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* Enrico Giacopelli /// Compendio al Corso di Composizione Architettonica ////////////////////// FacoltĂ di Architettura /// Politecnico di Torino /////////////////////////////////////////////////////
Appunti attorno al progetto
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Indice
Appunti attorno progetto di architettura I.
Testi attorno al progetto di architettura
II.
Appunti attorno al progetto di architettura
Enrico Giacopelli
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g r a f i c a e c o n t ro c a n t o a c u r a d i Andrea Cassi
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Appunti
I. Testi attorno al progetto di architettura Testo 1 Alberto Campo Baeza. Essenzialità/Più con meno/Manifesto Propongo un’architettura essenziale fatta di IDEA, LUCE, SPAZIO. Di idea costruita, materializzata in spazi essenziali animati dalla luce. Un’architettura che considera nell’IDEA la sua origine, nella LUCE il suo primo materiale, nello SPAZIO ESSENZIALE la volontà di realizzare PIU’ CON MENO. IDEA con la vocazione di essere costruita, SPAZIO ESSENZIALE come capacità di tradurre efficacemente queste idee, LUCE che pone in
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relazione l’uomo con un dato spazio. Architectura sine idea vana architectura est (IDEA) Le idee che danno origine all’architettura sono concetti complessi. La COMPLESSITA’ in architettura è propria dell’IDEA. IDEA che appare come sintesi dei fattori concreti che concorrono a determinare il complesso fatto architettonico: CONTESTO, FUNZIONE, COMPOSIZIONE e COSTRUZIONE. CONTESTO che è relativo al luogo, alla geografia, al dove, all’UBI. FUNZIONE che determina il perché dell’architettura. COMPOSIZIONE che ordina lo spazio con il suo “come geometrico”, con la Dimensione e la Proporzione; con la SCALA. COSTRUZIONE che restituisce realtà a quello SPAZIO con il suo “come fisico”, con la Struttura, i Materiali, la Tecnologia, Orientando la GRAVITA’. Con la MATERIA. Un’IDEA, dunque, sarà tanto più precisa quanto meglio darà risposte a queste domande: dove, perché e come. Architectura sine luce nulla architectura est (LUCE) La luce è una componente essenziale per realizzare una qualche comprensione della qualità dello SPAZIO. Non sarà la storia dell’architettura una storia della comprensione diversa della LUCE? Adriano, Bernini, Le Corbusier! Non sarà la LUCE l’unico mezzo capace di rendere lieve l’insopportabile
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Appunti
gravità della materia? La LUCE è il materiale basale, imprescindibile, dell’architettura con la capacità misteriosa, ma reale, di collocare lo SPAZIO in tensione con l’uomo. Con la capacità di dotare questo spazio di una QUALITA’ che muove e commuove gli uomini.
“Less is more” Ludwig Mies van der Rohe “Less is a bored” Robert Venturi “Yes is more” BIG “Fuck the context!” Rem Koolhas “Fuck concepts!context!” San Rocco (2A+P/A, baukuh, Stefano Graziani, office kgdvs, pupilla grafik, Salottobuono, Giovanna Silva, Pier Paolo Tamburelli)
More with less (SPAZIO) Lo SPAZIO definito dalla FORMA che traduce chiaramente l’IDEA e che è messo in tensione dalla LUCE è il risultato materiale, palpabile, tangibile dell’architettura. L’utilizzo delle forme elementari conduce ad una costruzione più diretta dello SPAZIO, di uno spazio che definirei ESSENZIALE che, messo in tensione dalla LUCE, può essere compreso dagli uomini. Compreso più ancora che per il carattere elementare delle forme, per la ESSENZIALITA’ dello spazio stesso. E’ la traduzione delle idee, con la maggior ricchezza concettuale possibile, attraverso l’esatto numero di elementi, che consente la sua migliore comprensione. Qualcosa di più profondo e positivo di un semplice minimalismo. Esattamente come la poesia con le parole. Cercando il senso poetico di quegli spazi per gli uomini. Cercando e andando incontro alla Bellezza, alla Bellezza intelligente. Un’architettura inclusiva dal punto di vista concettuale e esclusiva dal punto di vista formale. Un’architettura che è IDEA COSTRUITA, che si materializza in uno SPAZIO ESSENZIALE illuminato, nella sua esistenza, attraverso la LUCE, e che è capace di suscitare nell’uomo una sospensione nel tempo, un’EMOZIONE: PIU’ CON MENO. Precisazione I Sull’ESSENZIALTA’ Un’architettura ESSENZIALE (non essenzialista) NON E’ un MINIMALISMO. ESSENZIALITA’ non è ESSENZIALISMO non è ….. ISMO non è PURISMO
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non è MINIMALISMO è ESSENZIALITA’ è precisione è qualcos’altro che una mera questione di forma è IDEA COSTRUITA è POETICA è PIU’ CON MENO ARCHITETTURA ESSENZIALE non è fredda né crudele non è perfezionista né intoccabile non è oppressiva né schiacciante non è fatta per essere fotografata è PULITA e SEMPLICE è NATURALE e APERTA è LIBERA e LIBERATORIA è PER VIVERE bisognerebbe che la più piccola architettura fosse - tanto PRECISA come quelle di Bernini - tanto luminosa - tanto NATURALE come quelle di Barragan - per gli uomini - tanto DESHABILLÉ come quelle di Le Corbusier - tanto forte e tanto poderosa non per raggiungere la fama ma solo per rendere gli uomini felici non per essere fotografata ma per essere vissuta non solo per il nostro tempo ma per sempre
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Precisazione II Elogio dell’IMPERFEZIONE (sul PERFEZIONISMO in ARCHITETTURA) Rispetto e ammiro l’architettura di molti architetti, con forme e finiture perfette, perfezioniste ma: ritengo, con Heidegger, che l’architettura tratta di spazi che devono essere messi in tensione attraverso la luce e sono abitati dagli uomini. Ritengo, con Barragan, che la creazione di spazi più puliti e più liberi non corrisponda a spazi duri, freddi e intoccabili. Sono spazi per sentirsi vivi (non sono congelatori) “L’imperfezione ha da sempre consentito continue mutazioni di quel meraviglioso quanto mai imperfetto meccanismo che è il cervello dell’uomo. Ritengo che l’imperfezione sia più consona alla natura umana che non la perfezione”. Rita Levi Montalicini, Elogio dell’imperfezione, 1987
Ritengo, con Le Corbusier, che questa creazione di spazi per l’uomo esige, esattamente come per lo stesso uomo, un certo grado di imperfezione che trattiene la forza dell’architettura. Gli spazi che l’architettura propone sono per accogliere gli uomini non per espellerli. Così fanno il Partenone e il Pantheon, Santa Sofia e Ronchamp.
