ISBN: 978-88-85922-21-1
Tascabili di fotografia nella Svizzera Italiana
Christian Schiefer
Christian Schiefer
0 8
08 Rifugiati
Christian Schiefer Rifugiati
Tascabili di fotografia nella Svizzera Italiana
Christian Schiefer, 1896 - 1998, Autoritratto.
Christian Schiefer, di Adriano Heitmann Il numero QTI 08 della nostra collana fotografica ha per tema un frammento dell’opera di Christian Schiefer, il fotografo nato a Davos nel 1886, ticinese d’adozione. Nel 1920 aprì il suo studio a Lugano. Nel Sottoceneri realizzò cartoline illustrate e prospetti per alberghi, specializzandosi in seguito nel ritratto in studio, still life e fotografie paesaggistiche. Lavorò come reporter per riviste della Svizzera tedesca, per diverse agenzie stampa e per Illustrazione Ticinese; tra il 1939 e il 1945, durante la seconda guerra mondiale, Christian Schiefer svolse il servizio militare, ricoprendo il ruolo di fotoreporter nel Servizio di Stampa e Radio dell’esercito (Abteilung Presse und Funkspruch-APF), la divisione che, in quei tempi di conflitto, si occupava della diffusione dell’ informazione. Questa edizione è dedicata ai lavori che Schiefer produsse dopo l’8 settembre 1943, data dell’armistizio, dell’inizio dell’occupazione tedesca in Italia e della nascita della Repubblica Sociale Italiana. Era il periodo in cui le SS tedesche e i fascisti cominciavano ad arrestare sistematicamente gli ebrei e i nemici politici per destinarli alla deportazione nei campi di lavoro e di sterminio. Fu proprio in quei mesi che lo Schiefer ricevette l’incarico di fotografare circa quattrocento persone tra coloro che avevano cercato e trovato salvezza varcando la nostra frontiera. I ritratti, realizzati all’Hotel Majestic e all’Hotel Ritschard di Lugano, sarebbero serviti per l’emissione del Libretto del rifugiato. Più tardi, verso la fine della guerra, lo Schiefer avrebbe scattato le celebri immagini di Piazzale Loreto: era il 29 aprile del 1945. In qualità di inviato di stampa estera testimoniò per primo la macabra esposizione nella piazza milanese dei cadaveri del Duce e degli altri gerarchi fascisti fucilati il giorno prima a Dongo, sul lago di Como. Immagini che fecero il giro del mondo e, ironia della sorte, non furono mai date alla stampa in Svizzera perché giudicate troppo crude. Abbiamo deciso di pubblicare questa serie di ritratti per invitare il lettore a riflettere su un tema di grande attualità: l’emigrazione. Le immagini sono una testimonianza, se pur indiretta, di quella vergognosa pagina scritta dalla nostra civiltà occidentale: la pulizia etnica organizzata su scala industriale. 4-5
Fra i perseguitati ci furono molti ebrei, ma non solo. Vittime della carneficina di dimensioni drammatiche furono anche gli oppositori politici, i prigionieri di guerra, Rom, Sinti, Jenish, Testimoni di Geova e Pentecostali, omosessuali e portatori di handicap fisici e psichici. In quegli anni il nostro Paese fu un’isola in cui rifugiarsi. Alcuni fortunati furono accolti, altri invece respinti . Tanti vennero in seguito deportati verso i campi di concentrazione e sterminio. A distanza di oltre mezzo secolo, Zygmunt Bauman, nel volume Modernità e Olocausto sostiene che l’organizzazione razionale e burocratica dell’amministrazione statale sommata all’efficienza del sistema fordiano di produzione industriale (la catena di montaggio alienante) resero legittimo, agli occhi di tutta una nazione, il sogno di purezza razziale predicato da Hitler. Bauman afferma che le fondamenta psicosociali del nazismo sono ancora presenti, seppur in forma latente, nella civiltà occidentale odierna. Per tornare alla fotografia, tema centrale delle nostre riflessioni editoriali, lo Schiefer si colloca con questo suo lavoro nel filone della fotografia al servizio della nazione. La serialità è un aspetto importante della fotografia: classificare il mondo per immagini è una passione dei fotografi. Lo si osserva, ad esempio, nei lavori di August Sander nel ritratto della società tedesca (Antlitz del Zeit, 1936), di Emil Brunner con i suoi 1700 bambini grigionesi ritratti tra il 1943 e il 1944 (Tausend blicke, Kinderportraits im Bundener Oberland) o l’opera di Richard Avedon in The family, 50 ritratti dei più potenti americani pubblicato sulle riviste Rolling Stones nel 1973. Tutti esempi di come la fotografia possa essere un vero e proprio mezzo di catalogazione. L’atteggiamento del fotografo in questo ambito è decisivo. Richard Avedon scrisse, citiamo: “Io preferisco lavorare in studio. Ciò isola le persone dal proprio ambiente. Diventano, in un certo senso…simboli di sé stessi. Spesso penso che vengano da me per farsi fotografare come andrebbero da un medico o da un indovino: per scoprire come sono. Perciò devo conquistarli. Altrimenti non ho niente da fotografare. La concentrazione deve partire da me e coinvolgerli. A volte la sua forza è tale che non si sentono neanche più i rumori. Il tempo si ferma.
