"Il bambino del tram" - anteprima

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Un bambino che fugge per salvarsi la vita. Questa è la storia di un giorno di autunno. Un autunno feroce.

euro 16,00

Giorno: 16 ottobre. Anno: 1943.

16-10-1943

il bambino del tram

Ed è la storia di una città ferita.

Isabella Labate

Questa è la storia di un bambino.

Isabella Labate 9 788832 070941

il

bambino del tram




Ogni persona è dotata di strani poteri. Ogni uomo, ogni donna e ogni bambino può modificare il cammino della storia. Elie Wiesel

Un ringraziamento a Leonardo che ha prestato il suo viso al mio lavoro (I. L.)


Isabella Labate

il

bambino del tram testo di Fausta Orecchio su soggetto di Isabella Labate



Chi li vide

capì subito che non portavano nulla di buono.

Era un sabato. Sabato 16 ottobre 1943.


Roma dormiva ancora. Dormivano gli alberi e le foglie rosse d’autunno. I sampietrini lucidi di rugiada, dormivano. Dormivano i ponti e i tetti d’ocra e di siena. Il fiume dormiva. Dormiva una tortora nel suo nido sicuro.


Era l’alba del riposo, nel ghetto di Roma. Ma in quell’alba romana, fremevano i mitra. Ruggiva il motore dei camion. Palpitavano le divise dei soldati tedeschi. Vibravano le mostrine degli ufficiali.

Qualcuno, però, riuscì a fuggire.



E all’improvviso, in quella tiepida alba di autunno, gridò il gelo dell’inverno. Vale la pena ripeterlo ancora una volta. Ricordarlo. Erano le cinque e un quarto. Era l’alba di un sabato. Sabato 16 ottobre 1943.

Emanuele si sveglia. Salvo i fratelli addormentati, in casa non c’è nessuno. In strada vede sua madre. I soldati coi mitra la prendono, e un camion la aspetta.

Sua madre. La portano via.


E i gradini delle scale raddoppiano, si moltiplicano, si allungano. Corre ora il piccolo Emanuele, corre giù. Corre dalla madre. E la madre, con tutto il fiato che ha in gola:

«Fa risciùdde, vattene!» Grida ora Emanuele e grida mentre viene spinto sul camion. Non smette più di gridare.

E la madre, ai soldati, con tutto il fiato che ha in corpo: «Nicht juden, nunn’è ebreo!» E a Emanuele, in un soffio: «Sei voluto annà in bocca a Jonav». Come a dire: ti sei messo da solo nei guai.

Poi, con un calcio, butta Emanuele giù dal camion. E ora lui è solo, e corre solo fra vicoli e strade di una città che oggi non vorrebbe svegliarsi.





Corre Emanuele, come non aveva corso mai, fino al capolinea del tram di Monte Savello.

«Sò ebreo, me stanno a cercà i tedeschi.»




È rapida, opaca, vuota come un abisso, la paura. È uno specchio, la paura. Appartiene a entrambi, la paura. Si muore a nascondere un ebreo. Si muore a essere un ebreo.

«Mettete accanto a me.»

Gemono, le ruote del tram che corre intorno a Roma. E poi l’alba si arrende al giorno. E il giorno cede il posto alla fame.

«Magnamose stà ciriola.»


Lo sussurrano le pietre antiche di Roma, la brezza fra i pini secolari, i gatti guardinghi dei Fori, le porte serrate.

C’è un bambino ed è solo, è solo, è solo. Bisogna proteggerlo.


Lo gridano le statue impotenti, i gabbiani pazzi di terrore sul Tevere, l’acqua irrequieta delle fontanelle, i cani randagi affamati.

Li stanno portando via! Sui camion! Più di mille! Duecento bambini!

SEGUE…


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