Andare avanti è un imperativo tanto più rigoroso quanto più le strade diventano incomprensibili!
L’imprenditore per definizione è colui che vede un’opportunità e la coglie prima e/o meglio degli altri. Nel mercato attuale caratterizzato da elevata complessità emerge la necessità di essere e fare ma, soprattutto, pensare in modo sistemico. Non è più sufficiente districarsi in mappe complicate. Cosa fare? Come farlo? E dove andare? Da queste domande nasce il nostro racconto, il racconto di un viaggio nello spazio e nel tempo, con mezzi diversi ma con gli stessi valori e obiettivi…
Un’impresa è un mezzo di trasporto nel tempo e nello spazio. Ogni imprenditore, costruito il proprio mezzo, grande o piccolo che sia, si siede al posto di guida e, con in testa una possibile mappa e una capacità di guida sempre da affinare, par-te. Il viaggio è influenzato da molte variabili: dallo stile di guida, dall’equipaggio di bordo, talvolta dai passeggeri, ma soprattutto dalla quantità e dalla qualità delle strade. La magia talvolta chiamata successo - si ottiene quando talento e passione percorrono assieme le strade giuste per giungere la dove c’è qualcuno che ha bisogno di loro. Infatti la mappa, che il pilota ha in testa, assume valore solo se è capita, voluta e letta dal mondo; là fuori.
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1. Innovazione 2. Imprenditorialità 3. Open Business Model 4. Reti di Impresa 5. Aggregazione 6. Network 7. Brand 8. Project based organization 9. Crowdsourcing 10. Incubatore
Subito dopo la Seconda Guerra mondiale, quando il futuro di ogni italiano era sotto le macerie, essere un giovane geometra con esperienza e talento era come percorrere l’unica strada possibile: da una lato le capacità, dall’altro il bisogno di quelle qualità tecniche. Era sintesi perfetta tra domanda e offerta, quell’incrocio, che quando avviene, porta dalla possibilità di fare cose a farle e farle belle. Certo ci vuole anche un pizzico di fortuna, ma il fato propizio non è sufficiente per spiegare tutto e nemmeno per raccontare un nome che lascia il segno e diventa storia. Torniamo al nostro geometra: per lui inforcare la bici, la mattina, era come per un impiega-to sedersi alla scrivania in ufficio; timbrare il cartellino era il colpo di campanello girato l’angolo della strada di casa. Un suono che lo proiettava verso il futuro, in quegli anni... pericolosi, ma bellissimi, con il cuore in mano si imparava tanto. La bicicletta rappresentava il suo futuro e una pedalata era la sua voglia di cambiamento. Il giovane geometra pedalava veloce tra un cantiere e l’altro, illustrava progetti e dirigeva lavori. Si trattava di puntellare,
sgomberare, buttare giù per tirare su, ricostruire strade, ponti, strade, ferrovie per permettere al sangue della vita, alle persone, alle cose e alle i-dee, di circolare nuovamente. L’unica certezza era la necessità di tirar via le macerie dalle strade, tutti insieme, perché solo così poteva saltar fuori il domani. Non c’era nulla da domandarsi, c’era solo da fare. Spalare con chi spalava. Non per questo il lavoro era solo fatica, ma era anche fiducia nel-le persone. Con il passare del tempo il geometra, diventa quasi architetto, ma soprattutto diventa imprenditore. Inoltre, cambia il mezzo perché tutto va più veloce, le strade sono libere e ora non c’è più solo il lavoro grosso, ma anche quello fino: abbellire, costruire pensando a una vita senza bombardamenti e dare un senso alle città. La bicicletta, adesso, era posata al muro del magazzino. Ora correva con la Lambretta per arrivare prima, ma anche per arrivare dove prima non era mai riuscito. Le strade sembra-vano infinite. Oltre a quelle normali cominciava a percorrere sentieri nuovi dai quali poteva ammirare panorami insoliti. L’impresa continua a correre nel tempo e nello spazio al giusto passo e nella giusta direzione. Le strade sono lì davanti senza impedimenti e intoppi, ma è la capacità di guidare, che con il passare del tempo e dei chilometri si affina e fa la differenza, garantendo all’imprenditore il di successo. Il mondo è limpido e si riesce a guidare abbastanza agevolmente, senza problemi, non ci sono nebbie, burroni e trabocchetti, o forse ci sono, ma quando hai la mappa giusta e la bussola corretta il gioco è fatto.
