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dritto su in cielo.
Bertolt Brecht · Carme Solé Vendrell
E passarono diretti a Sud, là dove il sole a mezzogiorno sta
Bertolt Brecht · Carme Solé Vendrell
La crociata dei bambini
La crociata dei bambini
Bertolt Brecht
La crociata dei bambini illustrazioni di Carme Solé Vendrell
traduzione di Daniela Almansi
In Polonia, nel Trentanove, ci fu un massacro cruento che ridusse città e villaggi in un grande deserto spento.
La sorella perse il fratello, la moglie al fronte perse il marito e il bambino, fra fuoco e macerie, i genitori aveva smarrito. Dalla Polonia non giunse più nulla: nessuna lettera, nessun giornale. Ma circolava una storia curiosa tra i Paesi d’Europa orientale. Mentre cadeva la neve a fiocchi, nelle città girava la voce di una crociata di bimbi polacchi, fuggiti insieme dall’incubo atroce. Trottava in giro la truppa affamata e un po’ per volta si univano tutti – tutti i bambini raccolti per strada, scappati dai tanti villaggi distrutti. Erano in fuga da quel macello, dal brutto sogno di orrore e di brace, per arrivare in un posto diverso, dove potessero vivere in pace.
E c’era anche un piccolo capo che li sosteneva, tenendoli a bada. Ma sul suo cuore pesava una pena: non conosceva, purtroppo, la strada.
Una undicenne si trascinava un piccolino, da mamma capace. Poteva dargli conforto ed affetto, ma non un posto per vivere in pace.
Un piccolo ebreo marciava nei ranghi con un grazioso colletto in velluto. Era cresciuto col pane bianco, ha resistito finché ha potuto. C’erano anche due fratellini. Diedero prova di gran strategia nel conquistare una vecchia cascina, finché la pioggia li cacciò via. Si aggiunse anche uno grigio, magrissimo, sempre impegnato a non mettersi in vista. Portava addosso una colpa tremenda: veniva da una missione nazista. C’era fra loro un musicista, in un negozio trovò un tamburo. Ma non poteva suonarlo: il fracasso li avrebbe messi nei guai di sicuro. C’era anche un cane, che fu catturato per macellarlo e saziare la fame. Ma quello invece mangiava con loro: chi c’ha il coraggio di uccidere un cane?
C’era una scuola, con un maestrino che urlava da farsi scoppiare il torace. Un’allieva, sul fianco distrutto di un panzer aveva imparato a scrivere “Pa…”
C’era un concerto su un freddo torrente. Il tamburino, davanti al raduno, poté suonare: tra rivoli e scrosci non lo sentiva, purtroppo, nessuno. Ci fu un amore: lui quindici anni, dodici lei. In fondo al cortile, ben al riparo da sguardi indiscreti, lo pettinava con mano gentile. Poi venne il freddo, mettendo fine a quell’amore dolcissimo e breve. L’albero in fiore non sopravvive alle tremende bufere di neve. Ci fu perfino una guerra, scoppiata contro i bambini di un’altra schiera. Ma pure quella durò ben poco: un vero senso a lottare non c’era. Con la battaglia che ancora impazzava intorno a un vecchio casello distrutto, gli altri si accorsero che le provviste erano proprio finite del tutto. E quando l’altra parte lo seppe, un combattente si mise in moto per portar loro un po’ di patate: non si combatte a stomaco vuoto. E ci fu pure un tribunale, da due candele illuminato. Tutta l’udienza fu molto penosa: infine il giudice fu condannato.
Poi ci fu anche la sepoltura di quello che aveva il colletto in velluto. Al funerale, due bimbi tedeschi e due polacchi gli han dato il saluto.
Così protestanti, cattolici e nazi lo consegnarono al suolo nativo. Un altro piccolo, un socialista, parlò del futuro di chi resta vivo.
C’era speranza e c’era la fede. Ma il pane? La carne? Facevano senza. Non disprezzateli, se derubavano chi non voleva dar loro accoglienza. Non disprezzatelo, il pover’uomo che non accolse quella cinquantina. In certi casi il buon cuore non basta: ci vuole tanta, ma tanta farina.
E passarono diretti a Sud, là dove il sole a mezzogiorno sta dritto su in cielo.
SEGUE…