Quattro zampe in tribunale

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Claudia Taccani Edgar Meyer

Storie di animali (e uomini) alle prese con la legge


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Ecoalfabeto Collana diretta da Marcello Baraghini e Stefano Carnazzi Coordinatore della collana: Edgar Meyer © 2010 Claudia Taccani ed Edgar Meyer © 2010 Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri ISBN 978-88-6222-133-7 www.stampalternativa.it email: redazione@stampalternativa.it

Finito di stampare nel mese di maggio 2010 presso la tipografia Iacobelli srl – Roma

Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons “Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.5”, consultabile all’indirizzo http://creativecommons.org. Pertanto questo libro è libero, e può essere riprodotto e distribuito, con ogni mezzo fisico, meccanico o elettronico, a condizione che la riproduzione del testo avvenga integralmente e senza modifiche, a fini non commerciali e con attribuzione della paternità dell’opera.

Ecoalfabeto – i libri di Gaia Per leggere la natura, diffondere nuove idee, spunti inediti e originali. Spiegare in modo accattivante, convincente. Offrire stimoli per la crescita personale. Trattare i temi della consapevolezza, dell’educazione, della tutela della salute, del nuovo rapporto con gli animali e l’ambiente.

I LIBRI DI

GAIA ANIMALI & AMBIENTE

CON IL CONTRIBUTO DI Le emissioni di CO2 conseguenti alla produzione di questo libro sono state compensate dal processo di riforestazione certificato Impatto Zero®


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Il guaìto di un cucciolo preso a calci per malvagità è molto diverso dal pianto di un bambino? Dino Buzzati


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A tutti gli animali maltrattati del mondo questo libro è rispettosamente dedicato. Con la speranza che i loro diritti siano finalmente riconosciuti. A Simba, la nostra dolcissima cagnolina che ci ha accompagnati per quindici anni donandoci affetto e fedeltà. Un pensiero riconoscente va a Mordillo, Tella e Andy; a Viola e Billy; a Miki, Sofi, Nana, Kalimero e Picchio. Tutti indimenticabili.

Ringraziamenti Grazie di cuore a Carlo Bettio, a Sabrina Michela Zugno, ad Anna Caberlon e a tutto lo staff di Net-Telerete Nordest, l’azienda padovana che ha curato negli scorsi anni con competenza e capacità i call center dell’Ufficio Diritti Animali della Provincia di Milano e del Comune di Roma. Grazie a Marina Spanò, già responsabile dell’Ufficio Diritti Animali della Provincia di Milano, per la capacità organizzativa e la competenza; a Roberta Oteri, responsabile di segreteria di Gaia Animali & Ambiente Onlus; a Pinuccia Montanari, assessore ai Parchi e al Benessere Animale del Comune di Genova e a Paola Vada ed Elena Rozzoni dell’Ufficio Diritti Animali del Comune di Genova, gestito con professionalità e passione. È stato importantissimo, per perfezionare questo libro, il qualificato lavoro dell’avvocato Ferdinando Perugini, le cui consulenze legali sono sempre precise e puntuali. Spunti originali e interessanti sono arrivati da Stefano Apuzzo, portavoce di Gaia Animali & Ambiente; da Stefania Maniscalco, avvocato di Gaia Lex; da Gianluca Felicetti, presidente di Lav e da Ciro Troiano, responsabile del Rapporto Zoomafia della Lav. E, per concludere come si è iniziato, cioè con il cuore, grazie ad Alessandra Corbella dell’associazione Diamoci La Zampa, per aver supportato il nostro lavoro e sopportato… noi stessi.


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Premessa Accolgo con grande piacere la pubblicazione del libro Quattro zampe in tribunale. Agli autori va il mio plauso per l’impegno profuso nella battaglia per i diritti degli animali e la tutela del loro benessere. Considero meritoria l’azione di Edgar Meyer e Claudia Taccani che, mettendo a disposizione la loro preparazione tecnico-giuridica, hanno realizzato un valido vademecum per una corretta e puntuale informazione degli utenti nella gestione, anche legale, di situazioni incresciose, talvolta drammatiche e inaccettabili, che coinvolgono i nostri amici animali. Come ho avuto modo di sottolineare in più occasioni, ritengo il legame uomo-cane uno dei più intensi e profondi, senza il quale l’uomo perderebbe una componente importante di sé. I nostri compagni a quattro zampe integrano la nostra vita e sempre più spesso sono ritenuti a tutti gli effetti componenti del nucleo familiare. Condivido pienamente il messaggio educativo e il senso civico che si è voluto affermare attraverso la realizzazione di questo libro. Libro che arricchisce e ottimizza il canale di comunicazione con i cittadini e rivaluta in senso positivo il rapporto dell’uomo con gli animali. Nella società moderna tale legame ha subito sostanziali modifiche e occorre pertanto rimodulare questa relazione, adattandola all’evoluzione dei tempi e della società al fine di tutelare la salute e l’incolumità pubblica, oltre che il benessere e i diritti degli amici a quattro zampe. 5


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Dall’inizio del mio mandato sono molte le iniziative che ho portato avanti per sostenere questa concezione, senza mai prescindere dalla conoscenza e dalla comprensione delle caratteristiche fisiologiche ed etologiche proprie della specie animale. Desidero ricordare l’Ordinanza concernente la microchippatura dei cani, con la quale si ribadisce obbligatorietà dell’identificazione mediante microchip, che ha contribuito ad accelerare l’implementazione dell’anagrafe canina nazionale, permettendo la rintracciabilità degli animali vaganti. Al fine di limitare e contenere l’esecrabile fenomeno degli avvelenamenti dolosi, ho firmato l’Ordinanza sul divieto di utilizzo e detenzione di esche e bocconi avvelenati per contrastare e colpire gli autori di questo crimine. La presenza nell’ambiente di esche o bocconi contenenti veleni o sostanze nocive costituisce, infatti, un serio rischio non solo per i nostri amici animali, ma anche per la stessa popolazione umana e in particolare per i bambini. Parimenti, ho fortemente voluto l’emanazione dell’Ordinanza che stabilisce i livelli essenziali di tutela e benessere che i Comuni sono tenuti ad assicurare ai cani ospiti dei canili e che rappresenta, senza dubbio, un passo in avanti decisivo nella salvaguardia degli animali ricoverati e nella lotta al randagismo. Allo scopo di conferire una doverosa responsabilità civile e penale ai proprietari, ho emanato l’Ordinanza per la “tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani”, mantenendo l’impegno di eliminare l’elenco delle 6


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razze “a rischio” che non ha in passato contribuito a ridurre gli episodi di aggressione da parte dei cani. La formazione dei proprietari e detentori di cani è l’elemento focale della mia Ordinanza che prevede l’obbligo per i Comuni, di concerto con le Asl, di istituire percorsi formativi, al termine dei quali viene rilasciato un apposito “patentino”. Il decreto ministeriale firmato il 26 novembre 2009 e pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale” del 25 gennaio 2010 fornisce, a completamento dell’Ordinanza, le linee guida operative per la realizzazione dei corsi che devono concretamente essere lo strumento di educazione per la corretta gestione del cane da parte del proprietario. Un percorso formativo che rappresenta il mezzo per far conoscere loro i doveri e le responsabilità che derivano dalla scelta di dividere la propria esistenza con un animale. I responsabili degli animali devono essere edotti sulle corrette regole di convivenza al fine di evitare errori di educazione, di impostazione della relazione e di comunicazione che possono essere fonte di problemi e fraintendimenti. Questi provvedimenti normativi, che ho emanato finora in condizioni di urgenza, rappresentano solo i primi tasselli del nuovo disegno di legge sulla tutela degli animali d’affezione che è in fase di elaborazione. Tale nuova norma si pone l’obiettivo di tutelare gli animali d’affezione attraverso una serie di misure atte a regolamentare il settore, anche per porre fine alla specu7


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lazione che, negli anni passati, ha afflitto la gestione del randagismo e dei canili. Il disegno di legge si propone di strutturare e disciplinare la materia in un quadro normativo stabile e organico e si prefigge, come ambiziosa finalità, di mutare l’approccio al mondo animale, rendendo l’Italia un modello di riferimento per gli altri Paesi europei. Con l’approvazione in Consiglio dei ministri, il 2 ottobre scorso, del disegno di legge per la ratifica della Convenzione sulla protezione degli animali da compagnia, si è compiuto un ulteriore passo avanti per la tutela della salute e del benessere dei nostri cani e gatti. Grazie all’intenso lavoro di collaborazione con il Ministero degli Esteri, siamo riusciti a stabilire nuove e più severe norme a protezione degli animali da compagnia. Un atto normativo che, tra l’altro, ha introdotto il reato di traffico illecito di cani e gatti, con un inasprimento delle pene in caso di cuccioli di età inferiori a otto settimane, oltre che la previsione di sanzioni per chiunque introduca nel territorio nazionale cani e gatti non identificati e sprovvisti di certificazione sanitaria, così come previsto dalla normativa vigente. Sono consapevole che molto dev’essere ancora fatto affinché le leggi sulla tutela degli animali siano maggiormente efficaci e, a tal fine, occorre un impegno collettivo e un’adeguata formazione civica. La crescita etica e culturale deve coinvolgere le istituzioni, i proprietari di animali e i cittadini tutti. Da parte mia, continuerò a lavorare con la solerzia e 8


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la passione che spero mi riconosciate, confermandovi il mio impegno a tutela di tutti gli animali. L’obiettivo che mi sono prefissa è senza dubbio ambizioso, ma i risultati che stiamo ottenendo mi spingono a proseguire sia nell’attività legislativa che nelle campagne di sensibilizzazione intraprese per accrescere il rispetto e la conoscenza degli animali. On. Francesca Martini Sottosegretario al Lavoro, Salute e Politiche Sociali

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Introduzione Gli animali domestici in Italia sono in costante crescita: oltre 8 milioni di gatti e 7 milioni di cani vivono nelle nostre famiglie. Senza contare altri 30 milioni di uccelli, criceti, cavie, conigli, pesci, animali esotici. Fanno parte della nostra vita. Vanno considerati, a tutti gli effetti, cittadini dei nostri Comuni. Condividono con noi la loro esistenza. Ci fanno compagnia, ci regalano gioia, affetto, calore, ma sempre più spesso, considerata la crescente intolleranza tra gli uomini, anche loro vengono coinvolti nelle nostre beghe, finendo talvolta, inconsapevolmente, nei nostri litigi e nelle aule dei tribunali. Accade sempre più spesso: in tutta Italia sono centinaia, ogni anno, le cause legate agli amici di zampa, ala e pinna. Quattro zampe in Tribunale riporta una serie di casi veri, raccontati in maniera veloce, discorsiva e giornalistica. Di ognuno, al termine, abbiamo voluto inserire una spiegazione normativa, sviluppata in maniera tecnica, ma semplice. Non siamo scesi troppo nei particolari, perché questo non è un manuale per operatori. Abbiamo selezionato i casi più eclatanti e le sentenze che fanno giurisprudenza, raccontate in modo schietto e chiaro (ma anche professionale). Condanne a bracconieri, multe a maltrattatori di gatti, liti condominiali per cani che abbaiano, litigi con amministratori di condominio per mici randagi da accudire, guerre tra ex-coniugi che si contendono l’amato batuffolo, animali sfrattati, vici10


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ni di casa che per un cane o gatto o coniglio si fanno dispetti da anni. Nella prima parte del libro raccontiamo storie tratte da reali fatti di cronaca recente, accaduti su e giù per la penisola. Commuovono, fanno arrabbiare, qualcuna fa sorridere, qualche altra intristisce. Tutte o quasi sono arrivate in tribunale o sulla sua soglia. Alle storie abbiamo aggiunto, per essere concreti, la normativa di riferimento e dei piccoli suggerimenti di comportamento nel caso ci si trovasse in situazioni simili. Perché di storie così, ce ne sono (quasi) tutti i giorni. Nella seconda (e terza) parte, invece, c’è un pezzettino dell’esperienza fatta nei cinque anni di gestione dell’Ufficio Diritti Animali della Provincia di Milano e con Gaia Lex, lo strumento legale dell’associazione Gaia Animali & Ambiente messo a disposizione dei cittadini che vogliono far rispettare i diritti degli animali e della salvaguardia dell’ambiente. Come difendersi da un vicino che vuole che ci “liberiamo” del cane che gli dà fastidio? Come rispondere all’amministratore di condominio che non vuole che si dia da mangiare ai gatti randagi? Come denunciare chi maltratta o uccide un animale? In questo libro speriamo si possano trovare alcune risposte. Gandhi diceva che il grado di civiltà di un popolo si può misurare anche da come questo tratta i suoi animali. In Italia abbiamo alcune buone leggi che vanno fatte conoscere e, soprattutto, fatte rispettare. I nostri “fratelli minori”, 11


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come li chiamava san Francesco, hanno diritti precisi e, sempre piĂš, avvocati sensibili, come quelli di Gaia Lex, vogliono che siano onorati. Per far fare un passo avanti al grado di civiltĂ del nostro Paese. Claudia Taccani Edgar Meyer

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Un po’ di storia

Nel corso della storia umana è capitato più volte di vedere gli animali (anzi, gli altri animali: non dimentichiamo che apparteniamo al regno animale anche noi) alla sbarra. Dal pappagallo monarchico al merlo sovversivo, non si contano le storie di imputati “speciali”, regolarmente dotati di avvocato. L’epoca d’oro – si fa per dire – dei processi agli altri animali non poteva che essere il Medioevo. Qualche eco è arrivata fino a noi. Un esempio? La chiesa di Falaise, in Francia, custodisce l’affresco della pubblica esecuzione per strangolamento di una scrofa infanticida, avvenuta nel 1336. Nei processi, in genere, il problema delle difficoltà di comunicazione tra specie e specie veniva affrontato con modalità non particolarmente favorevoli al reo: secondo i criteri dell’epoca, negli interrogatori si usava infatti la tortura, e le grida dell’animale venivano equiparate a confessione. Allo stesso modo, nei processi per bestialità, l’animale che dimostrava di riconoscere l’uomo era considerato per questo consenziente. 13


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Un problema più complesso era quello dei complici: erano da considerare tali gli animali che avevano assistito al misfatto senza impedirlo? Sì, fu la tesi del pubblico ministero a un processo che si tenne in Borgogna il 5 settembre del 1379 contro tre scrofe che avevano ucciso un malcapitato pastorello. Da giustiziare era dunque tutta la mandria. Poiché però le carni degli animali condannati a morte non potevano poi essere utilizzate a scopo alimentare e la mandria era comunale, il rischio concreto era quello di lasciare l’intero villaggio di Jassey senza rifornimenti invernali. E così il priore fece un ricorso al duca Filipo l’Ardito, ottenendo una grazia di massa. I tempi bui non sono tuttavia finiti con la fine del Medioevo. Infatti, se Victor Hugo ci narra della capretta di Esmeralda, processata per stregoneria con la sua proprietaria, Voltaire riferisce di un cavallo giudicato per reati analoghi nel 1610 per colpa di un padrone che gli aveva insegnato esercizi un po’ troppo complicati e che sfuggivano alla comprensione dei contemporanei. Non si deve pensare che questi imputati fossero privi di giuste garanzie formali, al contrario! Certo, molto dipendeva, come oggi, dall’avvocato… Nel 1545, ad esempio, un processo in Savoia contro un branco di cavallette, citate in giudizio per i danni che stavano provocando alle coltivazioni fu bloccato dall’ostruzionismo di un avvocato difensore ostinato a richiedere l’assoluzione dei suoi assistiti “per incapacità di intendere e volere”, fino a che gli accusati non ebbero finito di divorare tutto il divorabile, rendendosi in seguito contumaci. E quando quarantadue anni dopo il problema si ripresentò, anzi, il nuovo legale propose addi14


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rittura il non luogo a procedere per non presenza di reato. “Iddio creò gli animali prima degli uomini e a tutti, ragionevoli e irragionevoli, concesse il diritto di cibarsi sulla terra conformemente alla propria natura. Non li avrebbe creati senza il diritto di usare liberamente della vita! E le piante non furono create perché servissero agli animali?”, disse nell’arringa difensiva, con alcuni spunti di notevole modernità. Il Comune decise allora di assegnare alle bestiole un campo apposito perché si sfamassero senza danneggiare gli uomini, ma l’avvocato chiese una perizia giudicando il terreno non adatto alle loro esigenze. Nelle maglie della causa le cavallette ebbero di nuovo il tempo di squagliarsela. Ancora garantismo. Nel 1750, ha raccontato recentemente il quotidiano “Libero”, una mula accusata di relazioni sessuali illecite col suo padrone fu assolta con tanto di attestato di buona condotta: le testimonianze dei vicini sulla sua “morigeratezza” avevano convinto i giudici che la poveretta andava considerata vittima di stupro. E merita di essere citata anche l’arringa con cui un difensore giustificò la mancata comparizione in tribunale dei topi da lui assistiti, malgrado la perentoria citazione a loro inviata. “Si consideri la lunghezza e la difficoltà del viaggio che gli animali da me rappresentati dovrebbero percorrere, il pericolo cui essi sono esposti da parte dei gatti, loro mortali nemici, i quali, avendo saputa la cosa, li aspettano in ogni dove, tendendo loro insidie per divorarli e farne alla fine orribile scempio!”. Grandioso. Sembra di leggere l’arringa con cui un noto avvocato parlamentare evita a un ancor più noto presidente del Consiglio di presentarsi in tribunale per essere giudicato, con la giustificazione che nella sua fitta agenda 15


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non c’è purtroppo spazio per questo tipo di appuntamenti. Non a tutti andava, però, così bene. La “progressista” Rivoluzione francese, ad esempio, ghigliottinò un pappagallo che aveva gridato “Viva il re!” e condannò un cane che un padrone evidentemente “reazionario” aveva istigato a mordere i polpacci di un venditore di giornali giacobini. Per par condicio si deve ricordare che anche durante la Restaurazione austro-russa a Milano, nel 1799, il commissario Bezzetta imprigionò un bambino assieme al suo merlo sovversivo che si ostinava a fischiettare il proibitissimo motivetto rivoluzionario del Ça ira. Uno degli ultimi processi ad altri animali di cui si ha documentazione risale al 1861, quando una corte scozzese giudicò un gallo che aveva ferito a morte un fanciullo. Le cose, oggi, vanno diversamente? Lo vedremo nelle prossime pagine.

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Storie


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Non le paga gli alimenti e lei gli rapisce il cane. Nella lite tra separati ci va di mezzo il pechinese

La storia

Non le pagava gli alimenti da tre mesi e lei, ex-moglie avvenente della Milano bene, 40 anni, un amante di 29 e un biglietto per Ibiza nella borsetta, per ottenere i soldi necessari alla vacanza ha pensato di prendere in ostaggio l’amato cagnolino dell’ex-marito. “O mi paghi quello che mi devi”, gli ha gridato al telefono dopo il ratto del quadrupede, un magnifico pechinese di tre anni, “o di lui non vedrai più nemmeno un pelo”. E così il poveretto, solo e disperato due volte, per l’ex-moglie prima e il cane poi, ha chiamato il telefono amico di Aidaa, l’Associazione italiana difesa animali e ambiente. Poteva rivolgersi al 112 o al 113, ma l’uomo ha fatto la sua scelta e, alla fine, grazie alla mediazione condotta dall’associazione, dopo pochi giorni il pechinese è saltato di nuovo in braccio al padrone e la signora in partenza per Ibiza ha incassato l’assegno con gli arretrati degli alimenti che l’exmarito non aveva versato. “Non volevo pagare”, ha spiegato l’uomo, “perché sapevo che li avrebbe usati per andare in vacanza con l’amante, e questo mi faceva infuriare”. Alla fine, però, l’amore per il quattrozampe ha prevalso sul dolore per le corna e il bellissimo pechinese è tornato a casa in cambio di un assegno circolare di 3.500 euro. Soddisfatto anche il mediatore, l’associazione Aidaa, che ha convinto l’uomo a pagare e la donna a restituire l’animale preso in ostaggio. “Fondamentale”, hanno chiarito i responsa18


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bili dell’associazione, “è stato fare capire alla signora che rischiava una denuncia da parte del proprietario”. La normativa/la legge

La questione si è quindi risolta positivamente per il povero cagnolino che, come i figli, spesso e volentieri può essere utilizzato tra gli ex-coniugi come “arma” di ricatto. Bene, analizziamo quindi questo caso alla luce della normativa del Codice penale. Il comportamento della signora milanese è infatti penalmente rilevante, poiché l’aver usato minaccia nei confronti dell’ex-marito per ottenere la corresponsione dell’assegno di mantenimento, disposto dal giudice in corso di separazione, integra l’ipotesi delittuosa di violenza privata e, molto probabilmente, anche quella di furto. Il reato di violenza privata di cui all’art. 610 C.p. è fra i delitti contro la persona e consiste nel costringere altri, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualche cosa. Tale comportamento criminoso è punibile con la reclusione fino a quattro anni. Nella fattispecie, possiamo pacificamente constatare che la signora ha costretto l’ex-marito ad adempiere ai propri doveri – pagamento dell’assegno di mantenimento comprensivo di arretrati – mediante l’impossessamento del cane e la minaccia di cagionare allo stesso animale del male. L’ex-marito è stato quindi costretto a soddisfare le richieste. In questo caso, è bene far presente che la signora avrebbe potuto – a questo punto dovuto! – tutelare i propri diritti con opportuna azione legale, essendo pacifica la sussisten19


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za del suo diritto a ottenere l’assegno dal marito, così come disposto dal giudice. Ricordiamo che la signora, oltre a minacciare l’ex-coniuge di un danno ingiusto all’adorato cagnolino, ha provveduto a sottrarre lo stesso animale, integrando in tal modo la fattispecie delittuosa del furto di cui all’art. 624 C.p. Il reato di cui sopra consiste nel fatto di impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri. Il colpevole è punito, a querela della persona offesa – salvo la presenza di aggravanti che nel caso di specie non sembrano sussistere – con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa. Come faremo presente anche nel corso dell’analisi di altre casistiche, il nostro ordinamento giuridico considera gli animali – compresi quelli da compagnia – come delle res, quindi delle cose. La sottrazione di un cane integra, pertanto, l’ipotesi del furto finalizzato al conseguimento di un profitto la cui definizione, secondo la dottrina prevalente, va intesa in senso ampio e, quindi, qualunque utilità, materiale o morale che il colpevole si riprometta di conseguire ovvero un godimento che egli stesso possa trarre dal bene sottratto. Concludiamo infine che, in base ad una visione animalista, vorremmo poter qualificare un comportamento come quello in esame come un’estorsione, punibile con la reclusione dai cinque ai dieci anni e con una multa; ma questo grave delitto contro il patrimonio sussiste nel momento in cui la violenza o la minaccia siano adoperate al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Nel caso di cui sopra, la minaccia di uccidere il cane è stata po20


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sta in essere al fine di ottenere qualcosa (effettivamente) dovuto, ossia l’assegno di mantenimento e, pertanto, non un profitto ingiusto. Ciò non toglie, ovviamente, l’illegittimità del comportamento posto in essere e sarà il giudice competente a seguire il caso che provvederà a dare una corretta qualificazione giuridica della vicenda, alla luce di tutti gli elementi. Che fare?

Nel caso esaminato, l’intervento di mediazione effettuato dall’associazione animalista ha prodotto ottimi risultati, poiché ha evitato ulteriori conseguenze negative. Teniamo comunque presente che, in casi di questo tipo, il danneggiato ha la possibilità di ricorrere all’autorità di pubblica sicurezza per tutelare il proprio animale e ottenere la repressione di comportamenti minacciosi e violenti. La sussistenza di un diritto, come nel caso della signora milanese, non legittima comunque il farsi giustizia da soli con comportamenti minacciosi e/o violenti. La risoluzione di controversie di tal genere mediante l’intervento di associazioni animaliste o delle Guardie zoofile risulta comunque un’ottima e ulteriore strada da seguire.

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O mi paghi o ti ammazzo il gatto

La storia

“Diecimila euro o lo ammazzo”. Ma non è un parente, né un amico, il soggetto di questa richiesta di riscatto. La vittima in questione non cammina, infatti, su due gambe. L’imprenditore di Sorbolo, in provincia di Parma, a cui è stato recapitato l’inquietante messaggio, avrebbe dovuto pagare la somma ad un ventunenne napoletano che dichiarava di aver ritrovato il suo gatto, smarrito qualche giorno prima. Naturalmente non è passato molto tempo prima della denuncia. Tutto inizia quando l’imprenditore trentasettenne smarrisce il proprio animale da compagnia, una gatta soriana tricolore, alla quale la famiglia dell’uomo è molto legata. Nel tentativo di ritrovarla, l’imprenditore tappezza Sorbolo e Parma di volantini con la foto dell’animale disperso, i recapiti e la promessa di una lauta ricompensa a chi l’avesse ritrovato o avesse dato segnalazioni utili. L’annuncio, però, finisce anche nelle mani del napoletano, disoccupato e già noto alle forze dell’ordine, che pensa di sfruttare al meglio (per lui, naturalmente) la situazione. Come in un film, la chiamata arriva nel cuore della notte e si può solo immaginare il colpo al cuore dell’imprenditore quando si sente dire: “Ho il gatto, ma se lo vuoi devi darmi diecimila euro, o lo ammazzo”. Dopo i primi tentativi di negoziazione, l’imprenditore dà appuntamento al ragazzo per la consegna dei soldi, ma a questo punto intervengono le forze dell’ordine che, risalendo al luogo d’origine della chiamata, riescono a rintracciare il ragazzo, anche grazie ad un testimone oculare della telefonata incriminata. Mo22


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rale: il giovane viene denunciato per tentata estorsione. Purtroppo, la malefatta non si è esaurita qui, perché il napoletano, in realtà, non aveva mai visto il gatto, se non sul volantino. La normativa/la legge

Il comportamento in esame integra l’ipotesi delittuosa del tentativo di estorsione di cui al combinato disposto degli artt. 56 e 629 C.p. Risponde di tale delitto contro il patrimonio chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Nel caso precedente, riguardante un rapimento come ripicca tra ex-coniugi, abbiamo esposto qualche breve considerazione sul delitto di estorsione. Bene, nella presente fattispecie possiamo ritenere che il malvivente napoletano abbia posto in essere atti diretti in modo non equivoco a commettere il reato di estorsione, punibile con la pena della reclusione e della multa. Per completezza, si precisa che, in caso delitto tentato, la pena prevista per il reato è diminuita secondo il criterio di cui all’art. 56 C.p. Nel caso oggetto della presente analisi, per fortuna, il reato non è stato portato a termine, grazie all’intervento delle forze dell’ordine. Secondo l’intento minaccioso del ventunenne napoletano, l’imprenditore avrebbe dovuto sborsargli un’ingente somma di danaro, procurandogli in tal modo un ingiusto profitto con altrui danno, al fine di evitare l’uccisione dell’amato gatto. Pertanto, il proprietario dell’animale è stato 23


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messo in una situazione di costrizione psicologica, essendogli stato prospettato un danno certo e reale. Si osserva, inoltre, che l’ingiusto profitto deve essere inteso come qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale, che produce al reo o ad altri un vantaggio con l’altrui danno. Pacifico constatare che, nel caso in esame, la richiesta da parte del ragazzo di diecimila euro in cambio della restituzione del gatto, prospettando al proprietario l’uccisione dell’animale, integra tutti gli elementi tipici del delitto di estorsione. Che fare?

In casi di questo tipo non si deve mai scendere a compromessi con il ricattatore. Accondiscendere a minacce gravi come questa rischia di aumentare il verificarsi di simili episodi. Inoltre, accettare le condizioni di un ricatto può portare a un esito negativo, come poteva accadere all’imprenditore di Parma: se avesse accettato il pagamento dei diecimila euro, non soltanto avrebbe perduto l’ingente somma di danaro, ma non avrebbe visto neanche l’ombra del suo gatto, perché il ricattatore non lo aveva neppure trovato! La rilevanza penale di fatti di questo genere legittima il “ricattato” a chiedere l’intervento dell’autorità di pubblica sicurezza, effettuare denuncia e, in caso di procedimento penale, costituirsi come parte civile per ottenere il risarcimento di tutti i danni in caso di condanna. Gli animali, infatti, lo ripeteremo purtroppo varie volte, sono considerati nel nostro ordinamento giuridico come delle res – cose – e quindi la relativa sottrazione, lesione o uccisione, cagiona un danno (morale e materiale) al proprietario economicamente quantificabile. 24


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Non paga l’affitto: padrona di casa le sequestra canarini, coniglio e gatto

La storia

Ci sono volute oltre due ore per convincere la signora Amalia (nome di fantasia) a restituire alla sua inquilina, Federica, i due canarini, il coniglio e un gattone che le aveva “rapito” per ritorsione perché Federica da due mesi non pagava la pigione del monolocale di via Lepetit, una traversa di via Vitruvio in zona Stazione Centrale a Milano. La vicenda è iniziata quando Amalia, stanca dei continui ritardi di Federica nel pagare l’affitto del piccolo monolocale, è entrata di soppiatto nell’appartamento della giovane e le ha portato via la gabbietta con i due canarini gialli, la gabbia contenente Alberto, il coniglio bianco nano, e – non contenta – ha infilato nel trasportino anche Romeo, il gattone di dodici anni, portandoseli nel suo appartamento. Dopo due giorni di tira e molla, Federica si è rivolta al telefono amico di Aidaa. L’associazione si è così recata a casa della “rapitrice” e dopo due ore di discussione è riuscita a convincere la signora Amalia che c’erano altri sistemi per farsi pagare l’affitto da Federica, tutti più legali del rapimento degli animali. Alla fine, il gatto Romeo, il coniglio Alberto e i due canarini sono tornati da Federica con la promessa di quest’ultima di pagare le pigioni arretrate entro la fine della settimana. Le due signore hanno così siglato un documento con il quale Federica si è impegnata a pagare puntualmente le future rate dell’affitto e Amalia si è impegnata a sua volta a non portarsi più a casa gli animali di Federica. 25


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La normativa/la legge

Dal punto di vista giuridico, la proprietaria di casa, pur spinta dall’intenzione di salvaguardare i propri diritti, ha comunque commesso un illecito penale. La signora Amalia, infatti, avrebbe avuto altre lecite possibilità per ottenere quanto dovuto. Il nostro ordinamento giuridico prevede il diritto del locatore di ottenere il pagamento del canone dell’immobile locato dall’inquilino inadempiente. Sussiste infatti la possibilità di ricorrere al giudice per ottenere la somma dovuta, oltre gli interessi, nonché chiedere la convalida di sfratto per morosità. Insomma, omettendo tali dettagli pratici, si può pacificamente constatare che la proprietaria di casa ha fatto ragione da sé. Interessante può essere il paragone con il caso della signora milanese che ha rubato l’amato cane all’ex-marito perché questo non le aveva corrisposto l’assegno di mantenimento, minacciandolo di uccidere il cane in caso di suo inadempimento. Bene, nella presente fattispecie possiamo constatare che non è stato tenuto un esplicito comportamento minaccioso o violento nei confronti dell’inquilina morosa, ma le è stata prospettata implicitamente la possibilità di non vedere i suoi amati animali domestici fino al momento in cui non avesse provveduto al pagamento dei canoni di locazione. Insomma, come nel caso della bella signora milanese, la presente fattispecie potrebbe integrare un’ipotesi delittuosa di violenza privata. Si ritiene inoltre opportuno rilevare che il caso suindicato parrebbe integrare la diversa ipotesi di furto aggravato ai sensi del’art. 624 bis, comma primo, C.p. che prevede che 26


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“Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 309 a euro 1.032”. Nel caso di specie, infatti, la signora Amalia è entrata illegittimamente nella casa di Federica, la quale, seppur morosa nel pagamento dell’affitto, ha comunque il diritto di decidere chi farvi accedere e quando. Come già osservato in precedenza, dottrina e giurisprudenza prevalenti danno un’ampia definizione di “profitto”, intendendo qualsiasi utilità in capo al reo, non solo di natura economica, ma anche morale. La differenza rispetto alla questione relativa alla signora milanese che aveva sottratto il cagnolino all’ex-marito è dunque sottile: in entrambi i casi, i soggetti agenti vogliono tutelare in maniera arbitraria un proprio diritto, ma con modalità assolutamente illegittime, comportamenti minacciosi che in un caso si concretizza in un vero e proprio ricatto (“o mi paghi l’assegno di mantenimento o ti ammazzo il cane!”), nell’altro in una minaccia implicita (“ti sottraggo gli animali da casa tua finché non mi paghi l’affitto”). Insomma, in casi di questo tipo, anche se l’agente che commette un illecito lo fa perché condotto da una motivazione anche giusta, è pur sempre colpevole di non aver scelto delle strade alternative che l’ordinamento gli concede. L’esercizio di un diritto, seppur esistente, non giustifica dei comportamenti penalmente rilevanti come quello della minaccia, della violenza ovvero del furto. 27


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Che fare?

Federica ha operato la scelta corretta nel chiedere l’intervento dell’associazione animalista, grazie alla mediazione della quale le due signore sono giunte ad un accordo conciliativo.

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Assolti i proprietari di quattro cani che disturbavano i vicini

La storia

I cani che abbaiano non disturbano la quiete pubblica, dunque i loro padroni non possono essere condannati per il “disturbo” che gli animali arrecano ai vicini. Ha fatto gioire tutti i proprietari di cani la sentenza emessa dal giudice Alessandro Bravin, che ha assolto Maria Grazia F. e Giorgio M. dall’accusa mossa contro di loro dalla procura della Repubblica. A sottoscrivere la richiesta di decreto penale di condanna era stato il sostituto procuratore Giovanna Mastroianni e ad emettere il decreto il gip Maria Vittoria Marchianò, che aveva ritenuto i due proprietari responsabili di disturbo della quiete pubblica. La Ferroni e il Morabito, però, non hanno accettato di buon grado la condanna al pagamento di 300 euro e, affiancati dall’avvocato Peppe Fonte, hanno presentato opposizione, determinando l’avvio di un procedimento penale in piena regola. Il 14 febbraio 2005 la conclusione del processo, con la sentenza di assoluzione firmata dal giudice Bravin che ha accolto la tesi difensiva secondo la quale i quattro animali chiusi nel giardino della villetta di Tiriolo avrebbero disturbato solo alcuni vicini e, dunque, non si configurerebbe il reato di disturbo della quiete pubblica. Riabilitando, in tal modo, i cani e i loro padroni. La normativa/la legge

Chi possiede un animale “rumoroso” deve guardarsi: 29


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1. dall’art. 659 del Codice penale (“disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”) che recita: “Chiunque mediante schiamazzi o rumori, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, è punito con l’arresto fino a tre mesi”, o con un’ammenda fino a 300 euro. 2. dal Regolamento di Polizia urbana (o analogo regolamento) del Comune di residenza. Quello di Milano, ad esempio, prevede all’art. 84 che il cane non rechi disturbo o danno al vicinato; durante la notte non deve disturbare la quiete pubblica abbaiando, pena una sanzione di 50,00 euro (minimo 25,00 euro, massimo 180,00 euro). Secondo un’ancora più recente sentenza della Corte di Cassazione, tuttavia, non è sufficiente che il disturbo sia arrecato ad un solo vicino, ma è necessario che riguardi una pluralità di persone. L’interesse tutelato dalla norma è quello della pubblica tranquillità. È necessario che i rumori derivanti dagli animali siano idonei “ad incidere negativamente sulla tranquillità di un numero indeterminato di persone”. Che fare?

Un cane che abbaia di continuo è un cane non sereno. Non ci si deve illudere di poterlo lasciare tutto il giorno sul balcone o in giardino, il cane esige la compagnia e la presenza degli esseri umani. Su un balcone, pur grande e accogliente, il cane da solo soffre. Quindi abbaia per richiamare l’attenzione dei suoi tutori, creando disturbo e fastidio. Un bravo “padrone” farà dunque in modo che il quattrozampe abbia poche occasioni per lamentarsi e per disturbare vicini irritabili. 30


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Talvolta, tuttavia, le liti tra condomini hanno radici più profonde e gli animali sono solo un pretesto. Si arriva talvolta a minacciare l’allontanamento del cane dalla casa. È possibile impedire di avere un animale in casa? Il regolamento condominiale non può impedire il possesso e la detenzione di animali in casa, propria o in affitto, a meno che non abbia natura “contrattuale”, cioè che non sia sottoscritto e firmato dalle parti all’atto della compravendita dell’immobile. I regolamenti condominiali sono di due tipi: “contrattuali” o “assembleari”. – Regolamento contrattuale. Di solito, chi vende allega al contratto il regolamento oppure vi fa specifico riferimento (mediante una clausola con la quale l’acquirente dichiara di aver preso visione del regolamento e di accettarlo in ogni sua parte) e l’acquirente, firmando il contratto, accetta automaticamente anche le norme del regolamento. Un regolamento di natura contrattuale può impedire di tenere animali in appartamento, perché tale limitazione risulta accettata da chi ha accettato anche tutte le norme del regolamento all’atto di acquisto. – Regolamento assembleare. Il regolamento assembleare viene stabilito dall’assemblea condominiale. Non può sopprimere o limitare i diritti che l’ordinamento giuridico riconosce ai proprietari dell’appartamento, come quello di avere un quattrozampe per compagno. Una norma condominiale inserita in un regolamento assembleare che imponesse il divieto di detenere animali sarebbe illegittima e pertanto nulla.

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Ascensore vietato al quattrozampe extralarge

La storia

Tobia ha 15 mesi, un bel carattere e 87 chili di peso. La sua “colpa” è proprio questa: tra non molto arriverà a pesare quasi un quintale, cioè 100 chili. Troppo per i meccanismi dell’ascensore? Secondo i condomini, sì. Per questo il mastino inglese extralarge si vede “chiudere” la porta dell’ascensore. Nel vero senso della parola. Il condominio di Milano in cui vive impone alla padrona il divieto di portarlo in ascensore, costringendo entrambi a fare cinque piani di scale a piedi. Ma la padrona di Tobia non si arrende e ricorre all’associazione Aidaa per trovare una soluzione al problema. Anche perché, dice, “l’ascensore viene pulito e profumato ad ogni utilizzo”. Risultato: le parti hanno trovato un accordo conciliativo (come è sempre opportuno fare in casi di questo tipo!), sul presupposto che Tobia non supera i 250 chili, peso massimo tenuto dall’ascensore, e che imporre l’obbligo allo stesso cane di salire/scendere cinque piani può cagionagli un danno fisico, come dichiarato dal suo veterinario con tanto di certificato medico. In caso di violazione di tale accordo, l’associazione si è riservata di valutare il deposito di denuncia per maltrattamento di animale. Per Tobia, dunque, la storia ha esito positivo. Tutto è bene ciò che finisce bene. La normativa/la legge

Passiamo quindi ad esaminare gli aspetti giuridici che stanno alla base del caso. 32


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Anzitutto si osserva che la vita condominiale è principalmente regolata da alcuni articoli del Codice civile (artt. 1117 e seguenti), nonché da consuetudini. Questa regolamentazione è periodicamente oggetto di interpretazione da parte della giurisprudenza, il cui orientamento ha spesso delle ripercussioni importanti e incisive sull’applicazione del regolamento condominiale. Nella fattispecie, è bene osservare che l’assemblea condominiale può legittimamente deliberare decisioni che vanno a incidere sulle modalità di utilizzo e gestione delle cose comuni. Quindi, ad esempio, per ragioni igieniche o di convivenza il regolamento potrebbe vietare di portare animali in ascensore, oppure obbligare i proprietari a far mettere loro la museruola o adottare altre cautele. L’orientamento prevalente della giurisprudenza è infatti quello di ritenere legittime le limitazioni in tal senso, poiché l’assemblea può decidere in merito al miglior utilizzo delle cose comuni alla luce di motivazioni igienico-sanitarie, di sicurezza, convivenza o altri interessi della vita comune. La maggioranza che dovrà essere adottata perché una delibera di questo tipo sia legittima non deve quindi essere unanime. Differente situazione, invece, il caso in cui il condominio voglia imporre il divieto di tenere cani o altri animali nelle singole frazioni di proprietà, come si spiegava in precedenza. Una limitazione di questo tipo deve infatti essere adottata all’unanimità o mediante un regolamento predisposto dall’originario proprietario/costruttore di un edificio e regolarmente trascritto nei pubblici registri immobiliari. 33


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Per fortuna questo non è il caso che ha interessato il nostro mastino inglese extralarge. Tornando quindi al caso di Tobia, risulta opportuno osservare che l’associazione Aidaa si è riservata di valutare una denuncia per maltrattamento di animali nei confronti del condominio, nel caso di permanenza del divieto imposto alla padrona di Tobia. Infatti, grazie a un certificato del medico veterinario, è possibile dimostrare che il mastino extralarge non può sopportare il percorso quotidiano di cinque piani di scale con conseguenze gravi sulla sua salute. Il reato di maltrattamento di animali di cui all’art. 544 ter C.p., introdotto dalla legge n. 189/2004, prevede la sussistenza dell’ipotesi criminosa nel momento il cui l’animale è sottoposto, per crudeltà o senza necessità, a sevizie, comportamenti o fatiche incompatibili con le sue caratteristiche etologiche. Ciò premesso, la presente fattispecie potrebbe facilmente integrare il delitto di maltrattamento di animali, salvo che il condominio dimostri la sussistenza di motivazioni igienico-sanitarie, ovvero di sicurezza che giustifichino il divieto di portare il cane in ascensore e, quindi, la presenza di una necessità. Casi di questo tipo devono quindi essere risolti in modo da bilanciare i diversi interessi delle parti. Se il cane non è pericoloso per l’incolumità pubblica o per l’igiene, una delibera condominale che impedisce di far alloggiare o circolare l’animale negli spazi comuni è priva di un supporto giuridico di legittimità e, quindi, facilmente opponibile davanti al giudice competente.

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Liti bestiali in condominio

La storia

Nei condomìni, è noto, si litiga spesso. La novità è che crescono le liti condominiali che hanno al centro gli ospiti a quattro zampe dei palazzi cittadini. Nel condominio, infatti, la lite è sempre più “bestiale”. Secondo i dati dell’Anammi, l’Associazione nazional-europea degli amministratori d’immobili, sulla base di un monitoraggio interno ben il 92% dei soci afferma di aver affrontato almeno una volta una disputa sugli animali. Quali sono le motivazioni? Le litigate condominiali sono scatenate da deiezioni, come denunciato dal 30% degli amministratori, rumori (27%), abusi nell’utilizzo degli spazi comuni come cortili condominiali, parcheggi, pianerottoli nel 23% dei casi. Segnalate anche un 20% di liti causate dagli odori dell’animale tenuto in casa. Al Nord si registra il maggior numero di controversie, con il 35% dei casi, seguito dal Centro (33%) e dal Sud (32%). Le regioni dove si litiga di più per gli animali in condominio sarebbero la Lombardia e il Piemonte, seguite da Lazio, Veneto, Emilia e Toscana. Si litiga molto poco invece in Valle d’Aosta. Chi sono i principali “imputati” dei litigi? A far litigare gli italiani sono soprattutto cani (70% dei casi) e gatti (23%). Gli uccelli causano soltanto il 6% delle liti. Va poi segnalato un 1% di dispute che coinvolgono altri animali, come rettili e roditori. Secondo alcuni dati dell’associazione Aidaa, nei condomini italiani si litiga ogni dodici minuti per motivi legati alla presenza di pet. Non solo, nel corso del 35


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2009 sarebbero state cinquantaquattro le liti degenerate che hanno provocato feriti. La soluzione, secondo i dati dell’Anammi, spesso arriva grazie all’intervento di mediazione dello stesso amministratore: il 61% degli amministratori è riuscito a chiudere la controversia in questo modo. Non così fortunati gli altri: il 3% ha un contenzioso ancora aperto, per il 36% “il problema sussiste”. Certo, non sempre le soluzioni degli amministratori di condominio sono geniali. Sulle modifiche ai regolamenti di condominio se ne sentono delle belle. “Non si può permettere ai cani di abbaiare negli orari di riposo, nel primo pomeriggio e dopo le 10 di sera”, recita il regolamento di un condominio del centro di Milano. Peccato che i tutori delle bestiole non abbiano ancora capito come insegnare ai propri cani a leggere l’ora. Ma davvero cani, gatti, criceti e pesci rossi creano tutti questi problemi di convivenza? Difficile da credere. In almeno un terzo dei casi gli animali sono solo un pretesto per attaccare briga con i vicini. Dietro ci sono ben altre questioni irrisolte, o semplicemente l’antipatia e la voglia di litigare. In molti casi, poi, gli animali sono più da compatire che da condannare. Quando qualcuno usa il garage come una stalla per tenerci il proprio cavallo, o spara ai piccioni appollaiati sulla grondaia, forse c’è da interrogarsi sulla salute mentale di questo qualcuno. La normativa/la legge

È possibile impedire di avere un animale in casa? In genere no. Ma dipende. Come spiegato nelle pagine preceden36


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ti, il regolamento condominiale non può farlo. A meno che non abbia natura “contrattuale”, cioè che non sia sottoscritto e firmato dalle parti all’atto della compravendita dell’immobile. Che fare?

Spesso, per piccole questioni domestiche e controversie tra vicini si arriva addirittura all’intervento legale. Questo tipo di intervento sarebbe da evitare, comportando parecchie scocciature e un notevole dispendio di soldi e tempo (oltre ad un intasamento dei meccanismi della giustizia, che già ha i suoi problemi di risorse). Il ricorso al tribunale è necessario nei casi più gravi. La denuncia va fatta scattare di fronte a episodi di maltrattamento, avvelenamento o uccisione. Ma il più delle volte le controversie possono essere risolte o evitate con un po’ di buon senso da parte degli interessati. Per tutelare i diritti degli animali (ed essere consigliati su come procedere per dirimere le questioni e far valere i propri diritti nei confronti del vicinato e degli amministratori, molto spesso non a conoscenza di tutte le normative di tutela animale) è bene rivolgersi ad un’associazione animalista del territorio e/o all’Ufficio Diritti Animali del Comune, laddove presente.