Ma un’azienda non è fatta da un solo uomo, ci sono anche gli uomini che in essa vi lavorano. Un equipaggio di cui ci si può fidare ciecamente, e a cui cerchi di dare il massimo, ma dal quale sai anche lo riceverai Il pilota però non guida solamente, porta con sé anche la vita, quella vera. Può capitare che in certo punto della strada, quello che guida, si volti indietro e si accorga che l’equipaggio è cresciuto, che non si è più su di una Lambretta, ma su di un camion e venga da pensare: “Ce la farò? Riuscirò a portarli tutti con me?” Il pilota-imprenditore guida, sceglie le persone che lo accompagnano e tenendo conto di loro traccia la mappa del percorso. Tra svolte e bivi, il pilota-imprenditore, dopo anni di guida solitaria, si rende conto che la sua squadra, e le sue figlie, sono cresciute e possono affiancarlo e, un domani, sostituirlo nelle decisioni. Nel frattempo, infatti, con la crescita dell’azienda e l’evoluzione del mercato sono necessarie nuove risorse per affronta-re al meglio un territorio che sta cambiando. Quando il lavoro è davvero parte della tua vita, è la tua passione e la tua dedizione, necessariamente la famiglia ne diventa parte. I confini smettono di esistere. L’educazione avviene per osmosi con l’esempio. L’etica del lavoro - del fare bene è la vera ricchezza che le figlie posseggono. Sì, certo hanno anche un mezzo importante, una storia unica, un passato da continuare, ma la questione è proprio qui: un’impresa è un mezzo di trasporto nel tempo e nello spazio, e il tempo sembra aver cambiato lo spazio. Il mezzo necessità di capire cosa deve divenire. Un conto è muoversi su parametri e mappe orizzontali. In questo caso tutto funzionava a meraviglia (strade certe e incroci certi). Un conto è orientarsi su mappe che non hanno solo l’asse X e Y, ma anche il resto dell’alfabeto ovvero altre lettere-dimensioni, idee e persone. Nasce, quindi, la necessità di un nuovo modo di viaggiare e di orientarsi, con diversi criteri. Non basta la bussola e la mappa
topografica come metri e ostacoli, serve un radar tridimensionale volumetrico in grado di vedere le masse di aggregazione e lo spessore dei contenuti. Guidare in questo mondo, pertanto, non è solo difficile per le figlie, è soprattutto diverso. Il magico incontro tra domanda e offerta avviene in modo più complicato: rimangono i valori, rimane l’azienda, la storia e la solidità, ma la strada tracciata da quel pilota-imprenditore sembra non essere più l’unica strada giusta. L’impresa sta bene, tra le migliori, ma lo sguardo delle figlie è come quello del padre, rivolto al futuro... e oltre. Verso dove guidare si chiedono ora le tre sorelle? Se lo domandano nel rispetto del mezzo-impresa e di chi l’ha costruito e sentendosi responsabili nei confronti dell’equipaggio e della famiglia, intesa come passato e futuro. Lo fanno cariche dei valori e degli insegna-menti ricevuti. Un carico che eleva, sia ben chiaro. Il padre-pilota costruiva il futuro in un mondo fatto di materialità, oggetti e cose, a costo di andare a ripescare i mattoni ricchi di storia dal fiume per ricostruire un ponte. Oggi le figlie vogliono costruire ancora il futuro, ma il mondo è fatto di idee, conoscenze e competenze. É cambiato tutto e lasciar passare il tempo facendo finta di nulla non è nelle loro corde. Nascono quindi delle domande: Quando si guida cosa è importante? Le strade? L’obiettivo? Il luogo? Forse sì, forse no. Il padre-pilota ha colto l’attimo è stato l’uomo giu-sto al momento giusto. E se fosse più importante come le percorri piuttosto di quali strade percorri? Le figlie, le nuove strade le stanno percorrendo e anche con vari segnali incoraggianti. Lungo questi nuovi percorsi stanno incontrando tante persone nuove. Un giorno il camion-azienda si ferma proprio nella città dove si è dovuto costruire con leggerezza per rispettare il delicato equilibrio del luogo. Le sorelle, che adesso guidano il mezzo, hanno bisogno di fermarsi un attimo, chiedersi quali delle
strade appena tracciate, debbano prendere. Hanno deciso di fermarsi da amici con i quali è facile parlare perché sono curiosi e ascoltano...
