Edipo dopo Freud, Gtk books/01

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ISSN 2039-5337

EDIPODOPO FREUD di Giovanni Salonia e Antonio Sichera

maggio 2013/01

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traduzione di Edipo Re a cura di Guido Paduano

GESTALT THERAPY KAIROS


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Istituto Gestalt Therapy hcc Kairòs Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt

Nel quarto di secolo di attività l’Istituto ha contribuito in modo significativo alla storia e allo sviluppo della psicoterapia della Gestalt, formando un migliaio circa di psicoterapeuti e intrecciando, con numerosi Enti ed Organismi sia nazionali che internazionali, molteplici e proficui rapporti di collaborazione e affiliazione volti allo scambio scientifico e alla ricerca nell’ambito specifico della psicoterapia e delle relazioni di cura. Sin dalle origini, l’Istituto è stato in contatto con i fondatori della Psicoterapia della Gestalt allora viventi - Isadore From, Jim Simkin - e ha avuto cura di intraprendere scambi didattici e scientifici con gli esponenti più illustri della seconda generazione di terapeuti della Gestalt - E. Polster, M. Polster, S.M. Nevis, Ed Nevis, R. Kitzler e altri - impegnandosi in progetti di ricerca internazionali sulla teoria e la clinica della psicoterapia della Gestalt. L'istituto ha intessuto scambi didattici e scientifici con i più prestigiosi Istituti di terapia della gestalt italiani ed esteri e con le più accreditate associazioni di Gestalt Therapy nel mondo, con cui mantiene rapporti di collaborazione. Nel 2001 l’Istituto ha avviato una collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore per l’istituzione di Master di secondo livello, ad oggi 16 edizioni.

L’ISTITUTO ORGANIZZA ■ Master Universitari di secondo livello "Percorsi di prevenzione e di cura della sessualità. La Gestalt Therapy e le relazioni interpersonali" in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma. ■ Master Universitari di secondo livello “Mediazione familiare” in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore Facoltà di Psicologia di Milano ■ Corsi ECM Educazione Continua in Medicina AFFILIAZIONI EAGT (European Association for Gestalt Therapy), NYIGT (New York Institute for Gestalt Therapy), SIPG (Società Italiana di Psicoterapia della Gestalt), FISIG (Federazione Italiana Scuole e Istituti di Gestalt), CNSP (Coordinamento Nazionale Scuole Riconosciute), FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia). WEB www.gestaltherapy.it BLOG www.gestaltgtk.blogspot.it FORUM www.abusosessuale.forumattivo.it www.gestaltherapykairos.forumfree.it SEDI RICONOSCIUTE DAL MIUR Sicilia Ragusa / Lazio Roma / Veneto Venezia D.M. 9.5.94, D.M. 7.12.01 e D.M. 24.10.08 DIREZIONE DELLA SCUOLA E COMITATO SCIENTIFICO Giovanni Salonia Responsabile Scientifico Valeria Conte Responsabile Didattico Erminio Gius Membro del Comitato Scientifico


GTK books di GESTALT THERAPY KAIRÒS rivista di psicoterapia Direttore Scientifico Giovanni Salonia Direttore responsabile Orazio Mezzio Caporedattore Gaetano La Speme Rosaria Lisi Ufficio legale Silvia Distefano Comitato Scientifico Angela Ales Bello Vittoria Ardino Paola Argentino Eugenio Borgna Bruno Callieri †12 febbraio 2012 Vincenzo Cappelletti Piero Cavaleri Valeria Conte Ken Evans Sean Gaffney Erminio Gius Bin Kimura Marilena Menditto Aluette Merenda Rosa Grazia Romano Antonio Sichera Christine Stevens Editing e correzione di bozze Agata Pisana Progetto grafico Marco Lentini Illustrazioni Angelo Ruta Impaginazione Paolo Pluchino I testi di GTK Rivista di Psicoterapia e di GTK books sono sottoposti ad un sistema di double blind peer-review Tipografia Grafica Saturnia Siracusa

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GTK books di GESTALT THERAPY KAIRÒS rivista di psicoterapia. Indirizzo per la corrispondenza: GESTALT THERAPY KAIRÒS Rivista di psicoterapia Via Virgilio, n°10 97100 Ragusa Sicilia Italia Richieste: Editoriali +39 0932 682109 Abbonamenti +39 0932 682109 FAX +39 0932 682227 Email: redazione.gtk@gestaltherapy.it Website: www.gestaltherapy.it

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INDICE

INDICE Editoriale................................................................................... pag. 7 In questo numero............................................................... pag. 9 Edipo dopo Freud. Dalla legge del padre alla legge della relazione............................................ pag. 11 Giovanni Salonia Il trivio della condizione umana: tra verità e relazione, tra diade e triade E se invece gli dei non esistessero? Il triangolo primario: nell’Atene di Sofocle, nella Vienna di Freud, nella postmodernità Dal disagio del figlio al disagio del triangolo primario Dal trivio una nuova ermeneutica per la co-genitorialià Bibliografia Dalla frattura freudiana alla continuità gestaltica: lo scarto epistemologico di Gestalt Therapy...... pag. 49 Antonio Sichera L’inconscio e il suo oltrepassamento in una prospettiva storicoculturale La prima mossa: l’ermeneutica relazionale dell’inconscio La seconda mossa: lo scioglimento estetico Conclusioni rapide Edipo Re..................................................................................... pag. 61 Sofocle traduzione di Guido Paduano

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EDITORIALE

EDITORIALE Iniziamo con Edipo dopo Freud una nuova avventura di GTK. Dentro la grande cornice della nostra rivista abbiamo pensato infatti di immettere, anno per anno, dei numeri speciali – e dunque dei veri e propri libri – dedicati a temi di grande rilievo, rispetto ai quali la nostra ricerca sia già approdata a risultati abbastanza corposi e definitivi. Ecco, mentre la rivista vi dà conto della ricerca in progress, GTK Books sarà dedicato di volta in volta ai punti fermi del nostro lavoro clinico ed ermeneutico, quelli già giunti a consistente maturazione. Partiamo oggi da un punto archimedeo del sapere terapeutico, quello da cui tutto ha avuto origine: la storia di Edipo. L’avvio coincide con una domanda. Edipo dopo Freud si chiede infatti se resista ancora oggi la semantica freudiana della tragedia sofoclea o se nel nuovo contesto sociale e culturale non debbano essere riletti integralmente i significati dell’Edipo e i suoi fondamentali risvolti. Questo primo numero di GTK Books propone dunque un’ermeneutica gestaltica di questo nodo terapeutico essenziale, cercando di coniugare rigore epistemologico e fascino letterario, mentalità clinica e sguardo filosofico, esegesi testuale e riflessione estetica. Ne viene fuori un Edipo diverso, figlio del suo passato ma anche origine di un suo consapevole oltrepassamento. Il profilo di questo Edipo postfreudiano sarà messo in gioco, in prima battuta, in un grande convegno che Paola Argentino, con la solita passione e la consueta intelligenza, ha organizzato in occasione delle tragedie greche siracusane del maggio-giugno 2013. Da lì GTK Books prenderà il volo. Ultima ma non ultima cosa. Come tutto GTK, anche questo libro, così a lungo concepito e coltivato, deve tanto a Giovanna Giordano, al suo impegno, alla sua dedizione, alla sua competenza bibliografica. Per questo, ancora da qui desideriamo dirle grazie e ripetere una volta di più che le vogliamo bene.

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IN QUESTO NUMERO

IN QUESTO NUMERO

Giovanni Salonia pag. 11 Psicologo, psicoterapeuta, già docente di Psicologia Sociale presso l’Università LUMSA di Palermo. Insegna presso l’Università Pontificia Antonianum di Roma. Direttore Scientifico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt dell’Istituto di Gestalt Therapy hcc Kairos (Venezia, Roma, Ragusa) e dei master di II livello cogestiti con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Didatta conosciuto a livello internazionale e professore invitato presso numerose università italiane ed estere, ha scritto, oltre a numerosi articoli pubblicati in riviste estere e nazionali, Comunicazione Interpersonale (con H. Franta), Kairòs, Odòs, Sulla felicità e dintorni, che trattano sia tematiche antropologiche che cliniche. Direttore di GTK Rivista on line di Psicoterapia, è stato Presidente della FISIG (Federazione Italiana Scuole di Gestalt). Antonio Sichera pag. 49 Antonio Sichera insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania ed è docente di Fenomenologia ed Ermeneutica nella Scuola di Specializzazione post-universitaria dell’Istituto di Gestalt Therapy Kairos. Formatosi in Lessicografia e Semantica della lingua letteraria europea alla prestigiosa scuola catanese di Giuseppe Savoca, ha scritto saggi e monografie su Foscolo, Pasolini, Pavese, Pirandello, Montale, Quasimodo e su molti altri autori della contemporaneità letteraria, in un’ottica interdisciplinare ed ermeneutica. Si è occupato a più riprese di teoria della critica e dell’agire letterario, in rapporto con il sapere filosofico e teologico, fra Gadamer, Benjamin e Jossua. Sul versante clinico, è autore di diversi saggi sugli aspetti ermeneutici ed estetici della Gestalt Therapy. Ha tradotto dal greco (A Diogneto) e dal francese (diversi testi del Padre Jossua).

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Guido Paduano pag. 61 Professore ordinario di Letterature comparate e di Letteratura greca, oltre che di Drammaturgia classica all’Università di Pisa, dove insegna da anni. Direttore di Dioniso, la più prestigiosa rivista italiana di studi sul dramma antico. Ha dedicato ai testi classici numerose monografie ed edizioni commentate, tra cui si ricordano l’edizione di Sofocle (Torino 1982), di Menandro (Milano 1980) e la cura di molte opere di Aristofane, Euripide, Plauto ed altri. In particolare tra le sue pubblicazioni: Lunga storia di Edipo Re: Freud, Sofocle e il teatro occidentale (Torino 1994).

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GIOVANNI SALONIA

EDIPO DOPO FREUD DALLA LEGGE DEL PADRE ALLA LEGGE DELLA RELAZIONE Giovanni Salonia

1. Il trivio della condizione umana: tra verità e relazione, tra diade e triade «Giocasta: Laio… venne assassinato nel trivio (Edipo Re, 716). Edipo: Che smarrimento, che turbamento dell’animo mi ha preso ad ascoltare le tue parole, o donna! Giocasta: Perché ti volti indietro? Quale ansia ti sconvolge? Edipo: Mi è parso di udire da te che Laio fu assassinato presso1 il trivio» (Edipo Re, 726-730).

Nell’ermeneutica della GT, ogni disturbo psichico rivela (e deriva da) un’ interruzione del processo di avvicinamento dell’O. all’A.

Alla parola ‘trivio’ pronunciata da Giocasta, Edipo ha un sussulto della memoria e una reazione intensa, profonda: in cuor suo spera di aver frainteso e ‘con timore e tremore’ chiede conferma, sostituendo il chiaro en (en triplaìs amaxitoìs) di Giocasta con un approssimativo pròs (pròs triplaìs amaxitoìs). Ma una crepa ormai si è aperta nelle sue certezze sottoposte da alcune ore a duri attacchi. La parola ‘trivio’ ha aperto una fessura nella cecità di Edipo, è diventata l’indizio principe nell’indagine che lo porterà allo svelamento della verità (non è stato detto che la ricerca della verità altro non è che l’arte e la scienza degli indizi?). In realtà, il trivio è stato il luogo del mancato riconoscimento e della crisi: il trivio è lo spartiacque nella vita dei protagonisti e nella trama della tragedia. Prima di arrivare a quel trivio, l’esistenza di Laio e di Edipo sembrava scorrere piuttosto se-

1 I corsivi sono miei. Torno su Edipo alla fine di un percorso che ha già avuto diverse tappe: G. Salonia (2010), Edipo dopo Freud. Una nuova gestalt per il triangolo primario, in D. Cavanna, A. Salvini (edd.), Per una psicologia dell’agire umano. Scritti in onore di Erminio Gius, Franco Angeli, Milano, 344-358; G. Salonia (2005), Il lungo viaggio di Edipo: dalla legge del padre alla verità della relazione, in P. Argentino (ed.), Tragedie greche e psicopatologia, Medicalink Publishers, Siracusa, 29-46.

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rena: il primo era re, il secondo figlio di re. È vero, però, che entrambi, in tempi diversi, erano stati torturati da un tormento di differenti forme ma di contenuti convergenti: Edipo non riusciva a dimenticare l’ingiuria di ‘’bastardo’ rivoltagli a cena da un commensale ormai ubriaco e, nonostante le rassicurazioni dei genitori, continuava a chiedersi chi fossero i suoi veri genitori (non è presente, in fondo, in ogni infanzia, la paura di non essere figlio ma trovatello?); Laio, dal canto suo, non riusciva ad essere del tutto sereno da quando, ubriaco (ecco anche qui il vino che rompe l’ordine delle apparenze), si era congiunto con Giocasta generando un figlio che, nel presagio maledetto, l’avrebbe ucciso. Tutti e due – padre e figlio – si recano a Delfi per interrogare l’oracolo: Edipo vuole conoscere il proprio passato (Quali sono le mie origini?), Laio il proprio futuro (Quale sarà la mia morte?). In quel trivio si incontrano e si scontrano le domande cruciali della condizione umana: il mistero delle origini e quello della fine. In quel trivio i protagonisti della tragedia, attratti dalla stessa trama (ovvero dalla stessa anànke: la ‘’necessità’, il destino) si incontrano, ma non si riconoscono. È questo il cuore della tragedia: la verità che cercano è lì, a portata di mano, ma essi sono accecati e non la sanno vedere. Poiché non si riconoscono, non si conoscono: da tempo, forse, non ascoltano – hanno dimenticato! – la voce del cuore e la voce del sangue. Eppure, da sempre, sul frontone del tempio era scolpita la frase che della saggezza segnava l’inizio: Gnòti seautòn (Conosci te stesso)! È intrigante e suggestivo questo incontrarsi e non riconoscersi di Laio e di Edipo proprio nel momento in cui appaiono entrambi altamente interessati alla ricerca della trama della loro esistenza. Giunti a quella strettoia che converge in tre strade, non riescono ad imboccare la via della verità. Paradossalmente la verità è lì, è nell’altro che hanno di fronte, ma non la riconoscono. La ricercano fuori, altrove. Non sanno che la verità non è a Delfi ma è nel trivio2. Chissà, forse la verità di cui abbiamo

2 Emde, in una rilettura motivazionale-relazionale si sofferma sul trivio – l’incrociarsi di tre strade – come copresenza di tre punti di vista sull’Edipo: Edipo provocatore (prospettiva intrapsichica), Edipo vittima (lettura intergenerazionale), Edipo ricercatore

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È questo il cuore della tragedia: la verità che cercano è lì, a portata di mano, ma essi sono accecati e non la sanno vedere. Poiché non si riconoscono, non si conoscono: da tempo, forse, non ascoltano – hanno dimenticato! – la voce del cuore e la voce del sangue.

La verità è lì, è nell’altro che hanno di fronte, ma non la riconoscono


Forse la verità di cui abbiamo bisogno è sempre e comunque nel presente o, meglio, nel presente dell’incontro con l’altro.

Forse abbiamo bisogno di un nuovo paradigma conoscitivo per scoprire la verità che dimora nel presente di ogni incontro.

bisogno è sempre e comunque nel presente o, meglio, nel presente dell’incontro con l’altro. Aveva ragione T.S. Eliot: ci vuole una lunga strada, un lungo viaggio per arrivare al presente3. Forse abbiamo bisogno di un nuovo paradigma conoscitivo per scoprire la verità che dimora nel presente di ogni incontro. Il trivio diventa così il luogo in cui la verità è contestualmente velata e pronta per disvelarsi. Ma cosa ha reso Laio ed Edipo ciechi ancor prima di arrivare al trivio? È noto – ce lo ricorda Platone nel Protagora – che i primi sapienti (i sette Savi), consacrarono ad Apollo la primizia della loro sophìa scrivendo, accanto al ‘conosci te stesso’, medèn àgan: niente di troppo4. Vi è un nesso intimo di dipendenza – dice Cacciari5 – tra il conoscere se stessi e l’evitare ogni forma di hybris, ogni tipo di prepotenza, ogni eccesso. Sia Laio che Edipo sono accecati dalla hybris. Edipo stesso, ormai vecchio e sconfitto, riconoscerà, a Colono, di aver pagato a duro prezzo l’apprendimento di questa sophìa: «A sapermi accontentare mi hanno insegnato le sofferenze» (Edipo a Colono, 4). Risuona il pathéi màthos (imparare attraverso la sofferenza) di Eschilo. Ma al tempo del trivio Edipo non aveva ancora conosciuto, o meglio ri-conosciuto e attraversato, la sofferenza che si portava dentro. Non solo i suoi piedi (secondo un racconto etimologico), ma anche il suo cuore era stato trafitto. Lui però, non sapendolo, aveva negato e blindato il suo dolore con l’arroganza e con il senso di superiorità. Una storia, quella di Edipo, iniziata male, molto male. Un padre e una madre che lo vogliono uccidere alla nascita: hanno paura di lui, incipit drammatico e antico.

