Mensile a tiratura regionale Anno 6 - n. 10 dicembre 2011 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta Free Press
Tonino Molinari:
Stadio Romagnoli
Mercatini di Natale
aspetto una sentenza da 20 anni
tra storia, aneddoti e ricordi
conviene copiare per uscire dal ridicolo
s o mmari o In questo numero
Editoriali Piazza salotto di Adalberto Cufari
pag. 5 Chieffo
Di Sandro
Controcanto di Sergio Genovese
Camera con vista
Allegato
Registrazione al Tribunale di Campobasso n°3/08 del 21/03/2008
pag. 7
Scasse
La nuova giunta regionale
pag. 6
di Antonio Campa
Fusco
Velardi
Vitagliano
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Terminal ma ne valeva la pena?
DIRETTORE EDITORIALE
Gennaro Ventresca DIRETTORE RESPONSABILE
Angelo Santagostino A.I. COMMUNICATION SEDE LEGALE via Gorizia, 42 86100 Campobasso Tel. 0874.481034 - Fax 0874.494752 E-mail: Redazione
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STAMPA: A.I. Communication Sessano del Molise (IS)
Mast’ Mario
Hanno collaborato
Adalberto Cufari Antonio Campa Sergio Genovese Gegè Cerulli Daniela Martelli Domenico Fratianni Bernardo Donati Walter Cherubini Eugenio Percossi Progetto grafico
Maria Assunta Tullo
Minichetti
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Mait
di Gennaro Ventresca
C’è poco da festeggiare
Il personaggio Luigi Putalivo
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asserra
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Natale in casa Capone
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aitre Eden campione d’Italia
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L’EDITORIALE
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atale è il luogo delle piccole ossessioni: il presepe, l’albero, i primi fiocchi di neve, il camino acceso, la tombola, il mercante in fiera, i regali, dell’ennesimo che puntuale ritorna. Nel mondo della politica in genere si registra una tregua. Ma quest’anno pare che tiri una brutta aria e che in lungo e largo imperversi la rassegnazione. Sino all’altro ieri si è speso più di quanto si poteva: e non poteva durare. Perciò ora tutti predicano a favore dei risparmi, attraverso i tagli. Il Molise è piombo a danaro e bussa a quattrini e a posti di lavoro. O, perlomeno, pretende di non perdere quelli che già ha. Per quel che riguarda i giovani la situazione è sempre più grave, mentre dall’Università, con scadenze più ravvicinate, ci informano che gli iscritti aumentano. Ma dimenticano di spiegarci in che modo i nostri ragazzi riusciranno a spendere i loro titoli. Nella grammatica della politica hanno trovato da troppo tempo, seppur con soverchi ingiustificati sospetti, verbi ausiliari: programmare, progettare, gestire, comunicare, interagire, coinvolgere, confrontarsi, evolversi. Sono il refrain di un modo consapevole di porgersi, rispetto alla complessità dei tempi e del sistema. Figure e profili impensabili si stanno facendo largo nel tentativo di rendere equilibrato il rapporto tra cuore e cervello. La gente attende risposte concrete, è stanca di sentirsi inondare di parole. Ha bisogno di fatti, per riguadagnare fiducia. E, soprattutto, i giovani aspettano il loro momento per entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro. E formarsi una famiglia. Mi chiedo come faccia una giovane coppia a sposarsi o a convivere senza certezze. Quelle che coraggiosamente ci hanno provato sono costrette a fare autentici salti mortali per andare avanti: l’affitto, le bollette, la spesa, la benzina che costa ogni giorno di più. Con tanto precariato qualcuno si chiede il perché le culle restino vuote. Come si fa a riempirle con l’aria che tira? Ci aspetta un Natale in tono dimesso, ammettiamolo. Abbiamo poco da festeggiare, eppure non intendiamo arrenderci. Già fioccano le prenotazioni per il veglione di fine anno: non c’è nulla di più irrinunciabile del superfluo. Prima o poi tornerà la bella stagione della nostra vita, per rilanciare il commercio, la produzione, le attività professionali e artigianali. E anche la manovalanza riavrà il suo appeal. Non bisogna arrendersi, anche se in tanti continuano a interpretare la parte del pessimismo, che va un po’ di moda. Allo stato dell’arte ci sono uffici pieni e campagne svuotate, senza servizi né per le abbandonate zone rurali né per le impreparate realtà cittadine. Provate ad affacciarvi in una bottega di un falegname o di un fabbro e cercate di individuare un solo apprendista. Non esiste un calzolaio di nuova generazione. Ognuno si avvia verso gli studi, per aspirare a un avvenire migliore, attraverso una vita linda e pinta, con le mani lisce e la faccia sempre rasata. Provo ad andare controcorrente chiedendo alle istituzioni di mettere uno sbarramento alle facoltà universitarie, attraverso l’introduzione del numero chiuso. E’ giunto il momento di cambiare tendenza concedendo il pass solo agli studenti più portati e meritevoli. Che senso ha far laureare migliaia di persone che impiegano anche il doppio del corso di studi se poi il mercato del lavoro non sa che farsene? Gli altri giovaninessuno si offenda- si diano al terziario. Solo in questo modo potremo riappropriarci di un Molise che, nostro malgrado, non c’è più.
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di Ignazio Annunziata
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iente di personale con i dirigenti regionali. Ci mancherebbe altro. Ma qualche cosa bisogna pur scriverla sul loro conto. Così, tanto per far capire alla gente chi sono e anche quanti soldi guadagnano. Senza sottilizzare sono una settantina e sono dislocati di qua e di là, dalle presidenze sino agli assessorati. Economicamente sono tra i meglio pagati del Molise,portando a casa uno stipendio tabellare di 43mila euro annuo, a cui bisogna sommare la retribuzione di posizione che si stima intorno a 37mila euro e, per chiudere la contabilità, è il caso di aggiungere altri 24mila euro, come retribuzione legata al risultato. Una retribuzione che si raggiunge comunque, visto che chi è chiamato a valutare il lavoro dei dirigenti, storicamente, ne ha sempre apprezzato l’operato. Così, tanto per stare alla contabilità, è il caso anche di riportare cosa si vedono accreditare sul conto i tre direttori generali. Ognuno si sente gratificato con circa 175mila euro, frutto di questo elementare conteggio: 43mila euro come stipendio tabellare, 110 come posizione e 23 come risultato. Niente male, anche se stiamo parlando di compensi lordi. Di recente, malgrado tali introiti, i dirigenti regionali, attraverso le loro sigle sindacali hanno trovato il modo di protestare all’indirizzo di Piero Notarangelo, direttore che ha preferito dare la precedenza al pagamento delle imprese che boccheggiano, mettendo in seconda riga i già agiati colleghi.
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Si è debordato: i sindacati hanno scritto su un comunicato, di un comportamento deamicisiano, mostrando ancora una volta lo spirito corporativo. Gli stessi sindacati non hanno gradito che la notizia uscisse dalle stanze del Palazzo: l’ha pubblicata solo La Gazzetta del Molise, mentre le altre testate chissà per quale ragione hanno preferito farsi scivolare la notizia di dosso. Va ricordato che i dirigenti regionali già altre volte sono finiti sui fogli di giornale. Come quando, assieme ad altri colleghi regionali, si sono visti disporre un comodo scivolo per andare in pensione, attraverso una munifica rottamazione. Che è stata contabilizzata in una sommetta, quasi pari al trattamento di fine rapporto. Anche in quella occasione ci sono stati risentimenti e anche qualche sterile protesta. Con questo clima di tagli e di pianti grechi abbiamo voluto far sapere alla gente che non tutti piangono. Con certi stipendi pagare l’Ici non è poi un gran sacrificio, né si rinuncia a una gita fuori porta solo perché il carburante è arrivato a costare come non mai. Va anche detto che alcuni esponenti politici si sono espressi con asprezza nei confronti dei dirigenti regionali, affermando che gli stessi guadagnano troppo per ciò che fanno e che spesso dipende proprio dalla loro “melina”il mal funzionamento dell’amministrazione.
di Adalberto Cufari
Piazza salotto
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Cambiare tutto perché non cambi niente
a Regione, attraverso l’assetto organizzativo e l’esercizio delle funzioni dirigenziali (e non solo) si propone di attivare un processo di accrescimento dell’efficienza del sistema amministrativo; di stabilire le condizioni per l’economicità, la speditezza e l’incisività dei servizi; di razionalizzare la spesa per il personale e per il funzionamento dell’amministrazione; di promuovere una cultura burocratica fondata sull’autonomia responsabile dei pubblici dipendenti e sulla preminenza dei diritti e delle esigenze dei cittadini e di integrare la disciplina del pubblico impiego con quella del lavoro privato. Inoltre, l’organizzazione regionale dice di attenersi alla programmazione dell’attività legislativa; alla flessibilità, anche nella gestione delle risorse umane; al controllo dei risultati e alla separazione di funzioni e responsabilità tra organi istituzionali e dirigenza, nonché alla parità e alle pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro e per il trattamento sul lavoro. Belle parole e ottimi propositi! Vorremmo crederci, ma la storia ultraquarantennale dell’ente, le varie riorganizzazioni poste in atto, dicono tutt’altra cosa. Dicono che l’incidenza della politica ha prevalso sempre su tutto, che le gratificazioni concesse al personale sono frutto prevalentemente del clientelismo, che il controllo dei risultati non è mai stato effettuato nonostante fosse un obbligo. Per cui tutti i provvedimenti legislativi e normativi si sono ammantati di demagogia e lasciano inalterato il sospetto che siamo di fronte all’ennesima planimetria di un disegno di potere da esercitare ancora una volta attraverso favoritismi e discrezionalità, soprattutto nella parte in cui viene trattata la materia riguardante la dirigenza, che continua ad essere pletorica (nonostante le cure dimagranti) e, soprattutto, sopravvalutata. Altro che razionalizzazione della spesa per il personale e del funzionamento dell’amministrazione! L’organizzazione strutturale, per quanto si appelli alla razionalità (nei principi), nella sostanza soffre sempre di elefantiasi. Con la legge 10 del 23 marzo 2010 la
Regione s’è dato un assetto meglio registrato nei meccanismi funzionali: un direttore generale, un segretario generale, otto direttori d’area e direttori di servizio ad libitum. Il cantiere però è rimasto aperto e la direzione generale, su incarico del governo regionale, ha in fase di conclusione una nuova proposta d’assetto. Dal che deduciamo che la parte politica avrà di che occuparsi in questo nuovo allestimento piramidale di funzioni e di responsabilità. Con piena legittimità, se si tiene conto che nella legge 10 è stato sancito che la costituzione e la soppressione delle strutture organizzative, nonché la definizione delle rispettive competenze sono stabilite dalla giunta e dall’ufficio di presidenza del Consiglio regionale, fatta eccezione per il servizio di Gabinetto del presidente della Regione e per gli affari istituzionali; per il servizio di segreteria della giunta regionale; per il servizio di avvocatura regionale, affari legislativi e giuridici e rapporti istituzionali; per il servizio di protezione civile e per il servizio delle partecipa-
zioni regionali che sono strutture speciali della giunta regionale. Questo delle strutture speciali, ad esempio, è un campo particolarmente fertile per manovre clientelari, per promozioni, per assunzioni, per retrocessioni, per vantaggi economici e carriere. L’abilità del legislatore regionale (di maggioranza e di minoranza) s’è sempre racchiusa in questo escamotage, nel saper creare cioè gli ambiti di manovra entro cui agire a seconda delle circostanze (storiche) e delle convenienze (politiche). Lo ha sempre fatto e continuerà a farlo. Ragion per cui anche questo nuovo modello che sta per essere varato su proposta della direzione generale si lascia ancora una volta accreditare di scarsa incidenza pratica e di notevole sostanza clientelare. Fintanto gli incarichi dirigenziali, la strutturazione dei servizi e degli uffici deve corrispondere alla “utilità” del personale (a danno dell’utilità del cittadino) e al gradimento del politico di riferimento, sarà oggettivamente dura uscire dal tunnel.
La storia si ripete: pronte nuove norme in materia di organizzazione dell’amministrazione regionale e del personale
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di Sergio Genovese
Controcanto
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n un periodo in cui, finalmente, si fa strada una nuova coscienza sociale sui privilegi scandalosi di cui ha beneficiato e al momento beneficia la classe politica, anche il mondo dello sport sembra essersi dato una scadenza imminente per stringere la cinghia. Dopo la bella epoque della schedina che regalava miliardi anche alle Federazioni meno rappresentate, è tempo di fare conti e bilanci senza più artifici. Nei periodi d’oro è verosimile ricordare che, con una certa frequenza, mariuoli e mezze calzette, sono stati trovati con le mani dentro la marmellata visto i soldi che giravano. E’ successo anche dalle nostre parti e nessuno se lo ricorda più figuriamoci se ci potevamo aspettare l’intervento della Magistratura. Ma gli episodi non erano circoscritti e non riguardavano solo le persone più o meno individuate. Ciò nonostante, saremmo pronti al perdono e all’oblio se quei protagonisti oggi non si atteggiassero come se non fosse successo nulla. Oltre ai colonnelli di alto bordo e quelli un po’ più periferici, ci sono sempre stati nel sottobosco organizzativo dei vari presidi, eserciti di luogotenenti che pur sbandierando il proprio regime di volontariato, a fine mese riuscivano e riescono a mettersi nelle tasche i soldi per le sigarette, per la benzina e per la pizza del sabato sera. Sono quelli più apprezzati che, si dice, vogliono bene allo sport, ma non è proprio così perché manca la riprova di vederli all’opera senza alcun compenso. Ora siamo ad un punto di non ritorno. C’è il rischio fondato però che a rimet-
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La casta dei dirigenti sportivi terci siano le strutture operative meno forti politicamente, poiché quando si deve scontentare qualcuno si colpisce il più debole come è successo nella Federcalcio allorquando si è distrutto il settore giovanile e scolastico passato alle dipendenze della Lega Nazionale Dilettanti. Il Coni ha deciso di tagliare tutti i Comitati Provinciali. Non credo sia un bene per lo sport. Ma ha tagliato notevolmente anche tutte le rimesse alle varie Federazioni, insomma sarà un contesto decisamente più povero. Ecco perché la casta dei dirigenti sportivi è in pericolo perché di casta si tratta. Vediamo che succede dalle nostre parti. Il lettore provi a dare uno sguardo alle persone che a livello regionale e provinciale rappresentano lo sport molisano. La maggior parte è cristallizzata su certe poltrone anche da un ventennio. Si dirà: si celebrano regolari elezioni. Formalmente è così, nella sostanza non proprio. A metà degli anni novanta mi cimentai in una competizione del genere e ne rimasi disgustato per i profili che la connotarono. L’altro competitor, pensate, dopo quasi diciassette anni, è ancora in sella. La casta quando si insedia non entra nel ragionevole atteggiamento che dopo un po’ di tempo bisognerebbe, gioco-forza, passare la mano, non fosse altro per dare nuovo slancio all’Ente in cui operano. Al Comitato Provinciale del
Coni di Isernia da diversi anni è Presidente il Senatore Di Giacomo. L’esempio è iconografico per quello che intendo dire. A naso si può pensare che con tutti gli impegni che ha il Senatore gli rimanga del tempo per fare il Presidente a tutto tondo? Onestamente, non penso. Inoltre se dovesse succedere che qualcuno, timidamente, a qualsiasi livello, si proponesse in alternativa, allora la casta, chiudendosi a riccio, attiva tutta una serie di beceri comportamenti volti a screditare gli arditi pretendenti. Nes-
suno può permettersi di coltivare certe ambizioni. Su quelle poltrone sembra vigere la legge del “vita natural durante” come nelle migliori caste. Per concludere, si avverte l’urgenza di una stagione diversa per lo sport nazionale e regionale. Da tempo, troppo tempo, Petrucci, Carraro, Pagnozzi, Pescante, Abete e via dicendo, sono sulla scena. Anche da noi, senza ombra di dubbio, piccoli (o grandi) dirigenti ristagnano. Bisogna rinnovare l’ aria. E’ proprio lo sport, quello vero, che ce lo insegna.