“Un essere umano deve essere in grado di cambiare un pannolino, pianificare un’invasione, macellare un maiale, guidare una nave, progettare un edificio, scrivere un sonetto, tenere la contabilità, costruire un muro, aggiustare un osso rotto, confortare i moribondi, prendere ordini, dare ordini, collaborare, agire da solo, risolvere equazioni, analizzare un problema nuovo, raccogliere il letame, programmare un computer, cucinare un pasto saporito, battersi con efficienza, morire valorosamente. La specializzazione va bene per gli insetti.” Robert Anson Heinlein, Lazarus Long l’Immortale, 1973
E contro le architetture perfette e immacolate, io preferisco: - l’imperfetta Villa Savoye di Le Corbusier - le spoglie abitazioni di Barragan - la difettosa casa di Melnikov di Mosca - la disordinata villa Malaparte di Libera - la usurata casa di Utzon a Palma e scoprire con loro che la storia dell’architettura è la storia delle IDEE, delle IDEE COSTRUITE, più che delle forme perfette.
Testo 2 Alberto Campo Baeza. Il futuro dell’architettura è nel pensiero. «Un minuto dopo l’ultima esplosione più della metà degli esseri umani sarà morta, e la polvere e il fumo dei continenti in fiamme sconfiggeranno la luce solare, e le nebbie assolute torneranno a regnare nel mondo; un inverno
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di piogge arancioni e di uragani freddi convertirà il tempo degli oceani e cambierà il corso dei fiumi, i cui pesci saranno morti di sete nelle acque ardenti, e gli uccelli non troveranno il cielo; le nevi permanenti copriranno il deserto del Sahara; la foresta Amazzonica scomparirà dalla faccia del pianeta distrutta dalla grandine, e l’era del rock e dei cuori trapiantati farà ritorno alla sua origine glaciale; i pochi esseri umani che sopravviveranno al primo spavento, e quelli che avranno avuto il privilegio di un rifugio sicuro alle tre del pomeriggio del lunedì oscuro della catastrofe immensa avranno solo messo in salvo la loro vita per morire poi tra l’orrore dei ricordi. La creazione sarà terminata». In questo modo tremendo comincia Il Cataclisma di Damocle di Garcia Marquez, testo bellissimo, che commuove ogni volta in modo più profondo. Un minuto prima dell’ultima esplosione ci sarà un artista che crea, un architetto che sogna la sua opera migliore. L’opera della sua vita. Con tutta la sua anima. Cercando di completare la Creazione. Quando qualcuno s’interroga sul futuro dell’Architettura, non può fare a meno di rispondere che il futuro è nelle idee. È nel pensiero, nelle mani degli architetti capaci di generare queste idee. Di svegliarle, di metterle in piedi e costruirle. Il cataclisma, la grande esplosione, potrà distruggere la terra, e con essa le forme dell’uomo, incluso l’uomo stesso, però non potrà mai distruggere le idee. Perchè le idee sono indistruttibili. La storia dell’architettura e il futuro sono Storia, ma più che di una storia delle forme, degli stili, si tratta di una storia delle idee che sono tradotte nelle forme che conosciamo.
