Davide Calì · Maurizio A.C. Quarello Ci chiamavano le mosche
Un certo futuro, forse domani. Il mondo, come lo conosciamo, non esiste più. Bande di bambini, soli, sopravvivono su montagne di immondizia, dentro cui scavano per trovare qualunque cosa da rivendere ai più grandi. Si chiamano le mosche. Fra di loro, Lizzy. È lei a raccontarci come un giorno quei bambini trovarono uno strano oggetto, mai visto prima. E il loro viaggio a Gran Bazar verso la soluzione del mistero.
euro 16,00
9 788832 070446
Davide Calì · Maurizio A.C. Quarello
Ci chiamavano le
MOSCHE
© 2020 Orecchio acerbo srl Viale Aurelio Saffi 54, 00152 Roma Titolo originale: On nous appelait les mouches Traduzione dal francese di Paolo Cesari © 2020 Editions Sarbacane, Paris Italian translation rights arranged through La Petite Agence, Paris Grafica: orecchio acerbo Stampa: Livonia Print (Lettonia) Finito di stampare nel mese di dicembre 2020
Ci chiamavano le mosche di Davide Calì illustrazioni di Maurizio A.C. Quarello traduzione di Paolo Cesari
Mi chiamo Lizzy, e questa è la mia storia. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei avuto una storia da raccontare. È anche quella di Jungle, che all’epoca era il nostro capo, e di Taï-Marc, che non parlava mai. E anche quella di Poubelle, il più testardo di tutti, e di Penny, sua sorella piccola, la sola ragazza del gruppo, insieme a me. Ci chiamavano le mosche. Perché brulicavamo come mosche su una gigantesca discarica, dove cercavamo qualcosa di buono tra i rifiuti. Era il nostro lavoro. C’erano tante montagne di immondizia. Per ogni montagna, un gruppo di bambini e un capo. La nostra si chiamava Ararat. Non ho mai saputo il perché.
Dal Lampo Blu, niente fu più come prima. Lo dicevano gli anziani. Perché in realtà nessuno di noi sapeva come fosse prima. A quanto pare, tutto era bello, il cielo era blu e l’aria fresca. C’erano alberi e verde dappertutto. Si mangiava cibo vero, non scatolette. E ce n’era per tutti. E anche l’acqua non mancava mai. Il Lampo Blu ha cambiato tutto. Fu come se una mano gigantesca prendesse la Terra e la scuotesse. Non durò che dieci secondi. Ma dopo, niente fu più lo stesso. Restarono solo rovine e detriti. Ognuno di noi aveva la sua specialità. La mia era quella di trovare il metallo. Serve a molte cose, il metallo.
Jungle era il grande cacciatore di roba tecnologica. Sapeva trovare cose incredibili. Taï-Marc, lui cercava solo alcol o sigarette. Roba che fa male, ma si vende bene. Poubelle e Penny invece cercavano giocattoli: c’era un mercato anche per quelli.
Dopo il Lampo Blu, in effetti, tutto aveva un mercato.
Ogni volta che trovavamo qualcosa, lo passavamo a Jungle, il nostro capo, che a sua volta lo passava a Spider, il nostro super capo, un ragazzo un po’ più grande di noi. Spider prendeva la roba e pagava a fine giornata. Poi, andava da Afrika, un uomo di venti-venticinque anni, che gli comprava quasi tutto. Anche lui aveva un capo, ma quello non aveva un nome. Era chiamato semplicemente l’Obeso. Era lui a portare la mercanzia a Gran Bazar, la città-mercato. Lui, non l’avevamo mai visto.
Lavoravamo sodo, sotto il sole, tutto il giorno. La sera, sfilavamo davanti a Spider per ricevere il nostro compenso: razioni di cibo mezzo marcio e un po’ d’acqua. I ragazzi erano sempre i primi a essere serviti. «Prima i maschi!» diceva Spider. Detestavo tutto questo, perché noi ragazze lavoravamo come gli altri. Forse Penny meno, perché lei era piccola. Ed era sempre l’ultima a mangiare. Se restava ancora qualcosa.
Quel giorno, non avevamo trovato quasi nulla. E poi, verso sera, Poubelle vide la cosa. Era una cosa strana, nessuno aveva mai visto niente del genere. Provammo a capire come funzionava. Niente da fare. «Forse è rotta?» disse Penny. Andammo a trovare Spider, convinti di aver trovato qualcosa di unico e quindi, forse, di prezioso. Il capo stava riposando nella sua tenda, come al solito, al riparo dal caldo, per quanto fosse possibile. Non fu contento di vederci.
