IL PRIMO FEBBRAIO 2012

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Mensile a tiratura regionale Anno 8 - n. 2 febbraio 2012 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta

NUMERO DA COLLEZIONARE

Mucca al gelo è il titolo della foto che ci è stata gentilmente concessa dal

Quotidiano del Molise

Venticinque fotogrammi della nevicata più ostica che si ricordi nella nostra regione


s o mmari o In questo numero

Rubriche La voce del padrone di Ignazio Annunziata

pag. 4

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Donato Carlea commissario di frescolana

Piazza salotto di Adalberto Cufari

pag. 5

Controcanto di Sergio Genovese

pag. 6

Camera con vista di Antonio Campa

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Rocco Sabelli non vola più

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Le banconote di Gino Marotta

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RC Auto alle stelle

pag. 7

Il Cerino di Pasquale Licursi

pag. 24

Campuascianeria di Arnaldo Brunale

Allegato

pag. 36

op

sco o l e r t l O

Registrazione al Tribunale di Campobasso n°5/05 del 05/03/2005 DIRETTORE EDITORIALE

Gennaro Ventresca DIRETTORE RESPONSABILE

Angelo Santagostino A.I. COMMUNICATION SEDE LEGALE via Gorizia, 42 86100 Campobasso

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Un premio per Tonino Armagno

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Falsi d’autore di Marcello Scarano

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Antonio Casilli stella in libreria

Tel. 0874.481034 - Fax 0874.494752 E-mail: Redazione

redazione@lagazzettadelmolise.it E-mail: Amministrazione-Pubblicità

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STAMPA: A.I. Communication Sessano del Molise (IS) Progetto grafico

Maria Assunta Tullo

Avanti Savoia

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di Gennaro Ventresca

L’Oscar del mese ai giornalisti

Riecco le nevicate di una volta uelli della mia generazione erano ragazzi, forse addirittura bambini quando dovettero fare i conti con gli inverni di una volta. Erano mal vestiti e nelle loro case non c’era il conforto del termosifone. Per scaldarsi c’era solo la stufa economica: serviva per cucinare e per preparare la brace da sistemare con cura nel braciere posto sotto al tavolo. Le camere da letto, così il tinello, restavano fredde, sino a primavera. Per stemperare il rigore dei nostri inverni molisani si faceva girare il braciere. Prima di mettersi a letto le nonne pazientemente davano vita al rito del “monaco”, una specie di slittino di legno che veniva sistemato nel letto scoperto. Nella parte bassa del “monaco” veniva adagiata una scodellina contenente la brace, stando bene attenti a non far cadere la cenere tra le lenzuola. Solo a quel punto la nonna, con perizia, ricopriva il letto che poteva così giovarsi del tepore, in modo da farci trovare le lenzuola di flanella belle calde. Ovviamente quando andavamo a dormire il “monaco” veniva tolto e il braciere portato in un’altra stanza, per non fare la morte del topo, per le esalazioni di ossido di carbonio. Siamo andati avanti per decenni nutrendoci di luoghi comuni: non esistono più le mezze stagioni, sono spariti gli inverni di una volta, il clima di Campobasso non è asciutto come negli anni che furono. Sino a che il buon Dio ha deciso di rimettere le cose al loro posto. Così ci ha restituito l’inverno di una volta. Facendoci capire come si possono battere i denti anche nelle nostre confortevoli case, con riscaldamento a pavimento e il parquet. Per settimane si è andati avanti con una temperatura che ha viaggiato sotto lo zero, senza dimenticare le abbondanti nevicate che hanno obbligato i media a dare la precedenza nei loro servizi proprio a questi avvenimenti. Il Molise, al pari delle altre regioni, si è prima fermato per il blocco stradale imposto dai camionisti, per fare i conti con il generale inverno. Le rubriche televisive più seguite sono state le previsioni del tempo. Abbiamo imparato a memoria i nomi degli ufficiali dell’aeronautica, sono diventati familiari anche quegli svegli giovanotti e quelle delicate ragazze che sul canale 501 su Sky ci hanno monitorato le condizioni del tempo. La Protezione civile con largo anticipo aveva annunciato temperature glaciali e feroci nevicate, ma pochissimi ci hanno creduto. Così, appena gli annunciati fenomeni si sono avverati in molti sono rimasti spiazzati. Anche certi sindaci che hanno sottovalutato l’allarme. Le poco edificanti previsioni hanno trovato riscontro nella realtà. Freddo e neve si sono impadronite del quadro generale molisano, portando disagi in tutti gli angoli della nostra regione. Spingendosi sino al mare. Dove c’è voluto poco per mettere a disagio chi non aveva mai fatto i conti con il brutto tempo. Ben diversa è stata la situazione in alto Molise, intere comunità hanno dovuto fronteggiare situazioni in qualche caso addirittura drammatiche. Nelle nostre case sono giunte immagini raccapriccianti di comuni sommersi anche da oltre due metri di neve, strade ricavate in trincea, auto bloccate, mezzi di trasporto che non hanno rispettato le cadenze giornaliere. Economia bloccata. Mentre a Campobasso e Isernia si è fatta demagogia per attaccare i sindaci che questa volta invece andavano assolti, a Pescopennataro gli abitanti hanno dato una lezione di stile e di fair play. Dichiarando con candore che due metri di neve non li avrebbero fermati. La vita in altura è un’avventura. Per tale ragione i valligiani dovrebbero essere eternamente grati ai montanari che con la loro presenza e la riconosciuta operosità sacrificano le loro esistenze per mantenere vivi posti che la logica imporrebbe di abbandonare.

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Il Tapiro del mese a Sergio Sorella

i sono certe circostanze in cui varrebbe la pena tacere. Per non fare brutte figure. Come è accaduto al noto sindacalista Sergio Sorella, segretario regionale della Flc Cgil. Il quale ha voluto ergersi a protagonista anche con il Molise stretto nella morsa di gelo. Il professore di lettere che da tempo fa il sindacalista di spicco ha tuonato contro la chiusura delle scuole nella nostra regione. Rivendicando una maggiore attenzione per la didattica, malgrado il mezzo metro di neve che è caduto anche in luoghi solitamente immuni da situazioni del genere. Se a Roma con pochi centimetri di manto bianco le lezioni sono state bloccate era logico attendersi lo stesso comportamento per il freddo Molise. Gli amministratori hanno agito bene, usando la diligenza di buoni padri di famiglia. Sorella, invece, ha cercato solo la visibilità e, quindi, il tapiro di febbraio.

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L’EDITORIALE

onsentiteci di riconoscere in questa rubrica il magnifico lavoro svolto dai giornalisti molisani che hanno seguito, attimo per attimo, i momenti topici del mal tempo. Assicurando una informazione attenta, precisa e anche un po’ romantica. In modo particolare meritano un plauso i colleghi delle televisioni che si sono recati sul posto delle tempeste di neve, specie in quei punti dell’Appennino ove s’è scatenato il putiferio. La più temeraria è apparsa Laura Calfapietra della Rai che per stare sulla notizia si è sottoposta a una bufera di neve che a momenti la stava spazzando via. Il suo faccino roseo e la chioma bionda si sono incipriati di fredda neve. Ma lei non ha mollato.

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di Ignazio Annunziata

La voce del padrone

Il coraggio di Ginone a indossato il cappello alla Roberto Baggio. Con la visiera rivolta indietro, come il “divino” codino. Anche nell’abbigliamento il sindaco di Campobasso si è voluto contraddistinguere. Alla vista della copiosa nevicata ha ricordato i suoi inverni contadini. E, con rabbia, è stato il primo a scendere in strada, per opporsi ai morsi del Generale Inverno che dal lontano 1956 non aveva affondavo così profondamente i denti sul collo della sua città e dello stesso Molise. Ginone ha voluto controllare di persona i movimenti di mezzi e uomini lungo le strade del capoluogo che per giorni (e notti) si sono prodigati senza tregua. Non ha badato né al freddo né al gelo e ha tirato dritto. Capendo il momento delicato. Ha fatto persino uso di garbo e diplomazia, Ginone, quando s’è trattato di comunicare con i cittadini. A cui s’è rivolto con toni bassi e persuasisi, invitandoli ad avere pazienza e a collaborare. Perché senza una mano vicendevole non si poteva battere quell’immenso manto di neve che è precipitata sul territorio da lui amministrato. “Per favore, abbiate la compiacenza di pulire davanti alle vostre case e negozi e pulite perlomeno la neve sulle vostre auto” ha detto il sindaco quando cronisti e le televisioni lo hanno intervistato. Quel suo linguaggio diretto ha fatto subito presa: la gente da quel momento quasi d’incanto ha smesso di protestare e si è rimboccata le maniche. Ginone ha fatto ancora centro. Del resto la sua forza è stata la comunicazione, anche se non sono mancate alcune cadute di stile nei momenti del piagnisteo in cui si è lasciato cogliere dalla sterile frase: “Non ho neppure i soldi per un gelato” che è stato il tormentone di due anni e mezzo di amministrazione. Mentre Di Grezia cadde proprio per una nevicata, Di Bartolomeo ha usato la neve per rifarsi una verginità. Il suo indice di gradimento è improvvisamente risalito: la gente ha apprezzato il suo impegno civile e l’amore che lo lega alla sua terra. Fosse stato un altro si sarebbe limitato

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Il sindaco ha voluto controllare per strada le operazioni di sgombro neve

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a dirigere le operazioni stando al caldo del suo ufficio che affaccia sulla piazza più bella della città, invece ha preferito fare il “capomastro”, per strada, dove ha costruito le sue fortune, stando a diretto contatto con la gente. Che per decenni si è rapportata con lui, senza doversi mettere in fila in un ufficio o addirittura prendere appuntamento con una segretaria. Una puntualizzazione: chi firma questa nota non ha mai avuto nulla di personale con Di Bartolomeo. Se sulla Gazzetta del Molise gli ha attribuito ripetuti tapiri lo ha fatto solo per sollecitarlo a fare meglio. Per il bene di una città che aspetta con fiducia tempi migliori.


di Adalberto Cufari

Piazza salotto

a gestione di una città capoluogo di regione è un esercizio che impone atti programmatici, individuazione di obiettivi di sviluppo complessivo, percorsi amministrativi e strutture tecniche adeguate. Non è pensabile continuare ad operare in funzione delle sole emergenze e con gestione di tipo amicale”. Pensiero del consigliere di maggioranza a Campobasso, Nicola Gesualdo. Del quale ci accolliamo il merito di avergli dato credito e di avere più volte approfondito e discusso soprattutto dei temi urbanistici che poi, a ben vedere, sono quelli che strutturalmente reggono il peso della qualità e della sostanza di un’amministrazione civica. I nodi, dunque, di una maggioranza consiliare in fibrillazione da tempo, sono venuti al pettine. Il sindaco Di Bartolomeo, stufo dell’andirivieni dei consiglieri alle sedute consiliari, a giorni alterni minaccia di dimettersi e di mandare tutti a casa. Tentazione legittima, dopo l’ennesimo rinvio della seduta consiliare per mancanza del numero legale. In discussione l’Accordo di programma con la Regione Molise che riteniamo sia il vero nodo da sciogliere per accantonare l’attuale assetto strutturale e urbanistico del capoluogo in favore di una nuova frontiera, in cui siano prevalenti gli interessi collettivi, la valorizzazione dei siti, la realizzazione (finalmente) di un’architettura che faccia giustizia degli obbrobri di cui è contornata la città, e indichi un parametro di qualità cui attenersi per il futuro.

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Maggioranza consiliare, città, e futuro in bilico “Atti programmatici, individuazione di obiettivi di sviluppo complessivo, percorsi amministrativi e strutture tecniche adeguate.” Siamo con Gesualdo, e l’Accordo di programma, quantunque immiserito dal minimalismo culturale degli inquilini di Palazzo san Giorgio, è un atto di programmazione nonché l’individuazione di un obiettivo di sviluppo complessivo del territorio cittadino, che esige, appunto, percorsi amministrativi e strutture tecniche adeguate (noi aggiungiamo: anche una classe politica e dirigente all’altezza del compito). Il redde rationem della vicenda ultra ventennale della nuova sede regionale purtroppo arriva al vaglio di un’amministrazione comunale tremebonda, scollata nella sua articolazione politica, per cui l’argomento

rischia di essere livellato su valutazioni contingenti, politicamente umorali, con qualche appendice di risentimento personale, e un’evidente e conclamato deficit di apertura mentale per capire che in ballo è il destino della Campobasso del Terzo Millennio e non il destino di una cooperativa, di un condominio, di una rotatoria stradale, di una lottizzazione in zona agricola, cui sono avvezzi i consiglieri da anni. Hanno da decidere per la sede del consiglio regionale sull’area dell’ex hotel Roxy, con una superficie utile di 5000 metri quadrati; per la sede della presidenza della giunta regionale per una superficie utile di circa 8mila metri quadrati, da costruire sull’area dell’ex Romagnoli; per un parco urbano con verde attrezzato sull’intera area attual-

mente occupata dal campo sportivo; per un sistema di parcheggi sotterranei interconnessi con la viabilità urbana; per standard urbanistici con servizi urbani interrati riservati agli in vestimenti privati, per una superficie utile di circa 8mila metri quadrati; per un collegamento viario con la tangenziale esterna e per l’accesso interrato al sistema di parcheggi. Hanno da decidere in che città ci toccherà vivere adesso e in futuro. Ne saranno capaci?

