Accendi una luce, cominciamo dalla lampadina Un gran numero di piccole medie imprese italiane ha basato gran parte della propria fortuna sul brand Made in Italy. Ultimamente questo approccio commerciale ha mostrato i propri limiti costringendo le aziende a cercare mercati nuovi, distanti e non sempre facili da gestire. Sorgono quindi alcune sďŹ de su mercato, strategie e comunicazione: come affrontarle?
Tutto inizia con la luce. La luce è un elemento naturale che non possediamo, ma l’uomo, essere senza artigli e forza bruta, è ingegnoso. Un ingegno che addomestica e ricrea la natura. La luce è preziosa e, come tutte le cose preziose, va protetta e preservata. L’uomo, dopo averla conquistata, ci lavora attorno per richiuderla, contenerla e darle una forma.
Chi vendeva poteva raccontare, subito, il perché di un dettaglio, di un materiale e persino un colore.
Ma la luce non è semplicemente un elemento naturale, è ciò che permette al mondo di raccontarsi: una famiglia attorno al tavolo della cena, un monologo su un palcoscenico, un amore sotto un lampione.
Un giorno uno di questi si domandò, spinto da un bisogno inconscio forse, ma non solo, perché non andare anche nel paese vicino a portare le mie luci?
Illuminando, permette alla vita di uscire dal buio.
Tag 1. Aggregazione di imprese 2. Brand 3. Comunicazione 4. Mercato 5. Identità 6. Artigiani 7. Design 8. Crowdsourcing 9. Piccole e Medie Imprese (PMI) 10. Internazionalizzazione
La luce è una necessità per l’uomo moderno. Attorno al piccolo punto luminoso, di qualsiasi forma e forza, l’uomo ci lavora senza sosta cercando di renderlo bello, funzionale e accattivante. In Italia, questo lavorare di mani e intelligenza, ha permesso di creare nel tempo cose belle; stimolati dalla bellezza del paesaggio, dall’arte e dalla cultura di cui siamo tutti fatti, anche se non vi prestiamo l’attenzione che merita. Questa alchimia tra un’efficace manualità e un grande patrimonio di bellezza hanno prodotto un’eccellenza che si chiama: Made in Italy. Questa storia inizia con un artigiano che ha manualità più che domande; qualche soldo più che una strada in testa. Inizia in un momento nel quale c’era spazio per lavorare, vendere e vivere. Questo modo di fare, con passione e un certo gusto per la bellezza, in Italia, ha funzionato per lungo tempo. Per molti anni è stato come parlare la stessa lingua tra chi vendeva e chi comprava. Chi vendeva, vendeva il meglio possibile; chi comprava, d’altra parte, sapeva riconoscerne la qualità.
Chi comprava portava a casa spesso, non solo l’oggetto, ma anche il lavoro, la faccia di chi l’aveva fatto.
Talvolta si faceva annunciare; altre apriva, dove possibile, il banchetto e vendeva, raccontava, discuteva. Una grande fatica e una grande passione. Ogni giorno raccoglieva tutte le sue cose e ripartiva. Andava in altre città, sempre più lontane e sempre più grandi. Ma quando in quelle città si raccontava di lui, prima che arrivasse con la macchina scassata carica di luci, allora significava che stava facendo un buon lavoro. Tutto è iniziato con il semplice andare di campanile in campanile con le proprie creazioni. Oggi a ripensarci è incredibile quanto quel modo di fare italiano, quello che hanno chiamato Made in Italy, potesse piacere e non solo nei paesi vicini, ma passando le Alpi, anche in giro per il mondo. Ne hanno fatti di chilometri i nostri artigiani su e giù per sagre e fiere di paese. Ma fiera dopo fiera, paese dopo paese lentamente avveniva una trasformazione. L’artigiano e le sue valigie non riuscivano più a star dietro a tutto. Tutto cominciava a correre troppo veloce. Improvvisamente, perché a ripensarci a
posteriori sembra che tutto sia accaduto da un giorno all’altro, non è più un artigiano, ma un’azienda. Le idee sono le sue, ma non ci mette più le mani. Qualcun altro le costruisce per lui usando macchine e capannoni. Altri le vendono andando per fiere ed esposizioni in giro per il mondo, imparando nuove lingue per commerciare. Lui, l’artigiano, sa che ora, in un certo senso, non dipende più dalla roba sua, ma da qualcosa di grande e sconosciuto che chiamano mercato. Ma lui questo mercato non lo capisce molto; dicono il mercato qui, il mercato lì, ma lui crede solo alle cose che vede e soprattutto che tocca. Dopo tanta fatica, lunghe ore di viaggio, migliaia di parole e strette di mano l’artigiano è sempre meno artigiano e sempre più azienda e non si riconosce più. L’artigiano si ferma, lasciando spazio ai figli.
