Mensile a tiratura regionale Anno 8 - n. 6 giugno 2012 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta
La Cattolica di Campobasso unico centro in Italia a usare questa tecnica d’avanguardia
s o mmari o In questo numero
Rubriche La voce del padrone di Ignazio Annunziata
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Sanità
Bollino rosa per l’ospedale di genere
Piazza salotto di Adalberto Cufari
pag. 5
Camera con vista di Antonio Campa
pag. 7
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Il Cerino di Pasquale Licursi di Arnaldo Brunale
pag. 31
io Il rilanc oltura ic dell’agr
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Registrazione al Tribunale di Campobasso n°5/05 del 05/03/2005 DIRETTORE EDITORIALE
Gennaro Ventresca
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DIRETTORE RESPONSABILE
Franco Boccia BLOB DI A. PICCIRILLO SEDE LEGALE Via Veneto, 113 80054 Gragnano (NA) Tel. 0874.318092 - Fax 0874.413631
Pdl: primarie senza partecipazione
pag. 10
Campuascianeria
Allegato
Politica
14 Vita da
E-mail: Redazione
redazione@lagazzettadelmolise.it E-mail: Amministrazione-Pubblicità
commerciale@lagazzettadelmolise.it
Diavolo
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www.lagazzettadelmolise.it
Ricorsi
Sinistra: due pesi e due misure Società
I personaggi ritratti da Michele Praitano Economia
Mattone e cemento per il rilancio Il ricordo
La storia triste di Clesilde
www.gazzettadelmolise.com
STAMPA: Castellammare di Stabia Progetto grafico
Maria Assunta Tullo
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Tradizioni
Aciniello e la sua caponata
di Gennaro Ventresca
L’Oscar del mese a Franco Mancini
Come eri bella Campobasso ampobasso non è più la città di 50 anni fa, quando io stavo diventando giovane e sognavo chissà quante cose che poi non si sarebbero avverate. La mia città è cambiata, non poteva non cambiare, perché, con i tempi, tutto cambia. Se in bene o in male, lo ignoro. Ognuno fa i suoi comodi e la polizia municipale sta a guardare: o per impotenza o per pavidità. Non ci sono regole, le prescrizioni eluse, i divieti ignorati. La città capoluogo è diventata terra di nessuno, dove non si sa bene chi comanda e chi obbedisca. Tutto è lecito, anche l’illecito. Tutto è lasciato al caso, anche l’impellenza. In certi momenti sembra di stare nella più bieca periferia napoletana, con cumuli di spazzatura agli angoli, i depliant che svolazzano da tutte le parti, i sacchetti di plastica che corrono spinti dal vento, specie nella zona di Corso Bucci, dove si tiene il mercato ambulante a posto fisso. Non si contano i camion di frutta venduta senza licenza, i fiorai di complemento, nei portoni degli uffici pubblici c’è un fiorente commercio di biancheria e di capi con griffe contraffatte. Le basole laviche traballano, i sampietrini di Piazza Municipio sono sconnessi, ci inciampano facilmente, tanto gli uomini che le donne. In una pietra, di recente, mi sono incagliato anch’io, sbarellando come un alcolizzato, cadendo e battendo il mento, fortunatamente non ho riportato danni alla testa, l’unica cosa che ancora mi funziona. Ormai i cittadini accettano senza colpo ferire tutto ciò che gli si para davanti agli occhi: alberi che si seccano uno dietro l’altro, aiuole calpestate da tutti, erbacce che crescono spontaneamente senza che nessuno vada ad estirparle. Gli amministratori non sono migliori degli amministrati: hanno quello che si meritano. Ormai sono da considerare una minoranza quelli che devono la bibita e gettano il vuoto nel cassonetto, sono pochi quelli che usano i preservativi e li gettano tra i rifiuti. Quando avevamo l’età li facevamo scomparire nel bidone della spazzatura, i preservativi, avvolgendoli anche con un pezzo di giornale, per non farli vedere. Passeggiare per il corso è diventato un rischio: le auto vi scorrazzano a tutte le ore, senza che ci sia un solo vigile pronto a elevare la contravvenzione. In piazza Prefettura ormai è un caos, macchine che vanno, vengono e parcheggiano “a gratis”, mentre altrove si paga. E anche caro. C’è poi da fare i conti con i padroni dei cani. I quali padroni dicono di essere innamorati dei loro animali, ma evidentemente se ne infischiano delle persone: gli escrementi solo raramente vengono raccolti. I marciapiedi, anche in pieno centro, sono pieno di deiezioni liquide e solide di quadrupedi. Lance a favore degli amici a quattro zampe ne ho spezzate molte da sempre, e continuerò a spezzarle finchè avrò armi a disposizione. Certi canili-lager gridano vendetta, ma anche le strade sporcate dagli animali a guinzaglio fanno inorridire. Non per colpa degli animali, ma dei loro padroni. Gli uomini sono più malvagi degli animali se si comportano come tante volte si comportano. Rimpiango i giorni in cui Campobasso era una città bonaria, pulita, felice e solidale. Mentre oggi la vedo fredda e indifferente. La sera per il Corso c’è sempre meno gente e ancor meno voglia di socializzare. Solo i giovani, per loro fortuna, fanno gruppo. E spesso superano anche la misura, specie nelle ore notturne, si attardano a bere bicchieri ricolmi di birra, mentre discutono a voce alta. Disturbando il sonno dei residenti le cui proteste cadono nel nulla.
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Il Tapiro del mese a Ugo De Vivo
ioia di brevissima durata per l'avvocato isernino, catapultato a Palazzo San Francesco da una pioggia di voti che gli sono giunti al ballottaggio. Peccato che De Vivo abbia dovuto fare i conti con quanto gli elettori pentri avevano fatto due settimane prima, in cui avevano premiato, con un ampio consenso, i consiglieri del centrodestra. Emerge che l'anatra zoppa abbia azzoppato anche l'incolpevole De Vivo a cui non resta che tentare di riprovare nella titanica impresa la prossima primavera. Per il momento a Isernia c'è il commissario e a De Vivo non resta che il nostro tapiro che fotografa il suo stato di attapiramento.
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L’EDITORIALE
l professionista ha incassato un lusinghiero successo giudiziario, a conclusione di una lunga e tormentata battaglia, in rappresentanza della Regione Molise, contro l’ex Carimmo (Cassa di risparmio molisana Monti Orsini). L’avvocato, su mandato dell’allora presidente regionale Fernando Di Laura Frattura, è riuscito a trionfare per quel che riguarda un contenzioso iniziato nel lontano 1989, in cui la Regione vantava un credito nei confronti dell’istituto creditizio. Che la Cassazione ha liquidato in 5 milioni e 200 mila euro che dovrà essere corrisposto da Unicredit che, dopo una serie di fusioni, è l’attuale banca di riferimento.
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di Ignazio Annunziata
La voce del padrone
Fischi per fiaschi Q
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uando gli occhi della gente e le telecamere di tre televisioni molisane si sono orientati sul balcone del municipio è successo ciò che nessuno si sarebbe aspettato. O forse si, qualcuno lo aveva previsto, tanto ghiotta è stata l’occasione per avere una immensa cassa di risonanza. Così quando Di Bartolomeo si è presentato con il suo abito scuro, nonostante il sole cocente, sono volati fischi, sommati ad altri fischi. Dando vita alla più clamorosa contestazione che si sia registrata nei confronti della classe politica molisana. Specie se non si dimentica che lo stesso trattamento è stato riservato (per trascinamento) anche a Michele Iorio che, come ogni anno, si è portato sul balcone del Municipio, per unirsi ai notabili, per il più bello spettacolo di folla che il Molise vive durante la bella stagione. Di Bartolomeo, come si ricorderà, ha saputo con una magica serpentina sviare il senso della contestazione, addossando la colpa a un tranello tesogli dai suoi nemici politici. Fingendo di credere che i fischi fossero stati distribuiti tanto al chilo. Per invidia, non certo per demeriti. Le sue giustificazioni non mi hanno convinto. E non sono stato l’unico a pensarla così. A me è parso che la gente (tanta gente) se la sia presa con il sindaco del capoluogo non perché, per ragioni di bilancio, ha dovuto ripiegare su due gruppi musicali minori, ma per il suo modo irritante di gestire la città. Che in molti casi sembra essere solo sua, incurante delle aspettative della cittadinanza. Certo, se al posto dei due gruppi che nelle serate di sabato e domenica di Corpus Domini, fosse salito sul palco Renzo Arbore e la sua orchestra spettacolo, molto probabilmente, ci sarebbe stato da parte del popolo un ampio consenso. Che, a
dir la verità, non avrebbe però coperte le magagne di Di Bartolomeo che con i suoi modi estemporanei ha fatto irritare anche i suoi più fidati collaboratori. Sul piano della comunicazione il sindaco ha sbagliato ogni cosa. La sua politica è apparsa sempre di sfida, senza mai un passo indietro. Il suo primo colossale sbaglio lo fece appena dopo l’elezione, in cui, pensando di fare una simpatica battuta, dichiarò “urbe et orbi”: “Non tengo i soldi neppure per un gelato”. E la gente che lo aveva votato con tanta speranza rimase letteralmente gelata. Da quel momento le gaffes di Gino sono state quotidiane. Mentre la città è andata ogni giorno più indietro, in tutti i settori: mai le strade sono state così sporche, i marciapiedi così rotti, per non parlare della sconcertante decisione di riaprire al traffico (in via sperimentale) piazza Prefettura.
Non credo che il dissenso di Corpus Domini fosse legato alla mancanza di una band di grido
Tutte queste cose e altro ancora la gente se l’è legate al dito e appena ha avuto l’opportunità di fargliela pagare lo ha fatto, con tutto il fiato che ha saputo tirar fuori, in quel festival di fischi. Non so se risulta vero che Di Bartolomeo abbia intenzione di candidarsi alle prossime elezioni. Credo che il suo sia stato solo un semplice annuncio, la solita sfida guasconesca, tipica del personaggio. Che aveva avuto sul piatto la più grossa occasione della sua vita, per chiudere la lunga carriera politica da sindaco del capoluogo e che invece l’ha bruciata. Non solo per questione di soldi. Perché per recuperare due belle menti quali Francesco Pilone e Gaetano Mascione ha avuto infinite occasioni eppure le ha lasciate cadere. Incurante del danno che ha fatto all’amministrazione che continua ad andare avanti con figure di secondo e terzo livello.
di Adalberto Cufari
Piazza salotto Il Progetto “Watercycle” per l’utilizzo produttivo ed ecologicamente sostenibile delle acque reflue e dei fanghi di depurazione è finito in gloria
Ciò che poteva essere e non è stato D
ato per scontato che sul problema acqua non c’è tempo da perdere, le iniziative che tendono a ridurne lo spreco e ad ottimizzarne l’uso vanno pertanto doverosamente segnalate e seguite col massimo interesse. Tempo fa, a Campobasso, ha avuto luogo un incontro tra i partner del Progetto “Watercycle” incentrato sulla fornitura di strumenti operativi per avviare in concreto attività progettuali nel settore idrico. Incredibile, ma vero, l’Amministrazione di Palazzo san Giorgio è stata uno dei partner del Progetto, insieme alle Province di Ferrara e di Brindisi, al Comune di Pesaro, e ad alcune municipalità di Croazia ed Albania (il Progetto rientrava tra le scelte comunitarie riguardanti la cooperazione transeuropea). Incredibile, perché Campobasso è il capoluogo italiano che con il 62 per cento registra una delle maggiori percentuali di perdita d’acqua dalla rete idrica, ed essendo una città strabica, ciò che perde a monte cerca (inutilmente) di poterlo recuperare a valle. Per questo aveva creduto, e preso parte, al “Watercycle” che, appunto, sviluppa lo scambio e la condivisione di prassi e di azioni sperimentali nella pianificazione e gestione delle risorse idriche. Sì, ma per municipalità serie, competenti e intelligenti. Nell’ambito del “Watercycle” Campobasso avrebbe potuto riutilizzare in maniera virtuosa, ossia in maniera produttiva ed ecologicamente sostenibile, le acque reflue e i fanghi di depurazione. In ciò favorita dall’esistenza di tre depuratori in esercizio, e dalla buona qualità dei fanghi prodotti, per via dell’assenza sul territorio urbano di industrie particolarmente inquinanti. Infatti i fanghi di depurazione presentano caratteristiche che ne consentirebbero l’uso come fertilizzante in agricoltura, senza particolari rischi. Parliamo di argomenti e di possibilità di cui nessuno ne sa niente. Di certo non risulta che i fanghi provenienti dai depuratori di Campobasso vadano a fertilizzare le campagne circostanti. Le acque depurate, a loro volta, potrebbero essere impiegate per uso irriguo, uso civile (lavaggio delle strade, ad esempio) e per uso industriale (cicli di raffreddamento, lavaggio macchinari, interventi antincendio). Virtuosità interessanti anzi stimolanti, soprattutto per una città che per pulire le strade, per irrigare gli orti e la campagna,e per tutti gli usi civili utilizza l’acqua potabile!
Il capoluogo regionale mantiene il triste primato della perdita d’acqua dalla rete di distribuzione ma non fa assolutamente niente per cambiare le cose Motivo per cui la bolletta all’utente è salatissima. Il Progetto “Watercycle” tendeva anche a questo: a sensibilizzare i cittadini a considerare l’utilità del riciclo (delle acque depurate e dei fanghi) e renderli partecipi. Il Progetto sarebbe dovuto pertanto camminare e, difatti altrove cammina. A Campobasso la messa appunto degli strumenti operativi per avviare in concreto le attività progettuali chissà come, e chissà perché, è andata a mano a mano perdendo mordente. Per carità di patria omettiamo di indicare i possibili responsabili di questo progressivo defilarsi da una iniziativa da cui l’amministrazione di Palazzo san Giorgio e cittadini avrebbero potuto trarre grosso giovamento. Non vogliamo infierire sulla inefficienza delle strutture comunali e sulla congenita distrazione degli amministratori verso i progetti che esulano dalla quotidianità con la quale si misurano, e solo con quella. Alla meno peggio, e sempre con un fine utilitaristico contingente. L’adesione al Progetto”Watercycle” era sembrata una scelta intelligente, che andava nella direzione giusta per contenere l’uso improprio dell’acqua potabile che preferiamo invece vada sprecata per il 62 per cento, in modo da non perdere il primato in dabbenaggine e stupidità amministrativa.
