Fresche o essiccate, in crema o in gelatina, bollite o caldarroste, sono le nostre castagne il primo simbolo del nuovo stile brassicolo italiano
Chiusa in un riccio non per capriccio...
FOTO DI SILVANA COMUGNERO
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SGIUSTIPHOTO - FOTOLIA.COM
...è la regina del boccale italiano
uovi orizzonti del gusto si schiudono per la piccola, dolce e nutriente castagna. Provvidenzialmente protetta dal suo impenetrabile riccio, è accanto all’uomo da migliaia di anni; paziente, eclettica e generosa, popolare e raffinata insieme, ha conquistato tutti con un’infinità di interpretazioni gastronomiche, dall’antipasto al dolce, dalle più semplici alle più elaborate. Grazie alla resistenza e alla serbevole fragranza ha dispensato gusto e conforto alle solitarie località montane, sottoposte al rigore degli inverni, mentre si è trasformata in amabili prelibatezze sulle tavole e nelle cucine più esclusive. E ora, dopo aver caratterizzato ed esaltato focacce e polente, zuppe e pasticci, risotti e frittelle, arrosti, timballi, torte, gelati e soufflé… il cosiddetto “pane d’albero” partecipa alla creazione di un nuovo spumeggiante piacere, una gustosa svolta culturale: la birra alle castagne, che rappre-
senta il primo e unico stile birrario prettamente italiano, a detta dei più grandi esperti e intenditori nazionali e internazionali. A febbraio 2010, infatti, tra le categorie in gara per la consueta premiazione di Birra dell’anno, indetta dall’associazione culturale Unionbirrai, durante la fiera riminese, Pianeta Birra, figurava anche la birra alle castagne, le cui etichette vincitrici sono state: prima classificata “Castegna” del birrificio Valscura, seconda “Falt-Runa” di Conte di Campiglia, terza “Beltaine alle Castagne” di Beltaine, quarta “Caravina” di Lariano e quinta “Palanfrina” di Troll, tutte diverse e inconfondibili nei profumi, negli aromi e nel gusto. Il connubio birra-castagna si spiega facilmente ed è molto interessante da tanti punti di vista. In Italia la tradizione birraria storicamente non esiste, e se da una parte questo è un limite dall’altra dà modo ai nostri maestri del luppolo di esprimersi libera-
BERE BIRRA DI HENRY ROSS
Cascate di acqua purissima, la stessa utilizzata per la realizzazione delle birre, animano i boschi di Castagno d’Andrea, a San Godenzo (Fi), dove si trova la marroneta dell’azienda Conte di Campiglia
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DEGUSTARE DI FRANCESCO D’AGOSTINO
Gavi dei Gavi La Scolca Straordinaria verticale di ventitre annate del vino simbolo della denominazione, icona di eccellenza e coerenza, bianco insensibile alle mode
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e colline di Rovereto, l’enclave più vocata della Denominazione di origine controllata e garantita Gavi, sono abbastanza strette, quel tanto da consentire di godere delle suggestioni di questo paesaggio collinare a poco a poco. È un bel mattino d’inizio settembre quando ci stiamo dirigendo a Villa Scolca. Il leggero anticipo ci consente di curiosare tra i filari attigui alla strada. Lo spettacolo è molto bello, grappoli decisamente dorati adornano le viti, alcuni hanno riflessi bronzo. Sembra proprio l’ora di vendemmiare. Ancora qualche chilometro e arriviamo a casa Soldati, dove siamo accolti da Luisa, uno dei tre pilastri aziendali che conducono La Scolca; gli altri sono il marito Giorgio e la figlia Chiara. Le vigne intorno alla cantina sono molto belle, ma decisamente meno “dorate” di quelle incontrate in precedenza e ci viene voglia di capire, saltando tutti i classici preamboli di una visita: “la gestione del verde è molto importante nel cortese - ci spiega Luisa Soldati - basta l’esperienza di poche annate per accorgersi che i grappoli più esposti al sole fanno meno grado di quelli che si trovano nella parte
opposta del filare”. In sostanza, nonostante il colore ambrato, i grappoli non sono ancora pronti per la vendemmia, con l’inconveniente di aver lasciato in vigna una parte del bagaglio aromatico, bruciato dal sole. Siamo venuti qui per scoprire i segreti di un’etichetta straordinaria, bandiera aziendale, apprezzata in tutto il mondo e abbiamo già recuperato un indizio molto importante. I Soldati operano con questa realtà da
In apertura, la famiglia Soldati
La monumentale sede dell’azienda
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Veduta aerea dell’azienda
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DEGUSTARE novantuno anni, sempre in un’ottica di gestione familiare e oggi i tre rappresentanti affrontano la conduzione aziendale con quella stessa armonia che traspare quando si ha l’occasione di incontrarli. Giorgio si occupa di vigna e cantina, ma non da solo, con la figlia Chiara che da subito ha manifestato interesse per la parte tecnica; “Chiara ha immediatamente ripagato la fiducia che abbiamo riposto in lei, manifestando impegno e grande competenza - riprende Luisa -. Ovviamente ha anche potuto esercitare la sua creatività in dei nuovi prodotti come il Rosato”. Non solo, avendo un carattere molto solare, Chiara si occupa anche di marketing e gira veramente il mondo coadiuvando Luisa che si occupa anche di gestione. Ma al di là dei ruoli, i tre affrontano la conduzione aziendale con particolare coesione e sinergia, condividendo strategie e informazioni. Il Gavi dei Gavi esce per la prima volta nel 1968 e subito con questo nome. La filosofia che ne determinò la nascita è la stessa che oggi ne guida la produzione.
