IL PRIMO LUGLIO / AGOSTO 2012

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Mensile a tiratura regionale Anno 8 - n. 7 luglio/agosto 2012 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta

Vorrebbe riaprire un sereno rapporto con la cittĂ e ricevere un aiuto dalle istituzioni per puntare alla C unica


s o mmari o In questo numero

Rubriche La voce del padrone di Ignazio Annunziata

pag. 4

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Curve pericolose

Piazza salotto di Adalberto Cufari

pag. 5

Camera con vista di Antonio Campa

pag. 7

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I consiglieri passano da 30 a 20

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Ecco perchè vincerà ancora Iorio

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Le foto di luglio

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Villa Comunale lasciata sola

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Serenata pre-matrimoniale

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Ma le pale no

Il Cerino di Pasquale Licursi

pag. 10

Campuascianeria di Arnaldo Brunale

Allegato

pag. 31

o di i l g o g r o L’ arino m o p m Ca

Registrazione al Tribunale di Campobasso n°5/05 del 05/03/2005 DIRETTORE EDITORIALE

Gennaro Ventresca

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DIRETTORE RESPONSABILE

Franco Boccia BLOB DI A. PICCIRILLO SEDE LEGALE Via Veneto, 113 80054 Gragnano (NA) Tel. 0874.318092 - Fax 0874.413631 E-mail: Redazione

Vita d’a

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Maria Assunta Tullo

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di Gennaro Ventresca

L’Oscar del mese a Gino Marotta

Un uomo solo al comando iassumo la notizia, per comodità del lettore. Per il terzo anno consecutivo il Campobasso si presenta con le carte in regola a disputare il campionato di Lega Pro, nella 2^ Divisione. La notizia di per sé non è granchè se la si rapporta agli anni di lontana memoria della serie B, ma anche quelli della serie C1 non sono stati certamente di poco conto. Ma i tempi, si sa, sono cambiati. E nella nostra difficile e scolorita regione diventa ardua qualunque cosa, immaginate lo sport che è appendice della vita comune. Il calcio che era stato l’evidenza, era diventato l’enigma, là dove la terra finisce, come un ripido bordo di scogliera. C’è stato un giorno che ho creduto che tutto fosse finito, un’altra volta. Ho guardato gli scaffali della mia libreria, e ho visto la parola fine correre da una copertina all’altra, per tutti i libri che ho messo esposti, con la faccia che dà verso la mia scrivania. C’è stato un giorno che l’ho creduto: mi sono guardato intorno, ho rivisto gli scaffali ove conservo il materiale più caro, e tutti i libri di sport, non solo quelli che ho scritto io; i libri su due file: e sulla seconda fila ancora altri libri, impilati con ordine. E mi è sembrato di vedere la gioia dei nostri tifosi che festeggiavano, abbracciandosi, dopo un gol. C’è una foto stupenda che ha saputo cogliere la felicità di una città, l’ha scattata un fotografo di razza, per consegnarla a Tonino De Cesare che l’ha pubblicata sul suo libro su Campobasso: il suo tempismo è stato eccezionale, nel saper far partire il suo scatto appena la palla è finita nella rete avversaria. C’è stato un giorno, in questa torrida estate, che ho creduto di aver perduto per sempre quei meravigliosi momenti. E ho sognato di cucire insieme tutte le parole che hanno accompagnato le domeniche della nostra squadra, per farne una filastrocca: un ghirigoro che sapesse abbracciare tutto il Molise. Come la linea dell’equatore riesce ad abbracciare la terra. Mi domandavo: che cosa abbiamo fatto di male per meritarci questo Campobasso, questa squadra, questa dirigenza, questo disinteresse comune? Ognuno di noi, la sera, prima di prendere sonno, non so se avrà saputo darsi una risposta. Ma per fortuna oggi si riparte. Il futuro è ancora nelle mani di un uomo che ci ha fatto spesso adirare, per colpa del suo carattere ondivago, poco incline al dialogo, che va cercandosi nemici ogni due per tre. E che non conosce la parola diplomazia. Dico di Ferruccio Capone che dopo aver dato la sensazione mollare la presa, con un clamoroso colpo di reni si è rimesso in sesto, pagando ancora una volta con il suo blocchetto degli assegni, per partecipare al campionato di calcio. Ferruccio è una specie di Mister Hayde, capace di trasformarsi. Gentile e discorsivo, profondo e votato all’ascolto lontano dal mondo dei calci d’angolo; intrattabile, persino irascibile per le cose che riguardano la nostra squadra del cuore. Lui si vede poco in città, un po’ come al Rotary, ma quando arriva mena il torrone. Toccherà ancora a lui farci dimenticare i tormenti dell’ultima stagione, i litigi con i media, la città, gli amministratori e gli stessi tifosi. Da parte nostra dovremo fare un passo indietro, cercando di assecondarlo. Perché è impensabile che possa cambiare lui. E siccome, allo stato dell’arte, Ferruccio è diventato infungibile, tocca al popolo rossoblù andargli incontro. Sperando di vivere una stagione serena. P.S. Inutilmente abbiamo aspettato l’arrivo di un nuovo proprietario del club. Per mesi si sono spese solo parole. Lo stesso Ferruccio, visto il fumo che arrivava dalle imprese molisane, ha provato a coinvolgere un vecchio sceriffo come Pasquale Casillo, ma ha dovuto subito cambiare rotta. Casillo ormai con le gomme sgonfie ha fatto crollare anche il Foggia, figuratevi se poteva salvare il club rossoblù.

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Il Tapiro del mese a Paolo Manuele

a come fa a non sentirsi attapirato il dinamico sindaco di Civitacampomarano dopo il diniego dell’utilizzo del castello angioino (tra i più belli della regione) da parte del sovrintendente Ferrara, per la serata Calici di stelle? Paolo Manuele, dipendente di Molise Emergenza e sindaco del piccolo comune, ha cercato inutilmente di convincere il sovrintendente, ricordandogli che altrove serate del genere, nei manieri più famosi d’Italia, sono all’ordine del giorno. Ma non c’è stato modo di convincere Ferrara. Un vero peccato, perché per Civita sarebbe stata un’occasione propizia per accendere i riflettori sulla sua comunità.

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L’EDITORIALE

e Campobasso e per caduta il Molise sono finiti, per una volta, nell’Olimpo del collezionismo artistico, lo dobbiamo a un nostro conterraneo illustre: l’artista Gino Marotta ha voluto regalare alla sua città di nascita,oltre al prestigio della sua arte e della sua fama mondiale di pittore e scultore una straordinaria testimonianza d’affetto. Si deve a lui l’autorizzazione della Zecca di stato che ha deciso di coniare una moneta d’argento di 5 euro che sul diritto reca il Castello Monforte, sul rovescio la lunetta di epoca medioevale tratta dal portale della chiesa di San Giorgio.

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di Ignazio Annunziata

La voce del padrone

Quei premi uguali per tutti i dirigenti regionali

Gratifiche a prescindere L

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La giustizia è giusto che faccia il suo corso, in modo che possa arrivare a concludere le indagini con tutto lo scrupolo che il caso richiede. Non stiamo qui a fare i tagliatori di testa: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma qualche cosa bisogna pur scriverla su ciò che sta accadendo in Regione, a proposito dei dirigenti, in tutto 68, tutti premiati per l’esercizio 2011, con un sostanzioso acconto (60%) sul dovuto. Tutti purosangue, senza alcuna differenza; neppure a pensare di trovare tra loro un solo ronzino. Non ci sembra il caso di sparare nel mucchio, ma qualche risposta ci piacerebbe averla a proposito di uno dei dirigenti di “prima fascia” che se le informazioni in nostro possesso non sono sbagliate, avrebbe ricevuto sul proprio conto corrente, una gratifica di circa 13 mila euro, come indennità di risultato per l’esercizio dello scorso anno solare. La restante porzione (40%) dovrebbe essere riscossa in una seconda soluzione. Solo in extremis è arrivato lo stop della parte politica regionale, messa alle corde anche da alcuni servizi su scala nazionale, partiti dal solito Corriere della Sera che, evidentemente, deve avere un informatore segreto sui fatti di casa nostra. In molti si erano chiesti quali meriti abbia avuto Elvio Carugno, da qualche mese in carcere e quindi indaffarato con i suoi avvocati a difendersi da pesanti accuse da parte degli inquirenti, per l’esercizio 2011. Per quel che se ne sa, da tempo il dirigente regionale di lungo corso, si sarebbe comportato in modo “infedele” all’interno del suo assessorato, ove per anni ha goduto di agi e di gratifi-

che, oltre che di un magnifico stipendio che la legge regionale gli assegna. Carugno si sarebbe macchiato di gravi responsabilità amministrative, secondo l’accusa avrebbe utilizzato per uso improprio capitali destinati alle piccole aziende, usando -sempre secondo quanto emerge dalle notizie di cronaca- anche una carta di credito della Regione per usi personali. Senza voler apparire troppo esiziali nei suoi confronti ci si chiede, e con noi se lo chiedono i lettori meno frettolosi, quale merito abbia avuto Carugno, col suo dubbio comportamento, per essere collocato al pari degli altri colleghi tra quelli meritevoli, oltre alla paga mensile anche un premio di “produzione”. In pratica ci si domanda cosa abbia prodotto di “eccellente” per meritarsi un premio che complessivamente è di circa 20 mila euro l’anno. Lo stop andava dato prima, in modo da spegnere prima del nascere le polemiche che sono divampate. Non se l’abbia a male qualche altro dirigente del lungo elenco che è stato recentemente reso pubblico, nel quale sono stati riportati nomi, cognomi e cifre per ognuno, se ci permettiamo di addentrarci non sulla loro moralità, sulla quale non abbiamo il minimo dubbio, ma sulla loro operosità. Ci sia consentito di dire che troviamo molti accostamenti tra questo premio di produttività e il “18 politico” che si fece largo nelle università italiane, durante il Sessantotto. In cui si dava a tutti lo stesso voto, bastava solo presentare il libretto sul tavolo del professore per superare esami che in altri frangenti avrebbero fatto sudare le famose sette camicie anche a studenti mo-

dello. In definitiva troviamo discutibile che tutti, ma proprio tutti, i 68 dirigenti siano stati posti sullo stesso livello e che quindi abbiamo raggiunto “il risultato”. Viene da chiedersi quale sia stato “il risultato”. E, prima di tutto, capire come è stato stabilito il raggiungimento del target. Va da se che nella ridda di punti interrogativi più di qualcuno si sia inoltre domandato: ma in che modo si valutano i dirigenti? Intanto le gratifiche sono finite dove dovevano finire, per la felicità di 67 dirigenti che hanno incassato e ringraziato il “sistema” che premia a prescindere. Solo Carugno, ed era il mino che si potesse fare, si è visto sospendere il premio, in attesa del giudizio della magistratura. Per non fare un unico fascio è il caso di spiegare anche che nel “listone” ci sia più di qualche dirigente che il premio l’ha meritato e come. Ma siamo a “qualche”.


di Adalberto Cufari

Piazza salotto

La crisi economica vissuta a Palazzo Moffa L’appello per una risposta coerente ai tanti problemi che attanagliano la vita dei molisani è caduto nel vuoto