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di Giuseppe Saluppo
Bollino rosa per l’ospedale di genere L
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e donne rappresentano la principale utenza dei servizi sanitari. Ma quando si ammalano devono fare i conti con ospedali ben poco “a misura di donna”, in cui le peculiari esigenze femminili a volte sono trascurate. Pensiamo a momenti come il parto, alla fecondazione assistita, alle malattie sessualmente trasmesse o all’aborto, alla patologie legate all’età, alla menopausa, ai tumori, in particolare al seno, all’utero e all’ovaio, i disturbi cardiovascolari, le malattie psichiche e neurodegenerative. Oggi, con l'idea progettuale posta in campo dell'integrazione tra Cardarelli e Cattolica, si potrebbe arrivare anche alla definizione del cosiddetto ospedale donna.
Già attraverso il progetto dei bollini rosa, inserito nell'ambito del progetto Idea donna che ha visto in Italia premiata la Fondazione Cattolica, è stato messo in luce un problema: il modello maschile finora utilizzato negli ospedali non può funzionare anche per le donne. E non solo per quanto riguarda l’ambito strettamente femminile, ma anche in altre situazioni che presentano caratteristiche diverse tra uomini e donne. La medicina di genere in Italia dovrebbe prendere esempio dagli women’s hospitals statunitensi, centri organizzati per le diversità di genere. Anche in Molise l’ospedale per le donne è un traguardo raggiungibile.
Al di là di chi va blaterando in queste ore circa la preminenza di una struttura sull'altra. Se cioè, il Cardarelli deve avere la meglio sulla Cattolica o viceversa. Qui è arrivato il momento di compiere delle scelte e di far fare alla sanità molisana quel salto di qualità tanto reclamato dai cittadini. Imperativo degli ospedali rosa è l’aspetto psicologico e sociale. Non siamo più alla Maternità-Infanzia del lontano 1926 percè, allora, questa aveva un senso logico. Si tratta, piuttosto di garantire alla donna una serie di interventi che par-
tono dal reparto di Ostetricia e Ginecologia (gravidanza a rischio,diagnosi prenatale, PMA, prevenzione depressione puerperale, prevenzione danni pavimento pelvico, oncologia ginecologica e uro-ginecologia, sterilità coniugale, ginecologia dell’adolescenza, patologia cervicale, IVG, endoscopia ambulatoriale, ultrasonografia, psico oncologia), tocchi l'unità operativa di Ginecologia Oncologica (gruppo multidisciplinare per trattamenti integrati completi) e arrivi alla Breast Unit (trattamenti integrati della patologia mammaria, pronto soccorso senologico) ma anche ambulatori cefaleevulvodinie e Diabete in gravidanza (patologia tiroide, controllo dietetico in gravidanza). E' tale la vera sfida che si pone in queste ore nel mentre si pone l'idea programmatica dell'integrazione tra Cardarelli e Cattolica.
di Antonio Campa
Camera con vista
L’ultimo Gattopardo I
l Gattopardo narra in modo sublime l’epopea del Principe Salina, il quale con malinconico disincanto oppone la sua etica ad un mondo che anelando al cambiamento si affida a chi vuole che resti immobile. Una condizione che richiama quella attuale del Presidente Iorio. Il Principe della politica molisana guarda con amarezza e paziente continenza ma anche con molta rabbia i miserabili che girano intorno, pesati al millesimo di grammo, compresi quelli adusi a far la cresta sul raccolto. Lo Iorismo? Certo che esiste, se con il termine si intende un blocco di potere sviluppatosi nel tempo intorno al Presidente. Un fenomeno universale, tanto è vero che la definizione non arriva dalla sinistra, ferma all’abusata formula del potere clientelare. E’ paradossale tuttavia che a lanciare il neologismo sia stato l’uomo che meglio ha simboleggiato l’esistenza e la negazione dello Iorismo. Vitagliano ha avuto campo libero nella prima esperienza politica, ridimensionato dagli elettori nelle successive elezioni, è stato ripescato in giunta con incarico di prestigio da Iorio, uomo coerente, come dimostra la sua vicenda politica. Lo strappo del 97 contro la deriva comunista della giunta Veneziale, non è stato un ribaltino ma il preludio ad una scelta di campo netta e mai rinnegata. Il venticello che soffia e che qualcuno spera diventi bufera, gonfia problemi di routine quali il rapporto con alcuni alleati più ambiziosi che capaci e un entourage in difficoltà nell’ammettere che Castelpetroso non è il confine del Molise. Un errore si è rivelata la frammentazione del centro destra in gruppi autonomi, strategia in teoria giustificata dalla tipologia dell’ elettore di centro destra,
restio all’allineamento e al non capisco ma mi adeguo; in realtà lo scopo era più banale, allargare il consenso e contentare i paggetti. L’obiettivo è stato centrato ma a caro prezzo, i feudi molisani della politica contano ora troppi piccoli Tancredi, i quali non avendo arte puntano ad avere almeno una parte. Nel 2006 fui buttato giù dal letto all’ultimora per una candidatura
un manifesto elettorale l’invito al voto disgiunto? Pura cialtroneria, altro che Iorismo al tramonto! Ogni corte ha i suoi servi sciocchi e il Presidente sa quanti danni fanno. Li tollera perché a volte quel sostegno pur untuoso é l’unico conforto. Iorio sa bene però che non ha giovato il continuo denigrare la giunta Melogli in cui operava sua sorella. Tanto ciechi ed ottimisti sono stati i cortigiani da ignorare che al primo turno Rosetta aveva preso circa duemila voti meno della coalizione. Già, la famiglia. Uno fa tanto per tirare su un figlio al meglio e poi se lo vede denigrato per pochi denari, si ritrova con una pena interiore più dolorosa di quella pubblica, perché un padre sulla riva destra é sempre responsabile, anzi colpevole della carriera del figlio. Il genio, le capacità diventano concetti evanescenti. Non è così sull’altra sponda, dove si punta tutto sui figli d’arte, nati e cresciuti tra le soffici coltri del biancofiore. Chissà cosa avrà pensato il nostro Principe guardando in tv uno di loro che, dettando il profilo del candidato del centro sinistra, descriveva se stesso. Cosa avrà pensato constatando che in prima fila a spellarsi le mani c’erano uccelli di rovo pasciuti nel sottobosco regionale durante il suo regno. Tutto cambi perché nulla cambi… Restando in tema, é sempre in auge l’antica tattica leninista, basata sul denigrare in ogni modo l’avversario fino a mascariarlo per abbatterlo e prenderne il posto. Sbagliano tuttavia quelli che danno per stanco e vinto il Presidente e pronto ad infilarsi in un comodo scranno di Palazzo Madama. Sbaglia chi si compiace di aver messo un piede fuori dal camper del vincitore. Nel fumo della politica, rispuntano i fazzoletti rossi ma di eroi a cavallo non se ne vedono.
La condizione attuale di Michele Iorio evoca quella del protagonista del romanzo di Tomasi di Lampedusa, austero e tenace nel restare in piedi in un mondo che cadeva a pezzi nel segno di un illusorio cambiamento. Rispetto al Principe di Salina, Iorio si oppone al trasformismo con più rabbia e minor malinconia. riempi lista. Mi portarono da Iorio a mezzanotte, e gli dissi: Non ho nulla da chiedere, lo faccio per la bandiera. Il Presidente rispose: E’ confortante sapere che c’è ancora chi non cerca agi personali. Nel pranzo con tutti i candidati, Iorio salì in cattedra e tenne una lezione di tattica elettorale degna della scuola delle Frattocchie. Battete il territorio, la sinistra si muove casa per casa, attenti al modo di votare, i rappresentanti di lista non lascino mai scoperto il seggio. L’approssimazione elettorale del 2011 é stata in generale inquietante. Possibile che nessuno abbia percepito allarmi, quando Frattura ha esplicitato su
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Codice bianco è il termine con cui gli operatori sanitari del Pronto Soccorso individuano tutti quei pazienti che manifestano problemi di lieve endità e che potrebbero rivolgersi al proprio medico curante. La limitata gravità delle loro condizioni li porta però ad affrontare lunghe attese al Pronto Soccorso.
AMBULATORIO CODICI BIANCHI Per dare loro una risposta più puntuale l’Asrem ha attivato, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e presso lo stabilimento ospedaliero di Venafro, l’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso. L’istituzione dell’ambulatorio dei codici bianchi in via sperimentale intende raggiungere più tra-
guardi importanti: oltre a ridurre i tempi di attesa per i casi con minore priorità e garantire una maggiore velocità per i casi urgenti, consentirà agli operatori del Pronto Soccorso di lavorare in condizioni migliori. Consentirà inoltre, di raccogliere alcune informazioni che potranno essere utili per programmare in futuro una risposta territoriale ai bisogni del cittadino. L’ambulatorio dei codici bianchi si pone quindi l’obiettivo di risolvere le numerose criticità esistenti quali:
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lunghe attese per i cittadini; elevata pressione sul personale sanitario; disagi e difficoltà nello svolgimento di attività sui pazienti a maggiore criticità; incremento rilevante sei costi.
Durante il giorno: rivolgiti a loro con fiducia. E’ il medico di famiglia, infatti, che ti visita per primo, ti segue periodicamente, suggerisce come stare bene, ti indirizza verso gli specialisti. Non rivolgerti a lui solo per le ricette! Verifica gli orari di ricevimento e informati sugli orari di disponibilità telefonica, così potrai contattarlo anche oltre gli orari di ricevimento.
L’Asrem ha attivato, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campobasso, Isernia, Termoli e presso lo stabilimento ospedaliero di Venafro l’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso. L’utente al quale è stato assegnato dall’infermiere del triage un codice bianco, verrà invitato a recarsi presso l’ambulatorio appositamente istituito e dove verrà preso in carico dal medico dell’ambulatorio. E’ aperto dalle 8:00 alle 20:00 dal lunedì al venerdì. CAMPOBASSO tel. 0874.409613 ISERNIA tel. 0865.442529 TERMOLI tel. 0875.7159472 VENAFRO tel. 0865.907860
Non si paga il Ticket per la visita. Durante la notte è il servizio di continuità assistenziale. E’ aperta dalle 20:00 alle 8:00, nei giorni prefestivi dalle 10:00 alle 20:00 e nei festivi tutto il giorno. Non si paga il Ticket per la visita
I più gravi passano prima indipendentemente dall’ordine di arrivo ROSSO
paziente in pericolo di vita, viene visitato immediatamente
GIALLO
paziente grave, viene visitato nel più breve tempo possibile
VERDE
paziente non grave, l’attesa può risultare molto lunga
BIANCO
Chiama il 118 e vai al Pronto Soccorso (PS) All’arrivo la gravità del tuo stato di salute viene valutata da un infermiere specializzato che ti assegna un codice-colore (triage).
il tuo stato di salute non è affatto grave e i tempi di attesa sono sicuramente lunghi e imprevedibili. Inoltre si paga il Ticket per la visita (25 euro).
Contatta il tuo medico/pediatra o rivolgerti all’ambulatorio codici bianchi o alla guardia medica.
di Aldo Fabio Venditto
Primarie senza partecipazione S
e la leadership scricchiola, la nomenclatura partitica non trova di meglio che puntellarla con le primarie. La partecipazione della base sta tornando di moda, se non altro nei discorsi dei leader di questo o quel partito, arroccati in chiese senza più fedi né seguaci. I partiti sono in crisi, travolti dalla fine delle ideologie e dalla corruzione dilagante, incapaci di sostituire ad un pontefice inamovibile, ad una visione salvifica, la fatica dell’elaborazione quotidiana: ormai abbattuti a spallate dalla nuova risma di populisti, avvezzi a tecnologie e linguaggi d’avanguardia. Primarie dunque, come testimonia un documento in sei punti varato dal Popolo della libertà con il placet di Silvio Berlusconi, preoccupato da sondaggi inclementi, i quali certificano la caduta libera del Pdl, dal 27% a poco più del 20%. Eppure il rinsavimento del Sultano oltre che tardivo non appare affatto cosciente, semmai indotto: l’ennesimo colpo di teatro di chi mobilità per compattare piuttosto che per dibattere, per confrontarsi davvero. Le primarie – in siffatto, stantio contesto – avvalorano la classe dirigente in essere, senza metterla mai in discussione. In altri termini, la partecipazione così intesa non certifica un fallimento, non è l’apice di un percorso dibattimentale, quanto piuttosto l’ultima trovata di una élite che vuole restare abbarbicata alla poltrona, puntando agli applausi e all’avallo incondizionato della
platea di simpatizzanti: elettori e quadri di partito, mai messi nelle reali condizioni di produrre una qualche discontinuità. Questa considerazione potrebbe trovare in Molise un autorevole dissidente, Michele Iorio, il quale deve riprendere il controllo del centrodestra dopo la pericolosa sbandata di Isernia, dove Rosetta è stata bocciata in quanto sorella del governatore, ma anche perché percepita come una cooptata dal vertice: il nome calato dall’alto. Le primarie molisane, per contro – se vere, combattute, leali – potrebbero restituire una parvenza di democrazia ad una coalizione
storicamente gestita in assenza di momenti e luoghi di confronto, sfuggendo a biechi trasformismi ed aprendo ad un (più) sincero moto di rinnovamento. Toccherà a Michele Iorio, però, dimostrare che non si tratta di una recita, quanto piuttosto del primo passo per ristrutturare il Pdl, mutando un regno gerarchico in un soggetto popolare, all’interno del quale la critica costruttiva possa essere la scintilla del nuovo corso. Questo chiediamo al presidente: apertura, sfrontatezza, competizione delle idee e coraggio per andare oltre e non indietro come, invece, vorrebbero a Roma.