“Ci accorgemmo che non tutti i vigneti davano risultati uguali - spiega Luisa - e decidemmo di dare voce a quelle partite migliori. Erano la selezione qualitativa di tutte quelle che producevamo e da qui il nome Gavi dei Gavi, che registrammo subito. Poco tempo dopo implementammo un’ulteriore evoluzione; lasciavamo piccole quantità di vino in affinamento sui lieviti per poter rasare dopo la sboccatura le bottiglie di spumante con vino coevo e notammo che in particolari annate questo vino era veramente straordinario; nacque così il Gavi dei Gavi D’Antan, un prodotto frutto di un lunghissimo affinamento in acciaio sui lieviti”. Tanto per fugare i dubbi al consumo, il Gavi di Gavi (oggi la menzione corretta è Gavi del comune di Gavi) che si ritrovava su tante etichette della Docg è un concetto geografico che è nato dopo nel territorio: “si sentiva l’esigenza di poter identificare in modo chiaro il vino che proveniva dalla zona centrale della denominazione, ovvero il comune di Gavi e tutti cominciammo a utilizzarlo”.
Tornando al Gavi dei Gavi, il progetto iniziale non è mai stato tradito, sono solo stati utilizzati metodi sempre più moderni al fine di portare in cantina uve perfette. “Un passaggio significativo è stato l’avvicinamento di Giorgio all’Università di Bordeaux dove ha seguito l’attività di ricerca relativa alla conduzione della vigna, con metodi meticolosi, anzi direi esasperati. Quest’anno per esempio ha lavorato sulla decisione micrometrica del momento del taglio dei grappoli perché le caratteristiche cambiano nell’arco di uno-due giorni”. Grande ricerca agronomica quindi per avere il massimo dal frutto poi però c’è la vinificazione che non può non aver avuto evoluzioni. “La vinificazione in senso stretto non è cambiata, è sempre stata in bianco con il controllo della temperatura, sin dagli anni Settanta - spiega Giorgio Soldati -. La gestione delle temperature prima della vinificazione è stata invece un passaggio importante. Al fine di portare in pressa grappoli a temperature sotto i venti gradi si vendemmiava fino a ora di pranzo e poi si abbassava la temperatura di tutta l’uva raffreddando gli ambienti di cantina, dove si girava in giacca a vento! Quando il disciplinare ha consentito di avvalersi di nuove tecnologie abbiamo fatto ricorso alla CO2, ovvero della neve carbonica. Il suo utilizzo sulle uve intere appena vendemmiate ci permette di portare la temperatura dei grappoli a 14-15 °C in qualche minuto e di lavorare così in iperprotezione dall’ossigeno poiché l’anidride carbonica crea come un cuscino sulle uve e le separa dall’aria. Non solo, ha un effetto sanificante perché uccide tutto ciò che respira, il resto lo si elimina con piccolissime quantità di bisolfito. Eliminare questo agente, a mio avviso, è un puro esercizio accademico se si vuole fare arrivare vino corretto ai consumatori del mondo, non dimentichiamo infatti che è presente ovunque, dal succo d’arancia alla birra”. Da una parte il freddo e l’assenza di ossigeno conservano al
meglio i grappoli ed evitano cessioni dai raspi al mosto, ma gli effetti sono molteplici. “Il cortese ha una buona componente aromatica - riprende -, simile al moscato, ma in dose inferiore, e si può considerare una varietà semiaromatica, senza dubbio più intensa di uno chardonnay. Grazie alla neve carbonica portiamo in fermentazione il 99% dei precursori aromatici, sempre che non si facciano errori aberranti in vigna come vendemmiare uve di color bronzo”. Continuiamo il nostro interrogatorio a Giorgio Soldati per tentare di scoprire i segreti dell’etichetta nera, nome con cui nel mondo si identifica il Gavi dei Gavi. Apprendiamo che non si fa uso di lieviti selezionati, come nella stragrande maggioranza delle cantine del mondo. “I lieviti naturalmente presenti sulle uve sono un patrimonio del nostro territorio. Sono dei vegetali che evidentemente passano indenni il trattamento con la neve carbonica. La loro importanza è strategica anche a fine fermentazione visto che il nostro protocollo prevede l’affinamento sur lie. Infatti, nei primi due mesi di vita del vino, in ogni serbatoio viene rimessa in sospensione la feccia fine per due-tre volte ogni settimana. Questo dà un imprinting di assoluta iperprotezione perché ha un effetto antiossidante”. Un altro tassello della straordinaria longevità di questa etichetta, il cui segreto principale risiede però nelle uve e nella qualità delle vigne. “Gli aggiornamenti più significativi in vigna arrivarono in massima parte dalla mia frequentazione dell’Università di Bordeaux: lavorazioni a verde della vigna, come la cimatura, o quelle del terreno come si ottiene con il dissodatore che opera a cinquanta centimetri di profondità, lasciando integra la superficie; sembra poca cosa ma è invece di importanza estrema perché in zone come la nostra dove la neve resta fino a marzo in vigna, consente di evitare la formazione del fango e quindi di entrare tra i filari al momento della ripartenza dell’attività
In vigna durante la vendemmia
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Tra i filari
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vegetativa e di fare il primo trattamento molto più presto. A livello teorico questo potrebbe consentire di debellare tutti gli agenti patogeni e di avere uno sviluppo più sano della vite”. La meticolosità e l’attenzione ai particolari sono alla base della qualità di questo vino e di tutta la produzione aziendale, che si avvale degli stessi protocolli, la differenza la fanno delle viti vecchie di cortese che aiutate correttamente producono pochissimi straordinari grappoli e danno vita a vini quasi immortali. Come dicevamo, la vinificazione del Gavi dei Gavi è sempre stata in acciaio con controllo della temperatura, ma come molti appassionati sanno, negli anni Novanta la barrique da strumento di vinificazione si era trasformata in moda di consumo e tanti vini bianchi riportavano sulla bottiglia termini come “barricato”; è stato un fenomeno curioso che ha spinto tantissimi produttori a cimentarsi nell’uso del carato di rovere. “Sì, ricordo bene l’atmosfera di quegli anni - risponde Luisa Soldati -; anche noi ci siamo trovati a riflettere sull’uso della botte in legno, ma mai in relazione al Gavi dei Gavi. Decidemmo di fare un’altra etichetta, ma l’esperienza, seppur di successo, durò pochi anni, a nostro avviso il legno sna-
tura le caratteristiche del cortese, ovvero la grande freschezza e mineralità. Quelle barrique sono poi state regalate a Baladin per fare delle ottime birre artigianali”. Insomma questa etichetta è riuscita a superare anche le mode del legno, a non tradire mai i criteri di progetto iniziali. “C’è da dire - riprende Luisa che gli anni Novanta hanno segnato un continuo aumento della produzione di questa etichetta, perché finalmente le vigne che avevamo pensato di destinare al Gavi dei Gavi negli anni Settanta, cominciavano a poter essere utilizzate”. È un vino con una grande peculiarità: è certamente la selezione aziendale, ma è anche il pilastro economico di La Scolca. “Produciamo almeno centocinquantamila bottiglie di Gavi dei Gavi, talvolta arriviamo a duecentomila e rappresenta un terzo di tutta la produzione e più della metà da un punto di vista economico. Non possiamo nascondere, infatti, che anche in periodi di crisi sia più facile vendere l’etichetta nera, un vino che ci viene richiesto dalle più belle tavole del mondo”. La strategia produttiva dei Soldati, infatti, si rifà al modello francese in cui il vino di punta è anche quello che produce il grosso del reddito aziendale. Una sfida per Chiara, Luisa e Giorgio Soldati che si ripete ogni anno, un confronto che suscita ogni anno grandi emozioni. “La vendemmia del Gavi dei Gavi è senza dubbio un evento - racconta Chiara -, ma il passaggio che più ci emoziona è quello dei primissimi assaggi del vino. C’è un’evoluzione nei nove mesi di affinamento in cantina e ritrovare ogni anno quel percorso negli aromi e nel gusto del vino ha certamente una fondamentale valenza tecnica, ma ci suscita ancora vera emozione”.