(visione sistemica). Cfr. R.N. Emde (1991), L’incrociarsi di tre strade: un cambiamento di punto di vista nella storia psicanalitica di Edipo, in M. Ammaniti, D. Stern (edd.), Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Roma-Bari. 3 Cfr. T.S. Eliot (1989) (ed. or. 1959), Quattro quartetti, Garzanti, Milano. 4 Cfr. Platone (1979), Protagora, in Id., Opere complete, Laterza, Roma-Bari, vol. V, XXVIIIb. 5 M. Cacciari (1992), Conosci te stesso, in AA.VV., La norma nella vita morale del cristiano, Atti del Convegno (a cura di S. Ronca), Ed. Studio Teologico Cappuccini, Milano, 49-57.

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Un contadino che non esegue l’omicidio comandatogli, così che Edipo si trova adottato dai sovrani di Corinto. Cresce lontano dalla sua vera famiglia e cresce come il più forte, il più arrogante dei giovani della sua età. La sua forza e la sua sfrontatezza renderanno più credibile a lui (come agli altri) il sospetto di non essere figlio di Polibio, re mite e impaurito. Edipo è abituato a vincere sempre. Quando, nell’Edipo Re, egli chiede con insistenza di stare ancora con le proprie figlie (Antigone e Ismene), Creonte gli dirà infastidito: «Non puoi vincere sempre» (Edipo Re, 1524). Edipo in fin dei conti (lo si scoprirà alla fine) è stato ingannato anche dalla Sfinge. È vero. Colui che decifra gli enigmi ha vinto e ha salvato Tebe, ma non si è accorto di un tranello: avrebbe dovuto intuire che nella sfida della Sfinge era nascosto un pericolo più sottile: la hybris, appunto. Non era forse la Sfinge chiamata la ‘cagna incantatrice’, la strangolatrice, la ‘femmina perversa’? Quando la scoperta della verità crea orgoglio e arroganza si risolve sempre in dannazione. Hybris e alètheia (orgoglio e verità) sono inconciliabili. In effetti, Edipo ha risolto l’enigma sull’uomo (la voce con quattro, due e tre gambe), ma non ha compreso che l’uomo non è un enigma, bensì un mistero. E il mistero più grande siamo noi a noi stessi. La soluzione dell’enigma ha accecato Edipo nell’indagine sul mistero di se stesso. Non era questa la sophìa greca: entrare in se stessi? Colui che ha sconfitto la Sfinge sa chi è l’uomo ma non sa chi è Edipo, e non solo. La qualità dei due saperi resta distinta e per molti versi alternativa: la conoscenza dell’universale non coincide con la saggia consapevolezza di sé. Pure Laio è cresciuto come un cieco. Anche la sua è stata una storia drammatica. Rimasto orfano del padre Labdaco ad un anno, ha sperimentato la violenza di due tutori. Solo alla loro morte ha potuto riavere il trono. Ha dunque vissuto un rapporto travagliato con le figure maschili di riferimento. E la sua rovina sarà appunto questo bisogno di contatto con un corpo maschile. Il suo amore omosessuale (il primo, secondo alcuni) verso Crisippo, figlio dell’ospite, sarà per la dea Era la causa della maledizione: «Non devi avere figli, e se do-

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Quando la scoperta della verità crea orgoglio e arroganza si risolve sempre in dannazione

Edipo ha risolto l’enigma sull’uomo (la voce con quattro, due e tre gambe), ma non ha compreso che l’uomo non è un enigma, bensì un mistero. E il mistero più grande siamo noi a noi stessi.


Non si può essere interessati alla ricerca della verità e lottare per la precedenza

Solo cedendo il passo, attardandosi nel rispetto dell’altro e della realtà, ci si accorge che la verità non è un oggetto da depredare o di cui impossessarsi, ma va attesa e cercata assieme, perché a tutti appartiene e a tutti si mostra: nella realtà, così come essa fenomenologicamente si presenta, nella rosa così come appare, nel volto dell’altro, che ne mostra le tracce e la direzione

L’uomo è abituato ad interrogarsi sulla responsabilità del proprio destino, spesso percepito come gioco (e giogo) imposto dagli dei, ma rimane cieco sulle scelte di morte che ha operato nel presente

vessi averne, tuo figlio ti ucciderà»6. Laio, secondo un antico rito, ferisce Edipo ai piedi per non essere inseguito dalla sua ombra. Ed ecco che invece, nel trivio, se lo trova di fronte. Ma non lo sa. Restano l’uno di fronte all’altro, entrambi accecati dalla paura e dall’orgoglio, sentimenti dal confine incerto che si riversano come fiumi nel mare della collera. Edipo e Laio trasudano hybris e lottano per la precedenza: A chi tocca? Al re o al passante? Al giovane o all’anziano? È questo l’errore di fondo: non si può essere interessati alla ricerca della verità e lottare per la precedenza. Sulla strada che porta alla verità bisogna sempre dare la precedenza all’altro. Solo cedendo il passo, attardandosi nel rispetto dell’altro e della realtà, ci si accorge che la verità non è un oggetto da depredare o di cui impossessarsi, ma va attesa («Non ha bisogno del forcipe», canta Whitman7) e cercata assieme, perché a tutti appartiene e a tutti si mostra: nella realtà, così come essa fenomenologicamente si presenta, nella rosa così come appare, nel volto dell’altro, che ne mostra le tracce e la direzione. Nel trivio, quindi, mentre rimane velata la verità di cui Laio e Edipo sono in cerca (e che li avrebbe salvati), si rivela purtroppo l’altra realtà, quella foriera di morte, della loro hybris, antica e ostinata. La hybris porta alla morte: muore Laio e muore anche Edipo. Inizia così il primo atto della tragedia. Ed è interessante notare che, mentre si sentirà (e a ben ragione) sfortunato perché colpito da un destino ingiusto, voluto dagli dei che lo condannano per una colpa non commessa lucidamente, Edipo non si accorgerà e non riconoscerà la responsabilità di quel primo gesto (la prevaricazione sull’anziano) da cui prende le mosse la tragedia. L’uomo è abituato ad interrogarsi sulla responsabilità del proprio destino, spesso percepito come gioco (e giogo) imposto dagli dei, ma rimane cieco sulle scelte di morte che ha operato nel presente. Edipo ha una colpa: aver ucciso un vecchio che pretendeva di passare per primo. Quel vecchio era suo padre, ma lui non lo sapeva8. Non colpevole

6 Cfr. Igino (2000), Miti, a cura di G. Guidorizzi, Adelphi, Milano. 7 All truths wait in all things,/… / They do not need the obstretic forceps…. Cfr. W. Whitman (1988) (ed. or. 1950), Foglie d’erba, BUR, Milano, 148. 8 In Edipo a Colono Edipo si giustificherà di fronte a Creonte:

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della morte del padre, quindi, ma colpevole della morte di un uomo. Questo è il dramma oscuro della condizione umana: Come si fa a sapere se la persona che stai uccidendo non ha, per caso, il tuo stesso sangue? Ma – è proprio il caso di incalzare – fino a che punto si può dichiarare estraneo ad ognuno di noi il sangue di un altro uomo? Il trivio è il luogo del dramma: il luogo dove si decidono le sorti. Luogo dell’incontro che può diventare rivelazione e riconoscimento della comunione di sangue o, come purtroppo accade ad Edipo e a Laio, luogo dell’arroganza, del non-riconoscimento e, quindi, della morte. Siamo partiti, assieme a Edipo e a Laio, alla ricerca della verità e ci siamo ritrovati nel trivio delle relazioni. Abbiamo scoperto che verità e relazione sono intimamente connesse9. Ancora di più: chi pensa di possedere la verità si può trasformare, come ci insegna la storia, in un omicida. La forza della verità è distruttrice se si sprigiona fuori dal cerchio della relazione. Qualità intimamente costitutiva della verità è la relazionalità, il suo essere inevitabilmente dialogica perché irrimediabilmente contestualizzata nelle coordinate spazio-temporali. La verità smarrisce se stessa quando, divenendo pretestuosa e presuntuosa, si sottrae alla relazione. È stato scritto che la verità, per essere tale, deve essere ‘’crocifissa’10 e cioè ‘’sottoposta’ (è questo il senso della hypomonè: la capacità di dare sostegno) alle fatiche dell’umano incontrarsi. In altre parole, entrando nel trivio della verità si accede al triangolo delle relazioni. La relazione non è, infatti, solamente il grembo dove può nascere la verità, ma è essa stessa la verità che cerchiamo. In fondo, quella che cercano Laio ed Edipo è appunto la verità delle loro relazioni: Chi è mio padre? Chi mi ha dato i natali? Chi è mio figlio? Chi mi farà morire?

«Spiegami, dunque: se un divino oracolo / giunse a mio padre, che morir dovrebbe / per man del figlio suo, con che giustizia / la colpa attribuir vorresti a me, / che né dal padre ancor, né dalla madre / i germi accolti non avea dell’essere / concepito non ero?» (Edipo a Colono, 962-968). 9 Cfr. G. Salonia (2007), Odòs. La via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, EDB, Bologna, in particolare il capitolo: La vocazione fra innamoramento e verità, 147-154. 10 G. Ruggieri (2007), La verità crocifissa, Carocci, Roma.

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Come si fa a sapere se la persona che stai uccidendo non ha, per caso, il tuo stesso sangue? Ma – è proprio il caso di incalzare – fino a che punto si può dichiarare estraneo ad ognuno di noi il sangue di un altro uomo?

La verità smarrisce se stessa quando, divenendo pretestuosa e presuntuosa, si sottrae alla relazione

Entrando nel trivio della verità si accede al triangolo delle relazioni. La relazione non è, infatti, solamente il grembo dove può nascere la verità, ma è essa stessa la verità che cerchiamo


Ma se Giocasta fosse stata presente nel trivio, Edipo e Laio si sarebbero riconosciuti? Se nel trivio fosse stato presente quel corpo di donna dentro il quale entrambi, in modo diverso, avevano dimorato, padre e figlio avrebbero riconosciuto il legame di sangue che nel ventre di Giocasta era germinato?

Non la diade ma il triangolo è la matrice primaria dell’incontro e della vita

Padre e figlio si cercano con sentimenti opposti: Edipo vuole sapere chi è il padre (non nutre intenzioni omicide), Laio vuole sapere se è riuscito ad uccidere il figlio (ovvero ad evitare di ricevere la morte da colui al quale ha dato la vita). Nel trivio vengono cambiate le carte del gioco: Edipo si ritrova ad uccidere colui che invece cercava e Laio ad essere ucciso da colui che aveva tentato di uccidere. È terribile come la vita (o la divinità) si prenda gioco di due ciechi che non sanno di esserlo. Edipo stesso riconoscerà di vedere molte più cose solo dopo essersi trafitti gli occhi. In questo trivio – se non vogliamo essere ciechi (come Sofocle?) – è assente una persona precisa: ci sono Edipo e Laio, ma manca Giocasta. È decisiva questa assenza, nella realtà e nella metafora. Viene da chiedersi: ma se Giocasta fosse stata presente nel trivio, Edipo e Laio si sarebbero riconosciuti? Se nel trivio fosse stato presente quel corpo di donna dentro il quale entrambi, in modo diverso, avevano dimorato, padre e figlio avrebbero riconosciuto il legame di sangue che nel ventre di Giocasta era germinato? Se fosse stata presente la donna, colei che, per definizione, presiede alla vita, Laio e Edipo avrebbero avuto il coraggio di sfidare e mutare il loro destino di morte rimanendo vivi? Forse, se Giocasta fosse stata in quel trivio, se ne sarebbe rivelata l’essenza intima: non la diade ma il triangolo è la matrice primaria dell’incontro e della vita. Ma su questo torneremo più avanti. Indaghiamo adesso le altre presenze non visibili nel trivio. Ritorniamo al punto di partenza: perché Laio ed Edipo nel trivio non si riconoscono? Sofocle colloca la risposta nell’Olimpo: sono gli dei che non lo vogliono perchè c’è da far avverare una maledizione. La hybris che acceca il padre e il figlio trarrebbe dunque la propria origine dagli dei. Sono gli dei che hanno deciso quel che deve accadere e perché accada accecano i vedenti, i quali, resisi conto di questo destino, si autoaccecano, quasi a denunciare e a vendicare la grande ingiustizia, il grande inganno: la verità – anche quella che ci riguarda! – non ci appartiene. È necessario, allora, andare a Delfi a consultare l’oracolo per sapere che cosa l’Olimpo ha deciso su di noi senza consultarci.

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2. E se invece gli dei non esistessero? E se i presagi divini fossero semplicemente voci del cuore non ascoltate? E se l’uomo diventasse pericoloso (omicida) quando fa degli dei uno schermo per non vedere l’altro? La coppia Laio-Edipo non si riconosce perché, quando nel trivio guarda nella direzione degli dei, percepisce l’altro come ostacolo invece che come compagno di viaggio. Gli dei – potremmo leggere Sofocle così – rischiano sempre di diventare (e quante volte è accaduto nella storia!) i nemici dell’alterità. Freud non crede negli dei e sostituisce l’Olimpo con l’inconscio: la verità dell’uomo non dimora più presso gli dei, ma dentro l’uomo, in uno spazio interiore a lui stesso sconosciuto. L’uomo si acceca, inconsapevolmente, per non guardare in faccia i propri inferi. L’inconscio freudiano, mentre laicizza la verità, dona al contempo un orizzonte di senso alla follia: ogni follia (dalla psicosi al lapsus!) ritrova nell’inconscio la possibilità di essere decodificata, ossia il proprio senso nascosto e dinamico. Come Mosè liberò il popolo ebraico dall’Egitto, così Freud libera la condizione umana dalla deriva del non-senso (e della Narrenschiff11). Sigmund, quindi, non solo come ‘maestro del sospetto’, ma anche come maestro di senso e di produzione di senso. Le ‘libere associazioni’ sono lì a dimostrarlo: al paziente che ha pronunciato parole senza nesso logico e grammaticale viene riconsegnato un puzzle coerente, una trama che rivela il senso compiuto e avvincente di quelle parole destinate altrimenti a restare flatus vocis12.

11 Cfr., al riguardo, P. Argentino, Dalla Narrenschiff al ‘divenire fiori’: la danza dell’incontro nelle strutture psichiatriche, in G. Salonia, V. Conte, P. Argentino, Devo sapere subito se sono vivo. Saggi di psicopatologia gestaltica, Il pozzo di Giacobbe, Trapani, in press. 12 È vero: non si tratta, in realtà, di una invenzione di Freud, in quanto la tecnica delle libere associazioni come ricerca del settantunesimo senso veniva attuata da ogni comunità ebraica come metodo di lettura della Torah. Cfr. P. De Benedetti (2006), Ciò che tarda avverrà, Qiqajon, Torino. Per quanto riguarda i rapporti fra Freud e l’Ebraismo, cfr. anche D. Meghnagi (1997), Il padre e la legge. Freud e l’ebraismo, Marsilio Editori, Venezia.

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E se l’uomo diventasse pericoloso (omicida) quando fa degli dei uno schermo per non vedere l’altro?


Anche il dio inconscio come strumento di conoscenza dell’altro sembra oggi essere arrivato al copolinea

L’inconscio, come ogni Olimpo, espropria infine l’uomo della sua verità, consegnandola ad un altro

La verità dell’uomo non è più nascosta nei cieli, ma si muove nell’inconscio, anche se ardua rimane l’impresa di accedervi. L’inconscio freudiano assume le forme del divino: inconoscibile, imprendibile, inaccessibile. Per entrarci dentro è necessario apprenderne la semantica e la grammatica, quei codici segreti che permettono lo svelamento del significato celato (o malcelato?) di ogni comportamento. Operazione questa che sarà svolta dai ‘sacerdoti dell’inconscio’, gli analisti, ai quali Freud chiede l’analisi personale come itinerario di umiltà e di rispetto per l’altro, così da ridurre il rischio di quegli offuscamenti che l’inconscio del sacerdos può determinare. La verità inconscia dell’altro è sempre e comunque ‘roveto ardente’, per cui è necessario togliersi i calzari del potere e dell’orgoglio prima di accedervi. Secondo Freud, insomma, non a Delfi sarebbe dovuto andare Edipo ma dal sacerdote dell’inconscio, per smascherare gli istinti nascosti che nel profondo lo torturano e lo spingono: nella fattispecie, la passione amorosa per la madre e quella omicida per il padre13. Ecco il punto per noi. Anche il dio inconscio come strumento di conoscenza dell’altro sembra oggi essere arrivato al capolinea14. L’orizzonte gestaltico propone perciò una via diversa, una parola nuova: spostiamo l’interesse dal materiale che viene dall’inconscio a quanto emerge dal contatto con il terapeuta15. L’inconscio, infatti, come ogni Olimpo, espropria infine l’uomo della sua verità, consegnandola ad un altro. Ma come si fa ad essere terapeuti, ad avere un ruolo decisivo e dunque un potere sulla verità dell’altro accogliendo al contempo la verità che egli ci consegna? Un’esemplificazione didattica: Gabbard racconta di una sua paziente che si era indispettita nel momento in cui lui, alla fine della seduta, aveva guardato l’orologio per accertarsi del tempo ancora eventualmente disponibile per un altro intervento. Gesto percepito dal-

13 Il nome ‘Edipo’ significa ‘piede gonfio’, in riferimento al fatto che al momento della nascita il padre Laio praticò due fori ai piede del piccolo. 14 Cfr. A. Sichera, Dalla frattura freudiana alla continuità gestaltica: lo scarto epistemologico di Gestalt Therapy, cfr. infra. 15 I. From, (1993), Seminari di Gestalt Therapy, Souillac, (pro manuscripto).

