ristorante, mentre sulla sponda sinistra, collegato da un nuovo ponte pedonale e da una ciclabile, il centro di arte e di design, legato all’università e alla scuola professionale di grafica Gutenberg. Nel provare ad immergersi nel fascino immaginifico di questi scenari, é piuttosto facile rendersi conto dell’importanza strategica del nostro parco fluviale, giá oggi vissuto e apprezzato da tutta la cittá, ma con un grande potenziale ricreativo e culturale la cui esplorazione sarebbe in grado non solo di aggiungere maggior vivacitá e fruizione, ma anche un fondamentale servizio alla collettivitá.
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Alla conquista degli spazi per la musica “open air” a Bolzano Q Testo scritto da Luca Sticcotti
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uando si parla del verde a Bolzano il pensiero cade subito sui prati del Talvera, l’invenzione dell’ingegner Michele Lettieri che ormai da decenni accompagna gli abitanti del capoluogo. I prati del Talvera fin dalla loro nascita hanno avuto modo di ospitare numerose manifestazioni open air, soprattutto musicali, dando respiro agli abitanti, soprattutto quelli più giovani, durante la bella stagione. I concerti all’aperto hanno però attirato le ire dei residenti, soprattutto del centro storico, ponendo al Comune il difficile compito di mediare tra le esigenze dei cittadini che volevano festeggiare con la musica sui prati e quelli che invece volevano godere
Alla conquista degli spazi per la musica "open air" a Bolzano
nelle proprie case della meritata tranquillità serale. Per anni si è quindi assistito ad un tira e molla che, come spesso succede, è stato in grado di scontentare entrambe le parti. Si è trattato ancora una volta lavoro duro e ingrato per i politici (?!), ma in quest’ultima legislatura qualche cambiamento si è registrato, grazie anche alla presenza in consiglio comunale di alcuni rappresentanti che con il mondo della musica e del rock una certa familiarità ce l’hanno. Tra questi Tobias Planer, già animatore nei centri giovanili della città ed organizzatore di eventi musicali. Lo abbiamo incontrato
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3 e gli abbiamo chiesto di aggiornarci sulle novità che riguardano l’attuale respiro “musicale” del nostro polmone verde e delle prospettive per il futuro, sia a breve che a lungo termine.
ore di soundcheck e impedendo lo smontaggio subito dopo l’evento. Sono stati confermati off limits anche i bicchieri di vetro per le bevande che volevamo introdurre per motivi ecologici…
Tobias Planer, qual è la situazione musica sul Talvera. Si può esprimere sempre e solo con il contagocce? Nell’ultimo anno le e cose sono un po’ migliorate. La musica sul Talvera è condizionata dai vicini intolleranti e dal vento di Sarentino che, quando soffia, porta la musica fino a Gries ed oltre in città. L’anno scorso però, con la protesta di Freie Musika, è partito un tavolo di lavoro che ha portato alla modifica del regolamento comunale. Le nuove regole hanno spostato il limite orario dei concerti alle ore 24 ed hanno aggiunto 1 manifestazione alle 6 originariamente previste. Le regole sono comunque ancora piuttosto rigide, prevedendo massimo 2
Le manifestazioni possono aver luogo solo sullo spiazzo asfalato sulla sponda sinistra? In pratica sì, perché solo lì ci sono gli allacciamenti per acqua ed corrente. Entro l’anno si aggiungerà anche il nuovo siate park che dovrebbe essere realizzato in cemento lì vicino. Al minigolf non vengono più organizzati eventi musicali perché il gestore non è interessato, ma anche lì c’erano stati problemi con i vicini. E nella zona di Pippo Stage non si possono organizzare eventi musicali all’aperto? Arci e Papperla Papp che lo gestiscono lo scorso 25 aprile in effetti hanno
organizzato lì un bell’evento musicale, all’aperto dalle 12 alle 21 e poi all’interno fino alle 24. Lo spazio è molto bello e ci stanno circa 500 persone. Anche lì però di sera ci sono problemi, non tanto legati alla musica quanto invece alle persone che dal Pippo escono per fare due chiacchiere e fumarsi una sigaretta. I vicini dicono che fanno troppo chiasso. Insomma, c’è ancora molta strada da fare… I vicini vanno abituati, gradualmente, bisogna andare avanti a piccoli passi. Magari pensando di sperimentare altri spazi, come quello dietro lo stadio Druso oppure altre zone in città, come il parco delle Semirurali e il parco Europa. Le associazioni devono darsi da fare, proporre, insistere, provare.