La degustazione A cura di Francesco D’Agostino, Fabio De Raffaele, Luciano Nebbia, Antonio Pellegrino, Enrico Pozza e Susanna Varano
La famiglia Soldati ci ha messo a disposizione campioni posti in un arco temporale di quasi quaranta anni! Evidentemente ciò ha suscitato in tutti noi una grande curiosità e la voglia di esserci trattandosi di un evento più unico che raro. Probabilmente le realtà che possono permettersi di proporre una verticale così profonda di un vino bianco, in Italia, non riempiono le dita di una mano. Emozione. Era lo stato d’animo che durante l’assaggio accomunava tutti noi, anche i più scettici. Degustare vini di oltre trent’anni trovandoli appassionanti, integri, straordinariamente bevibili e seducenti non può che suscitare emozione. Il Cortese di casa Soldati è un vino di una longevità strabiliante con una dote veramente particolare, sa ammaliare giovanissimo, è in grado di rapire dopo un lunghissimo affinamento che crea una terziarizzazione di grande complessità. Al di là dell’altissima qualità, non discutibile, delle uve, nel Dna del cortese c’è la capacità di vivere veramente a lungo una volta portato in bottiglia senza errori. Alcuni millesimi ci hanno letteralmente fatto venire i brividi e lo scoprirete leggendo le degustazioni, dove non abbiamo voluto mettere troppi commenti poiché l’eloquenza dei calici insieme all’informazione del millesimo crediamo siano più che sufficienti. Infatti, durante l’assaggio ci eravamo quasi abituati a ciò che invece è straordinario, come scoprire dei netti aromi floreali in un bianco di venticinque anni. Ultima notazione, nella sequenza dei vini c’era qualche Gavi dei Gavi D’Antan, lo stesso vino restato sui lieviti per circa dieci anni: due mondi diversi, ma con un trait d’union palese, un’uva pazzesca.
1974 11,5% vol Un naso che non dichiara 36 anni e seduce, una bocca altrettanto coinvolgente. Buonissimo! Dorato con sfumature ambra, è decisamente minerale di ardesia, idrocarburi e pietra focaia, fusi con miele e camomilla secca, ginepro, timo serpillo, salvia e macchia alpina, con sfumature di marmellata di limone che ingentiliscono, toni fumé, nocciole e mandorle, secche e tostate, toni di caffè in polvere. Grande la morbidezza ed eccellente la spalla acida, mentre la tessitura è meno incisiva anche se l’insieme è veramente molto invitante. Il retrolfatto non è certo delicato ed esprime con lunga persistenza mineralità, miele e grandi tonalità agrumate.
1979 11,5% vol Inaspettatamente integro e pieno, grande vino, una straordinaria emozione Giallo dorato carico e luminoso, al naso è nitido ed elegante di miele d’acacia e pietra focaia, con tratti di idrocarburi, note fumé, aromi di pane, sfumature di camomilla, mela e idromele, arancia matura, in gelatina e candita, toni di zenzero e pepe, nocciole e noci al miele, burro d’arachidi. La bocca è affascinante, morbida, avvolgente e ancora fresca, rotonda e grassa, di grande sapidità, stile, elegante, dotata di una loquacità retro nasale che esalta gli agrumi (arancia, mandarino, pompelmo freschi, maturi e in gelatina), accompagnati dalla decisa mineralità, dei balsamici sentori di macchia di grandissima e persistenza.
La mineralità in primo piano
1980 11,5% vol Trent’anni e una freschezza impressionante
Dorato pieno, al naso è molto minerale nei toni di iodio, grafite e ardesia, fusi con miele, chiodi di garofano, cardamomo, pepe bianco, ma è anche dolce di vaniglia, cotognata, con golose tostature di caffè, zenzero anche candito, mandorla e nocciola anche tostate, agrumi di bergamotto disidratato, cedro in gelatina, frutta gialla disidratata, caramella di limone, con un’alea fumé. La bocca è dotata di una certa nota alcolica, è abbastanza fresca, di grande tessitura sapida, non particolarmente rotondo e glicerico, in grado di proporre una mineralità articolata, con degli agrumi vivaci, che insieme vincono in persistenza su gli altri toni del naso.