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a crisi economica e la scia di polemiche che si trascina dietro, stanno alterando in profondità gli schemi abituali della politica nostrana fatta di esternazioni, puntualizzazioni, rimbecchi più o meno stizziti e qualunquistici tra le forze in contrapposizione. Per cui chi continua ad attardarsi su questi stilemi comportamentali sfiora è anacronistico. La situazione è molto seria. Il Paese non cresce, figurasi le piccole realtà che storicamente hanno vissuto essenzialmente di rimesse: dello Stato, dell’Europa, finanche degli emigranti. Realtà in cui l’industria non ha mosso un passo in assenza di contributi, sostegni e vantaggi pubblici; in cui lo sviluppo economico non ha nulla di autonomo, essendo figlio delle transizioni storiche (Cassa per il Mezzogiorno, Patto per il Sud eccetera) più o meno favorevoli e, quindi, incerto ed altalenante. La crisi pretenderebbe che si cambi passo e mentalità e, per quanto risulta, in questo scenario in cui ciascun settore e ciascuna categoria sociale e ciascun cittadino sono chiamati a dare il proprio contributo, le nuove linee programmatiche espresse nel raduno della Piana dei Mulini non hanno sollecitato né mosso attenzione rispetto alla situazioni contingenti (crisi del tessile, della filiera agricola, del degrado ambientale) e alle responsabilità che sono emerse. Andando ad analizzare settore per settore lo stato di fatto, le possibili evoluzioni positive, le consistenti difficoltà che si oppongono, la necessità che si faccia fronte comune, pur nella diversa spartizione dei ruoli, delle rappresentanze e delle responsabilità tra

chi governa e chi è all’opposizione, un discorso serio, meditato, sicuramente sofferto non può che concludersi con la necessità che si depongano le armi e si cerchino punti di contatto tra le parti in causa. Dinanzi ad una rappresentazione onesta, responsabile, oggettivamente incontestabile delle condizioni in cui la crisi economica ha piegato il Molise, la risposta della maggioranza e dell’opposizione regionali purtroppo è rimasta impantanata nello stagno limaccioso delle rivendicazioni “ad personam” (Niro, Tamburro, Vtitagliano, Ciocca e via dicendo) e dall’essere contro, a prescindere, nonostante in cima alle urgenze da affrontare siano state collocate, una ad una, le situazioni di maggiore tensione: un nuovo statuto regionale che razionalizzi l’organizzazione amministrativa e riformi l’architettura istituzionale regionale e riduca significativamente i costi della politica, il sottobosco dei cadreghini e lo sfoltimento dei clientes; il bisturi da affondare nel bubbone della sanità (pubblica e privata) per eliminare gli sprechi e rilanciare la qualità del servizio; il completamento della rete infrastrutturale a supporto delle vocazioni territoriali (d’accordo sul

punto anche il leader dell’opposizione Frattura: “… bisogna intervenire attingendo da fonti diverse e agevolando la partecipazione di capitali privati, usando la leva fiscale”); un nuovo meccanismo produttivo alleggerito della partecipazione del capitale pubblico in grado, quindi, di alimentarsi e di competere sul mercato creando occupazione; un’agricoltura che esca finalmente da una condizione di sussistenza e punti decisamente sui prodotti di nicchia e di accertata qualità capaci di stare sul mercato su posizioni competitive; un processo di sviluppo turistico che riassuma il grande patrimonio storico, architettonico, archeologico e di cultura e riporti l’impronta sannita ai livelli storico-scientifici che merita: sono i punti cardine su cui misurare il futuro dei molisani. Purtroppo, le idee camminano sulle gambe degli uomini. E i consiglieri regionali non hanno il passo spedito. Per i cittadini, il timore di dover affrontare il presente e il futuro prossimo venturo con questa compagnia, li invita seriamente ad aspettarsi il peggio. Gli amministratori regionali, intanto, si predispongono ad assicurarsi il pane per oggi e per domani.

Il Paese non cresce, figurarsi le piccole realtà che storicamente hanno vissuto essenzialmente di rimesse: dello Stato, dell’Europa, finanche degli emigranti

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di Giuseppe Saluppo

Una nuova strategia politica per l’autonomia del Molise U

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n Molise che dovrebbe andare in mille pezzi secondo qualcuno; altri che lo vorrebbero riattaccato all'Abruzzo; chi invece propende per la Daunia; altri per Benevento e Avellino. E noi assistiamo immobili a questo transitare di pseudo pensieri che vorrebbero cancellarci, di fatto. Attenzione, noi non intendiamo porre una questione di campanile ma il senso di un territorio che vuole continuare a camminare con le proprie gambe, a potere pensare autonomamente rispetto ad altrui scelte, a manifestare la propria identità senza dovere essere abbinati ad altri e ricordati, per l'appunto, come terzi. E' pur vero, di contro, che occorre una nuova e rinnovata strategia politica e di programma capace di superare il brutto momento in cui viviamo. Per farlo, però, non bisogna fasciarsi il capo prima ancora di essere colpiti, non bisogna pensare che possano essere altri a farlo per noi. Il Molise ha le capacità e la forza per potere continuare a mantenere la sua autonomia ma occorre una classe politica, nel suo complesso, degna di questo nome. Voltandosi, per un attimo indietro, è facile imbattersi nelle opere realizzate senza distinzioni di colore politico. L'industrializzazione, i nuovi mercati per l'agricoltura, la viabilità sono alcuni dei punti che hanno qualificato l'azione politica nel recente passato. Poi? Il gioco dell'orticello da coltivare ha finito con l'annullare quanto di buono, pure, fatto. Spazzati via ideologie e partiti hanno finito con il prevalere le logiche dei singoli. Di chi, a tutti costi, doveva essere eletto consigliere regionale e pronto solo a tenere in pugno quei quattro voti conquistati o disponibili. Si è giocato in trenta fazzoletti di terra ma è venuto meno il senso della spazialità del territorio molisano tutto. Di quello che, tradizionalmente, viene definito il bene comune. Di pari, venendo meno lo spirito di coesione interna è caduto anche il senso di appartenenza a Roma dove la Regione non ha più trovato interlocutori pronti a difenderla al di la di posizioni politiche dei singoli. Tutti a 'sparare' contro. Oggi paghiamo quella sciagurata politica e se siamo messi in discussione e se costantemente veniamo tirati in ballo è perchè sanno tutti che siamo indifesi. Ecco, allora, la necessità di una nuova e rinnovata strategia politica capace di farci tornare a guardare avanti, al domani, a una nuova fase di sviluppo. Senza questa base non si va da nessuna parte.


di Antonio Campa

Camera con vista

Le priorità per il Molise Il sasso lanciato da Iorio nel pantano della politica, riporta la riflessione sui problemi reali. Per non scomparire, il Molise ha bisogno di una forte politica demografica e di strade adeguate a un territorio complesso, da sempre onere ostativo allo sviluppo economico locale

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avviso ai naviganti del Governatore ha prodotto molte interpretazioni di parte ma ha avuto anche il merito di riportare le attenzioni sui veri problemi del Molise. Le dispute buone per il teatrino della politica, superata la fase della curiosità, finiscono per annoiare. A differenza delle riflessioni sugli interventi che possano evitare la fine dell’epopea regionale prima dei cinquant’anni di autonomia, un rischio reale che Iorio ha individuato con acume. Non c’è dubbio che esistano spinte élitarie pronte a far bottino, grazie all’accorpamento amministrativo di aree limitrofe; le diatribe politiche inoltre tracimano spesso i limiti dell’inevitabile polemica tra le parti influendo sull’operatività, mentre scandalismi strumentali per colpire il governo locale finiscono per denigrare e mortificare l’intero Molise. Tutto ciò rappresenta tuttavia una visione parziale sul rischio sopravvivenza della regione. E’ vero che c’è chi punta al tanto peggio tanto meglio ma non si può ignorare che il rischio primario per l’estinzione della nostra realtà geopolitica sia legato non tanto a fenomeni internazionali quali la crisi economica, la disoccupazione e la precarietà, quanto ad un inquietante bilancio negativo delle nascite che già ora causa danni straordinari. Repetita juvant, più volte ci siamo occupati

della questione, anche in maniera ilare, invitando chi può a fare più figli. Il fenomeno è complesso, anch’esso di levatura extra regionale. Se tuttavia il rischio per Roma è di avere classi scolastiche composte in maggioranza da emigrati, per il Molise una forte politica demografica è decisiva per l’avvenire della regione, altrimenti destinata a trasformarsi in un mega ricovero per vecchi, con un’economia basata solo sull’assistenza. Non è la previsione di un visionario, per convincersene basta guardare le nascite registrate nel 2010 nella provincia di Isernia, appena seicento. Un dato che avrebbe dovuto far scattare un allarme sociale rosso fuoco, tacitare ogni polemica sulla chiusura di scuole, ospedali e uffici, provocare una reazione virtuosa della società, campagne di stampa ad hoc, invece di essere relegato a mera curiosità statistica. Il modo di attuare una politica demografica efficiente spetta ai politici, il cui sguardo oltre l’orizzonte del tempo elettorale è spesso limitato. Altra priorità è la comunicazione. Il nostro è un territorio complesso, l’abate Longano descriveva già nel ‘700 il contado come un susseguirsi d’impervie salite e pericolosi dirupi.

Questa peculiarità non va ignorata, guai a cadere nel fuorviante equivoco dimensionale del Molise grande quanto un “Quartiere di Roma”, dove due ambulanze bastano per attuare un servizio d’emergenza. L’autostrada Brescia Cremona sembra tracciata con una riga sulla cartina, tanto è dritta e in piano. Se invece una lingua di strada come la fondovalle del Rivolo non è ancora pronta dopo diciotto anni, se la viabilità sul raccordo di Ingotte è rimasta per decenni appesa a un bypass tortuoso, non è solo per negligenza ma perché le montagne intorno sono un imponente cumulo di lota pregna d’acqua. Ciò determina soluzioni complesse e molto costose. Questa presa di coscienza però non deve trasformarsi in giustificazione pretestuosa o in rassegnazione ma stimolare la ricerca di una nuova organizzazione territoriale. Ben venga l’autostrada, infrastruttura fondamentale per lo sviluppo, ma senza trascurare i collegamenti interni che favoriscano l’ormai inevitabile gestione consortile dei villaggi molisani, altrimenti destinati al ruolo di splendidi sepolcri imbiancati.

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di Daniela Martelli

Tre curve pericolose Non ti pago

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ome un jingle ossessivo, ripetuto all’infinito, anche imprenditori “insospettabili” continuano a ripetere: “Bambola, non c’è un euro”. E non è un modo di dire. Non si tratta di una semplice voce narrante di una situazione esagerata. E’ la verità, la triste verità. I lavori pubblici si sono assottigliati, così le forniture, ma quel che è peggio che i lavori in corso e le forniture già effettuate non si vede la via di liquidarle. Così le aziende hanno iniziato a soffrire e alcune si stanno spegnendo, un po’ al giorno, come tante candele. I magri ricavi nella migliore delle ipotesi se li sono inghiottiti le banche; alle imprese rimangono solo i debiti, sempre più difficili da coprire. Lo Stato, la Regione, le Province e in Comuni avendo sempre meno soldi in cassa se la prendono con comodo con i pagamenti. Le amministrazioni, in verità, storicamente se l’erano sempre presa con comodo, ma i momenti erano diversi, si viaggiava con un altro passo, e le imprese, almeno quelle più salde, potevano tirare avanti. Ora no, non ce la fanno più neppure loro. Anche i fitti vengono accantonati, i proprietari degli immobili locati agli uffici debbono pagare le imposte senza incassare il canone di locazione. In questo modo l’economia si è veramente bloccata. E il futuro sembra sempre più complicato. Nei primi mesi del 2012 le imprese che hanno chiuso sono state solo minimante rimpiazzate da quelle che hanno aperto. Il trend, purtroppo, non si ferma. Si va verso la tangente.

ul principio la maggioranza non aveva capito il senso. I “compro oro” stavano nascendo nell’indifferenza generale. “Sbagliate” solo in apparenza le loro location: fuori mano, con vetrate ricoperte da fogli plastificati. Tutto studiato. Gli esercenti avevano annusato il momento e allora si sono dati da fare. “Compro oro” hanno scritto sull’insegna, con l’aggiunta “pago in contanti”. E un po’ alla volta s’è fatta la fila. Mamme che hanno venduto i preziosi per fare la spesa; padri che hanno fatto lo stesso per concedersi una serata al night, in compagnia di avvenenti fanciulle; figli bruciati dal vizio che hanno bisogno continuamente di soldi per comprare la “roba”. Questa è la società che ci siamo costruiti. Con i “compro oro” che aprono in ogni angolo. E, per quel che si sa, fanno affari d’oro, in tutti i sensi. Si sospetta che molti furti d’appartamento siano frutto della simulazione. Padri, madri e figli hanno preso il bottino aureo di famiglia e hanno dato la colpa ai ladri. Le forze di polizia nel raccogliere le denunce hanno annusato parecchi casi “sospetti”. L’esca va bene per i pesci, non per le persone più fragili, finite in bocca ad autentici squali.

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Gratta e vinci anche alle Poste ncapaci di smettere. Preda di una ludopatia che la crisi aggrava sempre di più: la svolta affidata a un tasto delicato, che una volta toccato dà dipendenza. Trasformando sempre più spesso in un giocatore compulsivo quel lavoratore, quel padre o madre di famiglia che raddoppia le perdite: al gioco e all’auto-

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stima. Invece di pagare le bollette delle utenze vanno al tabacchino e comprano il gratta e vinci, e poi si spostano alle macchinette mangiasoldi. Sognano la vincita buona che possa cambiare la scena. Senza rendersene conto, ogni giorno finiscono con mettere in crisi il già critico bilancio familiare. Poveri pianisti illusi che non azzeccano mai le note giuste, sia che si tratti di allineare “ciliegie”,che di far entrare un “colore” che risponde sempre picche. Uno Stato sanguisuga, non contento di spennarci ogni momento con infiniti balzelli, ci sta dissanguando anche attraverso il gioco che una volta era vietato. Ora anche alle Poste, dico alla cassa, c’è esposta una strisciata di “gratta e vinci”. Vai per pagare una bolletta e ti ritrovi quei biglietti verdi, che non sono i dollari, che ti invitano a fare una “tirata”. Tira oggi e tira domani i soldi diminuiscono, le vincite sono aleatorie e la crisi si aggrava.