Viviamo un breve, intenso periodo di intimità. Ma è immeritato. Non ha un passato né un futuro. E quando la posa è finita, quando la fotografia è stata fatta, non resta più niente se non, appunto, la fotografia. La fotografia è una sorta di imbarazzo. Loro se ne vanno…e io non li conosco. Ho sì e no udito ciò che dicevano. Se li incontrassi da qualche parte dopo una settimana, credo che non mi riconoscerebbero. Perché ho la sensazione di non essere stato realmente presente. O almeno, quella parte di me che lo era…è adesso nella fotografia. E le fotografie hanno per me una realtà che le persone non hanno. E’ attraverso le fotografie che le conosco”. A nostro modo di vedere vi sono almeno tre approcci al ritratto fotografico: distaccato (oggettivo), autoreferenziale ed empatico. Nel primo caso, il fotografo fa scorrere davanti alla macchina fotografica dieci, cento, mille volti, rimanendo impassibile; nel secondo ritrova sé stesso in ogni volto, realizzando delle variazioni sull’autoritratto; nel terzo il fotografo stabilisce una relazione empatica: il risultato è una registrazione meccanica che sovente va oltre il visibile e rivela l’anima della persona come avviene nella grande pittura. La fotografia è la testimonianza di un incontro avvenuto, un momento privilegiato per entrambi i protagonisti. Un processo che si potrebbe definire alchemico in cui la fotografia altro non è che un’immagine stesa a quattro mani, o meglio, a quattr’occhi. Così vanno lette le opere dei già citati Sander, Brunner nonché i ritratti del padre storico del genere: Gaspard-Félix Tournachon, conosciuto col pseudonimo di Nadar. Christian Schiefer, nelle opere che pubblichiamo in questo volume, riesce a salvaguardare l’integrità e la dignità di ogni rifugiato rispondendo comunque alle esigenze dettate dall’apparato burocratico. Se ci soffermiamo sugli sguardi dei richiedenti d’asilo leggiamo rassegnazione, incertezza, paura. Sono gli sguardi di chi, nell’arco di poche tragiche ore, forse è stato separato dal resto della famiglia respinta. In quegli sguardi però l’occhio attento legge a chiare lettere la parola dignità, nella sua forma più integra. - La nostra frontiera, allora equivaleva al valico tra vita e morte - come scrisse lo storico Adriano Bazzocco nel bel libro sullo Schiefer La guerra vista dal Ticino curato da Villi Hermann e Antonio Mariotti. 6-7
L’ archivio di Stato
Milano, Piazza Loreto, 29 aprile 1945. I corpi di Benito Mussolini, Clara Petacci e altri gerarchi fascisti esposti dopo la fucilazione avvenuta il giorno precedente a Dongo sul lago di Como. Le immagini di quel giorno hanno reso celebre nel mondo il nome di Christian Schiefer.