di Antonio Campa
Camera con vista
Stanno tutti bene I
l mite autunno è stato prodigo di notizie per i media a caccia di argomenti interessanti, dovendo tribolare con un’utenza scarsa come acquirente ma fedele e tenace nella lettura e nella visione. La cronaca è quella che meglio è trattata, gli addetti ai lavori sono puntuali nell’informare le redazioni, con veline e sussurri precisi, come dimostra la finta casualità delle telecamere e dei fotografi presenti a tutte le ore nei blitz clamorosi. Grazie ai dolorosi accadimenti trattati con puntiglio negli ultimi giorni, l’opinione pubblica nel capoluogo ha appreso cifre preoccupanti sul numero dei tossici schedati, che supera le settecento unità. E’ sconfortante costatare come dati che dovrebbero essere acquisiti da decenni, determinando la nascita di una coscienza civile collettiva forte sulla questione, quasi una militanza in ambito familiare, siano invece accolti con stupore, come accadeva un tempo quando una ragazza accusava all’improvviso forti dolori di pancia e il dottore, chiamato in gran fretta, serafico e severo sentenziava “Deve partorire!”. Davvero nessuno se n’era accorto? A proposito dei paraocchi sulla droga, Padre Lino Iacobucci commenta: “Non è vero che i familiari non se ne accorgono, non vogliono accorgersene, perché la presa d’atto comporta responsabilità gravi e un mutamento, un vero ripensamento del proprio modo di vivere”. Quando Padre Lino si avvicinò al mondo delle tossicodipendenze, si accorse che il Molise non aveva statistiche sul feno-
meno, forse per perbenismo e sottovalutazione del problema. Capitò anche a Don Ciotti a Torino. I segnali tuttavia c’erano e forti. “Quell’erba ci cresceva tutta intorno …”, cantava Guccini nel suo Eskimo già alla fine degli anni settanta. In quel periodo si registrò il primo decesso per overdose a Campobasso, a rimetterci la vita fu un ragazzone alto e smilzo, compìto e di buona famiglia, che mai uno avrebbe immaginato fosse dedito al vizio. I compagni lo lasciarono sulla soglia del vecchio Ospedale, l’unico all’epoca, in un giorno tra Natale e Capodanno. Erano i tempi dell’eroina superstar, esaltata da geni maledetti come Jimi Hendrix e Janis Joplin, talenti immensi distrutti entrambi a ventisette anni da un’overdose. Confida Padre Lino che una volta un eroinomane lo prendevi come straccio nel secchio della spazzatura e lo riportavi a
vita normale. Il problema attuale del fenomeno è il diffondersi delle droghe sintetiche ed eccitanti e dei cocktail stupefacenti, a volte fatti in casa. Bombe che danno la sensazione non solo di potenziare e migliorare il proprio stato, ma di poter essere dominate senza problemi da chi le assume. “Domani smetto” cantano gli articolo 21, dichiaratamente liberisti sul tema. “Domani smetto” ripetono alcolizzati, obesi, fumatori, tossici, giocatori d’azzardo. Le droghe più in voga in questo periodo, sono le peggiori, perché il cervello respinge come un muro di gomma gli stimoli a liberarsi dal giogo. Prendete la cocaina. Il recupero è reso difficile perfino dal tempo che fa. Se per esempio nevica, l’associazione d’idee con la parola gergale che identifica la regina delle anfetamine, basta a volte a provocare una crisi di astinenza.
Marcello Mastroianni nella locandina spagnola del film di Tornatore
Il professor Ferdinando Nicoletti, farmacologo alla Sapienza di Roma e ricercatore del Neuromed, ha studiato quelle che sono le basi cellulari delle tossicodipendenze, dimostrando che le cellule che creeranno nuovi neuroni, presenti in numero limitato in un settore specifico del cervello, sono attaccate dalle droghe, riducendo la già limitata possibilità di sostituire le cellule nervose. Ciò significa che la locuzione “bruciarsi il cervello” non è solo un modo di dire. C’è un altro concetto da chiarire, spesso censurato. L’assunzione di droga comporta un benessere effimero, un’estasi labile e vana per il consumatore. I guai, sotto forma di dipendenza arrivano poco dopo, innescando un circolo vizioso. Se vuoi riprovare quelle sensazioni, devi venderti l’anima. E’ la tragedia del Faust, che si trasforma in drammatica routine. Ciò nonostante, noi che non l’abbiamo mai fatto continuiamo a vivere nell’ipocrisia che i nostri figli sono di un’altra razza, e se qualcuno ci casca, è per colpa delle cattive amicizie o dell’ambiente degradato in cui vive. Tra mille raccomandazioni di non accettare caramelle da sconosciuti. Frammenti di verità, buoni per sopire la coscienza. Come Mastroianni prima e De Niro poi nel remake del film citato nel titolo. Come Lucariello Eduardo in Natale in casa Cupiello. Non è vero che stanno tutti bene, ne siamo consapevoli. Una città dove si contano settecento tossici ufficiali, cioè almeno il triplo come dato reale, sta malissimo. Prenderne atto è arduo, meglio affidarsi al fatidico e comodo “Tanto a me non capiterà mai”.
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di Arnaldo Brunale
C’era una volta a Campobasso… ’era una volta a Campobasso… Mi verrebbe da dire, da campobassano “assélute”, “cé stéa ‘na vóta a Campuāsce”, il Natale. Vedendo la nostra città in questi giorni, priva di quel fervore che l’ha sempre caratterizzata durante le feste natalizie, mi da una stretta al cuore. Girare per le strade di Campobasso, prive di luminarie e di addobbi natalizi incute una grande tristezza in chi, come me, è un malato inguaribile della sua città. Sicuramente sarà anche colpa dei tempi difficili che stiamo vivendo, ma credo che, con un po’ di buona volontà da parte dell’Amministrazione Comunale e degli stessi commercianti, si possa offrire un po’ di allegria all’intera comunità. Di fronte a questa inerzia mi verrebbe spontaneo dare ragione a qualche nostalgico che, vivendo le difficoltà quotidiane dovute alla crisi in atto, si rifugia nella classica affermazione che sa di resa “zé stéa meglie quanne zé stéa peggie”, si stava meglio quando si stava peggio, riferendosi a quando i tempi erano più difficili degli attuali perché si usciva da un conflitto mondiale devastante e gli stenti erano all’ordine del giorno. C’era la fame che costringeva anche le famiglie più abbienti a razionare quello che avevano, temendo tempi ancora peggiori. Non c’erano gli sprechi di oggi giorno mancando molto di quello che i nostri figli hanno oggi, ma si era felici perché ci si accontentava del giusto. Solo durante le festività natalizie e quelle pasquali, anche le famiglie più umili si concedevano il “ “lusso” di un pranzare più ricco, per avvertire la magica atmosfera delle feste. In questo periodo, la memoria mi riporta alla mente l’echeggiare per le strade del suono delle zampogne e delle ciaramelle, il forte odore degli agrumi ed il caldo profumo delle olive nere “curate” con semi di finocchio selvatico, sale e bucce d’arance. Era solo l’inizio della settimana che preludeva al Natale. Ogni casa aveva il suo presepe. Non c’era l’albero di Natale. Le ristrettezze economiche facevano sì che l’arredo del presepe venisse fatto con cartoni di risulta colorati, mentre il verde delle colline e dei prati si realizzava con la
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“carpia”, il muschio, raccolto sui Monti o dietro lo “scrémone”, il versante sudovest della collina che dava su S. Antonio Abate. Solo le famiglie che se lo potevano permettere acquistavano i “pasturiélle”, pastorelli, da Minichetti, famoso artigiano del posto, altrimenti si costruivano con la mollica di pane impastata con sale ed acqua. Le strade del centro storico, già coperte dalla neve, si riempivano di allegri profumi accattivanti, testimonianza dei preparativi di una cucina semplice, ma genuina. Le “scurpelle”, le crespelle, fritte era uno degli alimenti che non doveva mancare mai sulle tavole dei campobassani. Se ne preparavano due tipi: uno con le alici, l’altro con i cavoli. Le “cauciune”, i calzoni, era il tipico panzerotto natalizio che sostituiva i dolci industriali, farcito con pasta di ceci mescolato con polvere di cacao e bucce d’arance. Anche il torrone si faceva in casa con mandorle, miele, latte e tanta fatica di gomito. Poi, c’erano i “pépatiélle”, gli impepatelli, simili ai cantucci senesi, ma più gustosi forse perché casarecci. Il cenone della vigilia comprendeva le linguine al sugo di baccalà, il baccalà cucinato in tutte le salse: con le patate alla coppa, con i finocchi, in bianco, indorato e fritto, con la cipolla. Il capitone era un lusso che pochi potevano permettersi, ma che, per l’occasione, anche le famiglie più povere riuscivano a comprare. Era la cosiddetta “dévuzione”, rispetto, che, in quanto tale,
andava rispettata. La frutta secca ed i dolci di cui accennavo prima chiudevano la magia della vigilia. Dopo si andava tutti alla messa di mezzanotte per attendere la nascita di nostro Signore. Il giorno di Natale si esagerava per quelle che erano le finanze di ogni famiglia. Mettersi a tavola era una festa molto attesa, perché era l’occasione di gustare cibi che ci si poteva permettere solo una o due volte all’anno. La sagna in brodo di gallina era il primo piatto tradizionale campobassano, per secondo veniva servito il cappone farcito con contorni a base di prodotti locali che si acquistavano qualche giorno prima dai contadini del Fondaco della Farina, della Piazzetta Palombo o del mercato coperto. Dopo la degustazione dei dolci preparati in casa, il pranzo terminava con l’assaggio del rosolio, che le nostre nonne preparavano con meticolosa attenzione. La giornata terminava attorno al camino, dove si giocava a tombola fino a notte inoltrata. Allora non esistevano le pedine per coprire i numeri chiamati, ma solo i fagioli o i ceci. Altri tempi quelli, che un “amarcord” nostalgico, mi fa preferire a quelli di oggi. Qualcuno chioserà che il paragone è improponibile, perché oggi c’è tutto e di più, mentre ieri c’erano gli stenti e la povertà. Sarà pure vero, ma ora, che si è più ricchi, mancano il sapore delle cose genuine, la felicità e lo spirito di iniziativa che avevano le famiglie di una volta.
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Le trovate di Supermario U
n ritorno a casa. Dove è stato per trenta mesi. Facendosi rispettare. Poi ha lasciato le chiavi a Michele Picciano che s’è comportato benone, dando anche un po’ di tono agli uffici di via 4 novembre, attraverso meritevoli lavori di ammodernamento. In verità una cosa non è piaciuta a tutti di Picciano: di raccogliere le foto dei presidenti del Consiglio, racchiuse in alcune cornici dall’aspetto un po’ severo. Antidiluviale, secondo i più severi censori. Ma è di Mario Pietracupa che abbiamo deciso di scrivere in questo spazio, ex bancario passato a vivere in un altro modo e in un altro ceto da quando ha lasciato Campobasso per trasferirsi a Venafro, dove ha trovato un nuovo amore e s’è rifatto una vita. Stando accanto alla numerosa famiglia Patriciello che l’ho ha accolto con affetto e simpatia. Pietracupa si è occupato principalmente di Neuromed, l’istituto di ricerca dei Patriciello, situato a Pozzilli, punto qualificante della sanità molisana, sia pur appartenente a un privato. Si ricordava che Pietracupa è tornato a fare il presidente del consiglio regionale. Dopo aver occupato il posto di assessore e vice presidente della giunta nell’ultimo tratto della scorsa legislatura. Il debutto del nuovo presidente è stato da manuale. Dopo aver annunciato una legislatura rivoluzionaria per incisività e celerità dell’azione amministrativa, il numero uno del Palazzo non ha perso tempo. Cominciando col chiedere la chiusura della sede di Termoli, cancellando altresì anche il ruolo di capo di gabinetto. In modo da portare sull’unghia un risparmio netto l’anno. Dando così un primo segnale visibile di come sono destinate ad andare le cose. Certo, si tratta di piccole cose, ma l’importante è aver dato il primo scossone. In modo da far capire all’opinione pubblica e agli stessi colleghi consiglieri quale dovrà essere la strada da seguire. Non ci ha messo molto qualche nostro collega a soprannominare il nuovo inquilino di Palazzo Moffa come Supermario.
Il neo presidente del Consiglio traccia un nuovo solco
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Al resto, cioè, al fotomontaggio ci hanno pensato i grafici. Così è nato quasi d’incanto un nuovo personaggio. Che si presenta con la faccia da bonaccione, ma che sotto la scorza nasconde un carattere fermo. Pronto a far rispettare le nuove regole generali, improntate sui tagli. In verità si tratta di risparmi non certo dissennati, ma pensati. Con l’intento di lanciare anche al sociale il messaggio che anche la politica sta vivendo una nuova stagione. (Al. Ta.)
