"L'ombra e il bagliore" - anteprima

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Jack London Fabian Negrin

Jack London

L’ombra e il bagliore

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L’ombra e il bagliore

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traduzione di Giorgia Grilli

orecchio acerbo

euro 29,50

Fabian Negrin


Jack London Titolo originale “The Shadow and the Flash”, 1903 © 2010, 2016 Fabian Negrin (illustrazioni) Grafica orecchio acerbo

© 2010, 2016 orecchio acerbo s.r.l. · Viale Aurelio Saffi, 54 · 00152 Roma Finito di stampare nel mese di novembre 2016 tramite Asia Pacific Offset, Cina, nel rispetto delle norme internazionali sul lavoro

L’ombra


e il bagliore

traduzione

Fabian Negrin di Giorgia

Grilli

postfazione di Goffredo

Fofi

orecchio acerbo


Quando ci ripenso, mi rendo conto di quanto fosse particolare quell’amicizia.

Da una parte c’era Lloyd Inwood, alto, slanciato, ben proporzionato, nervoso e bruno.



Dall’altra Paul Tichlorne, alto, slanciato, ben proporzionato, nervoso e biondo.



Erano uno la copia dell’altro, in tutto eccetto il colore. Gli occhi di Lloyd erano neri; quelli di Paul erano blu. Nei momenti di intensa eccitazione, il sangue faceva assumere un colorito olivastro al viso di Lloyd, paonazzo a quello di Paul. Ma a parte il colore, erano identici come due gocce d’acqua. Sempre con i nervi a fior di pelle, erano entrambi inclini a una concentrazione e a uno sforzo esagerati, e decisi a vivere la propria vita al massimo. Ma c’era un terzo coinvolto in quella singolare amicizia. Era basso, e grasso, e tozzo, e pigro e, mi vergogno a dirlo, si trattava di me.


Paul e Lloyd sembravano nati per rivaleggiare tra loro, e io per riappacificarli. Siamo cresciuti insieme, noi tre, e più di una volta ho finito per essere io la vittima dei loro scontri. Erano sempre in competizione, continuamente intenti a superarsi, e quando cominciavano una delle loro sfide non c’era limite ai loro sforzi e alla loro passione. Questo intenso spirito di rivalità si manifestava sia nei loro studi sia nei loro giochi. Se Paul imparava a memoria il cantico di un poema, Lloyd ne imparava due; allora Paul tornava con tre, e Lloyd di nuovo con quattro, fino a che non imparavano entrambi l’intero componimento. Ricordo un episodio accaduto allo stagno, un episodio tragicamente premonitore delle conseguenze della loro rivalità. Dei ragazzi si sfidavano a tuffarsi in uno stagno profondo circa tre metri e ad aggrapparsi alle radici sul fondo per vedere chi resistesse di più sott’acqua. Paul e Lloyd si lasciarono convincere a sfidarsi tuffandosi insieme. Quando vidi i loro volti, risoluti e determinati, scomparire nell’acqua mentre la fendevano nel tuffo, ebbi il presentimento di qualcosa di terribile. I secondi passarono in fretta, le increspature si distesero, lo stagno si fece placido e immobile senza che una testa, scura o dorata, tornasse a romperne la superficie in cerca d’aria. Noi di sopra cominciammo a preoccuparci. Il record del ragazzo più dotato era già stato superato, e ancora non c’era alcun segno di loro. Qualche bollicina saliva lentamente in superficie, provando che avevano espulso aria dai polmoni, ma dopo un po’ anche le bollicine cessarono. Ogni secondo divenne interminabile e, non potendo più sopportare la tensione, mi tuffai in acqua.


Li trovai sul fondo, avvinghiati alle radici, le teste vicinissime, gli occhi spalancati, gli uni fissi in quelli dell’altro. Stavano patendo incredibili tormenti, piegandosi e contorcendosi negli spasmi di un volontario soffocamento. Ma nessuno dei due era disposto a cedere e a riconoscersi sconfitto. Cercai di spezzare la presa di Paul alle radici, ma mi oppose una resistenza feroce. Poi, non potendo più trattenere il fiato, risalii in superficie, spaventato da morire. Spiegai velocemente la situazione e, questa volta, scendendo in cinque o sei, riuscimmo con la forza a staccarli e liberarli.

Quando li tirammo fuori erano entrambi svenuti e, solo dopo averli girati e rigirati, frizionati e pigiati per un bel po’, ripresero finalmente i sensi.




Sarebbero affogati laggiù, se nessuno fosse sceso a salvarli.