porta ad andare dove si vende, ma senza un perché e una mappa di lungo periodo si rischia di trovarsi in binari che prima o poi muoiono.
I figli che hanno studiato e magari non sanno bene cosa sia lavorare con le mani, ma hanno gli strumenti per affrontare il mercato.
E poi l’azienda è piccola e il mondo è grande.
Ed ecco che l’azienda ora sembra capirsi e riconoscersi. Tutto si allarga a macchia d’olio e le persone devono correre. Ma dove corrono? Corrono in giro per il mondo alla ricerca del mercato, correndo dietro a qualcosa che è solo vendere, senza sapere bene il perché e il per come. L’azienda, ha cominciato a correre sempre più forte. Mille incombenze, mille decisioni spesso affrettate, mille impegni. Tutto correva, e nessuno più si chiedeva dove fosse la luce con la sua forza e il suo racconto. Quasi nessuno pensava al perché, ma l’importante era correre perché “chi si ferma è perduto”. Una volta, l’artigiano pensava che “chi si ferma ha tempo di capirsi”. Ma non va sempre così bene… a un tratto il treno in corsa ha cominciato a rallentare… e, con il passare del tempo, è divenuto sempre più lento… e soprattutto ha modificato la direzione senza che nessuno avesse intuito il senso del cambiamento. Certamente la necessità, del qui e ora,
Imboccare il binario delle vendite sembra all’azienda l’unica soluzione, però è un modo di far ripartire tutto buttando carbone dentro il motore acceso. E’ un modo per fare pochi metri per poi fermarsi di nuovo. Ma l’azienda è figlia di una terra di lavoratori che non è mai stata con le mani in mano, allora si esplorano tutti gli angoli del mondo e qualcuno che cerca una luce Made in Italy ci sarà. Ma più giri per il mondo, più vedi che gli scambi sono complicati, le stazioni intasate e qualche volta anche poco limpide.
E poi ogni stazione all’inizio è libera e ci guarda ammirata del nostro Made in Italy. E poi, prima o dopo, arrivano in stazione altre locomotive con anche loro il Made in Italy e con nomi altisonanti. E allora, si riparte, tanto il mondo è grande e qualcuno che cerca una luce Made in Italy ci sarà. Una sera una di queste locomotive era ferma in un campo che sbuffava. Una bella locomotiva, ma completamente buia. Da una lunga passeggiata, proprio in quel momento, arrivava un gruppo di persone che discutevano fitto fitto. Incuriosite si fermarono a chiedere se ci fosse bisogno d’aiuto. Loro, quelli sulla locomotiva, dal buio dissero semplicemente che si era fermata, che prima andava, che avevano buttato carbone, ma adesso era quasi finito… E tante altre cose… dissero. Ma che l’aiuto non serviva. O forse sì. Nel dubbio decisero che ascoltare non costava nulla. Magari c’era qualcosa da imparare. Magari era solo una perdita di tempo. Magari questo era solo un modo diverso
…cosa abbiamo imparato?