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La classifica dei combina-guai

La storia

Altro che casa, dolce casa. In fatto di sicurezza, il focolare domestico è il luogo dove Fido e Micio provocano più danni. Ne sanno qualcosa i padroni del rottweiler che in un solo colpo ha vaporizzato 3000 euro, mandando in frantumi un’antica brocca di famiglia. E che dire del collie che, scodinzolando, ha versato della Coca-Cola sul tappeto beige del valore di 5000 euro? In Gran Bretagna, una compagnia assicurativa si è presa la briga di intervistare tremila proprietari di cani, per chiedere loro quali siano i danni che i loro amici a quattro zampe provocano in casa. La compagnia ha stilato una classifica (semiseria) dei quattrozampe più combina-guai, anche sulla base delle dieci richieste di risarcimento più bizzarre arrivate loro. Una delle storie più buffe ha come protagonista un alano che, andando a sbattere contro una porta di casa, con la sua novantina di chili di peso, l’ha abbattuta portandosi dietro anche il telaio. Singolare è anche il caso di Alfie, un labrador che ha dovuto subire un intervento chirurgico per riconsegnare un cucchiaio di legno, sgranocchiato mentre il suo padrone cuoceva i biscotti. Peggio di lui ha fatto solo un gatto, anche lui finito sotto i ferri per toglier di mezzo le cinque dita di gomma strappate a un costume per Halloween. Altro incidente, altro risarcimento quello chiesto per Busta, uno staffordshire che ha fatto sparire dalla vasca da bagno una papera di gomma provvista di suono. Ecco allora la classifica semiseria dei cani che combinano 38


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più guai in casa e che rischiano, in casa d’altri, di essere trascinati in tribunale. Alano – il cane che combina più guai sarebbe l’alano. È lui il cane più maldestro tra le mura domestiche. In media, secondo questo sondaggio, nel corso della sua vita combinerebbe danni per 826 euro. Non c’è da stupirsi: chiuso in casa con quella stazza… Chihuahua – non si pensi che siano solamente gli animali di stazza grande a combinare disastri in casa. Ci sono alcune razze di piccola taglia che possono dare filo da torcere. La medaglia d’argento va infatti a questo piccolo cagnolino che però in casa è un vero terremoto. Piccolo sì, ma anche molto agitato, che adora rosicchiare porte e divani ed è capace di causare danni per 785 euro. Insomma, le dimensioni in questa classifica non contano proprio! Mastino – terzo gradino del podio per il guardiano sornione che avverte sempre prima di passare alle vie di fatto ma che, nel corso della sua “carriera”, distrugge casa per 722 euro. Non ce lo saremmo mai aspettati! Basset hound – appena fuori dal podio troviamo il basset hound. A dispetto del suo aspetto da bravo e simpatico tontolone, può arrivare a fare danni per 696 euro. Levriero – elegante, raffinato e con quell’aria glamour, il levriero non è certo fatto per stare chiuso in casa. Lui ama correre, per questo dentro l’abitazione potrebbe avere dei problemi. Così come potrebbero averceli i padroni: i suoi danni potrebbero costare 640 euro. Setter inglese – i setter inglesi si trovano al sesto posto di questa particolare classifica. Anche loro, infatti, abituati 39


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agli spazi aperti, possono avere qualche problema in casa. Giocherelloni, rischiano di trasformarsi in macchine da guerra se gli si dà del filo da torcere… soprattutto quello delle tende. Bulldog – settima posizione per i bulldog, che non hanno un buon rapporto con gli spazi chiusi. Un consiglio ai padroni: chiedete sempre prima il permesso di dormire sotto le coperte con loro. Bassotto – chi lo avrebbe mai detto che il bassotto occupava l’ottava posizione? Però, però: chi ricorda il film “Quattro bassotti per un danese” un tarlo potrebbe averlo. Il danese combinava un sacco di guai perché pensava di essere un bassotto. Ma nemmeno i suoi amichetti scherzavano! Boxer – la nona posizione è occupata, invece, dal boxer. Va detto che nella geografia delle stanze più gradite alle zampe e ai canini c’è il soggiorno, tallonato dal bagno che con le sue tubature diventa un luogo dove azzannare la noia. Beagle – il beagle chiude la classifica delle dieci razze più “disastrose” in casa. A prima vista potrebbe sembrare docile e simpatico, ma in realtà in appartamento – testone com’è – si trasforma in una vera e propria peste. La normativa/la legge

L’Ordinanza contingibile e urgente concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani n. 68 del 23 marzo 2009 prevede: – l’assicurazione obbligatoria di responsabilità civile solo per cani particolari. I proprietari dei cani iscritti nel regi40


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stro dei cani morsicatori e dei cani “impegnativi per la corretta gestione ai fini della tutela dell’incolumità pubblica” (tenuto dai Servizi veterinari delle Asl) devono obbligatoriamente stipulare una polizza di assicurazione di responsabilità civile; – la responsabilità civile e penale dei proprietari. Ai fini della prevenzione del rischio di aggressione da parte di cani, è stato attribuito un ruolo fondamentale alla responsabilità dei proprietari. Il proprietario di un cane, infatti, è sempre responsabile del benessere e del controllo del proprio animale, pertanto risponde sia civilmente che penalmente dei danni o lesioni che l’animale arreca a persone, altri animali o cose. Che fare?

I proprietari più previdenti, o quelli con animali particolarmente “bricconi”, si cautelano con un’assicurazione. In realtà non esistono, o quasi, assicurazioni ad hoc per gli animali. Quello che l’assicuratore di fiducia propone per mettere al riparo il padrone per i danni causati dal suo quattrozampe è, in genere, una polizza di responsabilità civile (R.C.), che tutela la famiglia in qualsiasi sua attività. Nei contratti di assicurazione, generalmente si trova sotto il nome di “polizza del capofamiglia” e comprende ogni membro della famiglia, eventuale animale incluso. Una polizza R.C. capofamiglia costa tra i 50 e i 150 euro circa, a seconda del tipo di massimale scelto. Questo vale, più o meno, per tutte le compagnie. Alcune compagnie d’assicurazione hanno anche una se41


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conda opzione. È possibile stipulare una polizza “multirischio abitazione” che copre alcuni danni alla casa e a fatti di vita privata: tra le garanzie facoltative che è possibile inserire, c’è quella che prevede l’assicurazione dai danni derivati dalla proprietà e l’uso di cavalli, altri animali da sella e animali domestici. Forme promozionali a parte, le polizze delle grandi compagnie che prevedono anche i danni causati dagli animali si somigliano: le polizze in genere prevedono un massimale che può arrivare fino a 350.000 euro per danni alle persone, alle cose o per danni catastrofali (cioè danni sia alle persone che alle cose) a fronte di un premio annuale versato dal proprietario che varia, come detto, tra i 50 e i 150 euro circa.

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Non si puo’é correre in macchina per salvare un pet

La storia

Una giovane veterinaria di Livorno si trova ad assistere all’investimento di un cane. È veterinaria, ama gli animali, è giovane: non può certo voltarsi dall’altra parte. Dunque, presta immediatamente i primi soccorsi. Ma il cane non sta bene e, per poter dare le necessarie cure all’animale, provvede a trasportarlo presso uno studio attrezzato. In tutta fretta. Con il cane sofferente, per salvarlo, preme l’acceleratore oltre i limiti previsti nel tratto di strada percorso. Ma è una giornata no, non solo per il quattrozampe. La professionista toscana viene multata dalla Polizia stradale per eccesso di velocità: ha violato il Codice della Strada. Prestate le dovute cure al cucciolone, la veterinaria provvede a fare ricorso davanti al Giudice di Pace competente avverso la sanzione irrogata. Questi, tenuto conto dell’evento che aveva determinato la violazione dei limiti di velocità consentiti, accoglie il ricorso e annulla la multa. La storia, però, non finisce qui. Purtroppo, successivamente, in seguito al ricorso in Cassazione presentato dal Ministero degli Interni da cui dipende la Polizia stradale, la decisione del Giudice di Pace di Cecina viene ribaltata. La Suprema Corte dispone infatti che lo stato di necessità invocato dall’opponente e relativo all’esimente contenuta nell’art. 4, primo comma, della legge n. 689/1981, è riferito esclusivamente al danno grave “alla persona”, e dunque agli esseri umani, non a qualunque “essere vivente”, compresi gli esseri animali, come ritenuto dal Giudice di Pace. 43


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Morale: il quattrozampe si è salvato, ma il portafogli della giovane veterinaria no. La normativa/la legge

Le “Cause di esclusione della responsabilità” di cui alla legge 689/1981 prevedono che “non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, ovvero in stato di necessità o di legittima difesa”. Lo stato di necessità consiste quindi in quella causa che esclude una responsabilità dell’agente nel compimento di una sanzione amministrativa, nel caso di specie, la violazione delle norme di cui al Codice della Strada relative all’eccesso di velocità. La Corte di Cassazione, mediante la sentenza n. 22365/2008, ha ribadito un orientamento già esistente, ossia che l’esimente dello stato di necessità si riferisce solo agli “esseri umani”, cassando in tal modo la sentenza impugnata. Recentemente si è assistito, comunque, all’accoglimento da parte dei Giudici di Pace di ricorsi presentati da automobilisti che hanno invocato lo stato di necessità per salvare la vita di un animale, sulla base di una più “ampia” interpretazione dello stato di necessità. Speriamo, quindi, che l’orientamento dei giudici della Suprema Corte possa cambiare in tal senso. Che fare?

Forse non si dovrebbe dire, ma noi siamo dalla parte della veterinaria. Probabilmente, nella sua situazione, ci saremmo comportati allo stesso modo… compreso il ricorso al Giudice di Pace. 44


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Gatti e condominio

La storia

Il primo round davanti al tribunale civile di Milano lo hanno vinto i gatti per ko tecnico. Il processo davanti alla XIII Sezione civile del tribunale di Milano vedeva, loro malgrado, i gatti della colonia felina del supercondominio di via Mar Nero imputati, poiché accusati da una coppia di condomini di cacciare abusivamente i topi nelle cantine del palazzo. Ma, cosa ancor più grave, i gatti erano accusati di aver sistemato le loro confortevoli cucce, nelle quali passare le stagioni fredde, nello spazio condominiale comune: questo proprio non è andato giù alla coppia di condomini che, non potendo portare direttamente i gatti in tribunale, ha visto bene di portarci i “gattari” che si occupano della piccola colonia. Chiedendo, oltre alla rimozione delle casette e l’allontanamento dei mici, anche un risarcimento morale agli altri 500 condomini del supercondominio di via Mar Nero e via Nikolajewka. Dopo tre anni di discussione è arrivata la sentenza di primo grado emessa dalla dottoressa Sabrina Bocconcello della XIII Sezione civile del tribunale di Milano, con la quale i gatti hanno vinto alla grande il primo round. Nelle undici pagine della sentenza (la numero 12370/09) si riconosce ai gatti il diritto di vivere nel palazzo (e quindi la caccia ai topi in cantina non è atto abusivo). Ma la sentenza, con un passaggio storico, riconosce anche il diritto della famiglia di gattari a lasciare le casette al loro posto, dove i micetti potranno continuare a vivere comodamente. La sentenza richiama la legge 281/91, riconoscendo che i gat45


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ti sono “animali sociali che si muovono liberamente su un determinato territorio radunandosi in gruppi denominati colonie feline, pur vivendo in libertà sono stanziali e frequentano abitualmente lo stesso luogo pubblico o privato, creandosi così un loro habitat ovvero quel territorio, o porzione di esso, pubblico o privato, urbano e no, edificato e non, nel quale vivono stabilmente. Nessuna norma di legge né nazionale, né regionale proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat. Secondo detta normativa, i gatti che stazionano e/o vengono alimentati nelle zone condominiali non possono essere allontanati o catturati per nessun motivo”. La sentenza ha riconosciuto anche il ruolo dell’associazione che si era schierata subito dalla parte dei gattari. In un passo della medesima sentenza si legge infatti che: “Orbene nel caso in esame, Aidaa ha dimostrato con il proprio intervento di aver aderito alle difese di parte manifestando l’interesse – insito nell’oggetto sociale dell’associazione stessa – a che non vengano rimossi i rifugi dei gatti. Ne consegue l’ammissibilità dell’intervento”. Il presidente di Aidaa è rimasto ovviamente soddisfatto: “Una sentenza storica, una vittoria per il popolo delle gattare, ma soprattutto un riconoscimento del diritto dei mici a vivere in colonie territoriali che non possono essere rimosse in nessun caso. Quindi, questa sentenza, al di là del caso singolo, diventa un precedente importante per fare passi avanti sulla linea dei diritti degli animali”. La normativa/la legge

La legge 281/91 (“Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”), approvata nel46


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l’agosto 1991 e denominata “legge-quattrozampe”, parla chiaro. Riportiamo qui (in appendice il testo completo) parti dell’art. 2, che tratta (anche) di colonie feline. – Art. 2 comma 7: è vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà. – Art. 2 comma 8: i gatti che vivono in libertà sono sterilizzati dall’autorità sanitaria competente per territorio e riammessi nel loro gruppo. – Art. 2 comma 9: i gatti in libertà possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o incurabili. – Art. 2 comma 10: gli enti e le associazioni protezionistiche possono, d’intesa con le unità sanitarie locali, avere in gestione le colonie di gatti che vivono in libertà, assicurandone la cura della salute e le condizioni di sopravvivenza. Le leggi regionali prevedono spesso ulteriori norme per la tutela dei gatti liberi. Quella della Lombardia (L. R. n. 16/2006) ad esempio, all’art. 9 (Protezione dei gatti), dice: “I gatti che vivono in stato di libertà sono protetti ed è fatto divieto a chiunque di maltrattarli o di allontanarli dal loro habitat, salvo interventi autorizzati da Comune o Asl nell’interesse della tutela degli animali stessi. Per habitat di colonia felina s’intende qualsiasi territorio o porzione di territorio, urbano e non, edificato e non, nel quale risulti vivere stabilmente una colonia felina, indipendentemente dal numero di soggetti che la compone o che sia o no accudita dai cittadini. L’Asl d’intesa con i Comuni e con la collaborazione delle associazioni provvede a censire le zone in cui esistono colonie feline. La cattura dei gatti liberi è consentita solo per la sterilizzazione e per le cure sanitarie ne47


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cessarie per il loro benessere. I gatti sterilizzati e identificati con apposito contrassegno sono reimmessi nella colonia di provenienza e nel loro habitat”. Le sanzioni previste vanno da 50 a 300 euro. Che fare?

I gatti che vivono liberi, in colonie, sono tutelati dalle leggi. Nonostante questo, non sono pochi gli amministratori di condominio o i condomini che non accettano i gatti liberi nei cortili e giardini e minacciano allontanamenti e avvelenamenti. In tal caso è bene far affiggere dagli amministratori di condominio, negli appositi spazi, sia il testo della legge n. 189/2004, sia l’art. 146 delle leggi sanitarie (Sostanze velenose). Contro le intolleranze, e per sensibilizzare gli amministratori di condominio, l’associazione Gaia Animali & Ambiente ha predisposto un apposito cartello che riporta le norme di legge. È possibile scaricarlo dal sito www.gaiaitalia.it, oppure richiederlo all’associazione e poi scrivere una lettera all’amministratore di condominio chiedendo che venga apposto negli appositi spazi comuni. Di fronte alle intolleranze verso i gatti liberi in giardini, parchi, cortili pubblici o privati, la migliore soluzione è quella di fornire agli animali una tutela ufficiale da parte dell’Asl, richiedendone l’intervento per la sterilizzazione della comunità. Se interviene l’Asl, la comunità di gatti viene in qualche modo “ufficializzata” e la proprietà, o la gestione dell’area, è costretta a prendere atto dell’impegno dell’autorità pubblica che ribadisce la validità delle leggi di tutela degli animali. Per ottenere la sterilizzazione gratuita 48


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dei gatti randagi occorre richiedere, con una segnalazione scritta, l’intervento del servizio veterinario dell’Asl competente per territorio. Gli ufficiali veterinari sono preposti per legge a sterilizzare gratuitamente i gatti liberi, reimmettendoli nel loro ambiente di origine, anche se non sono obbligati a provvedere alla cattura e alla degenza. Per queste operazioni è necessario chiedere la cortesia all’Asl di zona e/o la collaborazione (prevedendo un piccolo contributo) delle associazioni protezioniste. Si consiglia, inoltre, di segnalare la presenza di colonie feline all’Ufficio Diritti Animali del Comune, se presente sul territorio interessato. L’Uda, infatti, ha tra i compiti istituzionali quello di provvedere alla cura, protezione e sterilizzazione delle colonie feline, nonché quello di segnalare alla Asl e ad altri soggetti interessati i problemi relativi al collocamento delle colonie stesse, al fine di tutelare i diritti degli animali in adempimento delle normative igienico-sanitarie.

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NORME A TUTELA DELLE COLONIE FELINE Segnaliamo che esistono leggi e normative che tutelano le colonie feline, tra cui: G G G

Legge 14 agosto 1991 n. 281 Legge 20 luglio 2004 n. 189 Codice penale - Titolo IX bis

In particolare si ricorda che: – I gatti liberi sono protetti dallo Stato. – È vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà. – I gatti che vivono in libertà sono sterilizzati dall’autorità sanitaria e riammessi nel loro gruppo (legge 281/91). – Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi (art. 544 bis C.p.). – Il loro maltrattamento è perseguito penalmente anche con la reclusione da tre mesi a un anno o la multa da 3.000 a 15.000 euro mentre l’uccisione è punita con la reclusione da tre a diciotto mesi. – È vietato allontanarli dai luoghi nei quali trovano abitualmente rifugio, cibo e protezione. – Ai cittadini è consentito nutrire e curare i gatti nel rispetto delle regole igieniche. Gaia Animali & Ambiente Onlus C.so Garibaldi, 11 - 20121 Milano – tel. & fax 02/86463111 www.gaiaitalia.it - segreteria.gaia@fastwebnet.it

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Muffy: scomparsa e ritrovata dopo nove anni

La storia

Un lieto fine da cartone animato. Perché, anche se le speranze non muoiono mai, la famiglia Rushby di Brisbane, in Australia, non credeva di ritrovare il suo cane sparito da casa nove anni prima. Quando è squillato il telefono, mai si sarebbero immaginati che era proprio per lei: Muffy, ritrovata a quasi 2.000 chilometri di distanza. Urla di gioia e commozione, con l’incredibile voglia di riabbracciarla. Il caso è straordinario. Muffy aveva vissuto negli ultimi due anni semiabbandonata in un cortile di una casa a Melbourne. Come fosse arrivata lì è un mistero. A ritrovarla sono stati i veterinari della Rspca (la più importante associazione animalista australiana) che, dopo una chiamata anonima, stavano indagando su un caso di maltrattamento di animali. La cagnolina non è in buone condizioni: magra e con malattie della pelle dovute alle punture di insetti. La fortuna vuole che la famiglia Rushby avesse inserito un microchip anche se, ai tempi, in Australia non era ancora obbligatorio. Solo così è stato possibile rintracciare i precedenti proprietari. “È una storia sorprendente”, spiega Tim Pilgrim portavoce della Rspca. “È proprio per avere un lieto fine come questo che consigliamo alla gente di far inserire sempre un microchip nei loro animali domestici”. Muffy è stata portata a casa, a Brisbane, la settimana successiva al ritrovamento.

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La normativa/la legge

In Italia la legge 281 del 1991 istituisce l’anagrafe canina e l’obbligo di iscrivervi tutti i cani di proprietà. Tutti i proprietari di cani, dunque, devono far microchippare il proprio quattrozampe secondo le modalità previste dalle varie leggi regionali. Che fare?

L’Italia già da alcuni anni ha attivato l’anagrafe canina (regionale) informatizzata che consente di identificare i cani mediante microchip. Il tatuaggio, in precedenza previsto come unico metodo di identificazione, è quindi sostituito dal microchip (i cani già tatuati – con tatuaggio ancora leggibile – non devono essere anche microchippati). Il microchip è applicato con una siringa nel sottocute del lato sinistro del collo del cane. La chippatura non è dolorosa (è come una piccola puntura) e il microchip (che contiene un codice numerico di quindici cifre) è inalterabile e sicuro. Può essere letto avvicinando l’apposito “lettore” al cane. I dati del proprietario (compreso il codice fiscale) e del cane sono immessi in una banca dati regionale che contiene tutti i dati dell’anagrafe canina. In caso di smarrimento, il cane microchippato è facilmente identificato grazie a questa vera e propria “carta d’identità”. È interesse (oltre che un obbligo di legge) di ogni bravo “proprietario” far chippare il proprio cane e contestualmente iscriverlo all’anagrafe. Che fare in caso di smarrimento

La scomparsa di un cane deve essere denunciata dal proprietario, possessore o detentore, all’Asl o alla Polizia loca52


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le e soprattutto al canile municipale. Nella segnalazione è importante riportare in modo completo e dettagliato: – i propri dati (in particolare i recapiti); – la descrizione dell’animale (specie, razza, tipo e colore del mantello, sesso, età, tatuaggio, microchip, collare, medaglie, cappottino); – altri segni di riconoscimento (particolarità anatomiche quali speroni, orecchie o coda tagliati, sterilizzazioni, cicatrici, eccetera); – le circostanze dello smarrimento (data, ora, luogo, modalità, eccetera), eventuali fotografie o immagini. Oltre a questi obblighi, è utile anche: – affiggere dei cartelli con l’esatta descrizione del pupillo disperso. Vanno posizionati un po’ dappertutto nella zona dello smarrimento, senza risparmio, compresi negozi per animali e veterinari del quartiere. Chi se lo può permettere è bene che inserisca anche la dicitura “Ricompensa o lauta mancia”; – recarsi presso il canile sanitario di zona: è lì che la bestiola potrebbe essere portata se qualcuno la ritrova. Andate di persona, portando una foto da lasciare ai responsabili per facilitare l’eventuale identificazione. Non solo, è bene contattare il canile più di una volta: magari il pet vi arriva dopo giorni e giorni di peripezie; – chiamare le associazioni e i rifugi privati dei dintorni (per gli indirizzi: www.diamocilazampa.it/indirizzi utili). Una bestiola smarrita è capace di macinare chilometri e arrivare in zone impensate; – far girare l’informazione su internet. Un buon servizio 53


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gratuito è garantito da www.animalipersieritrovati.org ( ha un database ben organizzato). Qui confluiscono informazioni sugli animali smarriti e ritrovati: i dati vengono confrontati e spesso si riesce a mettere in contatto chi sta disperatamente cercando il proprio animale con chi l’ha ritrovato; – non perdersi d’animo e proseguire le ricerche per molto tempo. È capitato spesso di risolvere felicemente un caso anche dopo parecchie settimane.

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In carcere per aver ucciso un cane. Prima volta in Italia

La storia

Fino a pochissimi anni fa, per fatti del genere si rischiava soltanto una multa. Poi nel 2004 è arrivata la legge 189 che innalza le sanzioni pecuniarie e introduce la possibilità di condanna al carcere fino a tre anni per chi maltratta, tortura e uccide gli animali “di affezione”: i cani e i gatti. Antonino S., quarantenne cagliaritano, docente di ingegneria all’Università, forse non si era aggiornato. O forse pensava che la legge sarebbe rimasta lettera morta. Il 12 ottobre ha deciso di compiere un gesto di vendetta contro Giorgio G., suo vicino in uno stabile alla periferia di Cagliari. Un rapporto difficile, quello tra il professore e Giorgio: questioni relative alle spese di condominio. “Futili sciocchezze”, le definisce ora Giorgio. “Sono più di 350 le denunce che tutti noi condomini abbiamo dovuto sporgere contro S. Io mi opponevo a lui per le decisioni condominiali e lui si vendicava danneggiando le macchine, il cortile, i campanelli. Non solo i miei, il professore era in contrasto con tutti gli abitanti del condominio”. Fino a quel giorno la rabbia del professore si era sfogata solamente su oggetti inanimati, ma dopo l’ennesima visita infruttuosa alla stazione dei Carabinieri, da cui cercava sostegno per i suoi contrasti con Giorgio e gli altri condomini, qualcosa scatta nella mente del professore. Raggiunge con il suo scooter via Su Planu ed entra nella rampa delle scale. È l’ora di pranzo. Giorgio tiene in cortile due cani, 55


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una vecchia meticcia e la sua cucciola di 10 mesi: quando si allontana per la pausa pranzo alla più giovane mette “una leggera catenella per impedirle di uscire in strada e perdersi, come era già accaduto. Mentre la madre ormai è abituata, non si allontana, e posso lasciarla tranquillamente senza catena”, spiega Giorgio. Antonino S. si avventa sulla piccola Travanera. La cagnetta ha 10 mesi, pesa 3 chili, non può scappare perché è legata: non ha scampo. Il professore la strattona per strapparla alla catena, che cede subito. La signora Gabriella, una vicina, si affaccia alla finestra e urla di lasciare la cagnolina, ma il professore continua imperturbabile. “Mi hanno raccontato che la cagna adulta si gettava tra le gambe di S. per cercare di fermarlo e di salvare la figlia, ma è di taglia minuscola, non poteva riuscirci. E i condomini urlavano di lasciar stare il cane e S. non li ascoltava. Quel giorno”, aggiunge, “era il compleanno di mio figlio”. Il professore sbatte l’animale sul muro ripetutamente, poi se lo carica sullo scooter e lo getta nel primo cassonetto della spazzatura che incontra. La signora Gabriella, nel frattempo, non rimane con le mani in mano: chiama i Carabinieri segnalando l’accaduto. Il maresciallo arriva sul posto, trova il professore, gli chiede dov’è il cane. “Mi è caduto dallo scooter”, risponde S., e si dilegua. L’ufficiale sente puzza di bruciato, controlla i cassonetti, trova la cagnetta agonizzante. Inutile la corsa dal veterinario: “Mi hanno chiamato per dirmi che non potevano far nulla, la spina dorsale era fratturata in più punti. Avevano bisogno dell’assenso del proprietario”, si commuove Giorgio, “per poterla sopprimere. E così l’ho dato”. 56


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Il professore viene denunciato: è accusato di furto pluriaggravato per aver sottratto il cane al suo padrone e di maltrattamenti per averlo ucciso. Ma ancora “in stato di libertà”. La signora Gabriella il giorno dopo chiama l’Ente nazionale protezione animali, che si interessa al caso e muove subito lo studio legale Rovelli (che patrocina gratuitamente l’associazione): in caso di processo, l’Enpa si costituirà parte civile. Le indagini sul professor S. proseguono e il 24 ottobre il Gip Maria Chiara Manganiello firma un’ordinanza di custodia cautelare in carcere: il professor S. viene ritenuto socialmente pericoloso e per lui si aprono le porte del Buoncammino, la casa circondariale di Cagliari. Si tratta della prima persona in Italia arrestata e detenuta in carcere per il reato di maltrattamento su animali: un importante traguardo per tutte le associazioni animaliste che hanno combattuto prima per l’approvazione e poi per l’applicazione della legge 189. La normativa/la legge

L’uccisione immotivata degli animali è un reato perseguito dal nostro Codice penale. La più recente innovazione nel campo della regolazione penale in materia di animali è stata introdotta recentemente con la legge 20 luglio 2004, n. 189, “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché dell’impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, che è possibile scaricare da tanti siti (ad esempio www.provincia.milano.it/animali o www.diamocilazampa.it). La legge 189/2004 (si veda in ap57


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pendice) individua e definisce un elenco di delitti nei confronti degli animali (maltrattamenti, uccisioni, abbandoni, combattimenti, doping, spettacoli) per i quali, per la prima volta in Italia, è previsto anche il carcere. Il fondamento e la base di ogni azione giuridica, preventiva e di denuncia, contro chi maltratta e uccide gli animali sono dunque la legge 189/2004 e l’art. 727 del Codice penale (che appunto la legge 189 modifica) che sono gli strumenti centrali per prevenire e reprimere i reati contro animali indifesi. A “corredo” di questi strumenti troviamo anche gli articoli 638 e 672 del Codice penale, che riguardano gli animali di proprietà, considerati come “oggetto” e possesso privato, o comunque in relazione al danno che può essere causato all’uomo da comportamenti incauti.

LA LEGGE 189 “IN PILLOLE” – Maltrattamento: reclusione da tre mesi ad un anno o multa da 300 a 15000 euro per chi cagiona una lesione ad un animale, un danno alla salute, o sevizie o comportamenti, fatiche, lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Aumento della metà se ne deriva la morte dell’animale. – Uccisione per crudeltà: reclusione da tre a diciotto mesi.

Che fare?

Le leggi ci sono e vanno fatte rispettare. Se si è testimoni di fatto di crudeltà nei confronti di altri animali è nostro dovere segnalarlo. Di seguito indichiamo una traccia di come fare. 58


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Traccia di esposto contro l’uccisione di animali

Premettendo che gli atti di denuncia e querela sono privi di specifiche formalità (eccetto quelle legali al deposito) e, dunque, alla portata – salvo ipotesi complesse – di tutti e che presso gli uffici preposti alla ricezione di questi atti sarà possibile trovare una valida assistenza alla compilazione (per la quale è bene comunque sempre contattare un legale di fiducia prima del deposito), ecco un esempio assolutamente generale di denuncia al quale poi adattare, con le dovute differenze, i singoli atti. Utilizzate l’esempio solo come riferimento. La denuncia va depositata a mano o presso la cancelleria della procura della Repubblica o presso un qualsiasi ufficio di Polizia giudiziaria (Carabinieri, Polizia di Stato, Corpo forestale, Guardia di finanza, Polizia municipale, Polizia provinciale) che sono tenuti non solo a riceverla, ma anche a disporre subito gli opportuni accertamenti. Non usate raccomandate o fax. Lo stesso seguente facsimile, opportunamente adattato, è possibile utilizzarlo per le altre fattispecie di reato previste dalla legge 189 del 2004: artt. 544 ter C.p. (Maltrattamento di animali); art. 544 quater (Spettacoli o manifestazioni vietati); art. 544 quinquies (Divieto di combattimento tra animali); art. 727 C.p. seconda parte (Detenzione incompatibile); art. 2 della legge (Divieto di utilizzo a fini commerciali di pelli e pellicce di cani e gatti).

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Atto di denuncia (o querela) Ill.mo Sig. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di .................. e p.c. Al Comando Stazione Carabinieri di …………… – oppure Al Commissariato della Polizia di Stato di …………… – oppure Al Comando Stazione forestale…….. – oppure alla Guardia di finanza di ………. – oppure al Comando Polizia municipale di ..................... – oppure al Comando Polizia provinciale di .............. (se invece la consegnate solo all’Organo di Polizia, indicherete solo quello prescelto) La/Il sottoscritta/o (generalità, domicilio, recapiti telefonici) espone quanto segue. In data …… in località ................ del Comune di .................... ha notato (esposizione dettagliata dei fatti cui si è assistito; fornire inoltre ogni elemento utile per l’identificazione dei responsabili: targhe di auto, riconoscimento personale, descrizione somatica, eccetera; nel caso di ignoti intestare l’atto “contro ignoti”; aggiungere ogni elemento utile che possa descrivere le modalità dell’azione, ad esempio “faceva uso di una spranga”, ovvero “trasportava l’animale facendo uso di un camion privo di aerazione”, ovvero “deteneva l’animale in una gabbia insufficiente”, eccetera). Tale fatto integra ad avviso dello scrivente il reato di cui all’art. 544 bis del Codice penale (Uccisione di animali). In questo contesto si indirizza il presente esposto alla S.V. confidando che i responsabili possano esser perseguiti penalmente. P.S.: tenere presente che i reati di cui alla legge 189/04 sono procedibili d’ufficio ma, per precauzione, è bene sempre inserire i tre punti sotto indicati; mal che vada rimangono lettera morta. Nel caso di reati perseguibili a querela specificare dunque: 1) che “allorché fosse necessario ai fini della procedibilità, il presente atto è da intendersi atto di querela contro coloro che risulteran60


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no responsabili dei fatti di reato, per i quali si chiede espressamente la punizione penale ai sensi di legge”; 2) che “ai sensi degli artt. 406 e 408 C.p.p. si chiede di essere informati presso il domicilio sopra indicato su eventuali richieste di proroghe delle indagini preliminari ed eventuali richieste di archiviazione”. 3) che, in qualità di querelante, ci si oppone all’eventuale emissione di un decreto penale di condanna. Il decreto penale di condanna, qualora ci siano i presupposti e il querelante non abbia dichiarato in querela la propria volontà di opporsi alla relativa emissione, permette infatti al giudice di applicare una pena pecuniaria (anche in sostituzione di una detentiva), addirittura ridotta fino alla metà rispetto al minimo edittale. Si indicano quali persone informate sui fatti sopra descritti i sigg.ri: – Tizio, nato a …… il ....., residente/domiciliato in………………. alla via ………………., telefono ……………. – Caio ……………………………. Si allegano (eventualmente) i seguenti documenti: – referto del veterinario; – foto; – riprese video; – bastoni, catene, trappole, eccetera; – tracce di veleno (per le quali si chiede che la S.V. voglia disporre una specifica analisi); – altro. Si ringrazia. Luogo, Data e Firma che viene apposta al momento del deposito dell’atto

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Dilan e la guerra dei Roses

La storia

Questo è la storia di Dilan, un bel setter maschio di quattro anni, “vittima” di una controversia tra ex-coniugi. Per fortuna, in questo caso non possiamo proprio parlare di maltrattamento di animali. Anzi, la custodia di Dilan è stata la miccia di un forte litigio tra due ex-sposini che, comunque, ha avuto esito positivo. Si tratta, infatti, di un caso di separazione consensuale, il cui “accordo” è stato, come di norma accade, convalidato dal giudice del tribunale competente mediante decreto. Come concordato dai coniugi, il dolce Dilan è stato affidato sia alla mamma che al papà, in maniera tale che, in un mese, ciascun proprietario potesse godere della compagnia canina per quindici giorni. Alle soglie di una calda estate, però, la mamma di Dilan, giunto il proprio turno di custodia, si accorge che qualche cosa non va: contattando l’ex-marito al telefono, non riesce a reperirlo. Soltanto dopo qualche giorno viene a scoprire che il cane è stato portato in montagna dagli ex-suoceri, i quali avevano anche in programma di andare al mare con lo stesso quadrupede per evitare la caldissima città. Inizia in questo modo una “lotta” accanita tra gli ex-coniugi, sulla base del fatto che l’accordo preso in sede di separazione davanti al giudice adito è stato violato, senza una giusta causa e senza alcun preavviso. Entrano quindi in gioco gli avvocati delle parti che, per fortuna, definiscono la vicenda con una soluzione bonaria, mediante un nuovo e ulteriore accordo sottoscritto, con il quale il papà di Dilan 62


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si impegna a non violare più le condizioni di separazione, a concedere alla mamma un periodo di custodia del cane più lungo al fine di recuperare i giorni persi e di indennizzare la ex-coniuge per il danno procuratole. La normativa/la legge – Che fare?

Questa volta è andata bene, ma bisogna tenere presente che la fattispecie potenzialmente integra un comportamento illegittimo e, quindi, non sempre in casi di questo tipo è possibile “cavarsela” con un accordo conciliativo. Infatti, la separazione tra coniugi viene omologata dal giudice mediante un decreto e la violazione dei relativi accordi comporta una responsabilità in capo al coniuge che l’ha violata. In questi casi, quindi, il coniuge danneggiato ha la possibilità di ricorrere al giudice al fine di obbligare l’altra parte ad adempiere agli accordi presi, mediante la notifica a quest’ultima di un atto di precetto. Qualora la parte precettata ometta di eseguire la consegna dell’animale, il coniuge potrà senz’altro ricorrere al giudice affinché vengano determinate le concrete modalità di esecuzione dell’obbligo rimasto inadempiuto, ai sensi dell’art. 612 C.p.c., e casomai adire nuovamente la giustizia per il risarcimento dei danni subiti, compresa la rifusione delle spese legali. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un aumento notevole di casi di questo tipo: i giudici si trovano infatti a dover definire controversie riguardanti l’affidamento del cane o di un altro animale domestico poiché parte integrante della famiglia. Sotto il profilo civilistico, gli animali sono ritenuti tutt’oggi 63


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come delle res, ossia delle cose, che fanno parte del nostro patrimonio e, come tali, sono oggetto di trasferimento a titolo oneroso o gratuito. Per questo motivo è possibile in sede di separazione (sia consensuale, che giudiziale) disporre riguardo alla detenzione del cane o di altro animale d’affezione famigliare. Ricordiamoci quindi che l’eventuale violazione di un simile accordo, pur non arrecando alcun danno all’animale – in tal caso sussisterebbero ulteriori ipotesi di responsabilità – integra un comportamento illegittimo e, quindi, motivo di risarcimento per tutti i danni cagionati.

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La coppia che scoppia

La storia

L’ingegnere di Milano che nel lettone, accanto alla moglie, voleva sempre il dobermann. Il chirurgo bergamasco che non perdeva una mostra in cui esibire il suo splendido gatto certosino e al quale alla fine la compagna disse: “Amore, sai che c’è? Tienti il gatto e ciao”. La coppia omosessuale di Latina che scoppiò quando il pitone uscì fuori dalla teca. E poi quella moglie di Battipaglia, nel salernitano, che si rivolse al giudice perché il marito continuava a imporre ai figli una scena quotidiana di caccia marina: nutriva i suoi piranha con pesciolini freschi. Più o meno quanto successo in Veneto, dove una donna si stufò di assistere alla cena dei serpenti di casa, nutrititi amorevolmente con topolini vivi. Per non parlare della sposina allergica ai gatti e in breve sfinita dai sette felini di casa del marito. Insomma: quando il migliore amico dell’uomo si trasforma, in genere suo malgrado, nel peggior nemico dei coniugiamanti. Sempre più spesso (anche se non bisogna esagerare con le cifre) le coppie “scoppiate” ammettono che tra le cause della separazione c’è proprio una cattiva convivenza con Fido (la maggior parte dei casi) o Micio, anche se non mancano pappagalli, iguane, furetti, conigli, tartarughe e serpenti a spezzare l’incantesimo della luna di miele. Possibile arrivare ai ferri corti proprio per la presenza di un peloso? Sì, secondo l’etologo Danilo Mainardi. Che, intervistato sul tema dal “Corriere della Sera”, dice: “Vale soprattutto per i cani”. Non riferendosi solo a quando in un appartamento marito e moglie convivono con quattro cuccio65


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li destinati inevitabilmente a diventare grandi e grossi. “Il cane si inserisce moltissimo nelle dinamiche familiari, un partner lo difende e l’altro no, si creano rivalità. Peggio ancora quando si è costretti a rinunciare alle vacanze perché non si sa a chi affidarlo”. Al tema si stanno appassionando anche gli scrittori. Qualche tempo fa il medico-scrittore Stephen Bergman su “Boston Globe” alla domanda secca: “I cani possono causare divorzio?”, rispondeva: “No. Semmai causano amore cosmico”. Il suo amico Eddie, però, citato nel pezzo, è stato spedito a dormire sul divano per far posto ai due cani della moglie. Che fare?

Il dato confortante è che le coppie che scoppiano stanno dimostrando grande senso di responsabilità verso gli animali. Da un lato aumentano le richieste di affido (a pagamento) alle associazioni, alle pensioni o ai canili, in attesa di trovare sistemazioni più consone all’animale rimasto “orfano”, sempre meglio dell’abbandono, come accadeva fino a qualche tempo fa. Dall’altro, soprattutto, si stanno moltiplicando le richieste di affidamento e di mantenimento congiunto, proprio come i figli. Due sono le strade, che in genere portano ad un accordo definito da una scrittura privata: il mantenimento condiviso (nel quale ciascuno dei coniugi provvede al 50% delle spese) o l’affidamento congiunto (nel quale la bestiola viene democraticamente gestita per un periodo da un partner e per un uguale periodo dall’altro).

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Fido muore in pensione. Risarcito il danno affettivo

La storia

Questa è la storia di due giovani coniugi, Giorgia e Roberto, la cui vicenda inizia nel 2005, quando la coppia, prossima alle nozze, decide di affidare a una pensione Whisky, il cucciolone meticcio adorabile, ma un tantino impegnativo da gestire durante la cerimonia nuziale e il viaggio in luna di miele. Gli sposini dunque decidono di lasciare il loro beniamino in una pensione per cani, in quel di Mori, cittadina del Trentino situata a metà strada tra Rovereto e il lago di Garda. C’era poi un’altra più che valida ragione per affidare momentaneamente Whisky alle cure di una pensione. “Il cane era mio”, spiega Giorgia, “e di solito, quando andavamo in giro, lo lasciavamo a mia suocera. In questo caso non era possibile, perché l’altra cagnetta di casa era in calore. Quindi abbiamo preferito scegliere una pensione che credevamo affidabile”. Dopo nemmeno due giorni ecco però il dramma: i gestori telefonano ai familiari della coppia per avvisarli della morte improvvisa del cane. La giustificazione del decesso improvviso di Whisky, secondo chi gestiva il ricovero, era riferibile a un tentativo di fuga del cucciolone che forse scavando sotto la rete, o forse tentando di scavalcarla, si era procurato una ferita mortale. I due giovani coniugi però non credono all’ineluttabilità di un improbabile incidente, tanto più che il veterinario chiamato in soccorso del cane (ormai defunto) si era mostrato 67


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un po’ perplesso e cauto nell’ipotizzare la causa della morte. A questo punto Giorgia e Roberto fanno causa ai gestori della pensione, ritenendoli colpevoli di incuria e chiedendo il risarcimento del danno da mancata relazione affettiva. A Mori più di un abitante sogghigna di fronte a tale richiesta e invece i due sposini, alla fine, trovano il pieno riscontro alle loro ragioni. Il giudice civile di Rovereto, Simonetta Caterbi, riconosce il risarcimento alla coppia, ribaltando addirittura una recente sentenza della Corte di Cassazione che aveva indicato per un caso simile un esempio di danno esistenziale non risarcibile perché non costituzionalmente garantito. Nient’affatto, ha sentenziato la Caterbi, peraltro molto sensibile anche in passato ai danni morali (è noto un suo saggio sul danno da vacanza rovinata). “Lo Stato”, si legge nella sentenza del giudice, “è consapevole del legame che si instaura tra l’animale e il suo padrone, rapporto che non può essere limitato al solo profilo affettivo e nel quale si inserisce una di quelle attività realizzatrici della persona umana che la stessa carta costituzionale tutela all’art. 2”. In altri termini, il rapporto di affettività è una faccenda che può estrinsecarsi nei confronti di un oggetto che ci è particolarmente caro (una penna, un anello, un orologio, eccetera). Altra faccenda è l’elaborazione mentale del dolore inflitto a causa della mancata relazione affettiva con un organismo vivente e senziente, quale il proprio cane. Ergo: 6.000 euro di multa ai gestori sbadati della pensione. La normativa/la legge

Dal punto di vista giuridico, il rapporto intercorso tra la pensione e il proprietario dell’animale è ascrivibile nell’am68


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bito del contratto di deposito oneroso; come impone l’art. 1768 del Codice civile, la pensione deve seguire la diligenza “del buon padre di famiglia” durante la custodia dell’animale e, in caso di eventuali problemi, informare subito il proprietario delle condizioni di salute. Una volta accertato il cattivo stato di salute dell’animale riconsegnato (o addirittura, come nel caso dello sfortunato cane dei coniugi di Mori, il decesso), la pensione risulterà di certo contrattualmente inadempiente e non potrà pretendere alcunché a titolo di compenso per la custodia o quant’altro ma, anzi, potrà essere ritenuta responsabile delle lesioni subite dal cane e risarcire il danno subito. Che fare?

Quando un animale muore a causa di una presunta responsabilità medica o, come nel nostro caso, per cattiva custodia, risulta opportuno far fare l’autopsia (chiedere all’Asl o anche a un veterinario che metta in contatto. Tenere presente che l’autopsia si paga). Questa è essenziale perché spesso le cartelle cliniche del medico veterinario non sono sufficienti a dimostrare un nesso causale tra il comportamento doloso/colposo e la morte/lesione del povero animale.

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DECALOGO PER UNA CORRETTA SCELTA DELLA PENSIONE Per partire tranquilli e non rischiare di abbandonare il proprio animale in “pensioni-lager”, le associazioni Gaia Animali & Ambiente e Diamoci La Zampa hanno predisposto un decalogo per la scelta del posto giusto. Ecco i consigli per evitare brutte esperienze: 1. prima dell’affido, visitare personalmente la struttura: se il titolare rifiuta la visita, è meglio cercarne subito un’altra; 2. verificare che i box siano spaziosi, con una parte all’aperto e una coperta al riparo da sole e pioggia; 3. accertarsi che la pensione disponga di un veterinario; 4. portare l’animale in pensione per periodi brevi prima della vacanza: si potrà abituare il quattrozampe e si potrà verificare come reagisce e come viene curato; 5. prima della consegna vaccinare l’animale e farlo visitare dal veterinario che ci rilascerà un attestato di buona salute; 6. sottoporre la bestiola a un trattamento anitiparassitario preventivo; 7. diffidare delle pensioni che non chiedono copia del libretto di vaccinazione: è probabile che vengano ricoverati anche animali privi di copertura immunitaria; 8. lasciare sempre un recapito telefonico, per essere raggiunti in caso di complicazioni; 9. farsi rilasciare una ricevuta che attesti che avete lasciato la bestiola in custodia presso la pensione; 10. incaricare un amico di recarsi saltuariamente a fare visita a sorpresa all’animale, per verificare le condizioni di mantenimento.