Il fondo fotografico Christian Schiefer dell’archivio di Stato L’utente interessato può accedere dal sito dell’Archivio di Stato alla documentazione fotografica acquisita negli ultimi decenni. Tra i numerosi fondi disponibili (vedi http://www4.ti.ch/decs/dcsu/ac/asti/patrimonio/fondi-fotografici) spicca quello di Christian Schiefer per l’importanza degli avvenimenti storici e dei soggetti ritratti. L’archivio del fotografo si estende cronologicamente dal 1920 al 1970 circa e comprende più di 1500 fotografie originali, 7500 negativi, 150 lastre, un centinaio di diapositive e otto filmati. Il suo trasferimento a Bellinzona è avvenuto nel 1994 con la collaborazione dello stesso Schiefer, che ci ha raccontato con eccezionale vivacità di spirito dettagli significativi e situazioni drammatiche degli ultimi anni della seconda guerra mondiale. La collezione non è purtroppo completa; materiali preziosi sono andati dispersi nel 1951 per l’esondazione del Ceresio e altre fotografie sono rimaste solo ai committenti. La raccolta delle stampe e dei negativi è inventariata in un dettagliato database di 9665 record, interno all’istituto. Il periodo maggiormente rappresentato va dagli anni 30 agli anni 50 del secolo scorso, con migliaia di immagini per ogni decennio. Negli anni precedenti (1920-1929) e seguenti (1960-1970) i documenti fotografici si riducono a due o tre centinaia. L’attività professionale di Schiefer proseguì ancora fino al 1986, ma senza lasciare traccia nel suo archivio. Si possono attualmente consultare online circa 2600 immagini, accompagnate da informazioni (luogo, avvenimento, data, persone) che il fotografo stesso aveva allegato agli originali. Il contenuto del fondo fotografico si suddivide in quattro categorie:
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1. Avvenimenti della seconda guerra mondiale in Ticino e in Italia Sono soprattutto le immagini di Piazzale Loreto (Milano, 29 aprile 1945) che hanno reso famoso Schiefer a livello internazionale. Ma anche episodi rilevanti degli ultimi due anni di guerra come l’afflusso dei rifugiati dopo l’8 settembre 1943 e le frenetiche giornate dell’aprile 1945 sul confine sud sono raccontate visivamente con particolare efficacia. 2. Documentazione sul Ticino Per circa tre decenni Schiefer ha fotografato un buon numero di località e ha illustrato svariati soggetti, avvenimenti e scene di vita famigliare. Il Ticino rurale appare in bella evidenza nelle immagini che ci mostrano l’aratura, la fienagione, la coltivazione dei campi e la vendemmia. Un’importante documentazione riguarda le tradizioni civili e religiose della Svizzera italiana. Viene evidenziato il ruolo della Festa della vendemmia di Lugano (1935-1950) e della Fiera svizzera di Lugano (1938 —1959). Una bella serie di scatti ritrae le funzioni della Settimana Santa a Mendrisio. Altri temi trattati con una certa ampiezza sono il contrabbando in Valle di Muggio e le attività che si svolgevano nell’enclave di Campione d’ltalia dagli anni trenta del secolo scorso (casinò, sfilate di moda, feste del lago, spettacoli). Si trova anche qualche riferimento ad avvenimenti sportivi, soprattutto calcio, ciclismo e ginnastica. Una parte del lavoro di Schiefer è dedicata agli avvenimenti di cronaca pubblicati sulle riviste. Alcuni sono inaugurazioni e commemorazioni, come la nuova strada del Monte Ceneri (1932) o i festeggiamenti per il 150. del Ticino nella Confederazione (1953). Altre volte siamo di fronte ad eventi eccezionali: la partenza da Lugano del pallone aerostatico di Piccard (1932), una sciagura aviatoria in Val Colla (1936), il franamento del lungolago a Brusino-Arsizio (1949), le esondazioni del Ceresio a Lugano, Ponte Tresa e Caslano (1951).
3. Ritratti e personaggi Schiefer mostra pienamente il suo eccezionale talento nel ritratto, sia individuale che di gruppo, con immagini molto espressive che colgono in un attimo sentimenti profondi e storie di vita. Si ammirano i volti di contadini, anziani, ragazze, scolari e personaggi pubblici come i Consiglieri Federali Enrico Celio e Giuseppe Motta o i consiglieri di Stato Giuseppe Cattori e Guglielmo Canevascini. Altri nomi si affacciano su questo palcoscenico: il Vescovo Angelo Jelmini, l’artista Apollonio Pessina, il pilota Rodolfo Caracciola, il tenore Beniamino Gigli, i musicisti Wilhelm Backhaus e Richard Strauss. Si nota inoltre una significativa presenza di servizi dedicati a personalità estere in visita o di passaggio in Ticino. L’esempio più illustre è quello del Cancelliere tedesco Adenauer che nel 1956 partecipò con una figlia alle funzioni della Domenica delle Palme nella chiesa di Porza e passeggio poi nelle strade del villaggio. 4. Riproduzioni d’arte Un cospicuo numero di stampe e negativi non ancora catalogati sono riproduzioni di quadri d’arte. Una parte di questo materiale è servito per la pubblicazione del primo catalogo della galleria Thyssen, benché il nome di Schiefer non vi appaia. Bibliografia: Archivio Storico Ticinese, N. l22( 1997). Repertorio fonti archivistiche, P. 10-13 Bollettino Storico della Svizzera Italiana, Serie 8, vol. 104, fase. l(200l), P. 160-162
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Introduzione
L’arrivo a Stabio
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I ritratti
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