“(...) un’idea, un concetto, un’idea, finchè resta un’idea è soltanto un’astrazione: se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione (...)” G.Gaber e S. Luporini
Luce e Gravità: il nocciolo della questione. E’ l’uomo che crea e per il quale viene creata l’Architettura. E la sua relazione con lo spazio si fa attraverso il tempo. Ciò che tradotto in elementi materiali viene a sfociare nella sua relazione con la Gravità e con la Luce. La Gravità, che costruisce e relaziona lo spazio, e la Luce, che costruisce il tempo e ne è la ragione, sono questioni centrali dell’Architettura. Il futuro dell’Architettura dipenderà da una possibile nuova comprensione di questi due fenomeni, o, più che nuova, da una loro conoscenza più chiara e profonda. L’uomo e la Bellezza. E in cosa si tradurrà la relazione, il dominio dell’uomo sulla Gravità e sulla 9
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“Il bello è lo splendore del vero.” Platone “È difficile giudicare la bellezza; non vi sono ancora preparato. La bellezza è un enigma.” Fëdor Dostoevskij “La bellezza è una lettera aperta di raccomandazione che conquista subito i cuori.” Arthur Schopenhauer Ho sognato la bellezza per lo più a occhi aperti. Ho sognato di diventare tanto bella da far voltare le persone che mi vedevano passare. Marilyn Monroe “Non mi piace la gente che parla della bellezza. Cosa è la bellezza?(...)” Pablo Picasso
Appunti
Luce? La conclusione di questa relazione sarà la Bellezza: il ‘Pulchrum’. Se la verità, il ‘Verum’, fa arrendere l’intelligenza, e la Bontà, il ‘Bonum’, la volontà, nei campo dei sentimenti l’uomo si arrende alla Bellezza. Il futuro dell’Architettura non può essere altro che ciò che è stato ed è, o dovrebbe essere: la creazione della Bellezza permanente di cui l’Architettura è forse l’espressione più concreta e completa. Questo desiderio di bellezza non implica una sola possibile Architettura. La Bellezza con le sue molteplici facce può essere anche plasmata nell’Architettura in modi molto diversi, con molte forme differenti attraverso vari stili. Le Corbusier e Gaudi furono coetanei, e che cos’è più bello, la villa Savoye o la Sagrada Familia? I due architetti lavorarono a queste opere nello stesso periodo. Il servizio alle necessità dell’uomo (Funzione), la risposta adeguata al paesaggio (Contesto), la razionalità della sua costruzione (Costruzione), la possibilità di porsi alla portata di tutti (Economia) devono essere qualità della creazione architettonica. L’Architettura deve offrire all’uomo quel “qualcosa in più”, misterioso però concreto, che è la Bellezza. La Bellezza intelligente è conseguenza di un’opera formata da idee costruite. L’architettura e il riso: il tempo e l’architettura. L’architettura necessita di un tempo preciso per essere fatta bene. Di una durata e di un ritmo. Un riso cucinato in cinque minuti risulta sempre duro mentre un riso mantenuto sul fuoco per più di mezzora risulta sempre scotto. Il tempo per il riso è 20 minuti ne più né meno e a fuoco lento dopo una prima ebollizione. Altrimenti si impasta sia qui che in Cina. E l’architetto, con ragioni più serie e profonde di quelle del riso, necessita del suo tempo di studio e di analisi per conoscere bene i dati del problema. Di un tempo di riflessione per giungere a una sintesi, a una rigorosa soluzione. E di un tempo adeguato per la sua costruzione. Senza dubbio, mai l’umanità ha dato vita a tante enormi sciocchezze così solidamente costruite. All’improvviso ci troviamo di fronte all’Architettura del Kleenex. Dell’usa e getta. Sono queste le opere che ci inondano. Prodotto da alcuni commercianti che, con il titolo di architetti ottenuto non si sa dove nè come, disprezzano l’Architettura. A loro non importa nulla dell’Architettura e vivono all’interno di una società che non se ne preoccupa. Che anche per ignoranza odia l’Architettura. Acqua che precipita negli stagni: il perché della forma. Così in modo chiaro si esprime il poeta: «Queste forme non dicono
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nulla, acqua che precipita negli stagni». Le forme architettoniche devono essere espressioni di idee ed esprimerle con forza. Con quella forza che solo l’Architettura possiede. Cosi siamo circondati da forme inutili. Una inondazione di quello che è dato chiamare ‘disegno’. Sovrabbondanza di elementi di disegno, grandioso dispiego ornamentale che cerca di distrarre con quantità di effetti speciali il vuoto dei suoi propositi. Se questo eccesso di disegno si riferisce al superfluo, all’ornamentale in senso loosiano del termine, peggio ancora è quando questo succede utilizzando la Tecnologia. L’Architettura si fa spazio grazie all’avanzare della Tecnologia. Senza l’acciaio né il vetro piano mai sarebbe stato possibile concepire la continuità dello spazio, né rendere reale il controllo della luce verticale. Chiaramente l’abuso del disegno, straripante di Tecnologia, non è altro che una inutile difesa delle futilità. Sono specchi in cui i vanitosi e i narcisisti si ammirano costantemente per dimenticare che sono incapaci di avanzare. Adriano, Bernini e Le Corbusier continuano a essere architetti di oggi e del futuro. Le loro idee e le loro opere avanzano con il tempo, stanno al di sopra del tempo. Società volutamente ignorante: la società e l’artista. Anticamente erano i nobili, i mecenati, coloro che commissionavano le opere d’arte. Esigevano l’Architettura con la lettera maiuscola per il proprio servizio e diletto. Logicamente e fortunatamente, con il passare dei secoli queste opere sono giunte a essere patrimonio dell’umanità. Al contrario, oggi che la società è unanimemente democratica e lo Stato è l’espressione di tutti, succede il contrario. Quando quelli che ordinano le opere d’Arte, e principalmente quelle di Architettura, per il servizio di tutti scelgono l’Artista, l’Architetto, mai o quasi mai scelgono i migliori. Quasi sempre chiamano i peggiori. In queste condizioni sono le nostre città. Disfatte. Come musei di tutti gli orrori immaginabili e di tutti i capricci inimmaginabili. Davanti a ciò, che si può dire del futuro dell’Architettura? Voglio essere ottimista e ricordare a questa società che esistono ancora architetti, maestri consacrati e giovani adirati, che sono disposti, se si lascia loro tempo, a rimediare al torto. Finale felice. In definitiva, il futuro dell’Architettura sta nelle idee. Negli architetti che pensano. In quelli che hanno idee e sono capaci di costruirle. Dedicandovi 11
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il tempo necessario. Dice García Marquez che il costo di una ogiva nucleare basterebbe - fosse anche solo per una domenica d’autunno per profumare di sandalo la cascate del Niagara. Questo stesso costo basterebbe per tutte le domeniche di tutti gli autunni, per profumare di Architettura tutto il mondo. E tutte le primavere e gli inverni e le estati. Perché la vera Architettura, idea costruita, rimane per sempre. Trasformando in realtà il desiderio di durare. Con il profumo dell’Eternità.