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di Pasquale Licursi

Il cerino

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alla collina di questo mio Molise stanco si vede meglio la vita. Si vede più trasparente e chiara che in altri posti. È come quando mangi dopo un giorno di digiuno. È un appetito più umano e vero. Percepisci la fame come cosa vera e pulsante dentro di te. Così come quando non vivi sul mare. Lo desideri e lo ami più di chi ogni mattina si sveglia con di fronte l’acqua azzurra o grigia d’inverno. Dopo un po’ non lo vede più, il mare. E penso che ci sarebbe tanto da fare ancora. Nelle scuole ad esempio. In queste nostre scuole dove si parla un italiano che non esiste. A scuola non esiste quasi più niente. Dicono che i bambini imparano l’italiano ma poi ascolti Paolo Villaggio e capisci che l’italiano dei bambini è quello che hanno imparato i genitori dalla televisione e ti cadono le braccia. I genitori che fino a pochi decenni fa parlavano un dialetto bellissimo e pieno di colori. Farfalle. È un po’ come condire pane e pomodoro con olio cinese. E ho detto tutto. Ma essere moderni e contemporanei significa proprio questo. Invece di aggiungere hanno tolto quello che di bello c’era e il gioco è fatto. Io non ci capisco più nulla. Ma non voglio capire. Ci rinuncio. Tu hai un Eduardo de Filippo, un Totò, un Troisi, Mario Scaccia, Vittorio Gasmann, Pasolini e tutto il resto e in televisione Gianni Rivera che fa il pagliaccio. Ti cade un mito e ti fa male lo stomaco. Io pensavo che Rivera era leggenda, inesistente, un sogno. E quando qualcuno tornava e raccontava sul corso di essere stato a San Siro io ascoltavo come se mia nonna mi raccontava una favole delle Mille e una notte. Io non ci resisto più qui. Ma non scappo. Resto come se dovessi godermi per un po’ questo strano spettacolo della vita che ha puntate infinite. Sono così felici che ti fanno rabbia. Il viola quest’anno non va più e abbiamo deciso di cambiare il guardaroba dei ragazzi. Ma come? Tu cambi il guardaroba dei ragazzi in-

La caduta degli dei vece di comprare loro 4 libri al mese creato. Ma non si può e mi addore riempirgli l’anima? mento. In questi nostri minuscoli Lascia stare Rivera dalla Carlucci e paesi la televisione e altro hanno difatti un giro fuori dal paese, c’è un strutto quello che c’era di bello, le difcielo pieno di stelle. È quella la ric- ferenza, il dialetto, il saluto sulle chezza. Gestisci la vita come si fa con scale. squadra di calcio. Altrimenti è tutto Ci si abbronza al mare solo per dire inutile. E il gel col telefonino che si ai colleghi che anche quest’anno vede da lontano. Quella non è vita. I siamo stati in vacanza col pacchetto soldi servono a ben poco se li usi dell’agenzia. E sotto l’ombrellone si male. Meglio non averli. parla della pensione e degli scatti Anche qui la depressione e la ma- d’anzianità. Ti si ferma il cuore se linconia sono entrate. Come uragano pensi che solo pochissimi anni fa violento che rompe alberi e porte. l’estate era bellissima e bastava una Spacca tetti e fa paura. È entrata per- chitarra per sorridere ed essere felici. ché c’abbiamo capito poco. E rileggendo Pasolini ti si ferma il Distruggere patrimoni di secoli, sangue nelle vene. Ti si ferma perché questo siamo stati capaci di fare. Poi a lui le aveva viste – viste – queste cose cadenze regolari rievochiamo feste e ci aveva avvisati. Ma non abbiamo popolari che non ci sono più. Sopra la capito o non abbiamo voluto capire. Gibaud mettiamo pastrani pesanti e Ci piace questa vita che sa di copercappelli di lana. E beviamo vino tone che brucia, di solitudini che ucrosso. Ma solo per un giorno. E diven- cidono, di figli tutti uguali, di biscotti tiamo davvero ridicoli. Troppo ridi- scaduti e di bimbi dal pediatra. E di coli. Da non credere. Io parlo al mio vite parallele, nascoste, quasi a voler cane che forse capisce. Ma lui non sostituire giornate noiose e sempre può capire davvero. Mi guarda strano uguali. Un po’ Madame Bovary, un po’ e pensa, credo. Ma lui ha regole da Bel Ami. Viviamo in scheletri di esiquando è nato il mondo. stenze senza aprire gli occhi. Con Noi le avevamo ma siamo stati tra- tutto l’orgoglio e la vigliaccheria. volti dall’onda e ora la seguiamo I Maya dicono che nel 2012 finirà il come ebeti colpiti da ictus. Chiudes- mondo. Avevano telescopi potentissero le scuole e oscurassero la televi- simi e hanno visto bene. Quello che sione, forse, avremo modo di tornare rimane è solo scatolone con dentro la tra ruscelli e pioggia fresca. Ma così miseria di una vita senza occhi che non sarà mai. E sento piangere lon- sorridono. Marmellata andata a male. tano. O forse è solo animale di campaCrolla il mito gna che soffre per di Gianni Rivera il freddo. imprestato al ballo E intanto ascolto Louis - What a wonderful word - e capisco sempre meno. Ma forse capisco tutto. E sto in silenzio, come se dovessi contare tutte le stelle del


Verso i tagli a Palazzo Moffa I

n Molise, con la riduzione del 30 per cento si passerebbe infatti da 30 a 20 consiglieri, più il presidente. Di questi 17 complessivamente verrebbero eletti sul proporzionale e 3 nel maggioritario. In caso di vittoria, uno schieramento avrebbe diritto a 13 consiglieri su 20 di cui 9 eletti nelle due circoscrizioni proporzionali, 3 nel listino maggioritario più il presidente. Gli altri 8 spetterebbero alla minoranza. Attualmente per le elezioni si vota, per la scelta dei consiglieri candidati nel proporzionale, in due circoscrizioni provinciali, quella di Campobasso (che elegge 17 consiglieri regionali) e quella di Isernia (a cui ne spettano 7).

Gli altri sei compreso il presidente vengono di norma eletti nel maggioritario e rappresentano il premio di maggioranza. La Consulta ha dichiarato legittima anche la previsione della riduzione degli assessori che non possono essere più di un quinto dei consiglieri, cioè 4. Ed è da verificare, a questo punto, se possano essere esterni o, come ipotizzato dallo stesso governo, tutti eletti eliminando o escludendo l'incompatibilità tra i due incarichi. Sta di fatto che la decisione assunta dalla Consulta determinerà un cambio nelle strategie politiche delle coalizioni alla luce dei consiglieri da eleggere.

Si tratta di dieci componenti l'assise in meno e, questo passaggio, non risulterà di certo indolore. Sta di fatto, però, che finalmente si potrà puntare sulla qualità di quanti da mettere in lista e tale passaggio potrebbe determinare lavori consiliari più snelli e, soprattutto, più equilibrati. Al di là dei costi contenuti, che pure è fatto positivo, va sottolineato l'aspetto di una crescita qualitativa complessiva della macchina politica che, finalmente, potrebbe giovare a quel disegno strategico di una nuova fisionomia da dare alla Regione per vincere la sfida del mantenimento dell'autonomia e della propria identità. (pi.sa.)

Regione, i consiglieri scendono da 30 a 20

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di Alberto Tagliaferri

Ecco perché vincerà ancora Iorio I l popolo lo ama ancora, mentre il partito ormai è una zavorra; senza le vecchie facce, inseguendo la protesta con liste non politiche, si può ancora vincere. In verità il destino di Michele Iorio dipende da cosa succederà a sinistra, più che nel centro destra. Il governatore può esprimere un voto di tenuta, o affondare con liste cani e gatti. Qualche politologo nostrano assegna all’illustre isernino qualcosa come 60 mila voti che potrebbero essere sufficienti per vincere, semprechè nella sponda opposta non si faccia una improbabile ammucchiata. Se per caso i grillini (come sembra) dovessero correre autonomamente, così come Romano, difficilmente il Pd sostenuto dall’Idv raggiungerebbe un numero di voti superiori a quelli di Iorio. Il quale Iorio dovrebbe correre da solo, lasciando per strada i vecchi sodali, leggi Di Giacomo, Vitagliano e compagnia. I quali hanno più fiato che consensi. E quindi, stando così le cose, sono destinati alla sconfitta certa. Spiegando meglio le cose: Iorio verrebbe appoggiato da un congruo numero di liste civiche; il Pdl allo stato dell’arte punta sul rettore Giovanni Cannata che non dispone di molti voti, essendo comunque lontano dalla gente e anche piantata nel “sistema”; nel centrosinistra Pd e Idv punteranno ancora su Paolo Frattura, mentre Romano si gioca tutto con l’ex Pm di Larino, Magrone; il grillino avranno un loro candidato, destinato a portare a casa un bel po’ di voti, ma non certamente tanti da poter aspirare alla vittoria.

Qualche politologo nostrano assegna all’illustre isernino qualcosa come 60 mila voti

Un’mmagine emblematica: Iorio parla ai suoi sostenitori sul prato della Piana dei Mulini

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La nota

Se l’informazione cambia di colore ccade anche ai grandi giornali di scegliersi la linea politica. I due principali quotidiani italiani, Il Corriere e Repubblica, sono indicati dai più come giornali-partito. E questo la dice lunga sulla loro imparzialità. Per questo a nessuno venga in mente di andare a moralizzare l’informazione molisana che ha scelto di stare da una parte anziché dall’altra. Prendete le televisioni: Telemolise si è schierato platealmente con Iorio, aprendo un duello rusticano con Frattura, il quale, con poco stile per la verità, si lasciò scappare che in caso di vittoria avrebbe usato la scopa per spazzare via certe testate che a suo dire avrebbero ricevuto sostegni economici dal Palazzo. Tele Regione, invece, si è mantenuto un po’ più in alto, dando qualche scudisciata al governatore, ma senza fargli sempre le unghie e tenendo aperta la porta allo sfidante. Tlt ha viaggiato a mezz’aria, senza prendere posizioni specifiche; Tvi che fa capo ai Patriciello ha sostenuto (quando lo ha sostenuto) il governatore. Prendete i giornali: Il Quotidiano non ha fatto mistero di stare dalla parte di Iorio, ma senza sbavare; Primo Piano (stesso gruppo di Tele Regione) ha strizzato l’occhio a sinistra, ma senza chiudere la porta al centrodestra; Il Tempo è stato a metà via, senza infamia e senza lode; La Gazzetta del Molise è ioriana sino al midollo, come il periodico Extra, edito a Isernia. Di recente però qualcosa sta cambiando. Iorio ha perduto, almeno in apparenza, l’appoggio di Telemolise che con i suoi vertici gli ha riservato alcuni editoriali particolarmente severi. Le altre tiv sono rimaste in pratica sulle vecchie posizioni, così pure i giornali che però stanno aprendo qualche finestra anche ai non amici di Iorio. La sola Gazzetta è rimasta accanto al governatore e ogni giorno si batte con tutte le sue forze per offrire un’informazione che serva soprattutto a rintuzzare le accuse che vengono rivolte da tutte le latitudini all’isernino. Anche dai suoi stessi sodali che per dieci anni gli sono stati vicini, incassando incarichi e relativi stipendi, e che ora si smarcano qua e là, in cerca di un nuovo “padrone”.

