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Dai Thénardier
Nel 1823, Montfermeil non era che un villaggio tra i boschi. Era un luogo tranquillo e piacevole, del tutto fuori mano; vi si viveva a buon mercato.
Solo l’acqua era scarsa. Bisognava andarla a prendere piuttosto lontano. Procurarsi l’acqua era quindi un lavoro abbastanza pesante. Le famiglie benestanti pagavano un quarto di soldo per ogni secchio d’acqua a un pover’uomo che non aveva altri mezzi per sopravvivere; ma quel buonuomo lavorava solo fino alle sette di sera d’estate e fino alle cinque d’inverno; giunta la notte, quando tutte le imposte erano chiuse, chi non aveva acqua da bere o se la andava a prendere da solo o ne faceva a meno. Era il terrore della piccola Cosetta.
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Cosetta era utile ai Thénardier in due modi: si facevano pagare dalla madre e si facevano servire dalla bambina. Così, quando la madre smise di pagare, i Thénardier si tennero Cosetta. Sostituiva una loro serva. Era lei che correva a prendere l’acqua quando ce n’era bisogno. Così la bambina, terribilmente spaventata dall’idea di andare alla sorgente di notte, aveva grande cura che alla locanda l’acqua non mancasse mai.
Il Natale del 1823 fu particolarmente luminoso a Montfermeil. L’inizio dell’inverno era stato mite; non aveva ancora né gelato né nevicato.
Alcuni uomini erano seduti nella sala della locanda Thénardier e bevevano alla luce di quattro o cinque candele.
Cosetta era al suo solito posto, seduta sotto il tavolo della cucina vicino al camino. Vestita di stracci, i piedi nudi, alla luce del fuoco lavorava a maglia calze di lana per le piccole Thénardier. Un gattino giocava sotto le sedie. In una stanza vicina si sentivano ridere e chiacchierare due fresche voci di bambine: erano Éponine e Azelma.
La Thénardier faceva tutto alla locanda, i letti, le camere, il bucato, la cucina, il bello e il cattivo tempo, il diavolo. Come unica domestica aveva Cosetta; un topo al servizio di un elefante. Al suono della sua voce tremava tutto, le finestre, i mobili, e le persone. Il suo largo viso, ricoperto di lentiggini, aveva l’aspetto di una schiumarola. Aveva la barba. Imprecava magnificamente; si vantava di rompere una noce con un pugno. Quando la si sentiva parlare, si diceva: «è un gendarme»; quando la si guardava bere, si diceva: «è un carrettiere»; quando la si vedeva maltrattare Cosetta, si diceva: «è un carnefice». Quando riposava, le spuntava un dente dalla bocca.
Thénardier era un uomo piccolo, magro, pallido, spigoloso, ossuto, gracile, che sembrava malato e che stava benissimo. Era gentile più o meno con tutti, anche con il mendicante a cui rifiutava un quarto di soldo. Aveva lo sguardo di una faina e l’aria di un uomo di lettere.
Tali erano questi due esseri. Cosetta era fra i due, subendo la loro doppia pressione. L’uomo e la donna avevano ciascuno il proprio metodo; Cosetta era riempita di botte, lo doveva alla donna; andava a piedi nudi d’inverno, lo doveva al marito.
Cosetta saliva, scendeva, lavava, spazzolava, strofinava, spazzava, correva, sgobbava, ansimava, trasportava cose pesanti, e, gracile com’era, faceva i lavori più pesanti. Nessuna pietà. La povera bambina, inerme, taceva.