Testo 3 Peter Zumthor. Insegnare l’architettura, imparare l’architettura. Fare architettura, significa porre delle domande a sé stessi; significa avvicinare, accerchiare, trovare la propria risposta. E così sempre di nuovo. La forza di un buon progetto risiede in noi stessi e nella nostra facoltà di percepire il mondo con il sentimento e la ragione. Un bon progetto d’architettura è sensuale. Un buon progetto d’architettura è saggio. Dell’architettura noi tutti abbiamo fatto un’esperienza ben prima di conoscere la parola “architettura”. La nostra comprensione dell’architettura è radicata nelle nostre prime esperienze d’architettura: la nostra camera, la nostra casa, la nostra strada, il nostro paese, la nostra città, il nostro paesaggio – ne abbiamo fatto esperienza molto presto, inconsciamente, e più tardi li abbiamo confrontati con i paesaggi, con le città e con le case che man mano si sono aggiunti. La nostra comprensione dell’architettura è radicata nella nostra infanzia, nella nostra gioventù; è radicata nella nostra biografia. Gli studenti devono imparare, quale fondamento della progettazione, a lavorare coscientemente con le loro personali e biografiche esperienze dell’architettura. I compiti di progettazione sono concepiti in modo tale da innescare questo processo. Ci chiediamo cosa ci avesse affascinato, colpito, toccato all’epoca, in quella determinata casa o in quella determinata città e perché. Come era fatto quello spazio, quella piazza, qual’era il suo aspetto e che tipo di odore c’era nell’aria, come risuonavano i miei passi in quello spazio e come echeggiava la mia voce, quali sensazioni procurava il contatto del pavimento con i miei piedi o della maniglia nella mia mano? Com’era la luce sulle facciate e i riflessi sulle pareti? C’era un senso di ristrettezza o di
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apertura, di intimità o di ampiezza? Pavimenti in legno o guisa di membrane, pesanti masse di pietra, soffici tessuti, il granito levigato, la pelle tenera, l’acciaio grezzo, il mogano lucidato, il vetro cristallino, l’asfalto morbido riscaldato dal sole, i materiali dell’architetto i nostri materiali. Li conosciamo tutti. E nello stesso tempo non li conosciamo. Per progettare, per ideare delle architetture, dobbiamo imparare a utilizzare e a trattare in modo cosciente questi materiali. E’ un lavoro di ricerca. E’ un lavoro di memoria. L’architettura è sempre materia concreta. L’architettura non è astratta, bensì concreta. Un progetto disegnato su carta non è un’architettura, ma soltanto una rappresentazione più o meno incompleta dell’architettura, paragonabile allo spartito musicale. La musica ha bisogno dell’esecuzione. L’architettura ha bisogno della realizzazione. E’ allora che il suo corpo prende forma. Ed è sempre un corpo sensuale. Tutti i lavori di progettazione sono basati su questa sensualità corporea, oggettuale dell’architettura, sulla sua materialità. Fare un’esperienza concreta dell’architettura, ossia toccarne, vederne, sentirne, ascoltarne e odorarne il corpo. Scoprire queste qualità e adoperarle coscientemente. In tutti i progetti si lavora con i materiali reali. I lavori di progettazione mirano direttamente a oggetti concreti, a installazioni con materiali veri (argilla, pietra, rame, acciaio, feltro, staffa, legno, gesso, mattoni…). Non ci sono modelli di materiali falsi. In vero non si realizza nessun “modello” nell’eccezione consueta del termine, bensì oggetti concreti, lavori plastici in una scala ben precisa. La realizzazione dei piani in scala viene effettuata anche’essa a partire da un oggetto concreto (la sequenza abituale vigente nel mondo della pratica architettonica – idea, piano, modello, oggetto concreto – viene quindi invertita). Gli oggetti concreti vengono dapprima creati e dopo disegnati in scala. Allo stesso modo anche la comprensione delle diverse dimensioni proporzionali dell’architettura è esercitata a partire da oggetti concreti (ad esempio: la misurazione di una sezione trasversale o longitudinale di un tracciato stradale, la realizzazione dei piani di dettaglio di un interno preesistente, ecc.). Delle architetture che ci hanno impressionato e condizionato, conserviamo dentro di noi delle immagini. Immagini che possiamo far vivere e interrogare mentalmente. Ma questo non basta per creare un nuovo progetto né una nuova architettura. Ogni progetto esige immagini nuove. Le nostre “vecchie” immagini possono soltanto aiutarci a trovare le immagini nuove.