L’Accordo di programma per la sede regionale sul terreno del Romagnoli è un argomento troppo complesso per una amministrazione elementare

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di Sergio Genovese

Controcanto

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ome tutti (escluso le nuove generazioni) ho nel cuore Campobasso che è la mia città di nascita. Se l’abbandono per qualche settimana mi assale la nostalgia. Mi manca la sua aria, mi mancano le sue piazze, gli amici e certi profumi che si fanno ancora distinguere specialmente nella parte vecchia. Insomma è un luogo ancestrale perciò mi fa soffrire quando si presenta ai miei occhi in una malinconica e irreversibile versione di resa. Campobasso ha deciso da tempo di camminare in retromarcia. Per non offrire al direttore Gennaro Ventresca altri spunti per scrivere che la vulgata del momento è quella di assegnare tutte le colpe ai politici (mica sono diventati dei martiri?) scelgo un altro itinerario di pensiero o di ragionamento. Resto convinto, però, che gli Amministratori della nostra città non si mostrano all’altezza del compito. Su di loro ricadono le maggiori colpe ma i Campobassani non possono pensare di essere immuni da responsabilità, anzi. Voglio prendere in esame tre monumenti (li ritengo tali) che hanno fatto la storia sociale del nostro capoluogo: “Lo Stadio Romagnoli, il mercato coperto, il Cinema Teatro Ariston”. Sul vecchio Stadio Romagnoli giustamente si è scritto tanto perché ha davvero rappresentato per gli sportivi e non, il collettore di una città che si ritrovava, che annullava le distanze, che deprimeva i contrasti tra le classi (e le caste) sociali, che faceva battere il cuore del centro della città come se fosse un

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La Storia siamo noi check point obbligato per tutti. Sensazionale! Il mercato coperto di via Monforte. Una città nella città. Un centro sociale nel centro. Il luogo che ci offriva tutti gli odori e gli aromi del Molise. L’origano di Campochiaro, i funghi di S.Polo, la carne di Guardiaregia, i formaggi di Agnone e via dicendo. Autentico luogo di incontro delle nostre nonne e delle nostre mamme. Lì si risolvevano i problemi delle famiglie, lì si trovava quella parola di conforto per avere più speranza del futuro, lì si riceveva l’educazione alla tolleranza, al rispetto delle persone. Tutto era complementare ad uno straordinario momento di crescita sociale di una città che si incontrava e si conosceva. C’era persino un direttore

(l’indimenticabile Giovanni Di Tommaso) che doveva coordinare un luogo frenetico che faceva registrare, a qualsiasi ora della giornata, il tutto esaurito e che spruzzava, a getto continuo, momenti di solidarietà sociale. Il Cinema Ariston, che ricordi! Il primo bacio alla fidanzatina, la prima sigaretta, le prime immagini di scene più trasgressive. Quel legno duro sotto alle natiche è stato il posto più comodo per i nostri segreti. Quelle pellicole rumorose che giravano nei vecchi proiettori hanno accompagnato per mano le emozioni e le pulsioni di tantissime generazioni del novecento molisano. Ma diciamo pure che il teatro era bello, assai capiente, sobrio ma elegante. Quando ci incamminiamo

per Via Isernia, ci sembra ancora di incontrare, dopo qualche decina di metri, la faccia severa di Nino De Benedittis. Come in un flash back ci assale ancora la speranza che, lo stesso, al botteghino non faccia questioni sulla nostra richiesta di un ticket che alla bisogna si faceva annunciare da una età quasi sempre camuffata. Il mezzo biglietto per pagare di meno o quei dannati quattordici anni (diventati sedici e poi diciotto) che non arrivavano mai. Questi tre monumenti della storia di Campobasso, hanno finito di esistere, in un silenzio tombale. Senza parole anche quei pseudo intellettuali della città, quelli che presentano tre libri all’anno e parlano come un testo stampato senza trasmettere passioni. Quelli che trovi sempre sulla scena nei giorni in cui retorica ed oleografia chiedono il passo. Abbiamo fatto sparire una fetta importante della nostra storia senza una protesta, apatici e predisposti alla resa e alla rassegnazione. Viene da dire, vergogna! Vergogna per amministratori con la sensibilità sotto le scarpe, irrispettosi del loro e del nostro passato. Vergogna per tutti noi, chini, appassionati solo per i nostri opportunismi e per le nostre ipocrisie. Abbiamo consegnato all’oblio, il casco biondo di Truant, la classe insuperabile di Biondi, l’orgoglio molisano di Scorrano e Di Risio, le “Muratti” dell’Ariston e l’ origano delle vecchiette di Campochiaro. Siamo finiti tutti nella vergogna. La storia siamo noi.


di Antonio Campa

Camera con vista La polemica

’ positivo che il Signor Monti e le due ministre l’abbiano fatta un po’ fuori dal pitale, consentendo di riflettere sulla reale condizione dei giovani tra famiglia e lavoro, con argomenti che vanno oltre la sterile diatriba sui figli loro e su come li abbiano opportunamente sistemati (chi avrebbe fatto il contrario?). L’assunto della Cancellieri, come quello del compianto Padoa Schioppa, non corrisponde tuttavia alla verità, basta guardare al dato boom sulle richieste di arruolamento, in primis nell’esercito che paga peggio, per dimostrare come i nostri giovani siano disposti a lavorare ovunque purché ne valga la pena. Che ci sia poi l’anelito a restare vicini ai propri cari è legittimo, almeno quanto la mobilità di studi e di lavoro che i papà illustri e ricchi cercano di assicurare ai propri rampolli per garantire loro un grande avvenire. Tornando alla gente comune, è un dato di fatto che il problema di andare a cercare lavoro nelle aree più produttive d’Italia, è oggi limitato dai forti costi da affrontare per un immigrato nostrano. Finita l’epoca della casa popolare e degli affitti facili e congrui, oggi bisogna mettere in conto mezzo stipendio solo per il fitto; aggiungendo le spese vive (non sono più i tempi della baracca in Svizzera o della portineria a Roma e i prezzi volano nelle aree più opulente) va da sé che non c’è convenienza a spostarsi, se alla fine lo stipendio dovrà servire a garantire a stento la sopravvivenza da solitari.

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Mammoni, bamboccioni e figli di papà La colpa della Politica, in generale, é di aver sfruttato negli anni il ciclo d’istruzione superiore e univesitario come sostanziale parcheggio per molti, poco inclini alla fatica intellettuale e magari più portati per maneggiare utensili, favorendo il progresso effimero di massa negli studi, sostenuto da lassismo anti meritocratico, mescolato all’esigenza pratica di nascondere disoccupati, senza doversi preoccupare di affrontare la specifica problematica. L’atteggiamento è risultato alla lunga deleterio, in chiave occupazionale, perché ha aumentato le ambizioni di chi ha comunque conseguito il “Pezzo di carta” e non è

stato più disponibile a svolgere lavori non adeguati al titolo, facendo tracimare la fiumana degli extracomunitari. Un altro fenomeno sociale sottovalutato, riguarda il ruolo assunto negli ultimi decenni dai papà/nonni e dalle mamme /nonne. I figli lavorano, spesso a basso reddito, i genitori, magari in pensione prima del tempo, li aiutano economicamente oltre che fisicamente, occupandosi dei nipoti. Un sistema che ha retto finora, ma che l’aumento dell’età pensionabile oltre i 70 anni inevitabilmente minerà, per cui ci si ritroverà con genitori più poveri e poco disponibili e figli con

grandi difficoltà sia nel trovare lavoro sia nel mettere su famiglia. Ultima nota per Monti, già Preside della prestigiosa quanto costosa Università Bocconi di Milano. Molti bocconiani dopo la laurea condita di fatica intellettuale e di grossi sacrifici economici delle famiglie, si ritrovano sempre più spesso a fare gli impiegati in aziende private in Italia, in alternativa gli sportellisti in banca a Londra o a Singapore. E’ questa la mobilità che non annoia?

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di Pino Saluppo

La sfida infinita tra le opposte fazioni politiche per

Lo zucchero di traverso l caso Zuccherificio, la disfida a distanza tra maggioranza ed opposizione, la responsabilità della Giunta di portare a compimento un percorso che ha consentito all'impianto di poter lavorare le barbabietole è emblematico della politica molisana. Un'opposizione, vera, credibile e, soprattutto, politicamente ferrata aveva il dovere, nella serata di mercoledì 1 febbraio, di raccogliere la sfida lanciata dal presidente Iorio per l'immediata iscrizione all'ordine del giorno del provvedimento sullo Zuccherificio. Non commettere, invece, l'autogol di votare contro e far rinviare tutto al sabato seguente. Il ragionamento è semplice. In gioco c'erano gli interessi di un comparto produttivo che, oggi, si trova nel bel mezzo del guado proprio nel mentre la situazione complessiva dello zucchero ha cambiato pagina. Perchè, dopo le tenebre seguite ai tagli inferti da Bruxelles, oggi si assiste all'aumento del prezzo a quintale dello stesso. Per questo, bisognava dare subito un preciso segnale rappresentato dalla volontà di voler continuare sulla strada intrapresa. Certo, fino a prevedere la fuoriuscita della Regione dalla società. L'opposizione, su questo, avrebbe potuto e dovuto lavorare altro che parlare di "continuità aziendale" così come in aula ha recitato Paolo Frattura a nome del centrosinistra. Ancora. Nel momento in cui il presidente Iorio, nel tentativo di convincere a votare i colleghi della minoranza ha sottolineato la piena volontà della maggioranza di convocare un Consiglio regionale apposito sulla tematica Zuccherificio, l'opposizione avrebbe dovuto cogliere la palla al balzo e chiederne la fissazione in tempi strettissimi. Negando quel voto ha, di fatto, negato una discussione a viso aperto nella sede politica per eccellenza. Ancora. Nel momento in cui si poteva dare un segnale forte all'esterno, di presenza del Consiglio regionale a sostegno e supporto di un'attività produttiva, l'opposizione ha preferito giocare nel suo ridotto fortino dimenticando che gli elettori hanno votato per un complesso politico non dividendo i consiglieri in maggioranza e opposizione. Tutti, infatti, sono amministratori e quale occasione migliore di mercoledì sera sarebbe stata quella per manifestare tale coesione e, soprattutto, rispetto politico per un voto espresso. Dinanzi ai problemi non c'è maggioranza o opposizione ma sola la ferrea volontà di risolverli. Certo, con i dovuti e necessari distingui, con le rispettive posizioni maturate, con i legittimi intendimenti ma nell'ambito di una serena e reale programmazione capace di poter far guardare al domani con minori apprensioni. Sono queste le occasioni perse dal centrosinistra in Consiglio regionale che, oggi, cincischia sulla mozione presentata da tutti i gruppi che la compongono, ad eccezion fatta del Pd, con la quale venivano chieste le dimissioni dell'assessore Vitagliano da dare in pasto a chi attende di dover essere pagato o di poter seminare le bietole. Ma l'opposizione molisana, evidentemente, ha il solo chiodo fisso del fortino da difendere senza pensare alla prateria rappresentata dai problemi del territorio.