Dorato, al naso è immediatamente dolce, percorso da una elegante vena minerale. Scopriamo pan di Spagna, zucchero filato, nocciola pralinata, torta di mele, miele, pane all’uva, pasta di mandorle, cioccolato, croccante, ardesia, grafite, argilla, accenni di idrocarburi, frutti maturi di mela, ananas, banana, arancia e cedro, con agrumi in nettare, zenzero, ginepro, cardamomo, pepe. La bocca è inaspettatamente fresca, di sapidità tattile, di appeal elegante e dinamico, di grande croccantezza, tale da sostenere in modo straordinario gli agrumi, fusi con le mineralità di grande persistenza.
1978 11% vol
1982 12% vol Un naso entusiasmante Dorato, si propone subito con toni fumé e minerali, di ardesia, pietra focaia, talco e idrocarburi, che si fondono con dolcezze di miele, torta di mele, zuppa inglese, pandolce all’uva e panforte, con scatola di sigari, ginepro, noce moscata, pepe e zenzero e il frutto di pera e pesca sciroppate, di cedro e bergamotto in marmellata e gelatina; è un insieme ampio e bilanciato, particolarmente invitante. La bocca ha una certa vena alcolica e un’ottima spalla acido-sapida, mentre la tessitura è un po’ leggera e il vino non ha molta grassezza. Sviluppa decise mineralità e toni agrumati avvolti da speziature, tabacco e macchia.
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1985 12% vol
1990 12% vol
Grande olfatto e vigore gustativo
Potenza e vera aristocrazia
1994 11% vol Un vino interesante al naso, che non trova in bocca la perfetta corrispondenza
Oro liquido, è dolce, minerale e fumé, nelle tostature di nocciola, mandorla e sesamo, fuse a sentori di brutti ma buoni, pasta di mandorle, pane all’uva, cotognata, con toni nitidi di selce e argilla, zenzero, ginepro, chiodi di garofano, freschezza di mapo maturo, pesca e pera sciroppate, distillato di pera, ananas, e ancora tabacco, timo, sambuco e macchia. La bocca ha gran sostegno acido, vena alcolica importante ma non coprente, bella morbidezza, taglio elegante e vibrante e salino che sostiene bene il frutto con gli agrumi in evidenza e la grande articolazione minerale, con le dolcezze assolutamente in secondo piano.
Dorato con sfumature ambra, al naso accoglie subito con toni gentili di sigaro cubano e ricordi di rum, con sentori di panettone, torta di mele, zuppa inglese, arancia candita, gelatina di limone, tè e carcadè, il frutto di arancia, fresca e candita, pesca anche sciroppata e susina, con mineralità di ardesia, selce e talco, sentori di anice, cardamomo, vaniglia, zenzero, anche candito, cannella, con nuance di noce moscata e chiodi di garofano, frutta secca e caffè. La bocca è energica e raffinata, superba, di grande progressione gustativa, larga e dinamica che sviluppa con grande persistenza tutti i toni del naso. Veramente invitante.
Dorato carico, è intenso e dolce di toni agrumati, miele, ginestra e mimosa, con mineralità marcate di pietra focaia, tutti supportati dalla vena alcolica, con nocciola e mandorla gentilmente tostate. Scopriamo albicocca secca sotto spirito, con nuance di marasca e melagrana, e ancora cioccolato al latte e bianco, tabacco, anice e menta, che insieme descrivono un naso complesso ma di leggibilità non immediata. La bocca è calda, di discreta acidità e buona vena salina, di tessitura media, dotata di un retrolfatto minerale, di pasticceria con bagna alcolica e frutti sotto spirito.
1986 11,5% vol Un vino aristocratico veramente grande Oro carico, al naso è veramente equilibrato, dolce e aromatico di fiori maturi di mimosa, magnolia, camomilla e ginestra, avvolti da fini mineralità di selce, e declina l’agrume fresco in nettare e gelatina di cedro e pompelmo, pesca gialla, pera e susina, melone bianco maturo, sfumati da speziature decise di anice, con vaniglia e zenzero, tostature dolci di mandorla e nocciola, sentori di glassa e zuppa inglese. La bocca ha una freschezza prorompente, un’eleganza raffinata e descrive un insieme palpitante e dinamico, di grande progressione gustativa fondata sul bilanciamento e su un corpo non prorompente ma adeguato che integra perfettamente le componenti. Il retrolfatto non tradisce lo stile elegante, complesso e persistente, nella fusione di minerali, agrumi e spezie.
1989 12% vol Un vino “giovane” che ancora non è all’apice Oro pieno, al naso è intenso e dolce, di nocciole, mandorle e arachidi gentilmente tostate, di pan di Spagna, torta al limone, gelatine di agrumi, torte alla crema, kumquat, cedro, mela, pesca matura e sciroppata e melone bianco, tutto sfumato da toni di erbe aromatiche e officinali, con mineralità fini e chiare di selce e arenaria. La bocca non ha alcun segno di cedimento grazie a freschezza e sapidità nette e integrate nella bella tessitura, per un insieme bilanciato, dinamico, ancora vibrante e giovane in grado di manifestare un quadro articolato ed elegante, con la componente agrumata in primo piano appoggiata da una sottile mineralità.
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1991 D’Antan 11,5% vol Un appeal nordico per una piacevolezza raffinata Dorato carico con accenni oro verde, al naso è minerale di idrocarburi, fusi con oli essenziali di mandorla e nocciola secche, con sfumature di iodio e salgemma, con accenni di cardo, ortica ed erba medica, con toni gentili di banana, cedro, pesca bianca, distillato di pera, bergamotto e ananas, anche in sciroppo, e ancora dolcezze di torrone bianco, cacao e malto, wafer alla nocciola, nuance di pasticceria al burro. La bocca è sostenuta da una freschezza impressionante, su una tessitura media, coadiuvata da una bella sapidità, per un insieme dinamico, croccante e di bella eleganza, che fonde frutto e minerale di grande persistenza.
1993 D’Antan 12% vol Grande vino, sintesi di stile nordico e mediterraneo Dorato con riflessi oro verde, accoglie con intense e fini mineralità di idrocarburi, argilla e arenaria, fusi con tostature dolci di nocciola, mandorla e caffè e ancora mandorla fresca, pepe verde e tartufo bianco, che descrivono un insieme di rara eleganza, insieme a cedro, bergamotto, limone d’Amalfi, susina, pesca sciroppata e albicocca, con sentori di frolle da forno e zuppa inglese e toni di macchia. La bocca è freschissima, sapida, rotonda in grado di sviluppare un quadro complesso, vivace, ancora giovane, con un potenziale straordinario e una persistenza importante che non nasconde alcun tono del naso.