…cosa abbiamo imparato? Lo storytelling ben inquadra il problema emerso nel Playground attraverso l’utilizzo di due metafore: il mezzo di trasporto simboleggia l’impresa; la strada rappresenta il mercato o meglio l’ambiente competitivo entro cui l’impresa si muove. Il mezzo di trasporto cambia e diventa sempre più veloce ed efficiente. Man mano che si evolve, permette di trasportare più persone e muoversi in orizzonti - ambiti competitivi - sempre più ampi. Le strade, inizialmente, sono molto ampie e dritte. La crescita dell’impresa è un problema puramente finanziario e di capacità di cogliere la finestra di opportunità socioeconomica. Nel caso specifico, il padre, in grande anticipo sui tempi, decide di poggiare la propria impresa sulla condivisione di alcuni valori fondanti e sulle relazioni tra persone. La presenza di un capitale relazionale forte, tuttavia, all’epoca era un di più: un qualcosa che permette di performare marginalmente meglio in un mercato che è sostanzialmente incapace di selezionare. Al contrario, oggi, questa intuizione ha assunto valore permettendo all’impresa di vivere meglio in un mercato che si fa più complesso e in una congiuntura economica sfavorevole. Il mercato edile “standard”, per quanto complicato, è conosciuto. La riprova è che dopo il terremoto in Emilia di fronte a interventi di costruzione e affini, l’azienda si muove con facilità su modelli consolidati e conosciuti, magari più complicati e diversi ma sempre ascrivibili alle mappe orizzontali. La parola chiave al centro di questa storia
è, infatti, complessità. La complessità è propria di un qualcosa che non è scomponibile nelle sue parti. Un qualcosa di talmente intricato da rendere qualsiasi scomposizione una rappresentazione non solo parziale e semplificata. ma sostanzialmente inutile per comprendere il tutto. Compreso questo concetto è possibile, quindi, cogliere il significato profondo della metafora delle strade. Il sistema viario con il tempo è diventato sempre più articolato e le strade sempre più strette. La conseguenza di questa evoluzione è che le connessioni tra loro diventano sempre me-no definibili a priori. Smette, infatti, di esistere una mappa che chi sta alla guida può utilizzare per selezionare la strada più breve e sicura per andare da un punto ad un altro. Le mappe diventano molteplici. Ognuno ha la sua storia e costruisce, su questa base, la sua rappresentazione - sempre parziale e soggettiva - del territorio. Se ci si ferma ad un incrocio e chiedete indicazioni su come arrivare in un determinato luogo, ognuno vi darà la sua risposta. Chi è alla guida non può che sentirsi spaesato di fronte all’infinità di scelte e alle possibilità a disposizione. Quale sarà la strada giusta? Finché hai una mappa “certa” del territorio, al massimo sbagli strada o trovi un incidente e ci impieghi un po’ di più ad arrivare a destinazione, ma se le mappe sono molteplici è importante avere delle certezze sulla destinazione. Che fare in questi casi? Sebbene alcuni possano imboccare una strada, questo non è risolutivo poiché presto emergono altre domande, sfide e dubbi. Tanto più se guidi un’impresa che ha una storia e dei valori vivi e forti e che ha una dimensione relativamente importante rispetto al settore. In questo caso, infatti, aumenta la probabilità di imboccare strade incompatibili e non riuscire a districarsi e/o a fare inversione. Il punto di partenza per l’analisi è quindi la dimensione del mezzo. In questo caso non è un problema meramente quantitativo. Il settore delle costruzioni, per sua natura, è caratterizzato da strutture flessibili o meglio da project-based firms. Le imprese sono tipicamente di piccola e media dimensione