«Che diavolo ci fate qui? Perché non siete alla montagna?» «Abbiamo trovato questo. Abbiamo pensato di venire subito a fartelo vedere» disse Jungle. «Non c’era bisogno di venire tutti insieme… Che cos’è?» «Non lo sappiamo. Ma pensiamo che sia di valore.» Spider guardò l’oggetto distrattamente e disse: «Non ne ho idea». «Stai scherzando? Impossibile! Secondo me, vale almeno dieci razioni!» «E secondo me, è buono da buttare nel fuoco. Se brucia. Dammelo! Lo farò vedere ad Afrika.» «Veniamo con te» disse Jungle. «No. Chi l’ha trovato?» «Io» rispose Poubelle. «Ok, allora Poubelle può venire con me. Gli altri, al lavoro. Il sole sta per tramontare. Approfittate della luce per trovare qualcosa di decente da vendere.»
Afrika viveva in una tenda più grande ai confini del campo, lontano dalle montagne di immondizia, dove la puzza era più sopportabile. Era già il crepuscolo quando Poubelle e Spider arrivarono lì, e il fuoco bruciava in due grandi bidoni, all’ingresso della tenda. Afrika stava guardando un combattimento di procaj. Dopo il Lampo Blu era diventata l’attrazione più popolare. La pista era delimitata dagli sgherri di Afrika che aizzavano le due bestiole l’una contro l’altra. La maggior parte degli scontri si concludeva con la morte di uno dei due combattenti e quella volta non aveva fatto eccezione. Tutti gli uomini di Afrika emisero un forte grido. Ma quelli che avevano scommesso sul vincitore erano più contenti degli altri.
Spider fece entrare Poubelle. «Afrika, il ragazzo l’ha appena trovato. Ci chiedevamo se potessimo tirarci fuori un buon prezzo. Che ne dici?» chiese Spider. Afrika prese l’oggetto in mano e lo scrutò attentamente, facendo finta di rifletterci. La verità è che nemmeno lui aveva mai visto niente del genere. «Bisognerebbe chiedere all’Obeso. Me ne occuperò io stesso. Vi do tre razioni e siamo pari?» Quella sera, Poubelle tornò senza le tre razioni. Era convinto che l’oggetto fosse prezioso. Sebbene nessuno fosse mai stato pagato tre razioni in un colpo solo, aveva rifiutato l’offerta. Sarebbe andato lui stesso a trovare l’Obeso, il giorno dopo. Se volevamo, noi avremmo potuto accompagnarlo.
L’Obeso viveva in un fortino di pietre e sabbia. Aveva palme da datteri e persino un pozzo. Fuori si allungava una fila di persone che andavano dall’Obeso per vendergli oggetti e animali fra i più disparati.
Due colossi bloccavano l’accesso, lasciando passare solo una persona alla volta.
Dopo una lunga attesa, giunse finalmente il nostro turno.
Quello che veniva chiamato l’Obeso era una grossa palla di lardo. Ecco cosa significava quella parola! Non lo sapevamo. Non avevamo mai visto nessuno grasso come lui. Doveva avere trentacinque anni e quella era anche la prima volta che incontravamo qualcuno tanto vecchio. Il Lampo Blu aveva lasciato la Terra ai bambini ma non ci si poteva più fare un granché. L’Obeso ci accolse amichevolmente e ci offrì delle pesche sciroppate. Avevano il gusto più dolce del mondo, ma a me non piacevano. Una volta fatti gli onori di casa, l’Obeso chiese di vedere l’oggetto, motivo della nostra visita. Per osservarlo meglio, accese una lampada e prese una lente d’ingrandimento. Lo esaminò con aria da intenditore. Poi disse: «Cinque razioni. Più tre taniche d’acqua». Eravamo senza parole. Già cinque razioni era un prezzo incredibile, ma tre taniche d’acqua! Era enorme. Con un gesto della mano, l’Obeso ordinò a uno dei suoi tirapiedi di andare a prendere il cibo. Ma all’improvviso, Poubelle disse: «Ne è sicuro? Penso che possiamo venderlo meglio di così». «Se il mio prezzo non vi soddisfa, siete liberi di cercare altrove, bambini!» rispose l’Obeso.