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la paziente come un segno di squalifica, a tal punto da farle esclamare, dinanzi ai tentativi di spiegazione del terapeuta: «Bel tentativo di cavarsela! Pensa che io ci creda?». Gabbard racconta di aver risposto: «Che lo creda o no, questa è la verità!». Poi commenta: «una delle più grandi sfide per lo psicoterapeuta è gestire queste convinzioni simil-deliranti di alcuni pazienti borderline»16. La posizione di fronte a questo commento è fondamentale. Dal mio punto di vista, l’appellarsi all’inconscio nei conflitti rischia di trasformarsi in un esercizio di potere nei confronti dell’altro. Cerco di spiegarmi. Nella postmodernità si attua la transizione da una società patriarcale ad una società orizzontale17, dove diventa centrale la soggettività. Si invoca ormai la morte degli dei, dei padri ma anche del dio inconscio. Ognuno è artefice e protagonista del proprio destino. È come se si scoprisse l’esistenza di un luogo nuovo in cui è nascosta la verità. Un luogo che non si definisce Olimpo, che non vuole monopoli e non ha poteri sulla verità, ma che è aperto a tutti, una sorta di ‘terra di nessuno’ o ‘terra di tutti’18. È come il compimento della previsione di Heidegger: siamo troppo maturi per credere negli dei. Non negli oracoli divini, non nelle interpretazioni del mondo inconscio, ma nel dialogo fenomenologico è nascosta e si svela la verità dell’uomo. Come a dire che anche nei contesti asimmetrici19 il dialogo rimane fenomenologico, non può

16 Cfr. G.O. Gabbard (2006), Mente, cervello e disturbi di personalità, in «Psicoterapie e Scienze Umane», XL, 1, 9-24. 17 Cfr. L.M. Friedman (2002) (ed. or. 1999), La società orizzontale, Il Mulino, Bologna. 18 Al riguardo, G. Salonia (2011), Sulla felicità e dintorni. Fra corpo, parola e tempo, Il pozzo di Giacobbe, Trapani, in particolare il cap. Nella terra di nessuno, 101-106. 19 Il fatto che M. Buber – nel famoso dialogo con C. Rogers – non riconoscesse la relazione terapeuta-paziente come relazione genuinamente umana è da attribuire verosimilmente al fatto che nella sua teoria sul dialogo non dedica molta attenzione allo sviluppo del bambino, che richiede una relazione dialogica asimmetrica ma non per questo non genuinamente umana. Cfr. M.B. Rosenberg (2003), Le parole sono finestre (oppure muri), Esserci, Reggio Emilia, 210-211.

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Dal mio punto di vista, l’appellarsi all’inconscio nei conflitti rischia di trasformarsi in un esercizio di potere nei confronti dell’altro

Non negli oracoli divini, non nelle interpretazioni del mondo inconscio, ma nel dialogo fenomenologico è nascosta e si svela la verità dell’uomo


prendere la forma della maieutica socratica20 (gioco sottile tra chi sa e chi non sa), ma si colloca nell’ovvio fenomenologico che è la profondità della superficie21. Il dialogo terapeutico fenomenologico prende le mosse dall’empatia – requisito necessario ma non sufficiente – nelle sue varie declinazioni22 e perviene al ‘confine di contatto’, ossia alla traità terapeutica della Gestalt Therapy. La fenomenologia richiede un cambio radicale di paradigma, come già affermava Husserl: «Forse, verrà dimostrato che l’atteggiamento fenomenologico totale (totale phänomenologische Einstellung) e l’epoché che ne fa parte sono chiamati per loro essenza a produrre prima di tutto un cambiamento personale (personale Wandlung) che dovrebbe essere paragonato in una prima analisi con una conversione religiosa (religïosen Umkehrung), ma che di più ancora porta con sé il senso della

20 Cfr. G. Salonia (1999), Dialogare nel tempo della frammentazione, in F. Armetta, M. Naro (edd.), Impense adlaboravit, Pontificia Facoltà Teologica, Palermo, 572-595. 21 Al riguardo, P.A. Cavaleri (2003), La profondità della superficie. Percorsi introduttivi alla Psicoterapia della Gestalt, Franco Angeli, Milano. 22 L’empatia come comprensione del vissuto dell’altro così come l’altro lo percepisce è stata studiata a livello filosofico (se e come è possibile comprendere un altro) Cfr., rispettivamente, da E. Stein; a livello psichiatrico (il Verstehen dell’Einfülung: comprendere per empatia e non spiegare) da K. Jaspers; nella psicoterapia (la risposta empatica come intervento privilegiato) da C. Rogers; come intervento propedeutico all’interpretazione da H. Kohut; come riconoscimento e sociale da A. Honneth; come riconoscimento e apprendimento dei vissuti del bambino dall’Infant Research. Cfr. E. Stein (1985) (ed. or. 1917), Il problema dell’empatia, Edizioni Studium, Roma; K. Jaspers, Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 1968, (ed. or. 1913); C. Rogers (1970) (ed. or. 1951), La Terapia Centrata sul Cliente, Martinelli, Firenze; H. Kohut (1976) (ed. or. 1971), Narcisismo e analisi del Sé, Boringhieri, Torino; A. Honneth (2002) (ed. or. 1992), Lotta per il riconoscimento. Proposte per un’etica del conflitto, Il Saggiatore, Milano; C. Trevarthen (1998) (ed. or. 1997), Empatia e biologia, Raffaello Cortina, Milano. Ormai risaputa la base organica dell’empatia dopo gli studi sui ‘neuroni specchio’ di Rizzolatti: G. Rizzolatti, C. Sinigaglia (2006), So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina, Milano. Per la comunicazione fenomenologica (comunicazione rappresentativa, descrittiva, empatica), cfr. H. Franta, G. Salonia (1979), Comunicazione interpersonale, LAS, Roma.

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più grande metamorfosi esistenziale (existenziellen Wandlung) che sia stata affidata all’umanità in quanto tale»23. Si tratta dunque di una conversione, di un modo diverso di disporsi nei confronti del mondo e dell’altro che ha la stessa portata e la medesima intensità dell’evento religioso. Ritorna Heidegger: siamo ‘poco maturi per credere in un dio’. Ma quale dio? L’ultimo dio, quello che potrà salvarci, non dimora nell’Olimpo, non abita nell’inconscio, ma – come ci insegna il maestro dell’ermeneutica24 – consiste nel ‘dialogo tra le religioni’ ossia nel dialogo tra gli assoluti, tra le soggettività che si autopercepiscono, ognuna per la propria parte, come un assoluto. ‘I sacerdoti del dialogo’ – i terapeuti – sono chiamati per primi ad una conversione fenomenologica non solo nella comprensione di cosa vive il paziente, ma anche (e soprattutto) nel loro sentire in maniera aperta e sorgiva quel che accade al confine di contatto con il paziente. Potremmo chiamarla traità terapeutica25. Alla paziente di cui parla Gabbard, un terapeuta gestaltista avrebbe forse risposto: «In un certo senso lei ha ragione. Tra noi è successo ancora una volta quello che accadeva a casa sua. Mentre lei mi parlava, per un attimo io mi sono distratto, e ho pensato piuttosto a me, alla mia possibilità di aiutarla offrendole un mio commento interessante. Mi dispiace. Mi sa che mi sono perso delle cose interessanti che mi stava dicendo». Nella GT il terapeuta si chiede insomma: Cosa è accaduto/sta accadendo tra noi due? Come i nostri rispettivi vissuti si autoregolano reciprocamente? Come immetterò il mio eventuale fastidio nell’intreccio dei vissuti miei e del paziente? Nel trivio che porta a Delfi terapeuta e paziente non guardano gli dei, non cercano una mappa segreta e secretata, ma si guardano e si parlano in un processo di continuo riconoscimento.

23 E. Husserl (1965) (ed. or. 1937), La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano, 166. 24 Cfr. H.G. Gadamer (2000), L’ultimo dio. Un dialogo filosofico con Riccardo Dottori, Reset, Milano. 25 Sulla traità, approfondimenti in G. Salonia (2012), Il paradigma triadico della traità. I contributi della Gestalt Therapy e di Bin Kimura, in A. Colonna Romano (ed.), Io-tu. In principio la relazione, Il pozzo di Giacobbe, Trapani, 27-36.

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Nel trivio che porta a Delfi terapeuta e paziente non guardano gli dei, non cercano una mappa segreta e secretata, ma si guardano e si parlano in un processo di continuo riconoscimento


La verità si consegna alla relazione in una visibilità accessibile. Ad entrambi.

Se il trivio diventa terra di nessuno, ossia terra di tutti, siamo a Delfi! Gli umani conoscono il loro destino nell’incontro con gli altri umani: questi sono, forse, gli attimi di divinità che gli dei ci hanno concesso

Forse se Laio ed Edipo si fossero guardati, se avessero condiviso i loro cammini e le loro ricerche, i loro inferi e i loro dei, se fossero stati compagni di viaggio, si sarebbero riconosciuti e avrebbero imboccato la strada della vita e dell’incontro. La verità si consegna alla relazione in una visibilità accessibile. Ad entrambi. È vero: la natura ‘ama nascondersi’. E se essa si nascondesse nei dettagli della superficie in cui si incarna la relazione, in quell’ovvio relazionale da cui prese inizio la Gestalt Therapy?26 Se il trivio diventa terra di nessuno, ossia terra di tutti, siamo a Delfi! Gli umani conoscono il loro destino nell’incontro con gli altri umani: questi sono, forse, gli attimi di divinità che gli dei ci hanno concesso. Solo come compagni di viaggio possiamo sperimentare la magia dell’incontro fra Gnade und Geheimnis (tra dono e mistero)27. Solo dopo l’esperienza di questa spaesata prossimità potremo andare assieme ad incontrare il dio.

3. Il triangolo primario: nell’Atene di Sofocle, nella Vienna di Freud, nella postmodernità Restiamo ancora un po’ nel trivio tragico. Per questo suo intimo ed implicito rimando al triangolo primario, Freud vide (volle vedere) in questa tragedia la conferma delle proprie teorie sullo sviluppo del bambino28. Per lui, l’Edipo Re rappresenta il dramma della crescita infantile: il desiderio incestuoso della madre e l’odio omicida nei confronti del padre, con la relativa

26 Cfr. F. Perls (1995) (ed. or. 1942), L’io, la fame, l’aggressività, Franco Angeli, Milano. Dopo molti anni anche Bettelheim rilevò la valenza terapeutica dell’‘ovvio’ cfr. B. Bettelheim, A.A. Rosenfeld (1994), L’arte dell’ovvio. Nella psicopatologia e nella vita di ogni giorno, Feltrinelli, Milano. 27 Cfr. B. Callieri (1999), Lineamenti di psicopatologia fenomenologica, Mondadori, Milano. 28 La prima enunciazione ufficiale del complesso di Edipo avviene con L’interpretazione dei sogni. Il concetto viene codificato nel 1910 in Contributi alla psicologia amorosa e solo nel 1913, con Totem e Tabu, diventa paradigma per spiegare lo sviluppo dell’organismo umano. La completa definizione avverrà con i Tre saggi sulla teoria sessuale. Cfr. S. Freud (1989), Opere, Bollati Boringhieri, Torino.

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paura della punizione (castrazione). Il divieto dell’incesto29 diventa così il punto nevralgico dell’itinerario evolutivo che porta alla maturità affettiva. Secondo la sua teoria, si tratterebbe di un interdetto universale perché universale – e quindi innata – sarebbe la spinta a possedere sessualmente il genitore del sesso opposto e ad eliminare quello dello stesso sesso. Solo quando (e se) il bambino rinuncerà al desiderio sessuale della madre (o del padre), potrà raggiungere la propria maturità psico-sessuale. Avendo fatto sue alcune teorie etnologiche (per cui le origini del divieto risalirebbero al parricidio dell’orda primitiva e al conseguente senso di colpa dei figli), Freud rilegge in questa luce la tragedia sofoclea e ‘inventa’, così, il ‘complesso di Edipo’ come dramma nodale dell’esistenza. Il nucleo centrale di ogni nevrosi andrebbe così individuato nell’incapacità di superare l’attaccamento incestuoso alla madre, nel chiudersi ad ogni altro rapporto e nell’angoscia della castrazione. In altre parole, il complesso edipico starebbe ad indicare il momento cruciale in cui la diade intima madre-figlio deve decidere di aprirsi al terzo (al padre e al sociale), unica strada, questa, per diventare maturi affettivamente e sessualmente. Lacan farà vedere come solo nel ‘nome del padre’ venga assunto il limite esistenziale e insieme garantito l’ordine degli affetti: ciascuno riconosce se stesso e l’altro nella differenziazione dei ruoli. L’interdetto dell’incesto diventa così frontiera della salute e della malattia psichica: «Lo psicotico – afferma Ricoeur citando Lacan – è colui che non entra nell’Edipo, mentre il nevrotico è colui che non ne esce»30. In realtà la teoria edipica si è rivelata, nonostante la pretesa di Freud, un costrutto intimamente condizionato dalla struttura ancora patriarcale della società primomoderna. La postmodernità, con la sua organizzazione sociale orizzontale e liquida, presenta infatti ben altre vicissitudini dei legami affettivi primari31.

29 Cfr., su questo tema, G. Salonia (2004), Incesto, in G. Russo (ed.), Enciclopedia di Bioetica e Sessuologia, ElleDiCi-VegarLeumann, Torino, 986-989. 30 L. Aversa (1986), Racconto, metafora, simbolo. Dialogo con Paul Ricoeur, in «Metaxù», 2/86, 82-92, 84. 31 Forse è proprio nell’aver concepito il complesso di Edipo come

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La lotta tra padre e figlio sorge dalla paura del padre di trovare nel figlio un eventuale rivale più giovane, oltre che una memoria indiscutibile e vivente del fatto che dovrà lasciargli il posto, che dovrà morire

Ma andiamo con ordine. Per cominciare, Edipo da Sofocle viene presentato come vittima e non come artefice del proprio dramma: anzi è Laio che alla nascita vuole ucciderlo e che, in seguito, gli sbarra la strada verso Delfi, provocandone l’ira. Ecco perchè si è parlato di un ‘complesso di Laio’ (dimenticando ancora Giocasta!) che precederebbe quello di Edipo secondo la logica che l’infanticidio precede, anche come vissuto, il parricidio.32 Certo, Sofocle e Freud si confrontano con una relazione arcaica drammatica ed intrigante – il rapporto padre-figlio – già narrato dai miti (Urano tenta in tutti i modi di non fare partorire i propri figli da Gaia, Crono divora i figli appena nati)33.

situazione universale il limite di tale teoria. Sulla ‘diminuzione del complesso di Edipo’, cfr. H.W. Loewald (2000), The Waning of the Oedipus Complex, in «Psychother Pract Res, 9:4, 239-249. Spiro ha approfondito le variabili in termini di struttura, qualità e intensità della situazione edipica nelle varie culture: cfr. M.E. Spiro (1985), Is the Oedipus Complex Universal?, in G.H. Pollock, J. Munder Ross, (edd.) (1988), The Oedipus Papers, Universities Press inc., Madison, 435-471. 32 Molti studi anche nell’ambito psicoanalitico hanno evidenziato come nella teorizzazione del complesso di Edipo si dia poco spazio alla responsabilità di Laio, la cui violenza e arroganza precede quella di Edipo: cfr. J. Munder Ross, J. (1982), Oedipus Revisited-Laius and the ‘Laius Complex’, in G.H. Pollock, J. Munder Ross, (edd.) (1988), op. cit.; G. Gallino Tilde (1977), Il complesso di Laio, Torino, Einaudi. Rascovsky insiste nel mostrare come nella storia del pensiero, compreso quello psicoanalitico, sia stata messa in opera una rimozione quasi totale delle tendenze distruttive dei genitori. Anche la guerra è vista da Rascovsky come un figlicidio. Egli pone come exergo al suo libro una frase di Erodoto: «In pace i figli seppelliscono i padri, mentre in guerra sono i padri a seppellire i figli». Ma tali riletture rimangono dentro una epistemologia psicoanalitica che ha una visione negativa e inevitabile dell’aggressività (si cambia il ruolo e la responsabilità) e che riduce il triangolo primario alla diade (conflittuale!) padrefiglio. Cfr. A. Rascovsky (1977) (ed. or. 1973), Il figlicido, Astrolabio, Roma. 33 Cfr. W. Otto (2004), Gli dei della Grecia, Adelphi, Milano. Per quanto riguarda il mondo latino, cfr. E. Cantarella (2013), Non cercate a Roma i padri di oggi, in «Corriere della Sera», Lunedì 8 Aprile 2013. Come in modo scultoreo afferma Pasolini, «Migliaia di figli sono uccisi dai padri: mentre, ogni tanto, un padre è ucciso dal figlio – ciò è noto»: P. P. Pasolini (1977), Affabulazione, in Id., Il teatro, Garzanti, Milano. Sul rapporto padre-figlio in Pasolini