e sono abituate a lavorare in rete e ad evolvere a seconda degli andamenti. La dimensione, nel caso in esame, deve essere letta in termini qualitativi. In primo luogo, va valutato l’asset di competenze richieste alle risorse umane, attualmente e in prospettiva. Per muoversi in un mondo senza mappe o meglio in cui le mappe possibili sono non univoche, c’è bisogno di una pluralità di punti di vista. L’azienda, invece, è abitata prevalentemente da tecnici. Questi ultimi, com’è stato ribadito più volte durante il Playground, sono competenti, ma hanno un approccio da esecutori e/o gestori. Non hanno spirito imprenditoriale. Sono poco propensi ad esplorare il nuovo. Il saper fare bene il proprio lavoro è una condizione necessaria, ma non più sufficiente per emergere ed avere un valore distintivo. In assenza di un progetto - una mappa - che dica dove andare e cosa fare, c’è bisogno di persone che sappiano esplorare. Per sopravvivere nel mondo della complessità, diventa determinate avere risorse umane che abbiano voglia, attitudine e possibilità di cercare nuove strade e trovare nuove frontiere. In secondo luogo, il peso della dimensione aziendale è emerso anche in relazione alla storia recente dell’azienda. Fino a qualche anno fa, infatti, Schiavina ha operato spesso in commesse pubbliche di grande dimensione, prestigio e durata, sviluppando una struttura e dei processi adatti ad operare con efficacia ed efficienza. La congiuntura economica, la modalità di partecipazione e selezione negli appalti e il ciclo dei pagamenti nel settore pubblico ha portato l’azienda a diversificare il proprio business in ambiti in cui le competenze a disposizione potessero essere fonte di vantaggio competitivo. In particolare, l’azienda ha visto il passaggio da un portafoglio clienti a maggioranza pubblica ad uno a maggioranza privata. Lavorare nell’edilizia privata ha implicato un ripensamento complessivo di strutture, prassi e processi organizzativi e ha significato operare con un numero maggiore di commesse, di dimensioni minori e con dinamiche gestionali differenti. Questo passaggio ha richiesto un adeguamento
organizzativo a livello interno e ha portato ad una maggiore liquidità finanziaria. L’azienda ha, quindi, scelto di percorrere alcune strade conosciute nel passato ma totalmente mutate nel presente in termini, non solo di mercato competitivo, ma anche di ritorni economici e di immagine. Infine, va considerata la percezione di sé: un fattore che può incidere pesantemente sulla capacità di un’impresa di sopravvivere in ambienti complessi. L’auto-percezione ha effetti diretti sul proprio posizionamento competitivo. Il settore edile - come sta accadendo in molti settori - è in una fase di forte evoluzione o, meglio, rivoluzione. La più importante di queste trasformazioni è quella che riguarda la complessità tecnologica. Il settore si sta spostando dal low-tech - le case in fondo sono fatte di malta e pietre - all’high-tech (attenzione verso i consumi, automazione, domotica, sostenibilità, ... ). Per essere competitivi nell’attuale contesto sempre più knowledge-intensive è necessario spostare il focus dal prodotto - noi facciamo opere edili - per adottare una visione basata sulle piattaforme tecnologiche noi siamo inseriti, gestiamo e lavoriamo con determinati flussi, con conoscenza e sapere. Schiavina, oggi, si sta misurando su questi tre fronti: asset di competenze interne; le conseguenze dello spostamento dal settore pubblico al settore privato; il passaggio da un settore labour intensive ad uno knowledge intensive. Sorgono, dunque, alcune domande. È possibile riposizionare e riqualificare le risorse umane in ottica imprenditoriale e/o proattiva lasciando l’elevato capitale relazionale? Quali le conseguenze nel medio lungo periodo in termini comunicazionali e relazionali per le scelte fatte? Quale sarà l’impatto di tale scelta su una project based firm abituata a partecipare e/o essere promotrice di progetti innovativi? Quale è la possibilità di Schiavina di emergere, e sotto quali aspetti, come costruttore in ambito privato in un mercato dominato da logiche di prezzo? Quale è o quali sono le piattaforme tecnologiche in cui è inserita e come posizionarsi all’interno di esse? Solo una volta che queste domande avranno trovato
una risposta, sarà possibile delineare una mappa del territorio un po’ più definita.