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Il teatrino è sempre lo stesso estate ci ha riproposto pedissequamente il vecchio teatrino della politica, con gli stessi personaggi che si sono smarcati qua e là cercando maggiore visibilità e forza di penetrazione, annusando aria di ripetizione delle elezioni. Replay che certamente ci sarà a Isernia, in cui ci siamo fatti riconoscere per il pasticcio dell’anatra zoppa che non ha consentito di far governare all’onesto Ugo De Vivo che, andando oltre le attese, era riuscito, al ballottaggio, a battere la signora Rosa Iorio, donna dai modi garbati e dalla spessa cultura che ha pagato la sentenza del Tar, arrivata pochi giorni prima del ballottaggio e che ha azzoppato suo fratello Michele e le sue legioni. Senza volerlo, la distinta signora Iorio si è trovata a rivivere Eris, la poco nota dea della zizzania. Dal giorno del voto il mondo della politica ha generato una girandola di accadimenti che hanno acceso aguzze polemiche che hanno raggiunto il top con le dimissioni di 18 consiglieri appena eletti a Isernia e che hanno determinato l’azzeramento del consiglio comunale, con susseguente nomina del commissario, da far inorridire sia Kafka che Pirandello. Col caldo e con i problemi di cassa la gente comune ha scarsa voglia di occuparsi di politica, roba che storicamente ha sempre sovvertito i valori, il favore fa aggio sul merito. I gusti sono cambiati, e anche i disgusti. E cambiate sono le aspirazioni. I giovani hanno capito che non c’è più trippa per gatti, nel senso che sono finiti i tempi in cui trionfavano i galoppini, a cui bastava fare da bordura al politico di turno per ritrovarsi con un posto di lavoro a tempo indeterminato, con una squillante promozione. Il mondo di oggi non è più quello di ieri, e non solo entro i confini della nostra regione: ovunque. I giovani lo hanno capito forse per questo si sono infilati nell’alveo del fiume navigato da Grillo, il quale Grillo sta cavalcando il dissenso, raggiungendo risultati esagerati. Dimenticando di confidarci dal palco, dove continua a fare ottimo teatro, quali sono i suoi programmi. (ge.ve.)

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Antonietta Balante titolare del Lido

L'orgoglio di Campomarino

Il successo della Conchiglia Azzurra C’

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è un lido a Campomarino in grado di fare bella figura anche sulla costa romagnola. Si tratta della Cochiglia Azzurra di Antonietta Balante che offre alla sua vasta clientale servizi di prim’ordine, oltre al piacere di una invitante piscina e un luogo di ristoro dove si possono gustare portate gustose e menù a base di frutta di stagione. Ci sono un paio di cosette da ricordare: alla Conchiglia Azzurra sono di casa moltissimi politici regionali, i quali (questo si) con la loro presenza spezzano una lancia a favore delle strutture commerciali della loro terra. Tra i frequentatori più assidui brilla Michele Iorio che nel rispetto della molisanità sono anni che ha comprato una casa a Campomarino e assieme alla sua famiglia frequenta la Conchiglia Azzurra, stabilimento che sa cogliere le esigenze di una clientela matura ed esigente e quella giovanile. La sera c’è un rincorrenrsi di clienti che si lascia attirare dalle proposte della direzione, tra le quali brillano (il venerdi) le Cover di Reanato Zero, Michel Jackson, Claudio Baglioni che hanno riscosso un lusinghiero successo.


Tavola imbandita per gli ospiti del Lido “Conchiglia Azzurra�

Tra gli ospiti Salvatore Colagiovanni

Ragazzi al bagno in piscina

Luigia Rossetti: autrice del servizio fotografico

Zona relax e ristorazione all’aperto

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L'orgoglio di Campomarino

Tra gli altri si evidenziano il presidente De Matteis, Gianfranco Vitagliano e Rita Colaci

Il presidente della Provincia De Matteis posa sorridente sul parterre del lido

Tra gli altri: Tramontano, De Matteis, Corallo, Colaci, Colalillo, Colagiovanni, Di Biase e Perrella


Serata godereccia sotto il palmeto del Lido “Conchiglia Azzurra� di Campomarino con ospiti illustri della politica regionale, eleganti signore e fresche bellezze molisane

La direttrice Antonietta Balante tra Iorio e De Matteis

Il titolare del lido Balante tra De Matteis e Iorio

Sui lettini del lido una copia della Gazzetta del Molise


di Gegè Cerulli

Quando la spiaggia diventa un alveare V

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acanza è una parola troppo impegnativa di questi tempi. Intendo vacanza al mare. Perché Castellino, Duronia, Vastogirardi, Monacilioni e Pietracatella assieme agli altri cento e più paesini del nostro lembo di terra restano le mete preferite per un ritorno a Itaca. La vacanza è un’altra cosa. Almeno nell’immaginario collettivo. Viaggio, albergo, piscina, la belloccia con il due pezzi che ti toglie il fiato, l’aperitivo cenato sul divano bianco, la musica che picchia forte, l’acquagin, la

musica da discoteca, il cocomero di mezzanotte. Basta guardare il traffico della domenica sulla Bifernina e sulla Trignina per capire cosa significhi per il molisano una giornata al mare. Le auto sono incolonnate e a momenti si toccano. Tutto avviene in poche ore. La macchina strapiena, l’ombrellone e le sdraio legate al portabagagli, l’anguria da mettere in fresco, il costume di ricambio, il frigobar grosso come un comodino. Il lido, o stabilimento balneare è

stato trasformato in un centro commerciale, puoi trovare tutto, tranne quello che stai cercando: giornali, libri, ricariche per telefoni. Spunta una borsa frigo che contiene un ben di Dio, teglie di lasagne, melanzane alla parmigiana. Vorresti pensare alla dieta, saltano anche le indicazioni di Dukan. Una volta il bar era juke box, flipper e calcio balilla. Oggi è un luna park infinito, un divertimento senza fine, pure lo scivolo gonfiabile, persino la giostra sulla sabbia.


Tralascio il pellegrinaggio di ambulanti, la vetrina comprende borse, occhiali, collane e bracciali, orologi, costumi e parei. Anche il venditore di cocco si è modernizzato con il suo banchetto mobile, spostato da un trattorino. Intanto il sole picchia, mai era stato così feroce, negli ultimi 50 anni. Ormai tutto è estremo, l’inverno siberiano e l’estate africana: vi sembra giusto tutto questo? E le mezze stagioni, dove sono andate a finire le mezze stagioni? Fa un

metro di neve, ma non basta ad evitare la desertificazione di un’estate rovente. La temperatura al suolo della sabbia è infernale, le infradito si squagliano. Finalmente arriva l’ora del bagno e poi quella della doccia, vietato usare il sapone e anche lo shampoo. L’alveare si fa aia, propone reduci stremati dal sole e dalle melanzane alla parmigiana, il cinese ha piazzato l’orologio simil Daytona. La spiaggia al calar del sole ritrova il suo naturale ordine, la sabbia è fresca al tatto, il vicino di ombrellone è scom-

parso con tutti gli annessi, il cestino dei rifiuti è in esaurimento nervoso, il bagnino e i suoi collaboratori precari spazzano il lido, giù la saracinesca dell’emporio, sfoltiti i frigoriferi. Sarebbe stato bello trascorrere qui la sera, con il profumo del mare al posto della parmigiana, fare il bagno di mezzanotte, che sono poi le undici, ma fa lo stesso, ascoltare il maestrale, spiaggiarsi come una balena, soli, solitari. A domenica prossima, stessa spiaggia, stesso mare. Della vacanza? Parliamone.

Ritratto della vacanza domenicale dei molisani

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Fulmini su Campobasso


Un magistrale scatto di Roberto De Rensis che ha colto, a San Giovani dei Gelsi, uno dei rari temporali notturni in questa torrida estate molisana


o i l g u L i d o t o f e L

Una inedita visione del lago di Guardialfiera (ph Saverio Zarrelli)

Il ballo del bikini

Suore al vento (ph Zarrelli)

Antonello Luciani è riuscito a cogliere una straordinaria immagine di un personaggio campobassano che sta facendo pulizia al “salottoâ€?

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Antonello Luciani è riuscito a procurarsi due foto storiche della Campobasso che non c’è più: il Bar Adua (oggi OVS) con clienti ai tavoli e una Vespa che passa per il corso

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di Alberto Tagliaferri

S’è spezzato il feeling tra i campobassani e uno dei luoghi storici della città

Nonostante la gran calura la gente ha preferito mantenersi lontana dalla Villa Comunale, lascito della famiglia De Capoa

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insegna è sempre rimasta al suo posto, almeno quella all’inizio dello scalone d’onore. Ha fatto piacere all’amministrazione comunale lasciarla così, come l’ha lasciata la famiglia De Capoa alla città. La Storia è fatta di cancellazioni e di stratificazioni, una concatenazione che si riscontra al meglio nelle arti della botanica e delle coltivazioni arboree. Possiamo partire da questo dato estetico per visitare la Villa Comunale, uno dei punti più belli del capoluogo. Che, a quanto pare, sembra essere stata un po’ dimenticata dai campobassani che in questi giorni di straordinaria calura preferiscono starsene rintanati in casa o continuare a passeggiare per il Corso, anziché addentrarsi tra i vialetti della villa, per godersi una meravigliosa frescura, respirando aria salubre. Non si contano le essenze arbustive e arboree, com-

prese quelle di alto fusto, che vivono all’interno della villa, che viene classificata dagli esperti come “giardino all’italiana”. I viali, recentemente ricaricati con la ghiaietta, emettono delicati suoni sotto il calpestio dei visitatori che, paradossalmente diminuiscono a vista d’occhio. In Villa ci sono giochini per bambini, campi di bocce, e il circolo tennis più aristocratico della regione, ove da un’idea del compianto Nicolino Scarano nacque il “doppio giallo”, un torneo un po’ bizzarro che diede effervescenza al luogo, ma che morì, in pratica, con l’improvvisa dipartita del professionista, stroncato da un infarto, mentre era sul posto di lavoro a svolgere una ispezione. Va ricordato che Città viva, quest’inverno, rendendosi conto dello stato dell’arte della villa, trascurata dai campobassani, ha trovato il modo di realizzare una spettacolare quanto originale edizione del presepe vivente.


In pochi ricordano che l’architettura fa della villa uno splendido “giardino all’italiana”, uno dei vanti botanici del Paese Storicamente in villa sono nati infiniti amori, non c’è campobassano che non abbia portato la morosa tra quei vialetti per scoccarle il primo bacio Ma, a quanto pare, non è bastato a far riavvicinare gli abitanti del capoluogo a quel luogo che, storicamente, ha rappresentato un punto d’incontro obbligato delle giovani coppie. I fidanzati non hanno bisogno più di andarsi a nascondere in Villa per scambiarsi il primo bacio, sfacciatamente se lo danno in pieno corso, andando anche oltre il bacio. Una volta, se la ragazza ci stava, bisognava per forza portarla in villa, nella speranza di farla franca al burbero guardiano che indossava una divisa austera e un cappello d’ordinanza. Tra i viali si susseguivano i passeggi, le coppie con sveltezza cercavano gli angoli più propizi, per ritagliarsi uno spazio privato. Nel primo pomeriggio, durante i mesi più caldi, le mamme dopo il riposino portavano i loro bambini a giocare. La fontanella, il grottino con lo zampillo, la rotonda, la vasca con i pesciolini, il

chioschetto di Trevisani, le scomode panchine di ferro sulle quali risultava arduo scalfire il nome della ragazza amata. L’ingresso più accreditato era quello accanto al portone del vecchio Cardarelli, la porta principale che affaccia in piazza Savoia è stata meno utilizzata; via vai di aspiranti tennisti attraverso il vialetto che porta al circolo. Se la memoria non ci inganna le istituzioni hanno fatto poco per riavviare i campobassani alla Villa Comunale, l’ultimo spettacolo di un certo spessore è stato organizzato da Pino Saluppo, una decina d’anni fa, per conto dell’Ente per il Turismo, di cui era presidente. Fu un clamoroso successo artistico e di pubblico, ma da allora nessuno ha pensato di ripetere, almeno un paio di volte all’anno, qualcosa del genere. In quella occasione salirono sul palco Gianfranco D’Angelo e Sandra Milo, in una esilarante commedia.

