Topo Tipo & Topo Tapo
Tipo, topo di campagna, invitò a pranzo Tapo, topo di città.
Sedettero, mangiarono cibi semplici, bevvero acqua fresca, parlarono.
Le code si muovevano lente, spazzando il pavimento.
Fuori c’era il fruscio del vento e il ronzio degli insetti.
«Bello e quieto, qui…» disse Tapo, bevendo il caffè. «Ma in città, amico mio, in città è tutta un’altra cosa!»
Tipo ascoltava, agitando baffi e orecchie, interessato e curioso.
«perché, un giorno, non vieni a trovarmi?» disse Tapo.
Tipo ci pensò su, ma non troppo a lungo.
Tre giorni dopo, al mattino, con baffi e coda che vibravano al vento, partì per la città.
arrivò, cercò Tapo, lo trovò e gli chiese: «Dov’è la tua casa?»
«Non ho una dimora fissa» rispose Tapo. «Tutte le case sono la mia casa: vieni con me!»
«Entriamo in questa!»
disse Tapo a un certo punto e, passando dal cortile, entrarono in una casa grande, con soffitti altissimi. Non c’erano topi in vista, però c’era qualcun altro, grosso, col pelo lungo, i baffi bianchi, la coda vaporosa, che ronfava su una sedia.
«Sst!» disse Tapo. «Meglio che non si svegli…»
Nella casa, qua e là, c’era un sacco di cibo, apparecchiato su tavolette di legno. «Che meraviglia!» disse Tipo, annusando. «Mangiamo?»
«Meglio mangiare da un’altra parte!» disse Tapo. «Questo cibo è molto, molto pericoloso!!» Tipo era stupito, ma non mangiò quel cibo, e nemmeno lo assaggiò.
Nella grande casa abitava qualcun altro, ancora più grosso del gatto addormentato.
«Meglio non farci trovare in giro…» sussurrò Tapo, zampettando lungo la parete.
Muovendosi con prudenza, girarono le stanze, videro cose, molte cose, strane e preziose.
però avevano fame.
Qualcosa da mangiare c’era, in quella casa: ma bisognava mandarlo giù in fretta, col cuore che batteva forte, col pelo dritto per la paura, perché
c’era sempre qualcuno che veniva, che passava, che andava. C’erano piedi pericolosi e sguardi minacciosi.