1995 D’Antan 11,5% vol Profondità aromatica e sfacciata acidità Di color giallo oro con riflessi verdi ha un naso decisamente minerale di selce e idrocarburi, fusi con tostature gentili di pane, nocciola e mandorla, sfumate da caffè, con toni di cedro e arancia, pera, pesca, melone bianco, banana e ananas, mango e kiwi, sentori di cereali che ricordano avena e grano, con tracce di fieno e nuance di malto. Di grande dote acida, buona morbidezza e tessitura elegante, al gusto ha una bella sapidità per un insieme decisamente vibrante, che pone in primo piano le note di polpa di agrumi, sfumate da dolcezze di nocciola e toni minerali eleganti.
1996 11% vol Un’impalcatura acida che conduce l’assaggio conservando l’espressività Giallo dorato carico, al naso si propone subito minerale e tostato dolce, ben amalgamato con gli agrumi (cedro, bergamotto, limone) e i pomi mediterranei, con sfumature fumé e di anice. Si sviluppa regalando bei sentori di pasticceria da forno anche con bagna alcolica, di crema di limone, con accenni di burro, gelatine di agrumi, freschezze di melissa, timo, ginestra e mimosa. La bocca è freschissima, di acidità spiccata ma non coprente, di buona morbidezza e tessitura un po’ in affanno, per un insieme che comunque non lesina in espressività retronasale e riporta il bouquet della via diretta, sostenendo meglio le note agrumate.
1997 12% vol Un vino monumentale Bel giallo dorato, al naso non si nasconde e dichiara subito la sua nobiltà. La gamma aromatica è ampia e integrata e riesce a declinare allo stesso livello i vari aspetti olfattivi: cedro, arancia, pesca, bergamotto, fico, gelso, marasca, melagrana, mela, albicocca, susina, melone, nespola, sfumati da un’elegante e articolata mineralità di selce e arenaria, con tostature di nocciola, mandorla (entrambe anche pralinate), caffè e pasticceria da forno anche con bagna, con accenni di ginestra, mimosa e biancospino, melissa e timo, con toni di eucalipto, boisé, di cacao, cioccolato bianco, cotognata,… La bocca è fresca e di grandissima sapidità, dotata di ottima tessitura e morbidezza per un bilanciamento perfetto e una progressione gustativa larga, che riesce a sviluppare un quadro ampissimo e di persistenza importante. Grandissimo e dal potenziale straordinario.
2000 12% vol Ricco e giovane Giallo oro deciso, propone un attacco minerale e tostato con una grande dote agrumata: limone in frutto e foglia, mela, pera, uva spina, ananas, nocciola e mandorla, anche fresche e secche, pane e pandolce, pietra focaia e ardesia. E ancora vaniglia, cardamomo, ginepro, tè, mirto secco, noce brasiliana, zenzero, anche candito, pasticceria alle mele, pan di Spagna e albicocca secca. La bocca è fresca, di spiccata sapidità, buona morbidezza e struttura, anche se l’insieme non è perfettamente amalgamato, dal finale appena condotto dalla sapidità che serra leggermente il retrolfatto, già ricco di agrumi, su decise mineralità.
2000 D’Antan 11,5% vol Un vino molto importante da nascondere in cantina Giallo pieno con riflessi verdi, al naso è giovanissimo e freschissimo, nelle note di melissa e felce, fieno verde e ortica, lime e foglia di agrume, con sentori di macchia, mineralità di pietra pomice, selce e salgemma e ancora ruta, mandorla fresca, cedro, mela granny smith, nocciola e mandorla, acquavite di prugna e gelatine di agrumi. La bocca è dotata di acidità vibrante, sapidità sottile, discreta morbidezza e una tessitura elegante, per un insieme che è ancora condotto dalle componenti dure con gli agrumi a godere del sostegno, che non copre la bella morbidezza non ancora integrata.
2001 12% vol Grande vino, da godere appieno non prima di cinque anni Giallo dorato luminoso, al naso non è esuberante, ma intrigante nelle note tostate e minerali di nocciola, mandorla e pane, selce e pietra focaia, accompagnate da aromi di frutto, con riconoscimenti di mandarancio, bergamotto, ananas poco maturo, mela, pesca, mandorla fresca, nespola, banana verde e ancora felce e timo. La bocca è dotata di una struttura acida imponente, sostenuta dalla sapidità e da una bella tessitura, con una morbidezza ben abbozzata ma non ancora sviluppata. Questo stile gustativo porta in primo piano il frutto, sostenuto dalle componenti vegetali e minerali, senza dimenticare le altre componenti decisamente in secondo piano.
2003 12% vol Un bel Gavi a dispetto dell’annata bollente Dorato pieno, è dolce di cedro, mandorla e nocciola, secche, in confetto, in pasta e gentilmente tostate, con freschezza di glicine, mineralità di cipria con accenni di idrocarburi, frutto di arancia, pera, pesca, mela, kiwi, ribes bianco, con nuance di gelso bianco e fico, aromi di pane. In bocca è già piuttosto bilanciato, dotato di una forte impronta sapida e di uno sviluppo gustativo che poggia su una trama discreta che nel finale lascia spazio alla salinità. Il retrolfatto è meno articolato del naso anche se tocca tutte le famiglie di aromi scoperti alla via diretta e finisce su percezioni minerali e di pepe bianco.
2004 12% vol Grande millesimo, elegante e volitivo, che saprà stupire Giallo pieno con riflessi dorati, ha naso fresco, fine e bilanciato, amalgamato nei toni fruttati, minerali, vegetali, di pasticceria e tostati: arancia, cedro, kumquat, pesca, gelso bianco, pera, mela, ananas, nespola, nocciola e mandorla, secche, gentilmente tostate e pralinate, felce, erba medica, selce, idrocarburi, gesso, con belle nuance di biancospino e fiore di sambuco. Una grande spalla acido sapida conduce l’assaggio senza prevaricare, ben integrata nell’insieme, per uno stile fine e deciso, dotato di grande progressione gustativa in grado di sviluppare i toni del naso con una promessa di evoluzione straordinaria.