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E senza dubbio la lotta tra padre e figlio sorge dalla paura del padre di trovare nel figlio un eventuale rivale più giovane, oltre che una memoria indiscutibile e vivente del fatto che dovrà lasciargli il posto, che dovrà morire; mentre il figlio, da parte sua, può vedere il padre come colui che gli ricorda di non essere un dio e di avere dunque un’origine (gli uomini non riescono a pensare neppure negli dei una vera paternità, perché un dio non può convivere con un altro dio). Ma la tragedia di Sofocle è estranea al complesso di Edipo. Già J.P. Vernant, in Edipo senza complesso34, ha puntualmente demolito l’ipotesi freudiana. Sembrano ben altri i temi centrali nella tragedia di Sofocle. La tragedia mostra in fondo il dramma della responsabilità umana, ancora sospesa tra volontà dell’uomo e fato. Nel dispiegarsi della trama, il parricidio e l’incesto sono visti più come una maledizione che come una colpa. Sembra proprio che gli umani siano puniti ‘con’ – e non ‘per’ – l’incesto e il parricidio35. Le disgrazie di Tebe derivano dal fatto che è impunito l’uccisore di Laio più che dal parricidio e dall’incesto, percepiti come contaminazioni36. Fromm afferma che Sofocle, in fondo, non fa che affrontare il tema del conflitto padre-figlio – che è poi il dramma del potere, del limite e della morte – nel contesto della società patriarcale37. In altre parole, la hybris del trivio si troverebbe già nel rapporto originario tra padre e figlio.

cfr. il pregevole contributo di A. Sichera (1997), La consegna del figlio. «Poesia in forma di rosa» di Pasolini, Milella, Lecce. 34 Cfr. J. P. Vernant (1976) (ed. or. 1973), Edipo senza complesso, in J.P. Vernant, P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia nella Grecia antica, Einaudi, Torino. 35 Anche Hillman, rivisitando l’Edipo, sottolinea come il parricidio precede l’incesto ed avviene, tra l’altro, senza passione. Cfr. J. Hillman (1992) (ed. or. 1987), Edipo rivisitato, in K. Kerèny, J. Hillman, Variazioni su Edipo, Raffaello Cortina, Milano. 36 J. P. Vernant (1976) (ed. or. 1973), Edipo senza complesso, op. cit., 37. 37 «Il mito può essere inteso come simbolo non dell’amore incestuoso fra madre e figlio, ma della ribellione del figlio contro l’autorità del padre nella famiglia patriarcale; il matrimonio fra Edipo e Giocasta è soltanto un elemento secondario, soltanto uno dei simboli della vittoria del figlio che prende il posto di suo padre e con questo tutti i suoi privilegi». Cfr. E. Fromm (1977) (ed. or. 1951), Il linguaggio dimenticato, Garzanti-Bompiani, Milano.

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Gli uomini non riescono a pensare neppure negli dei una vera paternità, perché un dio non può convivere con un altro dio

La tragedia di Sofocle è estranea al complesso di Edipo.

Sembra proprio che gli umani siano puniti ‘con’ – e non ‘per’ – l’incesto e il parricidio


In questo senso, ciò che tiene assieme la Vienna di Freud e l’Atene di Sofocle è la persistenza di un’organizzazione patriarcale, di una Gemeinshaft in cui il padre svolge una funzione centrale come salvatore, governatore e farmaco (capro espiatorio). Ovvero: nelle società in cui si vive un pericolo (la guerra, la fame) ci si affida a chi può salvare (spesso, storicamente, è stato il maschio a svolgere questo ruolo), per cui più forte è la paura, maggiore sarà il potere che si attribuirà al ‘capo’38. Il pericolo crea una struttura sociale fusionale e verticistica. In tali contesti, il figlio maschio sarà percepito o come alleato (aiuto nel lavoro o nella guerra) o come minaccia (colui che tenterà di sottrarre il potere al padre). Anche la società in cui si muove Freud, nonostante significative differenze, ha le caratteristiche della società patriarcale, per cui il rapporto tra padre e figlio viene vissuto anche qui come lotta per il potere. Freud intuisce però che è avvenuto un cambiamento, in quanto nel suo contesto culturale la lotta tra padre e figlio è passata ‘dal trono al letto’39: dalla lotta per il potere si è passati alla lotta per l’amore. Il maestro viennese introduce così nel triangolo la donna, ma vedendola come ‘oggetto di desiderio’ conteso tra padre e figlio. Una donna, dunque, divisa tra ‘l’essere donna’ e ‘l’essere madre’. Averla inserita nel dramma non comporta però in Freud il cambiamento della logica patriarcale: il padre viene sempre rappresentato come colui che (dall’alto?) metterà ordine negli affetti e farà sì che il bambino (e la donna con lui?) apprenda e accetti il limite e la chiarezza della sua precisa collocazione affettiva. E siamo al punto: che cosa succede nell’ordo postmoderno? La cosa potrebbe leggersi così: venute a mancare le condizioni di pericolo imminente e totale, la società è passata da un modello di aggregazione patriarcale-istituzionale (verticistico e fusionale) ad un modello orizzontale. È emerso, in modo sempre più progressivo e pervasivo, il valore centrale dell’individuo,

38 Cfr. G. Salonia (1999), Dialogare nel tempo della frammentazione, op. cit.; Id. (2011), Tutto cominciò il 6 agosto 1945, 115-120, in Id., Sulla felicità e dintorni. Fra corpo, parola e tempo, op. cit. 39 S. De Risio (2005), Il complesso di Edipo dopo Freud, in P. Argentino (ed.), Tragedie greche e psicopatologia, Medicalink Publishers, Siracusa, 47-52.

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della sua soggettività, della sua vita e dei suoi interessi, della sua autorealizzazione. Tale ‘morte dei padri’ (che, in successione, sono stati prima contestati, poi esautorati, quindi resi ‘amici’) ha espropriato ogni autorità della funzione regolativa, protettiva e aggregante e ha dato spazio ad una consapevolezza nuova: la capacità del singolo di regolarsi, di cercare protezione, di scegliere contesti di aggregazione. La società si è indebolita in quanto modello monolitico di riferimento e ha assunto, in questo arco di tempo, forme e definizioni inedite: ‘complessa’40, ‘frantumata’41, ‘orizzontale’42, ‘liquida’43. Tali trasformazioni, nelle loro diversità, sono approdate ad un punto fermo: la legittimazione della soggettività, dell’esistente solo perchè esistente. Ogni soggetto si percepisce competente nell’esistenza e referente del senso della vita e del mondo dei valori. Viene guardata con diffidenza ogni istanza regolativa esterna e diventa nuova norma di riferimento il ‘fai-da-te’, nelle realtà tecniche come in quelle valoriali. Anche chi sceglie di appartenere o di dipendere lo fa con la percezione e la fierezza della persona che decide qualcosa di buono per sé44. Nella postmodernità l’interrogativo di fondo non è più: Obbedire o trasgredire la legge? Bensì: Chi sei tu che mi dai la legge? E a che titolo? È il tramonto del Super-Io come declinazione della legge del padre45. Si tratta di un radicale

40 Cfr. E. Morin (2011) (ed. or. 1985), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano. 41 Cfr. G. Salonia (1999), Dialogare nel tempo della frammentazione, op. cit. 42 Cfr. L. M. Friedman (2002) (ed. or. 1999), La società orizzontale, op. cit. 43 Al riguardo, Z. Bauman (2002) (ed. or. 2000), Modernità liquida, op. cit. 44 Cfr., le acute riflessioni di L.M. Friedman (2002) (ed. or. 1999), La società orizzontale, op. cit. 45 È interessante come anche un saggista approdi a delle intuizioni sul Super-Io vicine a quelle che la Gestalt Therapy aveva proposto già negli anni cinquanta: «Secondo me quello che Freud ha chiamato Super-Io sta all’interno dell’‘es’ e non fuori, perchè è anch’esso un istinto e ne possiede la stessa forza e la stessa irruenza». Cfr. E. Scalfari (2011), Scuote l’anima mia Eros, Giulio Einaudi, Torino, 83. Mentre Scalfari attribuisce tale istanza alla sopravvivenza della specie (amore per gli altri), la Gestalt Therapy la connette con l’autoregolazione della relazione.

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Fin quando si afferma che esiste un istinto fisiologico che porta al possesso sessuale della madre e alla uccisione del padre, si rende necessario il Super-Io come istanza regolativa

Tramontato il SuperIo, quale nuova istanza regolativa è possibile per gli umani e per il loro vivere insieme?

cambiamento di paradigma rispetto alla teorizzazione psicoanalitica di una stringente necessità per i soggetti, sia come individui che come gruppi, di introiettare regole dall’esterno (la funzione regolativa del Super-Io)46. Ci si appella d’altronde ad un’istanza regolativa esterna quando si presume che sia presente una spinta negativa ‘naturale’: fin quando si afferma che esiste un istinto fisiologico che porta al possesso sessuale della madre e alla uccisione del padre, si rende necessario il Super-Io come istanza regolativa. Le teorie del Super-Io e dell’Edipo sono intimamente connesse. Tramontato il Super-Io, quale nuova istanza regolativa è possibile per gli umani e per il loro vivere insieme? Negli anni cinquanta emerge nella riflessione e nella clinica delle terapie umanistiche una nuova consapevolezza: prendendo le mosse dagli studi del neurochirurgo Goldstein, si approda alla scoperta che è insita nell’uomo un’istanza regolativa47, una spinta all’autoregolazione48. Non è quindi necessario appellarsi ad una legge esterna (una legge ‘del padre’ o ‘del Super-Io’), quanto piuttosto favorire nell’uomo l’ascolto di sé, unica via per la scoperta di un’intima valutazione organismica che spinge il soggetto a cercare per il proprio organismo una ‘good life’49. In un secondo

46 Uno psicoanalista preparato e sensibile ai cambiamenti culturali avverte con disagio il limite delle teorie sul Super-Io ed esclama: «Sogno una trasformazione dell’essere umano [...] Un’umanità a un grado di civiltà superiore, cioè senza troppo Super-Io». Cfr. S. De Risio (2004), Derive del narcisismo. Psicoanalisi, psicosi, esistenza, Franco Angeli, Milano, 130. 47 Nella cultura greca ad un’istanza esterna risponde ancora il metodo di Ulisse che usa espedienti repressivi per sfuggire al fascino delle sirene, mentre rimanda ad una prospettiva diversa e già di autoregolazione il racconto di Giasone e dei suoi compagni che vincono la malìa delle sirene grazie alla musica sprigionata nei loro cuori dal canto di Orfeo. 48 Si vedano C. Rogers (1970) (ed. or. 1951), La Terapia Centrata sul Cliente, op. cit.; F. Perls (1995) (ed. or. 1942), L’io, la fame, l’aggressività, op. cit. 49 Una delle intuizioni iniziali della Gestalt Therapy fu proprio il sostituire alla tecnica delle libere associazioni quella della concentrazione. Dalla verità che viene dall’inconscio decifrato, alla verità che si scopre ascoltando il proprio organismo in contatto. Cfr. F. Perls (1995) (ed. or. 1942), L’io, la fame, l’aggressività, op. cit.

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momento, con la Gestalt Therapy, questo principio – che dava adito a fraintendimenti e a derive individualistiche – viene completato (come una figura che trova il suo sfondo) inserendolo in una logica relazionale: si afferma che l’istanza regolativa va sottratta al dominio del Super-Io e non collocata nell’organismo (come fosse una monade) ma nella relazione o, meglio ancora, nel confine di contatto (il terzo o traità) che si crea quando Organismo e Ambiente interagiscono. È il contatto la vera istanza regolativa, dal momento che l’uomo nella relazione è inserito, si realizza e cresce. Ogni genuino concentrarsi su di sè si apre, includendola, alla consapevolezza della relazione, in una sorta di inevitabile connessione figura/sfondo. Si tratta, potremmo dire, di una sorta di traduzione clinica delle grandi intuizioni di Agostino: se «in interiore homine habitat veritas»50, questa verità si raggiunge solo nella relazione («non intratur in veritatem nisi per caritatem»51), da cui nasce dunque una nuova istanza regolativa, l’ ordo amoris52: «Ama e fa quel che vuoi»53. In Gestalt Therapy, insomma, il ‘disagio della civiltà’ si dissolve nell’’adattamento creativo’54 di cui ogni organismo è capace. Il punto è prendere consapevolezza che i vissuti del soggetto sono, sempre e comunque, vissuti relazionali e che essi portano in sé, in maniera ineliminabile seppur disturbata, l’intenzionalità verso un contatto positivo e nutriente con l’altro55.

50 Agostino d’Ippona, De vera religione, XXXIX, 2. 51 Agostino d’Ippona, Contra Faustum, XXXIII, 8. 52 Cfr. Agostino d’Ippona, De civitate Dei, XV, 22; Id., De doctrina christiana, I, XXII-XVII, 23.26.28. Cfr. inoltre R. Bodei (1991), Ordo amoris. Conflitti terreni e felicità celeste, Il Mulino, Bologna; R. De Monticelli (2003), L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano; M. Scheler (2008), Ordo amoris, Franco Angeli, Milano. Cfr. anche G. Salonia, Ordo amoris e famiglia d’origine, pross. pubblic. 53 Agostino d’Ippona, Commento alla 1 Lettera di Giovanni, VII, 8. 54 Cfr. G. Salonia, M. Spagnuolo Lobb, A. Sichera (2001), Dal ‘disagio della civiltà’ all’adattamento creativo. Il rapporto individuo/comunità nella Psicoterapia del terzo millennio, in M. Spagnuolo Lobb (ed.), Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e Clinica, Franco Angeli, Milano, 180-190. 55 Per un’introduzione alla Psicoterapia della Gestalt, cfr. F. Perls, R.

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In Gestalt Therapy il ‘disagio della civiltà’ si dissolve nell’’adattamento di cui ogni organismo è capace’

I vissuti del soggetto sono, sempre e comunque, vissuti relazionali e portano in sé, in maniera ineliminabile seppur disturbata, l’intenzionalità verso un contatto positivo e nutriente con l’altro


Non solo il soggetto tende ad incontrare l’altro, ma è intimamente e originariamente disposto a coniugare l’intenzione di incontrare l’altro con la realtà ‘altra’ dell’altro

Quando ogni soggetto in gioco ascolta ed esplicita le proprie intenzionalità di contatto, emerge contestualmente la necessità di trovare una regolazione reciproca che permetta in pienezza l’incontro56. Non solo il soggetto tende ad incontrare l’altro, ma è intimamente e originariamente disposto a coniugare l’intenzione di incontrare l’altro con la realtà ‘altra’ dell’altro. Traduzione ‘edipica’: non esiste nessun desiderio incestuoso del bambino nei confronti della madre. Se emergesse, esso non va regolato da un divieto esterno, di cui sarebbe portatore la figura paterna (‘la legge del padre’), ma deve essere considerato il frutto di una relazione disfunzionale: quella dei co-genitori57. Qualsiasi rigidità o fissazione della diade

Hefferline, P. Goodman (1997) (ed. or. 1994), Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, Astrolabio, Roma. 56 Testi che elaborano questi cambiamenti di paradigmi sono: G. Salonia, M. Spagnuolo Lobb, A. Sichera (1997) (ed. or. 1994), Postfazione, in F. Perls, R. Hefferline, P. Goodman, op. cit. Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, 497-500; M. Spagnuolo Lobb, G. Salonia, A. Sichera (1996), From the ‘discomfort of civilization’ to ‘creative adjustement’: The relationship between individual and community in psychotherapy in the third millennium, in «International Journal of Psychotherapy», 1, 45-53. Interessante notare come, anche se con prospettive diverse, gli studi dell’Infant Research siano approdati alle intuizioni pioneristiche della Gestalt Therapy: E. Tronick (2008), Regolazione emotiva. Nello sviluppo e nel processo terapeutico, Raffaello Cortina, Milano; C. Trevarthen (1998) (ed. or. 1997), Empatia e biologia, Raffaello Cortina, Milano. 57 Secondo Kohut il complesso edipico e l’angoscia di castrazione, come noi la conosciamo da Freud, diventano patologia del Sé e rivelano la carenza di empatia da parte dei genitori. L’Autore si chiede: «Perché non riusciamo a convincere i nostri colleghi che lo stato normale, per quanto raro possa essere, è un movimento evolutivo vissuto gioiosamente nell’infanzia, ivi incluso il passaggio nello stadio edipico, durante il quale i genitori rispondono con orgoglio e crescente empatia, con gioioso rispecchiamento alla nuova generazione, affermandone così il diritto a crescere e a essere diversa? Noi crediamo, in altre parole, che non ci troviamo di fronte a un conflitto irriducibile fra istinti di base opposti (Thanatos in lotta contro Eros), ma di fronte piuttosto ad interferenze, potenzialmente correggibili, che ostacolano lo sviluppo normale… Come suonano piatti i nostri argomenti… in confronto alla terminologia di Freud, vigorosa e potentemente evocativa. Quanto insipida è la normalità di uno