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di Walter Cherubini

Così Ruta tentò di ridimensionare Astore e Chieffo

Peppe Astore

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onorevole Roberto Ruta è un talento della politica molisana, lo dimostra la risolutezza con la quale, dopo la scoppola del 2008, ha perseguito il rientro alla grande nel ruolo di leader di riferimento per il centro sinistra, centrando l’obiettivo grazie alla scelta di Frattura in qualità di candidato del centro sinistra. Un capo oltre che ambizioso deve essere anche spietato, se occorre. Quando per la prima volta riuscì a conquistare il partito popolare, occupando il ruolo di segretario, grazie al consenso guadagnato con la nuova linea e supportato da giovani entusiasti diventati poi i “Ruta boy’s”, l’ex Presidente del Consiglio regionale agì con risolutezza e cinismo, mettendo all’angolo il grande D’Aimmo e insieme con lui il più pericoloso e abile tra gli avversari interni al partito, Peppe Astore. Il quale preferì lasciare i popolari, in seguito confluiti nella Margherita, per abbracciare Tonino Di Pietro ma conservando sempre un rancore profondo verso quella repentina defenestrazione. Astore si dedicò all’organizzazione dell’IDV sul territorio, ottenendo risultati importanti, Di Pietro nel 2006 lo premiò con un candidatura in un

Antonio Chieffo

collegio sicuro, in Emilia Romagna, regalando all’ex assessore alla Sanità uno scranno a Palazzo Madama. Nello stesso anno, Di Pietro invocò poi per il suo partito la candidatura alla Presidenza della regione, indicando Astore come candidato. L’ex ministro strappò l’approvazione agli organi centrali dell’Ulivo ma di nuovo Ruta si mise di traverso. Avendo costituito un forte asse con Augusto Massa, i due leader del centrosinistra, fiutando il pericolo di ridimensionamento, si prodigarono per evitare l’eventuale elezione di un presidente dipietrista. Seppur a malincuore (ha sempre preferito fare il deputato) Ruta rivendicò per sé la candidatura, come leader del partito di maggioranza nel centro sinistra, uscendo poi battuto sonoramente da Iorio. Astore si prese la rivincita poco dopo, alle politiche del 2008, infatti, l’IDV corse in solitario e sia Ruta che Massa furono clamorosamente trombati. L’addio di Chieffo al partito popolare anche in questo caso fu determinato dalla volontà della segreteria di ridimensionare il personaggio, forte di due legislature vissute da ottimo Presidente della Provincia, che gli

Roberto Ruta

avevano portato molti consensi anche sul fronte avverso. L’attuale assessore ai lavori pubblici confidava in un salto di qualità, con passaggio in regione e incarico adeguato. I piani di Ruta, che aveva indicato con molto acume Massa come successore di Chieffo alla Provincia, erano però diversi. Nel periodo di composizione delle liste per le regionali, un giorno due dei “Ruta boys” si recarono a mezzanotte a casa di Chieffo proponendogli la candidatura a Sindaco di Termoli per il centro sinistra, in una sfida quasi impossibile contro il “Gattone” Remo Di Giandomenico. Chieffo rifiutò sdegnato e poco dopo cedette alle lusinghe di Iorio che lo portò nel centro destra inserendolo nel listino del maggioritario.


Per l’addio al celibato e al nubilato le giovani coppie hanno ripristinato una vecchia tradizione

Il ritorno della Serenata Quattro orchestrali del centro storico richiesti come i Beatles per le serate speciali pre-matrimoniali

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una storia estiva che potrebbe essere raccontata anche in altre stagioni. Viene da lontana, ma è diventata nuovamente alla moda, abbracciando anche i ceti più evoluti. Stiamo scrivendo della “serenata”. A nessuno venga in mente di pensare a Schubert, per carità questa è robetta semplice, del paese nostro. Roba fatta con il bufù e la trombetta. Eppure piace, scivola giù come un boccale di birra in una notte afosa. Stiamo parlando della serenata che un gruppo di orchestrali del centro storico ha deciso di rilanciare alla grande. Per accompagnare l’addio al celibato e al nubilato delle giovani coppie. Per capire di cosa stiamo scrivendo bisognerebbe averla vissuta almeno una volta la “serenata”. Unendosi allo sposo, ai parenti, agli amici e ai curiosi. Riproponendosi con il cuore bambino, senza sofismi e puzza sotto al naso. Ricordando le radici campobassane, attribuendo l’antico significato al centro storico, con la curiosità di chi ha il cuore eternamente giovane. Noi l’abbiamo appena vissuta l’atmosfera di una “serenata”. Tra bella gente, in pieno centro storico. Stando con il naso all’insù, ad aspettare che lei, Valentina Salvatorelli, delicata bellezza, si affacciasse alla finestra della casa dei genitori, Antonio e Giuliana, per raccogliere il segnale d’amore lanciato dal suo fidanzato, il fustacchione Lorenzo Buongusto che si era munito di una scala di ferro, di un mazzo di rose rosse e di una bottiglia di champagne per dare un tono alla circostanza. Lo hanno accompagnato oltre ai familiari, papà Peppe, mamma Maria Antonietta, il fratello Michele con la fidanzata Maria Pina, i parenti della sposa e un nutrito stuolo di congiunti e amici. Ma soprattutto c’erano i quattro cantori famosissimi che rispondono ai nomi di Adriano Parente (Chitarra e voce), Antonio Mandato (trombetta e voce), Salvatore Di Cesare (bufù) e Nicola Mastropaolo (fisarmonica e voce). Potete stare certi che lo spettacolo è assicurato. I canterini che spaziano nel loro vasto repertorio, lei che si affaccia dopo il quarto brano, lui che si arrampica sino a scavalcare il davanzale, il bacio appassionato, la consegna dei fiori, il tappo che vola dal collo della bottiglia, il brindisi, gli applausi e poi… tutti in casa. A fare baldoria e a mettere qualcosa sotto i denti. Prima che il concertino riparta, per concludere la sua divertente esibizione con le esilaranti maitunate che stanno riprendendo piede, grazie alla vena di Nicola Mastropaolo che è diventato il vero numero uno. Va precisato che la “serenata” nasce dal borgo antico, ma estende le sue propaggini sino alla periferia della città, lanciandosi in frazioni e contrade e arriva sino ai comuni del circondario. Campobasso sempre un po’ snob ha riscoperto piacevolmente una delle sue più semplici tradizioni. E le giovani coppie stanno già progettando di non disperderla una seconda volta questa magica tradizione popolare. L’agenda dei quattro canterini si è ormai infittita. Le coppie si prenotano e loro accettano con entusiasmo, come vecchi divi della canzone. E vai con una nuova “serenata”. (ge.ve.)

Immagini da una serenata in Vico Bigliardo a Campobasso: i quattro orchestrali: Salvatore Di Cesare, Antonio Mandato, Nicola Mastropaolo e Adriano Parente; lo sposo Lorenzo Buongusto che consegna le rose alla sposa Valentina Salvatorelli; e i due giovani promessi sposi che brindano alla finestra.

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Tutta la verità sulle pale eoliche di Altilia Ormai è diventato un tiro al bersaglio mediatico il nostro Molise

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erto, le pale eoliche sono brutte. E, fanno anche rumore. Danno l’impressione di trovarsi in quegli orribili panorami di un’America che non ci è mai piaciuta. Se poi qualcuno pensa di piazzarle accanto a uno dei luoghi più aristocratici della nostra regione, allora ci piacciono ancor meno. Ma da qui a lanciare fango sulla nostra terra ce ne corre e come. Sarebbe ora che qualcuno si decidesse a difenderlo il Molise, anziché sputtanarlo su tutte le latitudini. Prendete il Corriere (dico Corriere della sera, non dei piccoli): ha armato due tra i suoi più noti (e ricchi) giornalisti, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, per pubblicare un’aguzza articolessa che ci fa apparire ancora una volta come il paese di Bengodi. Questa volta i due giornalisti-scrittori del quotidiano di via Solferino hanno puntato i loro fucili sul sito archeologico di Altilia, per denunciare lo scempio ambientale che si starebbe perpetrando, con l’istallazione di un parco eolico, posto in linea d’aria ad “appena” 8 chilometri, da situare sul crinale della Castagna. Tutto vero, per carità. Come è vero l’iter che è stato seguito: la Sovrintendenza che ha concesso il proprio si, il ricorso al Tar e al Consiglio di Stato da parte della società appaltatrice, avverso al no della giunta regionale e dello stesso consiglio. Alla fine ha vinto il ricorrente, ma è passato un messaggio che immotivatamente colpisce la parte politica della nostra regione. E, guarda caso, va dritto sul bersaglio preferito. Così capita di leggere sulla pagina del Corrierone “dell’indecente appoggio al progetto”, da parte di Iorio. In realtà i fatti sono andati in maniera opposta, altro che appoggio. Ma ormai questo è ciò che ci riserva la stampa accreditata. Non si contano poi gli assalti, spesso dissennati, da parte di truppe d’assalto televisive che giungono da Roma o da Milano, per fare

le unghie a una piccola regione che ha commesso tanti errori, ma che neppure lontanamente può essere avvicinata ad altre consorelle che hanno determinato, quelle si, il dissesto finanziario del nostro paese. Il Molise raccoglie tempeste per colpe proprie, ma anche e forse soprattutto, per colpa di chi ha seminato vento. Ormai non è più un mistero: consiglieri regionali, sindacalisti, referenti di partito e, udite udite, anche occupanti dei piani alti del Palazzo, da anni hanno fatto a gara a buttare fango sul Molise. Con la scusa di agire in nome della lotta partitica non si sono resi conto di aver agito e di agire tutt’oggi a solo danno della nostra terra. Comportandosi in questo modo i guastatori hanno ottenuto una sola cosa: averle rovinato la reputazione. Che, ribadiamo, avrà certamente le sue colpe, ma per uno spirito di comunione avrebbe meritato, fuori dai nostri recinti, di essere difesa in modo corale. Per il bene di tutti. Al contrario, invece, negli uffici e persino durante alcune conviviali, alcuni irresponsabili non hanno fatto altro che parlare male del modo di amministrare, dello scialo della spesa pubblica, della sanità troppo spendacciona, insomma di tutto quello che era possibile criticare. Da cosa nasce cosa: si è arrivati a criticare sotto tutti gli aspetti il nostro Molise. Il quale ora tenta di recuperare il terreno perduto. Cosa che diventa ogni giorno più difficile, perché nei ministeri si è ormai instaurato il convincimento che il Molise sia una terra di nessuno, dove si abusa di tutto (sanità, ricostruzione, ambiente). Mentre altri difendono con i denti i loro territori, da noi si fa a gara a chi le spara più grosse, cercando di fornire materiale bruciante alle troupe televisive e servire sui tavoli di penne d’assalto argomenti per colpire il Molise con servizi clamorosi, che spesso riportano una verità distorta. (ge.ve.)


di Pasquale Licursi

Ma le pale no C’

è una scienza che ha un nome bellissimo. “Pedagogia del desiderio” e cerca in tutti i modi di porre come punto essenziale la capacità di adolescenti nel capire cosa si vuole dalla propria vita. Terzo Mondo, Brasile, zone povere del mondo e si incontrano bambini davvero poveri di tutto. Apparentemente. Poi si scopre che questi bambini hanno talento vero e viene fuori che alcuni diventano artisti, altri cantanti e altri ancora musicisti. Personale qualificato che aiuta questi bambini a far nascere cose che già hanno dentro. Cose già vive prima di ogni cosa. C’è un’associazione di volontariato che opera soprattutto in Brasile, coi ragazzi di strada, e li toglie non dalla strada ma da una violenza disumana, da un marciume ingiusto e senza motivo. Alcuni di loro lasciano il Brasile e diventano veri e propri artisti. Altri restano ma puliti come lenzuola di lavanderia. “Pedagogia del desiderio” occorrerebbe anche qui da noi, un po’. Un educare alla bellezza che in questi ultimi anni è andato sempre più sparendo e non certo per colpa degli adolescenti ma di chi li ha generati. Anche nel nostro atavico Molise scopriamo l’esistenza di una non bellezza soprattutto nel quotidiano di ognuno di noi, nel nostro essere indifferenti alla bellezza vera, alla natura, alla vita che si presenta davanti ai nostri occhi. Gli ultimi eventi, tra fotovoltaico ed eolico, dimostrano chiaramente che si tiene sempre meno conto della bellezza per far posto all’utilità, ma una utilità del tutto insignificante se paragonata al bello vero, al creato. Abbiamo posti di una bellezza straordinaria e semplicissima e per quello non la vediamo più. Ci è del tutto indifferente. Decadente quanto si vuole ma stupefacente. Basterebbe valorizzare l’esistente per sopravvivere dignitosamente. Al contrario, ci roviniamo la vita e rendiamo brutto quello che è nato bello. Noi qui tutto questo l’abbiamo superato da tempo. Pensiamo che il bello sia essen-

zialmente un apparire scialbo, insipido, senza sale. Pensiamo che un orologio o una macchina possano sostituire valori secolari come la bellezza di un paesaggio, il parlare piano, l’educazione semplice. Pensiamo che andare in Chiesa vestiti bene rappresenti un traguardo, una scalata sociale. Ma così non è. Trovo assurdo e diabolico sapere che un bambino che vive qui non debba conoscere angoli di paradiso a pochi metri dal centro. I ruderi della campagna, gli uliveti, le fontane anche. Trovo peccato grande che un genitore allontani i figli dai cieli azzurri delle nostre primavere, dal calpestare erba profumata, bere acqua di sorgente. Correre dietro lucertole impazzite. Ognuno dovrebbe vivere in base all’ambiente che lo ospita e la fortuna di ognuno dipende elusivamente dalla conoscenza del proprio territorio. Oggi, paradossalmente, conosciamo la geografia ma non conosciamo quello che ci circonda. “Pedagogia del Desiderio” significa trasmettere passione e sensibilità e poi lasciare che tutto accada in ognuno di noi. Seminare non la conoscenza ma il desiderio di essa. E poi ognuno segue il proprio destino. Conosco persone che qui passavano il tempo appoggiati ai muri dei bar e fumavano continuamente. È bastato allontanarsi per qualche centinaio di chilometri e sono diventati artisti, buoni artigiani, e tante altre belle cose. Non basta conoscere la storia, ma viverla in prima persona. E per viverla bisogna rischiare. E per rischiare sapere cosa si vuole. Altrimenti è tutto davvero inutile. Non ha senso l’esistere. Oggi si sta sopra poltrone a guardare il National Geographic e ci si stupisce. Con le persiane chiuse e polvere sui mobili. Basterebbe alzarsi e uscire e incontrare stradine in terra e vedere la vita. Ci si sentirebbe meglio e senza andare in farmacia. Vivi, ecco. Potremmo essere più vivi di sempre. E invece ci condanniamo al buio e alla speranza che venga presto sera. E diventiamo brutti. Come non lo siamo mai stati.