per mettersi in gioco. Quelli della passeggiata li guardarono e, dopo aver chiesto il permesso di salire, guardarono la locomotiva. E poi scesero, ci girarono attorno e capirono… non c’erano più le rotaie…. “Cosa dobbiamo fare? Senza rotaie non andiamo da nessuna parte…” disse uno della locomotiva. “Ma le rotaie siete voi… siete voi che fate la direzione…” rispose sorridendo uno del gruppo. “Ma prima tutto andava, come se non servisse pensare a una direzione e…” disse una ragazza sopra la locomotiva che sembrava particolarmente dispiaciuta... “Ora forse è necessario pensare a dove volete andare, che tipo di rotaie e di locomotiva siete… Prima di tutto…” continuarono quelli del gruppo. Quelli sulla locomotiva si dissero tra loro che forse questi qui avevano ragione… che forse non è un problema di carbone, ma di rotaie, di direzione. A bordo della locomotiva si fecero pensierosi finché uno di loro disse: “Accendiamo una luce, cominciamo da una lampadina… ”
L’impresa ha segnalato due problemi strettamente connessi tra loro. Il primo problema è la difficoltà di far percepire il valore della propria offerta al mercato. Nello specifico è stata evidenziata una progressiva polarizzazione del mercato su due segmenti principali. Da un lato il segmento presidiato dai leader - Artemide, Flos e Foscarini - che sono in grado di imporre al mercato le proprie condizioni commerciali in ragione di un brand percepito come eccellenza del Made in Italy. Queste imprese, come è avvenuto nei diversi ambiti del Made in Italy, non stanno soffrendo la crisi, al contrario, crescono trainate dalle dinamiche dei Paesi emergenti (BRIC in primis). Dall’altro il segmento dei follower. Quest’ultimi offrono un prodotto di qualità anche molto elevata, ma percepito come scarsamente differenziato. Nello specifico dell’Italia, le imprese appartenenti a questo segmento fanno leva sul Made in Italy, brand ormai scarsamente differenziato, e sull’artigianalità del prodotto. Questa strategia si riflette spesso in un forte sbilanciamento nella scomposizione del fatturato tra Italia ed Estero. In Italia, il “Made in”, per ovvie ragioni, non fa più alcuna presa. Il consumatore, infatti, è sofisticato e quindi sa scegliere tra le varie marche piuttosto che affidarsi ad un brand indistinto. Nei Paesi esteri, al contrario, il Made in Italy è ancora percepito come un valore differenziante e simbolo di qualità e bellezza. Tuttavia, questo valore perde via via di significato con l’acquisizione di esperienza da parte del consumatore. Non a caso, il Made in Italy come marchio a sé stante vale sempre meno nei mercati più maturi - Europa e Nord America obbligando i follower a spostarsi sempre verso i nuovi mercati, dove si sta formando la famosa classe media a cui questi prodotti erano originariamente destinati in Italia. Questi mercati sono caratterizzati da un lato da buone opportunità economiche e dall’altro da maggiori rischi e relazioni scarsamente controllabili e affidabili. Il
secondo
problema
denunciato
dall’impresa è il riflesso del primo. La mancanza di un’identità forte ovvero un brand percepito come differenziato e differenziante dal mercato. Entrambi questi problemi, com’è emerso dal Playground, sono sintomo di una situazione più profonda, che necessita di essere compresa. Per fare ciò sono necessari due passaggi. Il primo passaggio è definire con più chiarezza il contesto di mercato entro cui si muove o presume di muoversi l’impresa. In primo luogo, l’impresa ha più volte dichiarato di operare nel mercato dell’illuminazione di media-alta gamma e di vendere design. In secondo luogo, è emersa la centralità per il settore di due soggetti: il designer e gli infomediari. La stessa impresa ha indicato il duplice ruolo svolto dai designer. Da una parte, definiscono, sulla base della loro reputazione consolidata, ciò che è bello, ovvero, ciò che avrà valore nel mercato. Dall’altra, sono essi stessi dei market maker dal momento che il loro posizionamento nel mercato del design garantisce: il grado di successo di vendita dei prodotti, la possibilità che essi siano esposti in alberghi e locali di lusso, spesso disegnati dagli stessi designer, e/o in musei. Il secondo attore è l’info-mediario ovvero colui che contribuisce a diffondere l’immagine di ciò che è bello (critici, opinionisti, esperti e giornalisti che scrivono nelle principali riviste di design). Il controllo degli infomediari è una questione in parte economica legata al costo - elevato - di una pagina pubblicitaria e in parte legata alla forte avversità al rischio che contraddistingue questi soggetti. Nessuno, infatti, è disposto ad assumersi il rischio di mettere ain gioco la propria reputazione per lanciare una piccola e media impresa innovativa. Il mercato del design essendo legato a canonici estetici e dominato da alcuni soggetti con una elevatissima reputazione risulta un mercato chiuso tendenzialmente autoreferenziale e in cui operano alcune lobby molto forti. In questo quadro di riferimento, anche le imprese leader – Artemide, Flos, Foscarini etc. - svolgono un ruolo sempre
