Si sarebbe chiamato Gianni, Gianni Barba.
GIANNI BARBA A L I C E
ALICE ROHRWACHER · MARA CERRI
Era un Barbagianni, ci disse un amico di famiglia, un uccello carnivoro, ma purtroppo non sopravviverà perché nessuno può insegnargli a cacciare. Quella sua ultima frase fu come una pugnalata in pieno petto. Ma ci rese più forti: sapevamo che sarebbe sopravvissuto, perché anche se non aveva una mamma-uccello, aveva due bambine-mamme cacciatrici.
TERREMOTI
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GIANNI BARBA
Accelerazioni improvvise, mutamenti di sguardo, scoperte. In altre parole: il continente sismico dell’infanzia.
R O H R W A C H E R
·
M A R A
C E R R I
GIANNI BARBA A L I C E
R O H R W A C H E R
·
M A R A
Accelerazioni improvvise, mutamenti di sguardo, scoperte. In altre parole: il continente sismico dell’infanzia.
TERREMOTI
C E R R I
Fu un’estate prodigiosa.
Quanti anni avremo avuto mia sorella ed io? Sei, sette. Avevo ancora paura del buio e della notte che veniva a soffocare la casa, la strada e il bosco con la sua pece nera. Solo al mattino finalmente tornavo a respirare, e in quell’estate prodigiosa la luce del sole mi sembrava ancora più lieta.
Quell’estate la credevamo senza fine, eppure sapevamo con precisione il momento in cui era iniziata: la mattina in cui il babbo buttò giù la parete del vecchio forno e trovò nel cavo del muro tre uova. Erano tiepide.
Aspettammo nascoste tutto il giorno per vedere chi sarebbe tornato a covarle, ma l’aria restò tesa e intera come lo specchio di un lago. Forse il muro cadendo aveva spaventato la mamma-uccello e quella era fuggita, oppure fu proprio il nostro spiare a insospettire la custode delle uova. In ogni caso, non tornò più.
Alla sera le uova erano gelide.
Fu così che il babbo le portò dentro casa, con delicatezza le sistemò in una scatola di scarpe piena di ovatta e stracci, e poi ci disse di prendere la lampada che tenevamo sulla scrivania, che era la più forte.
La lampada fu posizionata con il suo occhio di luce a guardare la scatola da vicino.
Una volta accesa, iniziò a emanare il suo teporino sulle tre uova, che in poco tempo sembrarono accoccolarsi.
Poi, dopo questo interminabile tempo senza tempo, una cosa accadde.
Avevamo appena finito di pranzare quando una delle tre uova crepitò. Tremò, evidentemente, si mosse, come animata da un imperativo segreto. Il guscio si spaccò e apparve un piccolo becco color di perla, una peluria bianca, una zampa primordiale e minuscola, come quella di un dinosauro alato.
L’involucro si crepò in due, tre, tanti pezzi, e la strana creatura custodita ne emerse.
La guardavamo stordite mentre si stiracchiava stanca d’altri viaggi. Aveva la testolina appoggiata e quasi affranta sul petto, come se rompere quel guscio le fosse costato le dodici fatiche degli eroi. Tanta era la spossatezza della creatura, che attraverso la pelle leggermente pelosa e un po’ umidiccia si vedeva spingere su e giù pazzamente il cuore. Come se l’intero suo corpo fosse un altro guscio che nascondeva un’altra vita ancora più piccola che voleva uscirne fuori, e così si poteva scendere dentro quell’apparizione all’infinito.
D’un tratto la creatura alzò il capo con un gesto dolorosissimo e pingue, si voltò verso di noi rivelandoci delle occhiaie profonde, e come un grido muto nella notte spalancò il becco, ma non uscì nessun suono.
Il becco restava aperto e teso, senza farci capire se era felicità o disperazione, o forse solo per farci conoscere la prima cosa che si pensa alla nascita: fame. All’interno del becco spalancato era adagiata una sorta di petalo appuntito e bluastro, che ci raccontava di giardini misteriosi e lontanissimi, dove le rose sono senza spine perché è lo stesso fiore a pungere.
Il piccolo superstite aveva fame.
Cosa dargli da mangiare? Fu la mamma a darci la formula: la mamma-uccello gli porta i vermi, ma li spappola ben bene con il becco prima di darglieli. E così iniziò l’epoca delle acchiappa-vermi! Li prendevamo e smembravamo in tanti pezzetti che la creaturina accettava violentemente, senza pensarci troppo. Vermoni, vermetti, lombrichi, larve. Non ci schifavamo più: la vita si alimenta con la morte. Il mistero racchiuso nelle altre due uova sorelle restò sigillato. A un certo punto sparirono insieme alla lampada, che tornò al suo posto sulla scrivania.
SEGUE…