(Se vai a Sepino fallo dalla strada antica, quella che non usiamo più perché troppo lenta e piena di curve. Non accelerare e guardati intorno. E’ quella la ricchezza, non un conto in banca corposo e pieno. Guardati intorno, vedi le rovine romane di Altilia e ti si stringe il cuore. Poi arriva un Sovrintentendente e firma per l’eolico mostruoso, enorme. Io lo capisco. Lui non vede più anche se dovrebbe farlo meglio di altri. Lui vede pietre inutili. E vede anche il progresso, lo sviluppo, il futuro, le magnifiche sorti e progressive. Lui le vede sinceramente queste cose. Ma non ce l’hai un altro posto dove piantare pali eolici? Non esiste un luogo privo di acqua, vegetazione, spento, dove mettere tutti i pali che vuoi? Lo so, è questo il progresso, abbiamo bisogno di energia per alimentare stupidità quotidiane e va bene. Ma come ti viene in mente di prendere Altilia e assassinarla così? Dopo settemila anni! Cosa ti passa per la testa, devi dirmelo! C’è una legge non scritta che è quella del piacere puro. Quella cioè di fermarti di fronte a un panorama, un mare, una collina o una montagna e provare un piacere senza fine, indefinito e inspiegabile. Esiste, giuro. E non è scritto da nessuna parte. C’è. Lo possiedono in pochi ma esistono. Sono minoranza, ma esiste. La vita non è solo casa al mare e macchine lussuose. Per me almeno. Io vedo una pietra antica e mi commuovo. Vuoi togliermi questo? Dopo avermi tolto tutto?)

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di Gennaro Ventresca

Svanite sul nascere le fantomatiche cordate, sono spariti prima di arrivare anche gli “arabi”

Il pallone di Ferruccio L’

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estate, storicamente, è una stagione che Campobasso vive pensando alle “cordate”. Ne ho sentito parlare a lungo di cordate, senza veder comparire in tutti questi anni una sola corda. Mi riferisco ai calci d’angolo della squadra del nostro cuore. Il pallone a fine campionato, fatta qualche debita eccezione, si è ammosciato. E a prescindere dalle tre radiazioni, ci sono stati altri momenti febbrili che hanno fatto temere il peggio. Qualche volta c’è scappato anche il bignè. Andò via Nucciarone e comparve Gigino Falcione; lasciò il rigido presidente di “lavoro pulito e ordinato” e gli subentrò il pirotecnico Tonino Molinari; l’Adelmo partì dalle ceneri, inventandosi l’oggi prima del domani. Ferruccio sarebbe entrato in scena in pieno inverno. Quindi, in qualche modo fa eccezione. Comprò il titolo da Paolo Rizzi, imprenditore del ramo della carpenteria e promise mari e monti. Il suo fu un vero e proprio blitz. Nessuno lo conosceva e ancora oggi non si sa bene come da Montella sia arrivato a Campobasso. Tutti a chiedersi il perché di quell’ingresso. Il popolo campobassano iniziò a fare le sue congetture. “Viene per prendere i lavori pubblici”, “Anzi no, viene per una lottizzazione”, “Io credo che ci sia sotto anche qualche altra cosa”: la fantasia si scatenò. Gli facemmo subito le pulci a Ferruccio che già allora viaggiava nella lussuosa auto con i quattro cerchi, vestiva abiti griffati “guastati” da orribili cravatte con nodi impossibili, grossi come il sellino di una moto. Da quel momento è successo di tutto e il contrario di tutto. Capone è diventato di casa, al campo, sui giornali e in tv lo hanno conosciuto in fretta in tutto il Molise. Non c’è stata partita che non l’abbia visto scendere in campo assieme ai giocatori, per accomodarsi in panchina, accanto al mister che ha avuto il suo da fare per tenerlo a bada. Ne ha avuto per tutti: arbitri, giocatori suoi e avversari.

Ferruccio Capone da sei anni presidente del Campobasso Calcio


Senza il montelliano il Campobasso sarebbe stato nuovamente cancellato dal calcio professionistico A questo punto sarebbe meraviglioso se la città potesse recuperare il rapporto con il padrone del lupo, sul quale c’è poco da illudersi: lui non cambierà mai, per questo meglio che cambiamo noi

Minadeo, Multineddu, Di Bartolomeo, Capone e Imbimbo

Non sto a dirvi quanti rilievi abbia fatto al suo allenatore e quante sostituzioni abbia dettato. I mister, presi per stanchezza, tante volte lo hanno accontentato. Poi è salito in tribuna e via con il concertino contro l’arbitro. Quando le cose non andavano al meglio, senza il minimo ritegno, ha chiesto a gran voce al suo mister di cambiare il “sette”, e il “quattro”. E quando le sue urla non hanno fatto centro ha usato il telefonino per dettare al Molino di turno i suoi suggerimenti di Napoleone del pallone. Prendere o lasciare: Ferruccio è così. Da buon italiano che da ragazzo ha giocato su un campo scassato crede di saperne più di Luciano Moggi e Capello messi insieme. Difficile contraddirlo, ne va di mezzo il posto. E se per caso i risultati sono favorevoli al mister che non è ubbidiente, state pur certi che se lo segna al dito, per fargliela pagare alla prima disavventura. Forse questo e anche altro lo hanno trasformato nel bersaglio della critica. I tifosi poi lo hanno spesso fatto segno con cori scorretti e irriverenti. Provocando una crepa diventata irreparabile. Questa estate sembrava giunta la fine. Ferruccio aveva fatto sapere al sindaco e per slittamento al popolo rossoblù di

non voler più iscrivere la squadra al campionato. Il popolo rossoblù è andato dietro alle “cordate”. Così, con il caldo bollente, ho letto e sentito parlare di arabi che avrebbero dovuto prendere il suo posto. E ho saputo che più di qualche curioso si è spinto sino a Montella, per andare a intavolare una trattativa che non è mai nata. Al tirar delle somme Ferruccio ha nuovamente assicurato l’iscrizione al campionato. Usando lo stile che gli è proprio e sul quale si potrà continuare a discutere all’infinito. Ma senza di lui a Selva Piana potrebbero tornare a pascolare le greggi. Se si riuscisse a costruire un club con quel minimo di organizzazione, Campobasso potrebbe aspirare a raggiungere, sulla base della ristrutturazione dei campionati, a puntare alla C unica Per il momento è appena il caso di ringraziare Ferruccio, senza spingersi. Pensare che possa completare il suo capolavoro facendo un passo indietro, recuperando il rapporto con la città, mi sembra eccessivo. Per questo sembra auspicabile che sia il popolo dei calci d’angolo ad andargli incontro. Una cortesia: smettiamola di chiamare la nostra squadra Nuovo Campobasso. E che sia solo e sempre Campobasso.

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Intervista al padrone del Lupo

Sto accarezzando un sogno S

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cusi Ferruccio, come siamo messi con i debiti? In linea con il mondo del calcio, né più né meno. Come ha fatto a salvare il Campobasso dal baratro? Con un colpo di reni. Mio figlio, nei giorni antecedenti alla scadenza del ricorso, ha girato l’Italia per trovare amici disposti ad aiutarci. E a Campobasso non c’erano amici? Abbiamo bussato a tutte le porte, solo il sindaco ci ha aperto, ma aveva la cassa vuota. Che le ha detto Di Bartolomeo? Ferruccio, ti prego, fai l’impossibile per non far morire il Campobasso. E lei ha compiuto il “miracolo”. Parlare di miracoli è troppo, ma stia pur certo che non è stato semplice, di questi tempi, mettere insieme i soldi per fronteggiare gli impegni. Come mai nel corso dell’incontro con media e tifosi si è mostrato così ottimista? Perché nel frattempo si è configurata una situazione che se dovesse materializzarsi potrebbe cambiare completamente lo scenario. Ce la spieghi. Ci sono alcuni nuovi amici che hanno mostrato un palese interesse per la nostra squadra e, ovviamente, per la città che essa rappresenta. Hanno intenzione di fare le cose in grande, attraverso la realizzazione di una cittadella dello sport, seguendo la via maestra, senza forzature né storture. Lei ha speso anche il nome di Giampaolo Montali, un guru della pallavolo, imprestato al calcio. Il dottor Montali è diventato un nostro amico e proprio lui potrà essere la nostra carta vincente. Il suo Campobasso riparte da Tonino Minadeo: la mossa è populista o tecnica? Minadeo ha mostrato sempre amore per la maglia rossoblù; l’anno scorso è andato a Trivento, ma non ha mai lanciato anatemi contro la nostra squadra. Anzi, spesso, ho letto apprezzamenti sul nostro conto. Dopo aver lanciato Imbimbo oggi si affida per la direzione tecnica a Multineddu, un’altra scommessa. A parte il fatto che Multineddu si porta dietro un curriculum così, non si può prescindere ormai dai giovani. Per questo mi sono orientato su un signore che ha avuto sempre confidenza con i vivai. E che in pochi giorni ha costruito una squadra di baby. Questa è la nuova linea della società. Sono finiti i tempi degli stipendi galattici. Ormai si viaggia con i minimi federali, più vitto e alloggio. Che ci vorrebbe per puntare alla C unica? Innanzitutto non retrocedere. Una volta mantenuta la categoria e con i conti a posto, grazie alla riforma dei campionati, si potrebbe accedere nella categoria unica della Lega Pro. Ma i costi iniziali sarebbero il doppio di quelli attuali. Ecco perché, strada facendo, dovremo organizzarci, in modo da dare una svolta al nostro club e metterlo in condizione di fare la sua parte in una categoria prestigiosa.