2006 12% vol Pienezza e dinamica di un vino che già conquista Giallo con riflessi oro verde, al naso è subito vegetale di felce, ortica, fieno, erba medica e tè verde, che sfumano in biancospino, cedro, pera, mela, lavanda, limone, pompelmo, nocepesca, melone bianco, nespola, susina e ananas verde, con fragranze di panificazione, delicate dolcezze di crema di limone e pan di Spagna, con una delicata alea di idrocarburi. La bocca è freschissima, di buona pienezza e morbidezza, sapida, dotato di uno sviluppo gustativo che nel finale vede in primo piano le note dure e le decise componenti agrumate, dopo aver raccontato il naso, tenendo in evidenza i minerali.
2007 12% vol Grande vino, molto importante e già seducente… Giallo pieno molto luminoso, con riflessi oro verde, ha un naso articolato, gentile e allo stesso tempo seducente, nelle florealità di rosa e mughetto, con un bel frutto in primo piano che racconta arancia, cedro, pesca, lime, mapo, kiwi, ananas, pera, gelso, fico, susina, uva spina, mango, fico d’India, addolcito dagli agrumi in gelatina, da mandorla e nocciola, con sfumature di salvia, timo, menta e melissa, dolcezze di biscotti, accenni di selce. La bocca è fresca e dinamica, bilanciata, di bella pienezza e grande sviluppo gustativo, croccante e senza spigoli, in grado di raccontare con larghezza e persistenza il frutto articolato, con gli altri ricordi del naso.
2009 12% vol €18,00 Grande annata, molto interessante oggi. Così nasce il Gavi dei Gavi per poi stupire dopo venti-trenta anni Paglierino carico con riflessi verdi, è intenso e aromatico nelle belle note di rosa bianca, lavanda, mughetto e biancospino, muschio, felce, gelso, melone e pesca bianchi, susina, ananas, banana, pera, kiwi, fico, arancia, alchechengi, mandarino, salvia, limone d’Amalfi e cedro con sfumature di mandorla e nocciola. La bocca è fresca, sapida, di bella tessitura e corretta morbidezza, già caratterizzata da un grande bilanciamento e una sorprendente eleganza, per un progressione gustativa che dà vita a tutti i toni del naso con grande persistenza e totale integrità.
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BERE BIRRA
Castagno de La Cerreta a Castagno d’Andrea (Fi)
Essiccazione delle castagne
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BERE BIRRA
mente senza ancore culturali e senza troppi condizionamenti gustativi. Una verginità forse inizialmente difficile da espugnare, ma piena di promesse per la sempre più mirata sensibilità al buon bere e al buon mangiare. È del tutto naturale quindi che in una terra così ghiotta e generosa i vari birrai trovino ispirazione dai prodotti del territorio, dal farro, alle erbe, ai frutti selvatici, dal miele, alle spezie, al mosto di vino e altro ancora per creare piacevoli fluttuanti proposte come la birra al chinotto di Savona (Scarampola), quella aromatizzata con foglie di tabacco Kentucky toscano (Birra del Borgo), oppure al mosto cotto di uve cannonau (Barley), o ancora allo zafferano di Città della Pieve (Bacherotti), tanto per citarne alcune, ma la fantasia è davvero scatenata. Insomma, niente di più facile che utilizzare castagne e marroni così diffusi in Italia, nazione al primo posto in Europa con più del 15% della superficie boschiva a castagneto. Circa dieci anni fa si son visti i primi promet-
tenti tentativi come la “Castagnasca” del birrificio Busalla di Genova che usava farina di castagne della Val Graveglia, raccolte a mano essiccate a fuoco di legna e macinate a pietra, o ancora prima, nel 1996, a fare da apripista, la Brasserie Pietra, in alta Corsica (non italiana ma ben distribuita); da allora la speciale tipologia si è sviluppata in quantità e numero, raggiungendo oggi una cinquantina di etichette, alcune eccelse. Si tratta proprio di una peculiarità italiana perché gli esempi conosciuti di birre straniere alle castagne non arrivano alla decina: qualche etichetta francese, due o tre statunitensi e altrettante belghe. Va detto che non vengono considerate in questa tipologia quelle aromatizzate con miele di castagno, che sono molte di più, ma il risultato gustativo è piuttosto diverso e comunque la nuova categoria non lo prevede. In questa nostra specialità brassicola, le castagne vengono aggiunte a seconda dei casi crude, essiccate, affumicate, sbriciolate, in crema, in
gelatina, ballotte, ovvero bollite con la buccia, o caldarroste, in percentuale variabile (per legge i succedanei dei malti d’orzo come grano, mais, castagne e via dicendo, non possono superare il 40%). Altro aspetto che fa ben pensare è che questo stretto legame con il territorio da un lato aiuta i birrifici che possono usufruire di sovvenzioni, dall’altro partecipa alla tanto sospirata rivalutazione, e in questo caso dietro alla castagna esiste un’agricoltura di media montagna, che sta sparendo e con lei borghi e valli meravigliosi. Senza considerare la protezione dai disastri idrogeologici che si ottiene quando boschi e terreni sono curati e coltivati. Nasce così all’interno di un programma di riqualificazione e promozione dell’Appennino Bolognese, denominato “Progetto Appennino”, avviato nel 1998 dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna (Carisbo), con il Consorzio dei Castanicoltori di Granaglione e la col-