Mario Pietracupa
di Gegè Cerulli
La nota
Ecco perché non si tornerà a votare A
rrivano puntuali come un fidanzato al primo appuntamento i litigi. A destra sono molti gli attapirati che non hanno gradito di restare fuori dall’esecutivo: a sinistra solo Frattura è felice del ricorso al Tar. Gli altri –mi riferisco agli eletti- anche se non lo danno a vedere, sperano che non si torni a votare. Questa mia affermazione può sembrare contradditoria. Come, si dirà: uno perde per un niente e non ha piacere di tornare al voto, con accresciute speranze di vincere? Si, ma bisogna essere rieletti. E non sarà facile, tanto per i vincitori che i vinti. Ci sono tre punti sui quali il centrosinistra, con i suoi legali, lo studio Di Pardo, sta focalizzando i ricorsi. Stando a quel che si sa ci sarebbero serie ragioni per far pensare a un ritorno perentorio alle urne. Come accadde nel 2000, anno in cui vinse il centrosinistra con Di Stasi e giusto un anno dopo si restituì la parola agli elettori che premiarono la coalizione guidata da Michele Iorio. Questa volta, però, le cose sono cambiate. Dalla prossima volta, che sia tra un anno o tra cinque, ci sarà da fare i conti con la nuova legge eletto-
rale. In verità qualcuno aveva tuonato, reclamando l’applicazione della nuova norma già alle recenti consultazioni. Ma a quanto pare s’è trovato uno spiraglio per proseguire con i vecchi criteri. Quelli nuovi –giova ricordarlo- prevedono alcuni decisi passaggi: i consiglieri da 30 diventeranno 20, i compensi verranno pressoché dimezzati e non saranno più previsti vitalizi per gli uscenti. Come dire: la politica non sarà più un redditizio mestiere, ma un modo di occuparsi della cosa pubblica. Guadagnando il giusto. Oggi un consigliere introita il 60 per cento di un deputato, i presidenti di commissione (Niro, Tamburo, Romagnuolo, De Berardo) arrivano all’85 per cento. Alla prossima occasione i compensi saranno pressoché dimezzati. E la cuccagna sarà (quasi) finita. Partendo da questi presupposti ci si chiede se veramente convenga agli eletti fare del tutto per tornare al voto. Senza dimenticare che una campagna elettorale regionale costa cifre da capogiro. Si aggira intorno ai 100mila euro, anche se i più parlano di cifre largamente più basse. Ma dicono una bugia.
Alle prossime elezioni i consiglieri diventeranno 20, i compensi dimezzati e cancellato il vitalizio
I gruppi monocellulari Ma sono proprio infrangibili. Si sono inventati anche i gruppi monocellulari. Cioè fatti da un solo soggetto. In modo da sentirsi con le mani sciolte e incassare un bel gruzzolo per sostenere il “gruppo”. Il quale gruppo, tra l’altro, ha diritto anche ad avere il portaborse che verrà retribuito con circa 2.000 euro al mese. Vale la pena ricordare che i nove gruppi monocellulari costeranno al contribuente circa un milione l’anno che poteva servire per fini più nobili. Tanto per completare la notizia ci sembra il caso di ricordare chi sono i soggetti monocellulari: Iorio (Per il Molise), Paolo Frattura (Il Molise per tutti), Vincenzo Niro (Udeur), Massimo Romano (Costruire democrazia), Michele Scasserra (Molise Civile), Filippo Monaco (Sel), Felice Di Donato (Alternativ@), Gennaro Chierchia (Psi), Salvatore Ciocca (Federazione. della sinistra).
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di Alberto Tagliaferri
Fari puntati sul fenomeno Chierchia che spostandosi nel PSI ha fatturato 1.800 voti
Tutto merito di San Gennaro? C
hierchia ha un nome napoletano che è tutto un programma, Gennaro. Qualcuno davanti al resoconto delle urne avrà pensato a un vero e proprio miracolo di San Gennaro nell’apprendere che il candidato del PSI non solo ha sbaragliato la concorrenza interna, ma si è attestato oltre i 1.800 voti. Risultato che ha del fenomenale se si pensa che il signore in questione ha fatto sempre il professore di scuola media superiore. Che, in genere, non consente di costruirsi un bacino elettorale neppure per farsi eleggere in un piccolo comune, come consigliere. Gennaro Chierchia, invece, è stato capace di fare il boom. Lasciando tutti di stucco, compagni di cordata, avversari e opinione pubblica.
Gennaro Chierchia
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Bisogna dire che il professore si è potuto giovare di un’esperienza maturata nella scorsa legislatura, in cui entrò a farne parte dopo aver mandato a casa l’avvocato Ermanno Sabatini che inizialmente lo aveva preceduto in graduatoria. Il ricorso però gli diede ragione. E si ritrovò in maggioranza, dove rimase con fare critico, avendo avuto più d’una percezione che Iorio e la sua band avessero tifato dichiaratamente per Sabatini. Così si andò a unire a Riccardo Tamburro e a Mario Pietracupa, nel piccolo lotto dell’Adc. Dove ci si aspettava una riproposizione come candidato alle ultime consultazioni. Invece no, Chierchia si è spostato a sinistra, infilandosi nel partito che fu di Bettino Craxi. Per sostenere Frattura, lo sfidante del governatore. Ai più non è apparso chiaro il motivo del suo spostamento a sinistra. Per questo sono nate diverse congetture che hanno azzardato una piccola intesa sottobanco per tenere il piede in due staffe. E’ stato detto e qualcuno lo ha anche scritto che Chierchia sia stato sostenuto da qualche vecchio amico del centrodestra che in questo modo ha pensato a sé e al collega. Ma è chiaro che queste cose non si possono provare e allora si viaggia nel campo delle ipotesi. Una cosa appare chiara che 1.800 voti, con tutti il rispetto che merita Chierchia, non sembrano tutti farina del suo sacco. Se ci si pensa bene sono gli stessi che hanno preso due formidabili produttori di voti quali Picciano e Molinaro che pure sono rimasti ai box. Il “fenomeno” Chierchia merita qualche riflessione in più. Quel che è certo che per il secondo quinquennio starà in consiglio. Dimostrando che anche senza basi elettorali solide quali sindacati e patronati, industrie e call center si può arrivare in alto. Magari rimanendo in silenzio, come ha fatto Gennaro Chierchia che avrà avuto anche l’aiuto di San Gennaro, ma ci ha messo molto di suo.
Si sono fatte varie congetture sul suo successo, arrivando a pensare all’aiuto di qualche amico del centrodestra
Giunta a 6
Diamoci da fare Ecco chi sono gli assessori regionali
Antonio Chieffo
Filoteo Di Sandro
Angela Fusco
Michele Scasserra
LAVORI PUBBLICI, ENTI LOCALI e ITALIANI NEL MONDO
POLITICHE SOCIALI e SANITA’
AGRICOLTURA
ATTIVITA’ PRODUTTIVE e TURISMO
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rima di inviare loro un cordiale e affettuoso augurio per le prossime festività natalizie ci sembra il caso di indirizzare una precisa raccomandazione: signori (e signora), per cortesia, datevi da fare. Niente “melina” e petto in fuori. Per far sentire la vostra presenza e delle istituzioni regionali al nostro sbrindellato Molise. Dai sei assessori voluti da Iorio, scelti dopo una lunga e accurata meditazione, ci aspettiamo molto. Sono dotati di una nutrita esperienza, per questo non dovrebbero fare fatica ad affrontare i temi più caldi sin dal primo approccio. Tra i sei il solo Michele Scasserra, appena eletto, non porta nella bisaccia esperienza amministrativa, ma, in compenso, ne ha da vendere come industriale e anche come presidente degli stessi industriali. Per cui si può stare tranquilli, il giovane componente dell’esecutivo farà la sua parte. Quando il governatore ha attribuito con decreto le deleghe non sono spuntate
Luigi Velardi
Gianfranco Vitagliano
TRASPORTI, AMBIENTE, POLITICHE DELLA CASA
BILANCIO, PROGRAMMAZIONE e PERSONALE
novità. Le voci che da diversi giorni erano circolate negli ambienti della politica sono state confermate. Iorio tiene per sé il Lavoro che negli ultimi anni era stato gestito, peraltro abbastanza bene, dalla Fusco che ha ottenuto una beneficiata di voti, come ricompensa. Il più titolato tra gli assessori resta Gianfranco Vitagliano sul quale Iorio ha puntato sin dal primo momento. Dieci anni fa gli attribuì la delega alla Sanità e fu un tormentone,
per i cambi annunciati nel comparto che prevedevano già a quei tempi il taglio degli ospedali e dei posti letto. Il termolese si è poi spostato alla Programmazione e Bilancio, diventando il custode della cassaforte regionale. Un peso come un macigno è stato posto sul collo di Filoteo Di Sandro che dopo essere migrato da un assessorato all’altro si ritrova nelle stanze della sanità dove c’è da sudare le sette camicie per far quadrare la difficile contabilità.
La signora Fusco, unica donna dell’esecutivo e dello stesso consiglio, finisce all’Agricoltura che era stata retta brillantemente da Cavaliere che non vi ritorna per una serie di ragioni, forse anche per certe dicerie sul giochetto del voto incrociato. Rispunta tra i big anche Antonio Chieffo a cui Iorio riaffida i lavori pubblici, sapendo di avere a che fare con un collega esperto, serio e chiaro che, dopo un periodo di “quarantena” è tornato nelle sue grazie. Il bassomolisano Luigi Velardi è rimasto in sella, confermando di essere elemento imprescindibile per dote di voti e capacità dirigenziali. Bisogna ricordare che prima di darsi alla politica è stato capo area di una importante banca che gli ha permesso di tastare il territorio. Chiude il lotto l’unico volto nuovo, Michele Scasserra, il quale arde dal desiderio di dimostrare di saperci fare. Data l’età e le riconosciute capacità non dovrebbe certamente deludere. (Al.Ta.)
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Che bella squadra
i, però: il Barcellona ha Messi e il Milan Ibra. Ma per far andare a mille una squadra così non c’è bisogno né di Mourihno né di Guardiola: va che è una bellezza anche senza mister. Queste undici stupende bellezze rasentano la perfezione: stessa altezza, stesso colore della pelle, stessi capelli e che fisico, senza un etto di surplus. Il fotografo ha realizzato un autentico capolavoro, mettendole in posa, una al fianco dell’altra, come se fossero tante ballerine del Lido di Parigi. Soffermatevi a osservare il colore bruno della pelle e come il perizoma riesca a mo-
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dellare quegli straordinari pancini, e i seni, dove li mettiamo?. Niente a che vedere con i rozzi muscolari della domenica che fanno impazzire i loro tifosi per gol e spintoni che rifilano agli avversari, con nasi a patata, cosce storte, sederi bassi e rozze abitudini, come quella che prevede di soffiarsi il naso con le mani. Per una volta, in ricorrenza del Natale, abbiamo voluto regalare ai nostri lettori una gemma calcistica completamente diversa. Convinti di aver fatto cosa gradita. Perché una squadra così non si ritrova neppure in Paradiso. (a.t.)
La Figc regionale ha festeggiato 20 anni di autonomia calcistica
Alla ricerca della cantera molisana ent’anni sono passati, da quando nel 1991 Pino Saluppo riuscì, dopo un lungo e assillante corteggiamento, a ottenere dal presidente della Lega Dilettanti Elio Giulivi il visto perché il Molise avesse l’autonomia regionale. Prima di lui ci aveva provato, in modo quasi ossessivo, Lello Spagnuolo, ma su scala nazionale i nostri numeri, la modestia delle nostre società e l’impiantistica deludente
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furono fattori limitanti. Stiamo parlando di FIGC, che sta a significare Federazione Italiana Gioco Calcio, tanto per non confondere la sigla con la federazione dei giovani comunisti italiani. Saluppo per premio alla sua costanza si vide assegnata la prima presidenza regionale. Rimase in sella per più di tre anni e poi passò la mano a Piero Di Cristinzi, signore incontrastato del pallone del Molise.
A ogni elezione Di Cristinzi vince per manifesta inferiorità degli avversari. E continua a regnare. Meglio di quanto si dica. Visto che l’imprenditore di Montaquila ha anche molti cecchini che lo inchioderebbero volentieri su una poltrona, a fare il pensionato. Siccome sono passati 20 anni da quando la nostra regione ha raggiunto l’autonomia calcistica è stato quasi doveroso festeggiare l’avvenimento.
Con una cerimonia sontuosa, alla quale hanno preso parte dirigenti di tutte le società regionali del mondo dei calci d’angolo. Per l’occasione Piero Di Cristinzi è stato capace di portare in sala anche Giancarlo Abete, presidente nazionale della Figc. Oltre al solito Tavecchio di cui il nostro rappresentante è un fidatissimo amico di vecchia data. Si disse a suo tempo che negli anni il Molise avrebbe potuto costruirsi non solo i campionati sino all’Eccellenza, ma che poteva creare le basi per realizzare in D un girone quasi tutto molisano. La previsione, purtroppo, non è stata rispettata. Non certo per cattiva volontà o per disorganizzazione, ma perché i tempi sono cambiati. E la maggior parte delle nostre società che vincono il campionato di Eccellenza non hanno i fondi per ben figurare in D. Così, dopo una comparsa, tornano da dove erano arrivate. E’ il caso di Bojano, Termoli, Montenero, Petacciato e Venafro. Tanto per fare qualche nome. A nostro modo di vedere la Federazione, per quanto è nelle sue possibilità, si dovrebbe maggiormente attivare per migliorare l’impiantistica. E incentivare l’attività giovanile, senza la quale saremo destinati sempre a vivacchiare nella mediocrità. Onore a chi ha retto il calcio molisano per 20 anni e una tirata d’orecchi a chi, convinto di saper far meglio di Di Cristinzi, resta nel guscio, preferendo le parole ai fatti. (Al.Ta.)