Ferruccio Capone

In estate lei ha avuto sempre atteggiamenti distensivi, ma già in autunno il suo umore è cambiato. Dovremo aspettarci un Ferruccio pronto a sfasciare quello che ha costruito con il solleone? Negli anni scorsi sono accaduti fatti che mi hanno obbligato a correggere la traiettoria in corso. Ma lei a momenti batte Zamparini: si è divorato allenatori su allenatori. A volte mi sono lasciato trasportare dagli eventi. Con Imbimbo c’è un bel rapporto. E’ vero che crede di capire di tattica più di Mourinho? Ma non scherziamo. Tuttavia la mia sfrenata passione mi ha aiutato a capire di calcio, compreso la parte tattica. Che vuole dire ai tifosi Di seguire la squadra del loro cuore, come una volta. Stare alla finestra a criticare a prescindere non fa bene né a loro né al Campobasso. E’ disposto a fare un passo indietro? Già l’ho fatto. Inizia una nuova stagione e si riparte con nuove idee e con la voglia di non deludere. (ge.ve.)


di Arnaldo Brunale

Campuascianeria

A

Chi la vò cotta e chi la vò crūra

proposito di “campuāscianarie” mi viene da fare alcune considerazioni sulla “moda”, piuttosto recente, di chiamare i luoghi più cari a noi campobassani “doc” con una nuova nomenclatura, cancellando dalla toponomastica cittadina, con un solo colpo, i vecchi toponimi con cui sono stati conosciuti da sempre. Quello che più mi stupisce della nuova tendenza, invalsa già da alcuni decenni, è l’indifferenza, per non parlare di indolenza, delle Autorità cittadine, che si sono succedute al governo della nostra bistrattata città negli ultimi decenni, che nulla hanno fatto per riportare la verità al posto che merita. E, così, adesso le nuove generazioni parlano di “Foce” e non di “Fóta”, indicando la zona boschiva posta a Sud-Ovest della città, nei pressi delle Coste di Oratino, presupponendo sul posto lo sbocco di un corso di un ruscello, di un fiume, ecc. Per la verità, alcuni studiosi locali hanno provato a dare un senso al termine “foce”, facendo derivare l’etimo del toponimo di questo sito incantevole dall’ablativo Lat. “fo(n)te”, da “fons-tis”, con contrazione del morfema “n”, per la presenza in questo luogo di una sorgiva (fonte?) da cui veniva captata l’acqua con cui si riempivano le vasche che alimentavano i mulini presenti nella zona per la molitura del grano. L’origine del nome, invece, potrebbe essere molto più semplice, ed è quella che si annette alle fonti orali di alcuni vecchi campobassani che la accostano all’aggettivo dialettale fute, folto, proprio perché il posto, anticamente, si caratterizzava per una vegetazione molto rigogliosa che contribuiva a renderlo ombroso ed impenetrabile ai raggi del sole. Un altro “refuso storico”, se così vogliamo chiamarlo, è quello legato al toponimo, alquanto “vaporoso”, con cui viene chiamato, di volta in

volta, il colle alla cui sommità vi sono posizionati il castello Monforte ed il santuario della Madonna dell’Assunta. Alcuni lo chiamano impropriamente “Colle S. Antonio”, riportando l’origine del nome a fantasiose genesi feudali, pur non esistendo fonti scritte che avvalorano questa tesi. Altre accostano l’origine dell’etimo alla sottostante via S. Antonio Abate, che lambisce le sue pendici. Altre, ancora, riconoscono questo piccolo rilievo con il vezzoso “collinetta Monforte”. Ma è evidente che in tutti questi casi ci si trova di fronte a coniazioni arbitrarie che hanno molto dell’immaginazione e poco del riferimento storico. Le fonti orali dei vecchi campobassani, invece, sopravanzano tutte queste teorie “fantasiose” quando chiamano la collina più semplicemente “le Munte”, confermando, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, l’inesattezza della coniazione di toponomi privi di qualsiasi fondatezza avvalorata da fonti scritte. Sentendo parlare del pittoresco ispanismo “Santa Maria de Foras”, la piccola chiesa romanica del XII sec. posta fuori dal centro abitato, nei pressi della Fóta e del Munachiélle, mi verrebbe da accostare l’origine del suo toponimo alla dominazione dei Gonzaga a Campobasso, quando nel 1530, Isabella De Capoa sposò Ferrante da Gonzaga. Anche in questo caso ho difficoltà nell’accettare questa tesi per carenza di fonti scritte che la avvalorano. Allora, mi è più semplice affidarmi, come sempre, alle fonti orali dei vecchi campobassani che parlano di Santa Maria ‘é Fóre, proprio perché questa bellissima chiesetta si trova fuori “fóre” dalla nostra città. Molto più vicino all’esattezza è il

nome con cui sono conosciute via Ferrari e via Orefici, anche se esse andrebbero chiamate più correttamente via dei Ferrari e via degli Orefici. Il loro toponimo esatto risale al 1530 circa, quando Campobasso era sotto la signoria di Ferrante da Gonzaga, che favorì il sorgere ed il raggruppamento di botteghe artigianali in determinati punti strategici della città. Anticamente via dei Ferrari si caratterizzava per la presenza lungo il suo asse di numerose botteghe di fabbri che vi lavoravano il ferro, mentre via degli Orefici proliferava di piccoli esercizi artigianali in cui si modellava l’oro. Un’ultima precisazione, sotto forma di domanda, la faccio a me stesso quando, sentendo parlare dei colori della squadra di calcio che rappresenta la nostra città, si fa riferimento al “rosso-blu”. Mi chiedo, ma perché “rosso-blu”, quando i colori del gonfalone cittadino sono amaranto, tendente al bordeaux, ed azzurro? Qualcuno potrà obiettare che il “rosso-blu” si riferisce ai colori sociali della squadra di calcio e non a quelli del nostro bellissimo vessillo cittadino. Allora, per non scontentare tutta la città sportiva, chiedo venia e dico “Nulla questio”. A Campobasso, con una battuta molto colorita, si direbbe Attacca u ciucce addó rice u padrone! Alla luce di queste precisazioni che, sicuramente, provocheranno discussioni e critiche da parte di chi avrà altre certezze, mi auguro supportate da fonti scritte, vorrei sperare che, in mancanza di sicuri riferimenti storici, non ci sia l’ultimo arrivato che, a supporto delle proprie convinzioni e di tesi diverse, non abbia a rifugiarsi nella classica affermazione locale: Chi la vó cotta e chi la vó crūra.

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Percopo e Iorio ottimisti dopo la ristrutturazione del settore

Sanità, si punta al pareggio di bilancio già quest’anno Ospedali pubblici, si salvano Campobasso, Isernia e Termoli. Diversificazione per Larino e Venafro

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a Sanità molisana ha affrontato un percorso duro per il personale e per l’azienda, un percorso obbligato dal piano di rientro che sta funzionando. Entro la fine del 2012, infatti, si conta di arrivare al pareggio di bilancio. Ad affermarlo il Direttore Generale dell’Asrem Angelo Percopo, che insieme al Governatore Iorio ha incontrato i sindaci del basso molise per fare il punto della situazione. Sul territorio, sono stati attuati tagli alle indennità dei medici (30% in meno in due anni) , mentre a livello ospedaliero il ridimensionamento ha riguardato tutti i nosocomi, con riorganizzazione dei presidi minori. La ristrutturazione prevede che tra gli ospedali pubblici continueranno a pieno regime Cardarelli, Veneziale e San Timoteo, pur con le limitazioni già attuate (si pensi alla cosidetta rottamazione dei primari”, sostituiti da direttori di reparto e alla riduzione dei posti letto). Il presidente Iorio ha impostato il suo intervento sulle difficoltà del periodo che impongono sacrifici e decisioni condivise con grande senso di responsabilità. Angelo Percopo S.B.

Micaela Fanelli, neo mamma di due gemelli, a ruota libera su Facebook

Vorrei essere la prima donna Presidente del Molise “Meglio Vitagliano di Iorio; Frattura e Romano facciano pace

i gode i suoi gemelli, Elisa e Vincenzo, il sindaco di Riccia Micaela Fanelli, che tra una poppata e un cambio di pannolini trova il tempo (grazie all’aiuto Micaela Fanelli di mammà) di chattare su face book. Schietta e spiritosa, la Fanelli non le manda a dire. Tra Vitagliano e Iorio preferisce l’assessore, non sopporta Rosario De Matteis e Di Pietro, auspica un riavvicinamento tra Frattura e Romano. Il suo sogno politico? Essere la prima donna Presidente del Molise. Chissà se davvero tifa per la pace tra Massimo e Paoletto. S.B.

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Piazza Dante - La piazza che non c’è

Tanto non guido a gli occhi chiari come il suo nome, la ragazza che passa eterea sulla piazza più evanescente della città. Ha mal di stomaco, colpa della solita serata tra amici trascorsa a divertirsi e a buttar giù cocktails. Ci ride sopra, orgogliosa di aver trovato la strada per entrare finalmente nel mondo dei grandi. Non si scompone neanche di fronte alla domanda sulla quantità di cocktails bevuti. “Tre o quattro. Vabbè, probabilmente qualcuno in più, chi li ha contati! Che male c’è? Tanto io non guido!” Siamo al punto, all’equivoco che

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tende inesorabilmente a diffondersi tra le giovani generazioni. Non importa quanto alcol s’ingurgita, l’importante è non guidare dopo lo sballo, trovando uno nel gruppo che si sacrifica per gli altri, restando sobrio. L’importante è stare in regola se per caso ti fermano gli sbirri, questo è ciò che conta davvero, più della propria salute. La ciucca passerà in fretta, anche papà e mamma hanno fatto quest’esperienza, inutile negarlo ergendosi a moralisti. Il moralismo in realtà non c’entra

nulla. Un conto è la sbornia sporadica destinata proprio per questo a restare memorabile e a non ripetersi, un conto è l’abuso reiterato e trasformato in routine. (An.Ca.)


Lettera a me stesso

di

Gennaro Ventresca

Le sagre, tradizione da non disperdere cia arrosto e, pensa un po’ a Frosolone, in località Colle dell’Orso, quindi in montagna, c’è stato anche una serata a tema marinaro. Con Bobo che ha stupito con le sue pietanze, servite a migliaia di persone. Facci caso: in agosto Campobasso è praticamente cloroformizzata. Anche quest’anno gli appuntamenti serotini sono minimi, per colpa della congiuntura e anche della scarsa lungimiranza. La gente se ne va al mare e quella che resta ne approfitta per fare una puntata in provincia, dove appunto si tengono le sagre e, spesso c’è il cantante d’antan che, con il capello dipinto e cotonato, ci ripropone le canzoni degli Anni Sessanta, alcuni cantanti di quel tempo sono andati avanti puntando su un solo successo che gli è bastato per costruirsi un vitalizio. Malgrado ciò migliaia di cittadini si radunano sotto il palco, certificando che la gente, in estate, cerca l’evasione. Ha bisogno di un richiamo, le basta poco per mettersi in macchina e raggiungere il ritrovo. Si accontenta della baldoria, del fumo di arrosto che si spande nell’aria, di un bicchiere di birra e di guardare la belloccia di turno, con l’ombelico da fuori. Ritengo che bisognerebbe essere un po’ più indulgenti nei confronti delle sagre e delle feste

paesane. La gente le ama. Ti farei vedere quanta eccitazione queste feste producono nei giovani che le aspettano con fervore. Perché la folla mette allegria e, come succede nel commercio, raduna altra gente. Dovendo scegliere se passare l’estate nel capoluogo o in un paesino molisano non esiterei a propendere per il secondo, magari a Montagano, dove da bambino ho trascorso dai nonni estati indimenticabili, in strada sino allo sfinimento, senza il controllo serrato di mia madre. La gente nei paesi è ancora aperta, gentile, ti tratta come uno di famiglia. E se t’invita a cena lo fa col cuore. Tiene piacere di averti al suo desco, per mangiare, bere, discorrere, ripercorrere il passato, “sforbiciare”. I nostri paesi sono ancora “puri”. Sino a poco tempo fa i suoi abitanti tenevano ancora la chiave nella toppa di casa per tutto il giorno, l’ultimo “nascondeva” la chiave nella buca ritorta che serviva per il passaggio del gatto. Ora che i tempi sono diventati difficili anche nelle piccole borgate ci si è un po’ abbottonati, ma la gente resta sana e vive con semplicità, come in grosso villaggio. Volentieri si ritrova durante le feste paesane che rappresentano la parte più genuina delle nostre tradizioni.

AT T U A L I T A’

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arissimo, la domanda è naturalmente estiva e, quindi banale: cosa ne pensi delle sagre molisane? La prima cosa che verrebbe da rispondere è: chi se ne frega. Visto che quegli appuntamenti neppure ci sfiorano. Tuttavia una piccola riflessione a riguardo la farei. Le sagre sono un po’ il sale e il peperoncino dell’estate che già intravede lo striscione dell’ultimo chilometro. In punta di verità non si fa altro che sparlare delle sagre, ritenendole perlomeno superate, se non addirittura superflue. Eppure in esse c’è del buono, non inteso solo sul piano puramente gastronomico. Penso al messaggio sociale che esse racchiudono, al senso di aggregazione, al vogliamoci tanto bene. Lo so che è indifendibile “la sagra del baccalà”, anche se sotto sotto piacerebbe anche ai più scettici afferrare una di quelle ciotoline di plastica nelle quali si servono gli alimenti cotti e mettersi a sedere ai tavoli stesi per centinaia di metri nella piazza di un paese, in una contrada o in un’area rurale. Perché -diciamoci la verità- certi profumi sollecitano facilmente il gusto. I comitati festa non difettano di fantasia: così s’inventano appuntamenti originali. Come la sagra dello spezzatino con patate, della trippa, del torcinello, della salsic-

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Il

Mix di D’Artagnan Una strada per Carile vrebbe 80 anni il professor Leandro Carile, morto in settembre di 21 anni fa, nel pieno della sua feconda attività di medico specialista di malattie interne e cardiopatiche. Il tempo ne ha cancellato la memoria che potrebbe essere lucidata se, come si spera, la commissione toponomastica del comune di Campobasso, porterà all'esame la proposta che giunge dall'Ordine dei Medici di dedicargli una strada importante o una piazza. E' inutile stare qui a ricordare i riconosciuti meriti del professor Carile, senza tacere di quelli umani. La procedura vorrebbe che l'iniziativa

A

Prof. Leandro Carile ph: Walter Mussini

fosse partita dai familiari del compianto medico, ma la sorella Dora, il marito Mario Serafino e il figlio Luigi non se la sentono di essere loro i promotori. Per questo a spingere la pratica, oltre all'Ordine dei Medici, si sta attivando un riconosciuto estimatore del professionista, Umberto Vallillo, un ex ferroviere, maestro del lavoro, il quale ancor oggi non ha potuto dimenticare le qualità professionali di Carile. Spetta ora alla commisione toponomastica e subito al consiglio comunale accelerare la pratica, in modo che una delle figure più illustri della città venga in qualche modo gratificata.