Il Popolo della libertà pensa ai gazebo fingendo di non sapere quanto inutile sia una mobilitazione senza contraddittorio
In Molise tutto dipende da Michele Iorio e dalla sua volontà di innovare piuttosto che conservare
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di Pasquale Licursi
Il cerino
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L’apicoltura di Asia Argento
sole” è il nuovo film di Asia Argento. Girato alle Tremiti e con protagoniste le api. Siamo tra le rocce e il mare delle Isole pugliesi. Al centro della vicenda tre protagonisti, tutti, a loro modo, borderline. che sei Asia e quindi potrebbero farti male. Non devi aver C’è una giovane donna (Asia Argento) che ha perso l’uso paura di loro perché la paura è un sentimento ambiguo, della parola per un trauma, un dolore terribile, e che sem- strano e difficile. Vivere dove vivono le api significa non bra volersi occupare solo delle api. C’è don Enzo (Giorgio provocare rumori, spostare gli oggetti con la calma giusta e Colangeli), prete nonché una sorta di suo tutore. E soprat- necessaria e si fanno pure accarezzare. Se c’è vento meglio tutto c’è lui, Ivan, interpretato dall’attore ceco Ivan Franek, non entrare. Il vento le infastidisce e disturba. Le api hanno già protagonista di Brucio nel vento di Silvio Soldini e visto una dolcezza infinita e chi vive quotidianamente con loro recentemente in Noi credevamo di Mario Martone. Il suo capisce lo spessore di una organizzazione senza uguali. Nel ruolo è quello di un immigrato che costruisce un rapporto film vivere con le api significa adattarsi a un altro mondo, - fragile, minacciato - con la donna ferita... Le Tremiti e le togliersi un mondo addosso e vestirne un altro. L’uomo utilizza il miele da circa 12.000 anni. E le api glie api sono gli altri protagonisti del film: le api rappresentano una parte della natura che l’uomo ha imparato a lo regalano in cambio di serenità. Proprio così, serenità. utilizzare senza snaturare, trovando un compromesso fa- Pensando a Vincenzo Pucci che vive di solitudine bellissima tra le sue api viene in ticoso. Un reciproco rimente qualcosa che forse spetto che ha imparato a con lui c’entra poco ma a coltivare anche Asia Arme piace. Pensi, cioè, che le gento: C’erano 80 mila api api hanno vissuto e vivono – racconta l’attrice - sino in un mondo che non all’ultimo non sapevo come hanno trasformato, abbrutavrei reagito, non amo gli tito, manomesso per vivere. insetti, la mia paura più Hanno preso cioè senza digrande sono le cavallette, struggere e senza violenza. poi ho conosciuto la dediCosì pensi agli uomini e dici zione di questo apicoltore, che la storia, quella grande mi sono accordata alla sua non è altro che distruzione calma e alla sua delicadi tutto quello che ci cirtezza ed è stato tutto relaticonda. Mare, terra, cielo vamente facile, basta avere non sono più quelli di una un timore reverenziale… volta e tutto per vivere più L’apicoltore di cui Asia Asia Argento e l’apicoltore molisano Vincenzo Pucci comodi e senza problemi. A Argento parla è Vincenzo Pucci di Santa Croce di Magliano. Un giovane imprendi- volte anche meno, ma senza combattere. Tu vedi le api e ti tore che ha fatto del suo lavoro una bellissima passione. O muovi tra loro con paura e dolcezza. Senti il piccolo rumore meglio ha fatto della sua passione un gratificante lavoro. di una vita organizzata e capisci che solo dentro un sistema Conoscendolo non poteva fare altro che quello. Con le api di rispetto e sentimento potrai garantire al tempo di non dibisogna restare calmi sempre e bisogna accettare il loro struggere. Gli uomini hanno fatto esattamente il contrario. mondo senza compromessi. Se entri in un’arnia (l’arnia è il Ti giri e vedi discariche abusive, mare inquinato, alberi ricovero artificiale dove vive la colonia di api domestiche) e morti, natura in agonia. Questo vedi. Vincenzo mi ha detto ti batte forte il cuore le api ti attaccano come a rendersi che le api si lasciano anche accarezzare e Asia Argento, con conto del tuo timore e delle tue paure. L’ape è forse l’ani- la sua voce d’ape, quando parla di Vincenzo lo fa come se male più intelligente al mondo e lo capisci da come vive e parlasse di un extraterrestre. Ti commuove, Asia. Qualcuno da come organizza la sua vita. L’apicoltore se non conosce venuto da un altro mondo. E nella foto lo stringe come a non quel mondo soccombe e cambia mestiere. Solitamente chi voler perdere la lezione che questo ragazzo le ha trasmesso. fa questo mestiere ha doti umane particolari e in qualche Una piccola lezione, come le sue api. Che in questo caso hanno anche attraversato il mare e pare in assoluto silenmodo dovrebbe e potrebbe spiegare agli uomini come organizzare la propria vita in relazione alla vita delle api. Noi zio. Paura del mare. Bisognerebbe imparare non solo dalle siamo esattamente il contrario delle api che sono insetti api ma da ogni tipo di animale che ha vissuto sempre nel ricalmi e metodici e hanno una vita organizzata per ogni ne- spetto estremo della natura che li ospitava. Madre Terra. E cessità. Piramidale e senza raccomandazioni. Chi merita sta i genitori insegnano esattamente il contrario di quello che sopra, tutte le altre svolgono funzioni complementari all’al- insegnano le api. Insegnano a non essere e ad allontanarsi sempre più. Insegnano a vincere senza combattere. veare. Senza raccomandazioni. Con loro non puoi scherIn Ucraina ammazzano cani randagi per non spaventare zare, devi avere rispetto. Vincenzo Pucci ha parlato con Asia Argento e le ha spiegato come trattare le api. Non sanno i tifosi. E arrivederci.
aeroporto interporto ferrovia autostrada fondovalle N
iente aeroporto nel Molise. A prescindere dal livello. Se non sbaglio, quello che era stato proposto da Di Pietro era di terzo livello. A Roma si sono detti: Ma andassero pure in treno i Molisani.
G
ià i treni. Ma siamo proprio sicuri che sia il caso di viaggiare in treno nella nostra regione? Per Termoli spesso il pullman prende il posto delle rotaie; per Roma si susseguono i disservizi e il sovraffollamento.
S
i torna a parlare di autostrada e questa volta sembra che i soldi ci siano. Ce ne vogliono tanti, oltre mille milioni. Ma dalla capitale arrivano notizie rassicuranti: l’opera dovrebbe essere cantierata entro la fine dell’anno.
R
esta sempre in alto mare la sistemazione dell’area del vecchio Romagnoli. Sono decenni che se ne parla, ma alle parole non seguono i fatti. In compenso non mancano le polemiche, sempre in primo piano.
N
on si hanno più notizie neppure dell’interporto. A Termoli era stato annunciato l’importante infrastruttura, ma non si è ancora giunti a un punto che faccia pensare alla risoluzione del problema.
S
enza infrastrutture il nostro Molise è destinato a rimanere sempre al palo. Il trasporto costa troppo e a nessun imprenditore con un minimo di cervello viene in mente di investire nella nostra terra.
U
na corrente di pensiero, intanto, mira a salvaguardare la Sulmona- Carpinone, in nome del suo magnifico aspetto paesaggistico. In un momento di crisi bruciante c’è chi continua a difendere certe scelte del lontano passato, quando i politici facevano passare la ferrovia sotto i loro paesi, anche se scomodi e fuori tratta.
M
i chiedo: se invece di perdersi in parole si fosse usato il comportamento del buon padre di famiglia, facendo allargare, dov’è possibile, la Bifernina, intervenendo anche sulla soppressione di un buon numero di curve, avremmo una bella strada tra Campobasso e Termoli, in barba a tutti i faraonici progetti di superstrade e autostrade.
S
i scopre che ci vogliano ancora due milioni per completare la Fondovalle del Rivolo di cui si parla da quando ero studente. Questa volta sembra che ci siano le opportunità che l’opera venga conclusa: il Commissario De Matteis sembra intenzionato a chiudere la stucchevole partita.
S
i continua a parlare anche di raccolta differenziata. Ma non si va oltre gli annunci. In qualche piccolo comune bravi sindaci stanno dando il buon esempio. Si spera che anche le comunità più numerose vengano messe in condizione di far partire la differenziata. Il cui funzionamento dipende non solo dagli amministratori, ma soprattutto dai cittadini che dovrebbero fare qualche sacrificio.
A
Termoli il mare è sempre più blu. Ma anche questa estate mi par di capire che gli affari non si annuncino d’oro per gli operatori turistici. La nostra costa malgrado le buone intenzioni non è riuscita a decollare. Ed è un vero peccato, avendo tutte le caratteristiche per farsi apprezzare.
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di Gegè Cerulli
Due
Il sindaco “di un mattino” De Vivo, al cui fianco c’è Paolo Frattura
Plausi per il ricorso al Tar, ma polemiche per la caduta del consiglio comunale di Isernia
N
on bisogna essere né Einaudi né De Gasperi, ne Benito Mussolini che andò al potere con 35 deputati, per poter mettere bocca su ciò che sta accadendo nel panorama politico regionale, in cui molti si ergono a maestri di democrazia. Guarda caso: i mae-
strini, in questa fase, stanno tutti dalla parte della sinistra. Ove si sente profumo di vittoria. E, allora, in molti ci provano e, magari, ci riprovano. I “sinistrorsi” ormai si danno tante arie. Così capita di ritrovarseli in piazza, a manifestare contro le dimis-
Sostenitori del centro sinistra in piazza dimentichi di quanto accaduto in Regione
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sioni dei 18 consiglieri eletti nel centrodestra, al comune di Isernia, in cui il voto disgiunto aveva premiato, oltre ogni pronostico, l’onesto Ugo De Vivo, un galantuomo che nei pochi giorni in cui è stato primo cittadino del comune pentro, forse mal consigliato, ha commesso tante di quelle cappellate da determinare l’azzeramento del consiglio. Con susseguente nomina del commissario prefettizio. E rinvio dei cittadini alle urne, per la prossima primavera. Frattura dice delle cose che non stanno né in cielo né in terra, ma dice anche delle sacrosante verità. Per non sbagliare denuncia tutto ciò che avviene sul fronte avversario, che lui conosce molto bene, avendone fatto parte per un certo periodo. Poi ha cambiato rotta e si è messo a capo del centrosinistra. Sfiorando la vittoria alle regionali. Frattura che altro dovrebbe fare in una Regione in cui tutto è a pezzi, dove si vive alla giornata e dove di Imu si morirà se non verrà congelata sin dall’anno prossimo?
La democrazia piace alla sinistra solo quando le è favorevole
pesi e due misure Così contesta. E dà lezione di democrazia. Utilizzando la politica dei due forni, tanto cara alla vecchia DC. Paolo, in pratica, ha fatto tutto il possibile per tarpare le ali ai vincitori dell’ultima tornata elettorale. Riuscendo, con un ricorso ad hoc, a bloccare il lavoro del Consiglio, limitando anche quello della giunta. In attesa della sentenza del Consiglio di Stato lo sfidante di Iorio sta affilando le unghie, per presentarsi a una nuova competizione elettorale. In cui spera di poter ricevere il suffragio del popolo che s’è stancato di vivere alla giornata in una regione che presenta infinite distonie e che offre scarse prospettive ai giovani. Frattura dice quello che i molisani, e sono sempre più, pensano. I suoi bersagli sono quelli dell’uomo della strada che ce l’ha con chi è al potere e che ha messo sotto torchio i cittadini, costretti a pagare balzelli dietro balzelli per poter ripianare i debiti pregressi. Specie quelli fatti nel campo della sanità. Non fa una piega ciò che Frattura
ha fatto per stoppare il governo del centrodestra; alcuni dirigenti di partiti e di liste hanno pasticciato quando si è trattato di raccogliere le firme e il Tar li ha colti in fallo. Ordinando l’azzeramento del voto. Salvo vedere ciò che dirà il Consiglio di Stato che dovrà valutare le opposizioni presentate dagli avvocati Colalillo e De Pascale, per contro del centro-destra. Ciò che non quadra in Frattura e nei suoi compagni di viaggio è il chiasso che stanno facendo per ciò che è accaduto a Isernia. In cui s’è verificato un caso anomalo, chiamato “anatra zoppa” e che ormai tutti riconoscono in un voto disgiunto che ha eletto, in prima istanza, una maggioranza a indirizzo di centro-destra, mentre due settimane dopo ha promosso sindaco un membro del centro-sinistra. Delineando una situazione di netta ingovernabilità. La prima cosa che si sarebbe chiesto al neo eletto De Vivo e di presentarsi dalla signora Rosa Iorio, sconfitta ma pur sempre a capo di una maggioranza, per trovare con lei e con i mag-
giorenti del suo schieramento un modo per poter rendere potabile l’esito del voto. Invece De Vivo ha fatto di testa sua, nominando una giunta esterna, scelta nella società civile, ma costituita da amici suoi, no condivisi dai rivali. Per ricaduta il centro-destra dei delusi non ha potuto far altro che far valere i suoi numeri. Perché la democrazia si basa sui numeri, a Isernia, come in qualsiasi paese civile. Da qui la caduta del consiglio. Se Frattura ha utilizzato il percorso più idoneo per bloccare il consiglio regionale, di cui anch’egli fa parte, ci chiediamo perché mai ora si scandalizza se, pur per altra strada, lo stesso è accaduto a Isernia. In cui né più né meno si sono comportati come ha fatto lui a Campobasso. Non ci sono piaciuti neppure i piagnistei dei suoi sodali che si sono messi in cattedra per dare lezioni di stile a chicchessia. La democrazia ha le sue regole. Che non possono piacere solo quando sono a noi favorevoli.