…idee e opportunità La storia di Schiavina presenta mappe, mezzi di trasporto, innovazioni ma soprattutto costruzioni. Il dibattito sulle possibili idee e opportunità sviluppato durante il Playground è partito dalla considerazione di un presente positivo, soprattutto in confronto alle dinamiche settoriali, ed è approdato ad una rotonda con cinque nuove uscite. In altre parole, sono emerse alcune possibili azioni di sviluppo. La prima possibilità emersa si focalizza sulla necessità di rafforzare la riconoscibilità del marchio Schiavina presso i privati nuovo mercato di riferimento - attraverso un’azione di ampliamento di quanto già fatto. L’archivio storico di Enrico Schiavina presente in azienda può essere il primo passo per la creazione di un museo dell’edilizia capace di creare non solo brand awareness ma anche educazione presso il cliente finale e le nuove generazioni. Inoltre, tale possibilità darebbe all’impresa un elemento difficilmente riproducibile dai concorrenti, non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale. Infine, il museo è da intendersi come luogo di visita e scoperta di quanto fatto e, soprattutto, come teatro di presentazione di nuove proposte - uno showroom dell’innovazione. il museo si propone come uno spazio vivo di interazione, racconto (non scoperta) e dialogo con clienti e agenti della filiera; l’azienda diventerebbe così un nodo capace di fare attrazione positiva verso i differenti attori della filiera e di portare all’ampliamento della rete di cooperazione attualmente in essere. La sfida di questa proposta è sicuramente legata alla progettazione di un museo come spazio che, pur partendo dal passato, sia capace di presentare il futuro, in termini di tecniche e possibilità costruttive. É richiesta inoltre, la capacità imprenditoriale e finanziaria per agire in un’ottica di medio-lungo
periodo. Pertanto può essere vista come una possibilità trasversale alle quattro successive. La seconda possibilità si sviluppa partendo da questa considerazione: l’acquisto di un immobile è uno tra quelli più elevati, in termini di valore, che un privato possa fare e, nono-stante questo, il cliente è sostanzialmente incapace di distinguere e/o valutare la qualità del prodotto. Questa considerazione, emersa chiaramente durante la serata, ha sottolinea-to la necessità per le imprese per le imprese virtuose del settore dell’edilizia di sviluppare la comunicazione verso i clienti potenziali. Se l’obiettivo di questa opzione è chiaro - comunicare il valore ed i valori della propria azienda e rendere il cliente maggiormente consapevole del significato e del valore sociale delle proprie scelte più complicata risulta l’individuazione dei canali di comunicazione. Le proposte emerse vanno in tre direzioni: in primo luogo, essa va promossa da una rete di attori virtuosi, opportunamente selezionati, e non può essere implementata solo da una singola impresa. In secondo luogo, questa non può prescindere dall’avere delle finalità prettamente educative e formative verso il cliente. In terzo luogo, deve essere sviluppata attraverso diversi canali comunicazionali andando oltre le modalità classiche del settore legate alla cartellonistica presente nei pressi del cantiere. Per quanto concerne i canali di comunicazione è emerso che l’uso dei social media e di Internet può offrire uno spazio di confronto e apprendimento in grado di coinvolgere i futuri acquirenti. A questo canale va tuttavia affiancata ance un’operazione di comunicazione attraverso i media classici, orientata a sensibilizzare gli stakeholder (associazioni ambientaliste, comuni, associazione dei consumatori, … ) al fine di ampliare e potenziare il messaggio. Le sfide di questa ipotesi sono molteplici e sono legate all‘implementazione di una funzione aziendale non presente, alla creazione di una rete di attori disposta ad impegnarsi in un’ottica di medio-lungo periodo, infine, alla rottura di un modus operandi presente nel settore che tende a non essere sempre trasparente nei confronti del cliente.