Il presidente della FIGC molisana Piero Di Cristinzi
Saluppo il primo presidente, e poi da 17 anni Piero Di Cristinzi
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di Alberto Tagliaferri
Perduta un’altra ghiotta occasione per trasformare Campobasso nella città dei mercatini
Si viaggia sempre a vista i sono alcune città speciali che hanno avuto il gusto e l’olfatto per vedere nei mercatini natalizi una meravigliosa opportunità per segnalarsi all’opinione pubblica. Prendete Trento, Aosta, Biella e Napoli, tanto per non restare nel vago. La magia del Natale comincia ben prima del 25 dicembre, tra i banchi che vendono prodotti tipici, artigianato, decorazioni per l’albero per il presepe. A Trento ci sono centinaia di casette di legno del mercatino di Natale da cui si levano i profumi della migliore gastronomia tipica, dallo spezzatino di cervo ai formaggi, per passare allo strudel. Accanto, i prodotti dell’artigianato trentino, oggetti delicati e molto tipici, presepi intagliati in legno, angioletti in pietra. E’ partito un pullman della Cral della Regione per andarli a visitare. Basterebbe questo per capire la portata dell’avvenimento. Eppure basterebbe poco almeno per “copiare”. Tante volte gli amministratori pur di farsi una bella gita con i soldi dei contribuenti se ne vanno a spasso per il mondo senza un apparente significato. Se a qualcuno fosse venuto in mente di organizzare un tour per rendersi conto di ciò che avviene altrove non sarebbe stata una cattiva idea. In modo da pensare di poter creare anche a Campobasso un qualcosa di simile. Certo, non si crea una tradizione da un giorno all’altro. Ma non ci sembra neppure giusto pensare di andare avanti a forza di montare poche baracche di legno per il corso, senza un progetto e persino senza il conforto dell’illuminazione della strada e dei negozi. In un’altra parte del giornale abbiamo lanciato l’idea di creare in via Cannavina e nelle zone circostanti un angolo dedicato al presepe artigianale. Con rilancio dell’antica tradizione dei maestri che in passato lavoravano la creta, per farne pastorelli, dipinti a mano. A Biella sono in festa già da novembre. Le voci angeliche dei bambini
BANCARELLE
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Sarebbe facile “copiare”Trento, Biella, Aosta e tanti altri posti che vivacizzano il Natale con meravigliose trovate commerciali e turistiche delle scuole cantano motivi natalizi per accompagnare lo shopping natalizio tra le bancarelle. Ad Aosta non viene organizzato un semplice mercatino, ma ricreato un vero villaggio alpino. E lungo le sue stradine si trovano tutte le specialità valdostane. In Europa a Norimberga (Germania), Stoccolma (Svezia), Villach (Austria) e Marsiglia (Francia) vale la pena visitare quei mercatini. L’argilla viene trasformata in statuette per il presepe, mentre uno sfavillio di colori
rallegra l’ambiente, favorendo la presenza di turisti che restano affascinati. Siamo certi che un risultato lusinghiero si potrebbe ottenere anche a Campobasso se solo si smettesse di lamentarsi ogni momento per i soldi che non ci sono. E’ vero che sono i soldi a fare la felicità, ma è altrettanto vero che le idee sono anche per più importanti dei soldi. Se poi mancano tutte e due si resta in brache di tela, con la desolazione che conosciamo bene.
Il personaggio
Luigi Putalivo l’uomo del mistero Da 27 anni lavora dietro le quinte di radio e televisioni a Tele Regione uigi Putalivo è l’uomo del mistero. Vittima preferita di Paolo Mastrangelo che sa imitarne così bene la voce, al punto che al telefono neppure la madre se ne accorgerebbe. Da 27 anni, in maniera indefessa, lavora dietro le quinte. Prima alla radio e poi in televisione. Si tratta di una scoperta dei fratelli Rocco che lo portarono prima a manovrare con un mixer e quindi con telecamere. Avendo scelto di fare il single e una mamma che lo coccola come se fosse ancora un bimbo, Luigi da sempre ha cambiato fuso orario. Così dorme di giorno e lavora di notte. Guai a chiamarlo prima di mezzogiorno, significhe-
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Luigi Putalivo
rebbe buttarlo giù dal letto. Ma state pur certi che poi non va a dormire prima delle tre di notte. Lavora a Tele Regione, dopo essere stato il perno di TRC, in cui ha fatto di tutto, eccetto la telecamera. Arriva rigorosamente in auto in televisione giusto in tempo per preparare i servizi del tg delle 14. Quindi pensa alla messa in onda e poi a lanciare la pubblicità. Così tra una cosa e l’altra non va a pranzo prima delle 16. Per tornare in studio un paio d’ore più tardi. Da quel momento armeggia tra cassette e computer, prova microfoni che fanno i capricci, prepara lo studio per una registrazione. Quando c’è la diretta si agita come un principiante e non smette di urlare con i distratti. Poi allunga le braccia sul mixer e via con il liscio. Per il suo modo di fare e di essere è fatto segno di scherzi, specie da parte di Pino Saluppo. Quando a TRC c’era anche Pasqualino Gabriele non mancavano le scintille. Negli anni, come un perfetto carabiniere, è rimasto fedele. Prima ai fratelli Rocco, poi a Marciano Ricci. Il pubblico non lo conosce, mentre va famoso tra gli addetti ai lavori. E’ familiare ai metro notte, ai panettieri e agli agenti del 113 che fanno servizio in auto la notte. Le prima volte lo fermavano, ora lo salutano in segno di amicizia. In fondo è uno di loro, un uomo della notte. (ge.ve.)
Luigi Putalivo con un gruppo di colleghi di Tele Regione
La febbre del gioco ’è un pizzico di felicità anche nel Molise. Al gioco, da qualche tempo si segnalano diverse famiglie baciate dalla fortuna. E’ appena il caso dir ricordare i “botti” ai “pacchi” con una vincita che ha cambiato la vita a una signora della provincia di Campobasso che ha conquistato il premio più alto, 500mila euro. E, a seguire, ci sono stati altri casi di fortunati moli-
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sani che hanno trovato la scorciatoia per mettersi in soldi. Di recente, a Bonefro, al Superenalotto un’altra vincita ha superato il mezzo milione, mentre una quaterna al lotto, a Campobasso ha fatto un bel regalo di Natale a un giocatore che ha affidato la sua puntata a una tabaccaia di via 24 maggio. Va anche detto che se da una
parte sono aumentate le vincite, dall’altra c’è da mettere in conto lo spropositato numero di giocatori che distribuiti nelle numerose sale da gioco si
sono spinti oltre ogni logica. Giocandosi, spesso, interi stipendi, risparmi e, nei casi più estremi anche intere proprietà immobiliari. (da.ma.)
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Organizzato da
Natale con gli Oscar e i Tapiri ’ stato scelto il Teatro Savoia di Campobasso per la serata degli Oscar e dei Tapiri. Location più autorevole non poteva essere individuata nella nostra regione. E proprio per questo la proprietà de La Gazzetta del Molise (e Il Primo) ha puntato dritto verso questo obiettivo. Venerdi 23 dicembre alle ore 20,00 sul palco del Savoia verranno assegnati gli Oscar e i Tapiri relativi al 2011. I due trofei rappresentano la parte più accattivante del free press di Ignazio Annunziata. A essere precisi la trovata risale ai tempi di 7 Giorni Molise, il settimanale edito sempre dallo stesso gruppo, poi trasferita, con una brillante decisione alla Gazzetta quando lasciò le edicole per diventare il foglio giornaliero più diffuso nella regione (20.000 copie di tiratura, distribuite gratuitamente). Giusto un anno fa, al compimento dei 10 anni di attività del gruppo, presso l’hotel Rinascimento ci fu la consegna degli Oscar e dei Tapiri. Un primo tentativo che piacque non solo agli interessati, ma anche a chi seguì dalle poltrone la serata. Sulla scorta di quella felice iniziativa è nata l’idea di portare l’avvenimento in teatro. Facendone crescere la portata. Infatti dalla semplice consegna della statuetta e dell’animale con il muso che tocca terra si è passati a una vera e propria serata di gala. Durante la quale ci saranno vari momenti, compreso uno di spettacolo. Prima di tutto va spiegato che verranno assegnati dieci oscar e altrettanti tapiri a quei personaggi che nel corso dell’anno hanno contribuito a formare la virtuale graduatoria.
L’EVENTO
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La sera del 23 dicembre (ore 20) al Savoia premiati i personaggi che hanno avuto più statuette e animali con il muso lungo da parte dei redattori del Free press molisano. Verrà regalato ai presenti un volume contenente le copertine della Gazzetta e del Primo del 2011 Lo spettacolo sarà incentrato sulle esibizioni di Michele Di Maria (chitarra classica) e di Rosalia Porcaro punto fermo di Zelig e di Colorado Si spera che gli attapirati non diano forfait, perché in fondo averli sono proprio loro la vera anima della nostra società. Il tapiro ha voluto essere solo uno scherzoso simbolo, attribuito dai redattori della Gazzetta, per scuoterli, nell’intento di correggere qualche errore. Senza malanimo, ma solo con uno spirito a volte persino goliardico. La serata -si diceva- vivrà su alcuni momenti, tre per l’esattezza. Il primo sarà quello conclamato degli Oscar e dei Tapiri, a cui farà seguito la presentazione del volume che racchiude le copertine del free press del 2011, in appendice il lettore troverà anche quelle de Il Primo, sempre relativo all’anno in corso. Ogni invitato ne riceverà uno, direttamente in sala.
La terza fase (velocissima) servirà per spiegare la nuova iniziativa de La Gazzetta sul piano telematico che ha bruciato le tappe su iPhone, i Pod Touch e iPad. La parte godereccia è imperniata sulle esibizioni dell’ottimo Michele Di Maria, un chitarrista classico di grande talento che darà un saggio delle sue qualità musicali. L’attrazione principale è Rosalia Porcaro, una meravigliosa ed elegante cabarettista che ha ricevuto gli applausi e i consensi di tutt’Italia, avendo mostrato a Zelig e a Colorado di avere talento e rapido feeling con il pubblico. Di recente l’abbiamo vista anche su Rai 1, a conferma del suo indiscutibile valore artistico. (da.ma.)
Rosalia Porcaro in un film accanto a Carlo Buccirosso
Il chitarrista Michele di Maria
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di Gennaro Ventresca
Non sono bastati 21 anni per chiudere il concordato tra il gruppo e l’ex Banca Popolare del Molise
Storia del crollo della Molinari group Alla base un debito di 42 miliardi di lire con l’istituto di credito molisano e della vendita di tutto l’asse patrimoniale, stimato quattro volte di più Il paradosso: azzerato il debito i soldi in esubero sono fermi presso la Banca di Lanciano e Sulmona ma l’imprenditore non può toccarli Una querelle destinata a durata ancora a lungo, mentre Enzo Molinari è morto uesta è una storia triste. Raccontata sotto Natale. E’ una storia che parte da lontano e che ha bisogno di trovare ancora il suo epilogo. Si avvita intorno a un personaggio caro alla gente molisana, specialmente a quella campobassana: Tonino Molinari. Uno sguardo buono, da pensionato, col quale cerca di fissare con coraggio e dignità quegli avanzi di mala-giustizia, quei fenomeni che tanti anni fa non avrebbero abitato la sua peggior fantasia. Era tra i più ricchi del Molise, Tonino Molinari, uno dei tre figli di Natale Molinari, giunto come semplice capocantiere nella nostra terra, da San Giorgio, a due passi da Cava dei Tirreni. L’agio, la gloria, Tonino Molinari ex presidente del Campobasso calcio gl’innumerevoli
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cortigiani, una vita da imperatore sono stati sfarinati da una giustizia ingiusta che con tutti i suoi affluenti ha prosciugato il fiume di danaro e le cento proprietà immobiliari, costringendo l’ex “Paperone” a cambiare vita. Bisogna sfogliare il calendario del 1991 per leggere una delle pagine più amare della sua esistenza. La prestigiosa ditta Molinari si sfalda, per mancanza di commesse e per la mancata consegna delle opere appaltate. La crisi, vorace come un onnivoro, la divora. Al punto da obbligarla a consegnare i libri in tribunale. Mettendo a disposizione tutti i beni immobili e i crediti maturati, onde far liquidare il personale. Chiude con l’ex Banca Popolare del Molise, principale creditore, una convenzione per estinguere il debito. Che la banca stima in 42 miliardi, ma attraverso l’intesa si sostanzia in 32, compresi i debiti della Società Sportiva Campobasso di cui Tonino è presidente e, in pratica, unico finanziatore. I debiti originari del club sono di appena un miliardo, ma negli anni arrivano ad-
L’intervista
Ho speso un milione di euro solo di avvocati cusi Tonino Molinari che regalo vorrebbe per Natale? Un po’ di pace giudiziaria. In che senso? Sono oltre vent’anni che lotto tutti i giorni per venire a capo di una situazione che ha del grottesco. Ce la spieghi. Dal 1991 ho ceduto tutti i miei beni e crediti per ripianare i debiti del gruppo con la ex Banca Popolare del Molise e benché i cespiti fossero di gran lunga superiori alle esposizioni non riesco ancora ad avere la somma residua. Ferma presso la tesoreria della Banca di Lanciano e Sulmona. Sono 20 anni che questa storia va avanti: cosa aspettano a chiudere la partita? Forse la mia morte. Visto che non sono più un giovanotto. Quanto pensa di dover incassare a chiusura di conteggi? Almeno un tre milioni di euro. Che mi aiuterebbero a concludere la mia esistenza con dignità. Dopo aver creato e distrutto un impero. Quanti soldi ha speso di avvocati, periti e spese di giustizia? Ameno un milione di euro. Come vive oggi? Con la pensione. Ma lei è stato tra i più ricchi del Molise. I tempi cambiano. Ma la magistratura va lenta come una lumaca. Ma la colpa è solo della burocrazia? No. Anche dell’ex Popolare del Molise che ha cambiato ragioni sociali e dirigenti che l’hanno portata alla lunga.
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dirittura a 12, poi rimodulati a 8, attraverso la trattativa. Entra in ballo la Rolo Banca che nel frattempo ha rilevato la Popolare del Molise che rivede il carteggio e reclama tutti i 42 miliardi di debito, rinnegando la convenzione. Da quel momento si accende il contenzioso e si sommano le perizie, le presenze di noti avvocati napoletani e locali. Nasce una brutta storia giudiziaria. Che s’infila in un vicolo cieco. Per un madornale errore la magistratura accoglie le richieste dei legali del gruppo Molinari e tira in ballo le società dei debitori invece delle loro quote.
Quanti debiti ha accumulato per il Campobasso calcio? 12 miliardi di lire. Siamo partiti con un miliardo e poi ci siamo ritrovati con una voragine. Rifarebbe il presidente di calcio? Certo. Con i rossoblu ho vissuto gli anni più belli della mia vita. E’ vero che se avesse avuto “giustizia” avrebbe ripreso la squadra? Certo. L’ho dichiarato più volte. Ma i soldi non sono mai arrivati. Ci risulta che ha un altro contenzioso per riavere un appartamento ai Parioli, valutato due milioni mezzo. In prima istanza il giudizio mi è stato favorevole e ora aspetto la sentenza d’appello. Che non arriva. Se dovesse essere confermata dovrei avere subito l’immediata esecuzione. E prendere la somma dovuta. Pensa che arriverà come regalo di Natale? Ci penso ogni momento. E’ vero che passa più tempo in tribunale che a casa sua? E’ vero. Non c’è giorno che non L’imprenditore Tonino Molinari vada ad affacciarmi davanti alle stanze dei giudizi, per vedere se ci eternamente in conflitto sono novità. con la giustizia da cui aspetta, Le possiamo fare gli auguri? Certo. Ne ho bisogno. Perché da oltre 20 anni, una sentenza ormai sono logoro. In vent’anni civile legata alle sue aziende mi hanno sfibrato. Anche se non ho intenzione di mollare. (ge.ve.)