Roberto Ruta segue divertito l’intervento di Ugo De Vivo nella piazza di Isernia
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Amodio De Angelis / intervistato da Gennaro Ventresca
Il settore agricolo? SarĂ il primo a ripartire 14
I
l teatro di questa storia è la campagna. La sana campagna molisana, dura, troppo arsa in estate e infangata in inverno, in cui chi vi lavora si trova a fare i conti con i numeri che generalmente non tornano. Perché la campagna, intesa come azienda agricola, spesso ti illude e per questo fa scappare i giovani. I quali giovani vorrebbero qualcosa di più concreto, sono stanchi della politica degli annunci. L’uomo di cui si scrive in questa pagina più giovane non è, ma non va neppure messo nello scaffale degli arrivati. Ha appena compiuto 51 anni, un’età importante, una specie di spartitraffico tra ieri e il domani. Viene dai campi questo bel signore dal portamento eretto, gli occhi chiari come la speranza, i baffi candidi come la neve. Spuntatigli prematuramente, forse per conferirgli quell’aria inglese, altro che contadino agiato. Amodio De Angelis da qualche mese è il presidente della Camera di Commercio di Campobasso, dove per otto anni si è costruito un’immagine e il futuro Paolo Frattura, lo sfidante alla Regione di Michele Iorio. Sarà stato per questo che, improvvisamente, quella carica si è riempita di fascino, assumendo un peso forse anche superiore a quello reale. Non è stato facile scegliere il dopo Frattura. In tanti hanno spinto, del resto era capitato anche prima. E’ appena il caso di ricordare il rumore che fece la nomina del figlio di Fernando Frattura; Vinicio D’Anbrosio, uno degli esclusi, se l’è legata al dito così forte da dare alle stampe un libro talmente aguzzo nei confronti del governatore, da diventare in pochi mesi un best seller. Anche Luigi Zappone digrignò i denti, sentendosi bruciato sul filo di lana. Così, dopo circa otto anni, anche il simpatico Amodio De Angelis si è ritrovato a far da sagoma al tiro al bersaglio di quelli che non sono stati in grado di precederlo nella corsa al bel palazzo che affaccia sul monumento. Chi scrive e parla di De Angelis appellandolo come contadino spesso lo fa mettendoci anche un po’ di livore. Non certo noi, in questo articolo, che ne vuole mettere in evidenza i lati buoni. E’ appena il caso di passare alla spiegazione, per non portarla per le lunghe. Di ceppo agrario, Amodio è proprietario di una bella azienda di una cinquantina di ettari di seminativo, con al margine un oliveto e un vigneto. L’azienda sorge nell’agro di Palata, un vispo paesello di 1.700 anime che non ci sta a parlare al passato remoto, quando gli abitanti erano 5.000 e i giovani pensavano di fissare là la loro dimora. Nel garage De Angelis ha tre trattori, il più grosso sembra una piccola collina; li usa con destrezza, non certo per farsi fotografare come Tonino di Pietro. Quando c’è da lavorare mi metto in tuta, senza troppi fronzoli, spiega nel suo ufficio elegante al primo piano, dove si trova lo stato maggiore della Camera di Commercio. Con tutto ciò che gli capita da fare da quando ha messo insieme la carica di presidente della Coldiretti, carica che ricopre da 12 anni, e quella di pre-
sidente della Camera di Commercio, di tempo per fare il Cincinnato ne ha ben poco. Ma va ripetuto che i campi sono la sua vita, i solchi le vene della sua esistenza. Sposato e padre di tre figli (Domenico 21, Sara 16, e Simone 10) Amodio si sobbarca da sempre il peso della pendolarità. Perché, se non lo avete afferrato al volo, Amodio non ha pensato neppure per un istante di lasciare Palata, un luogo che ama, non solo per esserci nato, ma per gli affetti e l’affinità con la sua azienda agraria. Che provoca nell’interessato qualcosa di indissolubile. La prima cosa che De Angelis spiega è di non puntare a fare politica, anche se gli piacerebbe rivivere gli anni giovanili, quando iniziò a frequentare la Coldiretti e a mischiarsi con i maggiorenti della DC che con quella organizzazione hanno avuto da sempre un rapporto di comunione. Lancia appelli accorati ai giovani che vivono la campagna, invitandoli ad aver pazienza e fiducia; cambiando gli usi e il modo di fare impresa, attraverso l’eliminazione dei costi superflui, si potrà raggiungere il rilancio. Mentre si liscia il candido baffo, lancia quasi un inno di speranza: L’agricoltura si riprenderà presto, resta il settore trainante. Che produce gli alimenti indispensabili per la vita. Farebbe volentieri a meno di parlare della Camera di Commercio, riservandosi di fare prima qualcosa di importante, per metterlo poi sul tavolo. Eppure s’infiamma anche quando gli chiediamo del prestigioso ruolo che gli è stato assegnato. Tra i compiti principali c’è quello di aprire la barriera autostradale alle imprese, per correre sulle strade del mondo. La Camera di Commercio sa di dover dare una spinta agli imprenditori, ma il suo ruolo finisce lì. Tocca poi alle singole partite iva infilarsi nei corridoi giusti. Parla anche della donne Amodio, riferendosi alle imprese in rosa che sono vere, non fatte da prestanomi, come si può pensare dall’esterno. Le donne stanno dimostrando di saper cogliere le opportunità imprenditoriali, anche in una terra con tradizioni maschiliste come quella molisana. Non ci mette molto Amodio a ricordare le difficoltà del momento: Se nel 2011 le imprese che hanno chiuso sono state rimpiazzate da quelle che hanno aperto, nei primi mesi dell’anno in corso il deficit delle chiusure sta diventando preoccupante. La sua va considerata una mission. Mediante la quale poter avere un rapporto giornaliero con le singole imprese, di tutti i settori produttivi. Sperando che la classe politica possa recuperare in fretta il tempo perduto, nel campo delle infrastrutture. La viabilità deludente, la mancanza di un interporto, con le ferrovie obsolete che attraversano il Molise, è difficile mantenere il passo dei migliori. Ma non si può abbassare la guardia. Equivarrebbe al suicidio. Una speranza, piccola, ma concreta: Mi sono imposto di poter accendere un fertile rapporto con la scuola, in modo da mettere direttamente a contatto i giovani con le imprese.
Le salite rimarranno, ma l’urgenza di alimenti rilancerà il settore La Coldiretti resta il mio mondo
La presidenza della Camera di Commercio mi servirà per stimolare le imprese a superare questo momento difficile
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Lo affiancano due ottimi medici molisani: Enrico Maria Centritto e Mariangela Amatuzio Pietro Modugno di anni 42, barese residente a Maglie (LE); è entrato in Cattolica nel 2003, con l’apertura del reparto di Chirurgia Vascolare
Pietro Modugno / intervistato da Gennaro Ventresca
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La nostra forza? Le cellule staminali lto e con parlata lievemente pugliese, viene presentato come un talento della medicina, chirurgia vascolare per l’esattezza. Vanta due passioni, oltre a quella clinica, la vela e il tennis. Sulla parete del suo studio al primo piano, al dipartimento della Cattolica, campeggiano un paio di enormi foto di mare. Sul tavolo, intasato di carte e libri, riesce a farsi largo il ritratto di famiglia, moglie e figli. Pietro Modugno ha un cognome che ti fa pensare a due cose: il cantante di Volare e alla sua terra, la Puglia. In quanto a musica lasciamo perdere, per la terra d’origine è facile prenderci in pieno: è nato a Bari, vive in provincia di Lecce, a Maglie, 400 chilometri precisi da Campobasso. A 42 anni il dottor Modugno, referente In Italia la Cattolica di Chirurgia Vascolare della Cattolica, è l’unico centro che usa ha messo insieme tante cose interesle staminali sia per le malattie santi sul piano professionale. Andando periferiche che coronariche di questo passo non è difficile immagidice il referente di chirurgia nare che presto o vascolare. In nove anni tardi ce lo porteranno via, per asseabbiamo effettuato oltre 1.600 gnarlo a una sede più prestigiosa. interventi arteriosi Modugno, come il suo più noto correcon una mortalità irrilevante gionale, Domenico, ha fatto in fretta a del 5 per mille e complicanze mettere le ali, per minime, 2%. Volare, nel blu, dipinto di blu. E poi spiega: Con le staminali Qui si parla però di cose più serie evitiamo di amputare delle canzonette. Di un uomo e di un gli arti ad alcuni ammalati reparto d’eccellenza che si occupano di problemi vascolari seri, alcuni dei quali sono saliti al proscenio nazionale per il modo di essere trattati, come l’espianto e il successivo impianto nello stesso ammalato delle cellule staminali. Dando uno sguardo alla sua agenda risulta chiaro che per Pietro Modugno tutto è stato sempre secondario rispetto alla lotta contro i problemi vascolari. La conversazione avviene nel suo studio, al termine di due delicate operazioni di routine. Parla a briglia sciolte, senza darsi né importanza, tanto meno arie. Anzi, ci tiene a mettere subito in evidenza alcune cosette: Enrico Maria Centritto e Mariangelo Amatuzio (molisani, n.d.r.) sono i miei più stretti collaboratori. Risulta indispensabile rimarcare il magnifico rapporto di collaborazione con i colleghi degli altri reparti, specie con quelli di cardio-chururgia. Da quando è in Cattolica? Dall’apertura, 2003. Avevo 33 anni.
A
Quali sono le problematiche di cui si occupa? Arteriose, patologie applicate al sistema circolatorio arterioso. Quanti interventi chirurgici compie in un giorno? Almeno due. Il più lungo quanto dura? Anche 5-6 ore, in genere riguarda l’aorta addominale. Dal 2004 ad oggi quanti interventi sono stati eseguiti dal suo reparto? Esattamente 1632 interventi arteriosi, con una mortalità irrilevante, del 5 per mille e una morbilità (complicanze, n.d.r.) intorno al 2 per cento. Ottenendo ottimi risultati, tra i migliori d’Italia. Bisogna poi aggiungere l’attività ambulatoriale che ci ha permesso di visitare 8.000 malati. Qual è l’archetipo dell’ammalato vascolare? In genere ha superato i 70 anni e gli uomini sono tre volte più delle donne. Ci riassuma i dati statistici del suo lavoro. 800 carotide, 500 aneurisma aorta addominale, 500 arterioscopia arti inferiori, gli altri sono roba minore. Qual è l’intervento d’eccellenza che vi ha qualificato? La sperimentazione delle cellule staminali, trapiantate in pazienti che erano candidati all’amputazione degli arti. In quanti usano questo metodo? Solo noi, in Italia, sia per le malattie periferiche che per il cuore. Perché la lista d’attesa è lunga anche quattro mesi per un Ecodoppler? Perché da noi ci sono esami fondamentali da eseguire, inquadrati a 360°, in modo da poter stabilire le priorità e valutare a puntino la condizione clinica generale del malato. Qual è il segreto del suo reparto? Il contatto continuo con i colleghi del dipartimento, il malato viene seguito quasi in equipe, grazie al rapporto non solo professionale, ma anche amicale che c’è tra noi medici che ci conosciamo dai tempi in cui eravamo studenti alla Cattolica. Come siamo messi con la mobilità? Vantiamo una mobilità attiva del 30 per cento: arrivano ammalati dalla Puglia e Campania in modo particolare. Qual è l’intervento più delicato che le capita di eseguire? Alla carotide, si agisce su uno dei vasi che vanno al cervello che potrebbero generare complicanze, come l’ictus. Ci detta un titolo? La nostra forza è il trapianto delle cellule staminali. Quante ore al giorno lavora? Non meno di dieci. Sono in Cattolica già alle 7,30 e torno a casa, in città dove abito, solo dopo le 20. Le pesa vivere lontano dalla famiglia? E a chi non peserebbe? Torno dai miei il venerdi notte, dopo 400 chilometri d’automobile.
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Ludovico Iammarrone in versione B
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La croce di Colino
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Le foto di
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Massa si affida a Mimino
Lo sceriffo con e senza barba
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Le chiese del capoluogo Il bravissimo Walter Mussini ha saputo cogliere con la sua reflex uno scorcio panoramico particolare della collina dei monti in cui si evidenziano, tra l’altro, le artistiche chiesette di San Giorgio e San Bartolomeo
L’ex Pm Oscar Mele
L’ex questore Riefolo
Il giudice Vincenzo Evangelista
I ritratti di Michele Praitano Pubblichiamo alcuni disegni di personaggi molisani apparsi sulla rivista del Rotary club negli anni Ottanta
Il dott. Franco Tomaro
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L’arch. Franco Valente
Il dott. Antonio Vendemiati
C
ome si sa, il dottor Michele Praitano, dentista in quiescenza, oltre a essere un benemerito collezionista di opere d’arte, quasi tutte donate con un recente lascito alla Soprintendeza alle Belle Arti che con una parte vi ha aperto una piccola pinacoteca a Palazzo Pistilli, nel centro storico, L’on. Francesco Colitto è anche un valentissimo Il dott. Ludovico Nerilli artista. Le sue doti si estrinsecano con i pennelli ma soprattutto nei ritratti. Alcuni dei quali abbiamo deciso di pubblicare in queste pagine. Per fare cosa gradita ai nostri lettori d’antan e ai familiari e agli amici dei personaggi che qui si possono agevolmente riconoscere. Si tratta in modo particolare di professionisti, appartenuti al Rotary Club, di cui Michele Praitano, per due anni (1987-89), è stato presidente.
Il dott. Nicola Pagliarulo
L’avv. Luigi Berti
Il dott. Luigi Carnevale
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di Walter Cherubini
I
settori trainanti dell’economia molisana sono tutti in crisi. Una condizione comune, di questi tempi, al resto del paese e dell’Europa. Le problematiche appaiono complesse e variegate, comprendono incongrue scelte politiche, incagli burocratici, esigenze sindacali, difficoltà delle imprese, mancanza di fondi. L’elenco è lungo, la sostanza è che l’economia è ferma. Finito il tempo dello scialo nella Sanità, chiuso per pletora ogni serbatoio occupazionale nella pubblica amministrazione, si deve costatare come l’agricoltura non riesca a raggiungere uno sviluppo omogeneo sul territorio, anche perché la produzione locale in genere non vanta peculiarità rispetto alle altre regioni e pertanto la corsa a guadagnare piccoli spazi nel mercato è sempre a ostacoli. L’industria soffre ovunque, a maggior ragione in una situazione in cui molti imprenditori sono stati attratti più dagli incentivi messi a disposizione dagli enti che dall’effettiva volontà di sviluppare progetti redditizi e a lungo termine. Un quadro negativo, che si completa con la crisi più importante e incisiva per il Molise, quella del settore edilizio. Chi vuole buttarla in politica incolpi pure gli amministratori, in verità gli enti locali sono limitati dalle esigenze di bilancio e dalle scarse disponibilità che impedi-
scono progetti di sviluppo imponenti e doverosi nel settore dei lavori pubblici, iniziative che rappresentano ancora una priorità assoluta, sia perché il Molise ha molte mancanze da colmare, sia perché le infrastrutture restano strategiche per l’intera economia molisana. Non può esserci provvedimento efficace contro lo spopolamento che non comprenda collegamenti rapidi e viabilità adeguata. Non può esserci un’equa razionalizzazione dei servizi sul territorio (sanità, poste e così via) se poi non si è in grado di garantire spostamenti rapidi in tempi utili per i cittadini utenti. Tutto ciò passa non solo per volontà e capacità politica, né è sufficiente la copertura economica finché non si elimineranno i laccioli burocratici e i fanatismi che bloccano qualsiasi iniziativa in nome di un ideale vago e di solito minoritario. La strategia di sviluppo del Molise, svincolato dall’assistenzialismo e dal colonialismo, non potrà che ripartire dall’edilizia, creando le condizioni per un rilancio del settore, storico volano economico della nostra regione. La domanda da un milione di euro è come impostare la ripresa, in un contesto critico, complicato pure dalla concorrenza di grandi aziende pronte per necessità ad assorbire tutte le risorse disponibili, a scapito delle imprese locali. La
prima cosa da fare, è progettare uno sviluppo compatibile nel settore, programmando una serie di priorità da soddisfare in rapporto alle risorse e alla ricaduta benefica sugli altri settori economici. Le scelte a quel punto diventerebbero politiche ma non c’è dubbio che l’autostrada rappresenterebbe l’infrastruttura per eccellenza da perseguire. Non bisogna tuttavia dimenticare il mattone, inteso come sviluppo dell’imprenditoria privata. L’accesso al credito è un fattore decisivo, ma ciò non dispensa i Comuni dall’individuare gli strumenti necessari per la ripresa di un’attività che porti lavoro e rimetta in circolo denaro. E’ vero che in questo periodo di case se ne vendono poche mentre l’offerta è notevole, ma è indiscutibile che esistano forti pressioni sulle amministrazioni per limitare licenze di costruzione, in modo da consentire a imprenditori e privati di “smaltire” il surplus di case da vendere senza il rischio di svalutare il costo degli immobili e ridurre le rendite. Anche in questo caso le scelte sono di tipo politico. Puntare sulla concorrenza, che abbasserebbe costi e prezzi (come già sta avvenendo per necessità) oppure sottostare alla volontà delle piccole ma irriducibili lobby che nel tentativo di tutelarsi generano stagnazione.
