Cosetta
A Cassandre e Timothée. O. D.
Questo libro riunisce i principali capitoli dedicati all’infanzia di Cosetta ne I Miserabili di Victor Hugo (1862). I titoli che introducono ciascun capitolo di questa edizione non sono quelli originari.
Questo libro riunisce i principali capitoli dedicati all’infanzia di Cosetta ne I Miserabili di Victor Hugo (1862). I titoli che introducono ciascun capitolo di questa edizione non sono quelli originari.
Cosetta è una bambina di otto anni.
La madre, Fantine, l’ha affidata a una coppia di locandieri: i Thénardier. Ma loro la considerano una serva. La maltrattano e la sfruttano.
Jean Valjean è stato condannato a cinque anni di lavori forzati per aver rubato un tozzo di pane, diventati poi diciannove per i tentativi d’evasione. Uscito dal carcere, decide di aiutare Fantine a riprendersi la figlia Cosetta.
Questa coppia di locandieri vive a Montfermeil, e la Thénardier è una donna crudele e violenta. Hanno due figlie: Éponine, di otto anni, e Azelma, di sei.
Dopo diciannove anni di prigione e varie traversie, Jean Valjean si è rifatto una vita, ha avuto fortuna, e decide di dedicarsi a fare del bene.
Aiuta una giovane donna povera, Fantine, a trovare la figlia, Cosetta. Cinque anni prima, Fantine l’aveva affidata a una coppia di locandieri, i crudeli Thénardier.
Ma la donna si ammala gravemente prima di poter rivedere la figlia. Sul letto di morte, fa promettere a Jean Valjean di andare dai Thénardier a riprendere Cosetta. Sfortunatamente, l’ex detenuto viene arrestato nuovamente.
Deciso a mantenere la promessa, Jean Valjean evade, recupera parte della sua fortuna e prende la strada per Montfermeil…
Nel 1823, Montfermeil non era che un villaggio tra i boschi. Era un luogo tranquillo e piacevole, del tutto fuori mano; vi si viveva a buon mercato.
Solo l’acqua era scarsa. Bisognava andarla a prendere piuttosto lontano. Procurarsi l’acqua era quindi un lavoro abbastanza pesante. Le famiglie benestanti pagavano un quarto di soldo per ogni secchio d’acqua a un pover’uomo che non aveva altri mezzi per sopravvivere; ma quel buonuomo lavorava solo fino alle sette di sera d’estate e fino alle cinque d’inverno; giunta la notte, quando tutte le imposte erano chiuse, chi non aveva acqua da bere o se la andava a prendere da solo o ne faceva a meno. Era il terrore della piccola Cosetta.
Cosetta era utile ai Thénardier in due modi: si facevano pagare dalla madre e si facevano servire dalla bambina. Così, quando la madre smise di pagare, i Thénardier si tennero Cosetta. Sostituiva una loro serva. Era lei che correva a prendere l’acqua quando ce n’era bisogno. Così la bambina, terribilmente spaventata dall’idea di andare alla sorgente di notte, aveva grande cura che alla locanda l’acqua non mancasse mai.
Il Natale del 1823 fu particolarmente luminoso a Montfermeil. L’inizio dell’inverno era stato mite; non aveva ancora né gelato né nevicato.
Alcuni uomini erano seduti nella sala della locanda Thénardier e bevevano alla luce di quattro o cinque candele.
Cosetta era al suo solito posto, seduta sotto il tavolo della cucina vicino al camino. Vestita di stracci, i piedi nudi, alla luce del fuoco lavorava a maglia calze di lana per le piccole Thénardier. Un gattino giocava sotto le sedie. In una stanza vicina si sentivano ridere e chiacchierare due fresche voci di bambine: erano Éponine e Azelma.