più marginale. Hanno esternalizzato la produzione prima nei distretti, contribuendo attivamente al loro sviluppo, e poi a livello globale. Hanno investito nel controllo dei canali commerciali, specialmente attraverso la costruzione di brand forti. Tuttavia, rari sono i casi di aziende leader che hanno investito nella costruzione di sbocchi commerciali diretti, attraverso l’acquisto o la costruzione di catene di vendita o show room. Il loro vantaggio competitivo poggia attualmente su due fattori principali: da un lato la disponibilità di risorse finanziare, con cui sostenere il costoso sistema del design, dall’altro la loro storia e quindi il loro brand. Pertanto, la gestione del valore del brand costituisce la condizione sine qua non per continuare ad essere attrattivi agli occhi dei top designer. Non è un caso, infatti, che le piccole e medie imprese, come dichiarato anche dalla nostra impresa, debbano fare riferimento a designer molto meno conosciuti. Il secondo passaggio è prendere consapevolezza del processo storico che ha dato origine a tante delle piccole e medie imprese che oggi dichiarano di operare nel mondo del Made in Italy e del design. La maggioranza di queste nasce come contoterzista di alcuni grandi marchi. Questo è vero anche per Luci Italiane, che nasce in un contesto territoriale ricco di imprese che producono sistemi di illuminazione. Le ragioni di questa ricchezza sono spiegate dalla vicinanza al distretto del vetro artistico di Murano, come confermato dalla specializzazione originale di Luci Italiane: la produzione di lampadari classici. Queste imprese hanno sempre venduto collezioni proprie, sviluppate a partire dai modelli prodotti per altri marchi. Prima lo hanno fatto, quasi di nascosto, vendendole ad amici e conoscenti e inventando un nuovo format commerciale, il cosiddetto spaccio antesignano dell’attuale outlet. Poi lo hanno fatto riempiendo il bagagliaio della propria auto e girando per l’Italia alla ricerca di nuovi punti vendita a cui vendere i propri prodotti. Infine, si sono internazionalizzati riempiendo la valigia di cataloghi e prendendo l’aereo per visitare grossisti e distributori in tutto il mondo, e/o partecipando a fiere per incontrare nuovi potenziali clienti. Oggi, però, questo modello di crescita non funziona più. Non è più sufficiente produrre un prodotto bello
e di qualità - Made in Italy - per venderlo. È necessario saper trasferire il valore immateriale contenuto in esso. Il fatto che sia Made in Italy non è più sufficiente a giustificarne la bellezza estetica e la qualità funzionale. Bellezza e qualità devono essere spiegate e motivate. Se le imprese non impareranno a raccontare la loro storia, quella dei loro prodotti ed il significato della loro provenienza, consumare questo o l’altro prodotto non sarà poi così diverso per il cliente finale. Le imprese, in altre parole, devono investire nel rendere il consumatore sensibile alla storia, alla ricerca e al significato contenuto in ogni loro prodotto. Definito il quadro di riferimento, possiamo ora passare ad analizzare l’azienda nello specifico andando ad evidenziare le scelte effettuate. Primo, ha esternalizzato la maggior parte della produzione. L’impresa, per sua stessa ammissione, ha una connotazione prevalentemente commerciale. Questo è in linea con quanto fatto dai principali marchi, ma implica anche la perdita della propria identità originaria e delle proprie competenze distintive. Secondo, non è stata in grado di attrarre e sviluppare relazioni privilegiate con designer capaci di accrescere la reputazione dell’impresa. Allo stesso tempo, non sembra avere nel proprio background una serie di prodotti di successo su cui fare leva per costruire un’identità di marca riconoscibile. Infine, non ha investito nella costruzione di partnership commerciali forti, attraverso cui veicolare il valore dei propri prodotti ed accrescere la propria capacità di monitorare e comprendere il mercato. Il problema da cui siamo partiti può essere quindi ridefinito nei seguenti termini: l’impresa opera in un mercato chiuso, controllato da pochi attori che si supportano a vicenda nella definizione delle traiettorie evolutive entro cui il sistema prodotto si muove. Questo limita, a priori, gli spazi di innovazione e di mercato a disposizione delle piccole e medie imprese. L’impresa
ha seguito il percorso di crescita tipico della piccola e media impresa artigiana del Made in Italy. È nata come conto terzista, si è internazionalizzata senza seguire una strategia di selezione/individuazione dei partner, in grado di veicolare il valore dei propri prodotti. Si è progressivamente spostata nei mercati emergenti facendo leva solo sul valore del Made in Italy. In questo quadro di riferimento, l’impresa ha disinvestito dalla propria vocazione originaria - la produzione artigiana - senza riuscire a crearne una nuova. Il treno si è fermato, ma non è sufficiente metterci nuovo carbone per rimetterlo in moto. Bisogna cambiare motrice, ma quale?