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Dimenticato sul terrazzo: a processo il proprietario

La storia

Avrebbe lasciato morire il suo cane, un giovane pitbull, dimenticandolo sul terrazzo in piena estate. Per questo è sotto processo il maceratese N. P., 26 anni. Il fatto sarebbe accaduto il 22 giugno 2008. Un vicino, sentendo i guaiti del cane, chiama i vigili del fuoco, chiedendo il loro intervento. I pompieri con la scala raggiungono l’animale sulla terrazza e per prima cosa cercano di farlo riprendere bagnandolo con l’acqua. Il cane però è già troppo disidratato. Sul posto arrivano anche i veterinari dell’Asur che riescono a rianimarlo con un’iniezione. Purtroppo però l’effetto della cura d’urgenza è breve: ormai le condizioni del pitbull sono troppo compromesse e l’animale nel giro di poco tempo smette di respirare. Di questo episodio è accusato N. P., il padrone del cane, ritenuto responsabile di averlo lasciato chiuso in terrazza sotto il sole, senza né un riparo né un po’ d’acqua, condannandolo praticamente alla morte. Ora, davanti al giudice Iannielli, si è aperto il processo. Nella prossima udienza, a novembre 2010, saranno sentiti i primi testimoni citati dal Pm (l’avvocato Francesca d’Arienzo): i vigili del fuoco e i veterinari intervenuti sul posto. N. P., peraltro, deve rispondere di un’altra accusa per maltrattamenti, perché qualche mese prima è stato visto prendere a calci lo stesso cane dopo averlo legato a un palo.

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La normativa/la legge

Il triste episodio, purtroppo non raro, integra a nostro parere un comportamento penalmente rilevante. Non possiamo dare certezze riguardo alla qualificazione giuridica dell’illecito, non potendoci sostituire alla magistratura, ma possiamo basarci su precedenti casi giurisprudenziali e osservare che la fattispecie appare integrare il delitto di uccisione di animali di cui all’art. 544 bis C.p., citato più volte nel corso dell’analisi dei casi precedenti. Il reato di cui sopra punisce con la pena della reclusione da 3 a 18 mesi chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagioni la morte di un animale. Analizzando nel dettaglio tale figura criminosa, si osserva che dottrina e giurisprudenza affermano univocamente che per integrare tale tipologia è sufficiente la sussistenza del dolo generico. In parole meno tecniche: perché sussista il delitto di uccisione e maltrattamento di animali, il reo non deve per forza avere la volontà diretta di cagionare la morte dell’animale, ma è sufficiente che l’azione o l’omissione comporti la possibilità del verificarsi di tale evento, a titolo di dolo (quindi la rappresentazione e volontà di maltrattare o uccidere) anche solo eventuale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ravvisato la sussistenza del reato di cui all’art. 544 ter C.p. – Maltrattamento di animali (così come per l’art. 544 bis C.p. – Uccisione di animali), nel caso di un cane lasciato per un apprezzabile lasso di tempo sotto il sole, chiuso in un’autovettura, senza che fosse necessaria una volontà diretta di infierire sull’animale (calci o bastonate) o che il cane stesso riportasse 72


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una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti e il comportamento essere essenzialmente omissivo (Cass. Pen., sez. III, 7/01/2008, n.175). Pertanto, ci sembra simile al caso del maceratese N. P., il quale, abbandonando il proprio pitbull sul balcone sotto il sole, senza cibo, acqua e, ovviamente, contro la normativa igienico-sanitaria, ha cagionato la morte dello stesso. N. P. non ha di fatto preso a calci o a bastonate il proprio cane, ma lo ha lasciato chiuso in balcone, sapendo e/o anche “accettando il rischio” che lo stesso animale avrebbe patito gravi sofferenze. Che fare?

Va da sé: mai lasciare il cane a lungo da solo sul balcone. Se il cane in difficoltà è di un vicino, si devono avvertite le autorità competenti. Abbiamo accennato alla normativa igienico-sanitaria, perché un animale lasciato chiuso, per sua natura, produce escrementi che a lungo andare rendono il luogo non salubre e pericoloso anche per la stessa salute umana. Correttamente, pertanto, in casi (orribili) di questo tipo, si è legittimati a contattare la competente autorità di Pubblica Sicurezza per prevenire il decesso del povero animale, nonché a contattare la Asl locale per le opportune verifiche sotto il profilo igienico-sanitario. Ribadiamo che, se ci sono delle Guardie zoofile sul luogo dove si verifica l’episodio criminoso, è opportuno contattare anche le stesse, in modo da potenziare gli interventi utili. Nell’ultimo periodo, grazie all’approvazione in parecchi comuni di regolamenti locali per la tutela del benessere degli 73


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animali e per garantire una migliore convivenza tra l’animale e l’uomo, sono previste anche sanzioni amministrative per chiunque custodisca cani o animali su balconi (o comunque in luoghi non idonei), in condizioni climatiche difficili. Disposizioni regolamentari di questo tipo possono colpire situazioni anche “meno gravi” rispetto a quella esaminata: meno gravi ma che, tuttavia, non devono verificarsi.

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Curare il cane come un bambino

La storia

Il cane, in un certo senso, è come un bambino. Pertanto i “proprietari”, specie quando lo portano in auto, devono usare verso il loro quattrozampe “la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa verso un minore”. L’equiparazione arriva dalla Cassazione, la quale sottolinea che chi non si comporta con questa premura può rischiare una condanna per maltrattamenti. La Suprema Corte ha infatti recentemente confermato la colpevolezza di L. P., un ventisettenne della provincia di Novara, per non essersi accorto che il suo cane, una sera del 17 agosto del 2003, non era risalito a bordo dell’auto sulla quale viaggiava ma era rimasto fuori, con il guinzaglio incastrato nella portiera. Il povero animale era stato trascinato per circa un chilometro prima che il proprietario, che quella sera era anche ubriaco, si accorgesse di quanto stava accadendo. La Cassazione, alla quale L. P. ha fatto ricorso contro la multa di 2000 euro per sevizie inflittagli dal tribunale di Novara nel luglio 2006, ha convalidato la colpa del maldestro proprietario. Il giovane si è salvato dalla condanna per maltrattamento di animale perché il reato si è estinto per prescrizione, ma dovrà comunque risarcire la Lega Antivivisezione, costituitasi parte civile nel processo, con 250 euro. La Corte ha dichiarato prescritto il reato rifiutando però di concedere “una formula di proscioglimento più favorevole”. “Anzi”, hanno aggiunto i supremi giudici, “devono essere confermate le statuizioni civili”, pari appunto a 250 euro in favore della Lav. 75


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Per la prima volta la Suprema Corte ricorda insomma ai “padroni” che se si decide di avere un cane poi bisogna trattarlo con la stessa cura che si usa verso i bambini. Inutilmente infatti L. P. si è rivolto alla Cassazione (dopo essere stato condannato dal tribunale) sostenendo che l’articolo 727 del Codice penale sanziona la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, fatto quest’ultimo che non gli era stato contestato visto che gli veniva addebitato solo il maltrattamento colposo. La terza sezione penale (con sentenza 21805) ha però bocciato il ricorso, sottolineando che nel caso in questione “è evidente la colpa di L. P.” perché, appunto, “ l’animale condotto al seguito o trasportato in autovettura richiede la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa verso un minore”. Dunque “è configurabile una condotta di maltrattamento o malgoverno di animali sia pure di natura colposa” anche nel caso in cui il padrone si è comportato con “negligenza” nei confronti dell’animale. Il padrone infatti, chiarisce la Suprema Corte, “prima che l’autovettura ripartisse avrebbe dovuto controllare che il cane si trovasse a bordo”. Per questo la Corte ha ribadito “la illiceità” della distrazione compiuta dal giovane verso il suo sfortunato cane, uscito malconcio (poi si è fortunatamente ripreso) da quella brutta notte. La normativa/la legge

Il proprietario del cane è stato condannato nel 2006 dal tribunale a 2000 euro di ammenda, 1500 euro di onorari più le spese legali e 250 euro alla Lav costituitasi parte civile in 76


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giudizio sulla base dell’art. 727 del Codice penale in vigore al momento del fatto (il 2003). Oggi l’art. 727 è stato modificato dalla legge 189/2004. La Corte di Cassazione, confermando la condanna (anche se prescritta) con sentenza 21805/2007, ha espresso l’innovativo principio che “l’animale, condotto al seguito o trasportato in autovettura, richiede la stessa attenzione e diligenza che normalmente si usa verso un minore”. Quella della Cassazione è un’importante pronuncia: cristallizza un fondamentale principio, oggi rafforzato dall’introduzione della nuova normativa a tutela degli animali (la L. 189/2004, appunto), per cui può pacificamente definirsi cambiato e innovato totalmente il rapporto tra proprietario e animale d’affezione, non più riconducibile alla semplice proprietà di una cosa di cui il padrone avrebbe la completa disponibilità. Sorgono invece nuovi obblighi e responsabilità. Con questa sentenza la Corte di Cassazione ha positivamente sancito che attenzione, cura e protezione sono gli atteggiamenti corretti da assumere verso i cani, animali portatori di interessi intrinseci che devono essere tutelati nel rispetto della loro natura, etologia e comportamento.

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Denunciata per abbandono

La storia

Una storia di Natale al rovescio. Un povero cane meticcio abbandonato e semicongelato viene soccorso da una passante la mattina di Natale in viale Gramsci a Modena. Grazie al microchip applicato all’animale, però, è stato possibile denunciare la sua padrona per l’abbandono. È stata la Polizia municipale di Modena a rintracciare la donna a partire dai dati memorizzati nel chip. Dopo la notizia del ritrovamento del cane al Comando modenese, peraltro, erano giunte numerose segnalazioni di vicini che avevano dato informazioni sulla padrona e sul cane. Sembra che già in passato la donna, con l’avvicinarsi delle ferie estive, avesse abbandonato l’animale. Proprio durante uno di questi abbandoni il cane era stato raccolto, accudito e provvisto di microchip dai tecnici del Comune che l’avevano poi riconsegnato alla proprietaria. Ora il cane è stato affidato ad una persona che se ne prenderà cura. Per tutta la vita, e non solo fino alle prossime vacanze.

Dati allarmanti

La storia

La scena, a spanne, prima o poi l’abbiamo vista tutti: un vecchio cane, male in arnese, zoppicante, ogni tanto prova ad attraversare la corsia dell’autostrada. Pochi chilometri prima, probabilmente, è stato abbandonato da un’auto che 78


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si dirigeva verso un tranquillo soggiorno estivo. Qualche automobilista frena, qualcuno strombazza il clacson, e ogni volta il quattrozampe sussulta, smarrito, impaurito, e tenta ancora di attraversare. Il quattrozampe è uno spettacolo triste che pochi notano. Forse, prima di sera, non sarà altro che una macchia rossa e nera sull’asfalto. E avrà causato, suo malgrado, un incidente. I dati sono allarmanti. In dieci anni, sulla sola rete autostradale ci sono stati in Italia 45mila incidenti stradali gravi causati da animali abbandonati, randagi o vaganti, con 4.000 persone ferite e 200 persone morte. Una vera strage. Chi abbandona un animale commette non solo un reato penale, ma potrebbe anche essere accusato di omicidio colposo. Di solito, invece, chi abbandona un animale si autoassolve: “Gli ridoniamo la libertà”, dicono ipocritamente gli abbandonatori, scaricandosi la coscienza. Un’idiozia. L’abbandono è una vera e propria aggressione ai danni dell’animale, come afferma in un suo scritto Patrick Pageat, professore francese di medicina veterinaria. Significa la perdita dei suoi punti di riferimento, la scomparsa del gruppo entro il quale aveva strutturato la sua vita. E tutto questo causa gravissimi scompensi. Sempre che salvi la pelle. Il 70% dei cani abbandonati, infatti, muore entro pochi giorni dall’abbandono. Di fame, di stenti, oppure sotto le ruote di un’auto o di un camion. Le speranze, quindi, non sono molte. Solo pochi, i più fortunati, trovano immediatamente una famiglia che li salva dalla strada e possono così iniziare una nuova vita. Gli altri sopravvissuti finiscono invece nei canili pubblici o privati che, in Italia, sono drammaticamente sovraffollati. L’incremento della popolazione canina e felina randagia o 79


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in attesa di adozione è ormai di fatto un’emergenza. Tra il numero degli animali nei canili e quello degli aspiranti “genitori adottivi” il divario è enorme. Risultato: una gran parte dei trovatelli non ha alcuna speranza di futuro, non troverà una casa e, spesso, trascorrerà la sua vita dietro le sbarre di un canile oppure in maniera randagia. I canili, dunque, sono strapieni. Tutti quelli esistenti rischiano, giorno dopo giorno, il collasso. Ci sono troppi quattrozampe da collocare. Una situazione disperata.

Dobi, il dobermann abbandonato come un... cane

La storia

È notte. Una macchina si avvicina al rifugio dell’associzione Spab di Gorduno, in Ticino (Svizzera). Scende un uomo che, per aprire il cancello del rifugio, lo scassa. Poi apre la portiera dell’auto. Ne fa scendere un cane. È un dobermann. Lo fa entrare nel recinto. Richiude e blocca il cancello dall’esterno. Se ne va. Piove. Per un attimo il cane resta immobile, incredulo, poi si lancia contro il filo di ferro che delimita il recinto. Cerca disperatamente di raggiungere l’auto che si allontana nella notte. Tenta di scavalcare la rete di protezione. Abbaia. Piange. È notte. Non lo sente nessuno. Solo le telecamere che riprendono tutta la scena – dall’inizio alla fine – testimoniano l’accaduto. Poi il povero cane si rassegna. Lo trovano, la mattina, tremante e impaurito. Lo battezzano Dobi perché è un dobermann. Ha il microchip – 80


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registrato in Italia, dunque è italiano – e dovrebbe essere possibile risalire al proprietario. “Mi chiedo”, dice il presidente della Spab, Armando Besomi, “perché quell’uomo non sia venuto al rifugio negli orari d’apertura. Perché abbandonare Dobi di notte? Perché lasciarlo come una scarpa vecchia? Perché infliggergli un dolore così grande? Questo cane è stato allevato da qualcuno e ha voluto bene a qualcuno. Perché trattarlo così?”. Domande legittime che, per ora, non hanno risposta. Gli unici dati certi: il Ministero ha aperto un’inchiesta, sia per l’abbandono dell’animale, sia per i danni causati al rifugio. Dobi, nel frattempo, è accudito e coccolato dalle signore che prestano aiuto volontario al rifugio, ma... la cosa più bella è che una signora del luganese si è già proposta per dare una casa a Dobi. “Una signora”, dice Besomi, “ha perso recentemente il suo dobermann e, sapendo quanto sono sensibili questi cani, ha deciso di non farlo soffrire di nostalgia per troppo tempo”. Grazie a lei, a nome di Dobi e di tutti coloro che tifano per lui. La normativa/la legge

È del 14 agosto 1991 la legge quadro n. 281 in materia di animali d’affezione e prevenzione del randagismo che così recita: “Chiunque abbandona cani, gatti o qualsiasi altro animale custodito nella propria abitazione, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire un milione. Più recentemente il nuovo articolo 727 del Codice penale (Maltrattamento di animali) e la legge n. 189 del 2004 hanno ulteriormente inasprito le sanzioni, considerando l’abbandono come rea81


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to di maltrattamento: prevede l’arresto fino a un anno e supermulte da 1.000 a 10.000 euro. Già si sono avute le prime condanne. È obbligatorio che ogni cane sia microchippato o tatuato e sia iscritto all’anagrafe canina. Le varie leggi regionali di recepimento della legge quadro 281/91 hanno attivato l’anagrafe canina regionale informatizzata che consente di identificare i cani mediante microchip. Il tatuaggio, in precedenza previsto come unico metodo di identificazione, è quindi sostituito dal microchip (i cani già tatuati – con tatuaggio ancora leggibile – non devono essere anche microchippati). Il microchip viene applicato con una siringa nel sottocute del lato sinistro del collo del cane. La chippatura non è dolorosa (come una piccola puntura) e il microchip (che contiene un codice numerico di quindici cifre, è inalterabile e sicuro) si può leggere avvicinando l’apposito “lettore” al cane. I dati del proprietario (compreso il codice fiscale) e del cane vengono immessi in una banca dati che contiene, per l’appunto, tutti i dati dell’anagrafe canina. In caso di smarrimento, il cane microchippato viene facilmente identificato grazie a questa vera e propria “carta d’identità”. È interesse di ogni proprietario (oltre che un obbligo di legge) far chippare il proprio cane e contestualmente iscriverlo all’anagrafe. Che fare?

Per far sì che i colpevoli di abbandono del proprio animale siano puniti è però necessario che un giudice venga a conoscenza dei fatti. Il che avviene mediante un “esposto-denuncia”. La denuncia si può fare – in carta libera – diretta82


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mente alla procura della Repubblica presso la pretura locale oppure a uno qualunque degli organi di Polizia giudiziaria: Carabinieri, Polizia, Vigili urbani, Corpo forestale, Guardia di finanza. Saranno poi loro a inoltrare la denuncia alla pretura competente. Denunciare una persona ai sensi dell’articolo 727 del Codice penale e della legge 189/2004 è semplice. Non si rischia nulla. L’art. 727 contempla un reato procedibile d’ufficio: non si prevede quindi il pagamento delle spese processuali e l’eventuale risarcimento del danno a carico di chi ha avviato un procedimento penale conclusosi con l’assoluzione dell’imputato. Vale quindi la pena di inoltrare sempre una denuncia – anche contro ignoti e sapendo che forse verrà archiviata – se non altro perché si sparga la voce che in giro ci sono persone determinate a far rispettare i diritti animali. Ecco dunque uno schema di denuncia-esposto da scrivere su carta libera, in doppia copia. Traccia di esposto contro l’abbandono di animali domestici La denuncia va depositata a mano o presso la cancelleria della procura della Repubblica o presso un qualsiasi ufficio di Polizia giudiziaria (Carabinieri, Polizia di Stato, Corpo forestale, Guardia di finanza, Polizia municipale, Polizia provinciale) che sono tenuti non solo a riceverla ma anche a disporre subito gli opportuni accertamenti. Non usate raccomandate o fax.

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Atto di denuncia (o querela) Ill.mo Sig. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di .................. e p.c. Al Comando Stazione Carabinieri di …………… – oppure Al Commissariato della Polizia di Stato di …………….... – oppure Al Comando Stazione forestale…….. – oppure alla Guardia di finanza di ………. – oppure al Comando Polizia municipale di .................... – oppure al Comando Polizia provinciale di ............... (se invece la consegnate solo all’Organo di Polizia, indicherete solo quello prescelto) La/Il sottoscritta/o, nata/o a ……, il ……., residente in …..Via….., recapito telefonico …….. con la presente formale denuncia-esposto intende portare a conoscenza della S.V. Ill.ma i fatti che qui di seguito si illustrano. In data …… alle ore …… in località .............. ha notato (esposizione dettagliata dei fatti – e solo dei fatti – cui si è assistito, puntando alla massima precisione possibile ma evitando dettagli superflui, supposizioni o commenti; fornire inoltre ogni elemento utile per la identificazione dei responsabili: targhe di auto, riconoscimento personale, descrizione somatica, eccetera; aggiungere ogni elemento utile che possa descrivere le modalità dell’azione, ad esempio “si allontanava rapidamente dal luogo dell’abbandono” eccetera). Ai fatti sopra illustrati hanno assistito i signori ……… (identificare gli eventuali testimoni). Trattasi di possibile ipotesi di reato di cui all’art. 544 del Codice penale e di cui all’art. 727 del Codice penale (Abbandono di animali), così come modificato dalla legge 189/2004 (“Nuove norme contro maltrattamento degli animali”), che prevede che “chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro”. In questo contesto si indirizza il presente esposto alla S.V. confidando che i responsabili possano esser perseguiti penalmente. p.s. nel caso di reati perseguibili a querela specificare: 84


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1) che “allorché fosse necessario ai fini della procedibilità, il presente atto è da intendersi atto di querela contro coloro che risulteranno responsabili dei fatti di reato, per i quali si chiede espressamente la punizione penale ai sensi di legge”; 2) che “ai sensi degli artt. 406 e 408 C.p.p. si chiede di essere informati presso il domicilio sopra indicato su eventuali richieste di proroghe delle indagini preliminari ed eventuali richieste di archiviazione”. Si indicano quali persone informate sui fatti sopra descritti i sigg.ri: – Tizio, nato a…….... il……....., residente/domiciliato in ……....... alla via…………, telefono……………… – Caio …… Con ossequio, si ringrazia. Luogo, Data e Firma che viene apposta al momento del deposito dell’atto

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Picchia il suo cane, seimila euro di multa

La storia

I fatti risalgono al 25 novembre 2005 quando, intorno alle 22,00 nei pressi di piazza Augusto Imperatore a Roma, diversi passanti vedono un uomo picchiare brutalmente un cane prendendolo a calci e pugni, sbattendolo contro il muro e colpendolo ripetutamente con uno spesso guinzaglio, utilizzato come una frusta. L’animale, rannicchiato a terra terrorizzato, prova a fuggire ma è legato con una fune. Le persone presenti tentano di fermare l’aggressione e chiamano le forze dell’ordine, ma prima dell’arrivo della polizia l’uomo riesce ad allontanarsi, minacciando i presenti e trascinando a forza il cane tenuto a guinzaglio. Tra i testimoni è presente Ilaria Zagaria, responsabile del settore adozioni dell’Associazione Volontari Canile di Porta Portese, che nei giorni successivi riconosce il cane maltrattato nella foto e nella descrizione di una scheda del canile: un meticcio di colore nero con una macchia bianca sul petto, entrato al rifugio alcune settimane prima e riconsegnato al detentore. Grazie a questo riconoscimento si risale al responsabile che viene quindi denunciato. A dicembre 2009, il Tribunale di Roma condanna l’uomo, A. R., di 44 anni, alla pena pecuniaria di 6.000 euro di multa “per aver picchiato brutalmente il suo cane”. “Finalmente nelle aule di giustizia, dopo le tante battaglie condotte negli anni dalle associazioni animaliste, si condannano gli autori di maltrattamenti verso gli animali”: questo il commento dell’avvocato Filippo Pompei che ha rappresentato nel dibattimento la Lav come parte civile. 86


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“Per questo è importante l’attività svolta dalle associazioni, ma è fondamentale anche l’azione di denuncia da parte dei comuni cittadini”. “Diverse analisi dimostrano che le varie forme di maltrattamento si accompagnano ad atteggiamenti culturali che vedono gli altri animali come cose, oggetti animati da usare e sfruttare e sui quali esercitare un misero senso di onnipotenza quotidiana: l’altro animale diventa lo schiavo di frustrazioni, impotenze e meschinità umane”: lo afferma Ciro Troiano, responsabile delle Guardie zoofile della Lav, estensore della denuncia che ha portato alla condanna di A.R. Pistone, il cane vittima dell’aggressione, grazie alla sentenza del tribunale è stato finalmente dissequestrato e affidato al canile di Roma in attesa di adozione. Sino alla condanna, il rischio che potesse essere restituito all’uomo che lo aveva maltrattato ne aveva impedito l’adozione, nonostante Pistone sia un cane buono e socievole con gli altri cani (divide un box con altri due cani da quattro anni). Ora, grazie alla decisione del giudice, Pistone può sperare in una nuova famiglia che lo accolga con amore. La normativa/la legge

Come più volte sottolineato, per il reato di maltrattamento la legge è la 189/2004. “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, che modifica l’art. 727 del Codice penale. Prevede la reclusione da tre mesi ad un anno o una multa da 3.000 a 15.000 euro per chi, per crudeltà o senza necessità, cagioni una lesione ad un animale, un danno alla salute, 87


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o sevizie o comportamenti, fatiche, lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Che fare?

Come sottolineato anche nella storia di Pistone, è fondamentale la collaborazione dei cittadini onesti. Chi è testimone di un grave maltrattamento è utile che lo denunci. Traccia di esposto contro il maltrattamento di animali Premettendo che gli atti di denuncia e querela sono privi di specifiche formalità (eccetto quelle legate al deposito) e, dunque, alla portata – salvo ipotesi complesse – di tutti e che presso gli uffici preposti alla ricezione di questi atti sarà possibile trovare una valida assistenza alla compilazione (per la quale è bene comunque sempre contattare un legale di fiducia prima del deposito), ecco un esempio assolutamente generale di denuncia al quale poi adattare con le dovute differenze i singoli atti. Utilizzate l’esempio solo come riferimento. La denuncia va depositata a mano o presso la cancelleria della procura della Repubblica o presso un qualsiasi ufficio di Polizia giudiziaria (Carabinieri, Polizia di Stato, Corpo forestale, Guardia di finanza, Polizia municipale, Polizia provinciale) che sono tenuti non solo a riceverla ma anche a disporre subito gli opportuni accertamenti. Non usate raccomandate o fax. Lo stesso seguente facsimile, opportunamente adattato, si può utilizzare per le altre fattispecie di reato previste dalla legge 189 del 2004: artt. 544 bis C.p. (Uccisione di ani88


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mali); art. 544 quater (Spettacoli o manifestazioni vietati); art. 544 quinquies (Divieto di combattimento tra animali); art. 727 C.p. seconda parte (Detenzione incompatibile); art. 2 della legge (Divieto di utilizzo a fini commerciali di pelli e pellicce di cani e gatti). Atto di denuncia (o querela) Ill.mo Sig. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di .................. e p.c. Al Comando Stazione Carabinieri di …………… – oppure Al Commissariato della Polizia di Stato di ………….....… – oppure Al Comando Stazione forestale…….. – oppure alla Guardia di finanza di ………. – oppure al Comando Polizia municipale di .................... – oppure al Comando Polizia provinciale di ............... (se invece la consegnate solo all’Organo di Polizia, indicherete solo quello prescelto) La/Il sottoscritta/o (generalità, domicilio, recapiti telefonici) espone quanto segue. In data …… in località ................ del Comune di .................... ha notato (esposizione dettagliata dei fatti cui si è assistito; fornire inoltre ogni elemento utile per la identificazione dei responsabili: targhe di auto, riconoscimento personale, descrizione somatica, eccetera; nel caso di ignoti intestare l’atto “contro ignoti”; aggiungere ogni elemento utile che possa descrivere le modalità dell’azione, ad esempio: “faceva uso di una spranga”, ovvero “trasportava l’animale facendo uso di un camion privo di aerazione”, ovvero “deteneva l’animale in una gabbia insufficiente”, eccetera). Trattasi di possibile ipotesi di reato di cui all’art. 544 ter del Codice penale (Maltrattamento di animali) che ha provocato grave strazio all’animale medesimo (eventualmente aggiungere, se i fatti ancora sono in atto, “che sta continuando a procurare strazio all’animale”). In questo contesto si indirizza il presente esposto alla S.V. confidando che i responsabili possano esser perseguiti penalmente (eventual89


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mente aggiungere, se i fatti ancora sono in atto: “si avanza cortese istanza affinché gli organi di indirizzo si attivino per impedire che il reato sopra descritto possa essere portato ad ulteriori conseguenze”). Tenere presente che i reati di cui alla legge 189/04 sono procedibili d’ufficio ma, per precauzione, nel caso in cui l’autorità procedente dia una diversa qualificazione giuridica dei fatti, risulta opportuno inserire i tre punti sotto indicati: 1) Allorché fosse necessario ai fini della procedibilità, il presente atto è da intendersi atto di querela contro coloro che risulteranno responsabili dei fatti di reato, per i quali si chiede espressamente la punizione penale ai sensi di legge; 2) Ai sensi degli artt. 406 e 408 C.p.p. si chiede di essere informati presso il domicilio sopra indicato su eventuali richieste di proroghe delle indagini preliminari ed eventuali richieste di archiviazione. 3) In qualità di querelante, ci si oppone all’eventuale emissione di un decreto penale di condanna. Si indicano quali persone informate sui fatti sopra descritti i sigg.ri: –Tizio, nato a...... il …………………., residente/domiciliato in …………….. alla via ………….., telefono …………………. – Caio ………………………….. Si allegano (eventualmente) i seguenti documenti: – referto del veterinario; – foto; – riprese video; – bastoni, catene, trappole, eccetera; – tracce di veleno (per le quali si chiede che la S.V. voglia disporre una specifica analisi); – altro. Si ringrazia. Luogo, Data e Firma che viene apposta al momento del deposito dell’atto

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Il ministro e il cane. Chi dei due il privilegiato?

La storia

Il cane del ministro alla Cultura Sandro Bondi, o meglio della sua compagna, la deputata del Pdl Michela Repetti, è l’oggetto di un’interrogazione parlamentare a firma dei senatori Roberto Della Seta e Donatella Poretti. Un cane oggetto di interrogazione parlamentare? Eh sì, perché il quattrozampe in questione è stato trasportato su un treno Frecciarossa insieme al ministro. Il cane avrebbe insomma ricevuto un trattamento di favore perché in compagnia del ministro: mentre agli altri, infatti, il regolamento di Trenitalia non consente l’accesso sui vagoni dei treni ad alta velocità, a meno che non si tratti di animali di piccola taglia nelle gabbie. A completare le tinte fosche di questa curiosa vicenda si aggiunge il fatto che l’incauto quattrozampe era atteso la sera stessa alla trasmissione “Porta a Porta”, dove ha partecipato alla puntata sul taglio della coda nei cani – pratica attualmente vietata (salvo deroghe particolari) dall’art. 2, lettera d), dell’Ordinanza Martini – insieme alla compagna del ministro. L’interrogazione, diretta al ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Altero Matteoli, mette l’accento sul trattamento iniquo riservato al ministro (il quattrozampe, infatti, non c’entra nulla: probabilmente si sarebbe anche volentieri risparmiato di andare nello studio televisivo), per il quale viene richiesta una sanzione così come da regolamento. Allo stesso tempo, i due senatori del Pd prendono 91


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la palla al balzo per chiedere a Trenitalia di consentire anche ai comuni mortali di portare i loro cani sui treni ad alta velocità, seguendo le regole di sicurezza per permettere a tutti un viaggio sereno. Mica male, però, in casa Bondi: un ministro, una deputata e un cane privilegiato. La normativa/la legge

Di seguito riportiamo in sintesi le regole attualmente in vigore che disciplinano il trasporto degli animali in treno. Tale regolamentazione è stata oggetto di discussione e studio al tavolo di lavoro tra esponenti politici (tra i quali ha avuto un ruolo positivo il sottosegretario Francesca Martini), esperti di settore e rappresentanti di associazioni animaliste. Il caso che ha interessato il ministro, il quale avrebbe violato il regolamento Trenitalia poiché trasportava il suo cane sul treno Frecciarossa – treno ad alta velocità – è interessante. In base alla disciplina di cui al regolamento citato è infatti vietato trasportare cani sui treni ad alta velocità salvo che gli stessi siano di piccola taglia e, quindi, trasportabili in apposite gabbie di dimensioni limitate. L’interrogazione parlamentare, tutt’oggi non conclusa, poggia sul perché sia stato concesso al ministro di viaggiare sul treno ad alta velocità con il proprio quattrozampe. Risulta opportuno osservare che la disciplina relativa al trasporto di cani in treno non è oggetto di particolari deroghe se non nel caso di trasporto di cani-guida per persone non vedenti che, ovviamente, possono viaggiare su tutti i tipi di treni. L’autorizzazione data al ministro e al suo cane apparentemente integra un trattamento di favore a disca92


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pito dei “comuni” cani viaggiatori. La nostra Costituzione sancisce il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione alcuna. Pertanto, salvo il caso in cui sia la legge stessa a prevedere la deroga per circostanze determinate – vedi il citato diritto illimitato per il trasporto dei cani-guida per i non vedenti – ovvero sussista una causa particolare che permetta la deroga temporanea al regolamento, eventuali violazioni della normativa integrano un illecito sanzionabile. La vicenda ha comunque avuto un aspetto positivo. I proprietari del cane “privilegiato”, infatti, hanno giustificato il loro comportamento sulla base della buona fede e hanno comunicato l’intenzione di “lottare”, mediante la modifica della disciplina regolamentare, perché sia data la possibilità di viaggiare con gli animali domestici su tutti i tipi di treni, a prescindere dalla dimensione e seguendo le regole di sicurezza, in modo che le campagne contro l’abbandono abbiano un riscontro concreto anche sul piano pratico. Aspettiamo dal ministro Bondi che passi dalle parole ai fatti. Che fare?

Il trasporto degli animali domestici da compagnia sui treni è possibile. I cani di piccola taglia, i gatti e altri piccoli animali domestici da compagnia (custoditi nell’apposito contenitore di dimensioni non superiori a 70x30x50) sono ammessi gratuitamente nella prima e nella seconda classe di tutte le categorie di treni. È possibile viaggiare con un solo contenitore per ciascun viaggiatore. Trenitalia specifica che, se si 93


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tratta di treni effettuati con materiale ETR 450, il contenitore va tenuto sulle ginocchia. Per i cani di altra taglia (qualsiasi) è possibile, per singolo viaggiatore, il trasporto dell’animale mediante l’utilizzo di museruola e guinzaglio: – sui treni Espressi, IC ed ICN sia in prima che in seconda classe; – sui treni Regionali nel vestibolo o piattaforma dell’ultima carrozza, con esclusione dell’orario dalle 7 alle 9 del mattino dei giorni feriali dal lunedì al venerdì; – nelle carrozze letto, nelle carrozze cuccette ordinarie e comfort e nelle vetture Excelsior ed Excelsior E4 per compartimenti acquistati per intero. In tali casi per il trasporto del cane è necessario acquistare un biglietto di seconda classe al prezzo previsto per il treno utilizzato ridotto del 50%. In nessun caso gli animali ammessi nelle carrozze possono occupare posti destinati ai viaggiatori. Queste condizioni non valgono per i cani-guida per i non vedenti. Essi possono infatti viaggiare su tutti i treni gratuitamente senza alcun obbligo. Per tutti i cani è necessario essere in possesso del certificato di iscrizione all’anagrafe canina (o del “passaporto” del cane per i viaggiatori provenienti dall’estero). È necessario avere con sé copia del certificato per esibirlo al momento dell’acquisto del biglietto e/o durante il viaggio. In caso di inadempimento si è infatti soggetti a sanzione pecuniaria e si deve scendere alla prima fermata. Se si viaggia sui treni sprovvisti del biglietto per l’animale, 94


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oppure non si esibisce il certificato di iscrizione all’anagrafe canina, si è tenuti a pagare l’importo dovuto, maggiorato di una soprattassa. Inoltre, nel secondo caso, si dovrà scendere alla prima stazione di fermata del treno. Penalità sono inoltre previste in caso di violazione delle dimensioni ammesse per i contenitori, oppure delle regole di trasporto previste per ciascun tipo di treno (classe, prezzo, orario di trasporto). Sul sito internet www.trenitalia.com è possibile visionare le condizioni di trasporto relative a ciascun tipo di treno, nonché i prezzi applicati dalla società. Inoltre sono presenti le regole di trasporto valide sui treni internazionali.

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Uccide cani che disturbano gregge: un anno di galera

La storia

Arrestato dai Carabinieri con l’accusa di aver ucciso a fucilate due cani maremmani che, a suo dire, assalivano il suo gregge. Un pastore di Siurgus Donigala (Cagliari), B. L., di 43 anni, è stato condannato a un anno di reclusione, con la condizionale, dal giudice monocratico del Tribunale di Cagliari. Nella sentenza il giudice ha disposto il sequestro del fucile calibro 12 usato da L. per abbattere i cani. L’episodio è avvenuto nella prima settimana del 2010 ed è stato segnalato ai Carabinieri della Compagnia di Dolianova dal proprietario dei due animali uccisi. Laconi è stato arrestato dai militari in base alla nuova legge che ha aggravato le pene per l’uccisione di animali, nel caso specifico di proprietà di terzi. La posizione di L. è stata ulteriormente aggravata dal fatto che l’uomo ha portato illegalmente fuori dalla propria abitazione il fucile (poi sequestrato). Anche in aula, come aveva fatto con i militari, L. ha cercato di giustificare il suo gesto con i continui attacchi che i due cani da pastore avrebbero portato al suo gregge, spaventando e disperdendo le pecore. La normativa/la legge

Il maltrattamento, l’abbandono e l’uccisione immotivata degli animali sono reati perseguiti dal nostro Codice penale. Già nel 1889, il Codice penale Zanardelli proibiva espli96


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citamente atti crudeli, sevizie e maltrattamenti di animali. Oggi la legge 189/2004 (“Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché dell’impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”) definisce un elenco di delitti nei confronti degli animali (maltrattamenti, uccisioni, abbandoni, combattimenti, doping, spettacoli) per i quali, per la prima volta in Italia, è previsto anche il carcere. Per fermare comportamenti illegali di cui si è testimoni, è necessario far intervenire le forze dell’ordine. Tutti gli agenti di Polizia giudiziaria sono competenti in materia di reati contro l’ambiente e gli animali. Se si vuole che un giudice venga a conoscenza dei fatti, è necessario fare un “esposto-denuncia”. La denuncia si può fare – in carta libera – direttamente alla procura della Repubblica presso la pretura locale oppure a uno qualunque degli organi di Polizia giudiziaria: Carabinieri, Polizia di Stato, Vigili urbani, Corpo forestale, Guardia di finanza. Saranno poi loro a inoltrare la denuncia alla pretura competente.

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LA LEGGE “IN PILLOLE” La legge 189/2004 così ha modificato i seguenti articoli del Codice penale: Art. 544 bis Codice penale (Uccisione di animali) Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagioni la morte di un animale, è punito con la reclusione da 3 mesi a 18 mesi. Art. 544 ter Codice penale (Maltrattamento di animali) Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione a un animale o lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 1 anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro. Art. 727 Codice penale (Abbandono di animali) Chiunque abbandona animali domestici, o che abbiano acquisito abitudini della cattività, è punito con l’arresto fino ad 1 anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. La legge prevede inoltre: – Detenzione incompatibile con natura degli animali e produttiva di grandi sofferenze: arresto fino ad 1 anno o ammenda da 1.000 a 10.000 euro. – Spettacoli o manifestazioni con sevizie o strazio: reclusione da 4 mesi a 2 anni e multa da 3.000 a 15.000 euro. Aumento di un terzo se vi sono scommesse o se ne deriva la morte dell’animale impiegato. – Combattimenti fra animali e competizioni non autorizzate: reclusione da 1 a 3 anni e multa da 5.000 a 160.000 euro per chi li promuove, organizza o dirige. Aumento di un terzo se presenti minorenni o persone armate o con promozione attraverso video.

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Il maltrattamento e l’uccisione degli animali viene considerato da troppi uomini di legge, magistrati e forze dell’ordine, un reato “minore”, per cui il denunciante si imbatte spesso nell’indifferenza, nella svogliatezza e nell’ostracismo di chi, invece, dovrebbe far rispettare la legge. Va sottolineato che la Corte di Cassazione ha affermato che tutti gli agenti di Polizia giudiziaria sono competenti in materia di reati contro l’ambiente e gli animali: la condizione di maltrattamento o malnutrizione può essere accertata e repressa da qualsiasi pubblico ufficiale o da un veterinario Asl o da una guardia zoofila dell’E.N.P.A. e di altre associazioni riconosciute.

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Brina, la cagnetta senza volto. Grazie a un fucile

La storia

Brina è un pointer bianco e nero, femmina, di 6 anni e il suo proprietario risiede a Santa Teresa di Gallura. Brina scompare da casa il 29 gennaio e viene ritrovata nel giardino di un’abitazione di Olbia il 14 febbraio. Chi soccorre il cane stenta a credere in ciò che vede. “In tanti lunghi anni in cui ci è capitato di soccorrere dei cani, credo che non ci siamo mai trovati di fronte a qualcosa di simile. Su segnalazione di una signora, siamo intervenute in un giardino di una casa dove si era rifugiata questa creatura stremata dal dolore e dalla sofferenza”, è il commento delle volontarie della Lida di Olbia. A Brina manca mezzo muso. Esplosa parte della mandibola, parte della mascella, aperta l’intera canna nasale, distrutto il palato duro. La chiamano “il cane senza volto”. Affidata alla Lida di Olbia, ci si consulta con i veterinari se sia giusto, nei confronti del cane, tentare di ricostruire ciò che è possibile o se sia più accettabile mettere una pietosa fine alla vicenda. Nel frattempo un uomo corpulento apre la porta della clinica dove Brina è ricoverata e si mette a piangere. È il suo proprietario e scongiura medici e volontari di fare tutto il possibile per restituirgli il cane, anche se gravemente mutilato. Si decide per un primo intervento immediato, che dura diverse ore e vale a ricostruire i tessuti molli e il palato duro. Si ripulisce tutta la zona del muso togliendo le parti ormai in necrosi, ricostruendo parte del palato per separare le 100


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due cavità della bocca e del naso, così da permettere la respirazione dalla cavità nasale quasi totalmente distrutta. Utilizzando per quanto possibile dei tessuti non danneggiati, si fa una prima ricostruzione delle gengive e delle labbra. Dopo circa cinque ore di intervento, Brina sembra reagire bene e il giorno dopo è già in piedi. Il dottor Messina, che l´ha in cura, dice che sono importanti i successivi 5/7 giorni per vedere che le suture tengano e non ci sia nessun processo infettivo in corso. Brina reagisce bene e allora si prende coraggio. Dovrà subire diversi altri interventi per riprendere ad alimentarsi da sola, anche se già da subito riesce a mangiucchiare qualcosa di semiliquido. Gli interventi successivi non potranno ridare a Brina l’aspetto che aveva, ma al proprietario (e anche a noi) non frega assolutamente niente che sia bella o brutta. Se avrà una vita dignitosa è giusto che viva, se non altro a futuro ricordo dell’insensibilità umana. 101


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Su cosa sia stato a ridurre Brina in questo modo nessuno avanza dubbi. Un colpo di fucile sparato da breve distanza. Il perché è forse una brutta storia tra cacciatori. Chiunque sia, c’è da chiedersi se sia degno di vivere un minuto più di quel cane. Brina, invece, è una cagnetta coraggiosa e forte: vivrà a lungo. La normativa/la legge

La normativa di riferimento è quella già più volte citata: la legge 281/1991 (la cosiddetta legge quattro zampe) e la legge 189/2004 (la legge contro i maltrattamenti), che condanna maltrattamenti e crudeltà sugli animali domestici con pene severe (con la reclusione da tre mesi a un anno e con la multa da 3.000 euro a 15.000 euro). Ma oltre a queste leggi c’è la legge etica: chi ha conciato così Brina merita di far parte moralmente del consesso della civiltà umana? Che fare?

Denunciare i fatti, sempre. Soprattutto se aberranti come questo. Anche una denuncia contro ignoti può sortire, in casi di particolare gravità, qualche effetto. E poi denunciare gli stessi fatti all’opinione pubblica: mandare la storia e le foto ai giornali e alle televisioni. La pressione dell’opinione pubblica può servire a rilanciare le indagini e serve sempre, comunque, a condannare moralmente gli autori di gesti efferati.

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, Lascia in eredita la villa, ma il parroco fa sopprimere i cani

La storia

Gilda l’hanno vista l’ultima volta che annusava l’aria, col musetto imbucato in uno dei rombi della cancellata. Friz, Tufino e Fido – i suoi tre fratelli adottivi – le stavano sempre appresso, come fosse la mamma. Ma lei non era che una come loro. Una bastardina che la buona sorte ha aiutato fino all’ultimo battito di cuore della signora Giuseppina. Ma la povera Giuseppina era sulla soglia dei novanta ed è arrivato il giorno in cui non ha visto l’alba. Lo stesso giorno della fortuna perduta per i suoi quattro adorati cagnolini. Perché nel testamento la “sciura” Brambilla (così faceva di cognome) ha lasciato ciò che aveva a una parrocchia di Milano e il parroco ha fatto sopprimere quei cani. Li ha “addormentati” il veterinario del quartiere dove la vecchietta viveva. Lui, il veterinario, dice che ha consigliato “per ben due volte di cercare una sistemazione” ai quattro bastardini, ma davanti alla terza richiesta ha ceduto. Il nuovo proprietario delle creature a quattro zampe gli chiedeva l’eutanasia, ed eutanasia è stata. Gilda, Friz, Tufino e Fido hanno chiuso i loro occhietti sui suoi e la loro storia è finita lì, sul tavolino d’acciaio dell’ambulatorio. Era un mattino qualsiasi e per don Fabio era la fine di quattro piccoli problemi. Abbaiavano, quelle matasse di peli a quattro zampe. Disturbavano il vicinato. E c’è chi dice anche di un foglio di carta sul quale Giuseppina aveva scritto di volere che i suoi cani non le sopravvivessero. Ma nel testamento no: non c’è una sola riga che faccia riferimento a 103


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loro e lo stesso notaio – spiegano gli animalisti di Gaia che hanno scoperto il caso – non si spiega “come mai la signora avrebbe dovuto scrivere una volontà testamentaria fuori dal testamento”. Don Fabio è l’unico che può spiegare il perché della scelta dell’eutanasia. Ma alla parrocchia non c’è. “Non ci sarà fino a sabato”, giura la segretaria della parrocchia. E il giovane sacerdote che dice messa in questi giorni (“ma no, non sono il viceparroco”) rivela che “don Fabio è a La Thuile, in Valle d’Aosta, per partecipare alla meditazione e agli esercizi spirituali voluti da Comunione e Liberazione”. Però nell’albergo che Cl gestisce d’estate a La Thuile – quello in cui soggiornano tutti gli iscritti al corso spirituale – le signorine della reception rimandano la palla al centro: prima spiegano che “sì, è qui, deve chiamare più tardi”. Poi precisano che “ci siamo sbagliate. Qui non risulta nessun don Fabio”. E con questo la ricerca è chiusa. Il prete è irrintracciabile. La sua versione pure. Raccontano di tutto di più, invece, gli animalisti di Gaia Animali & Ambiente che hanno sollevato il polverone. A metterli in allarme, spiegano, è stata una signora che abita a due passi dalla villa con giardino che Giuseppina Brambilla ha lasciato in eredità. Si chiama Ingrid, quella signora, ed è lei stessa a ripetere una volta di più di quel giorno: quando “non ho visto più i cani”. Ricorda, Ingrid, di aver chiamato Antonietta, la donna di servizio di Giuseppina: “Le ho detto ‘ma che fine hanno fatto i cani?’. E lei: ‘dicono che li hanno uccisi’. Mi sono attaccata al telefono e non ho smesso finché non ha ricostruito la storia. Alla fine sono andata in lacrime 104


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dal veterinario e gli ho chiesto: ‘dove sono i cani?’ e lui mi ha risposto candido: ‘all’inceneritore’”. Che fossero malati? Lo stesso veterinario ammette che “no, apparentemente non lo erano” e dice di avere una carta firmata dal parroco: una dichiarazione che certifica il suo incarico di curatore testamentario. Poche righe, insomma, per dire che lui, don Fabio, poteva disporre di ciò che era stato di Giuseppina, compresa la vita delle quattro bestiole. Ma un veterinario potrebbe rifiutarsi di abbattere un animale? Il dottore pensa un attimo alla risposta e chiede: “Cos’è? Una domanda-trabocchetto?”. La normativa/la legge

Paradossalmente, la legge 281/91 (che si occupa di prevenzione del randagismo e dunque prevalentemente di cani vaganti e catturati e di gatti liberi) vieta la soppressione di animali domestici “senza famiglia”, salvo nel caso siano gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità. Non esiste una legge che vieti la soppressione di un animale di proprietà, che dunque non può essere ucciso in maniera violenta o maltrattato, ma può essere soppresso in maniera eutanasica presso uno studio veterinario. Sta alla coscienza del veterinario, eventualmente, rifiutarsi di procedere alla soppressione di un animale perfettamente sano e in buona salute. Che fare?