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Manca però uno spazio dove realizzare i grandi open air, sulla scia di quello che avviene in altre località della provincia. In comune qualche tempo fa era venuta fuori l’ipotesi dell’ex discarica di Castelfirmiano, ora bonificata. E’ un grande prato con piccoli alberi ed annesso parcheggio, si potrebbero organizzare anche delle bus navette. Quella zona però non è molto distante dal quartiere Casanova e da Oltrisarco, quindi anche da quelle parti potrebbero nascere dei problemi… Nel masterplan della città di Bolzano in realtà sono presenti alcune idee molto interessanti sul possibile sviluppo “culturale” del verde che fa da cornice ai fiumi Talvera ed Isarco. Sì, è il cosiddetto “parco delle rive” con annesso “parco della musica” a don Bosco. C’è anche l’idea di un “Talvera beach
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3 project”, con rive attrezzate con sabbia come avviene Berlino e Vienna, noleggio sdraio, un chiosco per le bibite. Una volta i fiumi erano chiusi, da loro ci difendevamo. Oggi dobbiamo invece riavvicinarci, sono per noi una grande risorsa, ma si tratta di progetti a lungo termine: per il progetto dell’areale ferroviario si parla addirittura di un inizio dei lavoro fra 20 anni! Nell’immediato, lo ripeto, occorre accrescere il livello di tolleranza da parte della gente, sperimentando gli spazi nei quartieri, ottenendo qualche data in più sul Talvera, portando idee nuove… Il raduno degli alpini ha fatto bene in questo senso? La tolleranza è aumentata? La maggior parte della popolazione di lingua tedesca era fuori città ma quelli che sono rimasti hanno visto che era una bella cosa e lo hanno riferito anche agli altri. E’ anche una questione culturale, se fosse stata una tre giorni di rock la gente sarebbe stata senz’altro meno tollerante anche sul versante della birra consumata… In ogni caso il raduno ha
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Alla conquista degli spazi per la musica "open air" a Bolzano
fatto bene, è stata una cosa molto positiva nella prospettiva dell’organizzazione di grandi feste e manifestazioni in città. Qual è l’atteggiamento della politica? Si registra una maggior disponibilità, oggi, nei confronti della musica rock? L’aria sta cambiando, anche all’interno dell’SVP. Tra i consiglieri c’è anche l’ex cantante di un gruppo rock e la Stella Alpina ha votato a favore del nuovo regolamento della musica sul Talvera, anche se il vicesindaco Ladinser si è astenuto perché contrario agli eccessi. In realtà tutti noi siamo contrari agli eccessi, per carità. Il movimento Freie Musika che l’anno scorso inscenò la “protesta silenziosa” nel centro storico è ancora attivo? In facebook fare il clic su “mi piace” è facile, ma poi alla fine quelli che scrivono, organizzano, fanno proposte e tessono relazioni sono sempre i soliti 5 o 6. Si va avanti piano ma si va avanti, è questa la cosa più importante.
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Metamorfosi della creazione umana
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ARTE SELLA A Testo scritto da Aaron Ceolan
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rte è natura. Affermazione complessa, che va analizzata e scomposta negli elementi che la compongono, come fosse un puzzle per bambini. Arte e natura, sostanzialmente un rapporto che nasce tra insidie ed ostacoli, ma destinato a consolidarsi nel corso soprattutto degli ultimissimi secoli. Due elementi distinti che crescono e così facendo si legano fino a diventare cosa unica, un insieme di emozioni e passioni, fino alla fine, fino alla decadenza inevitabile dell’opera d’arte. A partire dal Romanticismo, come fosse un obbligo, un desiderio forzato, lo spirito dell’essere umano acquista un sentimento forte, fortissimo per il paesaggio, cresce l’interesse per la natura come ambiente plasmato dall’uomo. Installare un’opera d’arte nel contesto naturale, implica un conseguente
Arte Sella
cambiamento di ordine comportamentale, perché è l’artista stesso, o il fruitore in un secondo momento ad entrare a far parte di quel mondo, di quell’ambito legato alla natura. Essendo però l’artista in primo luogo lui stesso un essere assolutamente naturale, un intreccio di materia, organismo bio-chimico, apparato psichico, mescolato a una buona dose di coscienza morale, spesso e volentieri legata al mito e alla religione, deve in primis guardare dentro di sé e capire se stesso. Parafrasando Goethe, l’arte deve prima di tutto conoscere le proprietà delle cose e i loro modi d’essere, solo in questo modo potrà raggiungere lo stile maggiore, ed eguagliare i più nobili sforzi umani. Giungo a Borgo Valsugana in una calda mattinata primaverile. Mi aspetta
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un’ulteriore decina di chilometri penetrando la Val di Sella, lungo una stretta strada di montagna per raggiungere un altitudine di 990 metri. Non posso che soffermarmi ad ammirare lo spettacolo delle Dolomiti ad Ovest, che lasciano letteralmente a bocca aperta. Superando fitti boschi e incontaminate pareti rocciose, le quali inevitabilmente catturano il mio sguardo incantato, approdo finalmente verso metà della valle, all’inizio dell’avvincente percorso di Arte Sella. Alla base di questo progetto, fondato nel 1986 da Carlotta Strobele, Emanuele Montibeller ed Enrico Ferrari, sta l’intenzione fondamentale di creare
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un’associazione per lo sviluppo locale del concetto di arte nella natura. L’idea era quella di unire l’amore per l’arte a quello per la natura, entrambi profondamente cari ai tre iniziatori. Inconsci di creare qualcosa che sarebbe di lì a pochi anni diventato un vero e proprio fenomeno internazionale di Arte ambientale, Strobele, Montibeller e Ferrari raggrupparono artisti e amici loro, nell’intento di stabilire un rapporto vero, all’interno di una nuova famiglia, attorno al comune interesse sopra citato. Inizialmente vi erano degli incontri tenuti nella casa in Val di Sella, messa a disposizione dalla Strobele, per l’allestimento delle varie opere d’arte.