idee e opportunità
…
Il dibattito durante il Playground ha fatto emergere la necessità di muoversi entro due orizzonti temporali integrati tra loro. La pianificazione di lungo non può prescindere, infatti, da quella di breve allo scopo di identificare sin da subito gli elementi di continuità e coerenza nel tempo e di assicurare degli investimenti economicamente mirati in una congiuntura economica non facile come quella attuale. La pianificazione di breve deve necessariamente tenere conto di alcuni aspetti. Primo, la dimensione dell’impresa. L’impresa conta 13 dipendenti in maggioranza impegnati nella gestione operativa e quindi è necessario ragionare e agire secondo logighe proprie di una PMI che in tempi di crisi non può crescere dimensionalmente. Secondo, la mancanza di elevate risorse finanziarie da investire a breve-medio termine nello sviluppo del business. La presa d’atto di entrambi questi fattori suggerisce la necessità di seguire una strategia di crescita innovativa ma poco rischiosa finalizzata a creare le condizioni per una crescita più corposa nel medio e lungo periodo. La parola chiave emersa in questa prospettiva è aggregazione d’impresa. È necessario individuare dei partner, possibilmente complementari e di dimensioni simili, con cui condividere un percorso di crescita orientato a costruire la piattaforma strategica su cui fare leva nel lungo periodo. Le direzioni di crescita che si delineano passano inevitabilmente per l’aggregazione che può essere vissuta e attuata in almeno tre modi differenti a seconda della mentalità manageriale dell’azienda. Il primo è il percorso dell’aggregazione finalizzata a rafforzare il posizionamento commerciale delle imprese partecipanti. Questa ipotesi mira a rafforzare il posizionamento competitivo di ciascuna impresa attraverso il contemporaneo raggiungimento di tre obiettivi: riduzione dei costi di commercializzazione; maggior controllo sul canale; rafforzamento della gamma complessivamente offerta. Il secondo è la costruzione di un brand
comune. Questa seconda opzione comprende la prima. Si differenzia per il fatto che le imprese dell’aggregazione non si impegnano solo a commercializzare assieme i loro prodotti, ma costruiscono anche un brand comune. Il vantaggio di questa opzione è che le imprese dell’aggregazione possono condividere i costi di alcune funzioni che singolarmente nessuna di loro potrebbe permettersi: marketing, ricerca e sviluppo e, in una qualche misura, comunicazione. È evidente che una tale opzione richiede una maggiore convergenza di intenti e di valori tra i partecipanti all’aggregazione. Infine, la terza strada è quella dell’internazionalizzazione. L’obiettivo è consolidare la propria presenza nei mercati esteri attraverso degli investimenti mirati e stabili che mirino alla individuazione e selezione di alcuni canali/Paesi anche a seconda della loro affidabilità, trasparenza e durevolezza commerciale. Una non esclude l’altra. Le tre sono perfettamente compatibili e possono essere fasi successive di un progetto di aggregazione strategica. L’importante è che le imprese che si aggregano condividano valori ed un modo di vedere le cose. La dinamica dell’aggreggazione e la sua importanza strategica dipende fortemente dalla mentalità manageriale delle aziende coinvolte, le quali possono orientarla a perseguire solamente vantaggi legati a economie di scopo e/o economie di scala. Oppure è possibile vedere l’aggregazione come una struttura organizzativa che permetta di aumentare gli asset intangibili e strategici delle singole imprese (innovazione, comunicazione, ricerca, internazionalizzazione, brevetti, marchi, …). L’orientamento, con cui un’aggregazione nasce e si sviluppa, determina anche la portata dei successivi passi tra loro strettamente correlati. Pertanto, il percorso di breve periodo non si propone in alcun modo di cambiare il contesto competitivo entro cui è inserita l’azienda. La strategia di lungo, diversamente, deve contemplare questo aspetto. L’innovazione, perciò, diventa preponderante in questa seconda fase. Prima di compiere qualsiasi scelta in un’ottica di lungo-periodo l’aggregazione e la singola impresa sono chiamate a