L’unico difetto che hanno cani, gatti e tutti gli animali domestici è che vivono troppo poco. Ma, se dovesse toccare a noi lasciarli anzitempo, li lasceremmo soli? 105


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La storia di Gilda, Friz, Tufino e Fido è del 1999, ma sono sempre più frequenti i casi in cui cittadini amici degli animali lasciano questa terra senza aver pensato ai propri beniamini. Proprio a partire da questa vicenda, Gaia fa un invito esplicito a fare testamento a favore degli animali, per evitare a cani, gatti ed altri animali la strada, spesso obbligata, del canile o dell’abbandono (o, come nel triste caso, della soppressione). Certo, non mancano i casi di animali fortunati che si sono ritrovati eredità miliardarie. Ma, troppo spesso, le associazioni animaliste hanno registrato casi di impossessamento di patrimoni – da parte di parenti o esecutori testamentari – senza alcun rispetto per l’amore che la persona ha sempre dimostrato in terra per gli animali. Se la persona che muore non ha lasciato un testamento, i beni sono distribuiti, secondo la legge, ai parenti. Se si desidera che tutti, o parte dei beni siano a beneficio di opere di utilità sociale o dei propri animali, è necessario prevedere un testamento. Il testamento più semplice può essere di tipo olografo: in altre parole, scritto di proprio pugno dalla persona interessata, la quale dovrà identificare chiaramente il o i beneficiari del lascito. Presso la sede di Gaia Animali & Ambiente è disponibile un testo redatto dallo Studio Guasti, intitolato “Perché e come si deve fare Testamento”, con indicazioni utili e pratiche in proposito. Il testo può essere richiesto all’associazione Gaia dal lunedì al venerdi allo 02.86463111 oppure alla mail segreteria.gaia@fastwebnet.it. Perché se il destino, malauguratamente, ci chiama a raccolta in maniera inattesa e anticipata, c’è il rischio che nes106


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suno si prenda cura dei nostri amati compagni a quattro zampe. Ăˆ dovere di ogni tutore prevedere e garantire la sicurezza e le cure di chi dipende da noi. Gli animali lo sono. Fido e Micia vivranno sereni per tutta la vita e, alla loro scomparsa, i beni lasciati in ereditĂ saranno amministrati e impiegati per garantire cure e benessere ad altri animali sfortunati, cani e gatti abbandonati.

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Spiaggia off limits. Fioccano le multe

La storia

Cosa c’è di più bello per un giovane nonno che passeggiare sulla spiaggia con la nipotina e il cagnolino? Niente, probabilmente, se non fosse che per prendersi questa libertà un cinquantenne di Senigallia dovrà pagare più di 1000 euro di multa. L’episodio è molto semplice. L’uomo era uscito insieme alla nipotina e al suo pincher nano, tenuto al guinzaglio, per camminare un po’ in riva al mare. Ma, a distanza di due anni dalla fatidica passeggiata, si ritrova a pagare una supermulta di 1.047 euro comminata dai vigili di Senigallia. “È chiaro”, sostiene l’associazione animalista che ha reso noto l’episodio, “che si tratta di un’aberrazione”, e di “un’applicazione restrittiva” delle norme, fra cui il Codice di Navigazione, “come se un pincher nano al guinzaglio di un nonno accompagnato dalla nipotina potesse creare difficoltà alla navigazione delle navi e barche nell’Adriatico”. Ora la vicenda finirà davanti al giudice di pace. “Quando ho letto il contenuto del verbale non mi sono messo a ridere per la gravità e lo sproposito della somma da pagare per una multa su cui nutro molti dubbi di legittimità”, confida il responsabile dell’associazione. “È chiaro l’intento persecutorio nei confronti di questo signore a spasso con cagnolino e nipotina, che viene multato di mille euro perché passeggia sulla battigia, dove tra l’altro è consentito il libero passaggio sempre e comunque in orario serale quando in spiaggia non c’è più nessuno, e 108


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dopo due anni si ritrova un’ingiunzione di pagamento della multa nella quale si minaccia il ricorso di esecuzione forzata”. Una vera e propria ingiustizia, secondo l’associazione, che però è indice di una netta intolleranza nei confronti dei cani in spiaggia. L’ultima estate, infatti, ha portato una pioggia di sanzioni per chi ha portato quattrozampe al mare. Risultato? Vacanze rovinate per 59.000 famiglie, multate per aver portato Fido in spiaggia. Le 59.000 contravvenzioni, elevate da vigili urbani in buona parte dei comuni costieri d’Italia, sono state in media di 400 euro l’una, con punte oltre i 1.000 euro nell’isola di Sant’Antioco, in provincia di Cagliari. I dati (che, francamente, sembrano un poco esagerati: come hanno fatto a contare tutte le multe, una per una?) arrivano dall’Aidaa, l’associazione italiana difesa animali e ambiente. Molte di queste, secondo l’associazione, sarebbero irregolari. In particolare le irregolarità (che sarebbero riscontrabili in circa 38.000 contravvenzioni) riguardano l’assenza di segnaletica o la presenza di segnaletica illegittima sul divieto di portare i cani in spiaggia e l’assenza di regolare ordinanza comunale che sancisce e precisa divieti e sanzioni; inoltre, almeno 4.000 contravvenzioni sarebbero state comminate sulla battigia, nonostante esista la normativa che consente il libero transito nei cinque metri di profondità della spiaggia definita battigia. Le regioni in cui sono state applicate il maggior numero di sanzioni sarebbero la Sardegna, il Veneto, la Liguria, la Toscana, l’Abruzzo e la Calabria. Tra quelle più tolleranti figurerebbero la Puglia e la Sicilia. 109


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La normativa/la legge

Per Fido la spiaggia è spesso off-limits. In Italia non esiste una norma nazionale che regoli la materia in maniera ferrea. Sono le Capitanerie di Porto, ogni anno, all’inizio della stagione balneare, a decidere divieti o possibilità di accesso attraverso apposite ordinanze. Alcune ordinanze delle Capitanerie arrivano a sancire delle multe fino a 400-500 euro per i “fuorilegge” a quattro zampe. Recentemente, tuttavia, alcune ordinanze lasciano aperta la possibilità di accesso ai pet. Ecco lo stralcio del testo della prima “storica” ordinanza della Capitaneria di Porto di Savona del 1997, che concedeva l’accesso ai cani almeno negli stabilimenti privati: “È vietato, nel periodo balneare (1° maggio-30 settembre), condurre sugli arenili cani o altri animali anche se muniti di museruola e/o guinzaglio. I concessionari possono, nell’ambito della propria concessione, individuare aree debitamente attrezzate da destinare al ricovero di animali domestici, salvaguardando comunque l’incolumità e la tranquillità del pubblico ed assicurando le necessarie condizioni igieniche secondo le vigenti normative”. Che fare?

Alcune spiagge (sia private, sia pubbliche), negli ultimi anni, hanno aperto ai cani. Gli stabilimenti balneari che consentono l’accesso agli animali, in Italia, sono pochi ma buoni: si trovano facilmente con un clic sui siti www.viaggiarecolcane.it o www.dogwelcome.it. Leggere sempre attentamente i cartelli e gli avvisi posti in prossimità delle spiagge. Per maggiori sicurezze, chiedere informazioni ai vigili della zona, alla Guardia Costiera o alla Capitaneria di Porto. 110


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Lascia l’husky in auto parcheggiata al sole. Turista denunciato a Porto Rotondo

La storia

Se l’è vista brutta. Olga, una femmina di husky, è stata salvata dai Carabinieri di Porto Rotondo, in Sardegna. Il suo padrone, un turista romano, l’aveva lasciata due ore prima nell’automobile parcheggiata in un luogo assolato in pieno luglio. I militari, intervenuti grazie alla segnalazione di un passante, hanno rotto il finestrino e hanno salvato l’animale, praticamente in fin di vita per un colpo di calore. L’husky, prontamente soccorsa da un veterinario, ora sta bene. Qualche decina di minuti dopo è arrivato il padrone: l’uomo si è giustificato dicendo che avrebbe lasciato Olga solo qualche minuto, ma che aveva avuto un imprevisto con la moglie per il figlio che si trovava in difficoltà. L’uomo, un quarantacinquenne, è stato denunciato per maltrattamento di animali. Rischia il carcere o una multa da 1.000 a 10.000 euro.

Loro al museo e il cane in macchina a 49 gradi

La storia

Erano andati a visitare gli Uffizi, a Firenze, e avevano lasciato il loro cane, un labrador, dentro l’auto, dove la temperatura aveva raggiunto i 49 gradi. Per questo due turisti francesi sono stati multati per abbandono di animale. Il cane, soccorso dalle Guardie zoofile dell’Enpa (ente naziona111


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le protezione animali) è stato salvato, ma al momento dell’intervento era privo di conoscenza. Le Guardie zoofile sono intervenute in via De Gasperi a Firenze, sulla segnalazione di alcuni passanti e, una volta giunte sul posto insieme a un veterinario, hanno rotto il lunotto dell’auto e soccorso il cane. Il veterinario ha prima bagnato l’animale con una tanica di acqua refrigerata e dopo gli ha somministrato flebo e cardiotonici, che lo hanno fatto rinvenire. La normativa/la legge

La normativa è la solita che tutela gli animali d’affezione: la legge 189/2004 contro l’abbandono e il maltrattamento. Che fare contro il colpo di calore?

Ogni anno, con l’arrivo del caldo, per sbadataggine, distrazione o anche solo per mancanza di conoscenza dei rischi reali, qualche amico a quattro zampe rimane chiuso in macchina e, anche a finestrini parzialmente aperti, rischia di morire o muore per l’eccessivo caldo. Mai lasciare cane o gatto (o altri pet) soli in auto al sole, anche se per pochi minuti. Il cane e il gatto hanno una temperatura corporea che è stabile, indipendentemente dalla temperatura dell’ambiente nel quale si trovano: sono animali omeotermi. Se si trovano in un ambiente molto freddo, scattano dei meccanismi di termoregolazione che stimolano l’organismo animale a produrre più calore e a ridurre le perdite riducendone la dispersione. Se si trovano in un ambiente caldo e la temperatura corporea aumenta, questi meccanismi di 112


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termoregolazione cercheranno di dissipare calore corporeo riportando la temperatura corporea dell’animale nel range di temperatura proprio della specie. Questi meccanismi di termoregolazione, purtroppo, funzionano solo entro certi limiti di temperatura e in assenza di alcuni fattori che possono predisporre ancora di più ad un inadeguato controllo della dispersione di calore. Fattori predisponenti possono essere: – una eccessiva temperatura dell’ambiente dove è tenuto l’animale, – una elevata umidità ambientale, – una scarsa ventilazione, – il soprappeso dell’animale o l’obesità, – l’eccessivo esercizio fisico, – il mantello molto folto, – la diminuita tolleranza al calore nella giovane età o nell’età avanzata, – la mancanza di acqua a disposizione, – la struttura delle prime vie aeree (bulldog, boxer, carlini, gatti persiani: insomma quegli animali domestici con la caratteristica di “naso schiacciato”), – l’impossibilità dell’animale a spostarsi da un ambiente dove la temperatura è molto alta. Da soli, oppure associati tra di loro, questi fattori possono far innalzare la temperatura corporea più velocemente di quanto l’organismo riesca ad abbassarla dissipando calore. La temperatura rettale rapidamente sale tra i 41° e i 44° C, quando normalmente dovrebbe stare intorno ai 38,5° C. I sintomi clinici nei cani con colpo di calore variano in ba113


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se alla durata all’esposizione all’alta temperatura e al tipo di fattore predisponente che lo scatena. Inizialmente l’animale ansima velocemente come risposta compensatoria all’aumento della temperatura ambientale (ansimando cerca di dissipare calore corporeo per abbassare la propria temperatura), la frequenza cardiaca aumenta notevolmente, le mucose orali diventano di colore rosso vivo e, se non si riesce ad intraprendere adeguate misure per contrastare l’ipertermia, si rischia che l’animale cada in uno stato stuporoso. Che fare contro il colpo di calore? Il primo obiettivo è quello di abbassare la temperatura corporea dell’animale. Ecco come: – Bagnandolo con acqua fresca oppure avvolgendolo in asciugamani imbevuti di acqua fredda, avendo l’accortezza di cambiare gli asciugamani quando questi diventano caldi. – Ponendo l’animale in un ambiente ben aerato. Evitare di mettere l’animale in una vasca con acqua molto fredda o addirittura ghiacciata perché la vasocostrizione periferica non permetterà una buona dissipazione del calore. – Portando il paziente presso il più vicino ambulatorio veterinario, dove si continueranno adeguate e specifiche terapie. – Controllando ogni 5-10 minuti la temperatura rettale del paziente ed interrompendo le procedure quando questa raggiunge i 39° C. Che fare? Meglio un finestrino rotto di una vita spezzata

I cani non sudano. Anche pochi minuti nella scatola di lamiera sotto il sole possono essere fatali all’animale. Non è 114


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sufficiente lasciare che passi un filo d’aria dai finestrini. Per questo l’associazione Gaia Animali & Ambiente dal 2004 ha lanciato la campagna “Meglio un finestrino rotto che una vita spezzata�, invitando tutti i cittadini ad agire per salvare i cani in casi di emergenza. I legali di Gaia Lex sono a disposizione per supportare le persone che decidessero di intervenire spaccando un finestrino di auto per salvare la vita ad un cane e, in seconda battuta, eventualmente per sporgere denuncia per maltrattamenti.

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Gli astici piangono?

La storia

In tribunale a Milano si discute delle “lacrime” dei crostacei. Capita in un processo per maltrattamento di animali a carico di due ristoratori che avevano esposto astici vivi sul ghiaccio a beneficio degli avventori. Secondo il pubblico ministero Giulio Benedetti, i ristoratori “cagionavano agli astici sevizie” fino a causarne la morte. Tuttavia il giudice Monica Amicone li ha assolti, sostenendo che non si può parlare di crudeltà perché gli astici sono “animali non dotati di sistema nervoso centrale”. Il 24 novembre 2009 il pm ha ricorso in appello, citando studi secondo i quali anche gli astici soffrono. E se la tesi degli imputati è semplice e anche un po’ banale (“non riteniamo che un astice possa soffrire sul ghiaccio poiché è un animale a sangue freddo”, si sono difesi), una ricerca della Queen’s University di Belfast spiega che “anche le aragoste (e i gamberetti) piangono”. Per dimostrarlo il biologo Robert Elwood ha “versato dell’acido acetico sulle antenne di 144 gamberetti che si sono strofinati l’area affetta per più di cinque minuti”. Gli animali a sangue freddo, come pesci e crostacei, soffrono al pari di altri animali, ma la loro sofferenza e agonia sui banconi dei mercati del pesce, dei supermercati e dei ristoranti non suscita in genere molta pietà. Il dolore delle bestiole squamate e dei crostacei è “muto come un pesce” e le loro “lacrime” si sciolgono, invisibili, nell’acqua. Astici, aragoste e scampi che annaspano, vive in agonia, sul ghiaccio e sui banconi di vendita, attirano maggiormente l’attenzione degli acquirenti perché “freschi”. Spesso il lo116


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ro destino è di essere bolliti vivi, perché così detta una certa tradizione culinaria. Pochi sanno però che l’animale, in condizioni di stress e di paura (come una bollitura da vivi), produce tossine che ne avvelenano la carne. La normativa/la legge

Secondo il Centro di Referenza Nazionale Benessere Animale del Ministero della Salute, il porre crostacei vivi sul ghiaccio, come viene ampiamente fatto anche con le aragoste, è certificato maltrattamento (prima parte dell’art. 727 del Codice penale o art. 544 bis). Che fare?

E doveroso e possibile tentare di fermare lo spettacolo osceno di pesci e crostacei agonizzanti sui banconi dei supermercati. L’associazione Gaia già nel 1999 denunciò ben cinque centri commerciali che esponevano animali agonizzanti. Più della legge e della denuncia però possono ottenere le proteste dei clienti e la minaccia di boicottaggio da parte di gruppi organizzati di consumatori e associazioni animaliste. Nei punti vendita che espongono animali vivi in agonia, qualunque cliente può chiedere al direttore di mettere le bestiole in acqua o comunque non lasciarle esposte in agonia. La voce di decine, centinaia, di clienti avrà certamente l’effetto desiderato. Nel caso in cui non si riscontrasse alcuna disponibilità da parte dei responsabili dell’esercizio commerciale, è utile ricorrere alla denuncia penale, utilizzando la traccia che segue.

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ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DEL TRIBUNALE DI ................... AL COMANDO DELL’ARMA DEI CARABINIERI DI ........................ Oggetto: Esposto-denuncia per la tutela degli animali a sangue freddo (pesci e crostacei), violazione delle leggi sulla immissione sul mercato di prodotti della pesca vivi – maltrattamento animali. Il sottoscritto ……………., nato il …………. a ……..e residente in Via ………. città ……., desidera esporre e denunciare quanto segue. Il negozio/supermercato/ristorante ……………. di via ……, città ……. espone pesci/crostacei agonizzanti, lasciati a morire lentamente sui banconi/ghiaccio. Chiedo l’intervento dell’Autorità giudiziaria affinché sia evitata agli animali a sangue freddo, pesci e crostacei, l’inutile agonia e sofferenza a cui sono sottoposti. La normativa vigente prevede per gli animali forme di tutela atte ad evitare inutili sofferenze e agonia. È proibito lasciare i pesci e i crostacei agonizzare fuor d’acqua, sul ghiaccio. L’art. 4 del Decreto legge 531 del 1992 prescrive l’obbligo di detenere i prodotti della pesca, immessi vivi sul mercato, costantemente nelle condizioni più idonee alla sopravvivenza (la sanzione prevista per l’infrazione va da 5.000 euro a 30.000 euro). Vista la normativa su citata, la legge 20 luglio 2004, n.189 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, l’art. 727 Codice penale, il Dpr 31/3/1979 - art. 3 che attribuisce ai Comuni la funzione di vigilanza sulle leggi a tutela degli animali, la Circolare n° 559/Leg/200.112 bis - 3/10/1994 del Ministero dell’Interno che vieta spettacoli ed esibizioni con strazio o sevizie di animali; constatato che la Cassazione ha ribadito che tutti gli organi di P.G. sono competenti per tutti i reati in materia ambientale e tutela ani-

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mali (Cass. pen. sez. III – Pres. Gambino – Est Postiglione – n. 1872 del 27 settembre 1991); si richiede un intervento per accertare il reato e impedire che questi venga portato a ulteriori conseguenze ai sensi dell’art. 55 del Codice di procedura penale. Si chiede di essere informati in caso di richiesta di archiviazione della presente denuncia. Con l’occasione si porgono deferenti saluti. Firma città e data

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Coppia condannata per aver accecato e mutilato cardellini

La storia

Marito e moglie di Pozzuoli condannati a quattro mesi di reclusione (pena condonata) perché, come si legge nel capo di imputazione, “per crudeltà e senza necessità, cagionavano lesioni e sottoponevano a sevizie tre cardellini. Le lesioni e sevizie sono costituite nell’aver accecato un esemplare, nell’aver mutilato di un’ala un altro esemplare e nell’aver parzialmente mutilato le ali e la coda a un terzo”. I fatti vengono accertati a Pozzuoli il 5 gennaio 2006 dalle Guardie venatorie della Lipu, della Lav e dal Corpo forestale dello Stato nel corso di un controllo in un esercizio commerciale. Gli agenti, durante un servizio ordinario di controllo per la prevenzione dei reati legati all’uccellagione e alla detenzione di fauna selvatica protetta, si ritrovano dinanzi a un brutale rinvenimento: M. P., di 64 anni, assieme alla moglie detiene, chiusi in gabbia nei locali della sua nota pizzeria in Pozzuoli, diversi cardellini fra cui alcuni accecati e altri mutilati. I cardellini chiusi in gabbia sono tenuti allo scopo, come si legge nella sentenza, “di renderne gradevole la presenza agli ospiti del locale”. Un esemplare è accecato, mentre altri due presentano tagli alle ali. La detenzione dei cardellini integra una violazione amministrativa per la quale è previsto il pagamento di una somma di denaro, ma giustamente gli agenti denunciano i due anche per il reato di maltrattamento di animali alla Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli. La pratica di accecare gli uccelli con degli aghi arroventati 120


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è vietata esplicitamente dalla legge ma è talora attuata da persone crudeli, senza scrupoli e senza sentimenti, per ottenere degli esemplari che cantino in continuazione. È in uso non solo negli ambienti venatori allo scopo di “farli cantare meglio” e utilizzarli come richiamo per la caccia, ma anche a scopo “amatoriale”, per il loro canto melodioso. Questa sentenza, una delle prime in Italia per fatti simili dopo l’entrata in vigore della legge 189/04 che ha rivoluzionato il sistema di tutela penale degli animali, affronta per la prima volta il problema della mutilazione delle ali e dell’accecamento di uccelli. Se non vi possono essere dubbi sul fatto che accecare uccelli integri il reato di maltrattamento di animali, vista anche la copiosa giurisprudenza, la detenzione di uccelli con ali e coda mutilate trova censura penale per la prima volta. Si legge, infatti, nella sentenza, emessa nel marzo 2009: “la detenzione degli animali nelle suddette condizioni di mutilazione integra senz’altro un comportamento ingiustificato e produttivo di inutili sofferenze”. La normativa/la legge

I cardellini, piccoli uccelli molto graziosi e con un canto soave, appartengono alla fauna selvatica, la cui detenzione è regolata da rigida procedura. Per poter allevare i cardellini, la legge prescrive infatti determinati adempimenti finalizzati a “contenere e regolarizzare” il numero di uccellini tenuti in cattività. Ad esempio, risulta necessario avere un’autorizzazione provinciale per tenere un allevamento, nonché denunciare il numero dei cardellini detenuti, ceduti e morti. 121


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In particolar modo, la legge vieta la detenzione di cardellini non nati in cattività. Tutti questi adempimenti, che abbiamo ovviamente sintetizzato, molto spesso non vengono eseguiti dai presunti allevatori-rivenditori e, come nel caso raccontato, comportamenti di questo tipo integrano violazioni normative anche penalmente rilevanti. La coppia di Pozzuoli è stata infatti denunciata per detenzione illegale dei cardellini, in violazione della legge n. 157 del 1992, nonché per il reato di maltrattamento di animali di cui alla legge n. 189 del 2004. Molti giornali hanno scritto e lodato la decisione del giudice penale, poiché è stato preso in esame, per la prima volta, il problema della mutilazione delle ali e dell’accecamento di uccelli. A prescindere dall’aspetto inumano ed egoista di tali pratiche, sul piano giuridico possiamo ritenere che accecare gli uccelli e mutilare parte del loro corpo integra il delitto di maltrattamento di animali ai sensi e agli effetti di cui all’art. 544 ter del Codice penale. Anche in questo caso, dunque, è la legge 189/2004 a venire in soccorso degli animali. Nello specifico, è l’art. 1 che ha così modificato il Codice penale: Art. 544 ter – (Maltrattamento di animali) Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione a un animale ovvero lo sottopone a sevizie, o strazio per gli animali ovvero attività insostenibili per le caratteristiche etologiche degli stessi o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 mesi a 1 anno e con la multa da 3.000 euro a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefa122


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centi ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. Che fare?

Come ci si deve comportare, quindi, nel caso in cui ci si imbatta in episodi come questo? Anzitutto si tiene a precisare che questo libro è scritto al fine di poter aiutare e dare indicazioni utili a tutti coloro che rispettano i diritti degli animali. Non si vuole, pertanto, “istigare” a denunce prive di fondamento o a tenere comportamenti impulsivi davanti a presunte situazioni di illegalità. Tuttavia, nel momento in cui ci si imbatte in situazioni illegali o che molto probabilmente sembrano esserlo, risulta opportuno valutare seriamente la richiesta di un controllo da parte dell’autorità competente. Nel caso di specie, ad esempio, la condanna dei due detentori di cardellini è il risultato di un controllo effettuato dalle competenti autorità, le quali intervengono sia autonomamente, in occasione dell’esercizio della propria attività, sia a seguito di segnalazioni da parte di privati. La segnalazione di un caso di presunta illegalità nei confronti degli animali appartenenti alla fauna selvatica può quindi essere fatta al Corpo forestale – competente a reprimere e prevenire reati in materia ambientale – ad associazioni animaliste presenti sul territorio nazionale e che dispongono di guardie venatorie/zoofile, come Lipu, Lav, Oipa, Wwf, eccetera (gli indirizzi e i recapiti telefonici, anche delle rispettive sedi locali, si trovano facilmente su internet), nonché a qualsiasi autorità di pubblica sicurezza che provvederà a contattare chi di competenza. 123


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Cibo ai colombi nel giardino di casa: multata

La storia

Multata per aver lasciato, nel proprio giardino, del pane per i colombi: è quanto è capitato ad una residente di San Donà di Piave (Ve), che si è vista sanzionare dalla Polizia locale per aver violato il regolamento di Polizia urbana. Peccato che questa normativa abbia efficacia soltanto nelle aree pubbliche e non in quelle private. Inevitabile, dunque, il ricorso della donna al Giudice di Pace per veder annullata la multa del valore di 56 euro. A difendere la sessantottenne amante degli animali, l’avvocato Luca Pavanetto: “Si tratta non tanto di una questione economica, quanto di una questione di civiltà. Non si può certamente addebitare alla mia assistita la presenza di piccioni nella zona ove risiede”. La donna, infatti, vive in prossimità dell’area ove un tempo sorgeva l’ex-sede Enel che per anni ha rappresentato un sicuro rifugio per i volatili. Una volta demoliti gli immobili, gli uccelli si sono dispersi nel circondario e in particolare nell’unica zona verde del quartiere, ossia il parco di proprietà della signora. “L’amministrazione comunale”, ha concluso Pavanetto, “si è preoccupata solamente di sanzionare il singolo cittadino e invece non ha posto in essere alcuna condotta volta a evitare il proliferare di questi animali”. La normativa/la legge

Sono frequenti le ordinanze dei comuni che vietano la somministrazione di mangime agli uccelli, in particolare ai colombi. 124


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Tuttavia, anche per quanto concerne l’alimentazione dei volatili più detestati e perseguitati nelle città italiane, i piccioni, la vicenda può essere controversa. Qualche anno fa la Corte di Cassazione ha definito che non è reato distribuire cibo a questi animali. Una donna di Siena, nel 1997, era stata multata per aver dato da mangiare ai piccioni, contravvenendo a un’ordinanza comunale di divieto. La donna si rivolse al Pretore di Siena, ottenendo l’assoluzione. La questione era infine stata sottoposta al giudizio della Cassazione, la quale ha confermato l’innocenza della donna, ribadendo che cibare i colombi non è reato e non può essere proibito con un’ordinanza comunale. Che fare?

In diversi condomini l’usanza di offrire cibo ai volatili è spesso causa di accesi contrasti e dell’intervento dell’amministratore o della Polizia municipale. Se il Comune ha proibito di offrire mangime ai colombi al solo fine di contrastarne la presenza in città, senza adottare un piano articolato di contenimento demografico, il divieto ha come unico obiettivo quello di colpire l’opera di volontariato e la passione di persone dedite alla cura dei volatili. Un provvedimento di questa natura è intrinsecamente fragile e non difficile da aggirare. Se l’ordinanza comunale vieta l’alimentazione dei colombi, è sufficiente dedicarsi alla distribuzione di cibo e granaglie ad altri volatili. Se, nel frattempo, si alimenteranno anche i piccioni non vi è né intenzionalità, né dolo. Per quanto riguarda le civili abitazioni e i condomini, è uti125


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le adottare criteri di buon senso, ovvero impedire che lo sfamare gli uccelli si trasformi in danno o fastidio per vicini e altri inquilini dello stabile. È noto che gli uccelli appollaiati in attesa del cibo producono guano che si deposita sulle finestre e sui balconi sottostanti. Chi si occupa di uccelli selvatici deve quindi badare attentamente alla pulizia dei luoghi e provvedere ad evitare fastidio agli altri inquilini, ad esempio distribuendo il mangime unicamente sul proprio balcone. Avuta l’accortezza e il buon senso di evitare involontarie lordature di parti comuni o di altrui proprietà, gli amici degli uccelli dovrebbero poter coltivare la propria “missione” in serenità. Purtroppo le città celano una serie infinita di psicopatie, fobie e labilità, anche in persone apparentemente serene e normali, quindi vi potrà sempre essere un vicino, un amministratore o un portiere di stabile che si sentirà contrariato da chi ciba i volatili e deciderà di muovergli guerra. Se gli amici degli uccelli hanno rispettato tutte le cautele sopra richiamate, e soprattutto offrono cibo ai pennuti solo nell’ambito della loro proprietà, non hanno nulla da temere. Esistono inoltre leggi e normative, nazionali e regionali, che tutelano gli uccelli selvatici da eventuali malintenzionati. Ogni minaccia di azione violenta contro i volatili sarà quindi da denunciare agli organismi competenti, perché perseguibile a norma di legge e di Codice penale. È ovviamente consigliabile non giungere a livelli così alti di tensione per un po’ di becchime. Nella maggior parte dei casi potrà tornare utile ed essere sufficiente inviare all’am126


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ministratore dello stabile, al condomino aviofobico e affiggere nell’atrio del palazzo una lettera di un’associazione animalista o ambientalista che ricorda le leggi in difesa degli uccelli. Di seguito pubblichiamo una traccia di lettera che, opportunamente integrata, potrà tornare utile allo scopo. Città, data… Gentile dott. Amministratore Condominio Via….., n° … Città e p.c. Gentile Sig.ra …… Oggetto: cibo agli uccelli e tutela della fauna selvatica Gentile dott.…., è giunta alla nostra Associazione la segnalazione di un particolare accanimento nei confronti della Sig.ra……, la cui colpa consisterebbe nel fornire occasionalmente qualche manciata di becchime a passeri e altri uccellini che si avventurano sul balcone di pertinenza della signora, residente nel condominio da Lei amministrato. Riteniamo e speriamo si tratti di una segnalazione errata, poiché stentiamo a credere che persone adulte ed equilibrate possano davvero infierire su una signora che offre cibo agli uccellini sul proprio balcone (o davanzale). Chiediamo il Suo cortese ausilio affinché possa verificare la veridicità della segnalazione e garantire che nessun inquilino importuni od offenda la signora in oggetto. Se potesse tornare utile qualche riferimento normativo, elenchiamo alcuni titoli di leggi, direttive e decreti che tutelano la fauna selvatica e sanzionano gli atti lesivi nei confronti di uccelli protetti. Ricordiamo altresì che il Comune di … ha vietato la distribuzione di cibo ai piccioni e ai colombi cittadini, non ad altre specie di uccelli.

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Segnaliamo altresì che la Corte Costituzionale, nell’aprile del 1997, ha ribadito che fornire cibo ai piccioni non è reato e non può, comunque, essere vietato da un’Ordinanza del Comune. A titolo di semplice promemoria, Le segnaliamo i riferimenti normativi accennati: – Legge 11 febbraio 1992, n. 157 – Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. – Direttiva CEE 79/409 sulla Conservazione degli Uccelli Selvatici. – Convenzione Internazionale di Berna che impegna gli Stati firmatari alla conservazione degli ambienti naturali, delle specie e dei loro siti di nidificazione. – Convenzione Internazionale di Bonn che impegna gli Stati firmatari alla conservazione delle specie migratorie e degli habitat da loro frequentati. – Articolo 727 del Codice penale, “maltrattamento e uccisione di animali”/legge 189/2004. – Legge Regionale 16 agosto 1993, n. 26 (come modificata dalla L. R. del 12/10/93 n. 30) – Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria (solo per la Lombardia, ma l’associazione interpellata conoscerà la legge nella Regione di riferimento). – Legge Regionale 27 luglio 1977, n. 33 (come modificata dalla L. R. 71/80, la L. R. 86/83, la L. R. 18/87 e la L. R. 31/89 – Provvedimenti in materia di tutela ambientale ed ecologica) (solo per la Lombardia). Nella convinzione che i riferimenti normativi segnalati servano unicamente da promemoria, La ringraziamo per la gentile attenzione e per la collaborazione che vorrà offrire. I più cordiali saluti, Il Comitato Direttivo dell’Associazione (…)

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Non si distruggono i nidi di rondine

La storia

Multato duramente un sessantenne che l’anno scorso in primavera aveva distrutto un nido di rondini. La coppia di volatili aveva pazientemente realizzato la “nursery” per i propri piccoli sotto il cornicione del palazzo dove l’uomo abitava, in una delle vie centrali di un paese dell’hinterland nord-ovest del milanese. Gli altri undici condomini, però, non avevano gradito il suo gesto e si erano rivolti a un’associazione animalista per chiedere giustizia. E giustizia è stata fatta. Dopo undici mesi dal fattaccio è arrivata la sentenza che ha condannato l’uomo a pagare un’ammenda di 516 euro a favore del condominio. L’uomo è stato riconosciuto colpevole di violazione delle norme internazionali e nazionali di tutela dei volatili migratori: il sessantenne aveva infatti distrutto il nido con l’ausilio di una sbarra di legno, mentre la rondine femmina stava covando. A meno di un anno di distanza, ecco l’happy end. Come loro abitudine, le rondini hanno fatto ritorno nella cittadina e hanno realizzato con pazienza il loro nido nello stesso cornicione del medesimo palazzo, dove però l’uomo non abita più da alcuni mesi. Di più: si è stabilito che i soldi che “l’imputato” ha versato in contanti all’atto della conciliazione dovranno essere usati per acquistare mangime e becchime per gli uccellini (non per le rondini, che saranno lontane) che nei mesi invernali vivono sugli alberi della zona e che a causa del freddo a volte hanno difficoltà a trovare cibo a sufficienza. 129


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In questa storia, dunque, le rondini sono state utili anche ai loro “cugini” di ala. Ma lo sono anche per l’uomo. Oltre che simbolo della primavera, di paesaggi rurali e di aria pulita, sono anche efficacissime killer di zanzare di cui si nutrono. Negli ultimi anni, però, non se la passano benissimo. Come molti uccelli legati al paesaggio agricolo tradizionale, le rondini hanno risentito fortemente delle modifiche ambientali seguite alla diffusione della moderna agricoltura intensiva. Uno studio di BirdLife International, la più grande organizzazione del mondo che si occupa di tutela di volatili, ha stimato che la popolazione europea di rondini si sia ridotta del 40% tra il 1970 ed il 1990. Le cause di declino sono molteplici. L’intensificazione dell’agricoltura ha eliminato buona parte delle siepi, dei fossi e dei prati che fornivano alle rondini i terreni di caccia preferiti, il massiccio uso di pesticidi colpisce le rondini sia direttamente che attraverso l’eliminazione degli insetti di cui si nutrono, la ristrutturazione degli edifici rurali (in particolare le stalle) le priva di luoghi adatti alla nidificazione. La normativa/la legge

La legge 157/92, “Norme per protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio”, individua la fauna selvatica, ovunque si stabilisca o viva, come “patrimonio indisponibile dello Stato”. Le rondini sono specie tutelata anche dalla normativa europea: dalla direttiva CEE 79/409 sulla Conservazione degli Uccelli Selvatici, dalla Convenzione Internazionale di Bonn che impegna gli Stati firmatari alla conservazione 130


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delle specie migratorie e degli habitat da loro frequentati e dalla Convenzione Internazionale di Berna che impegna gli stati firmatari alla conservazione degli ambienti naturali, delle specie migratorie e dei loro siti di nidificazione. Il nostro territorio viene utilizzato da numerose specie animali, in particolare uccelli (rondini comprese), come habitat temporaneo o permanente, e in particolare molte specie si riproducono all’interno di esso. Per questi motivi la distruzione del nido e la morte conseguente dei nidiacei è un reato penale ai sensi della succitata legge 157/92. L’importanza della presenza delle rondini è stata riconosciuta, qualche anno fa, anche dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano la quale – interessata dal Wwf lombardo – ha chiesto al Sindaco di Cesano Boscone (cittadina della provincia di Milano) di fermare le ruspe che stavano abbattendo “Cascina Luisa”, i cui sottotetti erano diventati rifugio per molti nidi di rondini pieni di piccoli. Il Sindaco ha bloccato le ruspe in attesa che i piccoli potessero prendere il volo. I piccoli di rondine di Cesano Boscone hanno avuto così il tempo di imparare a volare e di avventurarsi in migrazione per oltre 3.000 chilometri verso l’Africa subsahariana. Che fare?

Le rondini (genere Hirundo) sono – come sottolineato – specie in notevole calo su tutto il territorio comunitario. Rappresentano però una ricchezza irriproducibile nel paesaggio urbano. Continuamente vengono segnalate da parte di cittadini violazioni a questo principio per taglio di alberi e rami, mura131


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tura e occlusione di fori con nidiacei di rondoni, distruzione di nidi di rondini e balestruccio, spesso anche da parte di amministrazioni comunali. Negli ultimi anni questi lavori vengono eseguiti non solo in periodo autunnale o invernale, cioè nella fase di riposo vegetativo, ma anche in primavera o estate. Ciò potrebbe portare all’intervento delle guardie venatorie e alla denuncia penale dei responsabili. In vari comuni, ultimo quello di Firenze, su stimolo delle associazioni ambientaliste sono stati approvati regolamenti comunali di tutela della fauna selvatica in ambito urbano. Allo scopo di prevenire futuri danni alla fauna e di permettere la normale attività manutentiva sia da parte di privati che delle aziende comunali, proponiamo questa bozza di regolamento, in maniera da poter superare le difficoltà e prevenire atti illeciti e nocivi alla fauna oltre che invisi alla popolazione. Bozza di Regolamento da sottoporre al Sindaco della propria città Art. 1 - Allo scopo di proteggere la fauna selvatica e in particolare gli uccelli viventi in ambito comunale, protetti ai sensi della legge 157/92, specialmente durante il periodo riproduttivo, viene individuato un “periodo sensibile” durante il quale le operazione di potatura, espianto e abbattimento alberi nelle aree verdi di proprietà comunale sono sospese sia da parte del Comune sia da parte di ditte incaricate dal Comune. Alla stessa maniera è vietato a ditte e privati di intervenire su alberi, cornicioni o intonaci con procedure che possano mettere in pericolo la riproduzione di uccelli o mammiferi appartenenti alla fauna selvatica. 132


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Sono escluse dal divieto le operazioni che rivestano il carattere di necessità e urgenza allo scopo di proteggere l’incolumità dei cittadini e dei loro beni e che quindi non possano essere procrastinate. Art. 2 - Il “periodo sensibile” viene individuato nei termini: dal 1/03 al 15/08 di ogni anno per potatura, espianti o abbattimento di alberi e arbusti; dal 1/04 al 30/08 per lavori di rifacimento intonaci, cornicioni o altre opere edilizie solo nel caso siano presenti nel palazzo nidi di rondoni o irundidi (rondine, balestruccio e specie simili) o altre specie nidificanti in fori o sottotetti del palazzo interessato. Nel caso i lavori di rifacimento non possano essere rimandati, il direttore dei lavori dovrà prendere ogni precauzione necessaria per limitare o annullare il disturbo alle specie nidificanti. Art. 3 - Nel caso, nonostante le precauzioni prese, durante i lavori si dovesse verificare la caduta di nidi o la distruzione degli stessi, con caduta di nidiacei, verranno allertate con urgenza la Provincia e le associazioni con incarico di cura degli uccelli selvatici provinciali per il ricovero degli stessi. Art. 4 - Nei giardini comunali e nelle aree verdi comunali importanti lavori di movimento terra, scavo ed edilizia, che non rivestano caratteri di urgenza, verranno posticipati al termine del periodo sensibile, o comunque si cercherà di limitare il più possibile il disturbo alla fauna in attività riproduttiva. Art. 5 - Sono esclusi dal divieto gli interventi decisi dal Sindaco, Assessore e altri organi preposti per motivi di ordine sanitario o presi all’interno di specifiche campagne per li133


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mitare l’impatto di specie problematiche viventi in ambito urbano. Art 6. - Sanzioni e vigilanza. Ai sensi del presente regolamento, oltre alle sanzioni applicabili in base alla legge 157/92 e alla legge regionale in materia di protezione della fauna selvatica, sono previste le seguenti sanzioni: euro 102 per disturbo alla fauna nidificante nel caso non siano state prese adeguate precauzioni per limitare l’impatto delle attività edilizie in presenza di nidi occupati, durante lavori non rimandabili al termine del periodo sensibile; euro 206 per attività che abbiano prodotto la distruzione involontaria di nidi o la chiusura di fori che li ospitano durante il periodo sensibile ma in assenza di uova o nidiacei, quindi pregiudicando la nidificazione ma senza produrre la morte dei nidiacei stessi; euro 2064 e ripristino dei luoghi per attività che abbiano prodotto gravi danni a colonie nidificanti di uccelli selvatici, impedendo la successiva nidificazione in assenza di decessi di animali. Alla vigilanza inerente il presente regolamento sono deputati, oltre ai soggetti individuati dalla legge 157/92 e dalla legge regionale, gli agenti della Polizia municipale e gli incaricati del Comune. Il presente documento è naturalmente modificabile e costituisce una prima bozza, necessaria a porre una base di discussione su un problema attualmente irrisolto in molti comuni.

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Combattimenti. Brutto inizio d’anno per due giovani malviventi (e i loro pitbull)

La storia

Sedici persone identificate e due giovani di 19 e 20 anni denunciati a Caltanissetta con l’accusa di aver organizzato combattimenti fra cani. Questo è il risultato di un bell’intervento della Polizia a pochi giorni dall’inizio del 2010. I poliziotti sono intervenuti nei pressi della stazione ferroviaria in disuso di contrada Valle dell’Imera. Sul posto sono confluite tre pattuglie che, appostatesi in zona, hanno accertato la presenza di diverse persone all’interno di un casolare diroccato, dal quale provenivano grida di incitamento e latrati di cani. Scatta così l’irruzione nell’immobile dove due poveri pitbull stanno combattendo tra loro, circondati da un gruppo di imbecilli assatanati e urlanti. Alla vista della Polizia i presenti tentano la fuga, ma vengono fermati. Identificate sedici persone, tutte maggiorenni e residenti a Caltanissetta. Il combattimento risulta essere stato organizzato dai due giovani denunciati, proprietari dei cani, chiamati Otello e Jack. Gli animali vengono sequestrati e affidati a una squadra dei vigili urbani per il ricovero in una struttura idonea: il primo presenta una ferita al collo e all’orecchio sinistro; il secondo una lacerazione nella parte superiore del muso. Il reato contestato ai due denunciati (organizzazione di combattimenti tra cani) prevede la pena della reclusione sino a 3 anni e la multa da 50.000 a 160.000 euro.

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La normativa/la legge

Lo Stato sta reagendo contro il disgustoso fenomeno dei combattimenti. Fino al 2004 le normative, pur vietando scommesse clandestine e maltrattamento, sono risultate troppo blande e vaghe. Si rischiava solo una multa o sanzioni penali troppo esigue rispetto ai guadagni illeciti. Bisognava fornire forze dell’ordine e magistratura di strumenti legislativi coerenti e adatti. I mezzi per agire contro chi massacra gli animali e lucra sulle puntate erano solo due e piuttosto esili. Il primo era il vecchio art. 727 del Codice penale sul maltrattamento, che prevedeva a carico dei colpevoli una sanzione fino a 10 milioni di vecchie lire. Il secondo si configurava nelle scommesse clandestine, reato assai difficile da provare: occorre cogliere i responsabili in flagrante, ma, grazie alla legge 189/2004, c’è stata la svolta. La nuova legge ha infatti rivoluzionato l’approccio giuridico al problema, istituendo il delitto di “organizzazione di combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali”. La legge 20 luglio 2004 n. 189 – Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate, che modifica e integra il Codice penale, prevede un articolo apposito sui combattimenti, che vale la pena di riportare integralmente. Eccolo. Art. 544-quinquies (Divieto di combattimenti tra animali) Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro. 136


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La pena è aumentata da un terzo alla metà: 1) se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate; 2) se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni; 3) se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se consenzienti. Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da 3 mesi a 2 anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. Risulta opportuno osservare che il legislatore ha introdotto, con la legge n. 189/2004, l’istituto della confisca obbligatoria dell’animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato, ai sensi dell’art. 544 sexies C.p., applicabile in caso di condanna per uno dei reati previsti di cui agli articoli che lo precedono (Maltrattamento di animali; Spettacoli manifestazioni vietati; Divieto di combattimenti tra animali) o in caso di “patteggiamento” della pena. 137


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L’articolo menzionato prevede inoltre l’applicazione di pene accessorie poiché, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) per uno dei reati di cui sopra, viene disposta la “sospensione da 3 mesi a 3 anni dell’attività di trasporto, di commercio e di allevamento, qualora il condannato svolga tali attività”. “Inoltre, in caso di recidiva è disposta l’interdizione dall’esercizio delle attività medesime”. Queste disposizioni introducono uno strumento pratico ed efficace che permette di togliere al reo la possibilità di disporre ulteriormente dell’animale e di esercitare determinate attività qualora sia accertato un comportamento penalmente illecito. Che fare?