La banca, intanto, ha incamerato il debito dimostrato dai liquidatori, anche perché nel frattempo il gruppo cede anche il Roxy, alcune case e un allevamento di bestiame. Il ricavato dei beni venduti supera l’ammontare dei debiti e la somma viene depositata presso la Banca di Lanciano e Sulmona, senza che Molinari possa toccarla: al netto dei costi ci sono in cassa almeno due milioni di euro. Ci sono altresì altri impianti da vendere a San Salvo, più altre proprietà a Matrice, oltre ad alcune unità abitative.
Tutto però resta bloccato: i soldi sono in banca, ma l’ex imprenditore non può toccarli, pur avendo manifestato più volte all’ex Banca Popolare del Molise la voglia di addivenire alle sue richieste, evitando la causa, il cui esito finale probabilmente arriverebbe dopo la sua morte. Sono passati 21 anni e tutto è ancora da decidere. Con una sola certezza: è stata azzerata una imprese più solide del centro-sud. Nel frattempo uno dei fratelli Molinari, Enzo, è deceduto. Oltre a Tonino c’è ancora l’ingegner Felice.
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AT T U A L I TA ’
Alcune opere pubbliche concepite per modernizzare Campobasso, come la stazione delle autocorriere e la strada per l’Ospedale, si sono rivelate nel tempo inferiori alle attese, poco funzionali e molto costose
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Alcune desolanti immagini del Terminal automobilistico. A destra in basso convivono il bassorilievo di Padre Pio con un discutibile e chiassoso disegno fatto dagli artisti dei murales
di Walter Cherubini
Terminal, ne valeva la pena? a strada per l’Ospedale Cardarelli è costata quasi trenta miliardi di vecchie lire, ha avuto un iter molto lungo e travagliato, ha visto fallire aziende importanti, accadere fatti inquietanti, per non dire delle inevitabili querelle giudiziarie. Alla fine è stata realizzata, è funzionale, anche se trascurata nella manutenzione, come più volte i vigili urbani hanno segnalato. Rispetto alla vecchia e contorta salita che dalla Madonnella porta a Tappino, la differenza di percorso è tuttavia di un chilometro e mezzo, tradotta in tempi di percorrenza al massimo quattro minuti. Valeva la pena assistere negli anni alla lunga gestazione dell’opera per un così piccolo guadagno temporale? Non sarebbe stato più virtuoso rettificare la contorta strada vecchia, risparmiando i due terzi di quanto si è speso e utilizzare quei soldi per altri interventi di utilità sociale? Il senno di poi, si sa, riempie le fosse e nelle intenzioni si voleva di certo completare il collegamento con il polo sanitario in modo adeguato. Un’altra opera pubblica che ancora fa discutere a distanza di quarant’anni circa dall’avvio dei lavori è la stazione degli autobus. Un Terminal … interminabile, perché nonostante si stia completando la passerella che collegherà la struttura al centro cittadino, i problemi della gestione sono ancora tanti e di difficile soluzione.
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Dal Comune di Campobasso fanno sapere che occorrono circa due milioni di euro per il completamento. Attualmente, il terminal consiste essenzialmente in un piazzale per arrivi e partenze degli autobus, con due prefabbricati che fungono rispettivamente da bar e ufficio per le società di trasporti. Non c’è un bagno pubblico, bisogna rivolgersi al gestore del bar per eventuali necessità. La costruzione del terminal si è protratta per decenni, con polemiche di ogni genere, mancanze croniche di fondi che hanno fortemente danneggiato l’impresa costruttrice. E’ nella seconda metà degli anni 90, con l’apertura delle tangenziali, che il Sindaco Massa decise di spostare la sosta degli autobus dal vecchio stadio in via Vico, vietando inoltre la circolazione e le soste in città degli autobus extraurbani, una delle migliori intuizioni per snellire il traffico cittadino. I problemi non sono stati tuttavia risolti, la struttura è rimasta chiusa e in attesa di completamento, mentre un’operazione di facciata ha visto dedicare il piazzale a Padre Pio, omaggiato da un basso rilievo di marmo sul muraglione di cemento, purtroppo circondato e mortificato da murales e scarabocchi. Le stazioni sono dappertutto luoghi sordidi e il terminal non è sfuggito alla regola, se è vero che di notte si trasforma in terra di nessuno, grazie anche alle tante vie di fuga rap-
presentate da fratte e viottoli che lo circondano. Il sindaco Di Fabio aveva cercato di porre fine all’annosa situazione affidandone la gestione alla società che opera nel trasporto urbano, per una cifra pari a trecentomila euro l’anno. L’accordo saltò subito, perché il potenziale gestore si rese conto che per aprire la struttura bisognava impegnare capitali ingenti, per cui l’investimento sarebbe stato passivo e rischioso. Di recente la struttura, pur chiusa, è stata comunque utilizzata come rifugio da sbandati ed extra comunitari, poi sloggiati di forza. Resta in essere quindi il problema del completamento e della gestione della stazione. Si vocifera di un contenzioso per la posa e il funzionamento dell’ascensore interno ma è il caso di interrogarsi sulla prospettiva di un così ampio sforzo economico, di questi tempi, senza garanzie che la stazione diventi poi funzionale e produttiva, visto come “saltano” i negozi anche nei centri commerciali. E’ nelle more che, così come per l’Ospedale, completare la struttura resta un obiettivo attraente e strategico per la città. A futura memoria, tuttavia, bisogna riflettere se varrà la pena progettare opere pubbliche da realizzare in tempi lunghi, con il rischio che restino incompiute o comunque senza la prospettiva funzionale ipotizzata all’atto della progettazione.
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M’ piace o’ presepe La famiglia Minichetti negli anni 50 produceva pastori e capanne che vendeva all’angolo di via Marconi
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cco, sarebbe bellissimo se in via Cannavina rinascesse la tradizione del presepe. Per farne una specie di via S. Gregorio Armeno in sedicesimo. Per ridare tono alle tradizioni del nostro artigianato artistico. Bisogna tornare indietro di 50 anni per iniziare il discorso. In quegli anni l’albero di Natale era ancora roba nordica. Noi sudisti avevamo a cuore solo il presepe. Fatto con statuette piccole e umili, ma non per questo di basso livello artistico. I ragazzi aspettavano con ansia i giorni che precedevano il Natale, per andare a scoprire le novità che venivano esposte sulle bancarelle, poste all’intersezione tra via Marconi e piazza Maddalena (davanti al Savoia). Una lucetta scintillante aveva il compito di illuminare quelle garbate statuine. Disposte con ordine come tanti soldati in parata. Le figure erano fatte di creta, messa all’interno degli stampini per cuocere nel forno a legna. Solo in un secondo momento comparvero quelli elettrici. Una volta liberati dalla loro morsa i pastorelli venivano smerigliati con la carta ve-
trata e affidati alle mani svelte ed esperte degli artigiani. Che li dipingevano con pennellini, intinti in boccette di smalti colorati. A parte venivano realizzate le capanne, costruite con carta accartocciata, con cartone e nei casi più scic con sughero. Bastava così poco per far felici i bambini, ma anche i grandi non è che fossero meno frenetici. Il presepe era un appuntamento sentito, tanto nelle povere case che in quelle dei borghesi che si spingevano a farne sempre di più belli. Pieni di fontane, cascattelle e il laghetto con l’acqua. Per le montagna si usava la carta spiegazzata e spruzzata, per cielo fogli puntellati di stelle. Eduardo ancora non aveva scritto la sua memorabile commedia “Natale in casa Cupiello”. E ancora non aveva avuto la geniale pensata di chiedere all’indolente figlio Luca “Te piace o presepe?” che sarebbe diventato per lungo tempo il tormentone. Il presepe piaceva a tutti. Veniva costruito nelle piccole case, quasi sempre in cucina, in modo che stesse al centro della conversazione e che desse la sensazione di una festa infinita.
Una famiglia intera, a Campobasso, capì l’importanza del presepe e delle sue statuette. Così sfruttando la manualità e la managerialità di nonno “Don Ciccio” iniziò a produrre statuine. Stiamo parlando della famiglia Minichetti di via Cannavina che negli anni avrebbe cambiato sedi e ramo, restando per i campobassani di una volta sempre quella dei “pastorelli”. A mettere ordine nei nostri racconti ha provveduto la signora Maria Pia Minichetti, stando dietro al banco dell’antica stamperia Aurora, in via Cannavina 13, angolo vico Biliardo. La signora svolge un lavoro raffinato e artistico, nel segno delle tradizioni. Stampa partecipazioni e pergamene con caratteri mobili, calligrafate e con rilievi. Vederla scrivere a mano, all’impronta, ti conquista. La sua mano è ferma e ben guidata: scivola leggera ed esperta sul foglio. E’ così che prepara il master prima di passare alla tiratura delle copie che stampa con una macchina che è a vista di chi passa nella strada stretta che prima si chiamava Via Borgo e che dopo, in onore della famiglia Cannavina, ha preso il nome del ricco casato borghese.
Dentro un forno a legna venivano cotte le statuette di creta e poi dipinte a mano con gli smalti
Maria Pia Minichetti tra i suoi macchinari di composizione a mano
Franco Minichetti fotografato accanto alla sua bancarella dei presepi negli anni 50 in Via Marconi
Piace anche alla signora Maria Pia cavalcata in passato. Per questo snocciola nomi e racconta fatti che sono cosparsi di polvere, e di malinconia. Don Ciccio Minichetti, tra l’altro, mise mano anche al restauro della Madonna dei Monti, sollevandola: in un primo momento era a mezzo busto. L’arte scultorea era già presente nella famiglia Minichetti nel 1904. Quindi è la volta di Teodoro, detto Teo che si mise a produrre pastori e pecorelle. Fatti di creta, quindi facilmente rompibili, ogni volta che cadevano a terra. La famiglia Minichetti aveva una bancarella a forma di barca, nella quale c’erano pastori di tutti i tipi. Con i vestiti dipinti con lo smalto. Vivere pensando al presepe poteva sembrare una follia commerciale, così i Minichetti sono diventati stampatori. Nonno Teo aveva quattro figli maschi e li mise tutti in bottega, per comporre, stampare e rilegare. Il Cavalier Franco Minichetti ha avuto tre figli, Maria Pia di cui ci siamo occupati e
Teodorico che fa il tipografo con la San Giorgio; l’altro figlio, Mauro, ha invece seguito altre vie. Rossano ha una stamperia di uno scatolificio, mentre Teodorico e Rosario fanno anche loro i tipografi in una traversa di via 24 Maggio. Ora che il presepe ha ripreso piede, nonostante la prepotente invadenza degli alberi, si potrebbe pensare anche a rilanciare la tradizione artigianale della ditta Menichetti. Attraverso un percorso mirante a formare una scuola di giovani scultori, pronti a modellare statuine e a vestirle con abiti a misura, usando le stesse attenzioni che si trovano nelle botteghe napoletane. E che non hanno conosciuto la crisi neppure negli anni in cui il presepe sembrava essere stato annientato dall’arrivo dell’Albero di Natale. (ge.ve.)
Maria Pia Minichetti valente artista della scrittura nella sua bottega artigianale di Via Cannavina
La signora Maria Pia Minichetti intende ricomprarsi un forno per riprendere la tradizione di famiglia
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AT T U A L I TA ’
di Gegè Cerulli
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Ecco la storia del passaggio dell’area dal Comun
Costò 6 miliardi l’acquisto l rettangolo rimarrà così com’è. In attesa che decolli il progetto per rilanciare il sito. Sono 27 anni che Campobasso aspetta un nuovo destino per il suo vecchio e caro campo sportivo. Che con una delibera votata all’unanimità, persino con voto favorevole dei comunisti, il Comune cedette alla Regione in cambio di un pagamento di circa 6 miliardi che servirono per fronteggiare esattamente la metà dei costi per la costruzione del nuovo stadio, realizzato nello spazio di un solo anno da Costantino Rozzi di Ascoli Piceno che si avvalse delle maestranze e della guida tecnica dell’impresa Molinari. Il più autorevole ente regionale giustificò l’acquisto dell’area per costruirvi i suoi uffici. Fu chiamato in causa anche uno dei più brillanti urbanisti, Paolo Portoghesi, che fece una progettazione di massima che piacque al mondo politico e
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alla cittadinanza. Ma quel progetto, benché costato bei soldi, non è stato mai realizzato. Negli anni sono iniziate le discussioni, attraverso la solita melina. Campobasso, del resto, è specializzato nel “non fare”. Così, approfittando della lentezza della burocrazia, sono spuntati comitati dietro comitati. “Niente più cemento” hanno tuonato gli ambientalisti. “Vogliamo il verde attrezzato” hanno fatto eco altri. Dimenticando che con il verde i nostri amministratori ci bisticciano da tempo. Avendo trasformato quella che fu la “città giardino” in un qualunquistico posto di basso livello urbanistico. Per decenni le squadre minori hanno giocato al Romagnoli, utilizzando solo nei primi anni le vecchie tribune. Le autorità le hanno chiuse, per evitare pericoli e per non farne covi di sbandati. Nessuno però ha mai potuto evitare che sotto
le tribune si siano dati appuntamento balordi, tossicomani e giovani dediti all’alcol. Generando in pieno centro, e proprio sotto le finestre di civili abitazioni, raduni poco edificanti. Allo stato dell’arte ancora non si sa che ne sarà dell’area del Romagnoli, anche se tutto lascia credere che Iorio dovrebbe rispettare il suo patto con gli elettori e utilizzarla per gli scopi per la quale era stata acquistata. Tenendo conto anche dei soldi spesi per acquisire, dalla ditta Morelli, l’ex Hotel Roxy. Tenendo in debito conto anche le diverse vedute dell’opinione pubblica campobassana che reclama un’area attrezzata, con una enorme piazza –immonda di auto- piena di rigogliosa vegetazione. Si parla anche di un parcheggio sotterraneo, ma di fronte a opere troppo sofisticate aumentano le difficoltà.
Alcune significative immagini della demolizione delle tribune del Romagnoli
une alla Regione
to del sito Con i soldi della Regione (circa 150mila euro) si sta procedendo all’abbattimento delle due tribune (una coperta e l’altra scoperta, conosciuta in città come “gradinata”). In modo da fare un primo passo verso la sistemazione del sito. Al posto dei due manufatti si aprirà un enorme spazio che oltre a mutare l’aspetto desolante del luogo sarà destinato al parcheggio delle auto. Consentendo altresì agli automobilisti di poter girare su gomma intorno al vecchio terreno da gioco. Oltre alla Regione sono interessati ai lavori il Comune, la Sovrintendenza e la Protezione civile. Per la demolizione e lo smaltimento a rifiuto del calcestruzzo e dei materiali di rifiuti occorreranno non meno di un paio di mesi di lavoro. E non sono previste esplosioni, come si vede in tv per l’abbattimento dei mastodontici manufatti. Si lavora solo con ruspe e macchine specializzate.