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Gli artisti presenti a tali avvenimenti, ben presto però sentirono il bisogno di evadere verso un contesto aperto, dileguarsi da uno spazio circoscritto, verso il bosco e i suoi incanti, cercando un dialogo reale con la natura circostante. La famiglia riunita in Val di Sella si allargava «Per l'artista la inesorabilmente, crebbero le comunicazione con attività artistiche e gli la natura resta la interventi soggetti a più essenziale delle un’evoluzione continua, condizioni. erano caratterizzati da uno L'artista è umano; sviluppo costante sia per è egli stesso quel che riguarda la loro natura; parte della essenza, che per il loro natura all'interno vincolo ambientale. Gli anni dello spazio passano e nel 1990 viene naturale» fondata l’Associazione Arte Sella, in grado di affrontare Paul Klee difficoltà gestionali e progettuali legati alla manifestazione. Anno cruciale fu il 1996, quando il progetto si dirama, e viene a crearsi il percorso Artenatura, lungo il sentiero forestale sul versante meridionale del monte Armentera. Pochi anni più tardi Malga Costa diventa il punto focale dell’intero progetto, intorno al quale si instaura un contesto artistico delimitato che propone una visita quasi museale. Arte Sella dunque offre ancora oggi due tipologie di visita differenti, una ad accesso libero attraverso il bosco alla scoperta delle installazioni sul percorso Artenatura; l’altra circoscritta, accerchiando Malga Costa e ammirando anche in questo caso le ultime novità artistiche. Affermava Paul Klee nella sua Teoria della forma, che l’artista è «frammento della natura nel dominio della natura,
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mutando solo, a seconda della posizione dell’uomo in rapporto al suo raggio d’azione entro tale dominio, il numero e il tipo di vie da percorrere, tanto nella produzione artistica quanto nello studio, a quello connesso, della natura». L’arte ha bisogno di essere la chiave interpretativa dell’idea che lo spettatore si fa della natura, ed è proprio questo l’obiettivo di Arte Sella. Grazie al comportamento dell’artista, il quale viene sollecitato ad interrogare l’ambiente, ad intendere lo spazio che sarà destinato a circondare la sua opera, si crea un rapporto sociale assolutamente fondamentale in quest’esperienza tra uomo, arte e natura. Il hic et nunc dell’opera ad Arte Sella è indispensabile al fine dell’autenticità della quale quest’ultima deve godere. Percorrendo i sentieri della manifestazione, sono riuscito a captare l’atmosfera di cui gode questo posto unico, annusando l’eccitazione dell’esperienza creata dall’arte abbracciata dalla vegetazione. La natura è fonte inestimabile di sapere e conoscenza, e va di conseguenza difesa non solo dall’artista ma da ogni organismo desideroso di intraprendere un qualsiasi rapporto con essa, come scrigno della memoria e dell’individuo. Ad Arte Sella nei vari interventi, vengono privilegiati materiali organici, assolutamente non artificiali. Non ci si lascia dunque influenzare dalle ultime
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4 tendenze dell’arte contemporanea, che spesso e volentieri abusa di materiali innaturali, non in linea con un decoroso atteggiamento nei confronti dell’ambiente naturale. Si tratta perciò di un’azione del comportamento, di un dialogo che viene a crearsi basato sul rispetto reciproco tra natura e artefatto. Nella Val di Sella, l’installazione viene inglobata nel paesaggio, perde conseguentemente ogni sua autonomia, diventando in un certo senso naturadipendente. Questo legame porterà
ineluttabilmente alla decadenza dell’opera d’arte, in linea con la volontà specifica degli iniziatori del progetto. Si materializza un ciclo organico, nel quale la natura diventa condizione perché l’arte possa svolgere il suo ruolo. Nasce un mito arte – natura, vincolato dalle forme che vengono a crearsi nell’operare creativo. L’essenza dell’opera nell’esperienza di Arte Sella, è dunque un elemento assolutamente principale. Diventando tutt’uno con il ciclo naturale, il quale porterà in questo caso alla morte della
creazione umana, quest’ultima non va assolutamente considerata semplice bene di consumo, non si lascia sottomettere alle rigide leggi di mercato, che sembrano ahimè al giorno d’oggi tenere le redini del gioco chiamato arte contemporanea. Cammino all’interno del percorso di Malga Costa, e sono ad un certo punto attratto dall’opera Quello con la monumentale di Giuliano natura è un Mauri. La Cattedrale vegetale, rapporto del quale realizzata dall’artista lombardo noi esseri umani nel 2001, è senz’alcun dubbio non possiamo la punta di diamante privarci. dell’intero progetto. Quest’opera, le cui dimensioni all’interno di tale contesto naturale mi intimidiscono, evoca delle forti emozioni. Le mie visioni si librano senza freno attraverso le navate e i pilastri vegetali. L’opera, collocata in mezzo ad una radura abbastanza ampia, mi fa riflettere. Assisto a un trionfo della natura, a un trionfo della mano d’opera all’interno dello spazio ambientale. L’approccio esige umiltà, mi sento quasi inerme dinanzi a tale bellezza, ma contemporaneamente conscio di essere in presenza di una forza unica, espressa dallo spazio che mi circonda. Si instaura
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tra me e il contesto nel quale mi trovo, una complessità di interferenze dialettiche, le quali contraddistinguono l’intero progetto di arte ambientale. Non si tratta semplicemente di un’operazione artistica monumentale installata nella natura, ma di un rapporto che viene a crearsi sulla base di un senso estetico. È la natura che passa attraverso l’intervento umano, dal quale noi stessi ci lasciamo facilmente, e ben volentieri, incantare. Volgo lo sguardo altrove, e vengo sedotto da un’incantevole opera di architettura ambientale. Francois Lelong crea Il Sole nel 2008, assemblando combinazioni che spaziano dall’organico al minerale. Ne risulta un cerchio ritmico, che rimembra il sole, o meglio il tragitto del sole in un’aurea continua di luminosità. È un gioco ininterrotto, alzo gli occhi e scopro una casetta di pietre. Si tratta dell’opera di Chris Drury, La Stanza nel Cielo. Un’apertura mi invita ad entrare e a chiudere dietro di me la porta. Mi ritrovo in un mondo rovesciato,
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davanti a me scorrono le immagini delle montagne capovolte. Mi rendo conto di essere all’interno di una specie di camera oscura, nella quale vengono proiettate le immagini esterne attraverso un piccolo foro nella parete. Drury crea un luogo della meditazione, dove in assoluta tranquillità ognuno è libero di dedicarsi ai propri sensi. Si ricrea il dialogo tra essere umano ed esperienza naturale, sulla base di un linguaggio mistico, sovrannaturale. L’incontro con Arte Sella equivale a una lezione. Non si tratta di una lezione sull’arte, ma più che altro di una lezione comportamentale. Fatto importantissimo è l’approccio di ogni singolo visitatore.