Sta anche ai cittadini onesti denunciare qualunque movimento sospetto e stimolare continuamente Carabinieri, Polizia e procure a condurre indagini accurate. Lo schema di segnalazione è simile a quello già indicato per i maltrattamenti e le uccisioni. Le indagini saranno quindi condotte dalle autorità competenti in maniera indipendente e autonoma ma, grazie anche soltanto ad una denuncia di un privato o di un’associazione, talvolta si possono aprire delle strade mai prese in considerazione dalle stesse autorità.

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Poveri cavalli e poveri deficienti: le corse clandestine

La storia

Cavalli lanciati in una folle corsa, caroselli di auto e motorini, decine di persone vocianti (tra cui donne e bambini), autovetture costrette a fermarsi per evitare scontri con i calessi: questo lo spettacolo cui hanno assistito nel marzo 2009 le Guardie zoofile della Lav, mescolate tra numerosi spettatori, che hanno poi presentato un’informativa di reato presso la Procura della Repubblica di Avezzano (L’Aquila) a carico di trentatré persone, la maggior parte zingari, con l’ipotesi di reato di maltrattamento di animali e organizzazione di competizioni non autorizzate tra animali. Da tempo le Guardie zoofile della Lav, capitanate da Ciro Troiano, lottano contro le organizzazioni di corse clandestine di cavalli e ne denunciano il malaffare alle competenti procure. Il fenomeno è presente in parecchie regioni di Italia, anche dove la pressione della mafia è minore. Come segnalano i responsabili della stessa Lav nel periodico “Rapporto Zoomafia”, l’organizzazione di corse clandestine con i cavalli e il relativo giro di scommesse rappresenta uno dei più grossi “business della zoomafia” presenti sul territorio nazionale. Tristi episodi di questo tipo, scoperti e denunciati dalla Lav, si sono verificati pochi mesi fa in Abruzzo, ma anche nel Lazio. Il fenomeno è pericoloso non soltanto per la salute dei cavalli utilizzati, ma anche per la sicurezza e l’incolumità pubblica. Gli animali vengono infatti lanciati in una sfrenata corsa sulle strade, a rischio e pericolo di autovetture o 139


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motorini che malauguratamente passano per quella zona, in presenza di schiamazzi e urla di una folla composta talvolta addirittura, come nel caso di Avezzano, da donne e bambini. Lo scenario è inquietante anche per il giro di interessi loschi che dirige le corse clandestine, in particolare il giro di denaro sporco. Grazie alla denuncia della Lav, documentata con foto e filmati che le guardie sono riuscite a fare mescolandosi tra gli spettatori, è stata aperta un’inchiesta dalla procura della Repubblica competente. Il risultato è stato il sequestro di ben trenta cavalli da corsa, dodici immobili, nonché lo smantellamento dell’organizzazione dedita alle corse clandestine. L’episodio descritto non è ovviamente l’unico scoperto e denunciato dalle Guardie zoofile competenti. La Lav denuncia tali ipotesi criminose in diverse regioni d’Italia, come ad esempio in Campania. Gli scenari sono sempre simili, le corse vengono organizzate in zone determinate, creando disagi alla circolazione, pericolo per le persone, veicoli e cavalli coinvolti, nonché ovviamente un giro di denaro sporco proveniente da attività illecite. La normativa/la legge

Sotto il profilo giuridico, tralasciando considerazioni in merito al reato di maltrattamento di animali, analizzato ampiamente in altre casistiche del nostro libro, e che possiamo ritenere presente anche in questo caso, spendiamo qualche parola in merito al reato di “spettacoli o manifestazioni vietati” di cui all’art. 544 quater del Codice penale. Come recita la norma citata: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettaco140


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li o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da 4 mesi a 2 anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in relazione all’esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé o altri ovvero se ne deriva la morte dell’animale”. Nel caso di specie, quindi, le Guardie zoofile hanno denunciato le trentatré persone per maltrattamento di animali, avendo esse sottoposto i cavalli a fatiche e sevizie incompatibili con la natura stessa degli animali, e per organizzazione di competizioni non autorizzate, ipotesi aggravata ai sensi del secondo comma di cui alla normativa menzionata. Che fare?

Le associazioni animaliste, tra cui la Lav che da anni si batte contro questi fenomeni, chiedono un intervento massiccio delle forze dell’ordine per la repressione delle corse clandestine con i cavalli. Sarebbe inoltre opportuno aumentare il controllo al fine di far applicare in maniera rigida l’anagrafe equina, mediante la quale risulta possibile rilevare il numero di equidi presenti su tutto il territorio nazionale, conoscerne il collocamento, la provenienza e la proprietà. Insomma, un documento d’identità del cavallo. Ai sensi della legge n. 200/2003 del D.M. 5 maggio 2006, i proprietari di cavalli sono obbligati a far identificare i propri equidi e iscriverli all’anagrafe equina. L’interessato deve infatti richiedere l’iscrizione dell’equide all’Associazione Provinciale Allevatori territorialmente competente (APA), mediante un modulo appositamente predisposto e il versamen141


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to di un importo determinato. Successivamente, l’APA provvede a registrare i dati presso l’Anagrafe Equina, inoculare il microchip, rilasciare il passaporto. Pertanto, in caso di cessione o morte dell’animale, si dovrà provvedere all’aggiornamento dei dati relativi presso l’anagrafe. La procedura è molto simile a quella prevista per l’iscrizione del proprio cane all’anagrafe canina, che permette l’identificazione dello stesso mediante l’inserimento di un microchip: procedura veloce e indolore, mentre i tatuaggi non sono più eseguiti. La sintesi degli adempimenti previsti dalla normativa di riferimento fa facilmente comprendere come sia possibile regolarizzare e controllare meglio il commercio dei cavalli, in modo da prevenire e reprimere l’utilizzo degli animali in corse clandestine. Mediante i controlli a tappeto, e lo strumento di identificazione del cavallo, verrebbero scoperte stalle e scuderie abusive da cui provengono gli animali utilizzati per le corse clandestine, potendo così risalire agli effettivi proprietari ai quali andrebbero applicati i provvedimenti previsti dalla legge per il maltrattamento degli animali. L’accertamento del reato prevede, oltre l’applicazione di una pena detentiva e pecuniaria, anche la confisca dell’animale, la sospensione temporanea dell’attività di trasporto, allevamento, commercio, nonché l’interdizione dall’esercizio delle attività medesime in caso di recidiva. L’applicazione dell’anagrafe equina, inoltre, consentirebbe un maggior controllo anche sotto l’aspetto igienico-sanitario. Spesso, purtroppo, i cavalli sono tenuti in ambienti privi dei requisiti richiesti dalla Asl con pericolo per la salute dell’animale e dell’uomo. 142


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Cavallo dopato vince la corsa, in tre davanti al giudice

La storia

Il cavallo che ha vinto la corsa era dopato. Per questo, per violazione della legge sulle scommesse, un fantino, un allenatore e un proprietario di scuderia – tutti e tre di Roma – sono finiti sul banco degli imputati del Tribunale di Macerata. I fatti contestati risalgono al 25 luglio del 2005, quando all’ippodromo di Corridonia era in programma il “Premio di Chieti”. Cinque anni dopo, davanti al giudice Franca Pecorari e al pubblico ministero, il vice procuratore onorario Francesca D’Arienzo, si è svolta un’importante udienza del processo. Secondo la ricostruzione della pubblica accusa (l’inchiesta è stata coordinata dal sostituto procuratore Massimiliano Siddi, oggi in servizio alla procura della Repubblica di Viterbo), P. L., 26 anni, quale fantino, R. M., 57 anni, quale allenatore e S. L., 68 anni, quale proprietario della scuderia “Razza dell’Olmo”, violando il leale svolgimento della competizione, avrebbero somministrato al cavallo River Madness una sostanza proibita denominata Flunixin, influendo sulle scommesse poiché l’animale era poi riuscito a vincere la corsa. Totalmente estraneo alla vicenda, va sottolineato, l’Ippodromo di Corridonia. Il pubblico ministero D’Arienzo ha prodotto la documentazione medica, gli esami tossicologici e il provvedimento disciplinare che era stato adottato nei confronti dell’allenatore R. M. A seguito di una segnalazione, la Procura di Macerata ave143


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va aperto un’inchiesta e, come detto, tre persone sono ora finite sul banco degli imputati. Secondo la magistratura inquirente, il fantino, l’allenatore e il proprietario della scuderia, attraverso la somministrazione della sostanza dopante al cavallo, avrebbero influito sulla regolare attività di scommesse. Resta dunque ora da seguire l’evolversi del processo. Sarà il giudice Franca Pecorari a stabilire se, effettivamente, i tre imputati siano responsabili dei reati contestati da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Macerata. La normativa/la legge

Come analizzato nella fattispecie precedente, siamo di fronte (oltre alla violazione della legge sulle scommesse) ad un ennesimo caso di maltrattamento di animale di cui all’art. 544 ter, comma 2 C.p., che dispone la reclusione da 3 mesi a 1 anno o la multa da 3.000 a 15.000 euro, per chiunque somministri agli animali sostanze stupefacenti o vietate, ovvero li sottoponga a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata in caso di morte dell’animale. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (così detto patteggiamento), è sempre ordinata la confisca dell’animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato, nonché la sospensione (da 3 mesi a 3 anni) dell’attività di trasporto, commercio, allevamenti di animali e, in caso di recidiva, l’interdizione dalle attività medesime. Possiamo ritenere che la somministrazione della sostanza proibita “Flunixin”, così forte da influire su una corsa di ca144


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valli al punto da far vincere il povero animale, possa apparentemente integrare il comportamento criminoso di cui sopra. È inoltre opportuno far presente che dietro comportamenti come questo, finalizzati a far vincere un cavallo “dopato” influendo fraudolentemente nelle scommesse, ci sono realtà criminose altrettanto gravi come le associazioni a delinquere, anche di stampo mafioso, come l’esperienza ci insegna. Che fare?

Non scommettere su gare con animali, legali o clandestine che siano. Purtroppo il maltrattamento del cavallo da corsa è un fenomeno che, come possiamo facilmente constatare, si manifesta non soltanto nelle corse clandestine, ma anche nelle corse ufficiali, perché il giro di affari che si viene a creare arriva a livelli milionari, fomentando sempre più la criminalità organizzata. Come possiamo leggere dal rapporto “Ecomafia 2006” di Legambiente, questo triste business “contagia” qualunque figura professionale: studi veterinari, allenatori, gli stessi fantini e ovviamente scommettitori, con tristissime conseguenze per i poveri cavalli, drogati con cocaina, micidiali cocktail di anabolizzanti, analgesici, anti-infiammatori, diuretici, eccetera. Alle cavalle viene dato perfino il Viagra, e in dosi massicce, come ci racconta appunto il rapporto “Ecomafia 2006” di Legambiente. Ovviamente anche se il cavallo è un animale forte, non può sopportare per molto tempo stress di questo tipo, passan145


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do da uno stato onnipotente a quello vegetativo con conseguenze irreversibili. L’animale, una volta “fuori uso”, viene eliminato facilmente con la macellazione e un altro potenziale “campione” è pronto a subentrare nel circolo crudele e illegale. I cavalli non soltanto sono oggetto di maltrattamento, ma anche di furto e uccisione per vendetta. Un cavallo forte e “ben dopato”, facilmente porta via la vittoria e il relativo compenso economico ad un altro truffatore-scommettitore e, quindi, come facile soluzione non resta che eliminare la fonte del disturbo. Queste penose pratiche illegali, presenti anche in occasioni di manifestazioni ufficiali, devono essere contrastate con durezza per evitare che gli animali siano sfruttati fino alla morte e perché organizzazioni a delinquere, finalizzate a truccare le scommesse negli ippodromi, siano smantellate e condannate ai sensi di legge. Denunciare, questa è l’unica e vera “arma” che l’ordinamento giuridico ci fornisce. Non bisogna, infatti, dimenticare che ci sono molte persone appartenenti a forze dell’ordine, associazioni ambientaliste e animaliste, veterinari e altre ancora che, quotidianamente, si impegnano sul fronte della lotta alla eliminazione del business illegale nel campo dell’ippica.

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Bradipi ed esotici per ispirarsi: denunciato giallista

La storia

Due bradipi, un tamadua (un particolare formichiere arboricolo), un chirottero asiatico, una civetta delle nevi, una volpe volante, un serpente ‘’falso corallo’’: questi gli animali sequestrati nella zona nordovest della provincia di Milano dalla Polizia provinciale di Milano e dalle Guardie zoofile dell’Enpa (Ente nazionale protezione animali) a R. S., cinquantenne, che è stato denunciato alla procura della Repubblica. Li deteneva in modo illecito in un seminterrato privo d’illuminazione e aerazione e li vendeva attraverso i canali Internet. L’operazione congiunta, denominata ‘’Era Glaciale’’, è stata possibile grazie ad alcune segnalazioni di utenti della rete che, navigando su Internet, si sono imbattuti nella vendita illegale di animali esotici. Il commerciante on line è in realtà uno scrittore di libri gialli che prima utilizzava gli animali per trarre ispirazione per scrivere romanzi e dopo li rivendeva a prezzi da capogiro. Cinquemila euro per un formichiere, duemilacinquecento per un bradipo: questo il tariffario imposto dal venditore, nella cui cassaforte durante la perquisizione sono stati rinvenuti settantamila euro in contanti, presumibilmente frutto delle vendite. Il responsabile del traffico è stato denunciato a piede libero per maltrattamento di animali e sono tuttora in corso indagini per valutare il volume del traffico e la provenienza degli animali. L’operazione rappresenta un nuovo successo a tutela degli 147


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animali, frutto della sinergia e della collaborazione tra Polizia provinciale ed Enpa che in modo congiunto rilanciano l’appello a non acquistare animali esotici, soprattutto su Internet e soprattutto se di dubbia provenienza. Ridurne la domanda, significa risparmiare a decine di animali inutili sofferenze e fermare un traffico illegale che frutta cifre inimmaginabili alla criminalità organizzata. La normativa/la legge

Dal 1975 è attiva la Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie di Fauna e Flora minacciate di estinzione, chiamata CITES (o Convenzione di Washington). Si tratta di un accordo tra Stati per la regolamentazione del commercio internazionale di animali e piante minacciate da estinzione. Gli Stati membri, tra i quali c’è l’Italia, hanno l’obbligo di sottoporre a rigidi controlli le esportazioni e le importazioni delle specie elencate nella Convenzione. La Convenzione è nata dall’esigenza di controllare il commercio degli animali e delle piante (vivi, morti o parti e prodotti derivati), perché lo sfruttamento commerciale è, assieme alla distruzione degli ambienti naturali nei quali vivono, una delle principali cause dell’estinzione e rarefazione in natura di numerose specie. Si incorre in pesanti sanzioni se si introducono illegalmente specie minacciate o controllate. In Italia si può essere puniti con multe fino a 100.000 euro, mentre in Germania e nel Regno Unito si rischia addirittura la galera. Specie minacciate Sono incluse in Appendice I della Convenzione di Washin148


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gton. Il commercio è vietato a livello internazionale. Si tratta di un elenco di circa 1000 specie animali e vegetali elencate nel Reg.(CE). Tra queste specie si trovano: – tutte le scimmie antropomorfe (oranghi, scimpanzé e gorilla), i lemuri, il panda, alcune scimmie sudamericane, i mammiferi marini, il lupo indiano, alcuni orsi, le lontre, i giaguari, le tigri, i leopardi, l’ocelot, gli elefanti, qualche zebra, i rinoceronti, la vigogna, alcuni cervi, le volpi volanti, lo struzzo nordafricano, alcune specie di fenicotteri, i rapaci diurni e notturni, molte specie di pappagalli (soprattutto le are e le amazzoni), le tartarughe marine, alcune testuggini di terra, alcune specie di alligatori e coccodrilli, alcuni varani asiatici, le salamandre giganti, il pitone indiano, la vipera degli orsini, lo storione comune, certe conchiglie, alcune farfalle (Papilionidi), le orchidee e i cactus selvatici, alcune specie di aloe. Specie soggette a controllo Sono le specie iscritte all’Appendice II e III della Convenzione di Washington. Il loro commercio deve essere compatibile con la sopravvivenza delle specie in natura. L’elenco comprende oltre 10.000 specie elencate nel Reg.(CE), delle quali le più comuni sono: – tutte le specie, non iscritte all’Appendice I, di scimmie, lupi, orsi, lontre, felini, zebre, pecari, ippopotami, guanachi, alcune specie di cervi e antilopi, fenicotteri, gru, pappagalli, tucani, colibrì, tartarughe di terra, alligatori, caimani, coccodrilli, gechi, camaleonti, iguane, coccodrilli, varani, cobra, salamandre, storioni, farfalle della specie ornitottere. 149


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Come fare a sapere se l’animale o pianta che si vuole importare, spostare o detenere è inclusa nelle specie controllate dalla Convenzione di Washington? Bisogna controllare nell’ultimo aggiornamento della “Gazzetta Ufficiale Europea” alla legge 338/97, ovvero all’interno dell’ultimo aggiornamento al Regolamento CE in materia; questa lista di animali viene infatti costantemente aggiornata e modificata in base ai diversi fattori che influiscono sulle popolazioni di talune specie. Complicato? Sì. Ma Internet viene in aiuto. Un funzionale e aggiornato database di tali specie protette è consultabile on line al sito ufficiale www.cites.org, sotto l’indicazione “Resources-species database” flora (per le piante) o fauna (per gli animali), indicando sempre il nome scientifico nei campi dove richiesto. Che fare?

Non comprare animali esotici. Sia chiaro: ci sono alcune specie di animali esotici, dall’iguana ad alcuni serpenti, da alcune specie di tartarughe a svariati tipi di pappagalli, che è consentito ospitare a casa propria, ma altri no. È vietato, come spiegato più sopra, tenere in casa animali esotici in via d’estinzione o pericolosi, che sono tutelati dalla Convenzione di Washington (Cites). Sembrerebbe banale, ma non lo è, perché il contrabbando illegale di questi animali da Africa, Australia, Centro e Sud America è fiorente. Esistono vere e proprie organizzazioni criminali che controllano questo traffico: dal bracconiere indigeno al trafficante locale, dal commerciante internazionale al collezionista che compra l’animale. Un grande giro d’affari che non procura però alcun beneficio 150


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alle popolazioni locali, perché l’indigeno guadagna pochissimo per la cattura di un esemplare, mentre quelli che si arricchiscono sono i contrabbandieri internazionali. La cattura per il commercio a scopo amatoriale e ornamentale è quella che più mette in pericolo d’estinzione molte specie di pappagalli. E così, in pochi giorni, volatili bellissimi come l’ara o il cenerino passano dalla foresta amazzonica alle gabbie delle nostre città. Con tanto di falso certificato di provenienza. Solo quelli più fortunati (o sfortunati?) sopravvivono però al viaggio. Tre su quattro muoiono per lo stress della cattura o, stipati in maniera inverosimile, per le condizioni disumane del viaggio stesso. I preferiti degli italiani, tra gli animali selvatici che si possono tenere, sono: serpenti, tartarughe, furetti e iguane. Acquistare questi animali, anche quando è consentito, è un errore. Non sono animali domestici. Per quanto ci si sforzi, gli animali selvatici/esotici in cattività non stanno mai bene. C’è una differenza tra benessere e gestione della sopravvivenza. Ecco, con gli animali esotici come tartarughe, serpenti o iguane al massimo si può gestire la loro sopravvivenza, ma non si garantirà mai il loro benessere. Insomma: il loro habitat non è la nostra casa, dove sono solo dei poveri prigionieri. Non solo. Persino garantire la sopravvivenza non è facile. Gli animali esotici, anche quelli più comuni, hanno bisogno di mangimi specifici e spesso costosi per stare bene. E non raramente i negozianti stessi forniscono informazioni sbagliate. Questi animali hanno poi bisogno di trattamenti sanitari forniti da professionisti esperti. Non si può portare un’iguana o un serpente da un veterinario qualunque. E gli specialisti costano salato. Infine 151


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hanno bisogno di un ambiente adatto: un terrario, un terracquario, un paludario, a seconda delle specie e delle razze. Si tratta di impianti costosi all’inizio e che vanno man mano adeguati alla crescita dell’animale. Alcuni rettili come tartarughe e iguane, infatti, da “baby” sono molto diversi: le dimensioni degli adulti sono ragguardevoli. E allora è necessario acquistare strutture adeguate con riscaldatori professionali. Legato alla crescita degli animali adulti c’è infine un altro problema: quello della loro gestione. Se una tartaruga alligatore o una tartaruga azzannatrice, comperate a centinaia dagli italiani negli anni scorsi, da piccole sono grandi come una monetina, da adulte possono arrivare a pesare fino a venti chili. E se azzannano, non si scherza. Per questo ora sono vietate. Lo stesso vale per iguane o serpenti. L’iguana può crescere fino a oltre un metro. Se vi rifila una codata in faccia, non è piacevole. E un piccolo pitone è grazioso, ma quando cresce fino a tre metri e diventa aggressivo, crea non pochi problemi. Poi ci sono i problemi di etologia: pochi, pochissimi sanno come gestire anche gli animali esotici più innocui. La maggior parte delle tartarughine, ad esempio, sono animali gregari. Invece nelle nostre case le teniamo da sole. Tutt’al più si compra una femmina al maschio. Ma anche la coppia non va bene e il perché è semplice: in natura, nel caso delle tartarughe terrestri, un maschio ha a disposizione più femmine e quindi, diciamo così, può distribuire le sue energie. In un terrario, invece, la povera femmina viene maltrattata continuamente dal maschio. Senza possibilità di fuga. Non è meglio lasciarli nel loro habitat naturale? 152


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Per capire un po’ meglio cosa si cela dietro al fenomeno della compravendita di animali esotici, facciamo l’esempio della tartarughina dalle guance rosse. A chi non è capitato in passato, visitando uno dei tanti punti vendita di animali, vedere decine di queste piccole tartarughe ammassate in poca acqua? L’animaletto è l’emblematica dimostrazione della crudeltà del commercio di animali esotici. Stipati a migliaia in piccoli contenitori, soggetti ad alti tassi di mortalità durante il viaggio, arrivano da noi per poi morire con percentuali prossime al 70% nel primo anno di prigionia. La piccola tartaruga si chiama Trachemys scripta elegans ed è stata catturata a milioni, negli ultimi vent’anni, appena nata. Diminuito il prelievo in natura, la tartarughina dalle guance rosse è stata riprodotta in megallevamenti. Milioni di questi animaletti sono stati esportati dagli Stati Uniti, luogo d’origine della specie. A partire da dieci anni fa, migliaia di queste tartarughine cominciano a comparire nei parchi urbani di molte città italiane e ancora oggi ne vengono abbandonate ogni anno a centinaia. Oggi, finalmente, si è arrivati al blocco delle importazioni grazie ad un regolamento comunitario: le Trachemys sono protette e non si possono più vendere e comprare. Fatta la legge, trovato l’inganno. Ora compaiono sempre più spesso nei negozi d’Italia altre specie di tartarughine d’acqua dolce, come la Graptemys kohni o la Pseudemys concinna, sempre di provenienza americana. Non sono in via d’estinzione e quindi sono commerciabili. Soprattutto sono destinate a soffrire come quelle che le hanno precedute. Anzi, di più. Il paradosso è che la Graptemys kohni, comunemente chiamata Tartaruga carta geografica, anch’essa esotica ma non in via 153


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d’estinzione, è oggi commerciata in Italia anche se ancora piĂš delicata della Trachemys. In attesa di provvedimenti drastici, come fermare questa strage? In un solo modo: non acquistando animaletti esotici. Le uniche bestiole che stanno bene nelle nostre case sono quelle che, proprio per questo, si chiamano animali domestici: cani e gatti. Solo loro non sono prigionieri, ma condividono con noi emozioni e sentimenti. Solo loro creano, per le loro caratteristiche etologiche, un rapporto affettivo con gli esseri umani. Solo loro possono essere nostri compagni di strada e di amicizia e apprezzare appieno i nostri sforzi di socializzazione. Se poi pensiamo ai tanti, tantissimi Fido e Micia che aspettano una casa dietro le sbarre di un rifugio...

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Lupo ucciso da laccio-trappola. Denuncia del Parco

La storia

Morto prigioniero di un laccio piazzato dai bracconieri. Una fine orrenda per uno splendido esemplare di lupo rinvenuto dagli agenti dei nuclei specialistici della Polizia provinciale dell’Aquila. Sull’uccisione dell’animale, nel Parco regionale del Sirente Velino, è stata avviata un’indagine. Il laccio in metallo, che quasi certamente doveva servire per catturare cinghiali, è stato posizionato in un bosco della Valle Subequana, fra Castelvecchio Subequo e Secinaro (L’Aquila). Una pratica illegale e barbara che da queste parti ha una certa diffusione fra i cacciatori senza scrupoli. La carcassa del lupo, un maschio di quattro-cinque anni di età, era in parte dilaniata. L’animale è morto dopo una lunga agonia, tentando inutilmente di liberarsi. Gli agenti dei nuclei specialistici della Polizia provinciale dell’Aquila hanno fatto la scoperta nel corso dell’attività di monitoraggio della fauna all’interno del Parco Sirente Velino. Gli agenti hanno raccolto numerosi indizi sul luogo, anche avvalendosi di cani addestrati per la ricerca di animali selvatici morti o feriti e tuttora sono in corso indagini al fine di risalire agli autori del grave atto di bracconaggio. Un rapporto sarà consegnato alla Procura di Sulmona. Anche sulla carcassa del lupo sono in corso specifici esami sanitari e di medicina legale veterinaria da parte dell’Istituto zooprofilattico Lazio-Toscana cui fa capo uno specifico dipartimento per far luce su particolari casi di bracconaggio. Il personale tecnico e di vigilanza del Parco, messo al corrente dell’accaduto, è intervenuto 155


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sul luogo del ritrovamento. Nei prossimi giorni sarà avviato uno specifico piano di repressione e prevenzione del bracconaggio. Già il mese precedente a questo triste episodio, sempre nella Valle Subequana, un esemplare di lupo è stato trovato ferito. Aveva un laccio attorno al collo. Dopo qualche giorno è stato catturato dai guardiaparco e portato a Teramo per una delicata operazione chirurgica. La morte del lupo ha scatenato le ire dei dirigenti del Parco Sirente Velino. Il direttore dell’ente, Oremo Di Nino, ha presentato una denuncia contro ignoti alla Procura della Repubblica di Sulmona. Ha inoltre ordinato controlli per bonificare l’area e togliere eventuali lacci di frodo. “Dopo la segnalazione della Polizia provinciale”, sottolinea il direttore del Parco, “abbiamo denunciato l’accaduto alla procura. Come Parco condanniamo questi episodi, che restano le barbare attività di una minoranza difficile da controllare. Persone che agiscono in spregio alle più elementari regole di convivenza civile e morale. Gli animali che cadono in queste trappole sono condannati a una morte atroce. Anche per questo svolgeremo un controllo a tappeto del territorio, avvalendoci del contributo delle associazioni, dei selecontrollori e delle forze della Provincia, in modo da bonificare l’intera area”. Un’azione che dovrebbe eliminare questi meccanismi micidiali sparsi nei boschi e nei passaggi della vallata, che ammazzano tra sofferenze atroci senza distinzioni di specie. Un destino crudele al quale sono sottoposti anche cani da caccia o da tartufo. La normativa/la legge

La legge-quadro n. 157 del 11 febbraio 1992, “Norme per la 156


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protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio”, più conosciuta come “Legge sulla caccia”, stabilisce all’art. 1 che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale e internazionale. Il testo normativo di cui sopra, integrato dalle disposizioni di ciascuna regione – trattasi infatti di legge-quadro – prevede tempi e modalità ben precisi perché l’attività venatoria venga esercitata in maniera controllata senza arrecare un danno alla nostra fauna selvatica. Tralasciando critiche e considerazioni in merito a tale disposizione normativa, anche alla luce delle recenti modifiche, l’esperienza ci insegna che le disposizioni regolamentari dell’attività venatoria sono violate dagli stessi cacciatori nonché da soggetti privi della licenza idonea. Il triste episodio in cui è rimasto vittima il giovane esemplare di lupo, appartenente come da definizione normativa alla fauna selvatica e, quindi, oggetto di tutela di cui alla legge n. 157/1992, integra un caso – molto comune – di bracconaggio ossia di attività della caccia esercitata in maniera illegale. Il fenomeno del bracconaggio, nonché dell’imbalsamazione e del traffico illegale della fauna selvatica, integra non soltanto la violazione della legge n. 157 del 1992, ma spesso anche la detenzione illegale di armi ed esplosivi, dimostrando in tal modo sovente uno stretto collegamento tra bracconaggio e criminalità organizzata. Tale connubio rappresenta il cosìddetto fenomeno della “zoomafia”, già analizzato nel corso dell’analisi di altre casistiche come quella delle corse truccate dei cavalli. Come fatto presente dalla Lipu, nonché da altre associazioni na157


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zionali che si occupano di tutela dei diritti animali, le corse clandestine dei cavalli, i combattimenti tra cani, il bracconaggio e il traffico illegale di fauna selvatica rappresentano un lucro incessante per le organizzazioni mafiose. Per far comprendere meglio la pericolosità di tale fenomeno, facciamo presente che i bracconieri sparano non soltanto nelle zone rurali, ma anche nei centri abitati con conseguente pericolosità per l’incolumità pubblica. Il bracconaggio è ormai diventato – ed in realtà è sempre stato – un fenomeno di criminalità ambientale a tutti gli effetti. Senza possibilità di sconti. Un fenomeno dilagante e violento che merita attenzione investigativa e politica al pari degli altri crimini ambientali emergenti sul territorio. I bracconieri utilizzano armi clandestine, imperversano da anni sul territorio in ogni regione e – secondo le aree – uccidono di tutto e attaccano ogni forma di specie anche superprotetta. Cosa altro serve per classificare questo fenomeno come puramente e direttamente di criminalità ambientale? Dopo questa breve premessa, necessaria per far capire che il fenomeno del bracconaggio “sconfina” in diverse ipotesi criminose, non soltanto danneggiando la fauna selvatica ma anche mettendo in pericolo la stessa incolumità pubblica, con conseguente arricchimento della criminalità organizzata, possiamo tornare al caso di cui sopra. Il povero lupo è stato ucciso da un laccio di metallo posizionato da bracconieri a caccia, molto probabilmente, di cinghiali. Come giustamente già fatto presente nella descrizione dei fatti, tale mezzo è illegale oltre che ovviamente cruento nei confronti degli animali. Infatti l’art. 13 della legge n. 157 del 1992 disciplina “i mezzi per l’esercizio dell’attività 158


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venatoria”, tra cui principalmente il fucile – con diverse caratteristiche – prevedendo in maniera esplicita “il divieto di tutte le armi e di tutti i mezzi per l’esercizio venatorio non esplicitamente ammessi nel medesimo articolo”. L’art. 21 della legge-quadro, concernente i “divieti”, prevede l’esclusione della caccia all’interno dei parchi nazionali, naturali regionali, eccetera. Pertanto il bracconiere che ha collocato il laccio metallico per l’uccisione di un animale non soltanto ha utilizzato un mezzo non consentito dalla legge, ma lo ha fatto all’interno di un’area protetta dove l’esercizio venatorio non è consentito. Che fare?

Possiamo quindi concludere nel sollecitare, chiunque, a denunciare casi di attività venatoria presumibilmente illegale. Al fine di tutelare la fauna selvatica e la stessa incolumità delle persone, risulta opportuno contattare immediatamente l’autorità di pubblica sicurezza in caso di avvistamenti sospetti: animali feriti, presenza di strumenti pericolosi nei boschi o nelle campagne, rumori di fucili in periodi dell’anno non consentiti o troppo vicino ai centri abitati, eccetera. Il Corpo forestale dello Stato è competente nella vigilanza dell’applicazione della “legge sulla caccia” e delle relative leggi regionali, come anche gli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni nonché le guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale. Per essere pratici, in caso di necessità, è possibile e doveroso contattare l’autorità di pubblica sicurezza più vicina e la stessa provvederà a richiedere l’intervento a chi di competenza. 159


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Forestale sequestra trecento pellicce di procione ‘‘made in China’’

La storia

Oltre trecento capi d’abbigliamento prodotti con la pelliccia di orsetti lavatori importata illegalmente dalla Cina sono stati sequestrati dal Corpo forestale dello Stato durante un’operazione coordinata dalla Sezione Investigativa Cites (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) di Roma. In seguito a una segnalazione del Comando provinciale di Rieti, gli agenti del Servizio Territoriale Cites di Pescara del Corpo forestale dello Stato hanno effettuato un controllo presso una ditta di Città Sant’Angelo, in provincia di Pescara, che si occupa del commercio all’ingrosso di capi d’abbigliamento. Durante i controlli è emerso che le pellicce di ‘’Procyon lotor’’ (procione od orsetto lavatore) utilizzate per il confezionamento di più di cento capi d’abbigliamento, poi posti sotto sequestro dai Forestali, erano state importate dalla Repubblica Popolare Cinese ed erano completamente sprovviste della documentazione necessaria per accertarne la provenienza legale. Infatti, un regolamento comunitario vieta l’introduzione e l’uso all’interno della Comunità Europea di pellicce e prodotti provenienti da animali selvatici, quali i procioni, originari di Paesi come la Cina dove ancora oggi vengono utilizzata tagliole o altri metodi di cattura che rappresentano delle vere e proprie sevizie per gli orsetti lavatori. A seguito delle irregolarità riscontrate nella ditta pescare160


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se, sono scattati i controlli anche nella sede legale della società situata a Lucera, in provincia di Foggia. Qui gli agenti del Servizio Territoriale Cites di Bari hanno scoperto e sequestrato duecentotrenta capi d’abbigliamento privi di documentazione e sempre confezionati con pellicce di procione provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese. I titolari della ditta sono stati denunciati per introduzione sul territorio nazionale di pellicce non prodotte nel rispetto delle normative comunitarie e rischiano ora fino ad un anno di carcere. I capi, destinati al commercio al dettaglio, avrebbero fruttato sul mercato oltre 30.000 euro. La normativa/la legge

In Italia (e in Europa) è vietato introdurre pellicce e prodotti di animali selvatici originari da Paesi che utilizzano tagliole per la cattura. La normativa è la seguente: – Regolamento (CE) 3254/91 del 4 Novembre 1991 – “Divieto di introduzione nella Comunità di pellicce e prodotti manufatturati di talune specie di animali selvatici originari da Paesi che utilizzano per la cattura tagliole o metodi non conformi alle norme concordate a livello internazionale in materia di cattura mediante trappole senza crudeltà”. – Regolamento (CE) 338/97 del 9 Dicembre 1996 – “Regolamento relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio”. – Regolamento (CE) 1579/01 del 1 Agosto 2001 – “Modifica al regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio”. 161


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– Regolamento (CE) 1808/01 del 30 Agosto 2001 – “Modalità d’applicazione del regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio, relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio”. – Regolamento (CE) n. 1497/03 del 18 agosto 2003 – “Modifica al regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio relativo alla protezione di specie della flora e fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio”. Il Regolamento 338/97 del Consiglio d’Europa relativo alla protezione della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio, sostituisce il Regolamento precedente n.3626/82 che già applicava la Convenzione di Washington (Cites) e introduce norme più restrittive per il commercio di esemplari di fauna e di flora (nei due allegati A e B sono state inserite specie che non sono incluse nelle Appendici della Convenzione ma per le quali l’Unione Europea ha inteso estendere la tutela normata dalla Convenzione stessa. Il Regolamento 1808/01 della Commissione stabilisce le modalità per l’applicazione del Regolamento 338/97). Dalla Cina arrivano in Italia anche parecchie pellicce di cane e gatto (anch’esse vietate). Recentemente sono state approvate nuove sanzioni per chi importa, esporta o commercializza pellicce di cani e gatti. Il 1° Aprile 2010 è infatti entrato in vigore il decreto legge (Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 47) in materia di “disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni comunitarie che vietano la commercializzazione, l’importazione nella Comunità e l’esportazione fuori della Comunità di pellicce di cane e di 162


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gatto e di prodotti che le contengono”. Chi, privato cittadino o azienda, dovesse essere coinvolto in tali attività rischia di essere punito “con l’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da 5.000 a 100.000 euro, oltre alla confisca e distruzione del materiale a proprie spese”. L’Italia ha così recepito il Regolamento Europeo 1523/2007, entrato in vigore il 31 dicembre 2008. Il Regolamento deve la sua approvazione, in parte, proprio alle pressioni esercitate dai Paesi Ue, ai quali l’Italia ha fatto da “apripista”, divenendo il primo Paese europeo, e secondo nel mondo dopo gli Usa, ad aver imposto un bando nazionale all’importazione e commercio di tali pelli, prima con un’ordinanza dell’allora ministro della Salute Sirchia, emessa nel 2001 e rinnovata nei due anni successivi, poi con l’inserimento del divieto nella legge 189/04 contro il maltrattamento agli animali. Oggi, dunque, in Italia è vietata l’importazione e la commercializzazione di pellicce di cane e gatto. I trasgressori pagano multe salatissime, da 1.000 a 9.000 euro, a seconda dei casi. In caso un mercato simile venga scoperto, le pellicce in magazzino vengono sequestrate e l’attività interrotta seduta stante. Che fare?

Non comprare pellicce e non comprare giubbotti con bordatura (colletto e polsini) di pelliccia. Solo così si potrà essere sicuri di non indossare pelliccia vietata: di animale “protetto” o di cane o gatto scuoiati. Non è sufficiente guardare le etichette. Spesso ingannano: o non sono presenti del tutto o portano scritte ingannevoli. Dietro diciture come Gea Wolf, Sobaki, Asian Jackal, Goupee, Gou-pee, 163


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Kou pi, Gubi, China wolf, Asian wolf, Pommern Wolf, Loup d’Asie, Asiatic racoon dog, Corsac Fox, Doguses du Cine si nascondono inserti di pelliccia di cane. La pelle di gatto invece viene travestita con questi nominativi: Housecat, WildCat, Katzenfelle, Goyangi, Mountain cat, eccetera. È illegale ma, purtroppo, capita spesso di trovare cani e gatti nelle bordature dei giubbotti. L’alternativa c’è, più calda, meno costosa, meno crudele, più amica dell’ambiente: la pelliccia ecologica o il cappotto.

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...A DOMANDA RISPONDE


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L’husky che attacca sempre i gatti

Domanda

Il giorno primo dicembre a Muggia (Ts) ho purtroppo assistito ad un episodio terribile e che non riesco a dimenticare. Un cane husky ha aggredito e ucciso una micia di strada da me sterilizzata e curata e che viveva sotto casa mia nella colonia. Ho chiamato il canile per il recupero della povera bestiola, che si è premurato subito. Ho saputo però che nel giro di un mese questo era il terzo gatto che l’husky aveva eliminato nel rione e che il proprietario, punito solo con una sanzione amministrativa (52 euro), andava a recuperarlo al canile. Sia il canile che i vigili municipali mi hanno confermato che hanno fatto tutto quello che era possibile applicando la legge. Resta comunque il fatto che se si sono verificati tre volte questi episodi risolti con il pagamento della multa, il cane non adeguatamente custodito lo rifarà a discapito di chi non ne ha colpa come queste tre povere bestiole. Spero che, esprimendo questo mio dolore e rabbia, possiate in qualche modo darmi qualche risposta o almeno una guida per fare una segnalazione ai lettori del quotidiano nella mia città, io non sono molto brava, non conosco bene le leggi, so solo che anche gli animali di strada hanno dei diritti e questi vanno segnalati quando accadono cose così. Vi ringrazio dell’attenzione. Risposta

Probabilmente il proprietario sarà stato sanzionato in base all’art. 672 del Codice penale (omessa custodia, malgover166


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no di animali). È possibile chiedere, anche con altre persone, alla Polizia municipale, in particolare, di intensificare i controlli nella zona per evitare il ripetersi di questi episodi. E al Sindaco, proprietario del gatto “di nessuno”, è possibile formulare la domanda di avanzare la richiesta di risarcimento danni materiali e affettivi. Per disincentivare il più possibile questa persona irresponsabile. Oltre a questo, va attivato da parte del Servizio veterinario Asl il percorso di accertamento ed eventualmente rieducativo previsto dall’Ordinanza del Ministero della Salute, art. 3, sull’aggressività canina (il testo completo dell’ordinanza si trova su http://www.normativasanitaria.it/jsp/dettaglio.jsp?aggiornamenti=&attoCompleto=si&id=27716&p age=&anno=null). È quindi al Servizio veterinario Asl che, visto quanto accaduto e premesso che sono ben tre volte che accade, considerate le sanzioni ma anche l’ordinanza ministeriale in vigore, che è necessario chiedere di attivare le procedure previste. La richiesta va fatta per iscritto e mettendo il Sindaco in copia per conoscenza.

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Coniglietto in palio con la tombola. Cosa potevo fare?

Domanda

Gent.mi Sigg.ri, su tutto il territorio della Regione Lombardia vige una legge, la n. 16 del 20 luglio 2006, dal titolo “Lotta al randagismo e tutela degli animali d’affezione” che all’art. 3, comma 4, così recita: “È vietato usare animali come premio o regalo per giochi, feste e sagre, lotterie, sottoscrizioni o altre attività”. Legge che dovrebbe essere ben conosciuta da tutti, ma soprattutto da coloro che hanno titolo per farla applicare. La cosa sembra persino semplice, ma non lo è. Mi sono trovata la sera di lunedì 25 agosto a partecipare alla festa nella ricorrenza di sant’Alessandro, sotto il tendone allestito nel campo sportivo di fronte alla parrocchiale di Castione della Presolana, in provincia di Bergamo. Ero appena entrata e ho dovuto assistere alla messa in palio per la tombolata di un premio “vivo”: esattamente un coniglio, tenuto penzoloni per le orecchie e trionfalmente promesso come candidato a un prossimo, succulento piatto d’arrosto. Nell’elusione più assoluta della legge e (cosa che dovrebbe far davvero riflettere) tra il divertimento sperticato di tanti presenti. Cosa avrei dovuto fare? Far intervenire i Carabinieri più vicini, cioè quelli di stanza a Clusone? Andare a suonare alla porta del Sindaco? Cercare una qualunque forza dell’ordine che non c’era? Facile a dirsi, non a farsi. Con le persone che erano con me, ci siamo allontanati, amareggiati ma non domi. Spero di non doverlo fare, ma la prossima volta – nella malaugurata ipotesi che accada ancora – mi armerò di video168


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camera per documentare inequivocabilmente l’accaduto. Tuttavia, non posso esimermi almeno dal denunciare, pur a posteriori, il fatto. Nella speranza che ciò almeno serva per il futuro; anche se so che in queste valli è una pratica ancora frequente quella di mettere in palio (e a vario titolo utilizzare per… “divertimento”) animali, in barba alla legge che pure c’è ma viene bellamente lasciata sulla carta. Tanto per avvalorare una tesi che ben conosciamo: l’Italia è il Paese dalle mille disposizioni scritte, ma ignorate e mai applicate; disposizioni che dallo stadio di obbligo retrocedono, con grande frequenza, a pure intenzioni (e, là dove non c’è la benché minima volontà, neanche a questo). Risposta

Nel caso di specie, anzitutto, si conferma essere stata palesemente violata la normativa in vigore nella Regione Lombardia di cui alla legge n. 16/2006 “Lotta al randagismo e tutela degli animali d’affezione”. Infatti, come giustamente fatto presente da chi ha posto la domanda di cui sopra, si osserva che l’art. 3, comma 4, della medesima legge dispone: “È vietato usare animali come premio o regalo per giochi, feste e sagre, lotterie, sottoscrizioni o altre attività”. Ciò premesso, il fatto di aver messo in palio un coniglio come premio in una tombolata ha violato la normativa regionale innanzi menzionata nonché, a parere di chi scrive, anche le disposizioni di cui al Codice penale. Infatti, dalla descrizione della fattispecie, il coniglio sembra essere tenuto “a penzoloni” per le orecchie in un contesto sicuramente non compatibile con le caratteristiche ecologiche dell’animale in questione. Alla luce di quanto 169


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premesso, si osserva che il nostro Codice penale, all’art. 544 ter, punisce quei comportamenti posti in essere dall’uomo che, per crudeltà o senza necessità, sottopongano un animale a sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche. Inoltre, la disposizione normativa, di cui all’art. 544 quater del Codice penale, prevede la responsabilità per chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali. Alla luce delle disposizioni normative di cui in premessa, si osserva che per far punire certi comportamenti vietati dalla legge e prevenirne la ripetizione in futuro, occorre sicuramente il supporto dell’Autorità di pubblica sicurezza. Pertanto, in casi di questo tipo, è necessario contattare immediatamente la Polizia locale o comunque un’Autorità di pubblica sicurezza affinché un agente possa intervenire in adempimento delle disposizioni di cui alla legge della Regione Lombardia n. 16/2006. Senza nulla togliere al prezioso supporto quotidianamente prestato dagli agenti della Polizia locale, purtroppo si riscontra spesso che, presso alcune piccole realtà locali, non sempre gli operatori sono a conoscenza di alcune recenti disposizioni normative a favore degli animali e, quindi, una richiesta di intervento da parte di un privato potrebbe non avere seguito positivo. In casi di questo tipo, come “strumento” in più per tutelare i diritti degli animali, si consiglia di contattare anche le Guardie zoofile presenti sul territorio interessato, come ad esempio le Guardie zoofile dell’Enpa, dell’Oipa o di altre associazioni animaliste che ne siano munite. Le Guardie hanno il potere di intervenire in 170


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situazioni di questo tipo al fine di reprimere e prevenire comportamenti lesivi al diritto degli animali. Purtroppo, come già fatto presente nell’arco dell’analisi di altre casistiche, le Guardie zoofile hanno limitata competenza territoriale e, pertanto, non possono intervenire su tutto il territorio nazionale, ma solo in quello dove sono state nominate: questo non impedisce, comunque, di informarsi riguardo l’eventuale loro presenza sul territorio interessato e di chiedere comunque un consiglio pratico su come risolvere il caso. Ancora, è opportuno presentare una denuncia corredata con testimoni e/o mezzi idonei a verificare l’episodio criminoso (come delle fotografie). La denuncia chiaramente non ha effetto immediato ma, mediante tale strumento, qualora ne sussistano i presupposti, è possibile far aprire un procedimento penale. In conclusione, al di là delle possibilità innanzi menzionate, al fine di far applicare la normativa posta a tutela degli animali, si consiglia, come strumento utile, di contattare – mediante una comunicazione scritta – gli organizzatori dell’evento che si contesta, anche con il supporto di una o più associazioni animaliste. Tale reclamo può essere un monito per gli organizzatori, in modo da “invitare” gli stessi a non ripetere mai più dei “giochi” o manifestazioni di questo tipo. Normativa: art. 3, comma 4, legge Regione Lombardia n. 16/2006; artt. 544 ter e 544 quater C.p. (introdotto dalla legge 20 luglio 1004 n. 189).

