“La signora sedia aveva un cuore, ossia, lo chiedeva in prestito al gatto che le dormiva accanto. I gatti, il cuore, lo prestano sempre volentieri, mentre ai cani lo devi rubare.”
9 791255 070344
16,50 euro
NATA DUE VOLTE
DUE VOLTE
Letizia Muratori · Marta Lonardi
NATA
NATA
un racconto di
Letizia Muratori
DUE VOLTE illustrato da
Marta Lonardi
Letizia Muratori Marta Lonardi
NATA
DUE VOLTE
C’era una volta una sedia , figlia di una poltrona e di un trono .
Dal ramo materno, nobile famiglia di legni curvi, non aveva ereditato le gambe, solo la presenza di spirito. Mentre il padre, un re che si era fatto da sé, le aveva trasmesso quella rigidità che serve a sostenere almeno tre generazioni di sederi.
La sedia, la signora sedia, ai tempi di questa storia
aveva quasi cento anni.
Con la coda dell’occhio ne aveva viste a sufficienza per dirsi soddisfatta della sua lunga vita da salotto. Aveva ascoltato migliaia di conversazioni, anche perché per un periodo era stata declassata a sedia centralinista, collocata accanto al telefono.
Quante volte avrebbe voluto avere i braccioli per stringere gli infelici, o le mani, per accarezzarli. Ma riusciva solo a fargli il solletico ogni tanto grazie alla paglia di Vienna.
La signora sedia aveva un cuore, ossia, lo chiedeva in prestito al gatto che le dormiva accanto. I gatti, il cuore, lo prestano sempre volentieri, mentre ai cani lo devi rubare.
Nei confronti degli esseri umani la signora sedia provava anche risentimento.
C’erano giorni in cui avrebbe voluto schiodarsi e alzarsi in piedi, tanto per capire cosa si prova a vivere senza servire ma, non appena iniziava a scricchiolare, davano la colpa ai tarli. I proprietari, quelli che ancora tenevano a lei, l’avevano curata, spennellata di efficaci veleni.
Poi arrivarono tempi bui. Venne confinata in cantina a sorreggere vecchie scatole di giochi da tavolo. Le sue gambe dritte si erano un po’ gonfiate per via dell’umidità. Non sperava di rivedere mai più la luce del sole, certo non la sfiorava l’idea di un viaggio.
Chi poteva immaginare che una mattina sarebbero venuti a caricarla su un camion? «Piano! Che volete da me?» aveva reagito. Al solito si era illusa d’avere una voce umana. Figuratevi il miscuglio di emozioni che provava nel sentirsi all’improvviso afferrata e sollevata, quasi le batteva dentro il cuore, imprestabile, di un cane. È che non si era mai mossa da quel palazzo, c’era arrivata appena nata, e lì aveva trovato mamma poltrona e papà trono. I tre si sentivano parenti perché non si erano scelti a vicenda: qualcun altro, seguendo il gusto del momento o affidandosi al caso, li aveva disposti l’uno accanto all’altra.
SEGUE…