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Quello con la natura è un rapporto del quale noi esseri umani non possiamo privarci. È un rapporto vitale, che insegna a riflettere e a meditare. L’uomo ha il dovere di rimanere sbalordito nell’intento di penetrare la creazione dell’artista, mentre quest’ultimo cerca di legare con l’ambiente naturale. Ripenso a Goethe e alla sua poesia Gefunden, nella quale il poeta sta per cogliere un fiore che si ribella a questa fine, cosicché egli lo preleva con tutte le radici per ripiantarlo nel suo giardino, in modo che continui a fiorire. L’intervento dell’uomo, in questo caso come in quello di Arte Sella, non è altro che un tramite, e ogni singolo intervento è caratterizzato dalla propria poetica. Ma non si tratta di esperienze singole in un contesto generale, ma di un insieme nel quale vengono esaltate le differenze. In definitiva viene plasmata un’immagine del mondo, nel quale l’arte caratterizza la nostra civiltà.
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FREIRÄUME AM WASSER
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as die Bozner schon haben, wurde von den Meranern lange Zeit vermisst: einen direkten Zugang zum Stadtfluss. Seit dem 16. Juni 2012 gibt es ihn jetzt in Form der Passer-Terrassen auf der Höhe der Thermen im Zentrum von Meran. Der neue Zugang zur Passer
erleben zu können”, erklären Anni Schwarz, die Amtsdirektorin der Meraner Stadtgärtnerei, und Willigis Gallmetzer von der Abteilung für Wasserschutzbauten. Finanziert wurde das Interreg-Projekt, das 2009 gestartet ist und im Oktober dieses Jahres
DIE PASSER-TERRASSEN IN MERAN Text verfasst von Verena Spechtenhauser
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ist Teil eines Interreg IV-A-Projekts der den bezeichneten Titel „Ortsgerechte Gestaltung/Freiräume am Wasser“ trägt. Dafür verantwortlich zeichnen die Abteilung Wasserschutzbauten der Autonomen Provinz Bozen sowie die Stadtgemeinde Meran. Doch, welche Idee steckt hinter dem Projekt? “Es geht in erster Linie darum, verbaute Flussräume im urbanen Raum wieder lebenswerter zu gestalten und bestehende Wasserschutzbauten zu sanieren und, wo möglich, für die Bevölkerung zugänglich zu machen. Die Passerterrassen konkret sind als Ort der Naherholung gedacht, die den Bürgern und Bürgerinnen die Möglichkeit geben soll, „ihren“ Fluss im Stadtzentrum näher
Freiräume am Wasser
abgeschlossen wird, zu 85% mit Mitteln der Europäischen Union. Die restlichen 15% werden von den Partnern mit Eigenmitteln gedeckt. Neben der Gemeinde Meran beteiligten sich auch die Gemeinde Pfunds in Österreich sowie die beiden Belluneser Gemeinden Alleghe und Rocca Pietore am Projekt. “Letztere haben verschiedene Arbeiten rund um den Fluss Cordevole durchgeführt, der Leadpartner Pfunds (Österreich) hat mit dem Projekt „Kunst am Becken“ im Stubner Bach neue Akzente gesetzt, nachdem das Dorf Pfunds im Jahr 2005 stark von einer Unwetterkatastrophe in Mitleidenschaft gezogen wurde”, erklären Schwarz und Gallmetzer. Aber sind die Passer-
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Photo: Laura Damian
Terrassen ein neues Prestigeprojekt der Südtiroler Politik? “Sowohl die Abteilung Wasserschutzbauten der Autonomen Provinz Bozen als auch die Stadtgemeinde Meran sehen ihr erklärtes Ziel darin, die Passer, unter Einbeziehung der Bevölkerung, wieder erlebbarer zu gestalten”, betonen Schwarz und Gallmetzer und verweisen auf die ‘Passer-Foren’, bei denen die Meraner BürgerInnen von Anfang an über das Projekt informiert wurden und auch dazu eingeladen wurden, Ideen und Anregungen beizusteuern. “Im Laufe dieses aufwendigen und konstruktiven Partezipationsprozesses wurden von den ständigen Teilnehmern des PasserForums (Vertreter von ca. 30 Meraner Vereinen und Institutionen) ein Maßnahmenkatalog erarbeitet, wobei 5 Projektvorschläge als vorrangig eingestuft und in einem Gesamtkonzept vertieft wurden. Die Passerterrassen sind das erste von diesen 5 Projekten, die jetzt verwirklich wurden. Bei den anderen Vorhaben handelt es sich um eine Weiterführung der Gilf-Promenade mit der Entstehung einer Fußgängerverbindung Gilf-Lazag, der
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Aufwertung und Begrünung der an der Passer verlaufenden Manzonistraße, der Entstehung eines Flussparkes im Mündungsbereich Passer-Etsch sowie der Erweiterung der Naherholungszone Lazag und der ökologisch wertvollen Auwaldbereiche.” Urban H2O Auch abseits der „Passer-Foren“ wurde über die bessere Nutzung der Passer als aktiver Lebensraum nachgedacht. Im Rahmen des leider der Vergangenheit angehörenden Meraner Kunstfestivals [un]defined starteten die Meraner Laurin Mayer, Michael Fuchs und Daniel Schölzhorn das Projekt UrbanH2O, welches das Hauptprojekt der Wildbachverbauung und der Stadtgemeinde Meran ergänzen sollte und von den Projektleitern Anni Schwarz und Willigis Gallmetzer auch unterstützt wurde. “Da die Passer irgendwie zu unserem Lebensumfeld gehört, haben wir Interesse am Passerprojekt gehabt und uns überlegt, wie wir uns beteiligen könnten. Zustande gekommen ist dann eine Art Werkstatt beim letzten [un] defined im Jahr 2010” , erklärt Laurin