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Aragoste con chele legate. E’ reato?

Domanda

Al supermercato Esselunga dove vado a fare la spesa, al banco del pesce fresco c’è un acquario (per nulla grande) dove vengono messe le aragoste vive pronte per la vendita. A parte il fatto che l’acquario mi sembra proprio piccolo visto che ci sono 4/5 aragoste, volevo però chiedere se non si può ipotizzare maltrattamento ad animali il fatto che le aragoste hanno le chele legate. Ho chiesto al responsabile del supermercato, il quale mi ha risposto che le chele sono legate perché le aragoste si farebbero del male una con l’altra. Io gli ho risposto che ne potrebbero tenere una sola con le chele libere, al che mi ha detto che se l’Asl non vi ha trovato nulla da ridire... Grazie per la risposta. Risposta

La risposta non è per nulla soddisfacente. Ma è vero, purtroppo, che al momento sul tema delle chele legate non vi è letteratura scientifica sufficiente per integrare in questa condotta il reato di maltrattamento di animali. Anzi, c’è chi sostiene che così gli sfortunati animali non si fanno del male fra di loro (anche se in genere sono gli astici e non le aragoste ad avere le chele legate). Secondo questa linea di pensiero gli astici devono avere le chele legate, altrimenti oltre ad essere pericolose per chi le maneggia, in spazi ristrettissimi si combatterebbero tra loro con le chele e se le strapperebbero (in natura combattono, ma ci sono gli spazi di fuga, in cattività diventa impossibile) per primeggiare. È invece certificato maltrattamento, secondo il Centro di 172


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referenza Nazionale Benessere Animale del Ministero della Salute, il porre crostacei vivi sul ghiaccio, come ampiamente fatto proprio con le aragoste (prima parte dell’art. 727 del Codice penale o articolo 544 bis) e come spieghiamo nella prima parte del nostro libro. Questo è quanto abbiamo a disposizione, a parte ovviamente la scelta di non mangiare animali e, quindi, aiutare una loro scomparsa dai banchi di vendita, aldilĂ della specie e dei reati.

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Le barriere per i gatti e il condominio arcigno

Domanda

Abbiamo tre gatti in un appartamento di Milano di grande metratura, posto al terzo piano. Viviamo nello stesso da dodici anni, dieci come inquilini, due come proprietari. Da quando ci siamo trasferiti qui, ben tre volte un gatto è caduto fino al pian terreno cercando di prendere piccioni e uccellini che stazionano sulla soletta della terrazza soprastante, o addirittura vengono a becchettare le nostre piante. Oltre al dispiacere dei gatti feriti, ciò ci è costato anche esborsi pecuniari per veterinari e cure. Abbiamo deciso quindi di porre una barriera alla caduta dei gatti, anche per evitare problemi a terra. Siamo anche assicurati. Nel balcone su strada, lungo dieci metri e largo uno, abbiamo fatto tirare una rete da 3x3 centimetri in tessuto sintetico bianco da cielo a terra dove il balcone è a ringhiera e da cielo a parapetto dove il balcone è in muratura. Abbiamo avvisato l’amministrazione della nostra iniziativa, ma già diversi condomini hanno espresso rimostranze. Il consulente tecnico mandato dall’amministrazione ci ha detto di smontare tutto e presentare richiesta scritta con disegno del progetto per chiedere che un’assemblea condominiale si pronunci in merito. Vorremmo sapere come possiamo procedere per tutelare noi e i nostri gatti e non contravvenire alle leggi vigenti. Risposta

In merito al quesito proposto, occorre evidenziare come, 174


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con buona probabilità, la presa di posizione dell’amministratore di condominio sia dettata da una presunta lesione al decoro della facciata dell’edificio condominiale, essendo il balcone dell’appartamento prospiciente la pubblica strada; in assenza di qualsiasi riferimento ad eventuali norme del regolamento condominiale che prescrivano particolari condotte in merito, si ricordi come l’art. 1120, 2° comma C.c. prevede espressamente che “Sono vietate le innovazioni... che... alterino il decoro architettonico (del fabbricato)”. In linea di massima, per decoro architettonico si intende l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante e imprimono all’edificio una sua armoniosa fisionomia, sebbene non sembri proprio che l’installazione di una rete a maglie strette su un balcone posto al terzo piano dello stabile possa pregiudicare alcunché (alcune riserve potrebbero sussistere in ordine al colore scelto); la giurisprudenza formatasi in riferimento alla predetta norma, peraltro, ha sempre riguardato opere di impatto ben più gravoso quali inferriate, tettoie, antenne paraboliche, impianti di condizionamento, canne fumarie, eccetera. A stretto rigore, dunque, non credo possa essere vietata tout court l’installazione delle rete in questione, tanto più che ciò avviene a tutela dei propri animali da compagnia e della sicurezza di chi si trova a passare sotto il balcone. Conviene comunque dimostrare la piena disponibilità a che la questione sia vagliata dall’assemblea condominiale, anche se la prassi indicata (presentazione richiesta scritta e progetto di massima) di solito riguarda interventi di natura strutturale (tettoie e quant’altro). 175


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Converrà ad ogni modo far presente in ogni sede che, salvo optare per il colore più idoneo per “nascondere” la rete, l’installazione dovrà essere comunque effettuata per le ragioni di cui sopra, non implicando la medesima alcuna lesione alla fisionomia dell’edificio e fermo restando che essa non insiste su parte comune. Si ricordi, infine, come il vigente Regolamento comunale di tutela degli animali prevede all’art. 4 comma 3 che “...Ogni animale deve essere accudito in modo tale da evitare inutili condizioni di sofferenza o di stress” e, proprio a tal fine, gli esponenti hanno deciso di installare la rete in oggetto. Normativa: art. 1120 C.c., Regolamento Comune Milano di tutela degli animali 10.10.05. Giurisprudenza: Cassazione penale nn. 851/07, 2743/05, 17398/04, 16098/03, 8731/98, 2313/88, 2189/81.

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Il cucciolo (dell’est?) comprato e poi, purtroppo, morto

Domanda

Ho acquistato, lo scorso ottobre, un cucciolo di cane presso un negozio di Cusano Milanino. Il cucciolo è deceduto nel mese di febbraio per una malformazione congenita al cuore. Il negoziante, da me subito interpellato, non vuole fornirmi il nominativo dell’allevamento di provenienza del mio cane, garantendomi, solo verbalmente, che è assolutamente italiano. Ho letto nel vostro dossier “La tratta dei cuccioli dall’est: come evitare truffe e inconsapevoli complicità” (il dossier di Gaia Animali & Ambiente firmato da Edgar Meyer si trova sul sito www.gaiaitalia.it) che il negoziante è tenuto a certificare la sua fonte d’acquisto. Avrei bisogno di sapere in base a quale articolo di legge è obbligato a comunicarmi la sua fonte di acquisto, e come “costringerlo” a comunicarmelo (denuncia o esposto), ed, eventualmente, in quali termini presentare la denuncia. Preciso che mi sono già recata dai Carabinieri i quali, non conoscendo il reato, non hanno accettato la denuncia. Risposta

In relazione al caso in esame, cioè la compravendita di un animale, occorre preliminarmente evidenziare come, all’interno del vigente ordinamento, la natura giuridica riconosciuta al cane quale animale d’affezione continua, nostro malgrado, ad essere assimilabile a quello dei beni mobili e cioè mere “cose” (!); difatti, per quanto sia ormai oggetti177


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vamente mutata la sensibilità sociale verso gli animali da compagnia, l’ordinamento giuridico ancora non prevede forme di tutela in loro diretto favore. Anche per ciò che attiene il caso in esame, dunque, bisognerà guardare agli ordinari rimedi civilistici in tema di vendita di cose mobili. A quanto consta, il venditore parrebbe palesemente inadempiente, dato che la “cosa” venduta è stata alienata in presenza di gravi vizi (malformazione congenita al cuore) che farebbero sospettare la provenienza non italiana del povero animale (nonostante le specifiche assicurazioni a suo tempo fornite). Intanto preme sottolineare come, a stretto rigore di legge (visto che l’animale continua ad essere considerato “cosa” e, dunque, prodotto da vendere), potrebbero nel caso di specie trovare applicazione quelle norme dettate dal Codice del Consumo (art. 3) che impongono, come contenuto minimo dell’informazione da fornire al “consumatore-acquirente”, l’indicazione del produttore e, dunque, dell’allevamento di provenienza. Si tenga comunque conto che, anche ai sensi delle ordinarie norme regolanti la vendita, la parte venditrice (che ha già indicato la provenienza italiana al momento della consegna del cucciolo) non potrà rifiutarsi di specificarne l’origine, poiché è indubbio che detta informazione ha costituito una qualità essenziale dell’animale compravenduto. Come noto, la disciplina dei vizi in tale tipologia di negozio è contenuta negli artt. 1490 e segg. C.c., con particolare attenzione all’art. 1496 C.c. che la rende espressamente applicabile in caso di vendita di animali, salvo usi diversi o leggi speciali. Il venditore, dunque, è obbligato a garantire 178


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che la cosa venduta sia esente da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo rilevante il valore (ex art. 1490 C.c., e tale certamente appare la malformazione in questione certamente preesistente la vendita); se poi, come in questo sfortunato caso, l’animale perisce in conseguenza del vizio, il proprietario avrà diritto ad ottenere la risoluzione del contratto ex art. 1492, 3° comma C.c. È altresì opportuno ricordare che tale azione, cosiddetta redibitoria, è soggetta a strettissimi requisiti di decadenza (denuncia dei vizi entro otto giorni dalla scoperta) e prescrizione (un anno dalla consegna), con onere della prova a carico del compratore. A tale stregua, è comunque basilare possedere un referto medico-veterinario attestante che la causa del decesso del cucciolo è rappresentata dalla malformazione congenita. Si veda lo specifico precedente riportato in Cass. Civ. n. 9330/2004 ove “in caso di vendita di animali, accertato che l’animale compravenduto era affetto da vizi e che essi siano stati tempestivamente denunciati, l’acquirente che faccia valere la garanzia non deve provare la natura congenita della malattia; mentre è onere del venditore dimostrare che la malattia è riconducibile a causa indipendente dalla natura del bene venduto e addebitabile, invece, al fatto del compratore (nel caso di specie che la malattia sia stata provocata dalla ingestione accidentale di sostanze tossiche in un momento successivo alla consegna dell’animale)”. Ancora si sottolinea come, in caso di vittorioso esperimento della predetta azione redibitoria, il compratore avrà diritto alla restituzione del prezzo pagato e al rimborso delle spese mediche sostenute; anche al risarcimento del danno 179


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comunque subito, qualora la controparte non dimostri di aver ignorato senza colpa la malformazione congenita rivelatasi purtroppo letale (artt. 1493-1494 C.c.). Il consiglio, dunque, è quello di inviare immediatamente una diffida al venditore a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, direttamente o tramite il proprio legale di fiducia, con la quale si denunci l’accaduto (o meglio, si dia seguito alle denuncia del “vizio letale” già inoltrata), facendo presente tutto quanto sopra e insistendo perché venga indicato il nominativo dell’allevamento italiano di provenienza riservandosi ogni opportuna azione. È però necessario che la malformazione congenita che ha provocato la morte del cucciolo sia stata “denunciata” al venditore entro otto giorni dalla sua scoperta (reperire eventuali testimoni). Allo stato, infine, non paiono sussistere estremi di rilevanza penale in relazione al reato di cui all’art. 515 C.p. (Frode in commercio: “Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale..., consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità e quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita è punito...”) atteso che non vi è la prova che il venditore conoscesse la provenienza non italiana dell’animale venduto, cosiddetto dolo. Ciò non toglie che l’esponente, se ritiene, possa presentare una denuncia all’autorità competente descrivendo semplicemente i fatti e il rifiuto del venditore a indicare l’allevamento di provenienza. Normativa: art. 3 D. Lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo); artt. 1490 e segg. C.c.; art. 515 C.p. Giurisprudenza: Cass. Civ. n. 9330/2004. 180


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Cagnolina affidata a dogsitter. Fuggita e investita

Domanda

Il mio caso riguarda una dolcissima cagnetta che, benché affidata a un dog sitter, è finita sulla tangenziale ed è morta. Ho un dolore straziante, ma scrivo perché il mio caso potrebbe capitare a chiunque. Vorrei sapere: che tipo di azione legale posso intraprendere? Esiste la possibilità che il dog sitter – se ritenuto responsabile della morte della cagnetta – subisca qualche conseguenza di ordine legale? In che modo il cittadino può tutelarsi contro gli improvvisati cat/dog sitter? Vorrei capire se queste persone sono tenute o meno a rispondere del loro operato. Risposta

Come spesso accade esaminando le problematiche proposte dagli utenti riguardanti la tutela civilistica degli animali d’affezione, non si può prescindere dal dato positivo e cioè dalle norme attualmente esistenti all’interno del vigente ordinamento: il regime giuridico al quale devono sottostare gli amici a quattro zampe è, nostro malgrado, assimilabile a quello dei beni mobili e cioè mere “cose” (!), sia per quanto attiene i modi di acquisto della loro proprietà che per eventuali rapporti contrattuali che li riguardano. In merito al servizio cosiddetto di dog-sitting, atteso che non c’è ancora rilevante giurisprudenza in merito, esso di norma consiste nell’affidare ad un soggetto la custodia temporanea del proprio animale verso compenso; visto l’interes181


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se di natura patrimoniale sotteso a tale operazione (da escludersi, dunque, ogni ipotesi di affido, adozione, eccetera), il tipo negoziale al quale il rapporto può ascriversi è verosimilmente quello del contratto di deposito regolato dal Codice civile agli artt. 1766 e seguenti. La disciplina vigente, pertanto, prevede che il contratto si perfezioni con la consegna materiale della cosa (animale) senza necessità di alcuna particolare forma (scritta o quant’altro). Mentre il depositante assume l’obbligo di evadere il compenso pattuito, il depositario (dog-sitter) si obbliga a custodire la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia (artt. 1176 e 1768 C.c.) e a restituirla “in natura” non appena gli venga richiesta. Nella malaugurata ipotesi di perimento dell’animale, il depositario non sarà ovviamente in grado di adempiere la principale prestazione contrattualmente assunta (restituzione) e sarà, di norma, tenuto a risarcire il danno contrattuale causato dal proprio inadempimento, Se dunque (tornando al caso riportato) l’animale investito risulta essere fuggito per palese imperizia di chi l’aveva in custodia, il proprietario-depositante potrà vittoriosamente adire il giudice con il solo onere di dimostrare l’avvenuta consegna dell’animale (e dunque la conclusione del contratto di deposito) nelle mani di chi l’ha poi purtroppo perso. Quest’ultimo, in ossequio alle regole generali in tema di inadempimento delle obbligazioni contrattuali (artt. 1218 e segg. C.c.), potrà andare esente da responsabilità solo se dimostra che la fuga e il successivo perimento sono dovuti a causa a lui non imputabile perché imprevedibile o inevitabile, sebbene, in caso specifico di dog-sitting, paia difficilmente scusabile un errore del genere. Normativa: artt. 1218 e segg. C.c., artt. 1766 e segg. C.c.; art. 1176 C.c. 182


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La volpe addomesticata - detenzione di animali pericolosi

Domanda

Più di due anni fa ho acquistato una volpe argentata da un’allevamento di Treviso (con fattura). Prima di acquistarla mi recai dalla prefettura di Pavia per sapere come fare per la detenzione di questo animale che sapevo rientrare in una legge che definisce la volpe animale pericoloso (nell’allegato A), ma allevabile (nell’allegato B). Mi dissero di mandare una raccomandata alla prefettura di competenza denunciando il possesso dell’animale, pagare una tassa a Roma con bollettino postale e creare un serraglio consono. Feci tutto quello che c’era scritto sul foglio che mi hanno rilasciato e aspettavo dunque in ultimo la visita dell’Asl di competenza che mi rilasciasse certificato di detenzione. Dopo un paio di mesi spuntò da me la forestale dicendomi che la mia richiesta era stata respinta, che non potevo tenere l’animale e che da quel momento l’animale era sotto sequestro! Chiaramente ho assunto un avvocato e sono in causa ed è da due anni che chiedo rinvii, cercando di capire e chiedendo a tutti qual è l’ente preposto a darmi l’autorizzazione. La forestale dice che aspetta che il giudice mi assolva, il giudice dice che aspetta che qualche ente mi rilasci il permesso, la Provincia non può perché è un animale alloctono, la prefettura di Milano rifiuta dicendo che non posso detenerla e basta poiché la legge degli animali pericolosi 183


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annovera anche la volpe, la regione non dà risposta... manca il papa e poi l’ho chiesto a tutti! Cosa mi resta da fare? Ho chiesto anche all’Enpa, ma loro non possono sostituirsi alla legge (loro risposta) e ho inviato a “Striscia la notizia” un sacco di mail per raccontare questa storia vergognosa. Sono andata da un veterinario comportamentalista, poiché la mia Kira è imprintata e mi ha rilasciato un certificato, attestando che la volpe fa capo a me per tutto, ma questo non importa a nessuno e la forestale me la vuole portar via! Ci sono un sacco di risvolti di questa storiaccia che se servirà vi racconterò nello specifico, ma soprattutto l’errore è partito dalla prefettura di Pavia, poiché mi ha dato come riferimento una legge vecchia di dieci anni e quindi io e la mia Kira stiamo pagando per gli errori degli altri. Datemi la possibilità di uscire da questa storia almeno voi o ditemi come posso fare. L’ultima udienza è a novembre. Grazie per il tempo dedicatomi e vi mando anche il certificato del veterinario. Risposta

In merito al quesito inoltrato, occorre premettere che, essendo a tutt’oggi pendente controversia giudiziaria avente ad oggetto il provvedimento di sequestro dell’animale, l’esponente ha il preciso onere di far valere ogni suo diritto nella predetta sede e che, ovviamente, la soluzione definitiva e vincolante non potrà che essere adottata dall’autorità adita. La detenzione di animali pericolosi è a tutt’oggi disciplinata dalla legge 07.02.1992 n. 150 e dal decreto interministe184


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riale 19.04.1996 contenente gli elenchi già ricordati dall’esponente ed emesso in attuazione di quanto previsto all’art. 2, comma 6 di tale legge; in particolare, risulta vietato a chiunque commerciare o detenere esemplari vivi di mammiferi “pericolosi per la salute e l’incolumità pubblica”, ove è proprio tale pericolosità, quale attitudine comportamentale volta a provocare in potenza la morte o traumi invalidanti all’essere umano, a costituire il necessario presupposto per l’applicazione della disciplina in oggetto. Dal punto di vista amministrativo è il prefetto, con provvedimento motivato, a poter autorizzare in via temporanea la detenzione di tali animali (poiché pericolosi), previa verifica effettuata dal Veterinario Responsabile dell’U.L.S.S. di competenza, della idoneità delle strutture di accoglienza al fine di garantire il benessere degli animali e la salute e l’incolumità pubblica (art. 6 comma 3, legge 07.02.1992 n. 150). L’autorità competente a rilasciare la citata autorizzazione, dunque, è la prefettura, alla quale peraltro l’istante si era già correttamente rivolta; la controversia tuttora pendente, a quanto consta, dovrebbe proprio vertere sui motivi del rifiuto poi opposto. Nel caso di specie, peraltro, pare doveroso analizzare specificamente gli allegati sopra ricordati: occorre difatti evidenziare come l’allegato A preveda quelle specie animali per le quali è stabilita una presunzione di pericolosità (tra le quali rientrano in generale le volpi: “Ordine carnivora, Famiglia canidae… tutte le specie… volpi”) e delle quali, ex art. 2, è vietata la detenzione mentre, nel successivo allegato B, sono indicate alcune ipotesi di deroga al divieto in questione (ex art. 3 D.M. 19.04.96). Ebbene, tra queste 185


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ultime è espressamente citata proprio la volpe (Ordine carnivora, Famiglia canidae, Genere vulpes vulpes)! Il predetto rilievo sembra, dunque, assorbente al fine di veder riconosciuto il diritto dell’esponente a possedere l’animale in questione; inoltre, proprio la relazione medico-veterinaria evidenzia come l’animale sia ormai assolutamente “mansuefatto” e non pericoloso per l’incolumità pubblica, tale cioè da poter essere assimilato a qualsiasi altro animale “da compagnia”. Dunque, anche ad ammettersi l’inclusione della volpe esclusivamente nell’allegato A, essa comunque non risulterebbe “pericolosa”, sebbene giurisprudenza in materia ritiene sufficiente detta inclusione a prescindere da qualsiasi valutazione sulla concreta pericolosità o sulle modalità di custodia dell’animale (vedi appendice). Il consiglio, dunque, e quello di consultarsi con il proprio legale e insistere sull’operatività in concreto dell’esenzione dal divieto derivante dall’inclusione dell’animale nell’allegato B del decreto 19.04.06. Altrettanto evidente, come riportato nella relazione etologica, è la certa assenza di qualsiasi pericolosità per cui nemmeno sembra sussistere il presupposto-cardine per l’applicazione della normativa citata e dei provvedimenti autorizzatori ivi richiamati. Atteso tutto ciò, è evidente come il benessere della volpe, da sempre accudita dall’esponente, verrebbe irrimediabilmente compromesso da una statuizione diretta ad imporre la separazione coatta. Normativa: legge 07.02.1992 n. 150, DM 19.04.1996. Giurisprudenza: Cass. Pen. n. 26127/2005 (in tema di canguri quali animali pericolosi ricompresi nell’allegato A).

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Il beagle aggredito e la proprietaria pure! aggressione di cane a cane

Domanda

Mi trovo a Milano per motivi di studio e possiedo da poco più di un anno un cane di razza beagle di circa un anno e sei mesi. Con lui frequento un’area cani, dove mi reco due volte al giorno sempre negli stessi orari per lasciarlo libero di giocare e socializzare con altri cani. Fin da quando aveva pochi mesi, il mio cane è stato vittima di ripetute aggressioni da parte del cane del signor L. F. (cane noto a molti frequentatori dell’area perché spesso è stato protagonista di risse), dalle quali è sempre venuto fuori con lesioni e morsicature. Le aggressioni erano sempre dovute a una cattiva condotta del proprietario dell’altro cane che, pur conoscendo le reazioni del suo cane a determinate situazioni, continuava ad avere comportamenti non consoni all’interno e all’esterno dell’area cani, causando spesso liti tra i cani. Il sig. F., nonostante gli fosse stato chiesto più volte di evitare di far giocare il suo cane con il guinzaglio perché in più di un’occasione era risultato essere motivo di rissa tra il suo e gli altri, continuava a farlo, causando così l’aggressione da parte del suo cane nei confronti del mio che all’epoca aveva solo pochi mesi. In più di un’occasione gli era stato chiesto di evitare di avvicinarsi e di coccolare i cani maschi degli altri, perché il suo in quelle circostanze aveva avuto reazioni violente per gelosia, cosa successa anche al mio che si era avvicinato al 187


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sig. F., mentre questo porgeva con la mano delle caramelle e si era poi ritrovato schiacciato sotto il suo cane furibondo. Avendo insegnato poi al suo cane a saltare la recinzione dell’area cani, il problema si poneva anche quando lui era fuori dal recinto con il cane slegato. Essendo il suo cane molto attratto dalle femmine, anche quando queste non sono in calore, in diverse occasioni è successo che saltasse il recinto sia dall’esterno verso l’interno dell’area che viceversa. In una di queste occasioni il suo cane è piombato direttamente sul mio che giocava con una femmina, aggredendolo. Nonostante la palese aggressività del suo cane, il sig. F. lo ha lasciato più volte libero nel recinto senza neanche preoccuparsi di guardare chi vi fosse all’interno, scampando le risse solo grazie alla prontezza degli altri proprietari, me compresa, che repentinamente agguantavano i propri cani e li trascinavano fuori. Premetto che, a differenza mia, il sig. F. non viene assiduamente nell’area cani e le volte che decide di frequentarla si presenta sempre negli orari più disparati e spesso poco tempo dopo la precedente uscita del cane con il figlio. Questo rende quasi impossibile evitarlo semplicemente cambiando gli orari. Spesso non si fa vivo per diverse settimane e, quando decide di voler entrare, mi fissa dall’esterno con atteggiamento di sfida, forte delle grandi dimensioni del suo cane, pretendendo che io esca all’istante anche se sono lì da cinque minuti e, completamente noncurante del fatto che all’interno del recinto ci possano essere altri maschi, entra senza porsi problemi. 188


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Nel mese di luglio è entrato nel recinto, nonostante io fossi dentro da pochi minuti perché avevo aspettato l’uscita di un altro cane. Il sig. F., dopo aver slegato il cane che puntava inferocito contro il mio fortunatamente legato, mi ha aggredito verbalmente alla presenza di altri due proprietari. Mi ha riempito di insulti urlando a un palmo dalla mia faccia, mi ha accusato di non sapere educare il cane, che premetto è tuttora seguito da un comportamentista, ha asserito che io non capisco nulla di cani e alla mia richiesta di sapere i suoi orari così da evitare di incontrarlo, mi ha risposto che sarebbe venuto quando gli pareva, usando termini volgari e urlando come un invasato, tanto da lasciare senza parole le due persone che erano con me. Mercoledì 12 settembre la mia amica mi ha affidato temporaneamente il suo cane, un pitbull maschio di dieci mesi, perché avendo avuto un incendio in casa non poteva gestirlo nei giorni successivi. Giovedì 13 settembre, ricordando gli orari in cui il sig. F. si era presentato nei giorni precedenti e volendo evitare i periodi di maggior affollamento dell’area cani, ho portato fuori i due cani non alle 18, ma verso le 19.15 per evitare problemi. Al mio arrivo nell’area cani, l’ho trovata ancora molto affollata, sono entrata e, dopo aver slegato il mio cane, ho tenuto il pitbull legato vicino a me. Solo dopo circa trenta minuti, visto il ridotto numero di cani, ho messo la museruola al pitbull e l’ho slegato. Dopo soli cinque minuti, ho visto il cane del sig. F., che come al solito era stato fatto entrare nel recinto senza controllare chi ci fosse e dalla parte opposta rispetto a dove ero io, piombare sul cane della mia amica. Dopo aver separato i due cani mantenendoli dal collare, un 189


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ragazzo proprietario di un altro cane ha preso quello del sig. F. il quale, arrivato solo a cosa fatta, gli ha detto di mollarlo. Solo in quel momento, mentre avevo perso gli occhiali e continuavo a mantenere il pitbull al collare, ho realizzato che poteva succedere qualcosa al mio. Purtroppo era troppo tardi. Dopo pochi istanti ho visto i due cani azzuffarsi e il sig. F. che con inaudita violenza riempiva di calci il costato del mio mantenedosi con una mano ad un albero per far sì che il calcio fosse il più violento possibile. Dopo una grossa scarica di calci, il mio cane è riuscito a divincolarsi e si è avvicinato a me. In quel momento il sig. F. con i denti scoperti lo ha preso per la pelle di un fianco e ha cercato di sollevarlo. Non riuscendoci, lo ha sollevato con tutte e due le mani dalla pelle della schiena e, solo dopo averlo sollevato zampe all’aria sopra la testa, me lo ha scaraventato in braccio. Dopo questo, qualcuno mi ha tolto dalle braccia il cane e lo ha allontanato. Dopo aver ripreso fiato, ho chiesto al sig. F. come gli era venuto in mente di prendere a calci il mio cane e lui, nonostante fosse palese a tutti i presenti quello che aveva fatto, di tutta risposta mi ha detto che prendeva a calci il suo per staccarlo dal mio. Sempre urlando come un invasato, mi ha accusato di aver detto in altre circostanze che lui doveva chiedere il permesso a me prima di entrare e che io sono a tutte le ore all’interno dell’area cani. Ha inoltre aggiunto che il mio cane lo aveva morso in più di una circostanza, cosa assolutamente non vera. Dopo averlo informato della mia intenzione di denunciarlo, mi sono allontanata e, ripreso fiato e disteso i nervi, sono tornata a casa. Una volta nel mio appartamento, ho chiamato la mia vete190


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rinaria per sapere cosa fare e come scongiurare il rischio di emorragie interne. Dopo aver medicato l’orecchio lacerato del mio cane, ho seguito le indicazioni della veterinaria: l’ho lasciato a digiuno e l’ho riportato fuori verso le 21.30 di sera, per controllare che non vi fossero tracce di sangue nelle urine e nelle feci. Martedì 18 settembre sono arrivata al solito orario nell’area cani e dopo circa dieci minuti si è ripresentato il sig. F. con il suo cane. Prontamente ho afferrato il mio e l’ho legato. In quel momento, aprendo il cancello, un cane è uscito dal recinto ed è stato aggredito dal cane del sig. F. che lo ha sollevato dal collare. Recuperato poi dal proprietario, il cane è stato rimesso nel recinto e, dopo uno scambio di insulti con il sig. F., il proprietario del cane aggredito si è allontanato dal recinto. Successivamente, il sig. F. ha ricominciato a proferire assurdità nei miei confronti, non ottenendo alcuna risposta da parte mia, ma solo rimproveri dagli altri proprietari dei cani. Nella discussione con gli altri proprietari ha ammesso di aver dato un solo calcio al cane per rabbia, perché il mio cane l’aveva morso, cosa che non ha assolutamente dimostrato, asserendo, davanti alla richiesta di mostrare i segni del morso, che avrebbe dovuto tirarsi giù i pantaloni. Dopo circa venti minuti di urla e insulti si è allontanato. Vi chiedo quindi cosa posso fare per far sì che questi episodi non si ripetano. Purtroppo, essendo una ragazza sola e lontana da casa, ho molta paura di ritorsioni da parte di F. e dei suoi familiari in seguito ad una mia denuncia. Inoltre non sarei in grado economicamente di sostenere le spese legali. 191


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Risposta

In merito al quesito in oggetto, relativo alle diverse aggressioni verbali e materiali subite dall’esponente e dal suo beagle, non può che confermarsi la gravità e l’illegittimità della condotta tenuta dall’aggressore. È comunque opportuno premettere che qualsiasi addebito mosso a quest’ultimo dovrà essere supportato da un adeguato riscontro probatorio, a pena di veder vanificato ogni sforzo diretto a ottenere la giusta sanzione per quanto descritto. Pertanto sarà necessario, ad esempio, raccogliere le generalità dei proprietari degli altri animali aggrediti e/o presenti ai fatti perché siano citati come testimoni e ottenere adeguata certificazione medico-veterinaria delle lesioni subite dall’animale. Premesso tutto ciò, nel merito non può che riconoscersi sicura rilevanza penale a quanto perpetrato a danno dell’esponente, sia per le offese e le minacce direttamente profferite alla presenza di terzi che per le lesioni provocate al beagle. Da quanto descritto, inoltre, la reiterazione delle condotte (un episodio a luglio e due in settembre) sembra essere certo indizio della pericolosità del responsabile. Più specificamente, la condotta tenuta dall’aggressore integra certamente gli estremi dei reati di maltrattamento di animali ex art. 544 ter C.p. (“Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale… è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3000 a 15000 euro…”) e di diffamazione ai sensi dell’art. 595 C.p. (“Chiunque… comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione è punito con la reclusione 192


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fino a un anno o con la multa fino a 1032 euro”), oltre che di minaccia (art. 612 C.p.: “Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa sino a 51 euro”). Potrebbe trovare altresì applicazione, visto che vi sono numerosi precedenti relativi a danni causati dal cane della controparte, l’art. 672 C.p. in tema di malgoverno di animali (“Chiunque… non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti è punito con la sanzione amministrativa da 25 euro a 258 euro”). Inoltre, quanto descritto senz’altro contravviene anche alle previsioni contenute nei vigenti regolamenti comunali in materia di adeguata conduzione degli animali all’interno delle aree-cani. E, difatti, proprio il combinato disposto degli artt. 10, 5° comma, Regolamento comunale tutela animali e 23, Regolamento comunale d’uso del verde (validi, ovviamente, solo a Milano) vieta espressamente “di condurre i cani in modo da porre in pericolo l’incolumità delle persone e degli altri animali. Gli agenti di vigilanza (e cioè agenti di Polizia municipale) possono, qualora ravvisino pericolo per la pubblica incolumità, disporre l’immediato allontanamento dal parco di cani, ovvero ordinare ai proprietari l’uso congiunto di guinzaglio e museruola”, con eventuale sanzione pari a 40 euro. Anche poi le “Regole di convivenza civile per i proprietari di cani”, adottate come linee-guida dall’ufficio diritti animali del Comune, prevedono che i proprietari anche all’interno di tali aree “hanno l’obbligo del controllo sugli animali per evitare che possano aggredire altri cani o persone”. 193


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Per quanto riferito dall’esponente, peraltro, la controparte risulta essersi comportata esattamente all’opposto (!). In conclusione, il consiglio è quello di presentare presso la competente autorità (qualsiasi stazione di Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia municipale o direttamente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma) regolare atto di denuncia-querela avverso il responsabile, descrivendo tutto quanto successo (si potrebbe all’uopo allegare il file già inviato) e specificando che sussistono i reati sopra descritti allegando la certificazione medico-veterinaria e le generalità dei testimoni. Infine, si ricorda che la presentazione di denuncia-querela o dell’esposto non implica alcuna spesa a carico del querelante; sarà il responsabile, se eventualmente rinviato a giudizio, a dover contattare un legale di fiducia per la difesa tecnica. Normativa: artt. 544 ter, 595 C.p., 612 e 672 C.p.; artt. 10, 5° comma, Regolamento comunale tutela animali e 23, Regolamento comunale d’uso del Verde; Regole di convivenza civile per i proprietari di cani.

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Due contro uno - aggressione cani a cane

Domanda

Sabato 16 agosto stavo camminando con il mio cagnolino meticcio di nome Escher in prossimità di un recinto di rete metallica, quando improvvisamente sono arrivati due grossi cani abbaiando e riuscendo a prendere da sotto la rete il mio cane. Dopo essere stato brutalmente morsicato, Escher è riuscito a liberarsi e a passare ancora sotto la rete per venire da me che in preda al panico mi ero messa a urlare senza ricevere alcun aiuto per assoluta mancanza di passanti, vista la giornata semifestiva e agostana. Riuscendo quindi a caricare Escher in macchina, sono riuscita ad arrivare alla clinica veterinaria con il cane in evidente stato di choc con lacero-ferite e perdita di sangue. Dopo una visita e le dovute medicazioni, mi è stato consigliato di ricoverare Escher per valutare lo stato clinico e quindi procedere a un’operazione che è stata effettuata in data 18 agosto. Ora Escher sta bene, ma io posso fare qualcosa? Risposta

In merito allo sfortunato caso esposto dall’istante, è da evidenziare la rilevanza civile e penale della condotta omissiva tenuta dal proprietario dei due cani “aggressori”, il quale, evidentemente, non si è preoccupato di verificare integrità e reale efficacia della recinzione predisposta a tutela dei passanti e dei loro amici a quattro zampe. Sin d’ora, però, è opportuno evidenziare come sia necessario reperire 195


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testimoni certi dell’accaduto poiché, per esperienza professionale, la controparte cercherà di negare la propria colpa, sempre che non abbia già provveduto a riparare la rete metallica. Dal punto di vista civile, è noto il disposto di cui all’art. 2052 C.c. per il quale: “Il proprietario… è responsabile dei danni cagionati dall’animale… salvo che provi il caso fortuito”. Ciò significa che tale responsabilità certamente sussiste nella misura in cui si riuscirà a provare con certezza il cosiddetto nesso causale tra le lesioni subite dal meticcio e l’aggressione compiuta dai due cani (importante, a tal proposito, è la relazione medico-veterinaria che attesti causa e tipologia delle lesioni). Soddisfatto tale requisito, la controparte non potrà a rigore andare esente da responsabilità dimostrando il cosiddetto caso fortuito (e cioè l’esistenza di un fattore esterno imprevedibile ed eccezionale che ha determinato l’evento lesivo), a causa della colpevole inosservanza dell’obbligo di accertarsi che la rete metallica fosse integra e adeguata a tutelare i terzi (è prevedibile, difatti, che due cani di grossa taglia, se non opportunamente vigilati e “contenuti”, tendano a difendere il proprio territorio aggredendo altri conspecifici). Dal punto di vista penale, peraltro, può trovare prudente applicazione quanto previsto dall’art. 672 C.p. (Omessa custodia e malgoverno di animali, “Chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti, è punito…”) dato che è indubbia, per quanto appena esposto, la colpa del proprietario degli animali aggressori. Anche in tal caso il problema potrebbe solo essere quello di provare concretamente quanto accaduto; si 196


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ricordi, difatti, che l’illecito penale in oggetto è pur sempre una contravvenzione punibile, poiché tale, anche a titolo di colpa. Fondamentale, in ogni caso, è dimostrare che la rete metallica non fosse stata adeguatamente ancorata a terra, così da consentire l’aggressione a qualsiasi passante (il bene giuridico tutelato dalla norma è, difatti, l’incolumità pubblica in generale e non tanto quella dei propri animali d’affezione). Per escludere la colpa del proprietario, difatti, non è sufficiente affermare che i cani risultavano rinchiusi in luogo privato (Cass. Pen. n. 14829/2006). In conclusione, il consiglio è di individuare nominalmente la controparte e inviargli una raccomandata con ricevuta di ritorno con la richiesta di ristoro del danno subito ex art. 2052 C.c., riservandosi la quantificazione in una fase successiva (esso potrà quanto meno ricomprendere le spese vive sostenute dall’istante); nonostante, poi, quanto riferito dai Carabinieri (giudicare l’effettiva rilevanza penale di un fatto non spetta certo alla Polizia giudiziaria, ma solo al giudice), occorrerà comunque recarsi preferibilmente presso altra autorità e pretendere di formalizzare un esposto-denuncia di tutto quanto accaduto, instando affinché si proceda, se del caso, nei confronti del proprietario degli animali per i reati che saranno ravvisati. Normativa: art. 2052 C.c.; art. 672 C.p. Giurisprudenza: Cass. Pen. n. 14829 /2006.

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I gatti liberi non si cacciano!

Domanda

All’interno del condominio è stanziata da lungo tempo una colonia felina (sette gatti) curata da una cittadina abitante nel condominio stesso. Da alcuni mesi è sorta una disputa che vede come attori alcuni condomini che vogliono la colonia felina e altri di parere opposto. Allo scopo di proporre al Sindaco una soluzione al problema, si chiede cortesemente di conoscere se, a vostro giudizio, la presenza di una colonia felina all’interno di un’area condominiale privata richieda o meno il consenso della maggioranza dei condomini, o se il disposto dell’art. 9, comma 1° della L. R. n. 16/2006, cioè il divieto di allontanamento della colonia felina, salvo comprovate esigenze accertate dal Comune d’intesa con l’Asl competente riguardanti gravi motivazioni sanitarie o di tutela della colonia felina, trova applicazione non solo sul suolo pubblico, ma anche su area condominiale privata, indipendentemente da qualsiasi manifestazione di volontà di allontanamento eventualmente espressa dalla maggioranza dei condomini nelle forme previste dal Codice penale. Giova precisare che l’Enpa di Monza, interpellata sul medesimo problema da parte di questo Comando, ha comunicato che il divieto di allontanamento di una colonia felina, salvo il ricorso di comprovate gravi condizioni igieniche sanitarie e di tutela, trova applicazione anche su area condominiale privata, mentre l’installazione e/o rimozione di casette o altri ricoveri dei felini è questione condominiale. 198


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Ringraziamo per la collaborazione e restiamo in attesa di ricevere una vostra cortese risposta. Comando di Polizia locale Risposta

L’art. 9 (Protezione dei gatti) della Legge Regionale della Lombardia 20.07.2006 n.16 (molte regioni hanno una legge regionale simile) è il seguente: 1. I gatti che vivono in stato di libertà sul territorio sono protetti ed è vietato a chiunque maltrattarli o allontanarli dal loro habitat. Se il Comune, d’intesa con l’Asl competente, accerta che l’allontanamento si rende inevitabile per la loro tutela o per gravi motivazioni sanitarie, individua altra idonea collocazione, compatibilmente con il rispetto delle norme igieniche. Si intende per habitat di colonia felina qualsiasi territorio o porzione di territorio, urbano e non, edificato e non, nel quale risulti vivere stabilmente una colonia felina, indipendentemente dal numero di soggetti che la compone e dal fatto che sia o no accudita dai cittadini. Il parere richiesto attiene all’esigenza di individuare l’ambito di applicazione della norma richiamata e, in particolare, se la tutela apprestata dalla normativa regionale possa prescindere dal consenso di singoli residenti quando, come nel caso di specie, la colonia felina è allocata all’interno di un giardino condominiale. Occorre rimarcare come, esaminando il dato positivo, evidente sembra essere la ratio sottesa alla scelta normativa compiuta dal legislatore regionale: in adempimento dei principi contenuti nella legge n. 281 del 14.08.1991 (Legge 199


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quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo), si è considerato preminente l’interesse a garantire la tutela dei gatti che vivono in stato di libertà prevedendo, appunto, il divieto di allontanamento dagli habitat di appartenenza derogabile solo, e solamente, qualora sussista un concreto pericolo per la salute umana (“per gravi motivazioni sanitarie...”) o felina (“per la loro tutela...”). Ancora, la norma al primo comma precisa espressamente cosa debba intendersi per “habitat di colonia felina”, indicando, all’uopo, qualsiasi luogo di stabile insediamento degli animali, a prescindere dal loro numero e dall’eventuale cura loro prestata dagli umani. Può, pertanto, prudentemente desumersi che, nel bilanciamento degli interessi in gioco, il legislatore regionale abbia intanto optato per garantire nella maggior misura possibile la tutela degli animali d’affezione, sempre però nei limiti in cui non venga messa in pericolo la salute umana, ritenuta, come ovvio, bene senz’altro prevalente. Inoltre, e soprattutto, si è senza ombra di dubbio definito l’ambito di applicazione oggettiva del predetto divieto di allontanamento, ricorrendo a una definizione il più ampia possibile e comprensiva, dunque, anche della proprietà privata. Atteso quanto sopra, si concorda nel ritenere che, in linea di massima, il divieto di allontanamento di cui all’art. 9, 1° Comma della L. R. n. 16/2006 sia prescrizione applicabile a ogni habitat di colonia felina, indipendentemente dal luogo ove esso risulti concretamente individuato e, dunque, anche se insista su proprietà privata condominiale. Normativa: legge 14.08.1991 n. 281, L. R. Lombardia 20.07.2006 n. 16. 200


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, Ascensore? Si grazie

Domanda

Esistono leggi che tutelano i diritti degli animali in condominio e, più precisamente, può un cane insieme al proprio padrone usufruire dell’ascensore condominiale? Vi pongo questa domanda poiché alcuni condomini maligni (peraltro vivono al piano terra e non usano l’ascensore) importunano me e altri padroni di cani, insinuando che è vietato per legge entrare con il proprio cane in ascensore. Tengo a precisare che nessun cagnolino ha mai causato danni o problemi di alcun genere durante l’utilizzo. P.S.: leggendo attentamente le regole condominiali non vi è traccia alcuna di divieti a riguardo. Grazie infinite per il vostro nobile e utile aiuto che fornite a tutti coloro che amano gli animali. Attendo con ansia una vostra risposta. Risposta

La questione sollevata (legittimità del divieto di usufruire dell’ascensore con i propri animali da compagnia) è uno dei casi che spesso si verificano nella prassi condominiale e rientra a pieno nella disciplina relativa all’utilizzo, da parte dei singoli comproprietari, delle cosiddette parti comuni dell’edificio, essendo ciò testualmente previsto dall’art. 1117, n. 3 C.c. Di norma, inoltre, le regole per l’utilizzo di tali parti comuni devono essere contenute nel regolamento condominiale (art. 1138, 1° comma C.c.: “Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento il quale contenga le norme 201


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circa l’uso delle cose comuni). Vero è che quest’ultimo rappresenta la fonte “tipica” di queste regole, ma altrettanto indubbio è che detto regolamento, come espressamente imposto dall’art. 1138, 4° comma C.c., non può comunque andare a ledere i diritti di ciascun condomino, tra i quali indubbiamente rientra quello di utilizzare a pieno le parti comuni dell’edificio e, dunque, anche quello di accompagnarsi in ascensore con il proprio cane. Bisogna poi ricordare come l’orientamento giurisprudenziale prevalente (vedi appendice) nega comunque al regolamento condominiale la possibilità di imporre validamente il divieto di tenere animali ai singoli condomini, e ciò a maggior ragione varrà per il divieto di utilizzo dell’ascensore. Nel caso di specie, peraltro, nemmeno sussiste quell’ostacolo formale che di solito ricorre in casi simili: il regolamento condominiale (normalmente allegato al rogito e, come tale, contrattualmente accettato e perciò giuridicamente vincolante) non contiene difatti alcun divieto del genere, ma solo alcuni condomini lo hanno strumentalmente eccepito dato che, sempre a quanto riferito, nessun cane ha mai causato danni o problemi di sorta. Non esiste, dunque, alcun divieto di utilizzare l’ascensore condominiale con il proprio animale da compagnia, poiché nulla prevede il regolamento condominiale in materia. Inoltre, è proprio la recente legge regionale in materia di tutela degli animali d’affezione (L. R. Lombardia 20.07.06 n. 16 – il caso si è svolto in provincia di Milano) ad imporre all’art. 3, comma 1 il rispetto dei bisogni fisiologici ed etologici degli animali medesimi; ritenere legittimo l’eventuale divieto di utilizzo dell’ascensore condominiale co202


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stringerebbe, ad esempio, il cane che vive all’ultimo piano del condominio a non uscire più di casa e ciò, evidentemente, in totale spregio delle sue primarie esigenze. Per tutto quanto esposto, il divieto in questione pare del tutto inesistente; occorre comunque ricordare ai proprietari-condomini di cani da compagnia di rispettare sempre le norme di buon vicinato e limitare, per quanto possibile, l’eventuale disagio arrecato dall’uso dell’ascensore, aerando, ad esempio, la cabina ad ogni utilizzo. Normativa: art. 3 L. R. Lombardia 20.07.06 n. 16; artt. 1102, 1117 e 1138, comma 4 C.c. Giurisprudenza: Cass. Civ. nn. 9591/1991, 12028/1993 – Trib. Civ. PC n.231/1990 – Pretura CB 12.05.1990.