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figlio-genitore esprime una relazione disfunzionale all’interno della diade co-genitoriale. Essa esprime la scissione del rapporto con il partner co-genitore58. La relazione che fa crescere (che cura) non è, in effetti, quella tra genitore e figlio, ma quella dei genitori tra loro e con il figlio. In questo nuovo (e rivoluzionario) paradigma, l’apertura del bambino al sociale non sarà collocata all’altezza dei tre anni, quando avviene il passaggio dalla diade madre-figlio al padre, ma sarà considerata operante sin dal principio. La diade madre-figlio ha già in sé, insomma, il germe del sociale e ad esso si aprirà in modo spontaneo e funzionale se la madre vivrà il rapporto con il figlio non come recupero di un’assenza o di una conflittualità della relazione con il co-genitore, e se il padre, da parte sua, non vivrà il rapporto con il figlio in antagonismo con la propria partner genitoriale. Ecco che dopo un lungo viaggio siamo tornati al trivio, metafora del ‘triangolo primario’ (Laio, Edipo e Giocasta). Madre e padre devono ritrovarsi in una relazionalità paritaria – la ‘democratizzazione della sfera privata dell’intimità’59 –

stadio edipico vissuto gioiosamente dal genitore e dal bambino in confronto alla silenziosa drammaticità del complesso di Edipo… Di quali strumenti un critico dispone per contrapporsi alla magia di Freud?... Lo strumento più forte… è ricorrere a una dose di contro magia… La mia contro magia viene da una storia… la storia del primo possibile renitente alla leva che si incontri nella letteratura, la storia di Ulisse». Kohut si riferisce qui a un episodio della storia di Ulisse narrato da Igino nelle Fabulae: Ulisse, chiamato dagli altri sovrani greci a partecipare alla guerra contro Troia, si finge folle. Ma si ferma all’istante quando gli mettono il figlioletto davanti all’aratro, rivelando così la sua sanità mentale e il suo amore per Telemaco. Cfr. H. Kohut (1989) (ed. or. 1981), Introspezione, empatia e il semicerchio della salute mentale, in Id., Le due analisi del signor Z., Astrolabio, Roma. 58 In Gestalt Therapy parliamo di disfunzione della funzionePersonalità dei co-genitori: cfr. G. Salonia (2012), Teoria del sé e società liquida. Riscrivere la funzione-Personalità in Gestalt Therapy, in «GTK Rivista di Psicoterapia», 3, 33-66; A. Sichera (2012), La funzione Personalità nel testo Gestalt Therapy, in «GTK Rivista di Psicoterapia», 3, 19-29. 59 A. Giddens (1995) (ed. or. 1992), La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Il Mulino,

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La relazione che fa crescere (che cura) non è, in effetti, quella tra genitore e figlio, ma quella dei genitori tra loro e con il figlio

La diade madre– bambino ha già in sé, insomma, il germe del sociale e ad esso si aprirà in modo spontaneo e funzionale se la madre vivrà il rapporto con il figlio non come recupero di un’assenza o di una conflittualità della relazione con il co-genitore, e se il padre, da parte sua, non vivrà il rapporto con il figlio in antagonismo con la propria partner genitoriale


Sono i genitori che hanno fatto tanta strada prima di vedere Edipo

per rendere flessibile quel confine di contatto (o, nella semantica di Minuchin, quella ‘linea generazionale’)60 che rende funzionale e positivo il loro prendersi cura del figlio. Da Sofocle a Freud e da Freud alla Gestalt Therapy, non è Edipo che ha compiuto un lungo cammino, ma sono i genitori che hanno fatto tanta strada prima di vedere Edipo!61

Bologna; U. Beck, E. Beck-Gernsheim (1996) (ed. or. 1990), Il normale caos dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino; cfr. anche L. Irigaray (1994), La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino. 60 Il concetto di ‘linea generazionale’ rimanda alla struttura familiare: cfr. S. Minuchin (1976) (ed. or. 1974), Famiglia e terapia della famiglia, Astrolabio, Roma. In Gestalt Therapy si parla invece della ‘funzione-Personalità del sé’: cfr. anche G. Salonia (2010), Lettera ad un giovane psicoterapeuta della Gestalt. Per un modello di Gestalt Therapy con la famiglia, in M. Menditto (ed.), Psicoterapia della Gestalt contemporanea. Strumenti ed esperienze a confronto, Franco Angeli, Milano, 185-202. 61 La responsabilizzazione (e relativa colpevolizzazione) del figlio in una prospettiva ‘greca’ è talmente scontata che anche un saggista accorto come C. Magris paragona impropriamente Edipo (figlio) esempio di violenza con Ettore (padre) esempio di cura accogliente. Cfr. C. Magris (2012), in «Il Sole 24 ore» Domenica, 3 Giugno 2012, IV. Tale slittamento culturale ha riflessi clinici rilevanti. Il recente studio di Recalcati, ad esempio, rimane nell’epistemologia freudiana della diade padre-figlio. Il testo ripropone la conosciuta prospettiva telemaco-centrata e scandisce una sorta di viaggio di Edipo (Edipo arrogante, Edipo narciso, l’anti-Edipo, Telemaco). Cfr. M. Recalcati (2013), Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano; G. De Simone (2007), Le famiglie di Edipo, Borla, Città di Castello, 98. In realtà, in questa prospettiva si continua ad analizzare i vissuti del figlio senza tener conto che la matrice di tale vissuti si ritrova nella diade genitoriale. Come si fa a dare enfasi al paragone tra Edipo e Telemaco senza accorgersi che la vera differenza sta nelle diadi Laio/Edipo e Ulisse/Telemaco da una parte e dall’altra le diadi Laio/Giocasta e Ulisse/Penelope? Si tratta di due epistemologie abbastanza distanti che si collocano in differenti orizzonti antropologici e determinano differenti prassi diagnostiche e cliniche. Cfr. G. Salonia, Danza delle sedie e danza dei pronomi, pross. pubblic; Id. (2013), Gestalt Therapy and Development Theory, in G. Francesetti, M. Gecele, J. Roubal (edd.), Gestalt Therapy in clinical practica – from psichopathology to the aestethics of contact, Franco Angeli, Milano.

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4. Dal disagio del figlio al disagio del triangolo primario Abbiamo guadagnato così alcuni punti fermi: l’osservazione del bambino reale (e non più di quel bambino virtuale intravedibile nelle narrazioni dei pazienti adulti)62; l’attenzione riposta alle sue interazioni con la madre (e non più ad un suo presunto – predeterminato – sviluppo intrapsichico)63; l’affermarsi consequenziale di una visione della crescita intesa come progressiva modificazione di ‘schemi’ dell’‘essere-con’ (per cui l’allattamento è da interpretarsi, ad esempio, come una danza relazionale fra il capezzolo della madre e la bocca del bambino)64; la focalizzazione sul sé, inteso come nucleo soggettivo di una continua e costitutiva relazione col mondo. Esiste d’altronde una sempre maggiore condivisione della prospettiva che non si limita (nell’osservazione, nella diagnosi e nella clinica) alla diade madre-figlio ma che include il terzo (che non è la nonna, ma il co-genitore!): il triangolo primario come matrice ermeneutica del disagio del bambino. Nell’Infant Research, chi ha portato avanti questa nuova prospettiva di ricerca è il gruppo di Losanna65 con il suo LTP, nel quale si osserva – a livello diagnostico – in che modo avvengono le interazioni all’interno del triangolo in quattro momenti ben precisi (il bambino per due volte gioca con un co-genitore e l’altro

62 Interessante come i risultati dell’Infant Research (intersoggetività) abbiano contraddetto ipotesi psicoanalitiche quali ad esempio quelle della Lupinacci (non riconoscimento del bambino fino ad otto mesi della presenza dei due genitori e angoscia nel vederli assieme). Cfr. M. A. Lupinacci (1998), Reflections on the early stages of the Oedipus complex: The parental couple in relation to psychoanalytic work, in «Journal of Child Psychotherapy», 24:3, 409-421. 63 D. Stern (1987) (ed. or. 1985), Il mondo interpersonale del bambino, Bollati-Boringhieri, Torino; cfr. anche B. Beebe, F.M. Lachmann (2002), Infant Research and Adult Treatment: Coconstructing Interactions, The Analitic Press, New York. 64 D. Stern (1995) (ed. or. 1985), La costellazione materna, Bollati Boringhieri, Torino. 65 Cfr. G. Salonia (2010), Edipo dopo Freud. Una nuova gestalt per il triangolo primario, op. cit.; E. Fivaz-Depeursing, A. CorbozWarner (2000), Il triangolo primario, Raffaello Cortina, Milano; J. McHale (2010) (ed. or. 2009), La sfida della cogenitorialità, Raffaello Cortina, Milano.

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osserva; il bambino gioca da solo e i co-genitori osservano; il bambino gioca con ambedue i co-genitori). Il grande successo avuto da questa ricerca – adesso declinata anche in termini terapeutici66 – ci dice come le intuizioni della Gestalt Therapy (secondo cui la relazione si autoregola) diventino sempre più accolte e condivise dal contesto culturale e clinico: sono tutte tappe67, queste, di un progressivo avvicinamento della ricerca evolutiva al triplais amaxitois sofocleo, dove solo è possibile intendere davvero Edipo (e oltrepassarlo). In ambito clinico, si spiega con la centralità ermeneutica del triangolo primario68 il modello di seduta in co-terapia (due terapeuti e un paziente) nato già molti anni fa dal grembo della Gestalt Therapy. In questa nuova struttura, i terapeuti ascoltano in un primo tempo il fluire dei propri vissuti di fronte al paziente (Cosa mi suscitano in modo immediato questo paziente e questa situazione triangolare?), escludendo ogni tipo di pensiero terapeutico (del tipo: Cosa mi vuole dire? Di cosa ha bisogno?). In un secondo tempo, viene spontaneamente alla luce come i vissuti di ognuno dei due terapeuti rispetto al paziente risultino intimamente connessi a ciò che da parte di entrambi si prova e si vive nei confronti del co-terapeuta e del rapporto di quest’ultimo con il paziente stesso. Nel terzo tempo, l’esplicitazione e l’elaborazione di questo intreccio provoca modificazioni significative (e terapeutiche) nei vissuti di ogni co-terapeuta verso il paziente e del paziente nei confronti dei co-terapeuti. L’assunto di base è ormai chiaro: ogni difficoltà terapeuta/ paziente scaturisce direttamente dalla mancata elaborazione della relazione terapeuta/terapeuta69. La relazione che

66 Cfr. M. Malagodi Togliatti, S. Mazzoni (edd.) (2006), Osservare, valutare e sostenere la relazione genitori-figli. Il Lausanne Trilogie Play clinico, Raffaello Cortina, Milano. 67 Una presentazione dettagliata di questi sviluppi in G. Salonia (2005), Prefazione, in P. L. Righetti, Ogni bambino merita un romanzo, Carocci, Roma, 719; G. Salonia, Gestalt Therapy and Development Theory, op. cit. 68 M. Spagnuolo Lobb, G. Salonia (1986), Al di là della sedia vuota: un modello di coterapia, in «Quaderni di Gestalt», II, 3, 11-35. 69 Diversamente dal modello di Losanna, in cui si osserva in

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cura (così come quella che educa) non è solo quella genitore/figlio e terapeuta/paziente, bensì quella genitore/ genitore e co-terapeuta/co-terapeuta70. A questo punto il trivio, definitivamente mutatosi in triangolo primario, viene osservato come una gestalt di relazioni in cui il legame di ogni genitore con il figlio è intrecciato e condizionato all’interno di un’articolazione triadica: – come ogni genitore vive il rapporto con il figlio; – come il genitore vive il rapporto con l’altro genitore in termini genitoriali; – come il genitore vive il rapporto tra l’altro genitore e il figlio. Il grafico illustra questo intreccio.

La funzione-Personalità genitoriale è sempre e comunque funzione cogenitoriale

Figlio

a c

Genitore X

b

Genitore Y

In altre parole, il modo in cui si è genitori deriva dalla funzionalità (o disfunzionalità) del vissuto esperienziale con il co-genitore e dall’atteggiamento nei confronti della relazione fra l’altro co-genitore e il figlio. La funzione-Personalità genitoriale è sempre e comunque funzione co-genitoriale.

che modo accadono le interazioni triangolari (integrando la prospettiva psicoanalitica con quella sistemica), in questo modello di coterapia si sottolinea come l’interazione di un genitore con il figlio sia condizionata dal rapporto che egli ha con il co-genitore e dal suo vissuto nei confronti della relazione di quest’ultimo con lo stesso figlio. 70 Tale cambiamento di epistemologia ha delle ricadute innovative sia nella clinica che nella supervisione. Cfr. al riguardo L. Lisa (2006), Il processo di supervisione nell’attuale epistemologia della Psicoterapia della Gestalt, tesi di specializzazione in Psicoterapia della Gestalt, Venezia.

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La relazione che cura (così come quella che educa) non è solo quella genitore/figlio e terapeuta/paziente, bensì quella genitore/genitore e co-terapeuta/coterapeuta


Ogni madre abbraccia il proprio figlio in maniera differente a seconda di come vive il rapporto con il co-genitore e di come si rappresenta il rapporto tra il co-genitore e il figlio. Si aprono da qui nuove strade a livello antropologico, educativo e clinico71. Nella relazione genitoriale sono tenute insieme – in una tensione mai del tutto risolta – due polarità costitutive della condizione umana e del prendersi cura educativo: il corpo femminile e quello maschile, la bellezza dell’accettazione incondizionata (dell’esistere) e quella della crescita come espressione delle potenzialità (il divenire), l’appartenere e il differenziarsi, il proteggere e l’incoraggiare il rischio, l’ordo domus e l’ordo civitatis…

5. Dal trivio una nuova ermeneutica per la co-genitorialià Siamo partiti dalla diade Laio-Edipo e siamo approdati alla diade Laio-Giocasta. «La storia ci ha insegnato tante cose, ma non quella più importante: come vivere insieme, in due, nella casa e nella città»72. La novitas della società orizzontale è la scoperta della centralità delle relazioni paritarie: tra donna e uomo, dei genitori tra di loro. La relazionalità genitoriale è ovviamente distinta da quella coniugale: mentre questa può finire, quella genitoriale non termina perché sempre coinvolta nella crescita del figlio. Nella relazione genitoriale sono tenute insieme – in una tensione mai del tutto risolta – due polarità costitutive della condizione umana e del prendersi cura educativo: il corpo femminile e quello maschile, la bellezza dell’accettazione incondizionata (dell’esistere) e quella della crescita come espressione delle potenzialità (il divenire), l’appartenere e il differenziarsi, il proteggere e l’incoraggiare il rischio, l’ordo domus e l’ordo civitatis… La figura materna e quella paterna custodiscono tale costitutiva e inscindibile duplicità del compito educativo. La mancanza di una delle due danneggia la crescita affettiva e relazionale del figlio. Una relazione tra genitori è valida non a motivo della presenza fisica dell’altro o per l’assenza di conflitto, ma perché madre e padre

71 Un’applicazione interessante di questa prospettiva si può derivare dal modello di coterapia M. Spagnuolo Lobb, G. Salonia (1986), Al di là della sedia vuota: un modello di coterapia, op. cit. 72 L. Irigaray (1992) (ed. or. 1990), Io tu noi. Per una cultura della differenza, Bollati Boringhieri, Torino. Su questi temi, cfr. G. Salonia (2005), Femminile e maschile: un’irriducibile diversità, in R. G. Romano (ed.), Ciclo di vita e dinamiche educative nella società postmoderna, Franco Angeli, Milano, 54-69.

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hanno maturato vissuti genitoriali che includono come insostituibile la funzione dell’altro genitore (e cioè: il suo punto di vista, la sua sensibilità, le sue reazioni). Se, ad esempio, i due genitori hanno pensieri molto differenti sull’orario di rientro del figlio, l’inevitabile conflitto può essere gestito in tre modi: accusatorio («Tu fai crescere nostro figlio impaurito»; «Tu sei incosciente e non valuti i rischi di un rientro così tardivo»73); razionale («Troviamo l’orario intermedio») o relazionale. In questa prospettiva, ogni genitore è consapevole della complessità della situazione che include il bisogno sia che la figlia venga protetta, sia che si trovi sostenuta nel rischio. Ognuno dei due partner è grato all’altro perché porta avanti una polarità, opposta sì ma altrettanto importante. La discussione non punterà né alla vittoria di uno né ad un’astratta disamina su torti e ragioni, ma terrà conto creativamente della complessità di un contesto che richiede una contrattazione tra due polarità educative («Apprezzo che lei esprima una paura che pure io vivo ma che riesco a controllare»; «Meno male che c’è lui che porta avanti quel coraggio che io ammiro ma che non riesco ad avere»). È quella che potremmo definire ‘l’ermeneutica del trivio’. In una sana ottica relazionale, le alleanze co-genitore/ figlio (ad es: padre/figlia, madre/figlio) svolgono una funzione positiva in quanto non vengono vissute ‘contro’ l’altro cogenitore. E anche la funzione-Es della famiglia (in particolare l’intercorporeità) acquista una spontaneità positiva e di crescita. Ogni co-genitore sperimenta una speciale (viscerale) libertà – anche fisica – nell’accostarsi ai figli. Non avverte la paura della vicinanza e può gustare con loro una pienezza di rapporto, anche corporeo. In questo senso, è importante sottolineare come una certa ‘fobia dell’incesto’,

73 Queste percezioni (o mis-percezioni) hanno radici stratificate e si fondano sulla rigidità delle divisioni dei ruoli, per cui la madre viene vista come esperta della casa ma paurosa, ‘isterica’, il padre esperto nella polis ma affettivamente superficiale. Nana, la madre della protagonista in Mille splendidi soli di Khaled Hosseini, dice alla figlia: «Il cuore dell’uomo è spregevole, spregevole, Miriam. Non è come il ventre di una madre. Non sanguinerà, non si dilaterà per farti posto. Solo io ti voglio bene…». K. Hosseini (2007) (ed. or. 2007), Mille splendidi soli, Piemme, Casale Monferrato, 34. Su questi temi, cfr. G. Salonia (2005), Femminile e maschile: un’irriducibile diversità, op. cit.