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Photo: Lukas Pertoll Damian
Photo: Lukas Pertoll Damian
«Ich hoffe, dass er hilft, die Passer auch in der Stadt als ein schönes, wertvolles Stück Natur zu sehen.» Laurin Mayer
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Mayer. Die Ideen und Aktionen, die die Gruppe während der 14 Festivaltage mit Hilfe von verschiedenen Interessierten aus Meran und Umgebung verwirklicht haben, waren zahlreich und kreativ und wurden von den Meranern gut aufgenommen. Exkursionen mit TechnikerInnen des Interreg-Projektes an der Passer sowie Diskussionen rund um die Realisierbarkeit der gesammelten Ideen standen genauso auf dem Plan wie das Baden in der Passer. “Wir haben während des Festivals versucht aktiv mehrere (neue) Orte an der Passer aufzusuchen. Im zweiten Teil haben wir ‘künstlerische’ Aktionen Rund um das Thema Stadt – Natur – Passer durchgeführt. Wir wollten dazu anregen, über das Verhältnis der Stadtbewohner zum Fluss nachzudenken. Dazu haben wir plakativ einen Sonnenschirm mit Liegestühlen am Passerufer aufgestellt (an dem Ort, wo jetzt der neue Zugang ist) und die Leute interviewt. Außerdem haben wir eine Passerinsel auf der Sparkassastraße gebaut, die zum Betreten und Verweilen einladen sollte. Wir haben Passergeräusche aufgenommen und sie unter den Lauben abgespielt. Und wir haben Passerwasser
Freiräume am Wasser
in Plastikflaschen abgefüllt und die Flaschen geometrisch geordnet auf dem Sandplatz aufgestellt”, erzählt Laurin Mayer weiter. Die Vorschläge und Ideen wurden später an das offizielle Passerprojekt weitergeleitet. Mit dabei war auch der Wunsch nach Passerzugängen. “Unser Vorschlag ist dem jetzt realisierten sehr ähnlich; unterscheidet sich höchstens in der Materialwahl und der Form der Terrassen”, so Laurin Mayer, “daher denke ich auch, dass wir uns durchaus über den jetzt realisierten Passerzugang freuen können. Wie mir scheint, wird er auch schon rege in Anspruch genommen. Ich hoffe, dass er hilft, die Passer auch in der Stadt als ein schönes, wertvolles Stück Natur zu sehen”. Weitere Infos zum Interreg-Projekt „Ortsgerechte Gestaltung/Freiräume am Wasser“ sind auf der offiziellen Internetseite zu finden: www. freiraumamwasser.eu. Zum Projekt Urban H2O gibt es mehr Infos auf dem Blog: urbanh2oworkshop.blogspot.it/p/ exploring-passer.html.
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LE DOLOMITI RISUONANO ANCORA? Testo scritto da Marco Segabinazzi
Rifugio Segantini, Presanella, agosto 2005. Un incendiario John Zorn si esibisce al sax di fronte ai pochi (ma motivati) spettatori di uno dei suoi rari solo show, nonché molto probabilmente l’unico finora ad essersi tenuto sopra i 2.300 metri di altitudine.
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pettacoli come questo sono stati la ragione che ha spinto occasionalmente un frequentatore di concerti come me, privo di un rapporto stretto con la montagna benché viva in Trentino dall’infanzia, a imbarcarmi in escursioni in più o meno alta quota e apprezzare l’assunto alla base di una rassegna come i Suoni delle Dolomiti: portare la musica di qualità e
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gli artisti in location naturali e insolite, unendo l’amore per l’arte a quello per la natura e sensibilizzando il pubblico al patrimonio naturalistico che lo circonda. Queste erano per sommi capi le premesse, o comunque le caratteristiche che tuttora sono ravvisabili almeno in parte della programmazione
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«l’elemento naturalistico ha giocato un ruolo fondamentale nel riservare al festival una unicità che l’ha tenuto lontano dal girone infernale mainstream delle mille rassegne estive»
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dei Suoni delle Dolomiti. Negli anni ci sono state numerose altre occasioni che hanno confermato questo apprezzamento, e parallelamente il festival è cresciuto, sia in termini di risonanza mediatica, sia per quanto riguarda le scelte artistiche degli organizzatori che ne hanno ampliato gli orizzonti. Consultando l’archivio delle precedenti edizioni (è interamente disponibile on line), si può notare l’evoluzione del festival, che Trentino SpA organizza ogni anno dal 1995, da manifestazione per così dire di nicchia (prendete Ai Suoni delle la definizione con delle grosse Dolomiti si pinze) a fenomeno culturale che riconosce il merito non disdegna di ammiccare ai di aver fatto gusti del grande pubblico, conoscere, toccare facendo peraltro leva sul con mano e potenziale bacino di spettatori rispettare la costituito dai turisti che durante montagna. l’estate popolano le valli trentine. Scorrendo i nomi degli ospiti dal 1995 ad oggi si possono individuare tre tendenze principali nelle scelte artistiche degli organizzatori. La programmazione orientata alla ricerca artistica e musicale e alle proposte non scontate, predominante nelle prime edizioni, non è scomparsa (ne sono una testimonianza la presenza, quest’anno, di Ballaké Sissoko, Cristina Donà, Gianmaria Testa, o di Gilberto Gil, probabilmente il vero headliner di questa edizione), tutt’al più appare oggi sensibilmente ridimensionata. Nel contempo si è manifestata sin da subito, consolidandosi in seguito come