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Luigi Ghirri, Atelier Morandi
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Luigi Ghirri, Venezia
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Durante la progettazione il pensare per immagini è sempre un pensare in termini di totalità. Perché per sua natura, l’immagine ci fa vedere in tutta la sua interezza la porzione di realtà immaginata che cogliamo nel mirino: ad esempio la parete e il pavimento, il soffitto e i materiali, la qualità della luce e la tonalità cromatica di uno spazio. All’inizio del processo di progettazione, l’immagine risulta perlopiù incompleta. Cerchiamo quindi a più riprese di formulare da capo e chiarire il suo tema progettuale, al fine di integrare all’immagine le parti mancanti. In altre parole: progettiamo. E l’evidenza concreta delle immagini che abbiamo in mente ci è d’aiuto. Ci aiuta a non perderci nell’aridità di astratte supposizioni teoriche; ci aiuta a non perdere i contatti con le qualità concrete dell’architettura. Ci aiuta a non innamorarci delle qualità grafiche dei nostri disegni a non confonderle con la vera qualità architettonica. Produrre delle immagini interiori è un processo naturale che tutti conosciamo. E’ parte integrante del pensare. Pensare associativamente, selvaggiamente, liberamente, ordinatamente e sistematicamente per immagini, per mezzo di immagini architettoniche, spaziali, colorate e sensuali ecco la mia definizione prediletta del progettare. Mi piacerebbe poter trasmettere agli studenti questo pensare per immagini come metodo di progettazione.
Testo 4 Étienne-Louis Boullée. Architettura. Saggio sull’arte. Che cos’è l’architettura? La definirò forse con Vitruvio l’arte del costruire? No. Vi è in questa definizione un errore grossolano. Vitruvio scambia l’effetto per la causa. Bisogna prima concepire per poter poi realizzare. I nostri avi hanno costruito le loro capanne solo dopo averne concepito l’immagine. E’ questa produzione dello spirito, questa creazione che costituisce l’architettura, che possiamo definire, di conseguenza, l’arte di ideare e portare alla perfezione un qualsiasi edificio. L’art del costruire è dunque solo un’arte secondaria, che ci sembra di poter definire la parte scientifica dell’architettura. L’arte vera e propria e la scienza, ecco cosa crediamo di dover distinguere nell’architettura.
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Appunti
La maggior parte degli autori che hanno scritto su questo soggetto si sono soffermati a trattarne la parte scientifica. Ciò, per poco che vi si rifletta, apparirà naturale. Era necessario studiare i metodi per costruire edifici solidi prima di cercare di costruire edifici gradevoli. Essendo la parte scientifica di prima necessità, e di conseguenza la più importante, gli uomini sono stati naturalmente portati, in un primo tempo, a dedicarsi maggiormente ad essa. Bisogna d’altronde convenirne. Le bellezze dell’arte non possono essere dimostrate come delle verità matematiche; e, sebbene tali bellezze emanino dalla natura, per percepirle e farne delle applicazioni felici, bisogna essere dotati di qualità delle quali la natura è avara. Che cosa vediamo in tutti i libri di architettura? Le rovine di templi antichi che i nostri studiosi hanno portato alla luce in Grecia. Per quanto possano essere perfetti, tali esempi non bastano da soli a costituire un trattato completo sull’arte.
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II. Appunti attorno al progetto di architettura L’attività progettuale pervade l’esistenza di ciascuno di noi in modo continuo e in forme sempre diverse. Tutti progettiamo continuamente il nostro futuro, le vacanze, la carriera o come arrivare a fine mese con i soldi dello stipendio. Gli architetti da parte loro, sono addirittura chiamati a progettare per gli altri, dando forma ai desideri ed agli obiettivi esistenziali, economici e rappresentativi di persone ed istituzioni che affidano a loro la concezione del proprio habitat. Le infinite modalità con cui il progetto si manifesta nella vita di ciascuno rappresentano in realtà occasioni diverse di realizzare una sola azione fondamentale che consiste nell’orientare risorse scarse verso un obiettivo dato. L’illimitata disponibilità di risorse – condizione quanto mai irrealistica ma ipoteticamente possibile – renderebbe infatti inutile ogni attività progettuale. Quando tutto è possibile non ha infatti alcun senso definire strategie d’azione per raggiungere i propri scopi: basta agire. Liberi da vincoli di tempo e di costi, senza l’obbligo di far un uso razionale e parsimonioso delle risorse disponibili si realizzerebbe comunque e sempre ogni obiettivo che ci potremmo prefissare. Non c’è quindi progetto, né necessità dello stesso, se non in presenza di risorse scarse. E la scarsità di risorse è proprio la condizione principale che caratterizza l’ambiente in cui opera un architetto, la ragione stessa della necessità del suo operare; l’assillo della sua vita professionale.