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di Giuseppe Saluppo
Casalciprano scene di altri tempi e guardare quegli oggetti caduti nel dimenticatoio. Entrare oggi in questo museo dell’arte contadina è come entrare in una macchina del tempo che ci conduce nel Molise del secolo scorso. Museo del vissuto e patrimonio di intere comunità. E’ la stanza delle meraviglie dove recuperare la propria ricchezza culturale nella comprensione di un patrimonio fatto di tradizioni, spesso ormai affidate solo alla memoria degli anziani, che rievocano lo spirito dell’epoca, un ventaglio di sensazioni profonde, odori e immagini. E’ il museo che rende testimonianza autentica di secoli di vita rurale. Vuole stimolare la curiosità in questo viaggio nel tempo con la consapevolezza che perdere le tracce del nostro vissuto equivarrebbe a svuotare la nostra identità del senso del tempo. Il museo etnografico (forse più di altri tipi di musei) ha particolarità che ne fanno il luogo deputato non solo della conservazione ma soprattutto della rappresentazione della memoria di una comunità: memoria del paese, paese della memoria. E si configura come un luogo dinamico, come una macchina capace di far viaggiare il visitatore nel tempo e di contenere nel suo spazio evocativo passato e futuro: memoria degli antenati e capacità di immaginare il futuro. Perché il futuro si costruisce sul passato e si rende intellegibile solo attraverso la comprensione delle radici di cui è frutto. Una passeggiata a Casalciprano è tutto questo. Provare per credere.
Un tuffo nella memoria della civiltà contadina Il venditore
Il banditore
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P
ensiamo ad una notte d’estate. Un cielo stellato e potere passeggiare attraversando i vicoli dei nostri paesi. A Casalciprano, così, è possibile immergersi in questa atmosfera visitando il Museo etnografico all’aperto della civiltà contadina. Un raro esempio di costruzione di un percorso suggestivo che si pone dinanzi a quanti si portano nel piccolo paese, appena 500 abitanti, al di qua del Biferno. Si pone dinanzi anche al rapporto con il moderno in trasformazione, riportando con forza in primo piano le caratteristiche di una vita scomparsa o in corso di sparizione e l’urgenza di mettere in campo i caratteri nativi e originari per fronteggiare tanto i processi di mutamento quanto la sensazione, diffusa tra le popolazioni, di essere in bilico tra due mondi e forse condannate all’estinzione. E di conseguenza, ha illuminato da altre prospettive il radicamento, l’appartenenza e la dimensione locale, suscitando nelle comunità l’esigenza ed il bisogno pressante di conservare e documentare il loro passato. Tutto questo dinanzi all’erosione sempre più accelerata della vita tradizionale; alla scomparsa rapida degli oggetti e delle suppellettili che ne testimoniavano il fluire; al tramonto (o profonda trasformazione o uniformarsi) non solo delle tecniche ma anche delle coltivazioni. E attraversando vicoli e strettoie è possibile rivivere
vita nel vicolo
Sono tre anni che la padrona dell’agriturismo di Guardialfiera ci ha lasciato
La storia triste di Clesilde La bella signora aveva 49 anni quando morì tra i fornelli, stroncata da un infarto
C
i sono storie e storie. Questa è di quelle che toccano il cuore. E’ piena di tristezza. Vecchia di tre anni, era agosto del 2009. Eppure sembra ieri. L’ha vissuta una famiglia felice, marito, moglie e quattro figli. Con un’attività di ristorazione che va alla grande, il lavoro arriva sin sopra i capelli. Non c’è tempo di annoiarsi a Guadialfiera, in contrada Colle delle Forche, a pochi metri dalla strada che tutti chiamiamo Bifernina. Più giù c’è il lago che favorisce la soavità del clima. Ovunque si guardi l’occhio si riposa. Nel suo appezzamento agrario di 11 ettari, lascito di famiglia, la signora Clesilde D’Angelo, una bella e guizzante donna moderna, ma con principi antichi, decide di aprire un agriturismo che chiama con il suo nome, Casale di Clesilde. La struttura è bella, funzionale e ben rifinita; il panorama è godibile e il clima è tra i migliori della regione. Al resto pensa lei, Clesilde che si mette ai fornelli, attorniata da un gruppo di donne del paese che sanno fare la pasta a mano e che conservano le tradizioni culinarie del passato molisano; prepara menù succulenti che in fretta fanno il giro della zona. Non ci impiega molto a raccogliere un successo esagerato, anche perché intorno a lei ruota l’intera famiglia,
il pacioso e sempre sorridente Serfino Spugnardi, suo marito e i figli Rosita (26), Antonella (25), Chiara (24) e Guadenzio (20), Ivan Marinaro, il bel marinaio di navi mercantili, fidanzato di Chiara. Serafino sa accogliere con grazia e cordialità i clienti e sa come prenderli per la gola quando porta in tavola le specialità della casa. Tutto va a gonfie vele. Sino a che arriva un insospettabile ciclone. Siamo in pieno agosto del 2009, gli impegni si moltiplicano, Clesilde è impegnata in cucina a preparare un dolce. Improvvisamente perde i sensi, cade sul pavimento. Si pensa a un malore, dovuto allo stress. Il nobile cuore di moglie e di madre ha subito un insulto così forte che si ferma per sempre. Senza il minimo preavviso muore a 49 anni, tra la disperazione dei familiari e di chi le ha voluto bene. Il destino da dolce diventa improvvisamente tragico. Clesilde lascia un vuoto che nessuno pensa di poter colmare. C’è un’intera comunità che la piange, oltre a una famiglia inconsolabile. Che, asciugate le calde lacrime, si rimbocca le maniche e prosegue nel solco tracciato dalla donna.
Niente sul piano umano è come prima, eccetto l’artiglieria di chi ha deciso di non disperdere i suoi insegnamenti. Il locale continua a sommare coperti su coperti, pur senza la mano calda della padrona, ma a sera, quando si spengono le luci per la famiglia Spugnardi cala una tristezza senza fine, mentre dalle foto esposte su uno specchio di fronte all’ingresso, Clesilde, come se niente fosse accaduto, regala un sorriso carico d’amore ai suoi familiari. (ge.ve.)
Clesilde D’Angelo assieme al marito Serafino Spugnardi e al giovane marinaio Ivan Marinaro, fidanzato di Chiara
La famiglia Spugnardi al completo con i quattro figli
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di Gennaro Ventresca
Quando c’era Mister Caponata L
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a tradizione l’ha conquistata a tavola. Attraverso una cucina semplice, ma pensata. E lavorata senza elaborazione, per far prevalere la bontà della materia prima. Il vino veniva servito in boccali di terra cotta, porcellanati. Usciva fresco, ricco di bouchè dalla cantina. Se la stagione era favorevole, sulla tavola compariva la Caponata, una insalatona fatta con i biscotti di farina, ammestierati con un po’ di aceto bianco e conditi con commarelle, peperoncini, alici salate, sedano, origano, sale e olio; per decorazione servivano uova sode, e olive verdi e nere, oltre a un ciuffo di prezzemolo. Non solo Caponata, ma anche mussillo, allulleri, trippa e genovese e molto altro usciva dalla cucina di due locali, uno invernale (Via Torino) e l’altro estivo (Fossato Cupo) di Aciniello. Per tutti è stato “Mister Caponata”, o più semplicemente Aciniello che
italianizzato sta per Chicchetto. Parlare di Michele Paolino, amante profondo delle tradizioni campobassane come sono, non mi riesce difficile. In pochi ricordano il suo nome e cognome, mentre il marchio Aciniello è rimasto nella mente dei campobassani, oltre che sulle insegne dei due locali che sono rimasti agli eredi, anche se sono stati dati in gestione a
due esercenti, attenti a seguire le orme del vecchio proprietario. Michele Paolino era un bell’uomo, con una figura rotonda e due baffetti ben curati, come erano sempre ben impomatati i suoi capelli pieni di onde. Lo ha affiancato la moglie Angela De Vivo, una donna di taglia forte, con una faccia rotonda e liscia e una gran voglia di fatica.
A Fossato Cupo e Via Torino Michele Paolino è stato l’ultimo cultore della cucina semplice
Ricordando una fetta del passato gastronomico campobassano: Aciniello La vulgata attribuisce il nome di Aciniello proprio alla vivacità di Michele che, da bambino, amava correre per i campi, senza tralasciare le salite. E nel suo muoversi sembrava un Aciniello, capace di rotolare per i pendii, senza farsi male. Fatto è che il nome è diventato un marchio che ha avuto un successo che dura nel tempo e che ha saputo superare i cambiamenti imposti dalla moda. Senza rincorrere né scimmiottare la nouvelle cousine Aciniello è rimasto quello di sempre: vino, caponata, mussillo, trippa e altre pietanze campobassane. Durante la bella stagione la gente dalla città si portava sino a Fossato Cupo, per prendere il fresco, fare una bella merenda o trattenersi per la cena. I prezzi popolari e i tavoli sempre occupati. Michele dopo una bella vita intensa si è spento a 83 anni, nel 1997; suo figlio Antonio che per mestiere (ha fatto l’informatore
medico-scientifico) si è tenuto lontano dalla cucina, come del resto la sorella, non ha voluto far disperdere una storia familiare, nata nel 1825 con il trisavolo che portava proprio il suo nome, Antonio. Da Antonio siamo passati a Francesco Paolino, quindi ecco un altro Antonio, nel 1882, quindi il padre Michele, nato nel 1913. La dinastia della Caponata finisce in pratica con la morte di Michele Paolino, mentre i locali sono ancora in piedi. Quello di Fossato Cupo, per mano di Antonio, ha di recente subito una radicale trasformazione, è stato in pratica rifatto con eleganza e ingrandito. Lasciando la location, la frescura, il forno all’aperto e la presenza delle portate semplice e saporite di una volta. A Via Torino, al contrario del passato, il locale resta aperto tutto l’anno; col bel tempo funziona anche un gazebo all’aperto. I posti sono limitati, mentre i sapori sono alti.
In alto Michele Paolino, “Aciniello”, con un boccale di vino A destra signore campobassane intente a servirsi al tavolo della caponata In basso Angela De Vivo e il marito Michele Paolino A lato in basso tavoli imbanditi con le specialità di casa “Aciniello”
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Piccole banche crescono
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Il tassista Pasquale De Soccio assieme alla nipote Antonella e ai genitori della sposa Lucia e Raffaele Di Cesare
L’ultimo viaggio in taxi
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ul tettuccio della sua Mercedes bianca, sempre pulita e lucidata, da un paio d’anni non campeggia più né la scritta Taxi, né il N. 1. Pasquale De Soccio, raggiunti i 90 anni, ha deciso di abbandonare l’attività. Ma non l’appuntamento con il suo posto fisso, in piazza Prefettura. Dove, con qualsiasi clima, è sempre presente. Da oltre mezzo secolo. Di coppie di sposi ne ha accompagnate tante. Per questo non ha voluto mancare al suo ultimo viaggio da tassista incallito, per il matrimonio della nipote Antonella, primogenita di Lucia e Raffaele Di Cesare, due benemeriti della pallavolo campobassana, che si è unita in matrimonio con un bel giovane siciliano, di Siracusa che per l’occasione ha voluto offrire agli invitati alcuni prelibati dolci della sua terra. Pasquale, dopo essersi lisciato a dovere il baffo e avergli conferito un colore ancora più scuro del solito, con aria commossa, ma sicura, si è diretto verso la cattedrale. Pavoneggiandosi come un giovanotto, mentre invitati e amici del Bar Lupacchioli lo guardavano con ammirazione.
rocede a tambur battente l’iter procedurale per l’apertura della Banca di Credito Cooperativo di Campobasso. Chiusa la prima fase, si è entrati nella fase due. Cresciuto anche il numero dei soci promotori, passati da 13 a 17, tra i quali brilla il nome di Massimo Trivisonno. La Banca d’Italia pretende una raccolta di fondi non inferiore ai 5 milioni di euro, frutto dei capitali investiti dai soci promotori e dagli azionisti. I quali, sia spiegato, hanno il capitale garantito: in caso di mancata apertura della banca verranno corrisposti agli azionisti interessi annui Il dott. Angelo Di Setfano del 2,9 per cento. promotore della Banca La quota minima da versare è di appena mille euro, alla portata di tutte le tasche. Va detto che intorno all’apertura della banca del capoluogo c’è un discreto interesse da parte della piccola impresa che attende con fiducia che qualcuno possa darle una mano.