scegliere il mercato target. La definizione del mercato target determina lo spazio di differenziazione, i costi di comunicazione e il peso di un brand comune. In particolare, sembra necessario per la nostra aggregazione, e per le imprese che la compongono, decidere se continuare ad operare nell’attuale mercato oppure se orientarsi al mercato contract. Presa questa decisione è possibile agire su uno dei seguenti ambiti. Il primo è l’ambito dell’innovazione di prodotto. Le proposte, da questo punto di vista, sono state le più diverse: materiali, tecnologia, domotica, design, cultura e significati. Indipendentemente dalla strada prescelta per innovare il proprio prodotto, è stata sottolineata l’importanza di partire dal sistema dei valori che l’impresa o il brand aggregativo intende promuovere nel mercato al fine di assicurare una coerenza tra le traiettorie innovative e i valori del brand. Il secondo ambito è quello della comunicazione e della distribuzione1, utilizzando ad esempio i nuovi media (social network) per proporsi e relazionarsi in modo nuovo e diverso nel mercato. Infine, il terzo ambito è quello dei modelli di business. Da un lato abbiamo la crescente importanza del mercato contract, sia per i margini, sia per la dimensione, che se scelto come mercato obiettivo, richiede alle aziende uno stravolgimento del modello di business. Dall’altro, abbiamo lo sviluppo delle tecnologie informatiche e della comunicazione che offrono nuovi modi di relazionarsi con gli attori della catena del valore (designer, clienti, trend maker, distributori e punti vendita, …), aprendo, quindi, nuovi spazi di innovazione, legati ad esempio al crowdsourcing, i quali possono contribuire a creare una discontinuità radicale nello status quo che ha dominato sino ad oggi questo mercato. 1 Nello specifico è stato citato l’esempio di Lago, che ha sviluppato, anche a partire dall’innovazione di prodotto e di design, modelli comunicativi e distributivi nuovi legati al concetto di Casa Lago. Per maggiori informazioni si veda: http://www.socialenterprise.it/ index.php/2008/09/07/il-caso-lago-enterprise-20-come-arma-strategica-della-pmi/
Scesi dal treno presero una luce per illuminare il buio che li circondava. Così facendo, si accorsero che non erano soli. C’erano altri treni che si erano fermati in quel punto e che cercavano quello che stavano cercando loro. Si misero quindi a parlare e mentre parlavano costruirono dei tavoli e delle sedie per stare più comodi. Perché, in fondo, intorno ad un tavolo si pensa meglio, si riflette più liberamente, si vede assieme quello che da soli non si è in grado di vedere. E più parlavano e più quel buio sembrava meno buio. Cominciarono a vedere attorno a loro dei nuovi materiali, dei nuovi strumenti, e delle nuove montagne ricche di vegetazione. Nuove possibilità che potevano essere colte se solo avessero trovato il modo di lavorare assieme. All’improvviso i treni si riaccesero e cominciarono a muoversi. Ci montarono, ma si diedero presto appuntamento per domani sugli stessi tavoli…
Playground è un evento organizzato da
Frogmarketing
Per informazioni:
www.play. frogmarketing.it info@frogmarketing.it