ATTUALITA’

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di Assunta Domeneghetti

Donato Carlea, un commissario di fresco lana

prire al traffico la fondovalle Rivolo non è più una ‘mission impossible’. Almeno non per l’assessore regionale ai Lavori Pubblici, Antonio Chieffo, che a metà gennaio ha fatto una promessa solenne agli aspiranti utenti della strada, garan- appassionatamente. Poi nulla più, giacché se Carlea da tendo che entro maggio si potrà finalmente circolare su solo non bastava, ci si è messa pure la neve! Ma l’assenza del commissario si è fatta sentire ancor di quei sette chilometri di asfalto che in quarant’anni nessuno è riuscito ancora ad inaugurare. Lungi da noi l’idea più dopo il licenziamento degli operai della ditta San Giudi voler tirare per i piedi l’ex presidente della Provincia liano Scarl (di Salerno). Le maestranze, che prestavano la campobassana. Ma il fatto è che se dietro questa incom- loro opera per la galleria di collegamento tra la P.V. Tappino – Riccia - Colletorto - San pleta opera pubblica - costata Giuliano di Puglia - Ss 376, già oltre 70 milioni di euro all’innesto con la strada tra continuerà ad aleggiare lo Santa Croce di Magliano e la spettro del commissario ad statale 87 (Piane di Larino), acta, Donato Carlea, il timore erano in agitazione da qualche che l’ennesimo imprevisto settimana. E per questo mopossa rallentare i lavori, ditivo la ditta appaltatrice li ha venta praticamente una cermessi a riposo forzato. Cosa tezza. c’entra con Carlea? Anche Forse è soltanto una coinciquesto tunnel di poco più di 2 denza, ma con Carlea di mezzo chilometri è commissariato. le cose vanno sempre per il Ma l’asso pigliatutto a riverso sbagliato. E la questione guardo pare non abbia nulla Rivolo è solo una delle tante. da dire. L’ex provveditore alle opere Chi invece non ha messo un pubbliche di Campania e Mofreno alla lingua è il consilise è ormai come un capo di gliere regionale del Pd, Mifresco lana: buono per tutte le chele Petraroia. All’ingiusto stagioni. I vertici della Regione licenziamento, l’ex sindacaliMolise, con il presidente Mista ha dichiarato che “trattanchele Iorio in testa, sono semdosi di un’opera pubblica pre pronti a spezzare lance in finanziata con fondi dalla colsuo favore. Nonostante i magri lettività, sussiste una responrisultati conseguiti. sabilità formale in capo alla L’ultima comparsata ufficiale stazione appaltante e corre Carlea l’ha fatta nella sede Dalla fondovalle Rivolo alla galleria l’obbligo delle autorità prepodell’assessorato di viale Elena ste alla vigilanza, alla prevenin occasione del ‘giuramento’ di San Giuliano di Puglia: imprevisti, zione e al controllo di di Chieffo. Anche lui, come tempi biblici e lievitazione dei costi adoperarsi con la massima urtutti i rappresentanti degli enti genza per attivare sedi negointeressatati dai lavori (Anas, i risultati prodotti. ziali con le rappresentanze Provincia e Comune di Camsindacali con l’obiettivo di gapobasso), ha dato ampia diEppure la Regione continua rantire il rispetto delle leggi e sponibilità e garantito sul a fidarsi di lui la salvaguardia dei diritti dei completamento celere dellavoratori. Non si comprende l’opera. La soluzione potrebbe come sia possibile che nel essere quella di assegnare la gestione del tratto a palazzo Magno così da coinvolgere i 2012, a fronte di una giustificata protesta sindacale, si protecnici provinciali su interventi e controlli. E soprattutto ceda al licenziamento degli operai in sciopero con pratiterminare le arcinote rampe di raccordo sulla tangenziale che offensive della dignità umana e sistemi appartenenti che spunta a contrada Selvapiana. A questo scopo gli at- a nefaste fasi storiche”. Dopo questo sollecito era stata fissata una riunione per tori coinvolti hanno anche approntato una bozza di accordo di programma da siglare tutti insieme il 9 febbraio. Slittata anche questa a data da destinarsi.

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L’ex provveditore alle opere pubbliche di Campania e Molise è come un capo buono per tutte le stagioni

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SPECIALE NEVE 10

Il Molise pi첫 f


di Gennaro Ventresca

Tutto quello che c’è da ricordare della storica nevicata l maltempo ha colpito duramente il Molise. Ha messo sotto schiaffo le sue città. Le sue strade, quel pezzo di autostrada, le ferrovie e tutti i collegamenti sono rimasti ostaggio del generale inverno. Mai così deciso a sferrare il suo attacco da oltre mezzo secolo. La cattiva stagione ha inciso duramente sul suo fabbisogno energetico, appesantendo un già severo momento di contrazione dell’economia. Sono fiorite le polemiche. Ed è logico che le responsabilità personali e dei vertici di questa o quella pubblica amministrazione o società debbano essere nel tempo accertate e chiarite. Ma è inutile illudersi. Non è con inchieste amministrative e tribunale che ne verremo fuori. Non sta a noi assolvere nessuno, ma la foga dedicata agli attacchi ai comuni più grandi da parte di certe frange di opposizione hanno rischiato di portarci tutti quanti rissosamente fuori dalla questione essenziale. Litighiamo alla molisana, quando il problema è la mancata infrastrutturazione della nostra regione.

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Turbina in azione in Alto Molise con quattro metri di neve e in basso strada del capoluogo con le auto sommerse dalla neve

forte della bufera Sfondati muri di neve da turbine e centinaia di uomini al lavoro ininterrotto

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SPECIALE NEVE

continua da pag. 11

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Due immagini contrastanti: Piazza Sant’Antonio Abate a Campobasso sommersa da un cumulo di neve e due volatili che si riparano sotto il parafango di un’auto in sosta

Da anni e anni è sempre più così. Il potenziamento delle reti infrastrutturali molisane avrebbe dovuto costituire una priorità assoluta della politica economica. Invece la spesa corrente pubblica è salita mentre quella per gli investimenti è scesa. Cervellotiche decisioni hanno fatto pensare a opere dai tempi di realizzazione e dai ritorni sempre più incerti. Il gap è diventato sempre più grave. Se avessimo avuto infrastrutture più adeguate, almeno nelle principali direttrici avremmo subito disagi minori. Le nostre strade sono scomode, tortuose, piene di dossi; non vanno meglio le cose su rotaia. Impensabile dare scorrevolezza al traffico di certi paesini che rappresentano minuscoli puntini del nostro Appennino. Sono troppi i casolari in cui vivono famiglie impegnate nel lavoro dei campi e con gli allevamenti di bestiame. Proprio in quei posti dimenticati da Dio e dagli uomini abbiamo assistito agli interventi più arditi e spettacolari. Case raggiunte con mezzi meccanici e badile; persino dal cielo sono arrivati aiuti, per assicurare fieno agli animali che altrimenti sarebbero morti di fame, tra inquietanti lamenti nelle loro gelide stalle. E’ stato l’inverno più rigido che si ricordi. Uno simile si è registrato 55 anni fa. Ma erano altri tempi e si viveva in altro modo: rare le macchine, pressoché sconosciuta la meccanizzazione agraria, Molise allo stremo, ma meno lamentoso di quello che vive in maniera più agiata di oggi. In mezzo a questo mare di contrarietà è emersa l’organizzazione delle istituzioni e l’abnegazione di migliaia di uomini che si sono dedicati al bene comune. Sia pur tra tante polemiche ha trionfato il lato migliore del nostro Molise che si è opposto testardamente al generale inverno che aveva deciso di sommergerci tutti. Alla fine ha vinto la squadra di Iorio, assieme a quelle di De Matteis e Mazzuto, a cui si sono unite quelle di Di Bartolomeo, Melogli e di tutti gli altri sindaci dalla costa sino ai cocuzzoli più alti, alcuni primi cittadini si sono messi in prima fila con il badile in mano, per fornire non solo la regia, ma anche i muscoli per i soccorsi. Protezione Civile, Avis, Vigili del Fuoco, Carabinieri, Polizia, Finanza, Forestale, associazione di volontari, medici e cittadini comuni hanno compiuto un miracolo alla molisana. Alla faccia di chi ha avuto la sfacciataggine di “gufare”, nella speranza di mettere in cattiva luce chi governa, per ritrarne qualche ritorno elettorale. Invece di fare i maestrini certi personaggi sarebbe stato meglio che fossero scesi anche loro in campo per dare una mano. Tenendo la bocca cucita.


Si è verificata una gara di solidarietà per sconfiggere il Generale Inverno che non si era piÚ manifestato con tale crudezza da oltre mezzo secolo

Ha trionfato il Modello Molise con uomini e mezzi che hanno compiuto autentici miracoli

Il poliedrico Mimmo di Iorio ha fissato tre momenti della nevicata: bambini che giocano per strada, un solitario passeggiatore del corso e un gatto nero smarrito in una trincea scavata nella coltre

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SPECIALE NEVE

di Alberto Tagliaferri

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Foto: Mimmo di Iorio

Ecco tutto quello che è successo in Molise

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desso anche i più giovani potranno affermare “c’ero anch’io”. Anche loro hanno vissuto, in un modo o nell’altro, una delle pagine indimenticabili della nostra vita. Un inverno tanto rigido e caparbio non lo ricordavamo da oltre mezzo secolo. Dopo aver rimpianto (a paroea) gli inverni di una volta, e aver vagato all’interno dei luoghi comuni della mancanza delle mezze stagioni, ecco che è arrivato un inverno tosto e nerboruto che ci ha messo alla frusta. Tanta neve non la ricordiamo neppure nel 1956, anche se quella nevicata si fece maggiormente avvertire per le sue conseguenze: non c’erano spartineve e bisognò aspettare la primavera per ritrovarsi con le strade nuovamente ripulite. Oggi invece i tempi sono cambiati e malgrado le mille traversie si è potuto tornare più celermente alla normalità. Forse per la prima volta la nostra regione è stata colpita integralmente dalla neve. Anche a Termoli e Campomarino il mal tempo ha voluto lasciare le sue impronte. Ma è in alto Molise che sono accaduti i fatti più salienti. Nella nostra regione, a causa delle nevicate, sono

morte sei persone, quasi tutte residenti nelle nostre campagne sperdute. Persino Isernia non è stata risparmiata, così Venafro, centri questi che in genere se la sono cavata a buon mercato quando si è trattato di fare i conti con le cattive condizioni meteo. Campobasso nonostante sia abituato a convivere con le grandi nevicate non ce l’ha fatta a sopportare i soprusi del mal tempo. Non sono bastati decine di mezzi guidati da coraggiosi addetti a tenere sempre sotto controllo le vie del capoluogo. Il sindaco Di Bartolomeo si è messo al comando delle operazioni per trasmettere coraggio ai cittadini e impartire ordini perentori ai sottoposti. Tutti i sindaci hanno lasciato i loro comodi uffici per scendere in prima linea. Ne abbiamo visti molti all’opera, grazie alle immagini che ci sono arrivate nelle nostre case. Qualcuno ha impugnato persino il badile per unirsi ai soccorritori. Dopo una prima abbondante nevicata che è stata stimata in circa 60 centimetri nel capoluogo, di due metri a Pescopennataro e zone limitrofe e venti centimetri sulla costa, c’è stata una breve pausa. E giù una nuova

scaricata. Scuole e uffici chiusi, migliaia di addetti impegnati notte e giorno per portare i soccorsi. Non sono mancate le polemiche, almeno a Campobasso e a Isernia, dove invece di rimboccarsi le maniche qualcuno ha preferito fare la “melina”, attraverso una protesta assolutamente gratuita. Altrove hanno sofferto e lavorato con pazienza. Aspettando il passaggio della turbina, l’arrivo del carburante, degli alimenti per loro e per i propri animali che hanno rischiato di morire oltre che di freddo anche di fame. In questa corsa di solidarietà è appena il caso di rimarcare quanti uomini si sono spesi per fronteggiare la tempesta. E quanti soldi sono usciti: Iorio è riuscito a strappare una promessa al governo per lo stato di calamità. Corre l’obbligo di ringraziare quanti hanno prestato la loro opera per professione e per solidarietà, come certe associazioni a cui basta un cenno per mettersi in moto. Da segnalare il severo impegno dei dipendenti comunali e degli addetti della Sea: hanno trovato il modo di spalare, spargere il sale e raccogliere la spazzatura.


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di Daniela Martelli

SPECIALE NEVE

Le pagelle della neve

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otto casa di mia suocera non s’è visto un solo spalatore”; “Siamo stati letteralmente abbandonati”, “La spazzatura non è stata raccolta”. Potremmo andare avanti chissà ancora a lungo, per sintetizzare la protesta. Perché non c’è niente di più facile (e comodo) di parlare, mentre gli altri smazzano. I cittadini sono fatti così, ormai vogliono essere serviti al bacio. In tutto. Anche quando succede il putiferio. Perché è successo il putiferio nella nostra regione, malgrado la disattenzione degli organi d’informazione nazionali che, presi dal “caso” Roma, hanno dimenticato di andare a vedere dove effettivamente la gente ha dovuto combattere con l’emergenza. In questa breve nota è appena il caso di ricordare quanti si sono prodigati perché neve e gelo non creassero ulteriori danni. Il governatore Iorio con baldanza si è posto al vertice cercando prima di tutto gli aiuti (economici) del governo (voto 8) e nel costruire un tavolo per coordinare le operazioni di soccorso (voto 8). La Protezione Civile ha svolto persino con un eccesso di fervore il suo compito (voto 8), sapendo scegliersi il ruolo che le compete e trovando il modo di rapportarsi organicamente alle altre forze di soccorso e alle autorità locali. Le forze di polizia sono state encomiabili (voto 8). Tutti hanno dato il massimo, buttandosi coraggiosamente nella tempesta di neve e nelle innumerevoli azioni di aiuto. Non si contano le sucite dei vigili del fuoco (voto 8) che hanno eseguito interventi dieci volte superiori a quelli di routine, con gli stessi mezzi e uomini. Bene anche Finanza, Carabinieri, Forestale, Polizia Municipale che hanno dato il loro generoso contributo, senza concedersi pause (voto 8). Onore e merito alle associazioni che, senza fini di lucro, non hanno indugiato a mettersi al lavoro. Medici, infermieri, autisti di ambulanze, di ruspe, di spartineve, di spargisale hanno fatto più del dovuto, senza mai perdere coraggio e pazienza (voto 8). Ci sono stati semplici operai, alcuni anche vestiti alla meglio nell’affrontare il gelo, che per poche decine di euro al giorno hanno lavorato duro, per spalare le strade. (voto 8). Nei casolari sperduti intere famiglie con anziani e persino con persone ammalate hanno atteso fiduciose i so-