La Thénardier faceva tutto alla locanda, i letti, le camere, il bucato, la cucina, il bello e il cattivo tempo, il diavolo. Come unica domestica aveva Cosetta; un topo al servizio di un elefante. Al suono della sua voce tremava tutto, le finestre, i mobili, e le persone. Il suo largo viso, ricoperto di lentiggini, aveva l’aspetto di una schiumarola. Aveva la barba. Imprecava magnificamente; si vantava di rompere una noce con un pugno. Quando la si sentiva parlare, si diceva: «è un gendarme»; quando la si guardava bere, si diceva: «è un carrettiere»; quando la si vedeva maltrattare Cosetta, si diceva: «è un carnefice». Quando riposava, le spuntava un dente dalla bocca.
Thénardier era un uomo piccolo, magro, pallido, spigoloso, ossuto, gracile, che sembrava malato e che stava benissimo. Era gentile più o meno con tutti, anche con il mendicante a cui rifiutava un quarto di soldo. Aveva lo sguardo di una faina e l’aria di un uomo di lettere.
Tali erano questi due esseri. Cosetta era fra i due, subendo la loro doppia pressione. L’uomo e la donna avevano ciascuno il proprio metodo; Cosetta era riempita di botte, lo doveva alla donna; andava a piedi nudi d’inverno, lo doveva al marito.
Cosetta saliva, scendeva, lavava, spazzolava, strofinava, spazzava, correva, sgobbava, ansimava, trasportava cose pesanti, e, gracile com’era, faceva i lavori più pesanti. Nessuna pietà. La povera bambina, inerme, taceva.
Erano arrivati altri quattro viaggiatori. Cosetta pensava che era notte, notte fonda, che all’improvviso i bicchieri e le caraffe delle stanze dei viaggiatori dovevano essere riempiti, e che non c’era più acqua nella cisterna.
Ciò che la rassicurava un po’ era che dai Thénardier non si beveva molta acqua. La sete non mancava, ma era una sete che si placava più facilmente con la bottiglia che con la caraffa. Chi avesse chiesto un bicchiere d’acqua tra quei bicchieri di vino sarebbe sembrato un selvaggio a tutti quegli uomini.
Ci fu però un momento in cui la bambina tremò: la Thénardier sollevò il coperchio di una pentola che bolliva sul fornello, poi prese un bicchiere e si avvicinò svelta alla cisterna. Girò il rubinetto. La bambina alzò gli occhi per seguire ogni sua mossa. Dal rubinetto uscì un sottile filo d’acqua che riempì il bicchiere per metà.
«Non c’è più acqua» disse, e poi tacque per un momento. La bambina non respirava.
«Bah» disse la Thénardier, guardando il bicchiere mezzo pieno, «questa basterà.»
Cosetta tornò al suo lavoro, ma per più di un quarto d’ora sentì il cuore in gola.
Contava i minuti che passavano e desiderava che fosse già il mattino del giorno dopo.
Di tanto in tanto uno dei bevitori si affacciava in strada ed esclamava:
«È buio pesto!» o «Bisogna essere un gatto per andare in strada senza lanterna a quest’ora!»
E Cosetta rabbrividiva.
All’improvviso uno dei viaggiatori disse con voce dura:
«Non hanno dato da bere al mio cavallo».
«Sì, l’hanno fatto» disse la Thénardier.
«E io dico di no, la mia locandiera» disse il mercante.
Cosetta era uscita da sotto il tavolo.
«Oh, sì, signore!» disse, «il cavallo ha bevuto, ha bevuto dal secchio, pieno, e sono stata proprio io a dargli da bere, e gli ho parlato.»
Non era vero. Cosetta stava mentendo.
«Ecco una grande come uno scricciolo che dice bugie grandi come una casa» gridò il mercante.
«Ti dico che non ha bevuto, piccola sfrontata! Quando non ha bevuto, ha un modo di soffiare che riconosco bene.»
Cosetta insistette, e aggiunse con voce rauca per l’angoscia, che si sentiva appena:
«E ha anche bevuto molto!»
«Andiamo» disse il mercante con rabbia, «non perdiamo tempo, che si dia da bere al mio cavallo e facciamola finita!»
Cosetta tornò sotto il tavolo.