“Mi no credevo che un omo podessi far questo.” Nereo Rocco
Organizzare risorse scarse non è un’azione neutra sul piano intellettuale, né tanto meno un obiettivo raggiungibile attraverso processi automatici. Se così fosse infatti saremmo in presenza, per ogni problema, di una sola soluzione che chiunque potrebbe trovare. L’esperienza ci dice invece che le cose vanno diversamente1 e ci lascia intuire la complessità dei processi che sono sottesi ai risultati concreti. E se ciò vale in generale, vale ancor di più per un tema complesso come il progetto di architettura. L’attitudine al progetto in tal caso, ancorché frutto di un’innata predisposizione che si manifesta in ognuno con gradi di intensità diversa, non è infatti affinabile
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senza un doveroso addestramento che preveda l’acquisizione di tecniche e strategie d’azione e una profonda conoscenza fenomenologica della disciplina. Occorrono però anche curiosità e disponibilità nei confronti del mondo e dei suoi abitanti, doti di interpretazione della realtà e persino una certa dose di chiaroveggenza. Tuttavia questi strumenti - fondamentali in molti campi dell’agire umano e che si acquisiscono anche con l’esperienza - da soli non bastano a costruire strategie d’azione concrete e in grado di orientare gli esiti dell’azione progettuale verso esiti creativi, utili ed esteticamente accettabili. “Un buon progetto nasce non dall’ambizione di lasciare un segno, ma dalla volontà di instaurare uno scambio, anche piccolo, con l’ignoto personaggio che userà l’oggetto da voi progettato.” Achille Castiglioni
Perché ciò avvenga occorre che l’azione sia sorretta da un’idea che orienti verso una direzione precisa le capacità intuitive del progettista e offra obiettivi concreti alla sua abilità tecnica ed alla sua sensibilità estetica. Organizzare risorse verso uno scopo (progettare) è dunque un’attività affine a quella di uno stratega che costruisce tattiche a tavolino e poi le governa sul campo di battaglia2. Proprio come Annibale alla battaglia di Canne - uno degli atti tragicamente più creativi della storia3 - organizzare la realtà per raggiungere uno scopo (anche non cruento) comporta la capacità di interpretare la natura del terreno di battaglia (capire il contesto in cui si agisce), riconoscere le debolezze (o le ragioni) dell’avversario, valutare il tempo a disposizione ed essere consapevoli delle proprie forze utilizzando queste condizioni per costruire la “trappola perfetta” (il progetto) in cui attrarre l’esercito romano di turno (il problema da risolvere) nella geometria di azioni e di tempi che la nostra strategia (l’idea che tutto lega e che a tutto dà un senso coerente) deve prevedere in anticipo e poi governare (anche in modo elastico per adattarla alle mutazioni del quadro di riferimento), rendendola concreta e micidiale sul campo di battaglia.
“Un esempio di forma spontanea è la lampada di maglia Falkland. Il materiale è un tubo di filanca. Da molto tempo pensavo all’elasticità come componente formale di oggetti e un giorno sono andato in una fabbrica di calze per vedere se mi potevano fare una lampada. – Noi non facciamo lampade, signore. – Vedrete che le farete. E così fu.” Bruno Munari
Il progetto dunque è sempre un atto creativo complesso che fonda la propria forza e la propria validità nella forza delle idee che lo sorreggono. In tal modo i suoi esiti – che nel caso dell’Architettura coincidono con oggetti concreti4 - non possono essere ridotti a semplici esiti materiali del processo, ma rappresentano essi stessi un’interpretazione originale (ancorché mediata spesso dall’adesione ad uno “stile” storicamente collocabile), personale e orientata del pensiero che li ha generati. Non può dunque esistere progetto senza un’interpretazione sintetica delle
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condizioni al contorno sostenuta da un’idea che individui come utilizzarla in modo “costruttivo” in vista del raggiungimento del risultato auspicato. Per tale motivo, essendo le idee espressione della particolare visione del mondo di chi le ha generate, gli esiti del progetto di architettura sono sempre (nel bene e nel male) espressione concreta della visione del mondo del loro autore. Tale visione risulta perciò tanto più significativa e condivisibile quanto più è frutto della capacità dell’architetto di interpretare, anche con un approccio originale ed esiti non convenzionali, esigenze reali e profonde se non addirittura istanze eterne ed universali. Un costante riferimento ad una “necessaria concretezza” costituisce pertanto il carattere specifico del lavoro dell’architetto e degli esiti materiali del suo agire, segnando il confine tra il campo d’azione dell’architettura (anche intesa come forma d’arte) e quello delle discipline artistiche pure. Se per queste il carattere autoreferenziale, disimpegnato e autobiografico dei propri protagonisti e delle loro opere è ormai una condizione acquisita e ampiamente legittimata dall’estetica contemporanea5, oggi come sempre agli architetti ed ai loro progetti è impossibile invece sfuggire alla propria responsabilità sociale.
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“(...) Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. – Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan. – Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che mi importa. Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.” Italo Calvino, Le città invisibili, 1972
Ciò nonostante il carattere fortemente pragmatico, “oggettivo”, concreto e socialmente responsabile dell’architettura non nega, come vedremo nei testi che vengono di seguito proposti e nelle opere concrete dei loro autori, la possibilità che il lavoro dell’architetto possa tracciare alcune strade che consentono alla bellezza di entrare in contatto con noi in modo continuo, quotidiano e pervasivo.