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Iorio meglio di Napoleone Il simpatico fotomontaggio che riportiamo in pagina mostra il Governatore nei panni di Napoleone: ma a differenza del condottiero transalpino Iorio non si è fatto piegare dal Generale Inverno

stegni. Per non far morire di fame i loro animali hanno sfidato tutte le inclemenze del tempo, rischiando in alcuni casi la vita (voto 10). All’appello mancano 6 molisani, morti per ragioni collegate al freddo e al gelo. Questo dato ha denunciato clamorosamente la sconfitta dei soccorritori che sebbene si siano prodigati non ce l’hanno fatta a cambiare le loro sorti (voto 10). Voti alti anche ai sindaci che sono scesi in campo a lanciare un messaggio rassicurante ai cittadini (voto 8). Gli unici che non sono stati all’altezza del compito sono stati i cittadini che hanno aspettato nella maggior parte dei casi i soccorsi, sbracciandosi solo per levare le loro proteste, anziché per mettersi a spalare, (voto 4). Auto lasciate per giorni e giorni incappottate di neve, condomini che non hanno pulito davanti ai loro palazzi, negozi che hanno lesinato di pulire l’area antistante ai loro esercizi (voto 4). Il massimo dei voti va attribuito ai molisani di montagna che anche in questa occasione hanno pagato il prezzo più alto, (voto 10 e lode). Mentre il Molise combatteva con la neve altissima a Roma facevano a gara a spararle più grosse (voto 0). Comune e Protezione Civile hanno offerto una brutta pagina (voto 0). Senza avere l’umiltà di vedere le immagini di ciò che è accaduto nel Molise, nelle Marche, in Romagna e nelle altre regioni in cui si è lavorato duro. Altro che chiacchiere.

Il voto più alto ai soccorritori, quello più basso va ai cittadini


La Polemica oma è una grande capitale e una città di provincia, sosteneva Flaiano. Il giudizio dello scrittore abruzzese ha trovato conferma con l’emergenza neve, che ha visto giornalisti e star televisive starnazzare sui disagi patiti, sminuendo di fatto impegno e volontà di quanti anche da quelle parti si sono impegnati al massimo e finendo col coprire di ridicolo la città eterna agli occhi degli italiani sommersi dalla neve, per l’enfasi inappropriata sulla nevicata romana. L’ultima degna di nota fu quella del 56, cantata da Mia Martini su testo e musica di Califano. Un po’ tutti hanno compatito e irriso i romani messi ko da pochi centimetri di neve. E’ stucchevole però ergersi a maestrini, l’evento eccezionale crea scompiglio dove non si è abituati a quel tipo di emergenza. Roma è andata in tilt perché non preparata né attrezzata per il fenomeno nevoso.

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L’impegno generale nelle nostre province è stato pari alla portata straordinaria delle nevicate. Qualche imprecazione pure è scappata, gesti e parole di rabbia di chi s’è visto perso o si è sentito abbandonato, di chi cercava di liberare l’auto sprofondata nella neve caduta e ammassata dagli spartineve. La macchina dei soccorsi e degli interventi ha funzionato bene, i pochi disservizi sono stati fisiologici. I media hanno dato il meglio, accompagnandoci nel nostro piccolo mondo tornato antico, all’isolamento d’antan, al vivere fuori dai denti. La nevicata del 2012, così lunga e pesante, ha evidenziato un problema che paradossalmente si collega di solito alla situazione di stress per la vita frenetica che conduciamo. Stavolta, a rendere tutti insofferenti, è stato invece lo scenario opposto, quello degli “arresti domiciliari” di massa decretati dal Generale inverno. I nostri ragazzi tra tv, videogiochi e

computer, hanno impiegato al meglio le giornate, con una parte che non ha disdegnato libri e studio, al contrario le signore alle prese con gente per casa, frigoriferi vuoti, marciapiedi impraticabili e supermercati distanti e con poche scorte, non hanno gradito la lunga pausa dalla routine. Per non dire dei maschietti i quali, finita l’euforia del primo giorno, constatato che le tv nel periodo in cui l’auditel è in pausa trasmettono solo repliche, furenti al pensiero di non poter usare l’auto, hanno messo a dura prova il proprio autocontrollo. Le attività produttive hanno vissuto giorni di magra, nelle sedi istituzionali la tensione è rimasta alta per la gravità della situazione. Il senso di responsabilità per fortuna ha prevalso, grazie anche alla percezione del dramma nazionale e delle tragedie che hanno caratterizzato questa forte e lunga nevicata del 2012. Anno bisesto, cominciato in modo molesto. (An.Ca.)

Chiacchiere romane e fatti molisani Il Colosseo romanticamente imbiancato e la collina Monforte avvolta da una spessa coltre di neve: situazioni a confronto

Una intraprendente spalatrice pulisce il marciapiede dopo aver lasciato gli abiti a casa

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di Lino Santone

Ricordo della nevicata del ’56 ia cugina Patrizia da Roma mi chiama con la sua voce caratteristica: “Ho visto la Tv, il Molise è nuovamente sotto la tormenta come raccontava mio padre per la nevicata del 56, tu c’eri si nel 56? Certo che c’ero nel 56, avevo nove anni e abitavo in P.zza Umberto I n°6 del mio paese Riccia. Ricordo nitidamente quel Febbraio del 56; era Carnevale come adesso. Appiccicato con il naso al vetro del balcone guardavo la cosiddetta “cima”, la collina dalla quale doveva spuntare il postale proveniente da Napoli; doveva arrivare mio fratello. Intanto cadevano i primi fiocchi; il primo commento fu quello di mio nonno: “Vedi sciocca a pil de jatt, ogni ora palmi quattro”. Intanto mia nonna nel grande camino della cucina si accingeva a preparare baccalà e patate sotto la coppa, mentre mia sorella impastava gli struffoli..era Carnevale appunto. Con mezz’ora di ritardo finalmente la corriera era arrivata e tra i tanti passeggeri c’era mio fratello accolto tra gridolini delle donne, pacche sulle spalle di noi fratelli. Lui si scherniva “abbiamo incontrato brutto tempo, nevicherà forte. Al limitare del bosco ha fatto già 20 cm di neve.”Intanto i preparativi per la cena continuavano a essere disposti da mia madre e mia nonna mentre io e mio padre curavamo il fuoco; doveva essere bello grande per durare tutta la sera! Il sole ormai era caduto da un pezzo e mia madre consigliò di chiudere gli scuri dei balconi e delle finestre dei piani superiori della casa “Se nevica”. Intanto l’orologio del convento nel battere le ore propagava uno strano suono “Ngelà, ngelà” Con ciò dimostrando ormai che la neve aveva preso possesso anche della campana. Di colpo, mentre si stava per andare a tavola, la lampadina incominciò a fare delle bizze “Eh se va via la luce….” Allora tutti alla ricerca delle candele. Mio nonno riuscì a recuperare un’antica lampada da carrettiere, quelle che andavano a petrolio per intenderci”, la posizionò sulla trave sulla tavola e gli diede fuoco.

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Una splendida foto del compianto Franco Gasdia, scattata nell’inverno del ’56

Una luce rossastra si propagò per tutta la stanza. Fu in quel momento che mi accorsi che il solo rumore che si sentiva era il crepitare del fuoco, il resto era tutto silenzio intervallato dal fischio del vento che cercava di entrare in casa attraverso gli spifferi degli infissi. Mia madre disse “Ci vorrà ancora tempo per la cena; sarà il caso che prepariate la tovaglia, e che intanto qualcuno racconti qualcosa che riguardi l’inverno”. Teresa mia sorella disse “Lino, Lino, leggi la poesia che ti ha consegnato la maestra”. Io cercai di schernirmi poi dissi “ma è difficile, è di Giovanni Pascoli, si chiama I canti di Castelvecchio. È vero che parla anche un poco della neve, ma parla soprattutto della lampada che a cena raduna la famiglia e che lui vedeva come una luna su prato di neve”. Ma più che di questo vorrei parlarvi di Mast’ Iacuccio suonatore di piffero che sorpreso dalla tormenta di neve su uno dei sentieri della montagna verso Riccia con a tracolla il suo tamburo cercava di ripararsi dal freddo pungente camminando al riparo dei cerri e tendeva l’orecchio ad eventuali rumori. Il silenzio che lo avvolgeva tutto intorno fu rotto dagli ululati dei lupi. Non avendo altro scampo si arrampicò sopra un albero e si pose a cavalcioni su un grosso ramo. I lupi alla base dell’albero gli ringhiavano contro e graffiavano con le zampe il tronco.

Fu in quel momento che nel pieno del terrore che lo stava attanagliando, per un maldestro movimento scoprì che le bacchette del tamburo, urtando casualmente la pelle emettevano il caratteristico rumore rullante. A quel rumore notò che i lupi si erano fermati quasi impauriti e allora pensando che il suono dello strumento potesse allontanarli incominciò a battere a più non posso. I lupi, infatti, intimoriti si diedero alla fuga. Però Mast’Iacuccio non smise di suonare il tamburo e terrorizzato continuò ad avanzare in modo forsennato tra i cumuli di neve riuscendo dopo alcune ore a rientrare in paese; alla moglie incredula che lo aspettava dietro l’uscio di casa confessò che la pelle dell’asino che era servita per fabbricare il tamburo gli aveva salvato la sua vecchia pellaccia di suonatore di novene natalizie. Uno scappellotto di mio padre mi fece tornare alla realtà: “e bravo Lino, si vede che la neve ti deve proprio impressionare se ti fa tornare alla mente queste antiche favole”. Ora non è più tempo di favole, la neve provoca tanti disagi; alcune persone perdono addirittura la vita per il freddo e per l’imperizia degli uomini a gestire calamità del genere. Per me comunque che resto fedele alla soffice neve della mia infanzia i ricordi restano abbarbicati ad una nevicata epocale come quella del 1956.


Due storici scatti di Franco Gasdia testimoniano il disagio molisano: in basso elicottero con soccorsi al Romagnoli e treno in corsa fasciato di ghiaccio

di Gegè Cerulli

COME ERAVAMO Erano gli anni della stufa a legna, del monaco del letto, e delle strade bloccate per una settimana

Non c’era ancora la televisione in casa e si andava a letto all’imbrunire per risparmiare la legna

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ra il 1956. Molti di voi non erano neppure nati. Il centro storico si sta già sfollando. Le prime cooperative nacquero dietro al Cinema Odeon. Le pareti erano ancora fresche d’intonaco quando arrivò una nevicata che è passata alla storia. I nuovi alloggi avevano quattro stanze e accessori, tra cui un vero bagno, con vasca e bidet. Ma, nonostante il freddo campobassano, venivano riscaldati con la stufa economica, situata in cucina. Nelle stanze, per stemperare l’aria si usava il braciere; a letto per non infilarsi nelle lenzuola gelide si infilava il “monaco”, il mattone caldo e, più avanti, la borsa d’acqua calda. Appena dopo le vacanze natalizie la città capoluogo dovette fare i conti con una sontuosa nevicata. Per intere giornate la neve cadde sull’altra neve. Accumulando un manto elevatissimo che sfiorò il metro d’altezza. Chiusero le scuole, forse anche gli uffici. Campobasso venne letteralmente paralizzata. Dovettero fare i conti con la dura realtà i paesini della provincia. Treni bloccati sui binari, strade cancellate da montagne di neve, polvere di neve sparsa alla rinfusa dal vento dispettoso. Pochissimi i mezzi di soccorso. La protezione civile non era stata ancora istituita. Giravano solo scarsi spartineve dell’Anas, capitanati da una turbina che non aveva nulla a che fare con quelle che ci sono oggi, che puliscono che è una bellezza. Nei nostri comuni abbandonati da Dio e dagli uomini quando si vedeva arrivare la macchina dell’Anas era un rincorrersi di speranze. Che spesso, però, venivano vanificate. Il vento ancora più dispettoso, richiudeva alle spalle il solco scavato dallo spartineve. Nei paesi più interclusi, per far fronte alle emergenze, non bastava più lo spartineve, impotente di fronte alla ferrea resistenza del manto nevoso. Si dovette ricorrere a un rumoroso elicottero che oltre ai medicinali distribuì anche pagnotte di pane. Lanciate dal cielo, all’interno di sacchi di juta, usati dai contadini per il raccolto. Fu un duro inverno quello del 1956. Non c’era la televisione. E spesso mancava anche la luce. Quando faceva buio spesso non restava che andare a letto presto, anche per risparmiare la legna e il carbone. L’emergenza durò non meno di quindici giorni. Durante i quali fu tutta una paralisi. Non c’era modo di protestare con nessuno: i mezzi di informazione erano scarsi e modesti e le notizie riportate dai giornali che pubblicavano una pagina della nostra regione erano già vecchie di almeno due giorni, figlie del “fuori sacco”.