Piero Perrino alla Triennale di Roma U
na chiave con la serratura. Un telegramma che ti riempie di gioia. Una gratifica che neppure ti aspetti. Il tempo che corre non inutilmente. Per Piero Perrino il momento è fecondo: da Roma la bella notizia. L’artista molisano è stato selezionato per la Triennale di Roma 2013, ove dovrebbe prendere parte, a pieno titolo, alla manifestazione in veste di espositore. La sua arte moderna, fatta di tratti forti e folgoranti, gli sta riservando piacevoli sorprese. Certo, l’appuntamento capitolino è di quelli che ti fanno girare la testa. Non solo per il caldo di questi giorni, ma per gli alti contenuti artistici. Nel frattempo, il pittore di arte astratta, sta esponendo a Varazze, in una delle zone più belle e tristemente martoriate dalla tempesta, presso la mostra nazionale Palajacovo, con alcuni suoi incisivi lavori. Strana la vita di Perrino, nato assicuratore, diventato fotografo e, strada facendo, scopertosi artista dei pennelli.
di Arnaldo Brunale
Campuascianeria
I detti del capoluogo S
ignore ràlle lume, sé no raccénne quatte! Più che un’invocazione, questa è una vera e propria battuta di cattivo gusto. Quando una persona delira ovvero ci da fastidio con le sue esternazioni, allora invochiamo il Signore affinché le faccia riacquistare il lume della ragione altrimenti, se continua nel suo atteggiamento, di regalargliene quattro, come quelli che si posizionano solitamente attorno ad una bara. So’ rémaste al verde! Questa è una battuta che pronunzia una persona quando resta senza soldi. Essa ha origini antiche e si ricollega alle candele di cera veneziana adoperate nelle contrattazioni di mercato, che avevano alla loro estremità inferiore un piccolo basamento di color verde. Quando la candela si consumava, raggiungendo quel colore, stava a significare che essa poteva bruciare ancora per pochi minuti prima di spegnersi del tutto e porre fine alle trattative. Sta sempe ‘n triréce come u Giuvérì ‘n miéze a’la séttémana! L’origine di questa battuta, molto diffusa fra la nostra gente, si presta ad una serie di ricostruzioni storiche, tutte più o meno attendibili. Chi è abituato a stare al centro delle attenzioni in ogni circostanza potrebbe essere paragonato: 1) alla posizione mediale occupata dal Giovedì nell’arco della settimana; 2) al candelabro a tredici braccia posto in bella evidenza agli ospiti sul ripiano di una tavola dalle famiglie ebraiche; 3) alla candela più grande, collocata in posizione intermedia, su un candeliere a due bracci su ci vi sono accese sei candele per lato, sistemato sul fianco sinistro dell’altare durante il rito dell’Ufficio delle Tenebre che, ancora oggi, si celebra in alcuni paesi del nostro Molise nella settimana di passione che precede la santa Pasqua. Durante questa cerimonia le tredici candele vengono spente progressivamente dopo la declamazione di ogni salmo dedicato a Gesù Cristo. Il cerimoniale sostituisce la recitazione del più classico rosario; 4) ad un candeliere messo in bella evidenza sulla tavola di una famiglia a Napoli che, nella smorfia napoletana, è contraddistinto dal numero 13. Stanotte hai chiamate a Biagge! E’ l’affermazione che, solitamente, fa colui che trascorre una nottata insonne per una indigestione. Il riferimento a San Biagio è dovuto al fatto che questo santo, essendo protettore della gola, è ritenuto anche il protettore di tutti coloro che sono soliti mangiare molto.
Stenghe passanne le ‘uāie ‘é Santa Féluména! Esclamazione rassegnata ed al tempo stesso addolorata fatta da una persona perseguitata dalle sofferenze. S. Filomena è un personaggio leggendario, vissuto al tempo delle persecuzioni dei cristiani, il cui corpo fu rinvenuto nel 1802 nel cimitero (catacombe) di Priscilla a Roma. Si vuole che il nome di questa santa sia scaturito da una errata interpretazione di una iscrizione riportata sul suo sepolcro. Té magne cape ‘é zì Vécienze! Stai attento a spendere tutti i tuoi soldi ora perché, poi, sarai costretto alla fame! Questo modo di esprimersi ha avuto origine dalla volgarizzazione della frase latina capita sine censo con cui, nel diritto romano, veniva identificata una classe sociale a cui appartenevano i più poveri che, per la loro condizione di indigenti, erano esentati dal pagare le tasse allo Stato. Tè ‘na lénga longa ca cé può’ pulì’ u furne ‘é Palazze! (Pacchione) Ha una lingua così lunga (intesa come il parlare male degli altri) che, per assurdo, con essa potrebbe ramazzare il forno di Palazzo, nota famiglia di panificatori di Campobasso, senza patire danni. Tè ‘na ‘ócca come a Porta Capuana! Porta Capuana è un varco monumentale molto ampio ed importante della città di Napoli. Con questo modo di dire, solitamente, ci si rivolge a tutte quelle persone che non sanno mantenere un segreto, portandolo a conoscenza di tutti coloro con cui si trovano a parlare. Tè puozza murì’ ‘é Venerdì Sante accuscì nisciune té sóna le campane a muōrte! Fare un augurio del genere ad una persona significa volerle proprio male. Il Venerdì Santo, giorno sacro e di lutto per la Chiesa Cattolica, è il giorno della morte di nostro Signore sulla croce, per cui le campane delle chiese non vengono fatte suonare in segno di rispetto. Tre so’ le putiénte: u Pape, u Re e chi nén tè niente! E’ un modo di dire che vuole evidenziare l’agire assurdo di chi è libero da ogni legame ed è privo di ogni avere. Il suo stato lo porta ad operare senza pensieri, permettendosi cose riservate solo ai potenti. Tu tiè’ la capa tosta? E u padre ‘uārdiane té l’ammolla! Sei un gran testardo, ma non ti preoccupare perché c’è qualcuno che è in grado di convincerti, con le buone o con
le cattive maniere! L’aneddoto riferisce di un padre guardiano di un convento che, fra gli altri impegni a cui doveva attendere, aveva quello di raccogliere i frutti dagli alberi che lui stesso aveva coltivato con duri sacrifici. Uno dei compiti principali era quello di staccare dalle piante i fichi già maturi per farli seccare ed intrecciarli, poi, in serti per l’Inverno. Quando si imbatteva in un frutto ancora acerbo e duro, che non avrebbe dovuto cogliere, egli lo prendeva ugualmente profferendo nei suoi riguardi questo tipo di affermazione, ritenendosi in grado di poterlo utilizzare in ugual modo. Nella vita, il detto è ripreso ed adoperato ogni qualvolta ci si imbatte in una persona testarda, nel tentativo di convincerla ad essere più comprensiva e disponibile verso gli altri. U che? Domanda ad effetto che presupponeva una risposta da parte di chi la riceveva. Solitamente l’interpellato rispondeva: U strunze ca si! oppure U belle ‘uāglione! Questa battuta era in voga negli anni ’40–’50 del secolo passato, soprattutto, fra gli imbianchini. Va’ a fa’ béne! Récette Pacchétielle! Pacchétiélle, o Pasqualino che dir si voglia, era un personaggio locale vissuto alla fine del secolo diciottesimo, noto per la sua disponibilità ad aiutare gli altri, benché vivesse di piccoli espedienti. Su di esso sono fioriti vari aneddoti, non sempre concordi fra di loro e spesso romanzati dalle fonti orali locali. Se ne citano solo alcune versioni, probabilmente le più veritiere. Una prima vuole che egli pronunziasse la frase va’ a fa’ béne! sul patibolo, in tono di rimprovero verso se stesso, prima di essere impiccato. Si racconta che, un giorno particolarmente ventoso, volendo aiutare alcune donne a stendere il bucato all’interno della Fontana Vecchia, luogo in cui era vietato l’accesso agli uomini, ne fu allontanato dalle loro urla, che lo scambiarono per un malintenzionato. Per questo motivo fu arrestato dalla gendarmeria, processato anche per altri piccoli delitti, condannato e giustiziato in piazza. Pare che la sua esecuzione capitale, avvenuta nei pressi dell’attuale carcere mandamentale, là dove ora vi è eretto un cippo con su una grande croce di ferro, sia stata l’ultima avvenuta a Campobasso. Una seconda versione riferisce che Pacchétielle ebbe a dire questa frase, quando la donna a cui voleva dare una mano a piegare le lenzuola se ne scappò terrorizzata dal lavatoio, avendolo scambiato per un malintenzionato.
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di Bernardo Donati
La struttura nata a fine ‘800 conserva ammirevoli reperti
Museo di Baranello, un gioiello da valorizzare
In alto, uno dei locali della struttura intitolata al fondatore, architetto Giuseppe Barone. A destra, un pregevole piatto in ceramica conservato nel Museo
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ittorio Sgarbi, qualche anno fa, definì quello di Baranello uno dei migliori musei rurali d’Italia. Aggiungendo, da par suo, che l’unico problema per valorizzarlo al meglio sia il conoscere dove si trovi Baranello e come si possa raggiungere il comune molisano. La riprova che l’esposizione, nata a fine ‘800 per volere dell’architetto Barone sia davvero pregevole, arriva dalla riuscita iniziativa “Una notte al museo”, che nel maggio scorso ha suggestionato i visitatori giunti fino al centro storico di Baranello per ammirare circa duemila reperti di ogni genere raccolti nei locali del Museo. Bronzi, ceramiche di era protostorica, vasi a figure nere e rosse provenienti dalla magna grecia, oggetti etruschi,
orientali, porcellane cinesi ed europee, senza dimenticare quelle italiane di Capodimonte. La sezione dedicata a dipinti e sculture, è nobilitata da opere di Luca Gordano e Palizzi, interessante anche la collezione di disegni e progetti dell’architetto Barone, fondatore della struttura nel 1897. Bene farebbero gli istituti scolastici a programmare visite guidate per scoprire il gioiello nascosto a due passi da casa; bene farebbero i molisani a organizzare una puntata culturale di qualche ora a Baranello. Al tempo stesso il Museo dovrebbe incentivare l’afflusso, non solo con l’ingresso gratuito già garantito ma anche aumentando il limite attuale
di visitatori in contemporanea, fissato a quindici. Il problema gestionale è quello più importante, le scarse risorse limitano e condizionano una programmazione continua delle visite gratuite, possibili solo prenotazione. Una condizione diffusa, per le strutture culturali regionali, che pur rappresentando cammei ammirabili spesso restano nascosti alla fruizione del pubblico. Esiste una componente concettuale “èlitaria”, che frena iniziative di apertura al pubblico delle strutture culturali, si tratta però di remore minoritarie, facili da superare in presenza di un programma organico che valorizzi al meglio i piccoli cammei culturali del Molise.
Piazza Dante - La piazza che non c’è
Presunti colpevoli S
Tonino Perna ha subito un provvedimento restrittivo apparso spropositato
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battere il mostro in prima pagina è arte antica. In Europa, furono i francesi a lanciare la moda nel secondo dopo guerra, “Sangre à la une pour epatér le bourgiois” (Sangue in prima pagina per far colpo sulla gente). In Italia arrivò negli anni 60, complici afa e noia d’agosto nel giornale “La Notte”. La redazione, a corto di notizie, trasformò il giovane rapinatore Luciano Lutring ne “Il solista del mitra”. Mezzo secolo dopo, bisogna riflettere sulle disparità di trattamento che i media riservano ai presunti
colpevoli, che passano dalle veline ufficiali ai titoloni. Alcuni con nome, cognome e foto, altri con le sole iniziali, altri ancora in modo anonimo. Tutto ciò, non in osservanza di un codice di comportamento ma a discrezione di chi dà la notizia. L’altro aspetto da valutare riguarda gli innocenti, quelli che escono assolti da vicende che li avevano fatti finire sui giornali. Ad eccezione dei notabili, di solito a chi non ha commesso il fatto viene riservato un trafiletto nelle pagine meno lette. (An.Ca.)
Lettera a me stesso
di
Gennaro Ventresca
Quando eravamo figli di un Dio minore C
sapere. Per ragioni di sicurezza e di riservatezza. Non ci vuole molto a individuare i veri ricchi della città, si possono indicare sulle dita di una mano. Ma, attenzione ai professionisti. Sono loro i veri paperoni: guadagnano alla grande, ma investono poco in loco, per non farsi scoprire. Secondo la vulgata hanno esportato capitali nei paradisi fiscali, facendone rientrare solo una parte con lo “scudo fiscale”. Tra noi non ci sono vip e vipperia, eppure non mancano i soldi. Solo che chi ce li ha non vuol farlo sapere. Per questo si muove con circospezione, avendo cura di non cambiare spesso l’auto che resta ancora la cartina di tornasole del benessere. Erano altri i tempi quelli in cui, noi giovani, passavamo di pomeriggio, all’ora del caffè, davanti al Bar Arlecchino per dare una spiata alla Roll Roys dell’ingegnere Felice Molinari, il quale rideva sempre e si dava un sacco di arie. Quel bar, di fronte al grattacielo, gestito dalla famiglia De
La Roll Roys di Felice Molinari
Rensis, apparentata per parte materna ai Molinari, era il luogo del benessere. Sembrava un esercizio del Sud Africa, vietato ai neri. Nessuno del popolo può dire di aver bevuto un caffè in quel bar, pur non essendoci alcun divieto. L’impiegato non se la sentiva di mischiarsi al ricco: passava, lanciava uno sguardo, sognava, e il caffè se lo andava a sorseggiare al Cafè do Brazil. Succedeva la stessa cosa da Fabian. In tanti guardavamo le sue magnifiche vetrine, ma pur potendo permetterci, magari a fine stagione, di comprare una camicia o un pantalone con gli sconti, lasciavamo perdere. Quel negozio che con coraggio Antonio Siano da Salerno aprì per dare un tono al nostro capoluogo era fuori dalla nostra portata. Oggi non esiste più un vero luogo per vip, s’è appiattito tutto. Eppure rimpiango quei giorni in cui poter parlare dei ricchi che ci guardavano con sussiego e con la supponenza che era la loro firma. Ci snobbavano dichiaratamente, ritenendoci figli di un Dio minore.