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IDEE COME MATRICI / OGGETTI CONCRETI COME SCOPO/ RESPONSABILITA’ COME CONDIZIONE OBBLIGATA DELL’AGIRE “(...) Quello dell’architetto è un mestiere così delicato e pericoloso non solo per chi lo pratica ma anche, direi sopratutto, per gli altri. Il mestiere dell’architetto è terribile (...) quando compi degli errori imponi una full immersion nel mondo sbagliato che tu costruisci, a migliaia, talvolta milioni, di persone e per un lungo, spesso lunghissimo, tempo. Un mestiere davvero delicato e pericoloso.” Renzo Piano
Sono questi i nodi della discussione attorno ai quali si articolano le riflessioni di tre importanti architetti – Alberto Campo Baeza, Peter Zumthor e Etienne-Louis Boullée - con interpretazioni ricche, ispirate e non univoche, contenute in quattro brevi testi che possiedono la virtù della sintesi e della chiarezza. I primi due testi sono tratti da una raccolta di scritti dell’architetto spagnolo Alberto Campo Baeza pubblicata per un corso di dottorato con il titolo, per noi particolarmente significativo di “Un’idea costruita”6. Il terzo testo è la sintesi di un saggio più ampio, proposta come programma del corso di progettazione che Peter Zumthor ha tenuto dalla fine degli anni ‘90 all’Accademia di Mendrisio7. Il quarto testo, a segnalare che i concetti di cui trattiamo hanno radici lontane e autorevoli, è costituito dall’incipit di un breve saggio di EtienneLouis Boullée scritto alla fine del XVIII secolo8. Li ho scelti perché, dei temi che qui interessano, danno una lettura più ricca, sfumata e necessariamente meno schematica della mia e per il loro indubbio valore pedagogico che li rende particolarmente adatti agli scopi di queste riflessioni rivolte agli studenti dei primi anni di architettura. I testi provengono, come è evidente, da autori che esprimono culture progettuali, biografie ed esperienze professionali diverse – persino incompatibili per certi versi - come ben evidenzia il modo con cui abbordano e sviluppano il tema. Ciononostante tutti concordano, con argomentazioni e obiettivi diversi, sulla necessità di una prevalenza dell’idea sull’azione, della necessità di concepire la pratica solo come atto di concretizzazione di un precedente atto creativo astratto. Questo carattere specifico dei testi appare particolarmente significativo dal momento che nessuno degli autori – ad eccezione forse di Boullée - è certo accusabile di praticare forme di intellettualismo astratto, trattandosi di architetti nelle cui numerose opere le qualità concrete dell’agire professionale sono spesso rappresentate al massimo livello.
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Zumthor e Campo Baeza in particolare sono autori il cui rapporto con l’agire concreto e con la materia dell’architettura appare il dato biografico determinante. Un ottimo esercizio che suggerisco è perciò quello di accompagnare la lettura dei saggi con le immagini delle opere dei loro autori, in modo da verificare la coerenza tra parola scritta e realizzazioni concrete, apprezzando come questi testi nascano da una riflessione sulla natura del progetto e della costruzione a partire da un’esperienza diretta di tali fenomeni. La lettura parallela dei testi e delle immagini contribuirà anche a ridimensionare l’apparente astrattezza di alcune concettualizzazioni contenute negli scritti, che appariranno più comprensibili se illuminate dalla osservazione della loro concreta materializzazione. Si comprenderà così inoltre che, in architettura, non tutto può esser detto – e può esser detto bene ed esaurientemente – con le parole, ma che solo l’esperienza diretta degli oggetti costruiti può condurre a comprendere la loro complessità ed il senso profondo delle idee di cui sono portatori. Stupirà ancora una volta infine constatare come l’intelligenza applicata al progetto possa produrre infiniti mondi e infinite forme legittime, condivisibili e avviate felicemente sulla strada della bellezza.
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Note
1. Basta pensare all’esito dei concorsi di architettura in cui si verifica come ad una unica richiesta del bando possano corrispondere decine se non centinaia di risposte progettuali diverse. 2. E’ curioso e tragico constatare come non di rado sia proprio nelle attività più disdicevoli alle quali si applica il genere umano – le guerre ad esempio – che si manifesta al suo massimo grado la creatività, intesa nei termini sopra espressi. Basta pensare infatti all’importanza degli eventi bellici nello sviluppo della scienza e della tecnologia: all’inizio della seconda guerra mondiale, ad esempio, le aviazioni di tutti i paesi belligeranti schieravano ancora squadriglie di biplani; quattro anni dopo ad agire in cielo erano razzi ed aerei a reazione; per non parlare poi del rapidissimo sviluppo della tecnologia nucleare e del suo tragico epilogo. Sembra quasi che l’uomo abbia necessità di sentirsi stretto in un angolo dagli eventi della storia per mettere in campo le sue prodigiose abilità progettuali, anche se non sempre per fortuna è necessario che a braccarlo sia un evento bellico: pensiamo ad esempio al balzo in avanti che ha compiuto la tecnologia fotovoltaica durante la crisi petrolifera dell’inizio degli anni ‘70, salvo poi essere praticamente abbandonata quando i prezzi del petrolio sono tornati bassi e stabili. Ad ogni modo l’uomo ha sempre la necessità, proprio come uno scolaro fannullone, del panico dell’ultimo minuto per fare bene i compiti! 