laborazione dell’Università di Bologna, l’idea di produrre birra alle castagne Beltaine, con l’obiettivo di riscoprire valori culturali connessi alla coltivazione del castagno e rilanciare un’antica fonte di ricchezza, che ha permesso alle popolazioni di rimanere nel territorio dell’alta collina e della montagna. E gli sforzi sono stati compensati dalla premiazione di quest’anno (terza classificata). Altro esempio è dato dal birrificio Amiata, dei fratelli Cerullo, ad Arcidosso in provincia di Grosseto, splendida cornice a custodire la famosa castagna, alla quale è stata riconosciuta la denominazione di Indicazione geografica protetta (Igp). Le birre sono brassate con castagne macinate “a grani”, fra i pochi produttori a farlo. Ciò consente di usare durante la fase dell’ammostamento una maggiore quantità di castagne a tutto vantaggio della persistenza e incisività del gusto. Interessanti le etichette illustrate dal noto pittore
Birre vincenti nel bicchiere Beltaine alle Castagne Birrificio Beltaine 6% vol Bel colore ambrato dorato per la birra di Granaglione, terza classificata tra le Birre dell’anno 2010, per la tipologia nostrana. Nella coppa presenta schiuma persistente e abbondante, non troppo fine. Aroma di agrumi e spezie, con pepe al primo posto, su sentori di castagna in sottofondo percettibili, ma molto delicati. In bocca la luppolatura è lieve, la struttura media, con acidità appena accentuata e una carbonica molto presente. Il finale è leggermente amaricante di luppolo e castagna, che si percepisce anche in farina, e i cui sentori sono più presenti che al naso. Differenti tra loro, le Beltaine alle castagne si caratterizzano per il grado di tostatura dei grani, la percentuale di granulato di castagne, che sostituisce il malto, il bilanciamento del luppolo e l’utilizzo di malti diversi. Beltaine Bianca Birrificio Beltaine 5,2% vol Colore giallo paglierino leggermente velato con cappello abbondante, fine e persistente. Il naso è subito speziato, ricorda coriandolo, e di buccia d’arancia, con un leggero sottofondo vegetale mentre la castagna latita. Al palato è dolce, leggermente acidula, con un amaro appena percettibile, comunque pulita e con una struttura adeguata e di buona beva, nel finale tracce di astringenza che guidano i riconoscimenti ai toni di castagna. Beltaine Doppio Malto Birrificio Beltaine 7% vol Ambra chiara con riflessi ramati nel calice, ha schiuma bianca abbondante e persistente, leggermente grossolana. Al naso note di lievito, crosta di pane, sentori agrumati e speziati, con nuance di castagna, note di affumicatura e di ginepro. All’assaggio si presenta morbida, su una struttura adeguata, con retrolfatto che riporta note di frutta matura e agrumi e una leggera speziatura vivace ed equilibrata che la rendono interessante e complessa.
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Birre vincenti nel bicchiere Bastarda Rossa Birrificio Amiata 7% vol Coppa color rubino tendente al bruno, sormontata da schiuma cremosa non troppo abbondante. All’olfatto la nota di castagna è ben avvertibile, accompagnata da sentori maltati e fruttati. In bocca morbida, rotonda, armoniosa, regala percezioni lunghe, caratterizzate da una giusta e sollecita nota acida. I sentori di castagna sono ben presenti su note di caramello, con finale secco, focalizzato sui toni di castagna e luppolo, attentamente dosati. Bastarda Doppia Birrificio Amiata 8,5% vol Color ambra carico, ha aroma intenso e assortito, caratterizzato da sentori di castagna, dalla farina al castagnaccio, con note di frutta rossa, prugna e caramello. Palato complesso, ben strutturato e dai toni equilibrati per la presenza del luppolo, ha ottimo corpo ma molto beverina. Al retrolfatto tornano le sensazioni dolci e amare della castagna che si uniscono a leggere note tostate nel finale, insieme al fruttato di prugna e al caramello. Falt-Runa Birrificio Conte di Campiglia 5,5% vol Seconda classificata birra dell’anno alle castagne, già nella coppa ricorda le sfumature brune delle marronete. Di colore ambrato scuro con riflessi ramati, ha schiuma persistente color nocciola e aroma intenso di erbe e castagne. La bocca piacevole e accattivante è caratterizzata dal particolare sentore di marroni e sottobosco con retrolfatto finale di miele. CastagnAle Birrificio Birra del Borgo 4,1% vol Colore ambrato, con riflessi ramati, ha schiuma discreta color avorio, poco persistente. Al naso risulta fine, con una leggera nota di castagna, che si accompagna a sensazioni dolci di malto e a qualche debole percezione affumicata, il tutto su un luppolo molto interessante. La bocca è leggera di struttura, elegante, morbida e avvolgente; spiccano le note maltate su quelle della castagna, e un lievito appena percettibile si aggiunge a soavi suggestioni di miele di montagna.