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cifra culturale e chiave di lettura della rassegna stessa, un’attenzione a quelle forme di autorialità media che, recuperando una categoria vecchia di cinquant’anni ma a quanto pare sempre attuale nel panorama culturale nostrano, fanno riferimento all’universo midcult. Apro una parentesi di sociologia dei processi culturali: il critico Dwight Macdonald volle identificare con questa definizione un prodotto culturale medio ad uso e consumo del ceto – per l’appunto – medio, dal carattere apparentemente autoriale (e dunque “di qualità”, secondo la logica che vi è sottesa) e sovente consolatorio nei confronti di un pubblico desideroso di conferme. Una sorta di mistificazione culturale ben confezionata e operata attraverso l’impressione del sigillo della cosiddetta cultura alta su prodotti in realtà ben meno complessi e significativi. Il fenomeno è quanto di più diffuso nel panorama culturale nostrano e vi rappresenta oggi qualcosa di molto vicino al pensiero unico dominante: se ieri poteva essere midcult La ragazza di Bube di Carlo Cassola, oggi lo sono i libri di Erri De Luca, di Alessandro Baricco (entrambi già ospiti della rassegna trentina), i film di Ferzan Ozpetek e di Michele Placido, mentre più di recente sono entrati a fare parte della categoria i programmi di Fazio/Saviano e tutta la galassia che vi fa riferimento. Chiudo la parentesi. La programmazione dei Suoni delle Dolomiti ha progressivamente dato spazio a elementi riconducibili a questa
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forma di autorialità impropriamente detta (cito parzialmente e alla rinfusa dalle edizioni precedenti: Fiorella Mannoia, Daniele Silvestri, Goran Bregovic, oltre ai già citati De Luca e Baricco) sino a farne il principale veicolo di risonanza mediatica della manifestazione, e di conseguenza la linfa vitale: si capisce che la stessa possibilità di programmare un solo show di Trilok Gurtu o di John Zorn è legata alla presenza in cartello di spettacoli più
normali e digeribili per il pubblico che i Suoni delle Dolomiti si è formata negli anni. Il che è tutto sommato più che comprensibile, considerate le dimensioni del festival: se la dittatura del pensiero unico midcult ha fatto e continua a fare danni nell’industria culturale italiana (soprattutto al cinema, viene da pensare – ma questo è un altro articolo), va riconosciuto ai Suoni delle Dolomiti il merito di essere stata negli anni una manifestazione in grado di equilibrare
l’offerta (anche grazie al rapporto instaurato con una serie di artisti ormai di casa e la cui presenza è ogni anno data per scontata, come Stefano Bollani, Paolo Fresu, o Mario Brunello). Ovviamente anche l’elemento naturalistico ha giocato un ruolo fondamentale nel riservare al festival una unicità che l’ha tenuto lontano dal girone infernale mainstream delle mille rassegne estive. Con le più recenti edizioni la tendenza midcult sembra spingersi oltre e assumere in alcuni casi uno slancio dal vago retrogusto nazionalpopolare, con l’introduzione di artisti di risonanza diversa: lo si può notare scorrendo il programma di quest’anno, in cui compaiono gli spettacoli di Samuele Bersani, Simone Cristicchi, Enrico Ruggeri, Irene Grandi (anche se quest’ultima in collaborazione con Stefano Bollani). Ai Suoni delle Dolomiti si riconosce, si diceva in apertura, il merito di aver fatto conoscere, toccare con mano e rispettare la montagna e gli scenari naturalistici a un pubblico più vasto di quello dei trentini, che notoriamente già la
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frequentano. Tuttavia, riesce difficile pensare che vi sia la stessa compenetrazione con la natura e l’ambiente in un unplugged di Samuele Bersani che nelle percussioni di Trilok Gurtu o nelle composizioni di Giovanni Sollima. Scelte così ammiccanti, più che a un ampliamento di orizzonti fanno pensare a una rinuncia progressiva all’identità che il festival è andato costituendosi in sedici anni. Se per assurdo queste scelte dovessero diventare la dominante della programmazione del festival, qualcuno dovrebbe spiegare dove stanno il senso e lo stimolo culturale nel partecipare a una versione alpestre della stagione musicale del S. Chiara. Con questo è evidente che chi scrive sta esprimendo un personalissimo giudizio di valore sullo spessore artistico dei vari Bersani, Cristicchi e Grandi. Ma il giudizio riguarda soprattutto una tendenza dell’industria culturale: la tendenza a ricorrere ai grandi nomi non appena un formato si rivela vincente, da cui nemmeno i Suoni delle Dolomiti sembra essere immune.