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Le foto sulla c Antonello Luciani


Antonello Luciani ha fermato alcune splendide immagini della nevicata nel capoluogo che riportiamo nel servizio in bianco e nero

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Cani sotto la neve che si guardano teneramente In basso Piazza Cesare Battisti con spalatore esausto con due pale a spalla


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Piazza D’Ovidio

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di Pasquale Licursi

Il cerino

on si vedeva tanta neve da chissà quanti anni. Bianca e violenta in alcuni momenti. La sera, quando era calmo, si posava che era una meraviglia e si appoggiava ovunque. Sui tetti delle case e sulle macchine, sugli alberi e sui marciapiedi intorno. Quando faceva giorno una frenesia che non ricordavo s’impadroniva di tutti, esclusi i vecchi che non possono camminare. Hanno paura della neve. I vecchi nella neve sembrano così strani che ti fanno tenerezza. Ma quando scende sembra pilotata da un Dio bambino che vuole divertirsi anche lui. Qui la neve è anche solitudine, problemi, isolamento, schifezza. Sono belli i quartieri storici con la neve e le luci deboli all’angolo di pietra. Per chi è privilegiato la neve è passeggiate strane, fino alla fine del paese e campagna. Cose così. E vai dove non ci passa nessuno e senti la neve sotto come non la sentirai mai più. Senti il soffice che s’abbassa e una musica, proprio una musica che rimbomba. Oppure perline di cristallo in lontananza. La neve dei poeti. Ma la neve come ogni cosa bella nasconde insidie da sempre e il ghiaccio si fa strada. E gli ospedali difficili da raggiungere per chi non vive bene. Da postazioni privilegiate come la mia quando nevica mi sembra di tornare ai giochi invernali, ai pupazzi e alle serenate. Al vino rosso e alla salsiccia che più buona non sarà più. Ma penso a quelli che non ce la fanno a vedere le cose così e mi rendo conto che se la neve

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La neve è anche solitudine non facesse sarebbe meglio un po’ per tutti. È che voglio mettere poesia ovunque e non capisco. Voglio per forza vederci cose che capisco essere difficili, complicate. Non vere. La neve è pericolo e non basta fare una passeggiata con una bella ragazza tra strade deserte e sole a farti capire che bufere così tritano bilanci comunali già poveri e affamati. La neve è un po’ come la politica di adesso. Sembra pulita quando scende ma poi si sporca piano piano e diventa immondizia, squallore, ghiaccio rappreso. Meglio evitare. La neve, come ogni cosa bella, crea il disagio fisico in chi deve per forza uscire di casa al mattino presto e non trova il pulmann per il lavoro. La neve è maledizione allora. Ma qui in Molise la neve è come elemento senza del quale non sarebbe Molise. Termoli senza mare. E fa un effetto strano vederla ora agli angoli delle strade, ammucchiata e sporca che non sembra lei. Lontana parente di quella scesa dal cielo e leggera come musica celeste. Non è lei. E sembra già passata. Tornano le macchine e tornano i rumori. In fondo esistono due tipi di neve. Precisi. La neve dell’anima, quella che scende ma non si posa mai e quella del quotidiano che non ti fa viaggiare, non ti fa entrare al supermercato, né ti fa sorridere di esistere. Esistono due modi distinti di vedere la neve. E

Senti il soffice che s’abbassa e una musica, proprio una musica che rimbomba capirla. E spesso, quasi sempre, devi fare i conti con una neve presto grigio cenere, una neve dell’emergenza, dei solai crollati, degli scarponi zuppi d’acqua e del ghiaccio che blocca i fornai. Ora c’è il sole e scioglie tutto in pochi giorni. Vento caldo dall’Africa asciugherà quel che resta e i marciapiedi torneranno a brillare come sempre. E resta il ricordo della neve bianca e profumata. Perché la neve ha un suo particolarissimo profumo – odore. Come il ghiaccio del Titanic. Fresco e di vento. Ma tragedia. La neve è anche tragedia. Bianca. E vedi donne alla finestra che puliscono i vetri dei balconi. Uomini che riaggiustano cortili e macchine stanche.

Torna la vita dici. Quella normale, quella di ogni giorno. Tu ti affacci alla finestra e vedi – guardi – le luci lontane e pensi davvero che la neve è stato un pretesto per uscire tardi col cane che si tuffa. Pensi che non sempre può andare come sogni o come speri. Pensi che la neve è un danno, fisico dico. Ma ti piace. E da questo angolo che nessuno conosce speri che torni presto, la neve, ma senza posarsi. Nevica e le strade sono libere. Così, semplicemente per cantare una canzone. Perché quando nevica ti viene meglio e una tromba è altra cosa, più libera. La neve, che non si vedeva da tanto, mi ha fatto felice. Che ci posso fare?


di Antonio Di Monaco Il 58enne manager di Agnone è pronto a lasciare la poltrona di amministratore delegato: i conti in rosso dell’azienda hanno avuto la meglio

occo Sabelli plana in scioltezza sulla pista di atterraggio di Alitalia. Il 58enne manager di Agnone, in un’intervista concessa qualche settimana fa a “La Repubblica”, ha annunciato di voler lasciare la poltrona di amministratore delegato dopo 42 mesi di gestione della compagnia rilevata da Cai (Compagnia Aerea Italiana) a fine 2008. La decisione di non accettare la proposta di rinnovo del mandato sarà ratificata nelle prossime assemblee del Cda e dei soci dell’azienda. Quest’ultima sarà chiamata a breve ad approvare il bilancio 2011. Ed è qui che cominciano le dolenti note. Il pareggio operativo (ovvero l’ammontare delle vendite che consente di coprire i costi operativi aziendali), che era uno dei principali obiettivi di Sabelli, non arriverà. Allo stesso modo, la mancata fusione con Air France, la quale avrebbe rilevato – per parte sua – crediti e debiti invece di coprire le passività con i soldi pubblici com’è poi avvenuto, ha contribuito ad accentuare le difficoltà economiche e finanziarie di un’azienda che doveva ripartire e recuperare quote di mercato. Il nostro, accanito tifoso dell’Olympia Agnonese (cui ogni stagione elargisce un congruo contributo in moneta sonante) che milita

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ta Alitalia Sabelli atterra

in serie D e che recentemente ha affrontato in amichevole la Juventus sul campo di allenamento degli stessi bianconeri a Vinovo, si difende così dalle colonne del quotidiano di piazza Indipendenza: “Ho fatto il miglior percorso possibile, ma questi 3 anni e mezzo sono stati un massacro. Non ci ho dormito la notte per questa azienda”. E sulla mancata operazione con Air France, ammette: “Resta la strada maestra e

non la rinnego. Anzi, in Italia come in altri Paesi che proteggono il proprio mercato (penso alla Francia), ci sarebbe bisogno di meno liberalizzazioni, meno compagnie. Serve piuttosto un oligopolio con prezzi leggermente più alti per garantire ai passeggeri un servizio ancora migliore, una filiera meno assetata di denaro prodotto in gran parte dalle compagnie”. E Sabelli, dal canto suo, è salito agli onori delle cro-

nache come “spalla” delle scalate di Roberto Colaninno a Telecom, Piaggio e, appunto, Alitalia dopo estenuanti trattative con i sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) concluse il 12 dicembre 2008 con la firma dell’atto di acquisto assieme al commissario straordinario, Augusto Fantozzi. Un altro esempio di finanza creativa? I conti in rosso di Alitalia sono lì a certificarlo semmai ce ne fosse (ancora) bisogno.

Il nostro, accanito tifoso dell’Olympia Agnonese, elargisce ogni anno un congruo contributo finanziario alla società che milita in serie D

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di Daniela Martelli

Un gran caffè e un ristorante di prestigio hanno fatto centro nel cuore dei campobassani

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Avanti Savoia

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na sola certezza: si finisce col fare scopa con i piatti tipici molisani, preparati con gli ingredienti genuini del territorio. Ogni volta si prova quel piacevole effetto sorpresa che stuzzica l’appetito anche di quel commensale che si sente già sazio ormai perennemente da mangiate che si vanno facendo qua e là, a volte anche senza senso. Lo chef ha preso l’abitudine di reinterpretare “un classico”, in modo da vincere in gusto e originalità. Carne deliziosamente tenera e rosata, servita con un sugo aromatizzato e stuzzicante che dà al piatto uno sprint e una dignità del tutto nuova. E si potrebbe andare avanti nell’anticipare il trionfo di sapori di tutte le altre portate. Senza escludere i menù di pesce, per i quali il Savoia si avvale della consulenza di Nicola Vizzarri.


Piero Stella invogliato da Achille Bianchi ha investito una rilevante cifra per dare al capoluogo in pieno centro un locale cool

L’imprenditore Piero Stella dopo essersi forgiato a Isernia con il risto-pub La Strada ha investito nel capoluogo aprendo in pienissimo centro un locale di prestigio ove è alto il rapporto qualità-prezzo

Il Ristorante Savoia, nato da pochi mesi nel rinnovato stabile che confina con il teatro di Campobasso e che una volta ospitava i locali dell’Hotel San Giorgio, ha appena aperto e già se ne parla fitto fitto. Al piano di sopra, il Gran Caffè Savoia, nato qualche in estate, è già diventato un luogo di ritrovo abituale della città. Ad afferrare il coraggio a due mani e a tirar fuori una valigia di euro è stato un imprenditore che vive a Isernia da quasi 30 anni e che ha radici conficcate nella ristorazione. Piero Stella è nato circa mezzo secolo fa ad Amatrice, il paese dei famosi bucatini all’amatriciana, e nella sua frenetica esistenza ha fatto tante cose. Convogliandosi nel campo nella ristorazione, una volta trasferitosi a Isernia, ove gestisce con successo un locale che è diventato un cult, La Strada, un risto-pub che va alla grande.

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Menù alternativi che valorizzano il territorio alla base del successo del locale che regala anche una piacevole sorpresa con il prezzo in linea con quelli presenti sulla piazza dello stesso target

ATTUALITA’

La sala del Ristorante Savoia e, in basso, la cantina-enoteca del locale sorto là dove c’era il ristorante dell’Hotel San Giorgio

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Sollecitato da Achille Bianchi, ex socio di Massimo Di Risio, che ha ristrutturato l’ex Hotel San Giorgio del capoluogo, vendendo tutti gli appartamenti eccetto i locali commerciali, Piero Stella si è lasciato affascinare dall’idea di aprire a Campobasso un luogo affascinante, capace di intercettare una bella clientela ai tavoli di un bar o in una delle sale del ristorante del piano interrato. Il successo è arrivato immediatamente, a testimonianza che l’investimento è stato mirato, effettuato da un esperto del settore. Va spiegato subito che al Savoia si mangia bene, e si gode di un’atmosfera unica, in un ambiente pieno di glamour che ti mette a proprio agio. Il servizio è di alto livello, ricchissima la cantina, all’ordine del giorno i menù alternativi. Cento i posti disponibili nelle intriganti sale collegate da eleganti camminamenti, ideali per piccoli banchetti di lavoro e di ricorrenze speciali, per una clientela selezionata. Una piacevole scoperta è anche il prezzo, in linea con la media dei locali cittadini di quel target.