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Le alleanze cogenitore/figlio (ad es: padre/figlia, madre/figlio) svolgono una funzione positiva in quanto non vengono vissute ‘contro’ l’altro cogenitore


ùla distanza e l’imbarazzo (anzitutto corporeo) di un genitore nei confronti del figlio impedisce a quest’ultimo di vivere e/o esprimere fino in fondo la pienezza della propria identità corporea e sessuale nel suo andare nel mondo

Una spontanea intercorporeità tra genitori e figli permetterà anche la maturazione di corpi vissuti capaci di non confondere la sensualità vibrante della propria identità con l’intimità sessuale.

Le figlie e i figli di genitori serenamente e liberamente vicini nell’anima e nel corpo cresceranno luminosi e forti

indotta dalla divulgazione del complesso di Edipo e socialmente rinforzata74, tragga la propria radice da una frattura emotiva della coppia genitoriale. Ma la distanza e l’imbarazzo (anzitutto corporeo) di un genitore nei confronti del figlio impedisce a quest’ultimo di vivere e/o esprimere fino in fondo la pienezza della propria identità corporea e sessuale nel suo andare nel mondo. Un padre che abbia un buon contatto con la propria partner genitoriale non avrà paura del contatto fisico con la figlia. Il ‘lasciarsi sedurre’75 e il ‘sedurre’ (nel senso di una intercorporeità serena) permetterà alla figlia di transitare verso un altro uomo con sicurezza (e non alla ricerca di una sicurezza!). Quando il bisogno di contatto fisico dei figli con i genitori (sentirsi confermati dall’essere toccati e dal poter toccare ed esplorare i corpi dei genitori) non viene completato, diventa ossessione («Ciò che non si completa – diceva Goodman – si perpetua»76) e non si trasforma in desiderio77. Una spontanea intercorporeità tra genitori e figli permetterà anche la maturazione di corpi vissuti capaci di non confondere la sensualità vibrante della propria identità con l’intimità sessuale. Le figlie e i figli di genitori serenamente e liberamente vicini nell’anima e nel corpo cresceranno luminosi e forti. Inventando la grazia dell’audacia di Antigone, Sofocle la porrà, forse non a caso, come frutto di un incesto: la generazione di un padre che è anche fratello. E secoli dopo,

74 Su questo tema cfr. G. Salonia (2004), Incesto, op. cit.; Id. (2012), La grazia dell’audacia. Per una lettura gestaltica dell’Antigone, Il pozzo di Giacobbe, Trapani. 75 Le virgolette stanno ad indicare che il termine ‘seduzione’ necessita di un chiarimento. Nelle relazioni asimmetriche definire seduttivi comportamenti di avvicinamento intercorporeo della figlia (o della paziente) significa fraintendere in modo grave tentativi (maldestri o appresi) di intenzionalità di contatto. Tale connotazione, mentre rivela disfunzione della funzione-Personalità del genitore (e del terapeuta), crea nelle persone che si affidano indebiti e confusivi sensi di responsabilità e di colpevolizzazione. Relazioni sessuali asimmetriche, infatti, sono sempre responsabilità del care-giver. Per un approfondimento, cfr. G. Salonia (2012), Teoria del sé e società liquida. Riscrivere la funzione-Personalità in Gestalt Therapy, op. cit. 76 F. Perls, R. Hefferline, P. Goodman (1997) (ed. or. 1994), Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, op. cit., 226. 77 G. Salonia, Desiderio e bisogno, pross. pubblic.

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Nietzsche dirà che «Un mago sapiente non può nascere che da un incesto»78. Come a presentire che solo un figlio (una figlia) a cui è permessa l’audacia di sentirsi fino in fondo maschio o femmina di fronte ai propri genitori può pervenire ad una maturità piena79. In ogni caso, nel trivio di Sofocle, dove Giocasta è assente, padre e figlio lottano per la precedenza e il destino è in mano agli dei. Nel trivio di Freud, dove appare la donna, rimane la lotta tra la diade e il padre e il destino è in mano ai sacerdoti dell’inconscio. Nel trivio della Gestalt Therapy, quello della modernità matura e ormai proiettata al di là di se stessa, accade la ricostruzione della diade co-genitoriale e il destino è nella mani della relazione. Se Giocasta e Laio abiteranno il trivio non ci sarà lotta per la precedenza (né nella casa né nella città), Edipo potrà sentire pienamente la propria fierezza di figlio e potrà tornare ai fratelli80. Allora forse anche Tebe potrà sperare in un futuro senza guerre.

78 F. Nietzsche (1972) (ed. or. 1872), La nascita della tragedia, in Id., Opere, Adelphi, Milano, III, 8, Tentativo di autocritica, 9. 79 Forse è proprio la relazione padre-figlia una delle più significative novità ed opportunità della postmodernità: la conferma paterna faciliterà alla donna di esprimere nella polis la geniale specificità del femminile. Cfr. G. Salonia (2005), Femminile e maschile, cit. 80 «Così come il complesso di Edipo, per mezzo della proibizione dell’incesto, inserisce il soggetto nel mondo nella cultura, il complesso fraterno per l’approfondimento delle relazioni narcisistiche che si articolano o meno con la dinamica edipica, inserisce l’individuo nell’ordine sociale»: L. Kanciper (1996), Il complesso fraterno e il complesso edipico, citato in G. De Simone (2007), Le famiglie di Edipo, op. cit. Per la prospettiva gestaltica sulla fratria, cfr.: P. Aparo (2013), Oltre l’Edipo. Un fratello per Narciso, in «GTK Rivista di Psicoterapia», 4. in press. E inoltre: J. Dunn, C. Kendrick (1987) (ed. or. 1982), Fratelli, Il Mulino, Bologna; J. Mitchell (2004) (ed. or. 2000), Pazzi e Meduse. Ripensare l’isteria alla luce della relazione tra fratelli e sorelle, La Tartaruga, Milano; cfr anche G. Salonia (2007), Odòs. La via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, op. cit.

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Solo un figlio (una figlia) a cui è permessa l’audacia di sentirsi fino in fondo maschio o femmina di fronte ai propri genitori può pervenire ad una maturità piena


BIBLIOGRAFIA

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Collana GTK Edizioni Il Pozzo di Giacobbe L’Istituto di Gestalt Therapy hcc Kairòs cura una collana di testi di Gestalt Therapy presso l’editore Il Pozzo di Giacobbe. Tanti piccoli grandi libri sulla vita e sulla morte, sul senso e sulla sua disperazione, sul dolore e su i suoi esiti, sulla crescita e i suoi blocchi, sulla patologia e sulla clinica. Libri ispirati alla Gestalt Therapy (o ai suoi dintorni) e tesi a rileggere in maniera agile, vivace e scientificamente coerente le contraddizioni e il fascino della condizione umana nel difficile transito della modernità.

TESTI PUBBLICATI Come l’acqua…Per un’esperienza gestaltica con i bambini tra rabbia e paura Autori: Dada Iacono, Ghery Maltese Si esce dalla lettura di Come l’acqua... con delle sensazioni forti, come quando si viene fuori da uno di quei fiumi rigeneratori presenti in ogni cammino di iniziazione. Il corpo che vibra e le gocce che giocano sulla pelle narrano dell’acqua che scorre, della dolcezza del fluire ritrovato, della forza che proviene dagli argini, dell’impeto come energia che attraversa gli ostacoli. Leggendo si impara tanto su come, nella teoria e nella prassi della Gestalt Therapy, si lavora (o meglio: si entra in contatto) con i bambini. E non solo con loro. E non solo nel setting terapeutico o educativo. Perché i bambini ci aiutano a crescere. E forse, per far crescere la «nostra statura prossima» (quella di cui parla mirabilmente Mario Luzi), abbiamo bisogno di raggiungere ogni bambino ferito nel suo dolore, nella sua disperazione, e di coinvolgerlo (e coinvolgerci) nella danza relazionale che dentro il suo corpo vibra e preme per fluire. Come l’acqua... ISBN: 978-88-6124-384-2

La Grazia dell’audacia. Per una lettura gestaltica dell’Antigone Autore: Giovanni Salonia Il volume è ispirato da un personaggio che è icona della forza gestaltica della relazione e della capacità di portare avanti fino in fondo ciò che il cuore detta: Antigone, protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle. Sono le riflessioni di Giovanni Salonia a guidarci nei sentieri del cuore e delle vicende di questa fanciulla che, con grazia ed intensità tutta femminile, sa proclamare ad una società che si è smarrita nella insensatezza ed aridità di una logica autoreferenziale, quell’ordine degli affetti che – solo – può restituire via e vita. «Solo perché lei sacrifica i suoi affetti più cari non scomparirà nella città il diritto degli affetti». Al saggio di Salonia fanno da cornice una prefazione di Antonio Sichera che introduce ad un lettura gestaltica dell’eroina sofoclea ed una traduzione inedita ed integrale del testo greco, preceduta a sua volta da una breve pagina di delucidazione sui criteri ed i riferimenti che hanno guidato l’opera di traduzione. ISBN: 978-88-6124-365-1 Pagine: 80

Sulla felicità e dintorni. Tra corpo parola e tempo Autore: Giovanni Salonia La felicità passa, ma a volte ritorna. È questo il messaggio in codice che viene dalla lettura di questo libro. Come a dire che non dobbiamo deflettere, che non è mail il caso di deporre la speranza. Anche nella condizione più difficile si può farle spazio, affinché la tanto attesa ritorni. ISBN: 978-88-6124-182-4 Pagine: 184



ANTONIO SICHERA

DALLA FRATTURA FREUDIANA ALLA CONTINUITÀ GESTALTICA: LO SCARTO EPISTEMOLOGICO DI GESTALT THERAPY di Antonio Sichera

L’inconscio e il suo oltrepassamento in una prospettiva storico-culturale

’Morte di Dio’ (del padre, della tradizione, dell’autorità garante) e relativa consegna dell’uomo nuovo alla sfida del ‘peso più grande’, ovvero del tentativo di dotare autonomamente di senso il proprio esserci, includendo in esso il dolore, il male e la morte

Al di là forse delle intenzioni dello stesso Freud, l’inconscio è una metafora e un’ermeneutica critica della modernità matura, sulla soglia del ’900 e di un’età storica che Hobsbawm1 definirà non a caso ‘età della catastrofe’. La fondazione del moderno coincide infatti con l’attacco ai paradigmi della tradizione classica e giudaico-cristiana, e con la conseguente rottura di un millenario equilibrio in cui una serie di autorità riconosciute, e soprattutto trascendenti la soggettività, garantivano l’interpretazione condivisa del cosmo, della storia, dell’esistenza stessa. Era la forma presa in epoca medievale dal paradigma della cristianità, incentrato sulla giustificazione divina del vivere e del morire. La sua fine, intuita acutamente da Nietzsche nelle famose pagine della Gaia scienza2, si può rappresentare appunto come ‘morte di Dio’ (del padre, della tradizione, dell’autorità garante) e relativa consegna dell’uomo nuovo alla sfida del ‘peso più grande’, ovvero del tentativo di dotare autonomamente di senso il proprio esserci, includendo in esso il dolore, il male e la morte. Ora, l’inconscio non potrebbe apparire senza questo sfondo, di cui è metafora. Perché? Perché – come sappiamo – la sorgente dell’inconscio rimosso è collocabile all’altezza dell’Edipo, ovvero in quella scena originaria in cui (almeno nell’interpretazione di Freud che, come Vernant3 ha dimostrato ad abundantiam, non ha nulla a che vedere con l’Edipo del V secolo) un soggetto vive il proprio conflitto decisivo con l’autorità, con la tradizione

1 Hobsbawm E. (1995), Il secolo breve, Rizzoli, Milano. 2 Nietzsche F. (1992), La gaia scienza e Idilli di Messina, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano. 3 Vernant J.P., (1996), Edipo senza complesso, Mimesis, Milano; G. Salonia (2013), Edipo dopo Freud. Dalla legge del padre alla legge della relazione, infra

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(il padre), ne sente l’angoscia e il senso di colpa in una lotta mortale – ovvero fa esperienza della ferita e del rischio insito in questo confronto con l’Altro – ne esce, infine, non sostenendo l’intensità del conflitto e decidendo ‘ragionevolmente’ di installarsi, di prendere il posto dell’autorità, della tradizione, in un’evoluzione positiva ma ambigua, perché ottenuta a prezzo di una rinunzia a guardare in faccia la tragedia della ferita, guarendone grazie all’oblio del dramma che si trova a monte di tutto. In ogni caso, quel che conta rilevare dal nostro punto di vista è che l’inconscio è anzitutto uno spazio tragico, non solo in quanto generato dal deposito psichico di una vicenda dal ’titolo’ tragico, ma perché contorni tragici ha al fondo questa storia originaria, dove accade un conflitto intenso, profondo, decisivo, tanto terribile da risolversi o con una sorta di ambigua fuga salvifica o con una ferita praticamente irreparabile. Eppure l’inconscio non è solo questo, non è solo un tòpos ascrivibile all’anagrafe del tragico. In esso si annida pure un’energia insospettabile, dai tratti giocosi e liberanti. L’Unbewusste è infatti anche la fonte della creazione estetica, la spinta potente alla deformazione onirica della realtà, alla sua messa in mora grazie allo sviluppo di un processo sorgivo, ‘primario’ appunto, nel quale si esprime il potenziale trasfigurante ed eversivo proprio dell’agire dei bambini. Qui il linguaggio viene manipolato, la ratio del reale irrisa, le regole infrante. Freud esitò di fronte a questa enèrgeia inquietante, cantandone le lodi da un lato ma dall’altro confinandola in un piano di esistenza incapace di sfiorare la realtà effettiva, e per di più concependola, dal punto di vista del poietès, solo come compensazione parziale e inattingibile di un disagio patologico. Ciò non toglie che l’inconscio sia dunque per il padre della psicoanalisi anche uno spazio ludico, il motore di quell’esperienza artistica che lungo la modernità ha non a caso rappresentato l’unica salus, quasi l’unica teologia possibile in un mondo sottratto alla tutela di Dio. In Freud c’è insomma la metafora sia della tragedia del moderno sia della sua possibile lenizione, ma la profezia ermeneutica della psicoanalisi si paga, nel sistema, con un isolamento lancinante dell’uomo che soffre (diviso dentro di sé e privo di ogni consapevolezza intersoggettiva) e con il confinamento

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L’Unbewusste è infatti anche la fonte della creazione estetica, la spinta potente alla deformazione onirica della realtà, alla sua messa in mora grazie allo sviluppo di un processo sorgivo, ‘primario’ appunto, nel quale si esprime il potenziale trasfigurante ed eversivo proprio dell’agire dei bambini


Siamo di fronte, in definitiva, ad una epistemologia della frattura, ad un impianto teoretico segnato dalla discontinuità e dalla drammatica divisione del soggetto e della sua esperienza del mondo

della djnamis rianimante in una regione psichica sottratta alla coscienza e alla quotidianità. L’inconscio è uno spazio duplice, tragico e ludico insieme, ma è comunque per definizione luogo psichico protetto da una barriera che divide il soggetto, dal mondo come anche da se stesso. Siamo di fronte, in definitiva, ad una epistemologia della frattura, ad un impianto teoretico segnato dalla discontinuità e dalla drammatica divisione del soggetto e della sua esperienza del mondo. È in questo contesto che bisogna capire l’inesausto dibattito con l’eredità freudiana in cui si affaticano lungo tutto il suo corso gli autori di Gestalt Therapy4, il libro fondativo della psicoterapia della Gestalt, nato nella New York del secondo dopoguerra proprio in forza di una stringente rilettura dei testi di Freud messa in atto da un raffinato gruppo di intellettuali europei ed americani (terapeuti, filosofi, letterati), raccolti in ‘circolo’ da Laura Polster (moglie di quel Frederick Perls a cui si devono le germinali intuizioni teoriche poi sviluppate nel libro newyorkese dalla penetrante scrittura di Goodman). Si trattava per loro non di ignorare Freud o di attaccarlo gratuitamente, bensì di ridiscuterlo a partire da un presupposto teoretico nuovo, quello che potremmo chiamare una ‘epistemologia della continuità’, cioè dell’integrità soggettiva e della totalità dell’esperienza. Nello specifico, rispetto all’inconscio e alla sua duplicità di generatore della patologia come anche di artefice occulto dell’aìstesis, bisognava compiere essenzialmente due mosse, opposte e speculari rispetto alla lezione freudiana. Da un lato, riportare la dimensione tragica alla relazione fondativa, ovvero ricondurla alla superficie intersoggettiva che ne è alla base e che può essere recuperata e come ‘sciolta’ in terapia; dall’altro, si doveva restituire all’arte la sua forza di modificazione del reale, rileggendola al contempo come un processo di profonda integrazione fra i livelli del vissuto, tra corpo e parola, fra implicito ed esplicito.