«In effetti è giusto» disse il Thénardier, «se quella bestia non ha bevuto, deve bere»; poi, guardandosi intorno: «ebbene, dov’è finita quell’altra?»
Si chinò e scoprì Cosetta rannicchiata all’altro capo del tavolo, quasi sotto i piedi dei bevitori.
«Vuoi venire?» le urlò.
Cosetta uscì dal buco in cui si era nascosta.
La Thénardier proseguì:
«Signorina io-so-tutto, vai a portare da bere a quel cavallo».
«Ma signora» disse Cosetta con voce fievole, «non c’è acqua.»
La Thénardier spalancò la porta che dava sulla strada.
«Che aspetti? Valla a prendere!»
Cosetta chinò il capo e andò a prendere un secchio vuoto che stava nell’angolo del camino.
Il secchio era più grande di lei e la bambina avrebbe potuto sedercisi dentro comodamente.
La Thénardier si rimise ai fornelli e assaggiò con un cucchiaio di legno il contenuto della casseruola, sempre brontolando:
«Ce n’è alla sorgente… che sarà mai!…»
Cosetta rimase immobile, con il secchio in mano e la porta aperta davanti a lei.
«Muoviti dunque!» gridò la Thénardier.
Cosetta uscì. La porta si richiuse.
La fila di bancarelle natalizie che partiva dalla chiesa si estendeva fino alla locanda Thénardier e, per via dell’imminente passaggio dei borghesi che si recavano alla messa di mezzanotte, era tutta illuminata da candele che, come diceva il maestro di Montfermeil – che in quel momento era seduto dai Thénardier – facevano «un effetto magico».
In compenso, non c’era una sola stella nel cielo.
L’ultima di queste baracche, sistemata proprio di fronte alla porta dei Thénardier, era una bottega di giocattoli, tutta risplendente di ninnoli e di magnifiche cose di latta. In prima fila, e in primo piano, il negoziante aveva sistemato, su un fondo di teli bianchi, una grande bambola, vestita con un abito di crêpe rosa e con spighe d’oro in testa, con capelli veri e occhi smaltati. Per tutto il giorno quella meraviglia era stata esposta allo stupore dei passanti di età inferiore ai dieci anni, e a Montfermeil non si era trovata nessuna madre abbastanza ricca, o sufficientemente prodiga, per regalarla alla propria figlia. Éponine e Azelma avevano passato intere ore a contemplarla e Cosetta stessa, furtivamente, è vero, aveva osato guardarla.
Quando Cosetta uscì con il secchio in mano, per quanto fosse triste e angosciata, non poté fare a meno di alzare gli occhi verso quella bambola prodigiosa, verso la signora, come la chiamava lei. La povera bambina si fermò impietrita. Non aveva ancora visto quella bambola da vicino. Tutta la bancarella le sembrava un palazzo; quella bambola non era una bambola, era una visione. Era la gioia, lo splendore, la ricchezza, la felicità, che apparivano in una sorta di fantastico splendore a quella piccola e sfortunata creatura. Pensava fra sé che bisognava essere una regina o almeno una principessa per avere una “cosa” come quella, e guardava quel bel vestito rosa, quei bei capelli lunghi, e pensò:
“Come deve essere felice, quella bambola!”. Non riusciva a staccare gli occhi da quella fantastica bottega. Più guardava e più rimaneva ab-
bagliata. Le sembrava di vedere il paradiso. Dietro a quella grande, c’erano altre bambole che le sembravano fate e folletti. Il negoziante che andava e veniva dal retro della bancarella le faceva un po’ l’effetto del Padreterno.
In quell’adorazione, dimenticò tutto, anche l’incarico che le era stato affidato. All’improvviso la voce aspra della Thénardier la riportò alla realtà:
«Ma come, stupida, sei ancora lì! Aspetta! Adesso arrivo! Ma che stai a fare ancora qui! Sbrigati, mostriciattolo!».
La Thénardier aveva dato un’occhiata in strada e aveva visto Cosetta in estasi.