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I veterinari e il micio verso il ponte dell’arcobaleno

Domanda

Gentili professionisti, come da voi suggerito durante precedenti contatti telefonici, con la presente invio il racconto dettagliato di quanto accaduto in occasione della morte del mio bellissimo gatto soriano, Jolly, di tredici anni. Sono trascorsi circa sessanta giorni dal triste evento avvenuto il 31 agosto. Ho riflettuto prima di inviare questa mail che scrivo alla luce di eventi poco chiari che hanno caratterizzato la gestione della malattia del mio micio. Sono una giovane medico al penultimo anno di specialità in Medicina interna presso l’università e conosco le difficoltà della professione medica e la difficoltà di gestire situazioni cliniche complicate, ma in merito a quanto accaduto non posso nascondere diverse perplessità. Premetto inoltre che avevo grande ammirazione per la professione veterinaria e spero di poter recuperare tale sentimento. Nell’anno 2007, dopo un errore diagnostico da parte di un precedente veterinario che visitava il gatto a domicilio, i medici della clinica veterinaria del paese in cui abito hanno diagnosticato il diabete mellito al mio soriano. Alla diagnosi, il mio gatto aveva undici anni ed era sovrappeso. La diagnosi è arrivata tardivamente per via del precedente “errore di valutazione”, ma per fortuna i veterinari della clinica trattarono, ritengo, adeguatamente il caso, ottenendo una pronta remissione della neuropatia e una stabilizzazio204


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ne del compenso. Dal giugno del 2005 il mio gattone ha condotto una vita di buona qualità, in trattamento insulinico costante. Nell’anno 2006 il gatto è stato sottoposto ai regolari controlli del caso e alle vaccinazioni previste presso la stessa clinica. Nell’anno 2007, luglio, il gatto ha iniziato a manifestare vomito sempre più frequente per cui ci siamo rivolti alla clinica veterinaria del mio paese, presso la quale il micio era seguito per la corretta gestione del diabete. Tra la fine di luglio e il 10 di agosto il gatto è stato valutato più volte per il vomito schiumoso. Sono stati eseguiti gli esami ematochimici di funzionalità epatica e renale e il dosaggio della glicemia. Gli esami ematochimici sono risultati in un range accettabile per l’età e la patologia di base. Il gatto è stato sottoposto a diverse visite in cui veniva idratato e trattato al domicilio con Ranitidina e, dal 3/08/2007, antibioticoterapia. In casa l’animale si nutriva, giocava e sembrava avere un comportamento del tutto conforme alle sue abitudini. Tuttavia, se pur con minor frequenza, gli episodi di vomito si manifestavano comunque. Unica particolarità che il gatto manifestava era un frequente mordicchiarsi il pelo a livello del dorso, con conseguente estirpazione di ciuffi dello stesso. Tuttavia, quando io e mia madre riferivamo tale sintomo, il medesimo non veniva considerato o meglio spiegato se non con smorfie (?). Nello stesso periodo, durante una delle tante visite, il micio è stato sottoposto a Rx addome (richiesta da mia madre) che risultava invariata rispetto alla precedente (eseguita circa due anni prima). Sulla base 205


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dei risultati radiografici, il dottor B. affermò che il gatto era affetto da megacolon e pertanto doveva essere trattato con Plasil a vita. L’opinione dei medici della clinica che visitavano il mio gatto era orientata verso la presenza di infiammazione gastroenterica e venivano spiegati i sintomi, mentre il gatto veniva sottoposto a infusione di liquidi e iniezione sc di Ranitidina e Metoclopramide con visite quotidiane. In data 11/08/2007 compariva un primo episodio di diarrea, macroscopicamente sanguinolenta, per cui raccolsi un campione di feci da portare in visione al veterinario. Il campione di feci da me raccolto fu osservato dal veterinario (dottor S.) che commentò la presenza di pelo nelle feci, una moderata presenza di sangue, non significativa, ma buttò il campione senza eseguire un esame microscopico. In casa, il gatto cominciava progressivamente a rifiutare il cibo. Su consiglio dell’internista (dottoressa M.) della stessa clinica, la terapia insulinica veniva continuata e adattata. In data 17/08/2007 trasportai personalmente il gatto alla clinica veterinaria, poiché l’animale manifestava da alcuni minuti disturbi della locomozione e midriasi. In quell’occasione ci ricevette il medico di guardia per la notte che ebbe modi più “gentili” nel trattamento dell’animale. Il gatto fu ricoverato con ipoglicemia (ricordo 50 mg/dl). Nella stessa serata furono valutate le fruttosamine che dimostravano buon compenso glicemico. Ci si chiese quindi come tutto ciò correlasse con la clinica. La mattina dopo, io e mia madre andammo a vedere il micio, che, al mio arrivo, era nuovamente midriatico e sembrava avere clonie delle zampe; il micio, inoltre, perdeva bava. All’arrivo del veterinario 206


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(dottor B.), nella gabbia il gatto era in crisi epilettica, che si risolse spontaneamente. Successivamente, venne iniziata l’infusione di glucosio. Il gatto non aveva mangiato, non era stata valutata la glicemia nonostante la presenza di un cvp posizionato dalla sera precedente, ma era stata praticata l’iniezione di insulina. Il dottor B. non solo non si scusò dell’accaduto, ma aggredì verbalmente me e mia madre quando, tentando di capire (non mi definisco proprio scevra da conoscenze in campo medico), cercammo di riferire gli esiti degli esami ematochimici eseguiti la sera precedente. Con le stesse modalità, lo stesso medico il lunedì successivo (20/08/2007) mi comunicò telefonicamente che ritenevano il gatto guarito dal diabete (riferendo che ultimi studi confermavano questa rara possibilità) e che il quadro osservato poteva unicamente essere riferito a tale evento. Il gatto fu pertanto dimesso il giorno 22/08/2007 alle ore 19.00. Andai a prenderlo e il dottor S. mi annunciò la lieta notizia, chiedendo un controllo della glicemia per sicurezza un paio di giorni dopo la dimissione. Chiesi se non era il caso di controllare il pancreas, ma i medici, al momento, non lo ritenevano opportuno. Circa due giorni dopo, il dottor S. telefonò a mia madre per ottenere informazioni sull’animale. Il gatto era molto stressato, ma manifestava un comportamento semi-normale, tuttavia non mangiava e non beveva, se non in modestissime quantità. Era comunque molto affettuoso e pensammo allo stress dopo-ricovero. Attendemmo un paio di giorni in cui, come deciso, il gatto ovviamente non fu più trattato con insulina. In data 24/08/2007 accompagnai nuovamente il micio al Pronto Soccorso della stessa clinica per la comparsa di im207


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portante diarrea. Il gatto fu nuovamente ricoverato e la terapia antibiotica ripristinata. Vidi il micio per l’ultima volta il giorno 25/08/2007. In seguito, trascorsi purtroppo una settimana all’estero, pertanto l’ultima parte del racconto è stata ottenuta dal resoconto di mia madre. Come dicevo, il gatto fu ricoverato il 25/08/2007. Pretendemmo un’ecografia addominale, eseguita solo in data 30/08/2007 per motivi organizzativi dei medici. Il gatto era molto debilitato, del tutto inappetente e nutrito/idrattato per via parenterale. Il 30/08/2007 mia madre assistette all’ecografia in presenza di un testimone. L’ecografista non diede un chiaro indirizzo diagnostico, riferendo una massa vascolarizzata che “con il beneficio del dubbio” poteva essere un ascesso pancreatico. Preciso che, dopo sette giorni di ricovero, nessuno si era accorto che il micio si era strappato grossa parte del pelo da una zampina, cosa di cui si accorse mia madre una volta che il gatto era steso sul tavolo pronto per l’ecografia. Precedentemente all’anestesia, il mio gatto venne sottoposto a un prelievo di sangue dal collo (giugulare, immagino), contrariamente alla richiesta di mia madre di traumatizzare l’animale il meno possibile (ricordo che il gatto era docile, l’unica difesa era tentare di ritrarre la zampa, ricordo inoltre che i signori erano in tre e il gatto era molto debole). Gli esami sono allegati alla documentazione. Dopo l’ecografia, i medici decisero di trattarlo con antibioticoterapia e manifestai a questo punto i miei dubbi, comunicandoli al telefono a mia madre. Mia madre richiese una laparotomia esplorativa che dimostrò un ingrossamento linfonodale e alterazioni del parenchima pancreatico, a detta dei medici “compatibile con linfoma”. 208


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La proposta del dottor S. fu di risvegliare il mio gatto sofferente per attendere sette giorni il risultato dei vetrini. Mia madre rifiutò con dolore, richiedendo l’eutanasia poiché il micio risultava estremamente sofferente. Ha ritenuto la terapia antibiotica che si voleva perpetuare nei sette giorni di attesa dell’esame istologico un’inutile e crudele tortura su un animale che ci aveva dato tanto amore. Condivido l’eutanasia perché comprendo la necessità di evitare inutili sofferenze e perché conosco il grande attaccamento di mia madre al nostro micio. Mi chiedo tuttavia: – dov’è la coscienza di gestire una patologia in un animale provocandone la sofferenza sulla base di un indirizzo diagnostico inesistente, poiché ottenuto da semplici impressioni e non confortato da tutti i mezzi possibili (non sono stati posti limiti di spesa); – dov’è il rapporto veterinario/proprietario. Nel nostro caso c’è stata anche una grave mancanza di rispetto e della corretta empatia professionale; – dov’è la volontà di curare, e prima ancora di capire, quando: non si esamina un campione di feci e non si controlla un’emocromocitometrico nel sospetto di uno stato infiammatorio/infettivo. L’emocromocitometrico è stato eseguito solo prima dell’anestesia. Una volta rientrata dal mio soggiorno all’estero, e appreso quanto accaduto, tentai un confronto con il dottor S. con cui colloquiai per alcuni minuti. Il collega mi confermò la presenza di tumefazioni linfonodali, osservate in laparotomia, compatibili con linfomi, per il cui trattamento 209


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non esistono grosse opportunità nel gatto, ma rimarcò che mia madre aveva deciso di sopprimere l’animale per evitare un’ulteriore settimana di sofferenza. Quando chiesi delucidazioni sul legame della sintomatologia a tale diagnosi e al fatto che in un primo momento il gatto era stato dimesso (21/08/2007) con la diagnosi di “guarigione da diabete”, ottenni risposte confuse, non biologicamente realistiche come l’inutilità di un prelievo per esame emocromocitometrico eseguito precocemente. Fu ammesso tuttavia il ritardo dell’indagine ecografica. Probabilmente l’esito sarebbe stato lo stesso, ma insisto a ritenere inconcepibile la totale assenza di un tentativo di giungere alla cognizione del caso in tanti giorni e al risparmio di inutili sofferenze. Successivamente, dopo avere confrontato le mie perplessità con il parere di altri veterinari, ho chiesto al dottor S. la documentazione. Dopo una prima telefonata nella quale mi si diceva che reperire l’ecografia era pressoché impossibile, poiché il collega “aveva cambiato macchina”(???!), trascorsero sette giorni dopo i quali fui costretta a sollecitare la consegna della documentazione e della fattura tramite lettera raccomandata inviata ai titolari della clinica. Non ottenendo alcuna risposta, telefonai nuovamente al dottor S. il quale, in presenza di testimoni (parlavo con viva-voce dalla mia auto e trasportavo una collega), mi rispose che la documentazione doveva essere ricostruita poiché non era stato possibile compilare un decorso per un animale che era stato continuamente ricoverato e dimesso. Nonostante questo colloquio, i medici fecero in modo di spedirmi la documentazione, completa di ecografia incredibilmente ri210


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comparsa. Con mia ulteriore sorpresa, i veterinari hanno presentato una documentazione in cui: – viene omesso l’episodio della crisi comiziale su base ipoglicemica; – le condizioni del gatto risultano solo parzialmente descritte e non del tutto corrispondenti al racconto di mia madre e delle persone che l’hanno accompagnata alle visite fatte al micio nel periodo in cui mi trovavo all’estero. Inoltre, nel diario clinico risulta che al ricovero del giorno 17/08/2007 la terapia insulinica veniva sospesa. Attenzione: ricordo l’episodio di ipoglicemia e crisi comiziale in seguito al quale il dottor B. disse che il motivo era la somministrazione di insulina in un gatto entrato la sera prima per crisi ipoglicemica e inappetente; – si parla di ricovero per “incapacità di gestione” delle terapie al domicilio. Singolare da pensare quando il gatto è stato sottoposto per due anni a due iniezioni giornaliere di insulina praticate regolarmente da mia madre che non ha alcuna qualifica medica. Inoltre, ripeto che il gatto era di un’eccezionale docilità; – sul referto ecografico vengono date due versioni diverse delle condizioni della colecisti. Molte sono le perplessità relative a tale condotta che ritengo ben poco professionale. Mi auguro che il mio messaggio possa suscitare un maggiore interesse al controllo dell’attività di professionisti come i veterinari. Chiedo la vostra cortese collaborazione per ottenere la documentazione relativa ai ricoveri, alle visite e agli accertamenti diagnostici veterinari cui è stato sottoposto Jolly. 211


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Risposta

Il parere in esame non può prescindere da un esame del rapporto giuridico che intercorre tra professionista (singolo o facente capo a una struttura complessa quale una clinica) e cliente e dalle conseguenze che la legge prevede in caso di sua non corretta esecuzione ove, purtroppo, si verifichi addirittura la morte dell’animale da compagnia. Esso certamente rientra nella categoria dei contratti di prestazione d’opera intellettuale (è il classico negozio che s’instaura tra cliente-consumatore e libero professionista quale appunto il veterinario, il notaio o anche l’avvocato) ed è regolato dagli artt. 2229 e segg. C.c.; il rapporto che ne scaturisce è considerato “a prestazioni corrispettive”, poiché il veterinario si obbliga a eseguire diligentemente la propria attività (che normalmente consiste nella visita dell’animale corredata dagli esami del caso, seguita da una corretta diagnosi e conseguente terapia e/o ricovero), mentre il cliente è tenuto a pagare il compenso richiesto ma, si badi bene, quest’ultimo può esigersi solo in ragione dell’esatto adempimento dell’attività professionale svolta (art. 1460 C.c. “Eccezione di inadempimento. Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutare di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie… la propria…”, oltre che Cass. Civ. n. 5928/2002). In tali casi, l’obbligazione assunta dal singolo professionista è considerata “di mezzi” e non “di risultato”, dato che quest’ultimo verrà considerato adempiente anche se non raggiunge il risultato sperato (guarigione dell’animale), purché nella sua attività si sia uniformato alle regole di diligenza proprie dello speci212


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fico settore d’intervento (art. 1176 C.c., Cass. Civ. nn. 17871/2003, 4400/2004). In difetto, il professionista-veterinario certamente incorrerà in responsabilità contrattuale nel senso che sarà tenuto a risarcire il danno subito dal proprietario dell’animale se non riuscirà a dimostrare quanto appena evidenziato; quest’ultimo avrà perciò solamente l’onere di provare il contratto concluso e allegare l’inadempimento, mentre sarà il professionista a dover dimostrare di aver agito “diligentemente” (cosiddetta inversione dell’onere della prova), pena la soccombenza in giudizio. Nel caso di specie, la dettagliata relazione allegata dall’esponente sembra evidenziare diverse negligenze, sebbene il gatto fosse “anziano” e risultasse già affetto da un’importante patologia (diabete). Aver, ad esempio, omesso di effettuare l’esame delle feci in relazione al primo episodio di diarrea (11.08.07), oltre che l’ecografia nell’immediatezza del ricovero (25.08.07), costituiscono prove certe della colpa professionale perpetrata. Sebbene il linfoma poi accertato avrebbe, a quanto consta, comunque avuto esito letale, di certo risulta violata quella diligenza che di norma dovrebbe informare ogni attività medico-veterinaria, consistente nell’obbligo di effettuare prontamente ogni esame necessario (tanto più che non fu posto alcun limite di “spesa”) al fine di individuare l’esatta diagnosi e la corretta terapia. Certamente, la dolorosa richiesta di eutanasia è stata determinata dalle condizioni in cui il gatto versava al 30.08, causate anche dal ricovero e dalla terapia applicata sin dal 25.08, pur in assenza di una diagnosi rigorosa. Dal punto di vista civilistico, dunque, ci si potrà intanto op213


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porre ex art. 1460 C.c. alla richiesta di pagamento avanzata per le prestazioni effettuate (quantomeno al suo integrale ristoro), viste le colpose condotte descritte, e ciò nonostante non abbiano direttamente provocato la morte dell’animale. Qualora, invece, si sia già provveduto a saldare per intero la parcella della clinica, dovrà valutarsi la convenienza ad adire autonomamente il giudice perché venga accertato l’inadempimento contrattuale della clinica, visti i diversi aspetti della vicenda (si ricordi che la causa del decesso è comunque rappresentata dall’eutanasia e l’avere saldato senza contestazioni la parcella è sintomo di accettazione delle “prestazioni” svolte). A prescindere dalla rilevanza in sede civile di quanto descritto dall’esponente, ci si potrà comunque rivolgere con un esposto all’Ordine dei Veterinari competente perché siano sanzionate eventuali responsabilità deontologiche, sebbene, per esperienza, detti organi siano restii a irrogare sanzioni se non in casi estremi. Si consiglia, comunque, prima di intraprendere eventuali azioni, di rivolgersi al proprio legale di fiducia, attesi i vari aspetti toccati dalla vicenda. Normativa: artt. 1176, 2229 e segg. C.c.; art. 1460 C.c. Giurisprudenza: Cass. Civ. nn. 9009/2001, 5928/2002, 17871/03 e 4400/2004.

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Zuffa nell’area cani

Domanda

Nella notte tra il 14 e il 15 maggio ero col mio cane, un meticcio di circa dieci anni, taglia medio-piccola (undici chili circa) in un piccolo parco in zona via Washington. All’interno di questo parchetto si trova un’area cani nella quale si trovava un cane, razza bull terrier, con il suo padrone. Il mio cane era all’esterno di tale area, sprovvisto di guinzaglio. Probabilmente a causa del cancello d’ingresso rimasto aperto, il mio cane entrava nel recinto, non visto da me se non dopo pochi secondi (l’alternativa è che sia saltato dentro, non essendo la recinzione particolarmente alta). Accortomi dell’accaduto, ho seguito il cane. Preciso che sia i padroni, sia i rispettivi cani si venivano così a trovare all’interno della recinzione, entrambi gli animali sprovvisti di guinzaglio. Alla mia richiesta di bloccare il proprio cane mentre io recuperavo e conducevo fuori il mio, il proprietario del bull terrier non interveniva e, preso il mio cane per il collare (era quindi, in tale istante, sotto il mio stretto controllo), il suo cane si scagliava contro il mio, azzannandolo ad una zampa e continuando nella presa per almeno un minuto. In seguito ho condotto il mio cane presso un ambulatorio veterinario, dove è stato sottoposto ad operazione chirurgica (il morso ha lacerato tessuti e muscoli in più punti, arrivando fino all’osso). La degenza del mio cane durerà circa un mese, periodo durante il quale dovrà osservare un riposo assoluto per permettere ai muscoli e ai tessuti la completa guarigione. Aggiungo che sono riuscito in seguito a mettermi in contat215


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to con il proprietario del bull terrier, il quale sostiene che il mio cane non doveva trovarsi libero per il parco e di conseguenza la responsabilità dell’accaduto va divisa a metà tra le parti. Onestamente, a me sembra un passaggio un po’ forzato. In ogni caso, mi ha detto di spedire direttamente a lui la dichiarazione di come, secondo me, si sono svolti i fatti, comprensiva di richiesta di rimborso di spese mediche. Penserà lui a inviare la mia dichiarazione alla sua assicurazione canina. Le mie domande sono: – Ho davvero responsabilità legale di quanto accaduto per il semplice fatto che il mio cane si trovava senza guinzaglio, o questo concerne un “ante-fatto”, di per sé ininfluente al “fatto” (ribadisco che nell’istante in cui il suo cane è scattato, io avevo il mio sotto controllo, il mio braccio potendo a mio avviso sostituire tecnicamente il guinzaglio)? – È corretto che io spedisca a tale persona la mia dichiarazione e che sia lui a produrla all’assicurazione? – La richiesta di rimborso può riguardare solo le spese mediche sostenute o può essere comprensiva anche degli strascichi che inevitabilmente porterà la ferita? Risposta

In relazione al caso esposto, occorre analizzare le norme dettate in materia dai codici vigenti e da eventuali regolamenti comunali. Ad ogni modo, in tema di responsabilità del proprietario per i danni cagionati dal proprio animale da compagnia, occorre precisare che la conduzione in area cani non comporta di per sé alcun esonero o diminuzione di responsabilità. 216


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L’art. 2052 C.c. testualmente prevede che “Il proprietario… è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto custodia, sia che fosse sfuggito o smarrito, salvo che provi il caso fortuito”. Questo significa che tale responsabilità è rigorosa e sussiste nella misura in cui si riuscirà a provare con certezza il cosiddetto nesso causale tra le lesioni subite dal proprio cane e il morso sferrato dal bull terrier (utile la relazione del veterinario intervenuto); di norma, poi, il proprietario di quest’ultimo potrà andare esente da responsabilità solo ricorrendo alla cosiddetta “prova liberatoria” e cioè dimostrando il caso fortuito (l’esistenza di un fattore esterno imprevedibile ed eccezionale che ha determinato l’evento lesivo) che non sembra sussistere stando a quanto riferito. Si ricordi che, in ogni caso, sarà quest’ultimo a dover provare il caso fortuito, pena la soccombenza. In linea di massima, dunque, i danni provocati dal morso del bull terrier dovranno essere risarciti dal proprietario del cane “aggressore”, e ciò indipendentemente dall’esistenza di una specifica polizza per la responsabilità civile, la quale, se operante, solleverebbe il responsabile dall’onere risarcitorio comunque sussistente. Corrette, inoltre, sembrano le considerazioni offerte dall’esponente circa l’inesistenza di un suo eventuale concorso colposo nella produzione dell’evento lesivo dato che, stando a quanto riferito, solo la controparte non è intervenuta (seppur richiesta) per “controllare” il proprio cane, a nulla rilevando la modalità di accesso del meticcio in area cani. Ad un’attenta analisi di quanto previsto in materia dai vigenti regolamenti comunali (ovviamente validi solo sul ter217


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ritorio comunale e quindi in ogni città vanno verificati i singoli regolamenti) si evince che: – (art. 10, 5° comma Regolamento comunale tutela animali di Milano) “Nelle aree destinate ai cani, questi devono essere condotti dal possessore in conformità a quanto disposto dall’art. 23 del Regolamento d’uso del verde. In tali aree i cani possono essere lasciati senza guinzaglio e museruola esclusivamente in condizioni di sicurezza e sotto la responsabilità del possessore”; – (art. 23 Regolamento comunale d’uso del verde) “...è vietato… condurre i cani in modo da porre in pericolo l’incolumità delle persone...”; – (Regole di convivenza civile per i proprietari di cani, adottate come linee-guida dall’Ufficio tutela animali del Comune) i proprietari anche all’interno di tali aree hanno “…l’obbligo del controllo sugli animali per evitare che possano aggredire altri cani o persone”. Inoltre, rileva nel caso di specie quanto previsto dall’Ordinanza Martini (l’Ordinanza n. 68 contingibile ed urgente concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani, pubblicata il 23.03.08 sulla “Gazzetta Ufficiale”), all’art. 1: 1. Il proprietario di un cane è sempre responsabile del benessere, del controllo e della conduzione dell’animale e risponde, sia civilmente che penalmente, dei danni o lesioni a persone, animali e cose provocati dall’animale stesso. 2. Chiunque, a qualsiasi titolo, accetti di detenere un cane non di sua proprietà, ne assume la responsabilità per il relativo periodo. 218


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3. Ai fini della prevenzione dei danni o lesioni a persone, animali o cose, il proprietario e il detentore di un cane devono adottare le seguenti misure: – utilizzare sempre il guinzaglio ad una misura non superiore a metri 1,50 durante la conduzione dell’animale nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatte salve le aree per cani individuate dai comuni; – portare con sé una museruola, rigida o morbida, da applicare al cane in caso di rischio per l’incolumità di persone o animali o su richiesta delle autorità competenti; – affidare il cane a persone in grado di gestirlo correttamente; – acquisire un cane assumendo informazioni sulle sue caratteristiche fisiche ed etologiche, nonché sulle norme in vigore; – assicurare che il cane abbia un comportamento adeguato alle specifiche esigenze di convivenza con persone e animali rispetto al contesto in cui vive. E ancora, infine, la condotta tenuta dal proprietario del bull-terrier potrebbe assumere rilevanza penale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 672 C.p. (omessa custodia e malgoverno di animali – “Chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti, è punito…”), poiché è indubbia la negligenza posta in essere, infatti al cane non sono stati applicati museruola o guinzaglio, nonostante fosse di evidente indole aggressiva e vi sia stato il richiamo dell’esponente per evitare quello che, purtroppo, si è poi verificato. In conclusione, i diversi spunti indicati in narrativa non 219


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possono che rivolgersi in vantaggio dell’esponente e della piena responsabilità risarcitoria in capo alla controparte; sarà dunque il caso di inviare una formale richiesta di risarcimento danni a quest’ultima, facendo presente la reale dinamica dei fatti e omettendo, perché contrario al proprio interesse oltre che di scarso rilievo, le modalità di accesso all’area cani. Il risarcimento dovrà interessare l’intero pregiudizio subito, comprensivo delle spese vive e di ogni altro danno che si possa concretamente quantificare (è bene comunque avanzare, nella missiva, ogni riserva in merito al danno quantificandolo nello svolgimento della pratica). Normativa: art. 2052 C.c.; artt. 10, 5° comma Regolamento comunale tutela animali e 23 Regolamento comunale d’uso del verde; Regole di convivenza civile per i proprietari di cani; art. 672 C.p.; Ordinanza Martini 13.03.08 concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani. Giurisprudenza: per il caso fortuito Cass. Civ. n. 12161/2000 e n. 11173/1995 Sezioni Unite.

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I danni dei cani - i quattrozampe che fanno cadere la nonna

Domanda

In data odierna il mio cane, un golden retriever di due anni, e un altro cane giocavano nell’area cani del parco Stendhal e correndo hanno urtato una signora anziana che era dentro con il suo. La signora è caduta e si è fatta parecchio male (sembra si sia rotta i polsi e il naso). Io avevo un’assicurazione che purtroppo mi era scaduta a novembre e, colpa mia, non l’ho rinnovata nei termini. Ora la riattiverò, ma da domani. Volevo chiedere se, essendo il cane nell’area a loro dedicata, posso essere responsabile dei danni causati. Mi potete gentilmente dare ragguagli in merito? Risposta

In merito al caso di specie, occorre intanto evidenziare quanto in linea generale previsto dal Codice civile in tema di responsabilità del proprietario per i danni cagionati dal proprio animale da compagnia, sottolineando sin d’ora che la conduzione in area cani non comporta di per sé alcun esonero. Proprio l’art. 2052 C.c. testualmente prevede che “Il proprietario… è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto custodia, sia che fosse sfuggito o smarrito, salvo che provi il caso fortuito”; ciò significa che tale responsabilità è rigorosa e sussiste nella misura in cui il danneggiato riuscirà a provare con certezza il cosiddetto nesso causale tra le lesioni subite e l’impatto provocato dal 221


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cane in proprietà dell’esponente (visto il concorso anche di un altro cane, la responsabilità dovrà comunque essere ripartita al 50%). Di norma, poi, il proprietario può andare esente da responsabilità solo ricorrendo alla cosiddetta prova liberatoria e cioè dimostrando il caso fortuito (l’esistenza di un fattore esterno imprevedibile ed eccezionale che ha determinato l’evento lesivo) che non sembra sussistere, stando a quanto riferito. Determinanti sembrano però le previsioni contenute nei vigenti regolamenti comunali in materia di adeguata conduzione degli animali all’interno delle aree cani, dato che proprio l’art. 10, 5° comma Regolamento comunale tutela animali (valido ovviamente solo a Milano) prevede che “Nelle aree destinate ai cani, questi devono essere condotti dal possessore in conformità a quanto disposto dall’art. 23 del Regolamento d’uso del verde. In tali aree i cani possono essere lasciati senza guinzaglio e museruola esclusivamente in condizioni di sicurezza e sotto la responsabilità del possessore”; l’art. 23 Regolamento comunale d’uso del verde (anch’esso valido solo sul territorio comunale milanese) vieta espressamente “…di condurre i cani in modo da porre in pericolo l’incolumità delle persone...”. Anche poi le “Regole di convivenza civile per i proprietari di cani”, adottate come linee-guida dall’Ufficio tutela animali del Comune, prevedono che i proprietari anche all’interno di tali aree hanno “…l’obbligo del controllo sugli animali per evitare che possano aggredire altri cani o persone”. In conclusione, e sempre che la persona danneggiata riesca a dimostrare l’esatta dinamica circa le lesioni subite, il 222


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proprietario del golden sarà responsabile quantomeno al 50% del pregiudizio arrecato all’anziana a causa della caduta determinata anche dal proprio animale da compagnia. Fermo restando quanto sopra, in sede di concreta liquidazione del danno varrà senz’altro la pena insistere per una diminuzione in percentuale dell’apporto causale appena indicato, poiché ci si trovava all’interno di un’area cani ove è noto (e l’anziana non poteva ignorarlo) che gli animali possono muoversi liberi. Normativa: art. 2052 C.c.; artt. 10, 5° comma Regolamento comunale tutela animali e 23 Regolamento comunale d’uso del verde; Regole di convivenza civile per i proprietari di cani. Giurisprudenza: per il caso fortuito Cass. Civ. n. 12161/2000 e n. 11173/1995 Sezioni Unite.

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Il gatto scomparso - temporanea custodia e appropriazione indebita

Domanda

La signora V. stava viaggiando in macchina con un gatto. Questo gatto era di una signora che vive in provincia di Piacenza, ma che non era più in grado di occuparsene. La signora V. lo ha fatto sterilizzare e lo stava portando a Milano dove credeva di poterlo dare in adozione. Lungo il viaggio ha avuto un ripensamento, le sembrava che il gatto si sarebbe trovato male in città, essendo abituato all’aperto. Inoltre non si sentiva bene, non sarebbe riuscita a tornare da dove era venuta. Passando in prossimità di una cascina, dove conosceva la figlia del titolare (la signora P.), ha deciso di chiedere aiuto. Ha chiesto alla signora P. di poter lasciare il gatto fino all’indomani alle 10, quando sarebbe tornata a prenderlo. Da quel momento non lo ha più visto. È tornata il giorno dopo, ma la signora P. è stata evasiva, non si è capito se il gatto si sia perso, se lo hanno soppresso, se lo hanno “liberato”. La signora V., che non gode di buona salute, è disperata e avanza le ipotesi più fosche. Chiedo: in che modo si può costringere la signora P. a dire che fine ha fatto il gatto? Deve presentare una denuncia ai Carabinieri? O è meglio che faccia scrivere da un avvocato? Risposta

In relazione al caso di specie, la strada da seguire è certamente quella di formalizzare quanto prima i fatti accaduti, inviando alla controparte una diffida (meglio se tramite av224


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vocato) alla restituzione del gatto lasciato solo in temporanea custodia, e per di più in ragione del sopravvenuto malore occorso all’esponente. In caso di reiterato rifiuto o di mancato riscontro, la condotta sembra integrare gli estremi del reato di appropriazione indebita che dovrà essere regolarmene denunciato presso qualsiasi autorità. L’ art. 646 C.p. prevede: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria... della cosa altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito...”), atteso che gli animali da compagnia sono considerati dal vigente ordinamento alla stregua di beni mobili e, dunque, l’eventuale reato commesso è da inquadrare nell’ambito dei delitti contro il patrimonio. In primo luogo sembra sussistere il cosiddetto elemento oggettivo del reato: è certa difatti sia l’altruità della cosa, (è comunque opportuno farsi rilasciare dalla proprietaria una dichiarazione attestante la consegna a suo tempo intervenuta in favore dell’esponente), che la sua appropriazione da parte dall’agente al quale, come riferito, l’animale è stato consegnato a causa del malore occorso all’istante per custodirlo sino all’indomani. Inoltre, proprio il comportamento tenuto dall’agente sembra essere diretta espressione della volontà di appropriarsi indebitamente dell’animale a suo tempo consegnato (cosiddetto dolo), visto il rifiuto opposto e le risposte evasive sinora fornite. Si ricordi però che, affinché il reato sussista, occorre l’esistenza del cosiddetto dolo specifico e cioè della precisa intenzione della controparte di assicurarsi un profitto, ove la relativa nozione è da intendersi in senso ampio e non solo quale mero vantaggio economico. 225


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In conclusione, stante anche l’urgenza di rientrare in possesso dell’animale, il consiglio è quello di spedire la predetta raccomandata, facendo presente tutto quanto esposto e, in caso di mancata riconsegna, avanzare regolare denuncia-querela nei confronti della controparte come sopra riferito, per poi insistere con la Polizia giudiziaria o con il Pubblico Ministero incaricato perché dispongano la perquisizione della cascina dell’agente e il sequestro, ai sensi dell’art. 354 C.p. p., dell’animale, affidandolo all’istante quale custode giudiziario. Attesi i diversi aspetti interessati dalla vicenda in esame e l’urgenza di intervenire, è comunque opportuno consultarsi con il proprio legale di fiducia circa la miglior strategia da adottare. Normativa: art. 646 C.p.; artt. 354 e 370 C.p.p.

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Viaggiare in auto

Domanda

Il mio cane dormiva sul sedile anteriore del passeggero e mi hanno multato: ma perché? Che fastidio dava l’animale? Risposta

L’art. 169 del Codice della Strada dice così: “È vietato il trasporto di animali domestici in numero superiore a uno, e comunque in condizione da costituire impedimento o pericolo per la guida. Il trasporto di animali domestici, anche in numero superiore, è consentito solo se custoditi in apposita gabbia o contenitore o nel vano posteriore appositamente diviso da rete o da altro analogo mezzo idoneo”. Per le infrazioni: sanzione min 68,25, max 275,10 e sottrazione di un punto patente. Riassumendo: se si trasportano due o più animali, devono stare dietro con divisorio oppure in gabbia/contenitore. Se si trasporta un solo animale, è possibile farlo stare davanti a patto che non sia d’intralcio alla guida. Quando è un (anche potenziale) pericolo, allora può scattare la multa. Proprio qui è il problema. Per le forze dell’ordine, un cane che dorme sul sedile anteriore può essere un pericolo. Oppure un gattino che dormicchia sulle ginocchia del guidatore. Sicché: è meglio farli viaggiare sempre dietro col divisorio oppure sul sedile posteriore o, nel caso dei gatti, trasportarli sempre in gabbietta/trasportino. Così nessuno può dire niente. E non si rischia la multa (in genere di 74 euro col taglio di un punto della patente). Ma anche per evitare spiacevolissime discussioni con le forze dell’ordine che 227


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possono sfociare in conseguenze ben più gravi: denunce, reati, ore trascorse in caserma. Non soltanto, in questo modo il viaggio dell’animale è indubbiamente più sicuro. Altri consigli di viaggio: – se il tragitto richiede molte ore, programmare delle soste per permettere a Fido di “sgranchirsi” le zampe e urinare e somministrargli acqua da bere (poca, se soffre di mal d’auto); – d’estate applicare ai vetri dell’auto tendine parasole per evitare la luce diretta del sole; – se non si dispone di aria condizionata, evitare di viaggiare d’estate durante le ore più calde della giornata; – mai lasciare animali in auto da soli. Normativa: Codice della Strada – articolo 169.

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Mutilazioni e correzioni estetiche

Domanda

È vero che è vietato tagliare coda e orecchie ai cani, pratica barbara in uso fino a qualche tempo fa? Risposta

La nuova Ordinanza per la “tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani” del ministero della Salute (pubblicata in “Gazzetta Ufficiale” Serie Generale n. 68 il 23.03.2009 ed entrata in vigore il 25 marzo 2009 con efficacia per 24 mesi) vieta gli interventi chirurgici destinati a modificare la morfologia dell’animale (recisione delle corde vocali, taglio delle orecchie e taglio della coda), fatto salvi gli interventi curativi certificati dal medico veterinario. L’ordinanza ministeriale (come altre, fortemente voluta dal sottosegretario Francesca Martini), ricalca sotto questo aspetto la precedente ordinanza dell’ex-ministro alla Salute Livia Turco. Ecco il testo dell’articolo 2, lettera d): 1. Sono vietati gli interventi chirurgici destinati a modificare la morfologia di un cane o non finalizzati a scopi curativi, con particolare riferimento a: 1) recisione delle corde vocali; 2) taglio delle orecchie; 3) taglio della coda, fatta eccezione per i cani appartenenti alle razze canine riconosciute alla F.C.I. con caudotomia prevista dallo standard, sino all’emanazione di una legge di divieto generale specifica in materia. Il taglio della coda, 229


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ove consentito, deve essere eseguito e certificato da un medico veterinario, entro la prima settimana di vita dell’animale; e) la vendita e la commercializzazione di cani sottoposti agli interventi chirurgici di cui alla lettera d). 2. Gli interventi chirurgici su corde vocali, orecchie e coda sono consentiti esclusivamente con finalità curative e con modalità conservative certificate da un medico veterinario. Il certificato veterinario segue l’animale e deve essere presentato ogniqualvolta richiesto dalle autorità competenti. 3. Gli interventi chirurgici effettuati in violazione al presente articolo sono da considerarsi maltrattamento. I provvedimenti sono ispirati da una filosofia semplice e chiara: non è corretto far del male ad un animale perché ad un uomo, sia egli il padrone o il giudice di un concorso, piaccia di più. Il taglio delle orecchie affonda le sue (orribili) radici nella selezione di cani che avevano funzioni prettamente pratiche (di guardia, difesa, attacco e combattimento tra cani, oltre che di caccia) e nel cui svolgimento l’animale non doveva procurarsi ferite inutili od offrire all’avversario punti di presa. Essendo ormai venuti meno i motivi pratici che hanno fatto sorgere tale questione, non sussiste oggi la necessità di sottoporre l’animale ad un’intervento chirurgico a puri fini estetici.

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Per chi suona la campana

Domanda

Ho seppellito il mio coniglietto nel grande parco pubblico della mia città. Mi hanno detto che non avrei potuto farlo. È vero? E dove avrei dovuto metterlo: nel cestino della spazzatura? Risposta

Prima o poi, ahinoi, la campana suona per tutti. Per i nostri quattrozampe ciò succede più in fretta che per noi. I nostri fratelli minori, come li chiamava san Francesco, sono esseri senzienti che amano e che soffrono. Che, secondo alcuni, un giorno incontreremo nell’aldilà. Del resto papa Woityla anni fa disse una parola chiara in proposito: “Negli animali c’è qualcosa di molto simile al soffio divino vitale” e, prima di lui, papa Paolo VI aveva affermato che “un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo”. Molto prosaicamente la legge (decreto ministeriale del 23.03.94 “Raccolta e trasporto rifiuti d’origine animale”, decreto legislativo del 14.12.94 n. 508/92 e Regolamento CE 1774/2002) considera l’amico di zampa, ala o pinna, dopo il decesso, “materia ad alto rischio per l’ambiente” e quindi vieta il seppellimento in luoghi non autorizzati come parchi, giardini, campi coltivati e argini. Così come vieta di gettare l’animale in un cassonetto. Da qualche anno la normativa comunitaria permette di seppellire l’animale d’affezione in un terreno privato (anche un giardino), ma solo dietro autorizzazione diretta dell’Asl. 231


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In genere, quando il nostro animale muore dal veterinario o per eutanasia o per morte naturale, il veterinario stesso rilascia un certificato di morte e può incaricarsi della consegna del corpo agli addetti o indicare a chi rivolgersi. La destinazione, prevalentemente, è l’inceneritore. Una fine insopportabile per molti proprietari affranti. Per molti, un animale senza vita non è una cosa, tantomeno un rifiuto da smaltire. Per rendergli onore c’è un’altra via: esistono sia cimiterini ad hoc, sia vere e proprie agenzie di “servizio post-mortem”: si occupano del trasporto, della cremazione presso impianti autorizzati oppure della sepoltura in un cimitero per animali. Alcune agenzie funerarie per animali domestici danno modo di assistere alla cremazione e al termine consegnano le ceneri al proprietario in un’urnetta in ceramica o di legno. I prezzi variano (e non sempre sono molto abbordabili). Internet offre la possibilità di ricordare il proprio beniamino scomparso. Sempre più siti e portali dedicati agli animali offrono, quasi sempre gratuitamente, uno spazio per una foto e una dedica che possa ricordare i momenti passati in loro compagnia. Ecco solo alcuni indirizzi. Molti portali e molti altri siti dedicati ai quattrozampe hanno una parte dedicata a questo tenero servizio. www.amicianimali.it/paradiso/index.html www.masterdog.it www.micimiao.it/paradiso_virtuale.htm www.ilriposodisnoopy.it www.ilparadisoditomejerry.com

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FAQ

...per non finire in tribunale


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Anagrafe canina

Cos’è?

È la registrazione della popolazione canina identificata, presente sul territorio della Lombardia, collegata ai dati del proprietario. Come funziona?

Il cane viene identificato con un “microchip”, applicato dal veterinario per via sottocutanea in modo rapido, innocuo e indolore. Il microchip è contenuto in una capsula di pochi millimetri e contiene un numero di identificazione. Dopo aver applicato il microchip, il veterinario registra nell’anagrafe canina il numero, i dati segnaletici del cane e i dati relativi al proprietario. Da questo momento il cane è correttamente iscritto all’anagrafe: al proprietario viene consegnato un certificato di iscrizione, completo dei dati registrati. A cosa serve?

A garantire la veloce restituzione dei cani smarriti ai legittimi proprietari. È obbligatorio iscrivere i cani all’anagrafe?

Sì, l’iscrizione all’anagrafe dei cani, oltre ad essere utile per il proprietario, è anche un obbligo di legge (L. n. 281/1991 e Legge Regionale di ogni singola regione). Il proprietario o il detentore, compreso il commerciante e l’allevatore, devono provvedere all’iscrizione del proprio cane in anagrafe entro quarantacinque giorni dalla nascita o entro quindici 234


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giorni dal momento in cui ne entra in possesso. Chi non l’avesse ancora fatto, deve provvedere al più presto. Il cane è tatuato, devo comunque provvedere a identificarlo con il “microchip”?

Dipende dalle leggi regionali. In genere se il tatuaggio è stato applicato prima dell’entrata in vigore del microchip come mezzo di identificazione ed è ben leggibile, il cane viene considerato correttamente identificato e non è obbligatorio applicare il “microchip”. Tuttavia viene raccomandato perché più affidabile rispetto al tatuaggio. Cosa devo fare per iscrivere il mio cane in anagrafe?

Il proprietario, con documento di identità e codice fiscale, deve rivolgersi esclusivamente a: – Servizio veterinario dell’Asl di zona. – Veterinario libero professionista accreditato. Il veterinario provvede contestualmente: – All’inoculazione del microchip che identificherà in modo univoco e permanente il cane. – All’iscrizione del cane nell’anagrafe canina regionale. Devo comunicare eventuali variazioni?

Sì, è obbligatorio segnalare al veterinario o al Servizio veterinario dell’Asl di zona o al Comune, entro quindici giorni, i seguenti eventi, che determinano variazioni dei dati presenti in anagrafe: – variazione di proprietà; – cambio di residenza; – decesso del cane. 235


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Cosa devo fare se smarrisco il mio cane o me lo rubano?

La scomparsa del proprio cane deve essere denunciata al più presto (il termine preciso dipende dalle singole leggi regionali) al Servizio veterinario dell’Asl o alla Polizia locale del Comune dove si è verificato l’evento. Quali sanzioni sono previste se non iscrivo il mio cane all’anagrafe?

In caso di mancata iscrizione del proprio cane in anagrafe, o di omessa segnalazione di variazione dei dati registrati, è prevista una sanzione amministrativa (in genere da 25 a 150 euro, a seconda delle leggi regionali).

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Documenti indispensabili. Quali sono?