La terza opzione vedrebbe un’evoluzione della struttura organizzativa di Schiavina verso un networked business model. Questa considerazione si basa sulla sensibilità e la pro-pensione dell’azienda alla cooperazione con altre imprese, sulla consapevolezza che la rete rappresenti una risorsa e, per certi versi, una scelta ineludibile. Partendo da queste considerazioni la proposta è quella di creare un network di Schiavina ovvero una rete di attori che si riconosca nei valori dell’impresa e voglia dare vita a collaborazioni continue e stabili. In tal modo Schiavina potrebbe essere non più solo il terminale operativo di innovazioni promosse da altri, ma anche lo stimolatore di un rinnovamento. Inoltre, la creazione di una rete di questo tipo permetterebbe all’azienda di affrontare il mercato internazionale e agire da moltiplicatore non solo delle opportunità ma anche delle innovazioni. Anche questa opzione comporta delle sfide legate principalmente alla definizione e condivisione dei valori e della governance del network. La governance risulta, infatti, un aspetto chiave al fine di rendere questa opzione percorribile ed efficace. La quarta possibilità prevede l’attivazione di una strategia capace di coinvolgere architetti e designer di fama nazionale e internazionale al fine di ottenere due obiettivi: da un lato, creare, nelle realizzazioni firmate da Schiavina, un’estetica distintiva; dall’altro valorizzare le competenze di frontiera detenute dall’impresa. Ove, con competenze, sono da intender-si non solo le mere competenze tecniche ma anche la capacità dell’azienda di operare come una project based organization su progetti innovativi e articolati. Questa ipotesi si basa sulle dalle seguenti osservazioni: sul mercato privato, le costruzioni di Schiavina non hanno alcun elemento di riconoscibilità estetica; inoltre l’azienda attualmente non ha tra i collaboratori alcun architetto di fama1; infine, essa ha perso un mercato di nicchia ma interessante come quello delle abitazioni di lusso. Va considerato che questa soluzione permetterebbe di 1- Designer e architetti difficilmente si legano ad una singola impresa poiché l’operare come free lance offre loro maggiori possibilità e opportunità di sviluppo, pertanto il discorso non è solo economico ma è anche pro-fessionale.