Block notes LO ZAMPILLO Il caldo, l’afa, la mancanza di una pozza d’acqua. Così questo cane ha cercato di arrampicarsi oltre le sue possibilità per bere. A fatica ce l’ha fatta, accontentandosi degli schizzi, prima che qualcuno si decidesse a prendere una bacinella per riempirla di acqua, per dissetarlo.

FINCHÈ LA BARCA VA Una piccola barca, per una pancia troppo grande. L’estate si può viverla anche così, con scarsi mezzi, una ‘mbustarella, e un guscio di plastica che funge da barca.

FESTA DEL GRANO Nonostante le ristrettezze economiche Jelsi non conosce crisi. Per Sant’Anna, la patrona del paese, la festa del grano è stata più bella che mai. Va ricordato che nel piccolo comune c’è una vera scuola di artigiani che si diletta a preparare i carri, trasformando i covoni in autentiche opere dorate, ammirate da migliaia di visitatori. La fortuna di Jelsi è che con laboriosità si mettono al lavoro per mesi anche ragazzi e ragazze. In questo modo la tradizione continua, a dispetto della tecnologia.

PER STOP IL PALO Quando si dice che la burocrazia è cieca. Come hanno fatto gli addetti alla segnaletica a non accorgersi del palo, dove hanno posto il segnale stop? Mistero. Tanto la brutta figura la fa il comune.


di Domenico Fratianni

L’arte figurativa tra Oriente ed Occidente civiltà si fossero costruite in maniera autonoma e, solo dopo, abbiano intrapreso quel grande processo di intersecazioni che porta ad una lingua sempre più ricca e “incrociata”. Sembra, infatti, che la mutazione antropologica che definiamo “globalizzazione” porti con se un preoccupante obliterazione del senso della storia; insomma una sorta di colpa dell’informatica, della scuola o di qualche altro meccanismo psicologico - culturale ancor più profondo. E, ancora, che l’uomo desideri, in fondo, conoscere i cromosomi della propria cultura e del proprio essere, tanto più quanto più capisce che essi sono destinati a fondersi con quelli di altre civiltà. E, ancora di più, che la conoscenza delle più alte realizzazioni del pensiero, costituisca, certamente, il terreno più fertile e favorevole per la reciproca comprensione e per il reciproco arricchimento fra le diverse

culture. Se così non fosse, si potrebbe pensare ad ogni possibilità di dialogo con la perdita di quelle stesse radici. Per evitare che questo accada, Caroli traccia una mappa che, partendo dall’impero romano d’Occidente e d’Oriente, incontra l’Islam, la cultura ebraica, il buddhismo delle origini e la sua diffusione in India, Cina e Giappone; soffermandosi sul Settecento che con le mode orientaliste in Occidente e l’arrivo di Giuseppe Castiglione in Cina, vede il primo vero scambio culturale fra i due mondi, e studiando l’Ottocento; con la diffusione delle immagini giapponesi in Occidente e la contemporanea apertura dell’Oriente verso Ovest, dove gli incontri danno vita ad un tessuto che si infittisce sempre più soprattutto dopo la straripante presenza di Van Gogh, fino ai nostri giorni e alle infinite occasioni di scambio planetario.

Vincent Van Gogh Père Tanguy, 1887 Collezione privata

ARTE & CULTURA

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l desiderio di Flavio Caroli, ordinario di Storia dell’Arte Moderna presso il Politecnico di Milano e autore di numerosi studi sul Cinquecento lombardo, su Leonardo, Caravaggio, Lorenzo Lotto, Tiziano, Sofonisba Anguissola, oltre a studi sulla pittura contemporanea dal Romanticismo alla Pop Art (ma l’elenco sarebbe molto lungo), è quello di risalire alle origini del dialogo tra Oriente ed Occidente, il tutto sollecitato dal mondo globalizzato. Insomma è un volume sulla storia dell’arte di gran parte del mondo con espressioni artistiche appartenenti a culture, civiltà e lingue molto complesse e lontane tre loro nel tempo e nello spazio. Non solo le arti dell’Occidente, ma anche le espressioni artistiche dell’Oriente sono state approfondite e indagate come mai prima d’ora. Il volume edito da Electa risulta essere di grande bellezza proprio per quelle ricerche di interrelazioni tra fenomeni artistici solo apparentemente estranei tra loro, tanto da far dire al Caroli che: “Proprio mentre Masaccio (1420) dipinge i suoi capolavori, formando con essi l’arte moderna occidentale, nasce in Cina (soprattutto dopo il trasferimento della capitale a Pechino) la storia dell’arte cinese”. Insomma, oggi, i destini delle civiltà, con le loro velocità e le loro progressioni vertiginose, si stanno incrociando, intersecando, definendo quel nodo di eventi antropologici che definiamo con il termine “globalizzazione”. Un dialogo, osserva Caroli, che dura da secoli, da millenni, da quando le letture delle pagine del Milione di Marco Polo verso la fine del Duecento, descrissero la convivenza, la differenza di abitudini alla corte del “Gran Cano”, di Buddhisti cinesi, di Islamici e di Cristiani che tanto assomigliano alla cronaca di un quotidiano dei nostri giorni. Un dialogo, con scontri di civiltà, che ha radici antichissime; è come se venissimo stimolati a comprendere il “pensiero in figura” delle più grandi e gloriose civiltà del pianeta per comprendere come queste stesse

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L’attore venafrano pur avendo raggiunto una discreta popolarità non è stato ripagato adeguatamente

Il talento di Maurizio Santilli N

on ricordo bene l’anno, ma credo fosse il 1984. Maurizio Santilli era poco più di un ragazzo. Aveva appena compiuto 20 anni. Me lo segnalò Antonio Campa che l’aveva visto lavorare non so dove. Mi disse che avrebbe fatto la sua degna figura sul palco del Savoia, come attrazione allegra allo Sportivo dell’anno, la fantastica premiazione che organizzai prima a Radio Luna e poi portai in televisione, prima a Telemolise e quindi a TRC, diventata in corsa Tele Regione. Questo lo ricorso bene: la scena la preparò Mario Campa, indimenticabile padre di Antonio Campa, dirigente di cancelleria a Volturara. Maurizio arrivò da Venafro, a costo zero. Non gli assicurammo neppure il modesto rimborso spese. Né fummo attenti neppure ad offrirgli una cena. Se ci ripenso me ne vergogno ancora. In compenso, dopo la sua esilarante esibizione, un cabaret scanzonato che strappava sorrisi e applausi senza mai ricorrere al cattivo gusto delle espressioni forti, lo premiammo sul palco, col pubblico che approvò quel meritato gesto. Quando io e Antonio gli chiedemmo, sulle tavole del Savoia, cosa avrebbe voluto fare da grande, Maurizio Santilli, dimenticando di essere molisano di frontiera, rispose con spontaneità: “L’attore, naturalmente”. Poi, ci siamo persi di vista. Solo di striscio ho avuto modo di apprendere i suoi passaggi televisivi, le particine in

Maurizio Santilli

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qualche film commerciale, qualche serata vissuta qua e là. Il ragazzo era bravo già a 20 anni, ma con il peso della molisanità sulle spalle non ha avuto la fortuna che avrebbe meritato. Gli è mancato sempre uno sponsor di peso. Avesse avuto una sedia sul palco del Parioli, da Maurizio Costanzo, avrebbe potuto staccare un biglietto di prima classe verso il successo pieno. Va spiegato che Maurizio ha amato sempre l’arte, senza dimenticare di piegarsi sui libri: a 24 anni si è laureato, in corso, a Scienze Politiche a Napoli. Con quel titolo, nei favolosi anni Ottanta avrebbe potuto cercare con maggiore convinzione fortuna nel campo della professione che lo aveva addottorato. Invece fu rapito dal fascino della televisione, dall’applauso del pubblico in teatro, dal contatto diretto con la gente, durante le sue spassose esibizioni, quasi tutti monologhi, in piazza o al chiuso. Mentre tutti ce lo aspettavamo professore ce lo siamo ritrovati “bidello”. Infatti Maurizio Santilli ha interpretato con felice naturalezza la parte di un eclettico bidello per l’intero ciclo di Canale 5 “Sei forte maestro”, con Solfrizzi. A quel punto sembrava essersi aperta la porta del successo, che invece ha nuovamente stentato a cingergli la fronte, testimoniandogli solo spiccioli di notorietà e compensi non sempre all’altezza della sua bravura. A piazzetta Palombo, nel segno della molisanità, Maurizio si è recentemente esibito in una riuscita performance “Sarò bre…”. Le nostre istituzioni, a dirla franca, con lui e con tanti altri personaggi dello spettacolo di valore non si sono mai spinte oltre uno stentato aiutino. Insomma non gli hanno mai preparato un cartellone, attraverso un circuito con radici molisane. Facendo disperdere il talento di autentiche promesse che non sempre sono riuscite a esprimersi al meglio, per carenza di sostegno. (ge.ve.)

L’artista si fece conoscere al grosso pubblico molisano nel 1984 nel corso dello Sportivo dell’anno I suoi picchi artistici a Canale 5, con Solfrizzi, nei panni di Tito il bidello in “Sei forte maestro”


Zibaldone

di Eugenio Percossi

Fenomenologia del bello

I

n molti avete preso un abbaglio grande così. Perché avete guardato questa foto e vi siete fatti l’idea che si trattasse di un angolo del nostro Molise. Un angolo di quelli che ingentiliscono un luogo e lo rendono dolce e

sublime. Un angolo che ti riconcilia con il mondo e che fa apparire potabile anche un modesto centro storico dove né proprietari né istituzioni si sono prodigati per il suo recupero. E’ invece una scena che viene da lontano, dove alcuni privati hanno fatto a gara a superarsi, passando dal vivaio, per acquistare fiori e piante, per ingentilire l’uscio e le pareti delle loro case scortecciate, perché datate. Mutato quel non tanto che c’è da mutare, varietà più varietà meno, vaso fiorito in più o in meno, poteva essere una scena di casa nostra. Invece noi non c’entriamo un bel nulla. Neppure ce li sogniamo certe sciccherie. Questione di gusto e sensibilità che, evidentemente, non abbiamo. Ed è un peccato doverlo ammettere. Basterebbe, a volte, solo copiare. E mettere in bilancio una cifra risibile. A riprova della nostra indiffe-

renza verso il bello ci sono balconi senza fiori, vasi con piante rachitiche che non trovano neppure il ristoro di un’adacquata. Così accade di dover convivere con ciò che c’è in giro, senza un piccolo tocco di eleganza. Avendo solo da recriminare per quanto poteva essere e non è stato.

Quanti bei ricordi Quanti di voi ricordano le 500 mila lire? Noi le avevamo dimenticate. E un po’ alla volta ci erano passate dalla mente anche le altre banconote. Che incominciavano dalle 500 lire, poi sostituite dalla moneta argentea, attraverso le varie pezzature, mille, duemila, cinquemila, diecimila, ventimila, cinquantamila, centomila e, come si ricordava, cinquecentomila. Chi aveva in tasca una bella centomila lire si sentiva “forte”. Ne aveva di cose da poter comprare. Ora, con la somma equipollente in euro, vale a dire cinquanta euro, si riporta a casa ben poco. Da qui la crisi degli ita-

liani che si erano abituati a vivere alla grande e che un po’ alla volta si vedono costretti a rinunciare a qualcosa. Questa foto che riassume le principali banconote di un passato che è lontano appena dieci anni, rappresenta per tutti un massaggio cardiaco. Va ricordato che in giro, nascosti un po’ qua e un po’ là ci sono in lire, qualcosa come l’equivalente di un miliardo e trecento milioni di euro. Sino a qualche mese fa è stato possibile ancora convertire la lira in euro. Chi non l’ha fatto non potrà più farlo. Accontentandosi di dare alle belle lirette solo un simbolico valore affettivo.

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