L’esterno del Gran Caffè Savoia che in pochi mesi è riuscito a diventare un luogo di ritrovo della città capoluogo


Gino Marotta testimonial con la sua arte del Molise nel mondo

Il Molise effigiato sul conio celebrativo che sarà emesso dalla Zecca di Stato a Zecca dello Stato conierà una moneta commemorativa da 5 euro, in argento, dedicata al Molise. Davanti sarà raffigurato il Castello Monforte (visto dal lato del ponte levatoio) e sul retro uno scorcio della chiesa romanica di San Giorgio. Il Molise è stato in lizza con l’Abruzzo per questo evento commemorativo del 150esimo anniversario dell’unità d’Italia. Se l’ha spuntata, lo deve all’autorità artistica e culturale di Gino Marotta che curerà il disegno e l’incisione. Questo va detto e sottolineato in ossequio alla verità e per rinnovare, ancora una volta, a Marotta la gratitudine dei molisani (per bene) per il lustro che la sua fama, le sue opere, e la sua firma arrecano al Molise. Non era facile superare l’ostacolo frapposto dagli abruzzesi che per l’occasione, comprendendo il valore storico dell’iniziativa della Zecca, avevano alzato di tanto l’asticella della priorità per impedire che fosse il “piccolo” Molise ad avere la meglio. Se l’ostacolo è stato superato, ribadiamo, lo si deve alla preponderante personalità artistica di Marotta e alla sua orgogliosa molisanità. Riteniamo doveroso dare conto di come, e perché, è venuta a realizzazione una moneta d’argento coniata dalla Zecca di Stato, con effigi del Molise, non fosse altro per equilibrare la notizia dell’evento diramata da una

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Il timbro di Gino Marotta

istituzione locale, sfacciatamente sbilanciata in suo favore. Ci riferiamo alla nota diramata dalla Provincia di Campobasso in cui non c’è alcun cenno al ruolo e all’opera di Marotta, nonostante sia stato quest’ultimo a coinvolgere l’ente in questione chiedendo, ed ottenendo, la documentazione fotografica relativa al Castello Monforte (lato del ponte levatoio) e alla chiesa romanica di San Giorgio. La richiesta nasceva dal fatto che la Provincia, in passato, ha avuto il merito di aver acquistato l’archivio fotografico di Leonardo Tartaglia (in arte Lefra) contenente l’immagine del Castello presa dal lato del ponte levatoio, e della chiesa di San Giorgio. Quello ceduto da Lefra è un patrimonio fotografico di grande rilievo

documentale (oltre 600mila immagini), che meriterebbe ben altra sorte che non essere ammucchiato da qualche parte nella Biblioteca provinciale. Ma tant’è. Sta di fatto che qualcuno sapeva dell’esistenza delle immagini di cui aveva bisogno Marotta per corrispondere alle necessità della Zecca, ed ha avuto il buongusto di informarlo. La Provincia, e il presidente De Matteis, a loro volta, hanno il merito di essere stati disponibili e solleciti nel fornire il materiale richiesto, e di ciò gli va dato atto. Ma ciò non autorizza la Provincia a darsi merito senza averlo prima dato a chi, in questa importante vicenda, davvero ne ha. Dardo

L’artista campobassano ha avuto la sensibilità di scegliere il Castello Monforte e la Chiesa di San Giorgio

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di Aldo Fabio Venditto

Assicurazioni Rca alle stelle La Provincia di Campobasso ritocca sensibilmente l’aliquota, portandola al limite massimo di legge. Uno stratagemma che genera da subito maggiori introiti per 1milione 768mila euro l’anno e il governo riduce i trasferi- alle linee programmatiche” del trien- mero di frodi che, secondo l’Isvap, rimenti statali alle province, gli nio 2012 – 2014. Pertanto, l’aliquota in guarda il 3% delle polizze sottoscritte. enti territoriali agiscono di con- provincia di Campobasso sale al li- Vanno sempre più diffondendosi, diseguenza. L’unico strumento utile a mite massimo di legge del 16%. fatti, compagnie che offrono contratti reperire nuovi fondi sono le tasse, da In pratica e in riferimento ai dati artefatti, privi di qualsivoglia effetto o istituire ex novo o da ritoccare, ren- dell’ultimo quadriennio, “è possibile valore legale, ma a prezzi stracciati. dendole sempre più esose. A dispetto stimare la variazioni del gettito delSenza arrivare al raggiro, secondo del colore politico dell’amministra- l’imposta Rca in circa euro 510.319,65 uno studio delle stesse compagnie aszione di turno, infatti, la soluzione su base annua, per ogni punto per- sicurative, molte famiglie finiranno pare sempre la stessa. centuale di variazione sull’aliquota per recuperare i 50 euro di aumento Non sfugge a questa logica la Pro- base”. In totale oltre 1milione 768mila medio, risparmiando sulle opzioni di vincia di Campobasso che recente- euro aggiuntivi (e ogni dodici mesi) ai sicurezza personale, come le garanzie mente ha ritoccato l’imposta sulle 6milioni 650mila già incassati con il di furto e incendio, di assistenza e tuassicurazioni contro la responsabilità regime in vigore. tela legale, fino alle coperture per incivile Rca, in riferimento all’aliquota Il balzello colpisce una voce del bilan- fortuni del conducente. per l’anno 2012. Nella delibera di cio familiare già gravata da continui rinUna sbandata pericolosa per la Giunta numero 218 del 15 dicembre cari. Il costo medio di un’assicurazione Giunta De Matteis che, a fronte di un scorso, si prende atto “dell’autonomia auto nel nostro paese è di 407 euro incremento cospicuo della pressione di entrate che ridisegna la fiscalità ogni 12 mesi, a dispetto di una media fiscale, deve ore rispondere con invedelle province” in ottica federale: in europea non superiore ai 230 euro. stimenti per la sicurezza, volti a mipratica l’esecutivo capeggiato da RoA incidere prevalentemente sui gliorare la percorribilità di tutte le sario De Matteis rivendica la possibi- premi sono i tributi locali e l’alto nu- strade provinciali. lità di “manovre sulle aliquote, entro la forbice prevista dal legislatore”. Il gettito dell’imposta sulle assicurazioni è attribuito alle province dal 1997, come da decreto legislativo 446 dello stesso anno, in misura pari al 12,5% del totale. Gli enti però, possono stabilire eventuali riduzioni o aumenti, entro e non oltre il 3,5%. Potevano i nostri amministratori di via Roma stima premi lasciarsi sfuggire un’occaanno aliquota gettito (imponibile) sione tanto ghiotta? “Si ritiene opportuno – 2008 12,5% euro 6.289.668,36 euro 50.309.346,88 dispongono all’unanimità 2009 12,5% euro 6.234.492,51 euro 49.875.940,08 De Matteis, Talucci, Colaci, Di Biase, Micone e 2010 12,5% euro 6.342.821,71 euro 50.742.573,68 Tramontano – aumentare 2011 (stima) 12,5% euro 6.650.000,00 euro 53.200.000,00 l’aliquota di 3,5 punti rispetto alla misura base”, Media del quadriennio euro 6.379.245,65 euro 51.031.965,16 per “assicurare, seppur di in base ai dati del gettito dell’ultimo quadriennio è possibile stimare la variazione del gettito dell’imposta stretta misura, una manoRCA in circa euro 510.319,65 su base annua per ogni punto percentuale di variazione sull’aliquota base. vra di bilancio adeguata

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Con la scusa del federalismo la Giunta De Matteis ritocca l’aliquota di 3,5 punti: si passa subito dal 12,5 al 16%, ma non è chiaro se i fondi saranno destinati alle infrastrutture viarie I CONTI DAL 2008 AD OGGI

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Nel segno del grande commediografo campobassano 7 gruppi teatrali in gara si contendono

Il premio Tonino Armagno veva 84 anni Tonino Armagno quando se n’è andato. Dopo aver speso ingegno e sudore per l’arte. Il teatro campobassano ha vissuto per oltre mezzo secolo nel suo solco. I più promettenti attori si sono formati alla sua scuola. Le sue commedie sono state come tavole periodiche dei sentimenti. Impeccabili le sue regie. Non si contano, nel suo fecondo cammino, le poesie e gli altri addentellati artistici, senza tralasciare la musica. Per ricordare l’illustre intellettuale che ha amato la sua città e il dialetto, diventando una specie di Eduardo De Filippo di casa nostra, la Lega Italiana Fibrosi Cistica, presieduta da Carmine D’Ottavio, ha promosso il 1° Premio Tonino Armagno. Improntato nella rappresentazione di 7 spettacoli interpretati da altrettante compagnie molisane: “I Giocondieri” di Agnone (Natale puveriello) di Antonio Patriarca, “Le 4 C –Teatro comico degli Abruzzi” di Agnone (A poche a poca se coce la pecora) di Umberto Di Ciocco, “Fol.Tea.M.” di Isernia (Lo scarfalietto) di Edoardo Scarpetta, “Oltre la maschera” di Oratino (Napoli, Teatro o caffè chiantan” di Loreto Tizzani), “I teatranti gildonesi” di Gildone (U’ giargianese) di Tonino Armagno e diretto da Incoronata Ripabella, “Sipario Bisaccia” di Montenero (Lu cavall de la pertall) di Sacchetti, Irace, Benedetto, Miri; “San Paolo” di Palata (Guard ch famigl) di

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Gabriele Pietro D’Ortona. Chiuderà la rassegna, fuori concorso la Filodrammatica dialettale di Olga Farina di Campobasso con “La Gazzosa” di Tonino Armagno. Tonino Armagno è stato un uomo semplice, con una testa piena come un uovo: tutto tuorlo e albume. S’innamorò della sua città restando ancorato alle sue radici. Da santantunaro ha masticato il dialetto tra le mura domestiche e nei vicoli del quartiere. Rimanendone imprigionato, al punto da farne il suo credo artistico. Nel raccontarsi il commediografo scriveva di essere nato in un’epoca in cui nelle case si parlava solo il dialetto e lo stesso linguaggio si parlava nelle strade. Da lì nacque il suo amore per la lingua che ormai è in disuso nella nostra città e che alcune maestre stanno insegnando nelle loro aule ai bambini delle loro scuole. Ci sono in Armagno alcune analogie artistiche con Eduardo che dipinse Napoli e i suoi quartieri con straordinari quadretti teatrali senza tempo. Tonino ha seguito a modo suo quel percorso, infilandosi in storielle campobassane che solo in

Al Savoia gli spettacoli di gruppi molisani organizzati dalla Lega Italiana Fibrosi Cistica

apparenza sembrano fatte apposta per strappare un sorriso, ma che in profondità racchiudono fatti di gente semplice, genuina e povera, ma a modo suo felice. Armagno se n’è andato da quattro anni ed è stato un meritato tributo quello che la Lega Italiana Fibrosi Cistica gli ha voluto riconoscere promuovendo un premio alla sua memoria. Si spera che l’iniziativa di Carmine D’Ottavio sia il primo passo per far trionfare il ricordo di illustri personaggi dell’arte campobassana che sono stati dimenticati troppo in fretta. (Da.Ma.)

Tonino Armagno campobassano verace ha trascorso la sua feconda esistenza tra teatro, musica e poesia. È morto a 84 anni nella sua città dove ha lasciato profondi rimpianti

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Mix di D’Artagnan

I falsi di Marcello Scarano arcello Scarano è stato forse il pittore di maggior talento che il Molise abbia partorito. Come la maggior parte degli artisti ha avuto una vita grama. Dovendo fare spesso i conti col feriale, per fare la spesa alimentare. Si racconta che abbia venduto i suoi quadri anche per poter mangiare. Facendo la felicità di chi, in quei suoi momenti grigi, gli ha passato un biglietto da diecimila lire per andare dal droghiere. Uno così, quasi come segno del destino è diventato “grande”. E come tutti i grandi della tavolozza è stato copiato. Corre voce che a Campobasso ci sia un talentuoso copione di Scarano che conosce a menadito come riprodurre le sue opere. La firma poi è precisa. Con quella

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esse alta e larga, come un segno di Zorro. Da qui discende il presunto traffico di copie pittoriche di Scarano e di alcuni sfortunati che le hanno acquistate in buona fede. Come è il caso di un restauratore del centro storico che ha versato circa 10 mila euro, tra soldi (6.000 euro) e in merce (scultura), a un campobassano, in cambio di due “Scarano” che a quanto pare non fossero autentici. Come è stato attestato da un perito che conosce bene le opere del maestro scomparso da circa mezzo secolo. Del fatto si è appena occupata la magistratura che ha condannato il commerciante d’arte a 4 mesi di reclusione, pena sospesa. Mentre in sede civile si dovrà occupare del risarcimento.

Cartolina da Campobasso

La spiga d’oro di via Marconi l proprietario era un bell’uomo, sorridente e rotondo, con i capelli fissati dalla Linetti. Indossava un lindo camice bianco e aveva l’abitudine, come i commercianti del tempo, di spingere più merce possibile fuori dal suo piccolo negozio di alimentari. Si chiamava La Spiga d’oro quel buchetto dove si vendeva un po’ di tutto: la pasta sfusa, incartata in certi fogli spugnosi, la mortadella afferrata con le dita, il formaggio che veniva fatto assaggiare, la varechina versata dentro la bottiglia della birra che le casalinghe si portavano da casa. Erano altri tempi, molti pagavano il conto a fine mese. Scrivendo su una “libretta” la spesa giornaliera. Il 27 era il giorno più felice. Alla Spiga d’oro la gente passava a pagare e avendo una maggiore disponibilità di danaro pagava per contanti anche gli acquisti di quel giorno. Per ricominciare a scrivere il giorno dopo la spesa in “credenza”.

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Lettera a me stesso

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Gennaro Ventresca

La demagogia della politica

Giacomo Sedati al contrario di altri colleghi della politica molisana è stato un parlamentare serio e rispettoso: ha fatto precedere i fatti alla demagogia

sidente di commissione in una sede a lui gradita, a Termoli. In modo da poter unire lavoro e vacanza. Aspettò invano la chiamata del politico che lo rassicurasse, sino a che si vide recapitare la nomina per Agnone. Al che, senza farne menzione, chiamò l’onorevole per sapere l’esito di quella raccomandazione e lui, pronto: “Preside, stia tranquillo, è stato nominato a Termoli”. Il demagogo dà confidenza a tutti, specialmente agli inferiori, perché essi sono la maggioranza e bisogna tenerla buona. Un politico regionale che ha raggiunto elevati picchi prima di dimettersi dall’oggi al domani senza una

spiegazione plausibile per dedicarsi a vita privata, occupava un posto di rilievo in un’amministrazione pubblica. Ebbene: per fare squadra con impiegati e sottoposti li portava al bar di fronte e di tanto in tanto usava fare eccellenti conviviali, durante i quali permetteva ai commensali più intraprendenti di dargli del “tu”. Così se li conquistava a vita. Non a caso quando si scrutinavano le schede risultava sempre tra i primissimi eletti. La gente, per fortuna, è diventata un po’ più smaliziata e crede sempre meno alle promesse dei politici che, in verità, sono diventati più responsabili e non promettono come in pas-

sato la luna. Una volta le loro sale d’attesa erano zeppe di persone che attendevano pazienti il loro turno. E una volta a tu per tu con l’onorevole esponendo una situazione familiare disastrosa chiedevano un posto di lavoro. A dirla tutta di posti di lavoro oggi ce ne vorrebbero più di ieri, ma non ce ne sono più, per le ragioni che sappiamo. Resta la demagogia, o perlomeno ciò che resta della demagogia. Perché i politici non possono dare brutte notizie e allora debbono dare una speranza, aprire i cuori, rendere il futuro possibile. Altrimenti l’esercito dei cortigiani si scioglierebbe d’incanto.