Foto di: Mimmo di Iorio
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di Lino Santone
A proposito del Romagnoli
Il giardino dei ciliegi
a chiamano riqualificazione ambientale, invece si tratta di demolizione. Non si sa se l’area del Romagnoli sarà destinata agli uffici regionali, ad area verde o se, sgombrate le macerie delle tribune, resterà un parco anonimo. Per molti campobassani adulti ex giovani giovanotti ed adolescenti, il Romagnoli era stato battezzato come il giardino dei ciliegi, in netto contrasto con la carbonella del suo fondo, il rosso ocra della pista di atletica. Qualche sera fa, mi è capitato di parcheggiare dove prima c’era la curva Nord. Piovigginava, ho perso tempo a recuperare il berretto sul sedile posteriore della mia Golf e, stranamente, mi è sembrato di udire l’urlo caratteristico dei tifosi del Campobasso: Lupi..lupi..lupi… In queste righe voglio parlare dei frequentatori di quell’area, in primis dei giovani e dei giovanotti che avevano eletto il campo sportivo Romagnoli come sede ufficiale che li ospitava quando marinavano la scuola. Molti di noi si ingegnavano a scalfire le colonne della tribuna lanciando i messaggi più vari, 3^ B geometri, spago 10 ottobre 1961. Oppure raffigurare il cuoricino con dentro scritto Lino vuole bene a Giovanna e ancora Cet Bube ama Adriana. Poi, come un lampo, ancora mi è sembrato di sentire le urla di Umberto De Angelis il “maestro” dei rossoblù che tentava di aggredire Angelelli, roccioso terzino sinistro. E, ancora, la voce stridula di Leonzio che gridava “Ai lati…ai lati”. Poi, tra la pioggerellina che scendeva giù inclemente mi sembrava di vedere le rovesciate di Mario Mignogna e di Gino Ferro, le
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parate di Agostino Barbato, di vedere Bepi Pesce flemmatico centrocampista del Campobasso dei pionieri. Ed ancora il classico Mario Ruzzi, Pece I e Pece II ed infine la folgorazione: Nicola Bellomo. Qualche anno fa gli chiesi: “Nicola che te ne sembra del nuovo stadio?”. Non mi rispose, poi parlando con se stesso gli sentii dire: “Citto, citto, Nicola”, con ciò dimostrando che non era d’accordo con la delocalizzazione dello stadio di Selva Piana. Altro lampo: la terra rossa. Gaetano Mascione ostacolista con stile superbo che però lasciava indietro la velocità pura. Ai giochi studenteschi del ’63 arrivò secondo, preceduto da Lanzone di Termoli. Poi mi parve di sentire lo sparo della pistola dello starter Elio Marcaccio. Staffetta 4 per 100, Mario Di Michele, Alfonso Galasso, Francesco D’Angelo, Tonino De Cesare, tempo finale 44”e5, convocazione all’Acqua acetosa. Ed ancora il dinoccolato Florindo Martino, compagno di classe, che il dio dei saltatori sollevò a 185 centimetri, facendogli vincere la gara di salto in un memorial scolastico favoloso, con conseguente fuga alla Malesani del professore Risi. Poi ancora una carrellata di persone di sport, il principe del cronometro, l’ingegner Felice Scioli, i giudici di gara della famiglia Ciaccia, Antonio De Rensis,Lillino Lopez (“Ragazzi addossatevi alla fenza”), Enzo Mancini e tanti altri. C’è stato il tempo anche per ricordare qualche atleta donna, Giusi Stanziale e Sandra Di Lallo. E’ stato lì, che pensando alla demolizione delle tribune mi sono ripromesso di raccomandare a chi sta manovrando le ruspe di fare attenzione al cappello di De Angelis, alla coppola di Anton Valentino Angelillo, al sombrero di Michele Marinelli, alla fascia di capitano di Bellomo, Scasserra, Scorrano e se nel caso incontrassero il guinzaglio del cane di Armando il custode, presso la redazione de Il Primo, li pregherei di farmelo recapitare quale pegno tangibile della stagione della nostra vita. Perché Lino vuole ancora bene a Giovanna, Cet Bube ama ancora Adriana, tanto loro possono demolire le strutture fisiche, ma il giardino dei ciliegi della nostra gioventù resta un ricordo indelebile. Una bella foto delle tribune scattata da Roberto De Rensis il giorno prima della demolizione
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Ecco alcuni scatti di Felice De Rensis elice De Rensis è un vecchio amico rossoblu. Tra l’altro è anche cugino di Tonino Molinari. Ora fa il pensionato, passando alcune ore nel negozio dei figli in via Roma. Ma ha nel cuore sempre la passione per la fotografia, grazie alla quale ha vissuto per lunghi anni sulla notizia e nel suo negozio di via Mazzini. Dal suo repertorio ha tirato fuori un po’ di ricordi del vecchio stadio. E ci ha imprestato alcune foto, autorizzandoci a pubblicarle. Gli scatti che vedete in questa pagina sono i suoi. Riportano il Romagnoli innevato, con i tifosi, volontariamente, all’opera per rendere agibile il terreno da gioco. Si vedono anche le tribune che sono recentemente cadute giù, per dare una nuova veste al vetusto impianto. C’è poi la panchina campobassana con Pasinato, il massaggiatore Iurillo, il dottor Buongusto e la panchina con Silvestri, Tacchi, Donatelli e Tomei. La curva zeppa di gente mostra gli anni in cui nello stadio sgangherato c’era passione e amore per i nostri colori.
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La passione del tifo della curva nord
Il pubblico con i piedi piantati nella neve
La panchina di Tony Pasinato
Bronzetti dirige i lavori dei tifosi che hanno spalato il campo
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Nuova sede sociale in via Roma 53 per la squadra rossoblu di Capone
Ma che bella scelta Sei ampi locali ben arredati sono il frutto del diligente lavoro della Zarina
E
’ la vittoria della Zarina, al secolo Anna Favi. E’ stata sua l’idea di trovare e arredare la nuova sede del Campobasso calcio. Scelta da tempo la location (via Roma, 53) terzo piano, senza ascensore. L’inaugurazione è arrivata sei mesi dopo. Le lungaggini burocratiche sono state inevitabili: la signora con i capelli corvini ha dovuto fare prima cassa. Così sono passati i giorni e i mesi. Ma alla fine ce l’ha fatta, nonostante i costi degli allacci delle utenze che non sono stati procrastinabili.. Gli uffici sono eleganti, ariosi e perfettamente funzionali. Niente a che vedere con i due locali, divisi da una parete in vetro e alluminio, sotto le tribune di Selva Piana. Qui si tratta di sei camere d’altri tempi, vale a dire alte, larghe e spaziose. E rifinite con gusto e con raffinatezza. Per queste
cose la Zarina ci sa fare. Bisogna ammetterlo. La direttrice dell’area marketing ha dovuto fare la formichina, così ha chiesto aiuto ad alcuni imprenditori del capoluogo, strappando a chi le scrivanie a chi le poltrone, ad altri il parquet e la tinteggiatura e così via. Ne è venuta su una sede scintillante, persino più funzionale di quella di Molinari, in via De Attellis, ai tempi della B. Più di qualcuno ha ironizzato sugli sforzi fatti dalla Zarina in un momento in cui il nostro club si trova in difficili circostanze economiche. Invece noi crediamo che si tratti di un bel messaggio, ben augurante per il futuro. Se la “premiata ditta” ha pensato di aver bisogno di una sede più
rappresentativa vuol dire che ci sono speranze per un futuro migliore della maggiore squadra della nostra regione. (ge.ce.)
Il Presidente Ferruccio Capone taglia il nastro in occasione dell’inaugurazione della nuova location del suo club
Don Giovanni Diodati, con Capone e la Zarina, alla cerimonia dell’inaugurazione della nuova sede rossoblu in via Roma
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di Sergio Genovese
Campobasso che se ne va
Il Mastro ci ha lasciato vvolto dall’amore dei suoi figli e dei suoi nipoti, qualche settimana fa ci ha lasciato Mario Vitale per la piazza Mast Mario. Voglio immediatamente precisare di non appartenere a quella schiera di persone (troppe) che nel trapasso di un conoscente o di una persona cara, si affidano alla oleografia più fastidiosa dipingendo lo scomparso come la migliore persona al mondo. I morti portano con se le storie belle e le storie brutte che hanno scritto, non ci dicono addio da santi ma da persone nelle quali i profili di comportamento hanno ubbidito alle leggi del vivere e del morire con i propri pregi e i propri difetti. Solo prescindendo da questa concezione difendiamo il loro ricordo. Andando oltre, Mario Vitale era un uomo assai simpatico. Da tempo la piazza non lo vedeva più all’opera, questa condizione non era dettata solo dagli acciacchi o dall’età: il cuore pulsante di Campobasso ha smesso da tempo di sedimentare rapporti con quei popolani dalle cellule speciali capaci di mantenere in vita leggende, scene e relativi retrogusti. La piazza di Campobasso sembra rassegnata a non conservare più memoria per gli uomini che l’hanno raccontata. Da questo periodico, con orgoglio, vogliamo partecipare a tutti che conserveremo, nel migliore dei modi, il ricordo fosforescente di Mast Mario perché lui era un personaggio con le stimmate del Castello Monforte. Il suo modo di esprimersi pieno di intoppi, il passo cadente, l’altezza non proprio da granatiere, gli occhi che disubbidivano alle leggi dell’anatomia, i suoni che emetteva con le sue vocali incerte e ad intermittenza, attraevano anche la gente recalcitrante alla spensieratezza. Mario Vitale non ha mai avuto un posto fisso ma aveva otto figli e tanti nipoti. Faceva divertire la gente e contemporaneamente non sottraeva tempo al lavoro. Come se avesse avuto un doppio incarico non quelli di cui si parla oggi) e un doppio impegno morale: far vivere dignitosamente la propria famiglia e far divertire la piazza. Semplicemente straordinario! Il Mastro cono-
A
sceva i segreti della città, quella che finiva al palazzo dei ferrovieri degli anni sessanta e quella degli anni ottanta e novanta della cementificazione a più non posso. Dei segreti ne faceva un uso morigerato, quel tanto per creare la, metafora o l’aneddoto senza malafede. Lui che aveva conosciuto la povertà, appena si è sentito leggermente svincolato da una certa condizione di vita ha sempre mostrato segni di solidarietà e di generosità come in quella occasione che regalò il suo cappotto nuovo ad una persona indigente. La sua vita è stata lunga, piena di ostacoli ma non si è mai rassegnato. Non ha mai deposto le armi, anzi. Ha fatto mille mestieri ma ha proposto anche mille volti nel senso buono del termine, una specie di maschera a scartamento ridotto, meno nota ma ugualmente dentro la pancia di una città provinciale un po’ ipocrita e un po’ cerchiobottista. Mario Vitale era come parlava o come tentava di fare. Per questo si distingueva. Aveva un amore incondizionato per la squadra di calcio. La sua “utenza“ era soprattutto quella: i tifosi. Tutti lo cercavano e facevano a gara per trasportarlo nelle lunghe trasferte di quel Campobasso magico. Serviva per un duplice scopo: l’allegria del viaggio di andata, l’eventuale distrazione per il viaggio di ritorno qualora il risultato della partita non fosse stato quello sperato. Era utile in qualsiasi salsa. Il trapasso, per tutti noi, non è stato tanto doloroso poiché Mario, come dicevo, già da qualche anno si era negato alla piazza. I figli e i nipoti potranno essere certi che non ci sarà un successore. I tempi sono diversi ma proprio ai figli è affidata in dote una lunga e bella storia. Solo loro ci potranno finalmente svelare se lo vorranno, se è vero che dopo il goal di Villa (centravanti di altri tempi) l’urlo di gioia non uscì dalla gola se non dopo il repentino pareggio della squadra avversaria tra la incredulità della folla. Se non lo vorranno fare, tutto verrà consegnato alla leggenda come il suo ricordo palpabile e insostituibile. Noi lo conserveremo.
Mario Vitale meglio conosciuto come Mast’ Mario
Mast’ Mario è stato un personaggio ineguagliabile del capoluogo
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Il
Mix di D’Artagnan La sfiga di Mascione S
Gaetano Mascione
e la fortuna è cieca la sfiga ci vede e come. E se nn ci credete provate a chiederlo a Gaetano Mascione, funzionario a riposo del Comune di Campobasso. Alle elezioni comunali nelle liste del Pdl l’ex vice presidente del Campobasso calcio mise insieme 226 voti, pochi per essere eletto, ma sufficienti per fargli sperare un ingresso in consiglio, dalla porta di servizio. Così il buon Gaetano si è messo in lista d’attesa, per attendere il suo momento. Prima la nomina degli assessori e poi due elezioni (Provincia e Regione) non sono state sufficienti per liberare un posto tra i pidiellini. Così lui resta ancora a guardare. C’è di più: Gaetano in modo deciso ha
offerto una mano d’aiuto a Colagiovanni alle Provinciali, in modo da sostenerlo ad essere eletto per poi vederlo nominato assessore. Niente da fare: Colagiovanni è stato sì eletto, ma non è entrato nell’esecutivo. Così si è tenuto il posto al Comune e quello alla Provincia. Lasciando l’amico con un palmo di naso. Alla Regione si sperava nella elezione di Giovanni Di Giorgio che non c’è stata. Così le cose sono rimaste come erano. Mentre questi numeri ronzano nella mente di Mascione: 226, 228, 230. Che equivalgono ai suoi, a quelli di Colitti e di Finelli che lo hanno preceduto e che da tempo siedono sui banchi di Palazzo san Giorgio.
Cartolina di Campobasso
S
i, va bene: sono passati tanti anni. Ma la differenza sembra abissale. Infatti si fa fatica anche per un campobassano d’antan a riconoscere la piazza della foto. Guardatela meglio e provate a rispondere. Se avete qualche esitazione andate avanti nella lettura e scoprirete che si tratta di piazza Municipio, con una vasca appena affiorante dal suolo, mentre i palazzi del corso sono piccoli e
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modesti, a testimonianza proprio della nostra storia, fatta di piccole cose, di una borghesia poco opulenta. Tutto questo era Campobasso prima della guerra. Poi ci fu la distruzione della parte dei monti e quindi il rilancio degli anni 50 che toccò l’epilogo negli anni 60, in cui anche nella nostra terra qualsiasi cosa si toccasse diveniva oro.