Cane

Documenti indispensabili per il cane sono il certificato di iscrizione all’anagrafe canina (che viene rilasciato da chi effettua la microchippatura) e il libretto delle vaccinazioni. Il libretto è il documento sul quale il veterinario di fiducia riporta tutte le vaccinazioni eseguite sull’animale: tutte le vaccinazioni devono essere descritte, datate firmate e timbrate dal veterinario. Gatto

I gatti non godono di particolari leggi che ne identifichino l’identità e la proprietà (salvo i gatti che devono espatriare). Il micio dispone però di svariati documenti di identità: l’attestato di vendita (certificato, ricevuta o scontrino fiscale), il pedigree (nel caso di gatto di razza), il libretto delle vaccinazioni. I primi due sono da richiedere, sempre, nel caso che il gatto venga acquistato. Il più importante è il terzo. Il libretto delle vaccinazioni torna sempre utile, poiché è il documento più comunemente associato al gatto in caso di furto o smarrimento dell’animale. Coniglio e furetto

Anche conigli e furetti non hanno una propria anagrafe. L’unico documento che li identifica è il libretto delle vaccinazioni. I furetti, in caso di espatrio, devono essere microchippati.

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Il passaporto

È vero che per espatriare anche cani e gatti hanno bisogno del passaporto?

Sì. Per attraversare il confine, cani, gatti e furetti devono avere il passaporto europeo previsto dal Regolamento UE n. 998/2003. Per il rilascio del passaporto da parte dei Centri di Sanità Pubblica Veterinaria (o Servizi veterinari) è necessario che gli animali siano identificati con tatuaggio leggibile o microchip. I cani devono anche essere iscritti all’anagrafe regionale. Il veterinario ufficiale controlla l’identificazione dell’animale ed emette il passaporto. Ci sono differenze da Paese a Paese?

Sì. Per i Paesi dell’Unione Europea (esclusi Gran Bretagna, Irlanda e Svezia che richiedono ulteriori garanzie sanitarie), il passaporto è valido per l’espatrio se nell’apposito spazio è certificata annualmente (o da almeno ventuno giorni, in caso di prima vaccinazione) l’esecuzione della vaccinazione antirabbica. Per i Paesi extra UE “allineati” (la lista si dovrebbe trovare presso i Servizi veterinari della Asl) valgono le regole previste per gli Stati membri. Per i Paesi extra UE non allineati (Paesi terzi) è necessario sottoporre gli animali anche ad un prelievo di sangue per la titolazione degli anticorpi neutralizzanti contro il virus della rabbia almeno trenta giorni dopo l’esecuzione della vaccinazione. Per viaggi in Paesi extra UE è sempre opportuno rivolgersi al consolato o all’ambasciata del Paese di destinazione per verificare se sono richiesti ulteriori 238


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adempimenti sanitari o burocratici (Regolamento UE 26.05.2003 e successive integrazioni). Come sono le modalità di rilascio del passaporto?

Dipende dalle regole di cui si sono dotate le singole Asl d’Italia, alle quali conviene telefonare. Nel Comune di Milano, a titolo d’esempio, funziona così: 1. Pagare euro 11,57 (per Paesi UE, salvo Gran Bretagna, Irlanda, Svezia e Malta), o euro 17,35 (per Paesi non equiparati alla UE). Il pagamento può avvenire con bancomat presso i Centri o con versamento su bollettino di conto corrente postale intestato alla Asl Milano – Servizio veterinario – Servizio Tesoreria Causale Passaporto. Non è possibile pagare in contanti. 2. Portare il cane, gatto o furetto perché è necessario provvedere al controllo dell’identificazione (microchip o tatuaggio leggibile). 3. Portare il certificato di iscrizione all’anagrafe canina.

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Animali e condominio

Può il regolamento di condominio vietare la detenzione di animali domestici in appartamento?

In linea di massima è da ritenersi illegittimo un eventuale divieto generalizzato di tenere animali nel proprio appartamento. Il regolamento condominiale, difatti, non può comunque andare a ledere il diritto di ciascun condomino a godere in modo pieno ed esclusivo dell’appartamento in proprietà ai sensi dell’art. 1138, 4° comma C.c. e, dunque, di vivere con un animale da compagnia nell’ovvio rispetto delle regole di buon vicinato. Può il regolamento condominiale predisposto dal costruttore dell’immobile prevedere una clausola contenente il divieto di detenzione di animali?

Ferma restando la sua illegittimità sostanziale, può accadere che detto tipo di regolamento preveda una clausola di tale tenore nel qual caso il proprietario dell’appartamento non potrà non ritenersi, almeno formalmente, vincolato perché la clausola risulta contrattualmente accettata in sede di rogito. Bisogna però ricordare come l’orientamento giurisprudenziale prevalente nega al regolamento condominiale la possibilità di imporre validamente il divieto di tenere animali ai singoli condomini, a maggior ragione se detti animali non provocano particolari molestie ai vicini di casa o siano detenuti in appartamento da diversi anni. Può l’amministratore vietare l’accesso di animali do240


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mestici all’ascensore comune o al giardino condominiale?

L’ascensore e il giardino condominiale rappresentano parti comuni, ove la contitolarità del diritto di proprietà di ciascun condomino su tali beni impone l’esigenza di contemperare gli interessi di tutti i comproprietari a che sia garantito da un lato il pieno e libero godimento da parte di ciascuno e, dall’altro, il divieto di un utilizzo “dannoso” della cosa comune (art. 1102 C.c.). Ovvio pertanto che comprovati problemi di natura igienico-sanitaria legittimerebbero, a stretto rigore, un divieto del genere, ma pare altrettanto evidente che, una volta ammessa la presenza di animali domestici in condominio come sopra ricordato, non possa vietarsi tout court il transito o la frequenza per le parti comuni. Pertanto, è da ritenersi sostanzialmente illegittimo vietare l’accesso al giardino condominiale agli animali da compagnia (sia esso contenuto in un regolamento condominiale o in una delibera assembleare), sebbene si debbano certo rispettare la salute e l’igiene degli altri condomini preoccupandosi, ad esempio, di garantire sempre e comunque la pulizia dei luoghi frequentati. Quali sono i limiti di legge oltre i quali l’abbaiare di un cane è considerato molesto?

L’abbaiare solitamente lamentato dai vicini di casa rientra a pieno nella fattispecie di cui all’art. 844 C.c. per la quale “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo al241


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la condizione dei luoghi… “. La legge stabilisce, pertanto, il parametro della normale tollerabilità quale limite oltre il quale si riconosce al vicino il diritto di impedire le immissioni moleste; difatti, qualsiasi propagazione proveniente dall’altrui proprietà è ritenuta dall’ordinamento lecita solo se rientra nella normale tollerabilità alla luce di un accertamento che, in concreto, il giudice dovrà compiere tenendo conto di tutte le circostanze di fatto. Tale limite è senz’altro da intendersi in senso relativo, valutando dunque la complessiva situazione ambientale tenuto conto della rumorosità di fondo della zona e delle abitudini del vicinato (come, ad esempio, il fatto che altri vicini possiedano cani).

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Accesso a pubblici esercizi e uffici

Può un pubblico esercizio (negozio, ristorante, eccetera) vietare l’accesso ai cani?

Sebbene a tutt’oggi diversi regolamenti comunali impongano agli esercenti di consentire l’accesso dei clienti insieme ai propri animali da compagnia, può capitare che il divieto venga opposto agli avventori sebbene la normativa specifica nulla preveda in merito, se non l’obbligo di conduzione con guinzaglio e museruola (art. 83 D.P.R. n. 320/1954, regolamento di Polizia veterinaria); rimane comunque una libera scelta dell’esercente quella di vietare l’ingresso ai cani, sempre che il locale regolamento a tutela degli animali d’affezione, ove esistente, non consenta il generale accesso ad ogni pubblico esercizio. Può un ufficio pubblico vietare l’accesso agli animali domestici?

Occorre rimarcare come i pubblici uffici, quale un ufficio postale ad esempio, non possano essere considerati “esercizi pubblici” alla pari di ristoranti, negozi e quant’altro; gli enti gestori, pertanto, sono legittimati a prevedere all’interno di propri regolamenti il divieto di accesso agli animali nei relativi uffici sebbene, oggettivamente, non se ne comprenda la ragione, soprattutto alla luce della mutata sensibilità sociale. A tal proposito, è bene ricordare come un eventuale regolamento comunale non possa comunque imporre a detti enti di far accedere gli animali da compagnia all’interno dei propri uffici, cosa che invece può avvenire per un pubblico esercizio. 243


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, Responsabilita civile

È responsabile il proprietario del cane nel caso quest’ultimo aggredisca persone o altri animali?

Secondo la previsione di cui all’art. 2052 C.c. “Il proprietario… è responsabile dai danni cagionati dall’animale… salvo che provi il caso fortuito”. Ciò significa che tale responsabilità certamente sussiste qualora si riesca a provare con certezza il cosiddetto nesso causale tra le lesioni subite e l’aggressione compiuta. Il proprietario dell’animale, peraltro, potrà andare esente da responsabilità solo dimostrando il cosiddetto caso fortuito e cioè l’esistenza di un fattore esterno imprevedibile ed eccezionale che ha determinato l’evento lesivo, ipotesi da escludere qualora egli abbia, ad esempio, colposamente omesso di tenere a guinzaglio il proprio cane. Dal punto di vista penale, potrà altresì trovare applicazione il disposto di cui all’art. 672 C.p. (omessa custodia e malgoverno di animali) secondo il quale è punito “chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti…”. A cosa va incontro il proprietario nel caso in cui il proprio cane sfugga e provochi un incidente stradale?

Fermo restando quanto appena detto circa la responsabilità del proprietario ex art. 2052 C.c., nel caso di sinistro stradale non consistente nello scontro tra due veicoli (ad esempio: l’investimento di un cane da parte di un’auto) troverà anche applicazione la norma di cui all’art. 2054 C.c. per la quale “il conducente... è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se 244


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non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”. Dette norme prevedono entrambe delle presunzioni relative a carico, rispettivamente, del proprietario dell’animale e del conducente del veicolo, nel senso che la loro colpa (e dunque la responsabilità del danno) si presume in difetto di spunti contrari con onere di prova a loro carico (cosiddetta prova liberatoria). Nel caso di specie, le due presunzioni coesistono con pari efficacia per cui, in difetto di rilievi compiuti dall’eventuale autorità intervenuta, la responsabilità graverà prudentemente su entrambi al 50%.

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Vendita di animali

Qualche giorno dopo averlo regolarmente acquistato, il mio cane ha iniziato a star male tanto da doverlo ricoverare d’urgenza in clinica veterinaria. Cosa posso fare?

Essendo gli animali da compagnia considerati dal vigente ordinamento quali vere e proprie “cose”, la disciplina dei vizi della loro vendita è contenuta negli artt. 1490 e segg. C.c. che si riferiscono, appunto, a qualsiasi bene mobile. In particolare, proprio l’art. 1496 C.c. la rende espressamente applicabile in caso di vendita di animali. Il venditore, dunque, è obbligato a garantire che la cosa venduta sia esente da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo rilevante il valore. In tali ipotesi il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del negozio (azione redibitoria, con conseguente restituzione del bene a chi l’ha venduto e del prezzo a chi l’ha acquistato), ovvero la riduzione del prezzo pagato (azione estimatoria ex artt. 1492 e 1493 C.c.), salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno subito (quanto meno le spese medico-veterinarie) se il venditore non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della “cosa” (art. 1494 C.c.). È altresì opportuno ricordare che entrambi tali azioni sono soggette ai medesimi requisiti di decadenza (denuncia dei vizi entro otto giorni dalla scoperta) e prescrizione (un anno dalla consegna), con onere della prova a carico del compratore.

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Pensione per animali

Cosa posso fare se, tornato dalla pensione per animali, il mio cane presenta evidenti lesioni?

Dal punto di vista giuridico, il rapporto intercorso tra la pensione e il proprietario dell’animale è ascrivibile nell’ambito del contratto di deposito oneroso. Come impone l’art. 1768 C.c., la pensione deve seguire la diligenza “del buon padre di famiglia” durante la custodia dell’animale e, in caso di eventuali problemi, informare subito il proprietario delle condizioni di salute. Una volta accertato lo stato di salute dell’animale riconsegnato, la pensione risulterà di certo contrattualmente inadempiente e non potrà pretendere alcunché a titolo di compenso per la custodia o quant’altro ma, anzi, potrà essere tenuta responsabile delle lesioni subite dal cane e risarcire il danno subito.

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Separazione e divorzio

In caso di separazione personale, a quale dei coniugi spetterà il cane acquistato durante il matrimonio?

Occorre ricordare come non sono presenti nel nostro ordinamento norme specifiche dirette a regolare l’assegnazione o il mantenimento degli animali da affezione in caso di separazione personale o divorzio. Bisognerà in primo luogo stabilire chi effettivamente sia il proprietario del cane, atteso che il regime giuridico degli animali da affezione, purtroppo, è del tutto equiparato a quello dei beni mobili. Pertanto, all’acquisto o all’adozione di un cane da parte dei coniugi in regime di comunione legale può applicarsi la regola generale per la quale (art. 177 C.c.): “Costituiscono oggetto della comunione: a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio…”. Se l’animale risulta acquistato o adottato dopo le nozze anche solo dal marito, ad esempio, entrambi i coniugi dovranno essere considerati proprietari. Per quanto appena detto, l’animale da compagnia non è comunque considerato autonomo “soggetto” di diritti da parte dell’ordinamento; non potrà pertanto ottenersi un “autonomo” assegno di mantenimento in suo favore sebbene gli oneri relativi possano venire ricompresi nell’ordinario assegno divorzile (ma ciò dipenderà solo dalla sensibilità del singolo giudice).

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Pesci in casa

Quali obblighi ha il possessore di animali d’affezione?

È tenuto ad assicurare agli animali condizioni di vita adeguate sotto il profilo dell’alimentazione, dell’igiene, della cura, della salute e del benessere, della sanità dei luoghi di ricovero e contenimento e degli spazi di movimento. È vietato abbandonare gli animali, infliggere ad essi maltrattamenti, alimentarli in modo improprio o insufficiente, detenerli in condizioni igienico-sanitarie non adeguate (Legge Regionale Lombardia 16/06, valida ovviamente solo sul territorio lombardo, ma simile a molte altre leggi regionali che fanno testo nelle singole realtà locali). Non si possono “liberare” i pesci abbandonandoli in laghetti, corsi d’acqua o fontane. Come deve essere un acquario?

– Non usate acquari sferici o comunque con pareti ricurve di materiale trasparente. – Il volume dell’acquario non deve essere inferiore a tre litri per centimetro della somma delle lunghezze degli ospiti. – Le caratteristiche fisico-chimiche e la temperatura dell’acqua devono essere conformi alle esigenze fisiologiche delle specie ospitate. – Occorre garantire il ricambio, la depurazione e l’ossigenazione dell’acqua. – Non tenete un solo esemplare di pesce appartenente a specie sociali.

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Pesci negli esercizi commerciali

Il fatto che un animale sia destinato all’alimentazione non giustifica comunque alcuna forma di maltrattamento. Il Decreto Legislativo 30.12.92 n. 531 all’art. 4 prescrive: “I prodotti della pesca destinati ad essere immessi vivi sul mercato devono essere costantemente nelle condizioni più idonee alla sopravvivenza”. Benché la norma sia nata per tutelare i consumatori e non gli animali, ne deriva che: – Pesci e crostacei vivi non devono essere lasciati in vasche senza l’ossigenatore e a temperature non conformi alle esigenze fisiologiche della specie. – Non devono essere tenuti per nessun motivo fuori dall’acqua, anche se posti sopra il ghiaccio e/o impianto refrigerativo. – Non si deve porre l’ittiofauna marina in acqua dolce e viceversa.

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Se incontro un rettile

Che fare se, in campagna, si incontra un rettile?

No al malcostume di uccidere qualsiasi animale che striscia: i serpenti nostrani di dimensioni maggiori, il biacco e la biscia dal collare, sono assolutamente innocui, se non vengono disturbati. Quanto alla vipera, è raro che attacchi l’uomo ed è ancor più raro che l’attacco abbia esito letale. Per evitarne i morsi e il veleno, occorre comunque adottare alcune semplici precauzioni: – camminando in zone dove potrebbero trovarsi vipere, usate scarponcini e non calzature aperte; – guardate dove mettete mani e piedi se vi arrampicate su rocce, pietraie, eccetera; – con un bastone picchiettate il terreno lungo il sentiero; – non infilate le mani tra i sassi o tra la vegetazione; – non lasciate aperte borse e zaini, soprattutto se contengono cibo. Che fare se, in città, incontrate un rettile?

Probabilmente si tratta di un serpente esotico fuggito da un terrario: chiamate la Polizia locale oppure il Corpo forestale dello Stato oppure l’Enpa. Provvederanno a catturarlo e a collocarlo, in attesa di rintracciare il proprietario. Questo discorso vale anche per le iguane, sempre più frequenti nelle case come animali da compagnia. Come fare per osservare rettili e anfibi?

I rettili sono animali molto elusivi. Nei mesi invernali sono 251


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ibernati, mentre tornano attivi in primavera. La maggior parte delle specie diurne preferisce le giornate soleggiate, soprattutto mattino e tardo pomeriggio. Col caldo estivo si ritirano ed escono solo per brevi periodi. Gli anfibi notturni si cercano al buio, usando una lampada, meglio nelle notti che precedono la pioggia. Di giorno si rifugiano in nascondigli, buchi, pietre, legnaie. Rane, rospi e tritoni si possono incontrare più facilmente negli stagni e nei laghetti dove si riproducono in primavera. Per vedere rettili e anfibi occorre muoversi lentamente e silenziosamente, osservando attentamente il terreno, le rive e la superficie dell’acqua. Sono animali delicati, danni superficiali anche lievi possono comprometterne la sopravvivenza. Afferrando una rana con la mano asciutta si può intaccare lo strato mucoso protettivo, inoltre il calore prolungato della mano può provocare dei danni. Non acchiappate mai una lucertola per la coda, si spezzerebbe. Non trattenete gli animali stringendoli, li danneggereste. Non tenete rane e rospi in sacchetti di plastica, anche se pieni d’acqua, perché non sono permeabili all’aria.

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Appendici


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Le leggi Dura Lex sed Lex Negli ultimi venti anni circa, a partire dalla “storica” legge 281/1991 che ha sancito la tutela delle colonie di gatti liberi e il diritto alla vita dei cani senza famiglia (che in precedenza, una volta accalappiati, venivano soppressi dopo pochi giorni) sono state approvate in Italia svariate leggi che mirano a tutelare (parzialmente) gli animali, con un’attenzione particolare per quelli domestici. Tutte, dalla già citata 281/1991 alla più recente 189/2004, sono perfettibili e/o criticabili; tuttavia tutte hanno tenuto conto della crescente sensibilità dell’opinione pubblica per la tutela degli animali e della pressione del sempre più esteso movimento ecoanimalista. Di seguito elenchiamo alcune delle più importanti leggi approvate negli ultimi anni, limitandoci ovviamente alla normativa nazionale e tralasciando leggi regionali e il crescente numero di regolamenti comunali “per la tutela degli animali e una corretta convivenza con la collettività umana” che molti enti locali hanno redatto. Legge n. 281 del 14 agosto 1991 “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo” Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 116 “Attuazione della direttiva n. 86/609 Cee in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici” Legge n. 150 del 7 febbraio1992 “Disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via d’estinzione” (il testo è stato poi integrato dall’art. 4 della legge 9 dicembre 1998 n. 426 “Nuovi interventi in campo ambientale”) Legge n. 157 del 11 febbraio 1992 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” 254


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Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 532 “Attuazione della direttiva n. 91/628 Cee relativa alla protezione degli animali durante il trasporto” Legge n. 413 del 12 ottobre1993 “Norme sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale” Legge n. 473 del 22 novembre 1993 “Nuove norme contro il maltrattamento degli animali” (oggi superata dalla legge 189/2004) Decreto Legislativo 1 settembre 1998, n. 331 “Attuazione della direttiva 97/2/CE relativa alla protezione dei vitelli” Decreto Legislativo 20 ottobre 1998, n. 388 “Attuazione della direttiva 95/29/CE in materia di protezione degli animali durante il trasporto” (modifica e integra il precedente Decreto Legislativo n. 532/92) Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 146 “Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti” (prevede la riconversione degli allevamenti di animali da pelliccia dal 1° gennaio 2008 e, di fatto, la loro scomparsa) Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 275 “Riordino del sistema sanzionatorio in materia di commercio di specie animali e vegetali protette, a norma dell’art. 5 della legge 21 dicembre 1999, n. 526” Decreto Legislativo 29 luglio 2003, n. 267 “Attuazione delle direttive 1999/74/CE e 2002/4/CE, per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento” (aggiornato da legge 25 gennaio 2006, n. 29 e dal Decreto Ministeriale Salute 20 aprile 2006)

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Decreto Legislativo 20 febbraio 2004, n. 53 “Attuazione della direttiva n. 2001/93/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini” Legge n. 189 del 20 luglio 2004 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”

Ordinanza Ministero Salute 6 agosto 2008 concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina Ordinanza Ministero Salute 18 dicembre 2008 (e successive modifiche del marzo 2009) – Divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati Ordinanza Ministero Salute 24 marzo 2009 – Tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione di cani Ordinanza Ministero Salute 16 luglio 2009 recante misure per garantire la tutela e il benessere degli animali di affezione nei canili Le battaglie per il riconoscimento dei diritti degli animali non sono più ignorabili e neppure riconducibili a fenomeni marginali di folklore. La legislazione fornisce preziosi supporti. Utilizzare una norma giuridica è sempre un atto d’intelligenza e di buonsenso ed è l’unico strumento – assieme a una cortese insistenza e a una civile intransigenza – che talvolta permette di smuovere l’inerzia e la pigrizia degli uomini in generale e dei pubblici poteri in particolare che, molto spesso, hanno bisogno di essere spinti verso compiti che il più delle volte sono da loro stessi percepiti come marginali. Non bisogna aver paura di utilizzare gli strumenti che il nostro ordinamento giuridico mette a disposizione: denunce, esposti, diffide, petizioni, eccetera. Nessuno può imputarci nulla se si utilizzano con at256


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tenzione e precisione le norme e gli strumenti esistenti. Al massimo qualche mercante di sofferenza animale o qualche impiegato sonnolento ci guarderà male, ma ci ringrazierà lo sguardo silenzioso e dolce di un animale cui forse si riuscirà a risparmiare un piccolo o grande sopruso in più.

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Legge 14 agosto 1991 n. 281 Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo La Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge: Art. 1 Principi generali 1. Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente. Art. 2 Trattamento dei cani e di altri animali di affezione 1. Il controllo della popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite viene effettuato, tenuto conto del progresso scientifico, presso i servizi veterinari delle unità sanitarie locali. I proprietari o i detentori possono ricorrere a proprie spese agli ambulatori veterinari autorizzati delle società cinofile, delle società protettrici degli animali e di privati. 2. I cani vaganti ritrovati, catturati o comunque ricoverati presso le strutture di cui al comma 1 dell’art. 4, non possono essere soppressi. 3. I cani catturati o comunque provenienti dalle strutture di cui al comma 1 dell’art. 4, non possono essere destinati alla sperimentazione. 4. I cani vaganti catturati, regolarmente tatuati, sono restituiti al proprietario o al detentore. 5. I cani vaganti non tatuati catturati, nonché i cani ospitati presso le strutture di cui al comma 1 dell’art. 4, devono essere tatuati; se non reclamati entro il termine di sessanta giorni possono essere ceduti a privati che diano garanzie di buon trattamento profilattico contro la rabbia, l’echinococcosi e altre malattie trasmissibili. 258


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6. I cani ricoverati nelle strutture di cui al comma 1 dell’art. 4, fatto salvo quanto previsto dagli articoli 86, 87 e 91 del regolamento di polizia veterinaria approvato con decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1954, n. 320, e successive modificazioni, possono essere soppressi, in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità. 7. È vietato a chiunque maltrattare i gatti che vivono in libertà. 8. I gatti che vivono in libertà sono sterilizzati dall’autorità sanitaria competente per territorio e riammessi nel loro gruppo. 9. I gatti in libertà possono essere soppressi soltanto se gravemente malati o incurabili. 10. Gli enti e le associazioni protezionistiche possono, d’intesa con le unità sanitarie locali, avere in gestione le colonie di gatti che vivono in libertà, assicurandone la cura della salute e le condizioni di sopravvivenza. 11. Gli enti e le associazioni protezionistiche possono gestire le strutture di cui al comma 1 dell’art. 4, sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari dell’unità sanitaria locale. 12. Le strutture di cui al comma 1 dell’art. 4 possono tenere in custodia a pagamento cani di proprietà e garantiscono il servizio di pronto soccorso. Art. 3 Competenze delle regioni 1. Le regioni disciplinano con propria legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’istituzione dell’anagrafe canina presso i comuni o le unità sanitarie locali, nonché le modalità per l’iscrizione a tale anagrafe e per il rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore. 2. Le regioni provvedono a determinare, con propria legge, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per il risanamento dei canili comunali e la costruzione dei rifugi per i cani. Tali strutture devono garantire buone condizioni di vita per i cani e il rispetto delle norme igienico-sanitarie e sono sottoposte al con259


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trollo sanitario dei servizi veterinari delle unità sanitarie locali. La legge regionale determina altresì i criteri e le modalità per il riparto tra i comuni dei contributi per la realizzazione degli interventi di loro competenza. 3. Le regioni adottano, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le associazioni animaliste, protezioniste e venatorie, che operano in ambito regionale, un programma di prevenzione del randagismo. 4. Il programma di cui al comma 3 prevede interventi riguardanti: a) iniziative di informazione da svolgere anche in ambito scolastico al fine di conseguire un corretto rapporto di rispetto della vita animale e la difesa del suo habitat; b) corsi di aggiornamento o formazione per il personale delle regioni, degli enti locali e delle unità sanitarie locali addetto ai servizi di cui alla presente legge nonché per le guardie zoofile volontarie che collaborano con le unità sanitarie locali e con gli enti locali. 5. Al fine di tutelare il patrimonio zootecnico le regioni indennizzano gli imprenditori agricoli per le perdite di capi di bestiame causate da cani randagi o inselvatichiti, accertate dal servizio veterinario dell’unità sanitaria locale. 6. Per la realizzazione degli interventi di competenza regionale, le regioni possono destinare una somma non superiore al 25 per cento dei fondi assegnati alla regione dal decreto ministeriale di cui all’art. 8, comma 2. La rimanente somma è assegnata dalla regione agli enti locali a titolo di contributo per la realizzazione degli interventi di loro competenza. 7. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione ai principi contenuti nella presente legge e adottano un programma regionale per la prevenzione del randagismo, nel rispetto dei criteri di cui al presente articolo. Art. 4 Competenze dei comuni 1. I comuni, singoli o associati, e le comunità montane provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per cani, nel rispetto dei criteri stabiliti con la legge regionale e avvalendosi dei contributi destinati a tale finalità dalla regione. 260


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2. I servizi comunali e i servizi veterinari delle unità sanitarie locali si attengono, nel trattamento degli animali, alle disposizioni di cui all’art. 2. Art. 5 Sanzioni 1. Chiunque abbandona cani, gatti o qualsiasi altro animale custodito nella propria abitazione, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire un milione. 2. Chiunque omette di iscrivere il proprio cane all’anagrafe di cui al comma 1 dell’art. 3, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di lire centocinquantamila. 3. Chiunque, avendo iscritto il cane all’anagrafe di cui al comma 1 dell’art. 3, omette di sottoporlo al tatuaggio, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di lire centomila. 4. Chiunque fa commercio di cani o gatti al fine di sperimentazione, in violazione delle leggi vigenti, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire cinquemilioni a lire diecimilioni. 5. l’ammenda comminata per la contravvenzione di cui al primo comma dell’art. 727 del Codice penale è elevata nel minimo a lire cinquecentomila e nel massimo a lire tremilioni. 6. le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 confluiscono nel fondo per l’attuazione della presente legge previsto dall’art. 8. Art. 6 Imposte 1. Tutti i possessori di cani sono tenuti al pagamento di un’imposta comunale annuale di lire venticinquemila. 2 L’acquisto di un cane già assoggettato all’imposta non dà luogo a nuove imposizioni. 3. Sono esenti dall’imposta: a) i cani esclusivamente adibiti alla guida dei ciechi e alla custodia degli edifici rurali e del gregge; b) i cani appartenenti ad individui di passaggio nel comune, la cui permanenza non si protragga oltre i due mesi e che paghino già l’imposta in altri comuni; 261


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c) i cani lattanti per il periodo di tempo strettamente necessario all’allattamento e non mai superiore ai due mesi; d) i cani adibiti ai servizi dell’Esercito ed a quelli di pubblica sicurezza; e) i cani ricoverati in strutture gestite da enti o associazioni protezionistiche senza fini di lucro; f) i cani appartenenti a categorie sociali eventualmente individuate dai comuni. Art. 7 Abrogazione di norme 1. Sono abrogati gli articoli 130, 131, 132, 133, 134 e 135 del testo unico per la finanza locale approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, e successive modificazioni, e ogni disposizione incompatibile o in contrasto con la presente legge. Art. 8 Istituzione del fondo per l’attuazione della legge 1. A partire dall’esercizio finanziario 1991 è istituito presso il Ministero della sanità un fondo per l’attuazione della presente legge, la cui dotazione è determinata in lire 1 miliardo per il 1991 e in lire 2 miliardi a decorrere dal 1992. 2. Il Ministro della sanità, con proprio decreto, ripartisce annualmente tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano le disponibilità del fondo di cui al comma 1. I criteri per la ripartizione sono determinati con decreto del Ministro del tesoro, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all’art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400. Art. 9 Copertura finanziaria 1. All’onere derivante dalla presente legge, pari a lire 1 miliardo per il 1991, lire 2 miliardi per il 1992 e lire 2 miliardi per il 1993, si fa fronte mediante utilizzo dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1991-1993, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l’anno 1991 all’uopo utilizzando l’accantonamento «Prevenzione del randagismo». 262


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2. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Roma, addì 14 agosto 1991

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Legge 2004 n. 189 Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate Art. 1 (Modifiche al Codice penale) 1.Dopo il titolo IX del libro II del Codice penale è inserito il seguente: Titolo IXbis - Dei delitti contro il sentimento per gli animali. Art. 544bis - (Uccisione di animali) Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi. Art. 544ter - (Maltrattamento di animali) Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie, o strazio per gli animali ovvero attività insostenibili per le caratteristiche etologiche degli stessi o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno e con la multa da 3.000 euro a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al comma 1 deriva la morte dell’animale. Art. 544quater - (Spettacoli o manifestazioni vietati). Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 euro a 15.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al comma precedente sono commessi in relazione all’esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé od altri ovvero se ne deriva la morte. Art. 544quinquies - (Divieto di combattimenti tra animali). Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizio264


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ni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà: 1) se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate; 2) se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni; 3) se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se consenzienti. Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. Art. 544sexies - (Confisca e pene accessorie). 1. Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del Codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 544ter, 544quater e 544quinquies, è sempre ordinata la confisca dell’animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato. È altresì disposta la sospensione da tre mesi a tre anni dell’attività di trasporto, di commercio o di allevamento degli animali se la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta è pronunciata nei confronti di chi svolge le predette attività. In caso di recidiva è disposta l’interdizione dall’esercizio delle attività medesime. 2. All’art. 638 del Codice penale, dopo le parole «è punito» sono inserite le altre «salvo che il fatto costituisca più grave reato». 265


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3. L’art. 727 del Codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 727 - (Abbandono di animali). Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, o comunque produttive di gravi sofferenze». Art. 2 1. È vietato utilizzare cani (Canis familiaris) e gatti (Felis catus) per la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le stesse nel territorio nazionale. 2. La violazione delle predette disposizioni è punita con l’arresto da 3 mesi ad un anno o con l’ammenda da 5.000 a 100.000 euro. 3. Alla condanna consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui al comma 1. Art. 3 (Modifica alle disposizioni di coordinamento e transitorie del Codice penale) 1. Dopo l’art. 19bis della disposizione di coordinamento e transitorie del Codice penale sono inseriti i seguenti: «Art. 19ter - (Leggi speciali in materia di animali). Le disposizioni del titolo IX-bis del Libro II del Codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazioni scientifica sugli stessi, di attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in materia di animali. Le disposizioni del titolo IXbis del libro II del Codice penale non si applicano altresì alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate nella regione competente. Art. 19quater - (Affidamento degli animali sequestrati o confiscati).Gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro e di confisca sono affidati, ad associazioni o enti che ne facciano richiesta individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell’interno. [...]».

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1bis. Il decreto di cui all’art. 19quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del Codice penale è adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Art. 4 (Norma di coordinamento) 1. All’art. 4 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 116, al comma ottavo, le parole: «ai sensi dell’art. 727 del Codice penale» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da tre mesi ad un anno o con la multa da 3.000 euro a 15.000 euro». 2. All’art. 5 della legge 14 agosto 1991, n. 281, sopprimere il comma 5. 3. Alla legge 12 giugno 1913, n. 611, sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’art. 1 è abrogato; b) All’art. 2, lettera a), le parole: «dell’art. 491» sono sostituite con le seguenti: «di cui al titolo IXbis del libro II del Codice penale e di cui all’art. 727 del medesimo codice»; c) All’art. 8 sostituire le parole: «dell’art. 491» con le seguenti: «dell’art. 727 del Codice penale». Art. 5 (Attività formative) 1. Lo Stato e le regioni possono promuovere di intesa, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l’integrazione dei programmi didattici delle scuole e degli istituti di ogni ordine e grado, ai fini di una effettiva educazione degli alunni in materia di etologia comportamentale degli animali e del loro rispetto, anche mediante prove pratiche. Art. 6 (Vigilanza) 1. Al fine di prevenire e contrastare i reati previsti dalla presente legge, con decreto del Ministro dell’interno, sentito il Ministro delle politiche agricole e forestali e il Ministro della salute, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di coordinamento dell’attività della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, 267


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del Corpo forestale dello Stato e dei Corpi di polizia municipale e provinciale. 2. La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del Codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute. 3. Dall’attuazione del presente articolo: 1. non devono derivare nuovi o maggiori oneri per lo Stato e gli enti locali. Art. 7 (Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni) 1. Ai sensi dell’art. 91 del codice di procedura penale, le associazioni e gli enti di cui all’art. 19quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del Codice penale perseguono finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla presente legge. Art. 8 (Destinazione delle sanzioni pecuniarie) 1. Le entrate derivanti dall’applicazione delle sanzioni pecuniarie previste dalla presente legge affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate allo stato di previsione del Ministero della salute e sono da questo destinate alle associazioni di cui all’art. 6. 2. Entro il 25 novembre di ogni anno il Ministro della salute definisce il programma degli interventi per l’attuazione della presente legge e per la ripartizione delle somme di cui al comma 1. Art. 8bis La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

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www.eurogroupanimalwelfare.org Sito dell’omonimo Eurogroup for Animal Welfare www.europa.eu.int È il ricchissimo sito, anche in lingua italiana, dell’Unione europea. Vi si trova tutta la legislazione ambientale e sugli animali, vigente e in preparazione, nonché gli studi condotti dall’Unione e dalle Agenzie europee o per conto di questi www.enpa.it Sito dell’Ente Nazionale Protezione Animali, la più antica associazione protezionista italiana, nel suo nucleo originario fondata da Giuseppe Garibaldi www.fefeambiente.com Sito dedicato alle consulenze di diritto dell’ambiente e degli animali www.gaiaitalia.it Il nuovo portale dell’associazione Gaia Animali & Ambiente Onlus. Molto ricco di contenuti, campagne, consigli utili e legislazione ambientale www.infolav.org Sito della Lega Anti Vivisezione, tra delle più estese associazioni animaliste italiane www.legadelcane.org Sito della Lega Nazionale per la Difesa del Cane www.leggieanimali.it Sito specializzato nelle consulenze giuridiche legate a tutte le questioni di diritti degli animali e di problematiche attinenti alla relativa detenzione, possesso, responsabilità, sotto il profilo civile e penale. Il sito, gestito da Claudia Taccani, è collegato a Gaia

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www.ministerosalute.it/alimenti/benessere/benessere.jsp Link della Direzione Generale della sanità veterinaria e degli alimenti del Ministero della Salute www.oipaitalia.com Sito di Oipa Italia Onlus, associazione animalista che, tra gli scopi sociali, si occupa della tutela dei diritti degli animali attraverso l’azione delle guardie eco-zoofile www.reteambiente.it Ricco portale di Edizioni Ambiente di aggiornamento sulle materie e la legislazione ambientale e animale www.vigilanzambientale.it Sito delle Guardie venatorie volontarie www.wwf.it Sito nazionale del WWF Italia

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Gaia Onlus, il pianeta che vive e che legge L’Associazione Gaia Animali & Ambiente nasce nel 1995 per iniziativa di un gruppo di giornalisti, di ambientalisti, di animalisti e di imprenditori nel campo della comunicazione, tra i quali Edgar Meyer (attuale presidente), ricercatorestorico dell’ambiente e giornalista, Stefano Apuzzo, ex-parlamentare, giornalista ambientalista e scrittore, Stefano Carnazzi, scrittore e direttore editoriale di Lifegate Magazine e Lifegate Radio. L’Associazione promuove, da subito, campagne di forte impatto mediatico. Le iniziative sono prevalentemente contro l’abbandono degli animali domestici, per la difesa delle foreste pluviali, per la tutela degli animali selvatici, per lo sviluppo sostenibile, per la diffusione dei prodotti “bio”, per la salute umana. L’Associazione viene riconosciuta come Onlus – Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale e collabora con ministeri e istituzioni nazionali e locali. Dal settembre 2004 viene creato Gaia Lex, il centro di azione giuridica dell’associazione che si occupa di dare informazioni e risposte alla richiesta di assistenza legale dei cittadini sui temi dei diritti animali e della salvaguardia ambientale. La collaborazione con aziende amiche dell’ambiente e la denuncia di attività produttive devastanti per l’ecosistema rendono Gaia un’associazione attenta al mondo delle imprese e alla comunicazione. Dal 2006 Gaia è curatrice della collana editoriale intitolata “I Libri di Gaia – Ecoalfabeto” della casa editrice Stampa Alternativa, con la quale sono stati pubblicati diversi libri sulle tematiche dell’ambiente e della sostenibilità, dei diritti animali, della salute umana e della sicurezza alimentare. Tra i titoli pubblicati ricordiamo: Fido non si fida, Qua la zampa, Bimbo Bio, Homo scemens, Dalla luna alla terra, Quattrosberle in padella, Foglie di Fico, Farmakiller, EcoLogo, Cosmesi naturale e pratica, Le Ecoconserve di Geltrude, Ecoalfabeto, United business of Benetton, Senza trucco, La città del Sole, Bici ribelle. Gaia Animali & Ambiente Onlus è in Corso Garibaldi 11 a Milano (tel/fax 02.86463111 – mail: segreteria.gaia@fastwebnet.it), con sedi decentrate in diverse città italiane, in Congo (R.D.) e in Gabon. www.gaiaitalia.it


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Gaia Lex, centro di azione giuridica per i diritti animali e l’ambiente A settembre 2004 è nata GAIA LEX, centro di azione giuridica per gli animali e l’ambiente di Gaia Animali & Ambiente Onlus, che si occupa di intraprendere ogni iniziativa legale opportuna in favore degli animali e dell’ambiente. GAIA LEX nasce per dare una risposta alla richiesta di assistenza legale da parte di cittadini, associazioni e altri soggetti sulle tematiche ambientali nonché sulla difesa e tutela degli animali; i suoi scopi principali sono quelli di garantire ai cittadini e alle associazioni consulenza, assistenza e supporto concreto in materia di tutela dell’ambiente e degli animali, al fine di assicurare un intervento in difesa degli interessi lesi. GAIA LEX si avvale di giovani avvocati e di un coordinatore il cui compito è quello di assicurare il miglior funzionamento del centro attraverso il coordinamento dei giuristi e degli esperti di diritto aderenti a GAIA LEX, adottando tutte le iniziative utili e organizzando eventi con professionisti del settore. GAIA LEX si rivolge anche alle istituzioni per instaurare una collaborazione volta alla produzione e all’applicazione delle norme necessarie a tutelare i diritti dell’ambiente e degli animali che promuovano la coscienza ambientalista e animalista, al fine di pervenire a soluzioni per migliorare l’ambiente stesso. GAIA LEX ha sede legale presso Gaia Animali & Ambiente Onlus, Corso Garibaldi, 11 - 20121 Milano. La mail è: gaialex@fastwebnet.it – segreteria@fastwebnet.it Lo “sportello giuridico” è aperto il mercoledì pomeriggio dalle 15,00 alle 18,30: i legali dell’associazione sono anche disponibili ad incontri “fuori orario”, in caso di necessità dell’utente e previo accordo tra le parti. Inoltre il Centro di Azione Giuridica di Gaia Lex, operando in tutta Italia, esercita le relative attività anche mediante contatto telefonico e on line, a seconda delle situazioni e possibilità.

Indirizzi utili Gaia Animali & Ambiente - Gaia Lex / Ufficio legale C.so Garibaldi 11 – tel. 02.86463111 – www.gaiaitalia.it


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(Lombardia) Avv. Claudia Taccani – c.taccani@gmail.com Via Correggio 22 – 20100 Milano tel/fax 02.86463111 / 02.36709250 Studio Marelli-Maniscalco Via Manara 15 – 20100 Milano - tel. 02.54116060 (Piemonte) Avv. Stefania Ignelzi – ignelzi@studiolegaleignelzi.it Località Vigino snc – 28845 Calasca Castiglione (VB) tel. 0331.260213 – fax 0324.340216 (Veneto) Avv. Ferdinando Perugini – avv@fperugini.it Via Europa 19 – 35010 Vigodarzere (Pd) – tel. 049.8874010 (Liguria) Avv. Riccardo Lertora – avv.riccardolertora@libero.it Via G. D’annunzio 2 int 45 Torre sud -16121 Genova tel/fax 010.4075323 (Marche) Dott.ssa Francesca Testella – studioanimalieambiente@gmail.com Largo Conti 18 - 63014 Montegranaro (Fm) tel. 0734.242447 – tel/fax 0734.890969


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Indice Premessa dell’On. Francesca Martini 5 Introduzione di Claudia Taccani ed Edgar Meyer 10 Un po’ di storia 13 STORIE 17 Non le paga gli alimenti e lei gli rapisce il cane. Nella lite tra separati ci va di mezzo il pechinese 18 O mi paghi o ti ammazzo il gatto 22 Non paga l’affitto: padrona di casa le sequestra canarini, coniglio e gatto 25 Assolti i proprietari di quattro cani che disturbavano i vicini 29 Ascensore vietato al quattrozampe extralarge 32 Liti bestiali in condominio 35 La classifica dei combina-guai 38 Non si può correre in macchina per salvare un pet 43 Gatti e condominio 45 Muffy: scomparsa e ritrovata dopo nove anni 51 In carcere per aver ucciso un cane. Prima volta in Italia 55 Dilan e la guerra dei Roses 62 La coppia che scoppia 65 Fido muore in pensione. Risarcito il danno affettivo 67 Dimenticato sul terrazzo: a processo il proprietario 71 Curare il cane come un bambino 75 Denunciata per abbandono 78 Dati allarmanti 78 Dobi, il dobermann abbandonato come un... cane 80 Picchia il suo cane, seimila euro di multa 86 Il ministro e il cane. Chi dei due il privilegiato? 91


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Uccide cani che disturbano gregge: un anno di galera 96 Brina, la cagnetta senza volto. Grazie a un fucile 100 Lascia in eredità la villa, ma il parroco fa sopprimere i cani 103 Spiaggia off limits. Fioccano le multe 108 Lascia l’husky in auto parcheggiata al sole. Turista denunciato a Porto Rotondo 111 Loro al museo e il cane in macchina a 49 gradi 111 Gli astici piangono? 116 Coppia condannata per aver accecato e mutilato cardellini 120 Cibo ai colombi nel giardino di casa: multata 124 Non si distruggono i nidi di rondine 129 Combattimenti. Brutto inizio d’anno per due giovani malviventi (e i loro pitbull) 135 Poveri cavalli e poveri deficienti: le corse clandestine 139 Cavallo dopato vince la corsa, in tre davanti al giudice 143 Bradipi ed esotici per ispirarsi: denunciato giallista 147 Lupo ucciso da laccio-trappola. Denuncia del Parco 155 Forestale sequestra trecento pellicce di procione “made in China” 160 ...A DOMANDA RISPONDE 165 L’husky che attacca sempre i gatti 166 Coniglietto in palio con la tombola. Cosa potevo fare? 168 Aragoste con chele legate. È reato? 172 Le barriere per i gatti e il condominio arcigno 174 Il cucciolo (dell’est?) comprato e poi, purtroppo, morto 177 Cagnolina affidata a dogsitter. Fuggita e investita 181 La volpe addomesticata – detenzione di animali pericolosi 183 Il beagle aggredito e la proprietaria pure! – aggressione di cane a cane 187 Due contro uno – aggressione cani a cane 195 I gatti liberi non si cacciano! 198 Ascensore! Sì grazie 201


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I veterinari e il micio verso il ponte dell’arcobaleno 204 Zuffa nell’area cani 215 I danni dei cani – i quattrozampe che fanno cadere la nonna 221 Il gatto scomparso – temporanea custodia e appropriazione indebita 224 Viaggiare in auto 227 Mutilazioni e correzioni estetiche 229 Per chi suona la campana 231 FAQ ...PER NON FINIRE IN TRIBUNALE 233 Anagrafe canina 234 Documenti indispensabili. Quali sono? 237 Il passaporto 238 Animali e condominio 240 Accesso a pubblici esercizi e uffici 243 Responsabilità civile 244 Vendita di animali 246 Pensione per animali 247 Separazione e divorzio 248 Pesci in casa 249 Pesci negli esercizi commerciali 250 Se incontro un rettile 251 APPENDICI 253 Le leggi 254 Bibliografia 270 Webliografia 280 Gaia Onlus, il pianeta che vive e che legge 283 Gaia Lex, centro di azione giuridica per i diritti animali e l’ambiente 284


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