4 Perls F., Hefferline R., Goodman P. (1951), Gestalt Therapy: Excitement and Growth in the Human Personality, Julian Press, New York; edizione riveduta del Gestalt Journal Press (1994), trad. It. (1971; 1997) La terapia della Gestalt: eccitazione e accrescimento nella personalità umana, Astrolabio, Roma.

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La prima mossa: l’ermeneutica relazionale dell’inconscio L’acquisizione da cui partire, in Gestalt Therapy, per restituire l’inconscio alla sua matrice relazionale è certamente quella del campo organismo/ambiente. Come dire: ‘In principio era il campo’. Ovvero: nel modello elaborato da Perls e Goodman la realtà non è data da un soggetto isolato, separato dal mondo, ripiegato sulla propria psiche, ma è un campo vitale organismo/ambiente, ovvero una realtà in cui soggetto e mondo si danno originariamente come con-presenti, come un con-esserci (il MitDasein heideggeriano). L’en arkhè dell’esistenza è dunque la relazione, considerata in tutti i suoi livelli: fisiologico, affettivo, sociale, culturale, politico, perché tutti questi livelli interagiscono olisticamente nella fenomenologia dell’esperienza. Ma che cos’è allora l’esperienza? L’esperienza è l’organizzazione del campo secondo il ritmo di figura e sfondo. Un evento del campo quindi, come una sua spontanea organizzazione interna per cui, a partire da un bisogno organismico o da uno stimolo ambientale esso è pervaso da una energia strutturante, l’eccitazione (equivalente energetico del desiderio) che conduce l’organismo e l’ambiente, l’io e il tu alla co-creazione di uno spazio comune, il confine di contatto. Alla base di questo processo c’è l’illuminazione di una zona del campo che attira le risorse e le energie in esso presenti (quella che chiamiamo ‘figura’) e che va progressivamente determinandosi sullo ‘sfondo’ del corpo e dell’ambiente non toccati dall’eccitazione; nel contatto la figura è piena e luminosa, poi il confine finisce di vibrare, l’organismo e l’ambiente si ritirano e la figura va nello sfondo, ovvero viene assimilata e contribuisce alla crescita dell’organismo. Si tratta del ritmo vitale che appartiene all’esperienza in maniera costitutiva, sin dalla primissima infanzia. Si pensi al lattante (da non considerare, se non a rischio di un’astrazione insostenibile, fuori dal campo della madre e di coloro che se ne prendono cura), che sente emergere dallo sfondo corporeo il bisogno di mangiare, la fame. Da qui prende avvio il pro-

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L’acquisizione da cui partire, in Gestalt Therapy, per restituire l’inconscio alla sua matrice relazionale è certamente quella del campo organismo/ambiente

L’esperienza è l’organizzazione del campo secondo il ritmo di figura e sfondo


L’esperienza non è mai opera di un soggetto isolato, ma frutto della sua creatività nel campo, del suo manipolare, rifiutare, scegliere le possibilità ‘date’, offerte dal campo

cesso creativo del sé5. Appena l’oggetto/possibilità che può soddisfare il bisogno viene illuminato ­– il latte – l’eccitazione cresce, l’oggetto fa figura mentre il bisogno va sullo sfondo; a questo punto avviene la messa a fuoco della figura, attraverso l’orientamento e l’esplorazione: il bambino piange, si muove (sa che il campo si strutturerà in rapporto a questo suo tentativo di manipolarlo), opera una serie di identificazioni e alienazioni (rifiuta l’acqua o il ciuccio che gli venissero eventualmente dati in sostituzione); appena la mano della madre col suo calore gli offre il biberon o il seno, la figura è completamente realizzata, il contatto è pieno, la luminosa figura del tu emerge e tutto il resto (il corpo non implicato e l’ambiente al di fuori del processo) va sullo sfondo; il contatto si chiude con la soddisfazione (di latte e di calore), che lascia un senso di fluidità nel rapporto, in cui ci sono la pace e il gioco fra madre e bambino; il corpo assimila il latte al di fuori della consapevolezza del piccolo (la figura retrocede nello sfondo corporeo) e lo annette nel dominio della fisiologia, perché quel che è stato assimilato appartiene al nostro corpo e può essere utilizzato spontaneamente6. L’esperienza è dunque una totalità, intesa come processo di contatto, il cui ritmo e la cui legge interna non variano, indipendentemente dal contenuto dell’esperienza (si tratti, ad esempio, di nutrirsi, si tratti di funzioni fisiologiche o di apprendimenti affettivi o educativi). Due cose bisogna notare: 1) l’esperienza non è mai opera di un soggetto isolato, ma frutto della sua creatività nel campo, del suo manipolare, rifiutare, scegliere le possibilità ‘date’, offerte dal campo, ovvero l’esperienza è adattamento creativo, la creatività le appartiene intrinsecamen-

5 G. Salonia (2013), Gestalt Therapy and Development Theory, in G. Francesetti, M. Gecele, J. Roubal (edd.), Gestalt Therapy in clinical practica - from psichopathology to the aestethics of contact, Franco Angeli, Milano. 6 M. Spagnuolo Lobb (2001), La teoria del sè in Psicoterapia della Gestalt, in Id. (ed.), Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e clinica, Franco Angeli, Milano, 86-110; G. Salonia (2012), Teoria del sé e società liquida. Riscrivere la funzione-Personalità in Gestalt Therapy, in «GTK Rivista di psicoterapia», 3, 33-66; A. Sichera (2012), Funzione personalità nel testo Gestalt Therapy, in «GTK Rivista di psicoterapia», 3, 19-29

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te; 2) quel che viene assimilato nel processo di contatto entra a far parte dello sfondo corporeo come una seconda fisiologia, un’abitudine inconsapevole ma sempre riattingibile, indipendentemente dal suo appartenere al pre-edipico o all’edipico. Non è necessario pensare cioè ad un inconscio non rimosso7, ma ad un retrocedere della figura nello sfondo, un’assimilazione corporea inconsapevole dell’elemento nutriente, che nel processo di contatto ‘sufficientemente buono’ genera la possibilità di ricontattare l’esperienza o attraverso il sapere corporeo (perché delle primissime esperienze infantili perdiamo la memoria dei contenuti, ma la memoria corporea della forma delle esperienze – del calore ricevuto, della fiducia accordata, della spontaneità vissuta, dell’ardore sentito – permane vivissima e riattingibile come un potere formidabile della vita adulta) o attraverso il sapere linguistico, nel caso di apprendimenti successivi all’apparizione e all’uso di questa eccezionale facoltà. Dove e come si genera la patologia? Quando il ritmo dell’esperienza, il suo flusso, viene spezzato, interrotto. Più precisamente: quando la progressiva illuminazione/avvicinamento alla figura del contatto viene bloccata e il crescere dell’eccitazione viene smorzato, si impara a controllare deliberatamente l’esperienza così che nel tempo il controllo viene dimenticato, entra a far parte della fisiologia e quindi si trasforma in un’abitudine inconsapevole, mentre l’eccitazione (il desiderio) resta a disturbare lo sfondo corporeo interferendo con ogni situazione successiva. La relazione ferita è quella in cui il contatto non si è compiuto, in cui esso è apparso pericoloso o impossibile, e il sé è stato costretto a trovare un modo per difendersi dal pericolo (trattenendo il respiro, curvando le spalle, ecc.), frenando cioè l’eccitazione e uscendo dal processo con il minor danno possibile, con l’adattamento consentito ‘in emergenza’. Il modo in cui si è bloccata la relazione viene dimenticato, il desiderio di contatto, l’apertura del sé all’incontro con l’altro, la tensione originaria verso il tu con cui l’evento dell’incontro è stato impossibile rimane, ineliminabile.

7 M. Mancia (2006), Implicit Memory and early unrepressed Unconscious: their role in the therapeutic process, in «The International Journal of Psychoanalysis», 87, 83-103.

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La relazione ferita è quella in cui il contatto non si è compiuto, in cui esso è apparso pericoloso o impossibile


Alla frattura psicoanalitica fra conscio e inconscio si sostituisce una continuità dell’esperienza soggettiva affidata al corpo e tutta giocata sul rapporto fra consapevole e inconsapevole

...la terapia in Gestalt non è la via per un riattingimento del contenuto rimosso, ma il completamento in una relazione reale della situazione incompiuta, che è qui e ora presente nel setting

La differenza fra nevrosi e psicosi, in questa prospettiva, è che mentre il desiderio infantile non arcaico rimane nello sfondo, nel corpo, come disturbo delle successive esperienze (ed è questa pressione sul corpo a generare il sintomo nevrotico come allarme per la crisi della ‘tradizione’ soggettiva), nelle esperienze più arcaiche il blocco dell’eccitazione nel suo primo espandersi annichilisce lo sfondo stesso, impedisce il formarsi del ground, intacca insomma le funzioni primarie del corpo, che non impara a distinguere ad esempio fra percezione del mondo e propriocezione; in questo caso, ogni esperienza è riempita dal sé, tutto fa figura, nessuno sfondo sostiene e dà fiducia: si genera il sintomo psicotico8. Alcune conseguenze: 1) nell’interpretazione gestaltica quel che la psicoanalisi chiama inconscio (nel senso di inconscio rimosso) non è altro che il frutto ormai inconsapevole di un blocco relazionale trasformato in blocco intrapsichico, un controllo deliberato nato nella relazione e assimilato dal corpo/sfondo come abitudine inconsapevole, la cui energia di desiderio rimane viva però a depotenziare e a turbare ogni esperienza successiva. L’arcaicità del blocco stabilisce la natura del disturbo, come debolezza della figura o come crisi dello sfondo stesso dell’esperienza (come abbiamo già detto, l’inconscio non rimosso, ovvero gli schemi e le forme dell’esperienza infantile pre-edipica, debbono considerarsi, alla stessa stregua, non come vissuti sepolti e inaccessibili, ma come apprendimenti originari disponibili alla memoria corporea quali potenzialità decisive della vita adulta); 2) in questo senso, alla frattura psicoanalitica fra conscio e inconscio si sostituisce una continuità dell’esperienza soggettiva affidata al corpo e tutta giocata sul rapporto fra consapevole e inconsapevole; 3) la terapia in Gestalt non è la via per un riattingimento del contenuto rimosso, ma il completamento in una relazione reale della situazione incompiuta, che è qui e ora presente nel setting, e non semplicemente evocata o idealmente rappre-

8 Cfr. M. Spagnuolo Lobb (2003), Creative adjustement in Madness: A Getalt THerapy Model for Seriouly Disturbed Patients, in M. Spagnuolo Lobb, N. Amendt-Lyon (edd.), Creative License: The Art of Gestalt Therapy, Springer, Vienna & New York; G. Salonia, V. Conte, P. Argentino (2013), Devo sapere subito se sono vivo. Saggi di psicopatologia gestaltica, Il pozzo di Giacobbe, in press

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sentata; la terapia è il cammino verso una nuova illuminazione della figura del contatto o verso una (ri)costituzione dello sfondo mai formato, in una co-creazione che ridà elasticità vitale al confine o lo costituisce come spazio di incontro con la realtà di un tu. Così, in Gestalt Therapy, l’inconscio ritorna nel mondo degli uomini, nella realtà delle loro relazioni, e può essere reso creativamente attingibile, può essere ‘sciolto’ nella terapia. Ma tutto questo non è senza l’estetica.

La seconda mossa: lo scioglimento estetico Che cosa accade infatti in concreto nel setting? Nient’altro che una poìesis, una creazione condivisa in cui si chiude il cerchio fra implicito ed esplicito, fra corpo e parola. Nella prospettiva di Perls e Goodman, infatti, la terapia è uno spazio estetico, in cui viene dato corpo alla parola vuota del nevrotico, oppure si dà parola, contenimento espressivo al corpo ferito dello psicotico. Si tratta di un punto capitale, perché in questo senso la terapia non fa appunto che ‘mimare’ (e ‘rifare’) nella relazione l’essenza stessa di ogni atto estetico. Che cos’è l’arte, infatti? Certamente non un processo alla cui base, al cui fondamento sia da porre l’inconscio – rimosso o non rimosso –, vale a dire un implicito che ne rappresenterebbe il segreto, la chiave di volta, come un nucleo sorgivo poi rivestito dall’artista di parole, di suoni, di colori, ‘formalizzato’ cioè ed espresso in termini specifici (estetici, in senso proprio), ma in definitiva secondari. No. La fenomenologia dell’atto estetico non può a rigore considerarlo né come il regno della pura implicitezza né alla stregua di un processo di verbalizzazione o di esternalizzazione di un contenuto psichico non esplicitabile. Il segreto dell’arte, da un punto di vista fenomenologico – già Schelling9 lo sapeva, e l’ermeneutica lo ha ribadito – è l’atto del ‘dare forma’ in senso forte, è l’apparire, nel linguaggio e nei suoi codici, dell’energia implicita, ovvero la poìesis in cui l’inconscio (comunque lo si voglia concepire) trova un’espressione speci-

9 F. Shelling (1996), Sistema dell’idealismo trascendentale, in G. Boffi (ed.), Rusconi, Milano.

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La terapia è uno spazio estetico, in cui viene dato corpo alla parola vuota del nevrotico, oppure si dà parola, contenimento espressivo al corpo ferito dello psicotico


Le relazioni umane autentiche sono profondamente estetiche e dunque l’arte è una potenza trasfiguratrice del mondo e delle condizioni soggettive di esistenza

fica e insostituibile dentro un mondo di simboli e di parole. La poesia ne è una dimostrazione lampante. Non basta nessuna energia psichica, nessun puro pàthos per spiegarla, né d’altronde essa si dà grazie ad un’astratta conoscenza di tecniche e di procedure linguistiche: la poesia ‘è’ quando viene fuori la parola (quella e non un’altra) capace di rendere presente (Steiner pensa per questo alla presenza eucaristica10) la voce, l’affiato corporeo, l’implicito vivente in un’esistenza, nella sua storia, nel suo esserci. Quando si ripropone una presenza, si è di fronte ad una parola che ridà l’emozione, la forza, l’intensità misteriosa di una realtà e di un corpo, lì la poesia appare. Possiamo declinare l’implicito in senso soggettivo o comunitario, esistenziale o culturale; possiamo altresì conferire caratteri storicamente diversi all’esplicito e alle sue forme, ma quel che accade nel vero apparire del poetico è questo circuito quasi miracoloso, questo esserci di una parola, di quella parola e non di un’altra, come una voce, come forma intima e indissolubile di un implicito, di un ‘sapere’ e di un ‘dire’ corporei11. La seconda mossa di Gestalt Therapy appare così nella sua originalità. Non negare la dimensione inconscia dell’estetico, ma riportare questo spazio decisivo dell’esperienza all’integrità del soggetto, alla sua consapevolezza creativa espressa nella ricerca della parola e del codice (non sono l’inconscio o l’implicito, intesi come un primum prelinguistico e quindi sottratto alla superficie dell’esistenza, lo snodo decisivo dell’aisthesis), riconsegnando dunque l’esperienza estetica alla sua sorgente umana, relazionale. Come a dire: le relazioni umane autentiche sono profondamente estetiche e dunque l’arte è una potenza trasfiguratrice del mondo e delle condizioni soggettive di esistenza (nello spazio della creazione l’artista ‘risolve’ il suo problema, chiude l’unfinished business, e questo equi-

10 G. Steiner (1992), Vere presenze, Garzanti, Milano. 11 A. Sichera (2001), In confronto con Gadamer: per una epistemologia ermeneutica della Gestalt, in M. Spagnuolo Lobb (ed.), Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e Clinica, op. cit., 17-41; Id. (2003), Therapy a san astethic issue. Creativity, art and dream in Gestalt Therapy, in M. Spagnuolo Lobb, N. Amendt-Lyon (edd.), Creative License: The Art of Gestalt Therapy, op. cit., 93-127.

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vale alla ‘guarigione’, se al pubblico ideale del poeta si può sostituire il pubblico reale dell’altro, del terapeuta nel setting). Così, nei termini di Nietzsche (non a caso lettura sempre amata e temuta da Freud) il dionisiaco dello spazio tragico trova la propria forma apollinea, condizione imprescindibile del suo autentico apparire nel mondo. L’estetico accoglie il tragico, lo esprime e lo scioglie nella scena (impensabile per Freud e per Nietzsche) di una relazione umana vera e quotidiana.

L’estetico accoglie il tragico, lo esprime e lo scioglie nella scena (impensabile per Freud e per Nietzsche) di una relazione umana vera e quotidiana.