Lettera a me stesso
di
Gennaro Ventresca
Quelli della mia generazione C
arissimo, quelli della mia generazione presero il diploma negli anni Sessanta. Alcuni si fermarono lì, altri, come me, fecero la valigia e andarono a studiare fuori. Per conseguire la laurea. Dopo aver soggiornato nei febbrili giorni di luglio sotto i lecci del corso, angolo Cafè do Brazil, iniziammo a sparpagliarci, per mare e per raggiungere le sedi universitarie, dove trovare un posto letto e organizzarsi la nuova vita. Nell’arco di un quinquennio ci sistemammo tutti, dico noi laureati, perché nel frattempo quelli che avevano fatto incorniciare il diploma, avevano già accumulato soldi e contributi e qualcuno aveva già fatto la promessa alla morosa, per portarla all’altare. Eravamo felici con poco, il nostro passatempo preferito erano le “vasche” per il Corso e poi spettegolare davanti al bar e nella bella stagione, stare seduti per ore ai tavolini. Per farci “consumare” il povero cameriere doveva minacciarci più volte di sloggiarci. La prima pizza al tavolo l’ho mangiata in via Ferrari, costava 60 lire. Che erano comunque poche come è dimostrato dal fatto che il generoso gestore dovette passare la mano a Pedicino, che sfornava pizze mentre il figliolo Carlo (oggi medico) faceva i compiti su un tavolino. Nelle giornate torride dell’estate riempivamo la sala al primo spettacolo, per seguire film che non valevano un’acca. Ma per fortuna scoppiò il fenomeno 007 e così potemmo gustarci le fantastiche avventure di James Bond, invidiando soprattutto le sue favolose donne. Non c’era ragazza che non passasse sotto la nostra lente d’ingrandimento: cosce storte, tette minuscole e fianchi larghi venivano censurati già al primo passeggio. Come tanti personaggi felliniani vivevamo la nostra estate da “Vitelloni”facendo scherzi e puntando a raggiungere, con le poche macchine di cui disponevamo, la festa di piazza di periferia. Una sera d’agosto, in un borgo di Vinchiaturo, Angelino u’ rè si presentò con una maglia alla dolce vita, per cantare “Cade la neve”, un best seller di Adamo. Un po’ alla volta ci siamo perduti di vista, tornando a far squadra solo
nelle vacanze natalizie. Ricordo che al primo anno d’università, nel ritrovarci a Natale dentro lo strettissimo Cafè do Brazil, ci fu uno di noi, appena iscritto a Medicina, che già si affannava a farci dire 33, finendo con l’essere schernito dagli astanti. Luciano, Nicola, Silvestro, Gaetano, Master, Mario, Luigi, Steave, Mario II e altri si sono piazzati bene anche senza la laurea. In compenso avevano tutti una fame da lupi che veniva appagata andando da Tonino al Corso, il pizzaiolo che ha rifocillato una città e ha lasciato al figlio Aldo un localino che è diventato il cerchio dei golosi del capoluogo per la bravura della signora Maria Lombardi ai fornelli. Ci siamo affermati quasi tutti. Qualcuno ci ha prematuramente lasciato. Qualche altro fa il Prefetto, non si contano i medici, gli ingegneri, i professori e tanti altri che hanno lasciato Campobasso in cerca di un futuro migliore. Quando sento nei discorsi da bar o nei salotti che contano che i nostri giovani hanno avuto tutto non mi unisco al coro. Anzi, dissento. Se è indiscutibile che i nostri ragazzi sono nati nella bambagia, si deve convenire che debbono muoversi in una società ostinatamente cinica e crudele
che li obbliga a vivere nell’incertezza del precariato. Quelli della mia generazione anche con un diploma di maestro (quattro anni) hanno fatto carriera, prendendo lo stipendio il mese dopo il diploma. Qualcuno più fortunato e meglio inserito in politica è diventato dirigente regionale, beccando 200 mila euro solo di “rottamazione”. I nostri giovani quando arrivano alla laurea si ritrovano in mezzo al guado e allora si debbono impegnare a fare master, a specializzarsi all’estero, a studiare almeno un paio di lingue, facendo spendere un sacco di soldi. Nel frattempo passano gli anni e restano vincolati alle famiglie. Per ordine pratico non si sposano, al massimo fanno il tirocinio attraverso la convivenza. E capita pure che qualche volta un discutibile ministro quale Padoa Schioppa li sbeffeggi, chiamandoli “bamboccioni”. Credimi, se potessi, riproporrei quegli anni alle nuove generazioni, dico gli irrinunciabili anni Sessanta. Sono convinto che li apprezzerebbero. Rinunciando volentieri a discoteche, pub, canne e birre a fiume. In compenso avrebbero il lavoro e il calore di una famiglia che non mi sembra siano poi da buttar via.
Peppe Mastropaolo, Adalberto Cufari, Steave Santone e Gaetano Mascione
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Ferruccio e Gaudiano funzionano come una coppia del cinema e coppie sono una gran risorsa del cinema comico: il grasso e il secco, il tonto e il furbetto, il buono e il cattivo, il bello e il brutto. Ferruccio e Gaudiano che nella vita sono padre e figlio conoscono a memoria lo schema e giocano sicuri. Così la nuova avventura vissuta nel Molise è stata uno spasso, una perenne partita in casa. La loro commedia è piaciuta solo sul principio, poi s’è inceppata. Finendo con essere respinta dal pubblico che l’ha a mala pena sopportata. Per carità, Ferruccio e Gaudiano non sono affatto due comici. Ma delle ottime persone che lavorano ogni giorno nelle loro aziende che costruiscono strade e case. Tuttavia, pur non essendo comici, i due montelliani fanno spesso ridere. Come nell’uso delle dimissioni: a volte si dimette il padre,certe altre il giovin figliolo. La parte del tosto la fa Ferruccio, ma Gaudiano solo nelle apparenze è un tenerone. Perché anche lui lancia filippiche, specie attraverso le tv che lo ospitano o a mezzo busto o solo in voce. I due irpini si lanciano spesso nei loro
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Esultanza di Ferruccio e Gaudiano (foto in alto) Ferruccio con la Zarina
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dialoghi dispettosi, senza mai rallentare il ritmo. Resta all’attivo la vivacità del tandem e il tormentone “vendiamo o non vendiamo il Campobasso?” C’è poi da mettere in conto anche la Zarina, all’anagrafe Anna Favi da Iesi. Voluta da Traini, caduto immediatamente in disgrazia e subito cacciato, e presa in simpatia dalla “premiata ditta” che ne ha fatto un punto di riferimento in sede operativa. La signora con i capelli corvini, stando a quel che s’era capito, avrebbe dovuto aumentare il fatturato del Campobasso calcio attraverso una serie di sponsorizzazioni che non sono arrivate. Tuttavia resta la sua diligenza presenza in loco e il suo tocco femminile nel dare tono alla sala stampa dello stadio, alla miglioria della tribuna d’onore e all’allestimento di una sede sociale molto accogliente in via Roma, 53. Da alcuni paragonata a quella di un club che va per la maggiore. Più bella di quella che Molinari volle aprire in via De Attellis che sostituì quella modestissima di via Genova. (ge.ve.)
di Gennaro Ventresca
Natale in casa Capone C
aro Gesù Bambino, tra pochi giorni ricorrerà la tua festa. E in questa occasione tutti ci sentiamo più buoni. Tra questi mi ci metto anch’io che con la mia “penna” sono spesso caustico. Ti prego, tu che sei grande e immensamente buono, fai stare bene a tutti quanti. Sai, di questi tempi, con la crisi economica che c’è in giro, preservaci almeno dalle insidie della malattia. Perché quando c’è la salute c’è tutto. Fai stare bene anche Ferruccio, in fondo non è poi così male. D’accordo: ha un brutto carattere, ma chi è senza peccato scagli la prima pietra. Anche suo figlio Gaudiano non scherza con il suo caratterino, ma che vuoi il sangue non mente. Se è difficile il padre, è facile capire che possa esserlo anche il figlio. Per questo, se puoi, preservali dal male. E se proprio non puoi mandagli qualche malattia, ma non grave, per carità. Una cosetta leggera, con pochi giorni di riposo. Giusto il tempo per riflettere sugli innumerevoli sbagli che hanno fatto da quando sono venuti nel Molise per guidare il nostro Campobasso. Gesù, un pensiero vola ai dieci allenatori esonerati da Ferruccio i quali, tutto sommato, dovrebbero ringraziarlo per i soldi che ha dato loro, facendoli stare tranquillamente a casa. Tanto per non fare disparità mi corre l’obbligo di pensare anche agli otto direttori sportivi che hanno dovuto fare anzitempo le valigie. Penso anche ai direttori generali, ai segretari, ai medici, agli addetti ai cancelli che sono stati mandati via. Senza pensarci sopra. Un soave pensiero vada anche alla signora Anna Favi che ho ribattezzato affettuosamente la Zarina. Lei è
l’unica che ha resistito alla furia devastatrice di Ferruccio che evidentemente ne apprezza i modi e le perdona la mancanza di sponsor, anche di piccoli inserzionisti da stadio. In fondo Ferruccio è un bonaccione e se lo sai prendere ti dà tutto il cuore. Peccato che siano in pochi a saperlo fare. In questo mio scritto non posso fare a meno di pensare a quanti giocatori sono entrati e usciti dal nostro spogliatoio. Ho visto indossare la nostra maglia anche da gente che non la meritava, dovendo massaggiare le palpebre di fronte ad autentiche schiappine che hanno indossato la maglia numero 10 che in passato è stata vestita da ben altri personaggi. Siccome Ferruccio ha litigato un po’ con tutti mi piacerebbe che tu lo facessi ritrovare con gli innumerevoli nemici campobassani, almeno per una conviviale natalizia. Ecco, vedrei bene intorno allo stesso tavolo il sindaco, l’assessore allo sport e le altre autorità sportive che tengono a cuore le sorti della nostra squadra. Inviterei, davanti a una tavola apparecchiata, anche Franco Mancini, Gaetano Mascione, Giulio Perrucci e tutti quegli amici che si sono prodigati negli anni, anche con mansioni inferiori, persino umili. E, soprattutto, non dimenticherei Marco Pulitano e gli altri inserzionisti che gli hanno dato una mano. Un pensiero corre anche ai ragazzi del settore giovanile che per fretta e per parsimonia si sono visti trascurati e spesso addirittura ignorati. E con loro i relativi dirigenti e tecnici. Gesù, ti prego. Se puoi, facci vincere qualche partita almeno in casa, ne abbiamo perse 24 negli ultimi 4 anni. In modo da mettere a tacere i conte-
statori di Ferruccio che nascono come funghi, nonostante il volontario esilio dei tifosi organizzati. Per chiudere: assicura lunga vita a Ferruccio e Gaudiano e mantienimi forte anche Gigi Molino. E se proprio vuoi fare un ultimo sforzo aiutaci a trovare un imprenditore (Edoardo Falcione?) in grado di rilevare il club rossoblù. Così l’anno prossimo ti eviterò il peso di dover leggere un’altra lettera, di questo tenore.
Ferruccio Capone
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di Daniela Martelli
Vince a Torino il titolo italiano Antonino Forte in rappresentanza di Abruzzo e Molise
Antonino Forte (col piatto del vincitore) posa per il fotografo assieme ai concorrenti battuti in finale
Al maitre dell’Eden il titolo italiano ntonino Forte giovane, ma già brillante maitre dell’Eden, ha conquistato il titolo italiano a Torino (scelta per festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia), in un lussuoso albergo del centro, a compimento della finale del campionato di maitre sommelier, organizzata dall’Amira (associazione maitre italiani ristoranti alberghi), la più prestigiosa d’Italia. L’anno scorso il ragazzo (ha appena 27 anni) dovette accontentarsi della piazza d’onore che fu già una gratifica di non poco conto, ma in cuor suo si ripromise di far meglio. Così, dopo aver conquistato il diritto a presentarsi alla fase finale attraverso le selezioni interregionali, ha potuto dare il meglio di sé proprio nel corso dell’appuntamento più importante. In cui è riuscito a superare tutti i finalisti,mettendosi alle spalle i portacolori di Lugano-Ticino e Milano-laghi. E’ rimasto particolarmente soddisfatto il fiduciario di sezione Alvaro Fanti che lo ha accompagnato che grazie all’exploit di Antonino ha incassato una indescrivibile soddisfazione personale e anche un prestigioso riconoscimento. Va detto che il nostro ragazzo (è nato a Benevento ma è diventato uomo e soprattutto maitre grazie all’alta scuola dell’Eden, dove lavora da sei anni ) ha rappresentato non solo il Molise, ma anche il confinante Abruzzo. E
A
Marcello Damiano titolare dell’Eden
Battuti otto finalisti con una portata a base di volatili
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davanti ai giudici ha avuto l’accortezza di presentare un piatto che ha saputo unire le tradizioni delle due regioni. In tavola Antonino Forte ha lavorato con una portata a base di piccione (petto e coscia) su sfoglia di mela annurca e soffice ricotta in fuscella. E’ stato inoltre particolarmente abile ad abbinarla con un magnifico vino abruzzese della cantina Masciarelli, bianco di Villa Gemma. Dopo aver fatto i complimenti al brillante vincitore del concorso, è appena il caso di spendere qualche parola per l’Eden, hotel-ristorante guidato da Marcello Damiano con l’aiuto dei suoi tre figli e della moglie Silvana. Marcello, nel campo della ristorazione, ha praticamente aperto una nuova frontiera a Campobasso, specie per la banchettistica. Con lui si è passati da una cucina alla buona a una sofisticata ed elegante che non ha mai sconfessato le sue origini molisane, avendo l’attenzione di rimodellarla e alleggerirla secondo i tempi. Nel suo elegante locale sono passati chef di spessore che si sono distinti oltre che nel lavoro di routine anche nel corso di appuntamenti culinari di prestigio e, come si ricordava, maitre di alta professionalità, tra i quali il più bravo e titolato senza dubbio è Antonino Forte.
di Domenico Fratianni
Tomasino d’Amico musicologo e scrittore H
Tomasino D’Amico
Fensi, Gubello Memmoli, Goffredo Bellonci e la biondissima e stravagante Sibilla Aleramo, per continuare con i ricordi legati alle musiche e ai canti alle Terme di Caracalla , in quelle stagioni liriche, tra i più gioiosi dell’Estate romana.E,ancora,la descrizione di una galleria di personaggi straordinari come Ada Negri (alla quale Tomasino aveva dedicato il primo volumetto di versi del giovanissimo Glauco Cambon), per passare alle conversazioni con Umberto Giordano intorno alla grandezza della musica di Puccini (Butterfley,Tosca,Bohème), ma anche per magnificare la bellezza della “Cavalleria rusticana”, che avrebbe segnato la colossale fortuna di Pietro Mascagni. Senza dimenticare Guido da Verona, dal temperamento bizzarro, ma uno dei nostri pochi scrittori (ribadiva Tomasino) che durante il “ventennio” non aveva sollecitato prebende e onori dal Regime fascista. E, poi, la sua amicizia con Irma Grammatica; amicizia nata dopo la rappresentazione di “Casa di Bambola” di Ibsen, all’Argentina di Roma (1912), ribadita dopo l’interpretazione della stessa in “Città morta” di Gabriele D’Annunzio (1929). A seguire, i racconti legati agli incontri con il Senatore Treccani, fondatore della famosa Enciclopedia e con Padre Gemelli che, precisava Tomasino, nutriva una ammirazione sconfinata per il nostro Igino Petrone. Ed ancora l’incontro con Arturo Toscanini, avvenuto dopo un concerto tenuto dal grande Maestro alla Scala di Milano (1924).