AT T U A L I T A’

arissimo, una storiella dei tempi andati racconta di un candidato alle elezioni che tenne un comizio nell’alto Molise, esordendo: “Se mi darete il voto, vi farò un ponte”. Dal pubblico si levò una voce: “Non abbiamo il fiume”. E l’altro, prontissimo: “Pure il fiume, pure il fiume”. Vero o inventato, l’aneddoto rende e coglie in flagrante demagogia il politico che, pur di guadagnare consensi, non esita a promettere all’elettorato le cose più assurde. Andando sempre secondo i racconti popolari c’è anche il caso di quell’altro candidato che promise agli elettori “Pane e lavoro”. E di rimando uno dalla piazza: “Onorevole, se possibile io vorrei solo il pane”. La demagogia è la degenerazione, il disfacimento della democrazia. Questa è il governo del popolo; quella è un uso distorto delle libertà democratiche. Demagogo all’origine non era una parola di significato negativo. Poi ci si è accorti che il demagogo non usa il linguaggio geometrico della ragione, bensì quello infuocato della passione cui le masse sono più sensibili. Non dimostra, proclama. Se c’è merito, è suo. E te ne do spiegazione. Qualche anno fa, dopo tanta attesa, in contrada Santa Maria de Foras, dove abito da oltre venticinque anni, finalmente il Comune decise di illuminare la via. Ebbene mentre i lavori erano in corso ci furono almeno tre assessori comunali e due consiglieri che mi telefonarono avocando a sé il merito di quegli interventi. Testimoniando che il successo ha sempre tanti padri. Tanti anni fa il mio preside si era rivolto a un onorevole per ricevere una spintarella per fare il pre-

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Un nostro concittadino ha sfondato all’Università di Parigi

Antonio Casilli tra i primi cinque scrittori francesi orta il nome del nonno che fu un eccellente pizzaiolo. Per decenni Antonio Cassilli, detto Tonino, ci ha rifocillato con squisite pizze al taglio, calzoni ripieni e graffes profumatissime. Il suo negozio del corso, dove oggi il figlio Aldo guida con la moglie Maria il ristorante più raffinato del Molise, era sempre pieno come un uovo. Approfittando della perenne confusione i giovanotti più scaltri hanno mangiato più volte pizze a sbafo, tagliando la corda, senza passare per la cassa. Lasciamo da parte l’antefatto per occuparci di un altro Antonio Casilli, nipote di Tonino e figlio di Aldo e Maria. Non certo perché spinti dal profumo di una buona pizza al pomodoro. Il richiamo ci viene dato dal cervello del nostro conterraneo che vive a Parigi e si occupa d’altro. Laureato in Economia politica con il massimo dei voti alla Bocconi, Antonio Casilli da 11 anni vive nella capitale francese, dove è professore associato all’Università Paris Teach, la prima università al mondo d’ingegneria della comunicazione. Pur essendo giovanissimo Antonio Casilli vanta un curriculum invidiabilissimo. Inizia con il dottorato di ricerca Ehess di Parigi, sotto la guida di Edgar Morin, il più grande sociologo vivente. Nel 2009 stringe tra le mani il premio Creis che equivale a un alto riconoscimento, dopo che per due anni a Losanna era stato a capo di un progetto ricerca della Nestlè sui disturbi alimentari. Quindi si pone a capo di un altro ambizioso progetto ricerca su anoressia e buli-

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Figlio di Aldo e Maria del ristorante Tonino, aperto dal nonno per il Corso, vive in Francia da 11 anni

mia. Attualmente è coordinatore del progetto “Greenewich” a Londra. Del suo ultimo libro (scritto in francese) si è di recente occupato anche Repubblica che gli ha dedicato due pagine cultura. Si tratta di “Lesse liasions umerique”, sull’umanità digitale. Per Casilli Internet non è limite, ma uno straordinario mezzo per socializzare. Il futuro non può prescindere da questo assioma. In questo modo l’illustre sociologo che ha riscosso un lusinghiero successo anche con una precedente pubblicazione ha sconvolto le vecchie concezioni. Secondo le sue visioni Internet è destinato ad aumentare la socializzazione, avendo infiniti lati positivi. Senza dimenticare anche qualche limite. Giova ricordare che la fertile vena di scrittore del nostro concittadino si compendia in cinque pubblicazioni e che un apposito studio lo ha inserito all’interno di una cinquina ove sono stati inseriti i migliori cinque libri che sono stati recentemente scritti in Francia. Da studente del Liceo Classico di Campobasso Antonio Casilli mostrò una versatilità artistica producendo su Molise Oggi, diretto da Adalberto Cufari, una striscia satirica che ebbe un significativo successo. Ora Casilli solo quando si riunisce con certi amici, dà ancora vita alla sua fertile produzione artistica. Non ha più tempo per le divagazioni: le sue giornate sono zeppe di impegni, essere un socioantropologo di alto livello non gli consente di abbassare la guardia. (ge.ce.)

Il suo libro di sociologia recensito da Repubblica su due pagine della cultura

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Il suo primo pezzo di successo fu Doce doce che figurava come retro di Bella bellissima che passò inosservato

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dischi erano di vinile. E giravano suoi piatti, oscillando qua e là, per la cattiva qualità del giradischi, ma sono stati i nostri compagni nell’età dell’innocenza. Negli anni Sessanta andavano di moda i lenti, i famosi balli della mattonella. Facevamo a gara per acchiappare qualche ragazza approfittando delle luci soffuse. A reggerci il moccolo è stato sempre lui, Fred Bongusto. Al secolo Alfredo Antonio Buongusto, nato a Campobasso nel 1935, quindi oggi settantasettenne. Qualcuno deve aver spiegato al cantante che “per vedere il papa bisogna andare a Roma”. E lui, Fred, prese la chitarra, salutò la mamma e la sorella, fece un ciao a via Marconi, la strada dov’è nato,e prese il treno per cercar fortuna. In verità il suo successo è legato a un autentico colpo di fortuna. Ghigo Agosti gli scrisse un pezzo tagliato a misura per le sue corde “Bella bellissima”. E Fred sull’altro lato del vinile, il lato B, ci incise “Doce doce”, un brano tutto suo, anche un po’ autobiografico. Mentre la canzone di Agosti passò inosservata il pubblico e la critica si soffermarono su quel brano lento e orecchiabile che sarebbe diventato il suo cavallo di battaglia, insieme a Una rotonda sul mare, Frida e Spaghetti, pollo e insalatina. Fred ha cavalcato il successo in maniera straordinaria, favorito dai gusti del pubblico che per decenni ha preferito il ballo stretto che favoriva il sorgere degli amori estivi. In Versilia migliaia di amori sono sbocciati grazie a Fred che concedeva anche il bis, alla Capannina e da Oliviero, i due locali più alla moda di Forte. Pochi sanno che Fred che è sposato can Gaby Palazzolo di cui è stato sempre innamoratissimo e fedele come un cane da guardia e che per un certo periodo ha inciso brani di successo internazionale con uno pseudonimo, Googtaste. Ovvero Buongust, tradotto in inglese. Non si contano i successi ottenuti come autore di fortunate colonne so-

Sempre sofferto il suo rapporto con Campobasso dove è nato in via Marconi 124

nore. Non gli sono mancati i riconoscimenti, come quello che gli ha attribuito l’allora premier Silvio Berlusconi (suo grande ammiratore) per i 50 anni di carriera. Nel 2006, il nostro concittadino è stato insignito dell’alta onorificenza di commendatore dal presidente della Repubblica Ciampi. Nel suo curriculum c’è anche una breve parentesi da consigliere comunale a Bari, tra i socialisti, capitanati dal ministro delle finanze Formica. A quel tempo i socialisti di Craxi avevano un peso di rilievo anche in Rai e Fred forse per questo si è fatto coinvolgere in politica. Perché senza un piccolo sostegno si fa sempre fatica, anche se si è bravi. Con Campobasso e il suo Molise ha avuto sempre un rapporto travagliato. Dando la sensazione di tirarsela un pochino. In tanti anni non si ricorda un solo concerto regalato alla sua gente. Mentre venne volentieri a festeggiare la promozione dei lupi in serie B. Ora vive a Ischia, in località Sant’Angelo, in una casetta bianca che fu una scuola. Davanti agli occhi l’istmo e il mare azzurro. Un panorama ben diverso da quello di via Marconi 124. (ge.ve.)

Il nostro concittadino oggi ha 77 anni e vive a Ischia, a Sant’Angelo, fregiandosi del titolo di Commendatore ricevuto da Ciampi

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di Arnaldo Brunale

Campuascianeria

proposito di “campuāscianarie” mi viene piacevole riportare alcune battute che noi campobassani “assélute” siamo soliti pronunziare, collegandole perfettamente all’evento che viviamo in una determinata circostanza, spesso senza conoscerne l’origine. La nostra parlata è piena di queste frasi, a volte piacevoli per chi le sente, a volte più dure da recepire, tuttavia tutte hanno un loro punto di inizio storicamente comprovato, anche se la fantasia dei parlanti, attraverso gli anni, le ha arricchite di agiografia partecipandole ai posteri con connotazioni spesso fantasiose. L’occasione che mi offrono le pagine di questo mensile mi da la possibilità di riportare quelle che, per noi campobassani, sono le più note e le più citate nel corso delle nostre chiacchierate. Citarle tutte sarebbe impresa improba anche per chi, come me, ne ha fatto argomento di studi da decenni, per questo mi limiterò, anche in seguito, ad una scelta fra quelle che ritengo siano le più vicine alla quotidianità “campuāsciana”, sperando di fare cosa utile e gradita ai lettori. Naturalmente non tralascerò di ricordare anche i “personaggi” locali, cari a noi “campuāsciane”, che maggiormente si sono rapportati alla gente con la loro personalità e la loro simpatia. “Abbozza e cagna l’acqua!” Intromettersi in un discorso non è sempre opportuno. Ecco, dunque, l’invito criptato, ma perentorio, a farci desistere dai nostri intenti, da parte di chi ha interesse che si parli di altro in presenza di estranei. Pare che il detto sia stato pronunziato per la prima volta da un artigiano all’indirizzo di un suo apprendista che, intervenendo ingenuamente nel discorso intavolato con un cliente, stava facendo venire a galla un espediente truffaldino perpetrato ai suoi danni.