AT T U A L I T A’
arissimo, guardare i milionari è un’attività cara ai turisti che vanno in vacanza. Succede anche a me quando esco fuori regione. A Positano mi soffermo sotto la magnifica dimora di Franco Zeffirelli, a Ischia si fa la fila per affacciarsi nel giardino pieno di piante esotiche di Luchino Visconti, a San Felice ci spacciammo per amici della Magnani, pur di dare uno sbirciata al suo parco che affacciava sul promontorio del Circeo. Su indicazione di Paolo Oriunno dovevamo snobbare, invece, a Sant’Angelo d’Ischia, la casa di Fred Bongusto, cantante di successo, partito da via Marconi dove ha lasciato, senza rimpianti, amici e parenti. Guardare i milionari è stato un esercizio sempre caro, anche ai campobassani. A casa loro non la danno a vedere, ma fuori dal Molise cavoli se ci danno dentro. I curiosi armati di macchine fotografiche, telefonini digitali e altre diavolerie tecnologiche scattano, e sognano di essere in quelle case, a dormire sonni comodi, a mangiare aragoste e caviale, come nei film di maniera. Ragazzi e ragazze, nei porti turistici, ammirano dal basso le grandi barche dei milionari, osservano le compagnie dei ricchi proprietari e si dicono tra loro: Guardali, sono in buona compagnia, però, magari, non gli si drizza. I campobassani non sono invidiosi, tantomeno rancorosi come certuni che guardano di sottecchi chi ha avuto successo, facendo finta d’interessarsi d’altro; sono sognatori, ottimisti, che vorrebbero essere nei posti dove loro vanno a divertirsi per un giorno o per tutta la vita se fosse possibile. Di milionari poi non credo che ce ne siano molti dalle nostre parti. Solo che non vogliono farlo
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i colma un vuoto, nel panorama giornalistico regionale, per merito di Andrea Silvaroli che, dando seguito a quanto fatto da lui stesso e da altri, ha pubblicato il Diario Cinque 2003-2007, rassegna stampa molisana. Andrea, affiancato da Tonino Scarlatelli (da poco scomparso) che ne ha diretto la stesura, ha voluto offrire al lettore uno strumento per riavere, in ordine cronologico, gli accadimenti più significativi del Molise, nei cinque anni presi in considerazione. La prima cosa che viene da chiedersi a chi si troverà a sfogliare le 350 pagine del bel volume, edito dall’Habacus Editore, e presentato nell’elegante Sala della Costituzione della Provincia, è la scelta del pe-
riodo (2003-07). Facile la risposta: gli anni precedenti al 2003 erano già stati coperti dalla Nocera editori con l’Almanacco del Molise, seconda parte; quelli successivi al 2007 da Manocchio dell’Habacus, il 2008 curato da Vittoria Todisco e il 2009 e 2010 da Andrea Silvaroli, sempre sostenuto dall’esperienza di Tonino Scarlatelli. Il libro, seguendo la scia degli altri lavori, si fa leggere con curiosità e attenzione e risulta essere una raccolta sapiente non solo per i collezionisti, ma anche per chi semplicemente vuole infilare nello scaffale un volume da cui, con curiosità, potrà attingere notizie del passato, cronaca, politica, costume, cultura e sport.
Salvatore Struzzolino ha lasciato il posto a Italo Stivaletti dopo aver sfilato per 50 anni
Salvatore Struzzolino
Il diavolo dei Misteri I
l diavolo rappresenta da sempre il male. E’ lui indicato come il nostro costante tentatore. Eppure il depositario del male, almeno per una volta, è indicato come il personaggio più amato dalla folla. Ai Misteri non c’è niente che regga il passo del Diavolo. E’ lui il protagonista indiscusso della sfilata. La Tunzella ne completa solo l’icona. Sono suoi i flash dei fotografi, l’obiettivo delle telecamere lo vanno a cercare in tutte le pose, mentre chi è sul marciapiedi per la prima volta si interroga se quella coda vaccina, sporca di nero fumo, sia veramente gradevole e quante ore ci vogliano per digerirla. Il Diavolo e la coda vanno a braccetto da secoli. L’uomo truccato con il costume e la faccia annerita la stringe nelle sue mani scure e la morde, facendo piacevolmente atterrire i presenti. Specie i bambini che sul principio piangono, ma poi ci prendono gusto e allora acconsentono a farsi fotografare tra le braccia di quell’uomo così spaventoso, ma in qualche modo rassicurante, nonostante gli occhi luciferini e le urla che arrivano in cielo. Salvatore Struzzolino è stato attore dei Misteri, per mezzo secolo. Ogni campobassano lo ha identificato come Salvatore u’ rusce. Nella vita feriale ha fatto per conto del Comune il netturbino, Salvatore, scopa e sacchetto, per tenere pulita la città, quando Campobasso era veramente una città candida. Poi, quando arrivava il Corpus Domini i riflettori erano quasi tutti per lui. Già durante la vestizione c’era una gragnola do domande per il Diavolo. Che non ha mai tradito le attese, sapendo recitare il suo ruolo da consumato attore. Per mezzo secolo è diventato famoso come un divo di casa nostra, Salvatore. Tutti a domandargli della Tunzella, del trucco con il nero fumo e soprattutto di quella coda vaccina, da mangiare cruda, strappandola con gli incisivi, per la gioia degli astanti.
Oggi Salvatore u’ rusce ha 77 anni, è un pensionato. Passa molte ore davanti al Bar Lupacchioli. Il fisico è ancora robusto, il sorriso smagliante, i baffi ben curati. Da 7 anni non sale più sulle tavole dei Misteri, per cercare di far sorridere la Tunzella, nel corso della sfilata. Prova, ovviamente, nostalgia. Perché il passato ci riconsegna alla mente i momenti più belli che intendiamo accarezzare con un pensiero gentile. Iniziò facendo il diavoletto Salvatore Struzzolino, un cognome che ne indica le radici, prima di essere promosso principe dei diavoli. Ruolo che sarebbe andato a pannaggio di un altro campobassano di quattro quarti, Italo Stivaletti, fratello di Franco, capo-mistero e figlio di Giovanni che è stato un personaggio del popolo, molto noto in passato, anche per la sua passione sfrenata per la squadra calcistica locale. Pochi sanno che ci si mette in fila per raccogliere l’eredità del Diavolo. Che, per il momento, è custodita al sicuro nelle mani di Italo Stivaletti che non ha alcuna intenzione di mollarla. (ge.ve.) Italo Stivaletti
Nero fumo per il trucco, coda vaccina da mordere e la Tunzella da far sorridere segnano il fascino del personaggio
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Mix di D’Artagnan
Aldo Barletta
Rettore che va, Rettore che resta
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entre Aldo Barletta, rettore del Mario Pagano, dopo 13 anni di onorata permanenza molisana, lascia il servizio tra infiniti rimpianti, va registrato il prolungamento di attività del Rettore dell’Università del Molise, Giovanni Cannata. Il quale Cannata ha ottenuto un anno di proroga, durante il quale conta di completare il magistrale lavoro svolto durante il suo curriculum molisano. Va ricordato che Cannata arrivò da Bari in un momento difficile per la nostra università e fu talmente abile da mettersi a lavorare alacremente per guidare la
Quei favolosi anni Ottanta
Giovanni Cannata
nostra struttura pubblica verso un insperato successo. Sia pur tra mille traversie. Forse un errore clamoroso Cannata lo ha commesso quando non ha capito che la Facoltà di Medicina era un lusso che il Molise non poteva permettersi. Ma solo una parte di quella responsabilità può dirsi sua: premettero politici, amministratori, dirigenti Asrem, media e opinione pubblica per far firmare il decreto all’allora ministro Letizia Moratti. I conti sarebbero arrivati solo dieci anni dopo. E lo stiamo pagando un po’ tutti.
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na scritta a caratteri scatolari campeggiava per l’intera altezza del palazzo di via Pietrunto, sede del quartier generale e dello sportello con il più alto numero di operazioni giornaliere. Abbiamo ritrovato una bella foto della Banca Popolare del Molise. Appartiene agli anni Ottanta, i famosi anni Ottanta, in cui l’economia correva e la banca locale aiutava le imprese. La guida dell’istituto creditizio per decenni è stata nelle mani dell’onorevole Francesco Colitto, un valentis-
La foto curiosa
Black Carpet I
n occasione dell’inaugurazione della nuova sede del Tribunale Civile a Campobasso, è stato “steso” un tappetino d’asfalto sulla corsia prospiciente il Palazzo sede dell’istituzione. Trattandosi di un Tribunale, sede in cui si opera secondo giustizia ed equità, sarebbe stato il caso di asfaltare tutta la strada, senza creare una imbarazzante corsia preferenziale.
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simo avvocato che ha profuso tutte le sue energie per la Popolare e per la sua professione. Va ricordato che l’onorevole Colitto non guidava l’auto e si faceva trasportare in taxi quando c’era da raggiungere Roma. Il suo autista di riferimento è stato per tutto il suo alto magistero Pasquale De Soccio, il decano dei tassisti molisani. I tempi sono cambiati, anche per colpa del vento che a un certo punto ha spinto a favore dei grandi accorpamenti. Così la Popolare del Molise, così come la Cassa di Risparmio si sono trovate cooptate da istituti più importanti. Arrecando un grave danno economico al ceto imprenditoriale del Molise.
di Domenico Fratianni
Silvia Jovine: la scrittura come gioia di vivere della stessa ansia vitale si tramuti in immagini compiute, definitive. La capacità, cioè, di trasformare la realtà in un invenzione metaforica poeticamente ricostruita (la verità dell’arte non è tutta in questa capacità di rielaborazione del dato oggettivo, sotto la spinta di una costruzione fantastica dell’esistente?). Silvia Jovine scrive con sorprendente capacità di visione e, quello che più conta, senza enfasi, nonostante il romanzo sia stato scritto a soli sedici anni. Ecco perché parlo di predestinazione. Silvia scrive (ma potrei dire dipinge) senza farsi intimorire dal nome che porta; lo fa librandosi in volo in piena libertà, come se comprendesse che in arte non ci sono scorciatoie di sorta e che, perciò, vale la forza del proprio talento, consapevole che il volo intrapreso è tanto più valido, più vero, se si ha la consapevolezza di planare sani e salvi, in campo libero e aperto. I suoi segni/colori suggeriscono l’unione del timbro caldo di stampo impressionistico, con variazioni tendenti a confluire con un certo simbolismo, tanto cari alle nostre avanguardie artistiche novecentesche. Ora so, che nonno Peppe sorride felice. Rileggo una sua poesia dedicata alla piccolissima Silvia appena nata, e non posso non pensare che la sua speranza di vedere un giorno tornare in qualche modo il suo canto, si sia concretizzato attraverso la voce della sua nipotina prediletta per continuare a sognare un mondo più degno di essere vissuto. Silvia ha dunque spiccato il volo affinchè continui sempre a cantare i misteri della vita e dell’arte.
ARTE & CULTURA
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n debutto importante quello di Silvia Jovine, all’insegna della poesia e dell’arte; Silvia porta un nome importante e, per questo, il suo volo risulta essere assai significativo e, a prima vista, temerario. Ma la giovanissima scrittrice libera subito il campo, librandosi in volo libero che dalla terra giunge fino al cielo, con una scrittura sorprendentemente ricca di freschezza. Per chi, come me, l’ha vista bambina tra le braccia di mamma Lilly e papà Carlo e, soprattutto, accarezzata da quel grande nonno di nome Peppe Jovine, scrittore di razza e grandissimo poeta sia in lingua che in vernacolo, mio personalissimo compagno di viaggio per tanti anni nel mondo della poesia e dell’arte figurativa, avere tra le mani il primo romanzo di Silvia, mi crea un moto dell’animo in cui si fondono commozione e gioia di guardare ad un futuro sempre più ricco di speranza. E, chi scrive queste note, non può non ricordare un altro grandissimo Jovine di nome Francesco, giustamente considerato un maestro della letteratura del nostro Novecento. Silvia, dunque, con la sua scrittura solare, mi crea una tensione emotiva tremante. La prima considerazione è che, il suo, sia inevitabilmente un destino segnato, intrapreso con una leggerezza sorprendente, tenuto conto soprattutto della sua giovane età. Per quelle strane sovrapposizioni d’immagini che mi capitano quando sono al cavalletto, me la son sentita accanto come una pittrice dal sicuro talento, alle prese con la tela bianca, immacolata, pronta a mescolare i colori della sua anima. E il suo attacco è di chi ha ben compreso che, prima di ogni altra cosa, quello che importa nel campo dell’arte (scrittura o pittura che sia) è la spinta fantastica dell’immaginazione, mista alla consapevolezza che la trasposizione
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A Gussago, vicino Brescia, l’ex farmacista del Cep ha fatto successo rimpiangendo i tempi di quando era Giudice Sportivo della Figc e seguiva il Campobasso anche in trasferta
Il Dottore ha conquistato il Nord Dott. Giampiero Di Iorio
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na volta tanto si parla di Di Iorio, non di Iorio, con la lettera minuscola. Il Di Iorio in questione è un molisano che vive in Lombardia, a Gussago, un bel paesone di 16 mila abitanti, periferia di Brescia. Qui non si parla di fuga di cervelli, né c’è ragione di credere al classico meridionale che prende il treno della speranza. Stringendo tra le mani un paio di valigie di plastica, rinforzate con lo spago. Il personaggio in questione è un agiato signore con la laurea in Farmacia che ha avuto la fortuna di affermarsi, dopo aver lasciato Campobasso dove è rimasto sino al 2007, quando gli hanno comunicato di aver vinto la titolarità di una farmacia, nel comune che abbiamo appena ricordato. In pratica Giampiero Di Iorio ha dovuto solo rassegnare le dimissioni dalla Farmacia comunale N. 2 (Cep), dove per lunghi anni era stato direttore. E dove aveva anche conosciuto l’amore, si è sposato con una farmacista che lo ha seguito nella sua esperienza nella terra di Bossi. Giampiero Di Iorio si è affacciato, con un certo successo, anche nella vita politica molisana. Si ricorderà il suo squillante successo alle provinciali, con una valanga di voti catturati in una lista di sinistra, che gli sono stati riversati quasi sostanzialmente dai clienti della farmacia del quartiere Cep che ne hanno apprezzato la professionalità e la carica umana. Un popolo che non votava si è recato alle urne per sostenere il “dottore”, come lo hanno sempre chiamato i clienti della farmacia. E grazie ai loro voti Giampiero è
stato anche nominato assessore provinciale, alle politiche del lavoro. E’ il caso di ricordare anche il suo attaccamento allo sport, e in modo particolare al calcio. Pino Saluppo, con la conquista dell’autonomia calcistica regionale della Figc lo volle come Giudice Sportivo, una carica solo nelle apparenze semplice. Comminare sentenze e irrogare provvedimenti disciplinari non è mai semplice, specie nel mondo del pallone che si avvolge di infinite polemiche. C’è da ricordare che parallelamente Giampiero Di Iorio è stato uno sfegatato tifoso del Campobasso, seguendo la squadra di Berardo in casa e in trasferta. Ora che i ragazzi con la maglia rossoblù offrono scarsi successi ai loro tifosi Giampiero appare particolarmente piccato. E la sera della domenica quando si mette al computer per informarsi dell’andamento calcistico delle squadre del nostro campionato, non può fare a meno di rimpiangere il tempo passato. Per sua fortuna che gli affari vanno a gonfie vele: Gussago è un bel centro, ricco al punto giusto da assicurare guadagni adeguati non solo ai farmacisti, ma anche ai proprietari dei 18 bar del paese. Giampiero e la sua famiglia, dopo un preventivato disagio, si sono ben ambientati al Nord e anche se rimpiangono la terra molisana si trovano a meraviglia. Al “dottore” manca però il Campobasso calcio e se le cose dovessero continuare con questo andazzo, sarà difficile poter vedere i giocatori rossoblù muoversi sui campi del Nord, come accadeva negli anni d’oro. I favolosi anni Ottanta.