Tomasino ricorda: ”deposta la bacchetta, venne a intrattenersi con noi, che privilegio!”. Poi il capitolo dell’incontro con Eleonara Duse, con la quale si intrattenne a conversare lungamente all’Hotel Cavour di Milano (1921), quando la divina Eleonora aveva da tempo perso il suo consolatore Arrigo Boito (D’Annunzio si era da tempo allontanato da lei e dalla sua arte). La Duse gli aveva scritto una lettera nella quale si leggeva: ”Si ricorderà di me? Son qui da due giorni, vorrei tanto rivederla. Sarà possibile?”. E, ancora, le conversazioni con il grande Ruggero Ruggeri e le passeggiate romane con Lydia Borrelli. Un mosaico incredibile di incontri e di amicizie arricchito ancor di più dalle note di Wagner e dalla splendida voce della Flagsars, nella interpretazione di “Walckiria”. E le famosi interviste, come quella con una Dea, al secolo Elisabetta Hoengen, dopo l’interpretazione di “Frika” che la cantante tenne alla Scala, mentre, aggiunge Tomasimo, Gilda Pansiotti ne abbozzava il profilo. Naturalmente, numerosi i commenti sul primo D’Annunzio, innamoratissimo dell’affascinante Maria Hardouin, della quale si era invaghito a sedici anni (La “Lalla”, da lui esaltata nel “Canto Novo”). E non potevano mancare le voci del nostro Molise, quelle che lui chiama “Le voci del silenzio”, datate 189O-1915 (gli anni dei suoi studi liceali presso il Convitto Nazionale “Mario Pagano”di Campobasso), dove erano passati Maestri dalla grande forza come Giovanni Gentile, Nicola Scarano, Pietro Avogrado e anche, ricorda con affetto Tomasino, Giovanni Porzio, Gaetano Manfredi, Enrico De Nicola, Vittorio Cannavina, Luigi Fraticelli, Mario Magliano, Ernesto Zurlo, Francesco Salottolo, Giacinto Musacchio e altri ancora. Toccante e singolarissimo l’incontro con la figura straordinaria di Giovanni XXIII, che riuscì a dialogare con lui sul “bel canto”, sostenendo il suo amore e la sua ammirazione per il suo conterraneo bergamasco Gaetano Donizetti. Un affresco straordinario e, per me, una rivelazione che si concludeva, come giusto che fosse, per un’ anima così musicalmente raffinata e gentile , con l’ascolto, da parte di Tomasino , della musica di Beethoven, il suo consolatore; l’unico capace di placare i suoi dolori e i suoi turbamenti
ARTE & CULTURA
o imparato ad ascoltare; ad ascoltare una voce silenziosa e gentile. La voce di Tomasino d’Amico. Non ho potuto conoscerlo di persona perché sono arrivato in ritardo, quando era passato a miglior vita, senza che il suo ricordo morisse, perché la sua amata Gilda, pittrice di gran talento, me ne parlava sempre, con uno slancio che non era solo amore ma, se possibile, qualcosa di più. Perché Tomasino d’Amico, di Duronia/Molise, non era solo un grande magistrato, fondatore del primo tribunale dei minori in quel di Milano, ma un uomo di cultura straordinario. Certo, i racconti di Gilda mi avevano aiutato, ma è stato quando sono rimasto solo nello studio che fu suo, che ho veramente capito. E mi era bastato starmene in attesa nella sua “Casa del melograno “ di Castropignano, seduto nello scrittoio che fu suo; e tra le tante carte, i suoi libri e i suoi dischi che un vecchio grammofono mi riportava suoni e melodie . E’ lì che ho scoperto il Tomasino artista. Scrittore, dicevo, ma anche musicologo e critico acutissimo. Il primo testo che ho avuto la ventura di sfogliare e poi leggere con trasporto, portava (porta) un titolo che manifestava la sua grande ammirazione per Francesco Cilea , l’autore di “Adriana Lecouvreur “, di “Gloria” e di “L’Arlesiana”. Ed è stato, in quel raccoglimento assoluto, che ho scoperto di quale sensibilità fosse nutrito. La sua appartenenza all’Ordine Nazionale degli Autori e scrittori, si sostanziava principalmente in tre libri di rilievo, titolati: “ Come si ascolta l’opera” del 1949, Edito da Baldini e Castoldi, ”Francesco Cilea “, del 1960, per i tipi della Casa Musicale Curci e, ancora, “Uomini e Ombre “, del 1965, edito da Rebellato. Una rivelazione, per me; per la sua vena poetica nei suoi primi versi della raccolta “Tempesta”, seguiti da altri titolati “Richiami del silenzio”, pervasi, questi ultimi, da richiami crepuscolari e scanditi da ritmi ermetici moderni. Poi, la costruzione di un mosaico di grande bellezza, le cui tessere luminose servivano per raccontare storie incredibili che andavano a rappresentare l’affresco della nostra Italia culturale, tra fine Ottocento e inizio Novecento. I ricordi iniziano con la descrizione dell’antico Caffè Aragno di Roma (oggi scomparso), dove si ritrovavano i personaggi più illustri, come Giulio de
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di Walter Cherubini
Molise 2020, cronache dal futuro RUBRICHETTA
20 gennaio 2020
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Aeroporto, posta la prima pietra E’ toccato all’Arcivescovo Giancarlo Bregantini benedire la prima pietra dell’aeroporto del Molise, che sorgerà nella piana di Boiano. L’opera, fortemente voluta dal Presidente Iorio, dovrebbe essere completata in meno di quattro anni.
16 aprile 2020 Tribunale, arrivano i metal detector Il Presidente del tribunale di Campobasso ha annunciato che, grazie a un
accordo con la Regione, la struttura forense disporrà presto di metal detector alle porte d’ingresso. Si colma così una vecchia lacuna nel sistema di sicurezza del tribunale del capoluogo.
25 giugno 2020 Campomarino, riapre il porto turistico Le operazioni di dragaggio in corso nel porto turistico di Campomarino, consentiranno la riapertura del bacino alle imbarcazioni da diporto. Erano anni che gli operatori turistici attendevano un intervento risolutivo per il
Ricordo di Fausto
Siconolfi ci ha lasciato veva 65 anni fa il giornalista Fausto Siconolfi, stroncato da un male inesorabile che non ha concesso tregua. La morte lo ha afferrato in un letto d’ospedale, della sala di rianimazione del Cardarelli. Siconolfi da qualche anno aveva lasciato il Comune di Campobasso dove aveva ricoperto il ruolo di dirigente. Mettendo a profitto le esperienze maturate all’Alfa Sud e quindi presso l’azienda facente capo a Peppe Uliano. Nel mondo giornalistico locale non si è concesso una pausa, iniziando al Tempo, per passare poi a Telemolise, quindi a TRC, diventata Tele Regione sotto la sua direzione. E’ tornato alla carta stampata con Il Quotidiano del Molise e subito dopo alla Gazzetta del Molise, per finire la carriera a Primo Piano, dove ha firmato il giornale. Con l’autonomia regionale dell’Ordine dei giornalisti è stato eletto al consiglio nazionale, dove ha rappresentato autorevolmente la nostra piccola regione.
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porticciolo. Si prevede che l’utenza diportista si assesterà sulle venti unità mensili.
24 Settembre 2020 Campobasso, addio al pattinodromo Sarà demolito il pattinodromo di Selvapiana. L’area sarà inglobata nell’attigua isola ecologica del capoluogo. La decisione è arrivata dopo una sofferta riunione della Giunta Comunale che, amaramente ha dovuto costatare come gli sforzi per riattivare la struttura si siano rivelati inutili. Dopo la ristrutturazione del 2015, la pista non
è mai stata operativa per mancanza di pattinatori.
8 Dicembre 2020 Luminarie natalizie, c’è l’accordo Le organizzazioni sindacali del commercio hanno presentato all’assessore comunale al ramo un piano congiunto per le luminarie natalizie. I commercianti si faranno carico dell’allestimento degli addobbi e provvederanno al pagamento della fornitura elettrica, in cambio il Comune imporrà la chiusura domenicale ai centri commerciali della città nei mesi di gennaio e febbraio.
La foto curiosa L’estate di San Martino ha indotto la contadina impegnata nella raccolta delle olive a ripararsi dai raggi del sole con un ombrello come fa di solito sotto il solleone d’agosto.
Zibaldone
di Eugenio Percossi
Conosco un posticino: Carovilli
Da Adriano si mangia e si beve da imperatori V
astogirardi si trova a 1.200 metri sul livello del mare e conta esattamente 800 abitanti, i suoi abitanti si chiamano vastesi, pur non avendo nulla a che fare con i cugini della città adriatica di Vasto. Vastogirardi è un bel borgo che conserva intatte le caratteristiche medievali con il maestoso castello che domina il paese come struttura fortificata e le case sistemate ad “avvolgimento”. La natura è meravigliosa e spettacolare. Da visitare oltre ai boschi e i lunghi prati la chiesa di San Nicola di Bari
del XV secolo. In estate si degustano prodotti tipici, mozzarelle, farro, tartufo e vini di buon gusto. Se volete fare una puntata fuori stagione a Vastogirardi non potete mancare di sterzare per Carovilli, per andare a trovare Adriano, a pochi passi dalla piazza, in un ristorante che potrebbe trovare comoda collocazione in luogo più accorsato. Molti buongustai partono da Roma e da altre lontane località per sedere al suo desco. Dove si mangiano pietanze ragionate e ben elaborate. Da non perdere il ventaglio di antipasti d’alto
Via la Gelmini, tornano le gite scolastiche L
’autunno mai mite come quest’anno, ci ha regalato piacevoli tepori e voglia di restar fuori a respirare aria insaporita da folate uggiose. L’umore si solleva nonostante i guai che da mane a sera assillano il mondo; ma in questa terra dove l’erba è verde, tranne quella dello stadio, la natura è abbronzata e il cielo sempre più blu, ecco che appare chiaro il segno dei tempi nuovi. La scuola italiana volta pagina, è finita la guerra a Maria Stella, è finito il tempo delle prof pasionarie che invitavano a boicottare l’economia rifiutando le gite, a scioperare anche per loro che non potevano permettersi di perdere cento e più euro dallo stipendio per difendere un principio in cui credevano ciecamente. Ora che il tiranno è stato abbattuto e Maria Stella non c’è più, si può tornare alla normalità. Via libera ad affascinanti gite scolastiche, a viaggi culturali con i professori, quelli sull’Aventino lo scorso anno, oggi ben disposti a compiere il loro dovere di educatori, accompagnando gli studenti nei viaggi d’istruzione. E’ proprio vero, basta poco per cambiare le cose. Come l’autunno gentile ha mutato l’umore dei molisani, così la caduta di Silvio Cesare ha rappresentato la vera e unica riforma seria della scuola. Per festeggiare, cosa c’è di meglio di una gita scolastica riconciliatrice?
I L S A S S O L I N O
livello, a base di prodotti caseari conditi con il miele di acacia; è un tuffo nel passato il brodo di gallina con le polpettine, non si può fare a meno di gustare la fettuccine con farina di castagne e gli arrosti sono da leccarsi i baffi. Adriano, il padrone del locale, è un personaggio imperdibile, ti mette a proprio agio appena superato l’uscio e ti invita a grandi bevute, con vini appartenenti alle infinite etichette che si trovano nella sua cantina.
separati dalla nascita
Robin Williams e Antonio Chieffo
Robin Williams
Antonio Chieffo
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i sono molti punti in comune tra Robin Williams e Antonio Chieffo. Solo fisicamente, logicamente. Vista la loro lontananza e le rispettive professioni. Robin da sempre è un’icona holliwoodiana. Hanno fatto scuola i suoi film, a iniziare “Dall’attimo fuggente” a “Goodmorning Vietnam”. Per tralasciare la sua fertile produzione di pellicole di successo commerciale e di critica. Completamente diversa è la carriera di Antonio Chieffo che rifugge persino le ospitate, inimmaginabile ritrovarselo sul set cinematografico. Diventa professore per consegnarsi subito dopo alla politica, cominciando da fare il sindaco di Colletorto per un lungo tragitto. Quindi si sposta in Provincia ove vive una luminosa stagione prima come assessore e poi come ottimo presidente. Eccolo pronto per la Regione ove conquista a pieni voti un seggio, diventa assessore e dopo un quinquennio vissuto da “semplice” consigliere, torna a far parte dell’esecutivo dello Iorio 3.
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La Gazzetta “palmare” brucia le tappe A pochi giorni dal debutto su iPhone, iPod Touch e iPad, il nostro quotidiano conquista il 14° posto assoluto nella categoria “News”
La Gazzetta del Molise brucia le tappe a pochi giorni dal debutto su iPhone, iPod Touch e iPad. L’applicazione di Next Srl, scaricabile da App Store con iTunes, ha subito fatto il pieno: i 1.250 utenti che ne hanno già usufruito l’hanno lanciata al 14esimo posto a livello nazionale nella categoria “News”. Un successo rapido quanto insperato per le nostro quotidiano, ora più che mai a portata “di palmo” e quindi ancor più vicino ai lettori, i quali hanno la possibilità di scaricare e sfogliare in anteprima i nuovi numeri del giornale. E giudizi degli utenti in rete sono più che lusinghieri: c’è chi apprezza la grafica “bella e immediata nell’utilizzo”, chi l’interfaccia “carina, veloce e sempre aggiornata” e chi, più in generale, la definisce “ben fatta e di facile consultazione”. Un altro bel passo avanti verso i nostri fedeli e affezionati lettori, ai quali va ancora una volta il nostro ringraziamento.