Saki · francesca pusceddu
Sredni Vashtar scese sul campo di battaglia.
Sredni Vashtar
I suoi pensieri erano rossi pensieri
e le zanne erano candide. I nemici invocarono pace,
un racconto di
Sredni Vashtar
9 788832 070132
Sredni Vashtar
€ 16,00
illustrato da
francesca pusceddu
ma lui portò morte.
il Magnifico.
Saki
Sredni Vashtar un racconto di
Saki
illustrato da
francesca pusceddu traduzione di
damiano abeni
Conradin aveva dieci anni, e secondo l’autorevole parere del dottore non sarebbe sopravvissuto nemmeno altri cinque anni. Il dottore era viscido e logoro, e contava poco o niente, ciò nonostante la sua opinione era ben accolta dalla Signora De Ropp, che invece contava più di tutto e tutti. La Signora De Ropp era cugina di Conradin, e a lei il ragazzino era stato dato in affidamento. Agli occhi di Conradin lei rappresentava quei tre quinti di mondo che sono ineludibili e spiacevoli e reali; gli altri due quinti, in perenne antagonismo con quei tre, si concentravano in se stesso e nella sua immaginazione.
Conradin pensava che un giorno o l’altro avrebbe dovuto soccombere alla dispotica pressione delle logoranti cose ineludibili, come ad esempio le malattie o la mancanza di dimostrazioni d’affetto o la noia interminabile. Senza la sua immaginazione, che si impennava spronata dalla solitudine, si sarebbe trovato a soccombere già da un bel po’.
La Signora De Ropp, anche nei momenti di più assoluta sincerità, non avrebbe mai e poi mai confessato a se stessa
che Conradin non le piaceva affatto, per quanto forse venisse sfiorata dalla vaga idea che il tarpargli le ali “per il suo bene” fosse un dovere che non le risultava particolarmente seccante.
Conradin la odiava con una disperata schiettezza, che riusciva a dissimulare alla perfezione. I pochi piaceri che era in grado di racimolare acquisivano un gusto più intenso al pensiero che con ogni probabilità avrebbero irritato la sua tutrice.
E lei – essere indegno – si trovava del tutto esclusa dal regno della sua immaginazione, in cui non sarebbe mai stata ammessa.
Trovava scarso sollievo nel giardino, squallido e bigio, sovrastato da una moltitudine di finestre pronte ad aprirsi ammonendolo di “non fare così, non fare cosà” oppure a ricordargli che era ora di prendere le medicine. I pochi alberi da frutto che vi crescevano erano rigorosamente controllati affinché lui non vi cogliesse nulla, come se si trattasse di rarissimi esemplari, rigogliosi in una terra desolata; mentre probabilmente sarebbe stato difficile trovare un fruttivendolo che offrisse anche solo dieci scellini per tutta la produzione dell’anno.
In un angolo dimenticato, però, quasi nascosto alle spalle di una lugubre accozzaglia di arbusti, c’era un capanno per gli attrezzi, di rispettabili dimensioni, e tra quelle pareti Conradin trovava rifugio sicuro, che di volta in volta prendeva l’aspetto di qualcosa tra una stanza dei giochi e una cattedrale. L’aveva popolato con una legione di fantasmi familiari, evocati in parte da frammenti di storia, in parte dal proprio cervello, ma quello spazio poteva vantare anche due coinquilini in carne e ossa. In un angolo abitava una gallina di razza Houdan, dalle piume arruffate, alla quale il bambino elargiva un affetto che a dire il vero non trovava altri sbocchi.
Ancora più addentro, al buio, c’era un’ampia conigliera, suddivisa in due comparti, uno dei quali era chiuso sul davanti da sbarre di ferro molto ravvicinate. E questa era la dimora di un grosso furetto, che un amico – garzone di un macellaio – una volta aveva portato di nascosto, con gabbia e tutto, nella destinazione attuale, in cambio di un piccolo tesoro di monetine d’argento a lungo serbato in segreto.
Conradin aveva una paura matta della flessuosa creatura dai denti aguzzi, ma era la cosa a cui teneva di più in assoluto. Quella mera presenza nel capanno degli attrezzi costituiva una gioia segreta che incuteva timore, e che andava scrupolosamente tenuta nascosta alla Donna, come tra sé e sé aveva soprannominato la cugina. E un bel giorno, solo il Cielo sa da quale tessuto, aveva confezionato un nome meraviglioso per la bestia, che da quel momento si era trasformata in divinità e religione.