Quando Paul Tichlorne entrò all’università, lasciò Lloyd Inwood, che entrò nello stesso periodo, intendere che si sarebbe dedicato alle scienze sociali. si iscrisse al medesimo corso di studi.

Ma Paul aveva sempre segretamente pensato di studiare scienze naturali e specializzarsi in chimica, e all’ultimo momento cambiò indirizzo.

Sebbene Lloyd avesse già organizzato il suo anno accademico e assistito alle prime lezioni, immediatamente seguì la strada di Paul passando a scienze naturali con specializzazione in chimica.

La loro rivalità divenne ben presto nota in tutta l’università. Ciascuno era da sprone all’altro, e iniziarono ad approfondire gli studi di chimica come nessun altro studente aveva mai fatto prima. E in effetti, prima ancora di laurearsi, sarebbero stati in grado di mettere in imbarazzo qualunque professore di chimica o di agraria dell’ateneo, tutti eccetto il “vecchio” Moss, il direttore del Dipartimento, benché fossero riusciti più di una volta a suscitare anche in lui stupore e ammirazione. La scoperta di Lloyd del ‘bacillo della morte’ della rana pescatrice e gli esperimenti condotti su di essa col cianuro di potassio resero famoso il suo nome e quello dell’università in tutto il mondo;

né Paul fu da meno, riuscendo a realizzare colloidi di laboratorio capaci di riprodurre le attività dell’ameba. Riuscì inoltre a gettare nuova luce sui processi di fertilizzazione, grazie ai suoi sensazionali esperimenti in cui applicava alle forme inferiori di vita marina semplici soluzioni di cloruro di sodio e magnesio.

Erano ancora studenti, profondamente immersi nei misteri della chimica organica, quando Doris Van Benschoten irruppe nelle loro vite. Lloyd la conobbe per primo, ma nel giro di ventiquattro ore anche Paul fece in modo di conoscerla. Naturalmente se ne innamorarono, e lei divenne per entrambi l’unica cosa per cui valesse la pena vivere. La corteggiarono con eguale ardore e passione, e la lotta per conquistarla si fece così intensa che una buona metà degli studenti iniziò a scommettere forti somme sul risultato. Perfino il “vecchio” Moss, dopo una sensazionale dimostrazione di Paul, arrivò a puntare, riprovevolmente, un mese di stipendio sul fatto che sarebbe diventato lui lo sposo di Doris Van Benschoten. Alla fine lei risolse la questione a modo suo, con soddisfazione di tutti, ma non di Paul e Lloyd. Li chiamò tutti e due e disse loro che proprio non riusciva a scegliere perché li amava entrambi allo stesso modo e che sfortunatamente, poiché la poligamia non era ammessa negli Stati Uniti d’America, si vedeva costretta a rinunciare all’onore e alla felicità di sposare uno dei due. Paul e Lloyd si incolparono l’un l’altro del deplorevole risultato, e l’acredine fra loro si fece ancora più acuta.



Poi le cose precipitarono. Fu a casa mia, dopo che si erano laureati e ritirati a vita privata, che cominciò l’inizio della fine. Erano entrambi benestanti, con poco interesse e nessun bisogno di lavorare. La mia amicizia e la loro reciproca avversione erano le due sole cose che, in qualche modo, li legassero. Anche se venivano a trovarmi spesso, durante le visite cercavano con fastidiosa puntigliosità di evitarsi, ma, date le circostanze, era inevitabile che qualche volta si imbattessero l’uno nell’altro. Quel giorno, non lo dimenticherò mai, Paul Tichlorne aveva passato tutta la mattina nel mio studio, perso in una rivista scientifica. Questo mi aveva consentito di occuparmi delle mie cose, ed ero fuori tra le mie rose quando arrivò Lloyd Inwood e cominciammo a chiacchierare. Mentre tagliavo, potavo e fissavo i rampicanti al porticato con la bocca piena di chiodi e Lloyd mi seguiva dandomi ogni tanto una mano, finimmo per discutere della mitica razza degli invisibili, quel singolare popolo errante le cui tradizioni sono giunte fino a noi. Lloyd, con quel suo modo nervoso e sincopato, si accalorò nel discorso e cominciò ben presto a interrogarsi sulle proprietà fisiche e sulle possibilità dell’invisibilità. Un oggetto perfettamente nero, sosteneva, avrebbe potuto eludere e sfidare la vista più acuta.


Il colore è una sensazione. Non ha alcuna realtà oggettiva. Senza luce non possiamo vedere né i colori né gli oggetti stessi. Tutti gli oggetti sono neri al buio, e al buio è impossibile vederli.

Verissimo. E questo accade perché non sono perfettamente neri.