Zibaldone
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eppe Buongusto è stato a singhiozzi il medico sportivo del Campobasso calcio. Dentro e fuori il club, vuoi per il sovraffollamento di impegni professionali, vuoi per scelte di vita. L’anno scorso, tanto per rimanere ai fatti, è stato ancora al fianco dei rossoblù, al contrario dell’anno prima in cui si era allontanato, per ragioni di salute. C’è una inveterata abitudine del club di Selva Piana di essere disattento con alcuni professionisti locali, tra i quali il medico. Che, in verità nessuno, si accontenta anche di un modesto rimborso spese. Come a voler dire: anch’io offro il mio contributo alla causa rossoblù.
Oggi il dottor Buongusto è fuori (per scelta) dall’ospedale Cardarelli, ove ha svolto una lunga e onorata milizia, prima nel reparto di pronto soccorso e poi in quello di medicina; in quest’ultima divisione, negli ultimi anni di servizio, Buongusto, ha occupato il posto di direttore (il vecchio primario). Chiusa la lunga e proficua attività pubblica il medico sportivo, tra i pochi in Molise ad avere le carte in regola per fare il responsabile medico di un club di Lega Pro, ha deciso di dedicarsi al lavoro presso il centro polispecialistico Ealth center di via Garibaldi, dirigendo il centro di medicina sportiva, unica struttura privata abilitata in regione, che offre presta-
di Eugenio Percossi
Il dottor Giuseppe Buongusto
zioni di 1° e 2° livello (valutazione funzionale atleta e patologia atleta). In pratica le società sanno a questo punto dove potersi appoggiare per le visite specialistiche e per avere le idoneità dei loro atleti alla pratica agonistica. Va ricordato che il costo della visita è pari al ticket che si paga presso la struttura pubblica, vale a dire 40 euro.
La finta morte di Michele Libertucci S
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uante pizze ha sfornato Sergio Amoroso nessuno può dirlo. Neppure lui, per la verità. In venti anni di mestiere come si fa a tenere a mente la contabilità? Sergio ha iniziato a lavorare da Fantacone, in Corso Bucci. Gli toccò il compito del cameriere. Con l’apertura della Pergola si è convertito in pizzaiolo, continuando il mestiere nello stesso locale, anche quando è stato rilevato da Don Ciccio. Negli ultimi anni, dopo aver fatto qualche giro anche in provincia (aprì un locale a Molise) è finito allo Chef, sulla strada dell’ospedale. La sua numerosa famiglia gli è stata sempre vicino, anche quando Sergio ha deciso di organizzare l’edizione molisana della Corrida. Fermandosi a nove edizioni. Nel suo curriculum, questa volta per sola passione, si trova anche una simpatica esperienza alla radio. Con lo pseudonimo di Pollicino, nomignolo che gli è rimasto attaccato addosso, ha condotto una simpatica rubrica musicale a Radio Luna. Ora fa il pensionato, ma rimpiange le sue Margherite, infornate sino a tardi, per il popolo della notte.
vegliarsi e leggere un necrologio col proprio nome deve essere stato visto come uno scherzo del destino da Michele Libertucci, già assessore comunale allo sport, dipendente regionale e da sempre presidente del Cral della Regione. Così capita di imbattersi nella lettura di un brutto manifesto e reagire come fanno quasi tutti gli uomini, toccandosi, per scaramanzia. Si è trattato, come avrete certamente capito, di un caso di omonimia. Il Michele Libertucci che è deceduto era un molisano che ha vissuto in Inghilterra. Niente a che vedere con il più noto “assessore”. Aveva 71 anni il poverino, cinque in meno del nostro concittadino. Il quale, sia ben spiegato, gode ottima salute, si mantiene svelto e snello, cammina come un maratoneta e ama passare lunghe ore in campagna, ove lavora senza sosta. Va però spiegato che un manifesto di quel tenore non poteva passare inosservato. Da qui sono scaturiti alcuni sfottò da parte degli amici. Uno dei quali è arrivato da Gino Di Bartolomeo che appena lo ha incontrato per strada gli ha detto: “Ma tu non eri morto?”. E Michele, di rimando: “Ma Michele Libertucci tu non sei venuto al mio funerale”. Chi ha creduto veramente nella dipartita dell’assessore è stato Pasqualino Gabriele “il paparazzo” de Il Quotidiano del Molise. Che dopo aver letto il manifesto ha dato la notizia a ognuno che incontrava. Per fortuna di Michele tutto è finito con qualche risata e tanti scongiuri.
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Inserto Speciale supplemento de “Il Primo� Anno 8 - n. 6 giugno 2012
INSERTO SPECIALE
di Giuseppe Di Iorio
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Ripensiamo insieme il Molise U
n momento di confronto politico con i cittadini al di fuori di sigle di partito, di amici-nemici e quant'altro. E ora l' attesa è, naturalmente, sugli atti che il presidente riterrà di adottare. A partire dall'azzeramento della Giunta che molti attendono come giusto e doveroso viatico per aprire una nuova strada. Un cambio di rotta rispetto a quanto fatto fino ad oggi per evitare di incappare negli errori di sempre. E' la sintesi politica che, con forza, emerge dall'incontro che Michele Iorio ha voluto tessere con i cittadini alla Piana dei Mulini a Colle D'Anchise. Un confronto aperto, chiaro, lineare per rilanciare i temi caldi del momento: i giovani, la partecipazione, l'autonomia. I cittadini non credono più nella politica né nei politici. E’un fatto. Non credono più nei partiti, che hanno avuto la capacità in questi venti lunghi anni di costruire intorno a sé un vuoto colpevole di idee e di programmi, che ha acuito ancora di più le mancanze personali e la vergogna delle responsabilità penali degli uomini. Un sistema che è stato violentato e svilito da partiti come cartelli affaristici, interessati a incrementare la loro forza e potenza economica. Tutto fuorché rappresentare. Sono colpevoli i dirigenti e gli apparati, fautori prima e schiavi dopo, del becero sistema di selezione della classe dirigente, che premia, lasciando all’oscuro e lontani dal merito i cittadini, le amicizie e gli interessi. Michele Iorio, liberatosi dalla zavorra e dai plauditores, è tornato in mezzo alla sua gente per rilanciare la sua azione e il suo programma. Intendiamoci: non abbiamo alcuna simpatia per un certo nuovismo becero e furbesco. Non siamo per le esasperazioni manichee, che assegnano il bene tutto da una parte, quello dei cittadini. Iorio, però, è apparso sincero, rinnovato nella sua volontà di azione, pronto a nuove sfide con una strategia in mente superando quel vuoto pneumatico di idee e programmi dei suoi avversari interni ed esterni. Se si vuole recuperare la partecipazione, se si vuole che gli elettori non si distacchino dai valori civili e democratici, che non siano sempre più disimpegnati, non si può far prevalere il richiamo degli antichi riti. I partiti possono avere un grande ruolo per riannodare il filo del consenso popolare. Ma a condizione che si innesti in una dimensione partecipativa che ha assunto forme diverse. Michele Iorio è consapevole di avere lanciato una scommessa difficile, nel momento in cui nessuno è in grado di offrire nuove certezze. Proprio per questo, però, la battaglia è più affascinante e foriera di iniziative.
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INSERTO SPECIALE
INSERTO SPECIALE
Perché I i giovani
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l presidente ha ritenuto di parlare dei veri problemi del Molise, soprattutto del futuro, di cosa bisogna fare, anche in questo momento di estrema difficoltà e soprattutto ha puntato sulla manifestazione e per rivolgere un forte invito ai giovani ad interessarsi di politica in maniera seria e partecipata. La situazione in cui si trova la nostra regione impone una ripartenza, della condivisione di un percorso futuro che parta dal coinvolgimento dei soggetti interessati: i partiti, gli eletti, gli amministratori, ma anche i cittadini, le associazioni. Da parecchio tempo oramai l’immagine dei giovani è quella del disagio: incertezza per il futuro, precarietà psicologica, ricerca di spazi espressivi autonomi, (molte volte fuori dai luoghi di partecipazione), e spinta all’evasione. La politica giovanile è poi praticamente inesistente, i giovani che hanno degli ideali politici sono pochi al giorno d’oggi e non vengono spronati affatto, la vivono come un qualcosa di lontano, inarrivabile e che non gli appartiene, d’altro canto i politici non fanno nulla per incentivare la loro partecipazione. E Iorio si è chiesto: non è che sono gli adulti che non sono capaci di interessare e non sono capaci di coinvolgerli questi giovani? non è che troppo spesso sono gli interlocutori dei giovani ad essere troppo poco autorevoli e credibili? non è che i ragazzi si tengono lontani dalla politica perché la sentono un mondo lontano ed autoreferenziale? Da qui il richiamo di Michele Iorio proprio ai giovani perchè si riavvicinino alla politica per confrontarsi con chi è alla guida delle istituzioni per meglio affrontare i tanti problemi del momento. Un Molise di giovani che si interessi davvero di quel che accade, che vuole capire e che vuole partecipare!
Perché l’auton è anche un motivo in più nel rilancio della fase politica di Michele Iorio ed è la questione dell’autonomia regionale. Di mantenerne in essere l’identità e le peculiarità. Il Molise ha ricevuto dalla sua autonomia benefici immensi; siamo passati da una delle zone più arretrate d’Italia, e dunque territorio di confine e marginale dell’Abruzzo, ad una regione, che pur con varie criticità è cresciuta, ha creato benessere, ha trasformato radicalmente il suo assetto economico-sociale, garantendo ai propri cittadini servizi e qualità della vita. “Credo - ha ribadito in più occasioni il presidente siano quindi da rigettare con forza le idee antistoriche di fusioni o ricongiunzioni con regioni limitrofe. Del resto, se altri territori delle regioni confinanti hanno mostrato interesse per un passaggio al Molise, denunciando poca attenzione e marginalità rispetto alle regioni di appartenenza, evidentemente il valore della nostra autonomia e della possibilità che abbiamo di
C’
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erchè il rapporto diretto con i cittadini? Potrebbe apparire una banalità, un atto dovuto per la politica. E così sarebbe. In un tempo, però, nel quale proprio la politica ha dimenticato il confronto e il dibattito l'apertura di Michele Iorio su questo terreno va letta come una nuova sfida. La transizione infinita sta dando il colpo di grazia al rapporto tra cittadini e politica, ma il divorzio non è ancora consumato. Esiste un ultimo margine di conciliazione. E Michele Iorio, da politico navigato, ha saputo fermarsi per tempo, mettere da parte i tanti laudatori di un tempo e tornare tra la gente. La classe politica arroccatasi su se stessa è diventata autoreferenziale; i cittadini sfiduciati si sono allontanati sempre di più rispetto al governo e agli organi di rappresentanza; il tutto è finito ingessato nell’armatura del circolo vizioso. La lettura fatta da Iorio è che i cittadini non sono insoddisfatti in blocco e di tutta la politica, e c’è malcontento e malcontento; c’è molta indifferenza e non mancano la soddisfazione o la speranza di un benessere futuro. Gli elettori di chi al momento governa sono più soddisfatti di quelli di chi sta all’opposizione, anche se qualche mal di pancia non è escluso. Il fastidio è tanto palese che, mentre da un lato conferma il racconto del malessere generalizzato – e il serpente allora si morde la coda –, dall’altro offre ampi argomenti a quanti predicano l’antipolitica e alimentano sofferenze e paure. Pertanto, quella parte della politica che rifugge la demagogia – e per fortuna esiste come ha dimostrato Michele Iorio – ha fatto bene ad aguzzare l’ingegno per curare le ragioni di sofferenza. Non è impresa facile: sono ragioni molteplici, eterogenee e ardue da coordinare tra loro. A rendere ancora più difficile il percorso sono i severi vincoli posti dalle autorità e dai mercati sovranazionali, dalla concorrenza globale e via di seguito. Iorio sa che la terapia esiste e comunque va cercata.
onomia regionale costruire il nostro futuro senza essere zona marginale di realtà più grandi, è ritenuto importante tanto da volerne condividere i benefici. In quest’ottica possiamo immaginare un percorso che possa vedere impegnati anche i nostri Parlamentari e quindi lo Stato centrale per dare la possibilità ai vari comuni limitrofi di poter disegnare il loro futuro con noi in un’ottica che veda a medio termine la costruzione di più vaste aree omogenee sia per cultura, che per economia e quindi per comunanza di interessi strategici e di prospettive di sviluppo”. E’ chiaro che la volontà espressa di mantenere il senso della piena autonomia regionale non può non contemplare anche il passaggio per fasi progettuali con altre realtà regionali. “Come pure siamo molto interessati ad ipotesi di collaborazione e di lavoro comune con la altre regioni per realizzare iniziative e progettualità di interesse reciproco e di ampi orizzonti”. Nell’agenda, però, la strategia programmatica e progettuale deve riguardare, proprio, il mantenimento della piena autonomia per non finire in ‘bocche’ voraci che finirebbero per inghiottire quanto faticosamente creato nel corso di questi anni.
Perché i cittadini
INSERTO SPECIALE