contrastare l’attuale diversificazione delle attività che Schiavina sta svolgendo; agendo sui principali influenzatori della filiera delle costruzioni. L’attuazione di questa proposta permetterebbe a Schiavina di migliorare il proprio posizionamento nel mercato dei privati e aprirebbe l’azienda ad un coinvolgimento stabile con una serie di soggetti rilevanti. L’attrazione positiva di questi soggetti e il coinvolgimento attivo può avvenire tramite concorsi e progetti sperimentali che consentano a chi partecipa di mettersi in luce e all’impresa di poter effettuare una selezione dei progetti. L’organizzazione di questo tipo di attività richiede un costante impegno relazionale, la creazione di eventi che possano offrire visibilità, l’uso dei social media per viralizzare le attività e l’individuazione di progetti idonei ad attrarre l’interesse. Le sfide di questa opzione so-no dunque legate alla capacità di entrare all’interno di un ambito relazionale poco esplorato dall’azienda - quello dei designer di livello e di fama - e dall’altro di attivare questi soggetti attraverso l’ideazione di opportuni eventi. La quinta e ultima proposta emersa, forse la più affascinante per la capacità di essere complementare alle precedenti, propone all’azienda un passaggio da produttori edili a produttori di conoscenza. Questa proposta si basa su alcune considerazioni. In primo luogo, il mercato delle costruzioni interno non offre più gli spazi di crescita che offriva nel secondo dopo guerra. In secondo luogo, il mercato internazionale dell’edilizia richiede dimensioni aziendali superiori e quindi non risulta facilmente raggiungibile nonostante le competenze e l’attenzione all’innovazione. In terzo luogo, così come il fondatore ha basato il proprio successo sfruttando un mix dato dalla finestra di opportunità storica, dalle sue competenze e abilità, ora l’attuale management potrebbe orientarsi verso l’economia della conoscenza e verso l’innovazione. Infine, questa opzione permetterebbe di mantenere al centro dell’impresa Schiavina, le risorse umane. In pratica, perseguendo questa opzione, Schiavina potrebbe trasformare la propria
struttura in un incubatore delle idee per il settore dell’edilizia. L’incubatore può configurarsi come un luogo in cui attrarre, sperimentare, sviluppare e diffondere progetti connessi all’edilizia in senso lato. Una costruzione, per sua stessa natura non è solo una mera operazione tecnica ma è anche e soprattutto un’operazione economica, estetica, di design con un impatto sullo spazio circostante spesso non trascurabile. Questa opzione permette inoltre di mantenere intatto un valore che il management di Schiavina ha più volte esposto: siamo costruttori. Diventare produttori di conoscenza significa, infatti, diventare costruttori del futuro. Un futuro che per sua natura sarà sempre più intangibile. Inoltre, tale opzione sembra conservare, ed anzi riprodurre attualizzandoli, i valori dell’impresa: innovazione, conoscenza, risorse umane, ricer-ca del bello e funzionale. Infine, si conserverebbe la natura di project based organization e il mondo delle costruzioni come ambito di applicazione, pur estendendolo oltre i confini fi-sici. La sfida di questa opzione sta nel passaggio mentale e strutturale, dal materiale all’immateriale, dalla costruzione alla sperimentazione, dall’innovazione spontanea all’innovazione strutturata, sviluppata secondo un modello aperto (open source), dal finanziamento tradizionale al crowdsourcing nei Paesi sviluppati e al micro-credito nei Paesi in via di sviluppo. È, praticamente, impossibile dire quali e quante direzioni di sviluppo e innovazione possano confluire e/o partire da quello che una volta si credeva essere solo un semplice mattone. L’incubatore potrebbe diventare un broker di queste conoscenze e, coinvolgendo anche strutture di ricerca e formazione, potrebbe diventare un unicum a livello internazionale. Descritta la rotatoria con le sue cinque uscite ora all’azienda non rimane che fare qualche ulteriore giro, leggere e studiare le tabelle, per poi imboccare, seguendo il proprio istinto imprenditoriale e la propria propensione al cambiamento, la via che
ritiene più corretta. Noi Froggers siamo usciti dal Playground con poche certezze, se non una, siamo di fronte ad un problema imprenditoriale, poiché l’imprenditore è colui che vede le possibilità e le coglie prima e meglio degli altri. L’eredità imprenditoriale passata alle figlie che attualmente ge-stiscono l’impresa è fatta non solo di aspetti materiali ma anche e soprattutto di valori, va-lori e valori che imboccata una via non aspettano altro che essere portati nel futuro.
Playground è un evento organizzato da
Frogmarketing
Per informazioni: www.play. frogmarketing.it info@frogmarketing.it