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Decalogo delle nostre battute Chi è? Negli anni ’60 del secolo passato era piuttosto frequente sentire per strada questa battuta pronunziata ad alta voce da qualcuno che si nascondeva nell’anonimato di un portone o di un angolo poco illuminato. Alla domanda qualcun’altro, raccogliendo l’invito, rispondeva: U padrone ‘é casa! Alla risposta, l’anonimo che aveva posto la domanda finiva con l’affermare: Cacciat’u fóre! provocando l’ilarità dei passanti. C’era anche qualche altra persona che, rifacendo il verso al postulatore della domanda, incalzava: Chi è che ha detto chi è? In effetti, quest’ultima battuta si ricollega ad un episodio realmente accaduto. Un giorno un cliente di una nota osteria, rinomata per la sua cucina casereccia, telefonò al titolare per prenotare una cena che si sarebbe dovuta tenere la sera. Alla risposta del ristoratore, il cliente, invece di qualificarsi, gli domandò: Chi è? Il padrone del locale, credendo che all’apparecchio vi fosse qualche buontempone che volesse prenderlo in giro, cedette il ricevitore del telefono alla moglie. La donna, che aveva seguito tutta la scena accanto al marito, credendo anch’essa alla telefonata di qualche burlone, si rivolse con tono risentito al chiamante ponendogli questa domanda: Chi è che ha detto chi è? Naturalmente, la scena non sfuggì all’attenzione degli avventori del momento, che scoppiarono in grandi risate. In pochi giorni l’accaduto venne a conoscenza della gente, che non tardò molto a tramutare questo innocuo episodio in sfottò. Acqua a’le corde! E’ una battuta passata alla

storia che un noto politico di Campobasso pronunziò in un suo discorso durante la campagna elettorale nel chiedere un po’ di acqua da bere. Da allora, chi ha sete, si esprimere scherzosamente in questa maniera. La battuta, in effetti, si riferisce agli antichi Egizi, quindi ai Romani, che avevano l’abitudine di bagnare le corde quando dovevano trascinare o issare grossi blocchi di pietra per costruire monumenti o colonne sepolcrali. Addò nén arrive chianta u pézzuche! E’ un detto di origine remota. I contadini di una volta, quando il progresso ancora non li aiutava nel lavoro, erano soliti seminare con l’ausilio di un piolo. Le giornate trascorrevano velocemente, per cui, non riuscendo a completare la semina nella stessa giornata, lasciavano piantato un piolo nell’ultima buca praticata nel terreno, a mo’ di segnale da dove riprendere il lavoro il giorno successivo. In pratica, questa battuta vuole dare sicurezza ad una persona che per forza di cose deve portare a termine un impegno in un preciso lasso di tempo. Come dire: Stai tranquillo! Non preoccuparti! Se ce la fai per oggi, bene! Altrimenti continui domani! Ammanténè’ le cannele! Si dice all’indirizzo di colui che assiste involontariamente o volontariamente alle effusioni di due innamorati. Egli regge le candele, al pari dei servitori di una volta che erano costretti a mantenere il candeliere durante gli incontri amorosi segreti dei loro signori. A’la casa ré Cécaluzze chi prima z’àuza zé càuza! Non è dato sapere chi fosse questo Cecaluzzo. Potrebbe

essere un personaggio immaginifico, importato da i paesi limitrofi alla nostra città, come anche vero. Il detto, di origini remote, si ricollega ad una famiglia dai limitati mezzi economici, i cui componenti erano costretti a fare di necessità virtù. Pare che il più lesto ad alzarsi fosse anche il più rapido a vestirsi. Gli altri dovevano arrangiarsi con ciò che trovavano. Arréte ch’è cècéne (ciotola)! L’aneddoto narra di una notte molto ventosa e di una ciotola lasciata all’inclemenza del tempo. Il vento, soffiando nel suo incavo, stava provocando un forte sibilo, simile all’ululato dei lupi. I contadini, allarmati e temendo per le loro greggi, si unirono in gruppo, procedendo compatti verso la fonte del suono. Giunti sul posto, il capogruppo rassicurò i suoi amici con questa battuta una volta accortosi dell’arcano. Aspéttà’ le grazie ‘é Cesare Quando non si ha voglia di esaudire una richiesta altrui, si prende tutto con la massima calma. Ed allora si ha voglia di aspettare! La situazione ricorda quella del gladiatore che, avendo chiesta la grazia a Cesare per vedersi risparmiata la vita, attese inutilmente un gesto di clemenza imperiale. Attacca u ciucce addò rice u padrone! Se il padrone vuole così, così si faccia! Contento lui, contenti tutti! Questo modo di dire è ripreso direttamente dal più famoso detto napoletano “Attacca o ciucce addò vo’ o patrone e, si chisto nun è buone, sciuòglie ‘o ciucce e attacca o patrone”.

(continua)


di Domenico Fratianni

L’Ottovolante poetico di Emanuele Dicuonzo L

tura di Picasso, con il suo Eros straripante, raccoglieva in se tutto il gioco dell’amore e della morte. Voglio semplicemente affermare che il canto poetico di Emanuele Dicuonzo è, come per Dino Campana, il poeta ribelle dei Canti Orfici, il sogno fanciullo che alimenta tutta la sua esistenza e la sua innocenza. Mi torna anche in mente, a proposito di cantastorie, la figura assolata di Ignazio Buttitta, il poeta siciliano scoperto da Leonardo Sciascia e Renato Guttuso, dal canto accorato e struggente. E’che, il Nostro,risulta essere personaggio troppo schivo per chiedere spazio; ed è per questo che trovo giusto scrivere di lui. I suoi quaderni, le sue note sparse, i suoi appunti, sono oggi raccolti in un bel volumetto (nota assai lodevole dei suoi cari) dalla titolazione significativa ed allegorica: L’Ottovolante, che ne testimoniano la passione di una vita: i suoi amori, le sue gioie e delusioni, la sua fede incrollabile nel tenere viva la fiamma poetica interna. Sentiamo la sua voce:

Algebra della vita Quando gli impegni si dipanano Porto a consuntivo gli annali privati. Quante volte amore nel segno, quante volte amore mancato.

ARTE & CULTURA

a vita, spesso, nel suo modo di dipanare incontri e avvenimenti, gioca un ruolo importante. Voglio dire che ti capita di incontrare personaggi la cui storia è intrisa di passione autentica, come in questo caso la poesia. Emanuele Dicuonzo (di lui stiamo parlando), mi è venuto incontro con animo leggero, in maniera quasi innocente, tanto che, a prima vista, mi era sembrato un cantastorie di antica memoria che riusciva a portare dentro di se (quasi in religioso silenzio), un canto nascosto, sotterraneo, che diventa il segreto della propria esistenza. Un antico poeta sognaEmanuele Dicuonzo tore con il dono dell’umiltà e della consapevolezza: l’umiltà nel sapere che il suo canto interno è intriso di vita vissuta e che, per virtù misteriose, riaffiora anche nelle cose minime del vivere quotidiano: una carezza, un abbraccio, una preghiera, un affetto profondo. La consapevolezza, poi, è nel sentire che questo fiume misterioso non perde mai vita e che scorre lento, carezzevole. Ho incontrato Emanuele, nella storica Barletta, la città della famosa “Disfida” e del “Colosso” il quale ultimo si staglia come sentinella nell’Adriatico (ma la sua storia richiama alla mente tanti altri personaggi, anche molisani, che per indifferenza e pigrizia, non hanno mai trovato il giusto ascolto dalla critica ufficiale). Nel nostro Paese, mi diceva Dario Micacchi, il grandissimo critico e storico dell’arte in visita ad una mia mostra romana, “non ci sarà mai giustizia culturale se non si riuscirà a setacciare tutti gli angoli più riposti della nostra amata Italia”. Si sentiva in colpa, evidentemente, per non essere riuscito ad incontrarmi e conoscermi prima. E ho trovato essere un incontro molto appagante, proprio perché la poesia non può essere circoscritta in nessun luogo; ascoltare il suo canto accorato fatto di cose minime ma anche di profondi coinvolgimenti spesso confinanti in un cielo luminoso. Tanto luminoso da toccare quasi inconsapevolmente, il volto del creatore che governa la vita dell’uomo e dell’universo intero. Un cantastorie, dicevo, incontrato in terra pugliese, ricca di cultura e tradizione e con il mare Adriatico a fare da sfondo e da testimone; e mi tornano in mente i tanti artisti che dalle sponde di questo mare (vedi De Pisis, Viani e altri ancora) partirono per amore dell’Arte, per raggiungere la Costa Azzurra e il Midi assolato della Provenza, dove la pit-

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CAMPOBASSO E DINTORNI

di Walter Cherubini

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La giunta comunale cerca il rilancio d’immagine attraverso il miglioramento dei servizi

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a gestione dell’emergenza neve ha ridato fiato e credito alla truppa di Big Gino, che finora ha lavorato sotto traccia sostenendo di averlo fatto bene e con giudizio. Viviamo nella società dell’immagine e la scarsa visibilità si traduce in sfiducia. La riprova, alle regionali, con il centro destra tornato a percentuali da “zoccolo duro”. L’emergenza neve, in realtà ha dato ragione al Sindaco, quando c’è la disponibilità economica, la sua Giunta sa agire al meglio. Dinamico e risoluto appare l’assessore Cefaratti, che non ha disdegnato il mezzo televisivo per pubblicizzare le iniziative per modernizzare i servizi pubblici in città. A breve, entrerà in campo la “nuova Sea”, chiamata a gestire servizi strategici quali i parcheggi a pagamento. Arriva da Perugia la società

chiamata a risollevare un sistema con troppe pecche. Le prime indiscrezioni sono votate all’ottimismo, l’impatto è stato positivo per i dipendenti, che hanno apprezzato, nei primi approcci organizzativi, oltre all’impostazione manageriale che ricorda la Sea di Manganelli, anche le innovazioni per migliorare il servizio. Macchinette a luce solare, non manipolabili, sigillate e in grado di registrare sia gli orari di sosta sia i controlli. Il tutto per migliorare servizi ed entrate. Nonostante le carenze del passato, i parcheggi a pagamento finora pare abbiano assicurato un flusso medio di ventimila euro la settimana. Si punta, con la nuova gestione, a raddoppiare gli introiti e a garantire più mobilità nelle soste. L’altra sfida che attende la Giunta municipale, riguarda la gara d’ap-

palto per il servizio di trasporto urbano nel capoluogo. La gestione storica della Seac per la prima volta è messa in discussione in modo concorrenziale, non attraverso diatribe e speculazioni di parte politica. A sfidare il primato dei Saliola, sarà l’ATM, la nuova società sorta dal consorzio di imprenditori del settore, già operanti in Molise sulle direttici extraurbane. L’amministrazione guidata da Gino Di Bartolomeo ha rassicurato sulle prospettive occupazionali per gli attuali dipendenti della Seac, che di recente hanno vissuto la preoccupante esperienza della cassa integrazione, legata a difficoltà aziendali. Un destino che li ha accomunati ad altri lavoratori del settore impiegati anche nelle imprese che correranno per la gestione del servizio urbano di Campobasso.


Zibaldone

di Eugenio Percossi

Il Sassolino

Ridateci la Rai a disputa sulla Rai è antica. Nei primi anni ’60 Corrado, in azienda sin dai tempi dell’EIAR con Ameri, rischiò il posto per la battuta: “L’Italia è una repubblica fondata sulle cambiali”. Il ’68 della tv di stato fu l’ultimo anno in cui i giornalisti entrarono per concorso, gente come Bruno Vespa, Paolo Fraiese, Beppe Viola. Per gli sport minori, si fece ricorso ai tecnici. Paolo Rosi fu scelto per il rugby in cui aveva primeggiato, nel canottaggio toccò al campione italiano Giampiero Galeazzi, nell’ atletica a Giacomo Crosa, finalista alle Olimpiadi in Messico. Nella seconda metà degli anni 70, con il compromesso storico le cose cambiarono anche in Molise. Un programma della sede regionale,

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Foto curiosa

“Controscuola”, fu dato in gestione al direttivo FGCI (gioventù comunista). Venne il tempo della lottizzazione, brillante neologismo di Alberto Ronchey, per entrare nella tv di stato bisognava essere in quota a qualche politico di rango o al partito giusto. Per accordi sindacali trovarono riparo da mamma Rai giornalisti di testate dismesse. Ci fu pure una polemica nazionale sui troppi dipendenti della sede molisana. Mutatis mutandis, ai giorni nostri una manifestazione nazionale celebrata anche in Molise, “Riprendiamoci la RAI”, ha visto partecipare con slancio molti di quelli che, al pari dei ministri di Monti riluttanti nel far conoscere redditi e patrimoni, tacciono sulla propria assunzione in RAI.

separati dalla nascita

Snow board in città Uno spregiudicato sciatore si esibisce con un singolare “fuori pista” lungo viale XXIV Maggio a Campobasso, nei giorni della grande nevicata.

La curiosità

Giuseppe Betori e Distributori automatici Antonio Mandato nelle scuole, inflazione alle stelle on è una novità quella dei prodotti di basso costo che, con aumenti programmati, poco significativi in assoluto ma in realtà molto elevati in percentuale, contribuiscono a far lievitare i prezzi senza che la gente ne abbia reale percezione. Il fenomeno si ripropone in questi giorni, basta guardare con curiosità ed attenzione i prodotti a basso costo sugli scaffali dei supermercati per rendersene conto. Un caso particolare è quello dei distributori automatici nelle scuole, dispositivi ormai diffusi in tutti gli istituti, specie quelli di istruzione superiore, per evitare i traffici con pizze e pizzaioli e merende varie, offrendo al tempo stesso un ristoro agli studenti e anche un ausilio per prodotti particolari in caso di emergenza, come ad esempio gli assorbenti igienici per le ragazze. E’ sorprendente constatare che i prodotti distribuiti dalle macchinette hanno raddoppiato i prezzi in poco tempo. Un assorbente costa tre euro e cinquanta, quasi quanto un pacco al super, le bottigline d’acqua sessanta centesimi e così via. L’inflazione cresce subdolamente e sarebbe il caso che i Presidi intervengano.

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Giuseppe Betori

Antonio Mandato

ià arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori è stato recentemente nominato Cardinale della stessa città. A 64 anni il prelato è considerato uno dei personaggi emergenti della chiesa cattolica. Antonio Mandato, campobassano doc. Lavora in banca, ma è diventato famoso per la sua umanità e soprattutto per aver interpretato il diavolo ai Misteri. Inoltre è un componente del gruppo “I soliti 4”, aduso a fare le maitunate a San Silvestro e a Sant’Antonio Abate. Sempre presente anche nella rappresentazione della maschera dei 12 mesi in occasione del Carnevale.

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