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BERE BIRRA illustratore Alberto Ruggieri, che riproducono in linea con la filosofia del birrificio legata alla territorialità, luoghi, leggende e costumi locali. Ma la castagna ha anche profumi e sapori che ci riportano all’infanzia, in modo semplice e felice, senza sbavature, come l’albero di Natale, ed è quanto racconta il boccale dai sentori di erbe, castagnaccio e miele di “Strada San Felice”, l’ottima birra del birrificio Grado Plato di Chieri, in provincia Torino, fatta con l’aggiunta di castagne biologiche essiccate sui graticci tradizionali della Val Mongia. Nasce dalle mani abili e gentili di Sergio Ormea ed è anche servita alla spina nel famoso Union Square Cafe di New York, seconda classificata nel 2007 tra le birre ad alta gradazione nel Concorso Birra dell’anno di Unionbirrai. Mentre ha ottenuto il massimo delle stelle (5) nella Guida alle birre d’Italia 2010/2011 di Slow Food. Per la cronaca Strada San Felice è una via tra le colline che unisce Chieri a Pino Torinese, dove Sergio da bambino andava con gli amici a “sgraffignare” le castagne per fare le caldarroste. Sensibile e determinato, Ormea ha trasformato la sua passione per la birra in una assortita produzione d’eccezione, che ha conquistato i migliori palati italiani e stranieri. Dedicata al mondo etrusco, invece, la birra alle castagne “Falt-Runa”, di Conte di Campiglia, birrificio di San Godenzo in provincia di Firenze; il nome si ri-
ferisce a un famoso santuario etrusco presente sul monte Falterona, mentre la birra di castagne segue una ricetta di tradizione monastica italiana, indicata anche come rimedio portentoso per tosse e disturbi respiratori e come ricostituente per i pellegrini che si recavano a Roma attraverso la via Francigena. I frutti, marroni certificati Igp, provengono dalle marronete a coltivazione biologica, ubicate nella montagna appenninica fiorentina, la Cerreta, a Castagno d’Andrea e, cosa curiosa, la fermentazione e l’imbottigliamento avvengono solo nei cicli di Luna calante per avere processi di trasformazione lenti, evitando periodi di Luna crescente e plenilunio che possono creare processi tanto tempestosi, da guastare una cotta. Diverso e poetico il canto d’amore di Marco Rubelli ed Enrico Dosoli, patron e birrai di Menaresta, per la loro terra di Brianza… “Menaresta è una sorgente di acqua (quella del Lambro, che sgorga a intermittenza, ndr) che col suo va e vieni, col suo mena e resta, è come se avesse vita. È il nome che abbiamo scelto per la nostra birra, che testimonia la nostra volontà di avere un legame diretto con questo territorio. Terra di contraddizioni, è
un luogo bellissimo dove si incontrano una natura fiorente e tante fabbriche; è il luogo della prima rivoluzione industriale, delle piccole e grandi ricchezze, del moralismo calvinista sulla vita di lavoro, ma anche il luogo dove è viva tanta umanità”. La stessa grazia e sensibilità appartiene alle loro birre… come quella stagionale fatta con le castagne Gabiana provenienti dal confine tra Liguria e Piemonte, essiccate a fuoco/fumo su particolari strutture dette “tecci”, il che dona alla birra sfumature di affumicato, una variante viene brassata con castagne secche della Val San Martino, niente fumo per ottenere sentori più delicati. Anche il famoso pub birrificio Troll di Vernante, a Cuneo, è magicamente legato a sole, neve, erbe, musica e fantasia e così nasce la birra “Palanfrina”, forte e corposa, una birra che scalda l’anima, fatta con castagne del monregalese, sia essiccate che in farina. Ultima nata, infine, ma già premiata, la “Caravina”, del birrificio Lariano di Dolzago, in provincia di Lecco, di Emanuele e Fulvio, amici (anche) per birra. Creata nel 2008 in collaborazione con la Comunità Montana della Valsassina, prende il nome dalla tipologia di castagne usate. Un avvincente incontro tra il dolceamaro della castagna e i sentori erbacei dell’alloro. Per concludere un birrificio che ormai appartiene al mito, Birra del Borgo del geniale Leonardo Di Vincenzo, da anni propone la sua “CastagAle”, brassata con castagne reatine essiccate al fumo di legna di castagno; sempre nel Lazio, davanti al Palaghiaccio di Mentana, onore al merito va al birrificio Turbacci, con la sua elegante “Castagna” aromatizzata alla vaniglia del Madagascar, e infine per chi si trova in zona e ama l’atmosfera allegra dei pub, vale la pena di spingersi fino al litorale della Capitale, al Boa di Ostia, dove da anni una buona spina di “Birra alla castagna” (prodotta da Birra-
damare, il noto birrificio di Elio Miceli e Massimo Salvatori con la collaborazione di Ioan Bratuleanu) arriva puntuale sul finire dell’estate, leggera, profumata, leggermente affumicata, con lievi sentori di mosciarella reatina, è un delizioso conforto che accompagna gli appassionati fino alla birra di Natale. Se tutto questo non è italian style… Quanto agli abbinamenti è un trionfo di gusti autunnali, anche invernali, dall’antipasto al dessert, ma anche il cioccolato con le più corpose, senza trascurare per troppa semplicità il castagnaccio!
Birre vincenti nel bicchiere Caravina Birrifico Lariano 5% vol La birra, quarta classificata tra le “castagna”, è color oro con riflessi scuri e una leggera velatura. Schiuma bianca e fine, non molto persistente. All’olfatto è ricca e complessa, con chiarissime note di alloro, su un sottofondo erbaceo a cui i sentori di castagna secca si associano gradevolmente. Di corpo leggero, con una carbonica non troppo presente, risulta equilibrata, dolce con note amare, aromatiche e secche. Escono sul finire sentori maltati ed erbacei di alloro. Caravina è piacevolemente fresca e dissetante. Palanfrina Birrificio Troll 8% vol Sin dal colore questo calice ricorda la castagna: un ambrato scuro, simile ai marroni, con riflessi Tartara di storione e caviale al rubino, sormontato da spuma bianca, pomodoro e basilico compatta e di buona persistenza. Il naso è intenso e spazia da sensazioni dolci di malto e miele di castagno a note tostate e leggermente arrostite di castagna. Il luppolo con il suo leggero amaricante bilancia il complesso sensoriale. La leggera vena alcolica fin dall’inizio percettibile non disturba, ma accompagna. Anche la bocca presenta le stesse caratteristiche di complessità, calda avvolgente, corposa ed equilibrata con dolci note maltate su toni di frutta rossa matura e una chiara castagna che nel finale collega tutte le sensazioni in un elegante e lungo spettro aromatico Nella pagina a fianco sinistra: molto piacevole e didabuona beva. Philippe Léveillé con per Mauro Piscini, Quinta classificata la categoria. patron del Miramonto l’Altro; lo chef durante Majolini StradailSan Felicewine tasting; Simone Maiolini Birrificio Grado Plato 8% vol bel color mogano con riflessi InUnquesta pagina: rubino e sormontato da schiuma Ezio Maiolini; abbondante, e persistente. Il Stefano Bottoli,fine direttore vendite di naso è intenso e sicuro su note di Agroittica Lombarda fiori e castagne crude, cotte e in miele, con una vena alcolica che conduce tutto l’assaggio. In bocca è cremosa, morbida, dolce, di buon equilibrio e buona struttura, elegante e pulita. Il finale, molto lungo, riporta una chiara nota di castagna e miele, aggraziata, fine e non invadente, che invita al riassaggio.
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