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Text verfasst von Wolfgang Nöckler
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as tust du da, Oma, fragte Felix, als er zu ihr vor’s Haus trat, wo sie üblicherweise auf einer Bank saß und in die Welt blickte. Oh, Felix, sagte die Oma und lächelte. Ich schaue. Und du? Ach, erwiderte der Achtjährige, ich war drin, X-Box-Spielen. Aber ich verliere immer nur. Und Daniel ist so gemein. Was schaust du? Die Oma lächelte erneut. Die Welt, Felix, da gibt es immer was zum Schauen. Neben der alten Frau Platz nehmend blickte er in die von ihr angezeigten Richtungen, blickte zum Wald hinüber, auf die Hügel, die sich hinter den Nachbarhäusern erhoben, folgte ihrem Fingerzeig bis hinauf auf die Berggipfel und in den Himmel… Der Junge kniff die Augen zusammen und versuchte, irgendwo da draußen etwas Besonderes zu entdecken, doch offensichtlich gelang es ihm nicht. Schließlich brachte er seine Zweifel zum Ausdruck. Aber da sind ja nur Bäume! Weißt du, Felix, das sind ja nicht nur Bäume. Da die Oma schwieg, sah Felix ihr lange ins Gesicht, dann zu den Bäumen, dann wieder in Omas Gesicht. Kurz fiel ihm
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der Ausspruch seiner Mutter ein. Die Oma, sagte sie manchmal mit einem Finger am Kopf, ist hier oben nicht mehr ganz da, weißt du. Doch sogleich vergaß er die Behauptung wieder und er fragte nach: Was sind das denn noch? Hat dir deine Mama nie von den Antrischn erzählt, Felix? Der Enkel verneinte. Und die Oma begann zu erzählen. Das kommt davon, sagte sie, dass die Kinder heute lieber in den Häusern bleiben. Sie lernen keine Geheimnisse mehr kennen. Die Antrischn, die leben in den Wäldern und in den Hügeln. Hast du nie bemerkt, dass es viele Erdlöcher und Höhlen in den Wäldern hier gibt? Einige davon sind Eingänge zu den Wohnungen der Antrischn. Und was tun die Antrischn im Wald, wollte Felix wissen. Die leben da. Sie sind Teil der Natur… Teil der Natur, wiederholte der Enkel. Ja, aber die Antrischn, weißt du, sind sehr scheu. So wie Rehe. Man sieht sie fast nie. Aber hin und wieder kann man einen von ihnen entdecken. Naturgemäß wollte Felix wissen, wie die denn aussehen. Klein sind sie, nur halb so groß wie die
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Menschen. Und lange Haare haben sie und sie spüren genau, wenn ihnen jemand etwas Schlechtes will. Dann können sie sich einfach in ein Wesen des Waldes verwandeln. In ein Tier oder einen Baum. Und manchmal, weißt du, wenn du an einen Baum kommst mit besonders langem oder auffälligem Baumbart, vielleicht sind das die Haare einer Antrischn, die sich verwandelt hat damit sie nicht entdeckt wird… Baumbart, wiederholte Felix, große Augen machend. Wieso kommst du nicht mehr, fragte Daniel, aus der Tür tretend. Wir können von vorn anfangen mit Mario Cart 3D. Felix sah seinen Bruder an. Ich bleib lieber hier bei Oma. Daniel runzelte die Stirn. Wieso? Felix dachte kurz daran, Daniel von den Antrischn zu erzählen, doch er besann sich ihrer Scheuheit und des mit Oma geteilten Geheimnisses. Wir schauen, sagte er dann. Was schaut ihr? Und Felix wies in die Runde, so wie das vor kurzem die Oma gemacht hatte. Daniel aber hatte keine Geduld dafür und meinte nur: ach, ist doch langweilig. Ich geh wieder X-Box. Er ist acht! schrie die Mutter, acht, verdammt noch mal… da kannst du ihm doch nicht solchen Blödsinn in den Kopf setzen!
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Ach, jetzt beruhig dich mal wieder, konterte die Oma, früher hat das doch auch niemandem geschadet. Na du bist mir eine! Seit ein paar Tagen löchert er mich: Darf ich in den Wald, Mama? Darf ich, darf ich? Und wenn ich frage, was er da will antwortet er: ach, nur schauen – vielleicht seh’ ich ja mehr als nur Bäume. Mehr als nur Bäume! Was hast du Felix bloß wieder mal erzählt? Die Oma versuchte ein Lächeln. Bloß ein paar Geheimnisse, sagte sie. Die Mutter war außer sich. Geheimnisse? Du bist langsam selbst das größte Geheimnis, also echt! Während also Oma und Mutter diesbezüglich sehr unterschiedliche Einstellungen hegten, verstand Felix die Aufregung nicht ganz. Und er verstand nicht, wieso nicht alle ebenso fasziniert waren von Omas Geschichten wie er
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selbst. Das konnte, dachte er, nur daran liegen, dass die anderen das Geheimnis nicht kannten. Ohne jedoch Omas Vertrauen zu missbrauchen gelang es Felix, einen seiner besten Freunde, Leon aus der Nachbarschaft, zu animieren, mit ihm die Wälder rund ums Dorf zu durchstreifen. Als jedoch auch Leon sich zu fragen begann, was man denn hier eigentlich wolle, verlangte ihm Felix das Versprechen ab, dass er das niemandem verraten würde. Dann begann er: Hast du schon mal von den Antrischn gehört? Den Antrischn? Ja. Weißt du, nicht viele wissen davon. Es ist ein Geheimnis. Die wohnen hier, im Wald. In der Natur wohnen die. Leon wollte wissen, wo genau und wer die überhaupt seien. Felix bat um Geduld. Dann erzählte er das, was er von Oma erfahren hatte. Und noch etwas mehr. So konnten manche, wenn man sie richtig fragte, Wünsche erfüllen. Aber man musste natürlich freundlich sein. Und wieso haben wir noch keinen getroffen, wandte Leon ein. Weil die so scheu sind. Und weil sich die verwandeln können. Kann gut sein, dass
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einer hier grad uns sieht, aber wir ihn nicht. Vielleicht ist er jetzt ein Baum und wenn wir weg sind, verwandelt er sich zurück in einen Antrischn. Leon blickte um sich. Skeptisch, doch fasziniert. Dann strichen die beiden gemeinsam weiter, doch es gelang ihnen nicht, eines dieser wundersamen Wesen zu entdecken. Trotzdem kamen beide sehr aufgeregt – und zu spät fürs Abendessen nach Hause. Die Angelegenheit schaukelte sich hoch. Mag sein, dass alte Konflikte zwischen Oma und Mutter das ganze größer erscheinen ließen, als die Sache gewesen wäre, mag auch sein, dass die Mutter irgendwoher eine ungerechtfertigte Eifersucht hernahm auf die Phantasie ihres Kindes, vielleicht ging es aber auch einfach nur darum, wer das Sagen hatte. Jedenfalls gab es einen Familienrat.