3. Uno degli esempi più lampanti della capacità progettuale applicata ad uno scopo estremo e non auspicabile come quello bellico è certamente la battaglia di Canne in cui il 2 agosto del 216 a.C. Annibale sconfisse i Romani con una geniale strategia basata su una perfetta interpretazione delle caratteristiche del campo di battaglia e su uno scarto creativo nell’organizzazione del piano di attacco che disorientò le truppe romane attirandole in una trappola in cui si infilarono grazie al loro stesso eccesso di impeto, trasformando così una qualità dell’avversario nella sua più micidiale forma di debolezza. “...Lo schema della battaglia, come l’aveva immaginata Annibale e come in realtà si svolse, era (..) di una semplicità elementare. Ci sarebbe stata l’avanzata delle legioni al centro. I Galli avrebbero ceduto. Inseguendo il nemico che indietreggiava i Romani sarebbero penetrati dentro lo schieramento cartaginese come in una sacca. Le ali arretrate della fanteria punica li avrebbero stretti sui fianchi impedendo loro di manovrare. Nel frattempo la cavalleria cartaginese avrebbe sgominato quella romana, più debole e male schierata; e sarebbe stata libera di portare il colpo di grazia alle legioni incastrate nel mucchio, prendendole alle spalle e togliendo loro ogni scampo. Per quanto straordinario possa sembrare, la battagliasi svolse esattamente così. Come Annibale l’aveva prevista e preparata e senza un solo punto di variazione. Pareva un esercizio di matematica. Polibio la riassume in una sola frase: “Accanendosi sui Galli, i Romani s’erano lasciati accerchiare dai Cartaginesi Il risultato fu esattamente quello che Annibale aveva voluto”. Ma gli esercizi di matematica non basta proporli, bisogna anche saperli svolgere a perfezione. E non si sa cosa ammirare di più, nella vittoria conseguita da Annibale a Canne: se la genialità della strategia, o l’esattezza dell’esecuzione.” 4. da: G. Granzotto, Annibale, Mondadori-Il Giornale, Milano, 2007, pag.183 e anche Polibio, Storie -Libro III, , traduzione di Carla Schick, Mondadori, Milano,1996, pagg. 88-118 5. Per quanto sia convinto che lo scopo dell’architettura consista nel dare forma e corpo a spazi fisici reali, una parte importante della storia dell’architettura moderna occidentale mi impedisce di assegnare a tale affermazione un valore assoluto. Pur non essendo mai stato un appassionato assertore dell’architettura disegnata credo però che non possa essere semplicisticamente espulsa dall’ambito disciplinare ogni forma di pensiero architettonico che non esiti (per difficoltà realizzativa o per scelta) in oggetti fruibili dotati di una concreta materialità. In tal senso la concretezza cui qui alludo si
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riferisce non tanto alla materialità dei prodotti, quanto piuttosto al fatto che l’agire progettuale in architettura debba sempre avere come obiettivo – anche nei casi più estremi – la “concreta” possibilità di produrre edifici reali. Per uno sviluppo del tema rimando perciò a: A. Rossi “Introduzione a Boullée” in: ÉTIENNE-LOUIS BOULLÉE, Architettura. Saggio sull’arte, Torino, Einaudi, 2005, pagg XXIII-XLIII e V. GREGOTTI, Tre forme di architettura mancata, Torino, Einaudi, 2010, pag.57. 6. Cfr. J. Silber, Architetture dell’assurdo, Torino, Lindau, 2009, pag. 31. 7. A.Campo Baeza, A ideia construìda, Casal de Cambra, Caleidoscopio, 2009 (la traduzione del testo 1 è a cura di E.G.; il testo 2 è tratto da Domus n. 775 – 1995). 8. P. Zumthor, Pensare architettura, Electa, Firenze 2003 9. É.-L. Boullée, Architettura.Saggio sull’arte, Torino, Einaudi, 2005
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* Tutte le immagini e le citazioni che accompagnano il percorso bibliografico sono rigorosamente estratte e prelevate dalla rete in nome di una non meglio identificata Open Source Architecture (OsArch) sviluppatasi dall’avvento del World Wild Web ad oggi. L’invito è quello di indagare, di rubare a vostra volta.
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Rifle s s i o n i * Enrico Giacopelli /// Compendio al Corso di Composizione Architettonica ////////////////////// Facoltà di Architettura /// Politecnico di Torino //////////////////////////////////////////////////////
* Enrico Giacopelli (1959), architetto, parallelamente all’attività professionale svolge attività di ricerca e di docenza in campo universitario ed extrauniversitario, contribuendo ad orientare la propria attività professionale verso temi che comportano un approfondimento metodologico e una riflessione sui riferimenti storici dell’agire professionale. Ha sviluppato attorno al tema della conoscenza, della salvaguardia e della valorizzazione del patrimonio architettonico moderno parte della propria attività professionale attraverso progetti di restauro e recupero, approfondimenti scientifici, consulenze e attività di animazione culturale.Tra gli esiti di tale azione: la catalogazione del patrimonio dell’architettura moderna di Ivrea / la redazione delle Normative di Salvaguardia dell’architettura Moderna di Ivrea / la consulenza al Nuovo PRG di Ivrea relativa al tema dell’architettura moderna / la progettazione del MaAM / la consulenza per il restauro del Quartiere Canton Vesco / il restauro delle Officine ICO di Figini e Pollini / la consulenza per la conservazione del Centro Congressi La serra di Cappai e Mainardis. Al restauro delle Officine ICO sono stati assegnati nel 2009 la Menzione d’Onore “Medaglia d’oro all’architettura italiana” della Triennale di Milano e il “Premio In-Arch”. È professore a contratto di Composizione Architettonica presso la II Facoltà di Architettura di Torino ed è coordinatore e docente della “International Summer School of Ivrea”.