Se nessuna luce li colpisce, non rinvieranno nessuna luce all’occhio, e quindi non avremo alcun segno visibile della loro esistenza.

Se fossero perfettamente neri, neri in modo assoluto, non riusciremmo a vederli, nemmeno sotto la luce di mille soli!

Però gli oggetti neri, alla luce del giorno, li vediamo.

E quindi io sostengo che, con i pigmenti giusti, propriamente combinati, si potrebbe realizzare una vernice assolutamente nera che renderebbe invisibile qualsiasi cosa a cui venisse applicata.

Sarebbe una scoperta notevole.


Farei miei i segreti dei re e delle corti, scoprirei le macchinazioni dei diplomatici e dei politici, i trucchi degli speculatori, i piani delle società e dei gruppi finanziari. Avrei in pugno il cuore pulsante delle cose e diventerei l’uomo più potente del mondo.

Notevole? Direi proprio di sì. Dal momento che, vecchio mio, ricoprirmi di una simile vernice, significherebbe avere il mondo ai miei piedi.

E io...

...bene, io ho già cominciato gli esperimenti, e posso anche dirti che sono a buon punto.

ha, ha!

Una risata dalla soglia della porta ci sorprese. Paul Tichlorne era lì in piedi, un sorriso beffardo sul volto.

Tu dimentichi, mio caro Lloyd...

Dimentico cosa?


Dimentichi l’ombra.

Posso sempre portarmi un parasole, sai. Ascoltami bene, Paul. Sta’ alla larga da tutto questo, sarà meglio per te.

Non toccherei i tuoi sporchi pigmenti nemmeno con un dito.

Quand’anche, al di là delle più rosee aspettative, tu ottenessi qualche risultato ti troveresti comunque a fare i conti con l’ombra.

Trasparenza! Ma non la si può ottenere.

Non potrai liberartene. Io procederò invece nella direzione opposta.

L’ombra sarà eliminata dall’essenza stessa del mio progetto.

Oh, no. Certo che no.

E Paul scrollò le spalle e si allontanò lungo il sentiero delle rose canine.


Quello fu l’inizio.


I due uomini aggredirono il problema con tutta la tremenda energia per la quale erano famosi, e con un rancore e una durezza che mi facevano tremare al pensiero del successo di uno dei due. Entrambi si fidavano totalmente di me, e nelle lunghe settimane di sperimentazione che seguirono fui reso partecipe dell’uno e dell’altro progetto, ascoltai le loro teorie e fui testimone delle loro dimostrazioni. Mai, né a parole né a gesti, lasciai intendere all’uno il benché minimo indizio sui progressi dell’altro, e loro mi rispettavano proprio perché le mie labbra erano sigillate. Lloyd Inwood, che si applicava a lungo e senza interruzioni, quando la tensione della mente e del corpo si faceva insopportabile, aveva trovato uno strano modo di rilassarsi. Frequentava incontri di pugilato. Fu durante una di quelle brutali esibizioni, a cui mi aveva trascinato per raccontarmi i suoi ultimi risultati, che la sua teoria ricevette una straordinaria conferma. “Vedi quell’uomo con i baffi rossi?” mi domandò puntando il dito sulla quinta fila di sedie dalla parte opposta del ring. “E vedi l’uomo accanto a lui, quello col cappello bianco? Beh, c’è un certo spazio tra loro, non è così?” “Certo” risposi. “Sono seduti a una certa distanza. Lo spazio è quello di un posto libero.” Lui si sporse verso di me e mi parlò in tono serio. “Tra l’uomo con i baffi rossi e quello col cappello bianco è seduto Ben Wasson. Mi hai già sentito parlare di lui. Nella sua categoria è il miglior pugile del paese. È anche un nero dei Caraibi, nonché l’uomo più nero degli Stati Uniti. Indossa un cappotto nero tutto abbottonato. L’ho visto entrare e andarsi a sedere. Non appena si è seduto è scomparso. Guarda con attenzione, magari sorride.” Stavo per andare là a verificare le affermazioni di Lloyd, ma lui mi fermò. “Aspetta” disse. Io rimasi a guardare finché l’uomo coi baffi rossi non volse la testa verso la sedia libera; e allora, in quello spazio vuoto, vidi roteare il bianco di un paio d’occhi e la doppia mezzaluna di due file di denti, e per un istante riuscii a distinguere il volto di un nero. Ma, scomparso il sorriso, anche l’immagine sparì e la sedia sembrò di nuovo vuota. “Se fosse completamente nero, potresti sederti accanto a lui e non vederlo” disse Lloyd; e confesso che la dimostrazione era stata tale da convincermi quasi del tutto.




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