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Denn als auch die Nachbarin, Leons Mutter, nachfragte was Felix denn für Flausen im Kopf habe und wieso ihr Kind plötzlich so komische Gedanken hege, musste etwas geschehen. Daniel hatte Felix und Oma reden hören. Brühwarm erzählte er davon. Im Wald würden irgendwelche Monster leben und Felix suche die. Bestimmt mit Leon zusammen. Felix protestierte. Und die Oma gab ihm Recht. Das seien keinesfalls Monster, höchstens Waldgeister. Im Grunde neutral, weder gut noch böse… Die Mutter konnte es nicht fassen. Was das solle, man wisse ja, dass alte Leute hin und wieder etwas… aber das könne doch wohl nicht wahr sein… ob sie denn nun endgültig… Fatalerweise amüsierte die Oma die Angelegenheit eher, als dass sie sich dem allgemeinen Unverständnis anschloss. Was daran so schlimm sein solle, Phantasie habe noch nie jemandem geschadet. Das wollte die Mutter nicht unterschreiben. Ein bisschen Phantasie sei ja gut und recht. Aber im Wald irgendwelche Sagengestalten zu
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suchen, das sei doch wohl etwas… nein, so gehe das nicht. Die Mütter von Felix und Leon waren sich einig: der Wald war zu gefährlich. Die Natur, da habe man die Kinder ja nicht unter Kontrolle, nicht im Blick. Viel besser wäre es, wenn sie sich vor dem Fernseher trafen, gemeinsam X-Box spielten. Doch beide hatten das Interesse daran verloren. Komm, Felix, du kannst die Schildkröte sein, sagte Daniel. Lass uns spielen! Ich will nicht spielen, erwiderte Felix grantig. Ich geh zu Oma. Aber du weißt, dass ihr nicht darüber reden dürft, rief Daniel ihm nach. Felix und seine Oma saßen auf der Bank vor dem Haus. Sie redeten nicht. Aber sie schauten. Auch das zu verbieten hatte die Mutter nicht gewagt. Sie sah es nicht gern. Aber aus der Ferne, dachte sie, hält sich die Gefahr durch die Natur ja in Grenzen… Hin und wieder hob einer der beiden einen Finger und zeigte dem anderen etwas, dann lächelten sie. Was die beiden bei ihrem Schauen alles entdeckten, verrieten sie jedoch niemandem mehr.
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RECLAIM THE STREETS I Text verfasst von Evelyn Gruber-Fischnaller
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ch frage mich, seit wann genau unsere Städte, Dörfer, Straßen und Plätze nicht mehr uns gehören. Ich möchte wissen, seit wann genau es diese unzählig vielen Menschen gibt, die sich mit Verkehrs- und Eventplanung beschäftigen, viel mehr im Vergleich zu jenen, die sich der realen Lebensgestaltung der Menschen, den Beziehungen und unser aller (Frei) Raumempfinden widmen. Ich will herausfinden, wie wir es schaffen, unser Leben an den vielen Orten an denen wir sind, wieder menschengerecht zu machen, nicht verkehrsgerecht, geldgerecht oder arbeitsgerecht.
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Mir geht es nicht um die Steinzeit. Ich bin nur neugierig. Ich will den Gedanken folgen, die sich selbständig machen, wenn ich sehe, wie wir um unsere öffentlichen Räume kämpfen. Ich sehe, wie die Menschen den kühlen Schatten an den Bozner Talferwiesen genießen. Ich höre, wie sich Menschen schon am Montag wieder auf die Freiheit der Wochenendtage in den Bergen freuen. Ich frage mich einfach, wieso unser Leben nicht immer so ist. Ich will verstehen, wie es so weit kam, dass Natur und Kultur als etwas Entgegengesetztes begriffen werden: was
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wild ist, muss zivilisiert werden, was kulturell gestaltet ist, kann nicht natürlich sein. Stimmt das denn? Ich will erreichen, dass wir Kultur und Natur als aufeinander bezogen und uns selbst nicht als etwas davon Getrenntes sehen. Ich will erkennen, dass auch unser Verständnis davon, was Natürlich und Künstlich ist, einem ständigen Wandel unterzogen ist. Menschen sind Mischwesen, multidimensional. Wir sind nicht “nur das Eine” oder “auf keinen Fall das Andere”. Ich will nicht, dass unsere Lebensräume - öffentlich oder nicht (was auch immer diese Zuschreibungen bedeuten sollen) - nur dann den Menschen erÖFFNET werden, wenn sich Organisationen und Gastronomie darum kümmern. Ich will Plätze und Wiesen, einfach um da sein zu können. Ich will autofreie Straßen, mindestens einmal im Monat oder in jedem Stadtviertel einmal pro Woche, nur für die bloße Erfahrung, wie schön es ist, nicht nur auf Gehsteigen zu gehen.
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