Conclusioni rapide Chiudiamo. Pur da una visuale molto precisa, quella dell’Edipo e della generazione dell’inconscio, la terapia della Gestalt ci è apparsa quale interlocutrice profonda (e per molti versi insospettabile) dell’universo psicoanalitico, a partire dai testi chiave del suo fondatore. Diversamente dalle terapie umanistiche, in genere chiuse per principio alla concettualizzazione freudiana, giudicata improponibile tout court (e dunque esclusa da ogni forma di dialogo), l’approccio nato con Gestalt Therapy tende a coniugare proficuamente l’ispirazione fenomenologica con la matrice psicoanalitica, secondo un modello del tutto originale, che sfugge da un lato all’intrapsichismo freudiano grazie alla fenomenologia del contatto, e dall’altro all’impotenza diagnostica (e linguistica) in virtù di un confronto serrato con i movimenti analitici e postanalitici, riletti da Perls e Goodman in una chiave ermeneutica12. Perché i terapeuti della Gestalt sanno che dove c’è l’Es bisogna porre l’io-tu, dove c’è la frattura si deve ricostruire la continuità vitale dell’esperienza; ma rimangono memori, nel pensiero e nel linguaggio, che quella frattura è in verità la feritoia, l’utero, dal quale sono apparsi al mondo come nuova creatura.

12 G. Salonia (2001), Tempo e relazione. L’intenzionalità relazionale come orizzonte ermeneutico della Psicoterapia della Gestalt, in M. Spagnuolo Lobb (ed.), Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e Clinica, op. cit., 65-85.

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Perché i terapeuti della Gestalt sanno che dove c’è l’Es bisogna porre l’io-tu, dove c’è la frattura si deve ricostruire la continuità vitale dell’esperienza; ma rimangono memori, nel pensiero e nel linguaggio, che quella frattura è in verità la feritoia, l’utero, dal quale sono apparsi al mondo come nuova creatura


BIBLIOGRAFIA

Hobsbawm E. (1995), Il secolo breve, Rizzoli, Milano. Mancia M. (2006), Implicit Memory and early unrepressed Unconscious: their role in the therapeutic process, in «The International Journal of Psychoanalysis», 87, 83-103. Nietzsche F. (1992), La gaia scienza e Idilli di Messina, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano. Perls F., Hefferline R., Goodman P. (1951), Gestalt Therapy: Excitement and Growth in The Human Personality, Julian Press, New York. Salonia G. (2001), Tempo e relazione. L’intenzionalità relazionale come orizzonte ermeneutico della Psicoterapia della Gestalt, in M. Spagnuolo Lobb (ed.), Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e Clinica, Franco Angeli, Milano, 65-85. Salonia G. (2012), Teoria del sé e società liquida. Riscrivere la funzione-Personalità in Gestalt Therapy, in «GTK Rivista di Psicoterapia», 3, 33-66. Salonia G. (2013), Edipo dopo Freud. Dalla legge del padre alla legge della relazione, infra Salonia G. (2013), Gestalt Therapy and Development Theory, in G. Francesetti, M. Gecele, J. Roubal (edd.), Gestalt Therapy in Clinical Practice – From Psychopathology to the Aesthetics of Contact, Franco Angeli, Milano. Salonia G., Conte V., Argentino P. (2013), Devo sapere subito se sono vivo. Saggi di psicopatologia gestaltica, Il pozzo di Giacobbe, in press. Shelling F. (1996), Sistema dell’idealismo trascendentale, in G. Boffi (ed.), Rusconi, Milano. Sichera A. (2001), In confronto con Gadamer: per una epistemologia ermeneutica della Gestalt, in M. Spagnuolo Lobb (ed.), Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e Clinica, Franco Angeli, Milano, 17-41. Sichera A. (2003) Therapy a san aesthetic issue. Creativity, art and dream in Gestalt Therapy, in M. Spagnuolo Lobb, N. Amendt-Lyon (edd.), Creative License: The Art of Gestalt Therapy, Franco Angeli, Milano, 93-127. Sichera A. (2012), La funzione Personalità nel testo Gestalt Therapy, in «GTK Rivista di Psicoterapia», 3, 19-29. Spagnuolo Lobb M. (2001), La teoria del sè in Psicoterapia della Gestalt, in Id. (ed.), Psicoterapia della Gestalt. Ermeneutica e clinica, Franco Angeli, Milano, 86-110. Spagnuolo Lobb M. (2003), Creative adjustment in Madness: A Gestalt Therapy Model for Seriously Disturbed Patients, in M. Spagnuolo Lobb, N. Amendt-Lyon (edd.), Creative License: The Art of Gestalt Therapy, Springer, Vienna & New York. Vernant J.P. (1996), Edipo senza complesso, Mimesis, Milano.

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EDIPO RE

Sofocle EDIPO RE traduzione di Guido Paduano

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Personaggi: EDIPO UN SACERDOTE CREONTE CORO TIRESIA GIOCASTA UN MESSAGGERO DA CORINTO UN SERVO DI LAIO UN MESSAGGERO TEBANO

EDIPO (Sulla scena è una folla di Tebani, guidati dal Sacerdote) Figli miei, ultimi discendenti dell’antichissimo Cadmo, perché sedete qui davanti a me, con i rami e le bende sacre? E tutta la città è piena d’incenso, piena di gemiti e di preghiere. Non ho voluto essere informato dai messi, ma sono venuto qui di persona, io, l’uomo che porta il nome illustre di Edipo. Parla tu, vecchio, a nome di tutti: a te spetta. Perché siete qui? Con quali timori? con quali speranze? Come vorrei darvi ogni aiuto! Sarei insensibile al dolore, se non avessi pietà del vostro stato di supplici. SACERDOTE Edipo, signore della nostra terra; tu ci vedi davanti ai tuoi altari, persone di ogni età: passerotti ancora incapaci di lunghi voli e sacerdoti gravati dalla vecchiaia come me, che esercito il culto di Zeus... ma tutti gli altri, con rami come questi, stanno nelle piazze, o vicino ai due templi di Atena, o presso il santuario di Apollo. La nostra città, come vedi, ondeggia e non riesce a sollevare più il capo dal profondo della tempesta di sangue. Perisce coi frutti della terra ancora immaturi, con la moria delle greggi, coi parti infecondi delle donne. È l’ orribile peste, una divinità di fuoco, che colpisce Tebe. Si vuota la casa di Cadmo, e il regno dei morti si riempie di gemiti e pianti. lo e questi giovani sediamo di fronte alla tua casa, non perché ti consideriamo uguale agli dèi, ma perché le vicende della tua vita e l’intervento degli dèi ti indicano come il più grande degli

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uomini. Tu sei venuto a Tebe e ci hai liberato dal tributo che pagavamo al canto crudele della Sfinge; e l’hai fatto senza sapere nulla prima, senz’essere stato istruito da nessuno; quindi, si dice, è con l’aiuto di un dio che hai risollevato la nostra esistenza. Ora, signore potentissimo, ti scongiuriamo noi tutti, supplici, di trovare un rimedio, che tu lo apprenda dalla voce di un dio o da quella di un dio: è più che mai vivo il consiglio degli uomini ricchi d’esperienza. Tu che sei il migliore tra gli uomini, risolleva la nostra città! Per il beneficio di un tempo, Tebe ti chiama suo salvatore: fa che la memoria del tuo regno non sia quella di una resurrezione seguita da una nuova caduta: risolleva questa città, che possa vivere in sicurezza! Una volta ci hai dato fortuna; fa’ anche oggi lo stesso. E se governerai questa terra in futuro, come oggi la governi, sarà meglio con la sua gente, che non vuota. Deserte, senza uomini che l’abitino, né una nave, né una fortezza valgono più nulla. ED.

Miei poveri figli, i vostri desideri non mi sono ignoti; li conosco bene. So che tutti soffrite, ma nessuno di voi soffre quanto me. Il vostro dolore è per voi stessi e per nessun altro; la mia anima piange ugualmente la città e voi e me. Non mi avete svegliato dal sonno; sappiate che ho già versato molte lacrime e percorso molte strade nel vagare del mio pensiero. L’unico rimedio che pensando ho potuto trovare l’ho già messo in atto. Ho mandato mio cognato Creonte a Delfi, per sapere cosa posso fare o dire per salvare questa città. Anzi, il calcolo del tempo già trascorso mi dà qualche preoccupazione; stranamente indugia più del necessario a tornare. Ma quando tornerà... sarei un malvagio se non mettessi subito in atto tutto quello che il dio manifesta.

SAC. Hai parlato a tempo. Questi amici mi fanno cenno che Creonte sta arrivando. ED.

Signore Apollo, possa egli risplendere della luce della salvezza, come splendente è il suo sguardo.

SAC. Mi sembra che porti buone notizie; altrimenti non verrebbe incoronato d’alloro. ED.

Lo sapremo subito; ormai può ascoltarci. Creonte, mio caro congiunto, quale parola ci porti da parte del dio?

CR.

Buona. Anche una situazione difficile può risolversi felicemente, purché ci si incammini per la via giusta.

ED.

Ma qual è la parola? Fino ad ora il tuo discorso non mi ispira né paura né coraggio.

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CR.

Se vuoi che parli davanti a tutti loro, sono pronto: diversamente entriamo nel palazzo?

ED.

Parla a tutti, il dolore che soffro è più per loro che per la mia vita.

CR.

Dirò dunque quello che ho saputo da parte del dio. Apollo ci ordina apertamente di scacciare dalla città una contaminazione radicata in questa terra, di non ospitare tra noi un’impurità insanabile.

ED.

Con quale rito? Qual è la natura di questa disgrazia?

CR.

Dobbiamo scacciare un uomo, o pagare morte con morte. È il sangue versato che sconvolge la nostra città.

ED.

A quale morte allude l’oracolo?

CR.

Re di questa terra, prima che tu la guidassi, fu un tempo Laio.

ED.

L’ho sentito dire; ma non l’ho mai visto.

CR.

È morto, e il dio ci ordina chiaramente di punire i suoi uccisori, chiunque sia stato.

ED.

Dove sono? Dove si potrà trovare la traccia di un delitto così antico?

CR.

In questa terra, ha detto il dio: quello che si cerca si trova, ma quello che si trascura ci sfugge

ED.

Ma fu a casa sua, o in campagna, o in terra straniera che Laio incontrò la morte?

CR.

Disse che partiva per far visita al dio, e una volta partito non tornò più.

ED.

Ma nessuno portò sue notizie? Non c’era un compagno di viaggio che vide ciò che gli capitò, e che potesse informarvi?

CR.

Sono morti tutti, tranne uno che fuggì terrorizzato, e di tutto ciò che aveva visto non ha saputo riferire che una cosa sola.

ED.

Quale? Una cosa può farcene apprendere molte altre, se solo potessimo trovare un inizio di speranza.

CR.

Disse che erano stati dei briganti a ucciderlo, non uno solo, molti.

ED.

Ma come può un brigante avere osato tanto, se il delitto non è stato comprato da dentro la città?

CR.

Questa era la voce corrente: ma dopo la morte di Laio altre sciagure ci opprimevano, e nessuno ha pensato a vendicarlo.


ED.

Quale sciagura ha potuto impedirvi di indagare sulla sorte del vostro re, morto in quella maniera?

CR.

La Sfinge col suo canto ambiguo ci ha costretti a lasciar perdere questo mistero, a occuparci del nostro presente.

ED.

Ricomincerò da capo e farò luce di nuovo. È giusto che Apollo, è giusto che tu vi prendiate questa cura del morto. E giustamente mi avrete alleato; insieme con il dio e con la città compirò la vendetta. E non per amore di congiunti lontani, ma proprio per amore di me stesso voglio disperdere questa impurità. Chi l’ha ucciso, presto con la stessa mano potrebbe voler uccidere anche me. È nel mio interesse prendere le difese di Laio. Figli miei, presto, alzatevi dai gradini dell’altare, togliete di qua i rami supplici. Qualcuno raduni qui il popolo di Cadmo. Farò qualsiasi cosa; con l’aiuto del dio, presto apparirà chiara o la nostra salvezza,o la nostra rovina.

SAC. Alziamoci, figli miei. Siamo venuti qui proprio per ottenere quello che il re ci ha appena annunciato. E Apollo, che invia questi oracoli, possa essere il nostro salvatore, e porre termine alla peste. CORO Dolce parola di Zeus che giungi alla splendida Tebe dal santuario di Apollo, teso nella paura, il mio cuore si agita tremando. Apollo, mi inchino a te e mi chiedo cosa vuoi fare di noi, cosa ci riserverai con lo scorrere delle stagioni. Parla, tu voce divina, figlia dell’aurea speranza.

Te invoco per prima, figlia di Zeus, Atena immortale, e tua sorella Artemide, protettrice di questa terra, che ha sede nel nobile cerchio della piazza; e Apollo, che manda le sue frecce da lontano. Apparite tra noi, tutti e tre, nostra difesa dalla morte. Come quando la Sfinge minacciava la città avete respinto la fiamma del male, così anche ora venite.

Ahimè, sono infinite le sciagure che soffriamo. Tutto il popolo è preso dalla malattia, e non c’è arma della ragione che ci possa difendere. Non crescono i frutti della terra, non si scioglie nel parto il travaglio delle donne. L’uno dopo l’altro li vedi come uccelli, veloci più del fuoco, precipitarsi alle rive del dio della notte.

La città è sfinita da questi lutti innumerevoli. Senza pietà, senza compianto, i suoi figli giacciono sulla terra, e diffondono la morte. Le mogli, le madri canute supplicano ai piedi degli altari e piangono pene angosciose. Aurea figlia di Zeus, mandaci un soccorso benigno.

Vattene via, Ares violento, che mi bruci nell’urlo di guerra, vattene di corsa, lontano da qui; e un vento propizio ti disperda in mare o ai confini del mon-

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do. Ora, se qualche orrore tralascia la notte, il giorno si precipita a compierlo. Zeus padre, tu che amministri il potere delle folgori, abbattilo sotto il tuo fulmine.

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E tu Apollo, dalla tua corda d’oro partano frecce invincibili a nostra difesa come le fiaccole lucenti con cui Artemide percorre i monti. E invochiamo anche il dio dalla mitra d’oro che proteggi questa terra: Dioniso, dio del vino, compagno delle baccanti, avvicinati con la torcia ardente contro il dio che tra gli dèi non ha onore.

ED.

Voi pregate, ma se darete ascolto alle mie parole, otterrete un aiuto e la liberazione dai mali. lo parlo da estraneo ai fatti e al discorso di Apollo e da solo non farei molta strada nella ricerca, non possedendo nessuna traccia. Ora che, pur venuto dopo, sono cittadino fra i cittadini, proclamo a tutti i Tebani: chi di voi sa per quale mano sia morto Laio, figlio di Labdaco, deve comunicare a me ogni cosa. Il colpevole non abbia paura, può cancellare l’accusa denunciando se stesso: non gli sarà fatto del male e potrà lasciare incolume questa terra, se qualcuno sa che l’assassino è uno straniero non tenga per sé il segreto, avrà da me gratitudine e ricompensa. Se invece tacete, temendo per voi stessi e per le persone che vi sono care, e non obbedirete a questo editto, ascoltate quello che farò. Nella terra sulla quale ho trono e potere proibisco di accogliere quest’uomo, chiunque sia, di rivolgergli la parola, di averlo accanto nelle preghiere e nei sacrifici, di dividere con lui l’acqua lustrale. Tutti dovranno scacciarlo dalla loro casa, costui che ci contamina, come mi ha manifestato, poco fa la voce di Apollo. In questo modo io mi schiero al fianco del dio e dell’uomo che è morto, e maledico il colpevole nascosto, che abbia commesso il delitto da solo o con altri; possa trascorrere una vita di sciagure. Se costui fosse con me nella stessa casa, allo stesso focolare e io lo sapessi, chiederei anche per me le stesse pene. A voi tutti ingiungo di eseguire quanto ho detto, per me, per il dio, per questa terra inaridita e distrutta. Ma se anche non fossero questi gli ordini del dio, non sarebbe giusto lasciare impunita la morte di quel vostro grande re; avreste ugualmente il dovere di compiere le ricerche. Ora, io mi trovo a detenere il suo potere, ad avere il suo letto e la sua donna, e se ne avesse avuti, avrei comuni con lui anche i figli... Ma il destino è piombato sul suo capo. Per tutte queste ragioni io mi batto per lui come fosse mio padre e farò tutto il possibile per trovare l’assassino di Laio, figlio di Labdaco, figlio di Polidoro, figlio di Cadmo, figlio in antico di Agenore. A chi non eseguirà i miei ordini, auguro che gli dèi non con-


cedano né raccolti dalla terra, né figli dalle loro donne, e che vengano distrutti dalla peste o da qualcosa di peggio. A voi, a tutti gli altri Tebani che hanno fede nelle mie parole, sia sempre benevola la giustizia e tutti gli dèi. CORO Poiché tu ci obblighi con le tue maledizioni, signore, parleremo: non siamo stati noi ad uccidere, e non sappiamo chi sia l’uccisore. Era compito di Apollo, che ci ha imposto questa ricerca, dire chi ha compiuto il delitto. ED.

È vero; ma nessun uomo può obbligare gli dèi a fare quello che non vogliono.

CORO Ti dirò allora quale può essere una seconda soluzione. ED.

E anche una terza se ce l ‘hai.

CORO So che c’è un uomo che vede le cose come Apollo; è Tiresia. Parlando con lui, signore, è possibile avere le più chiare certezze. ED.

Neanche questo ho trascurato; per consiglio di Creonte ho mandato due volte a cercarlo; e mi stupisco che non sia già qui.

CORO Ci sono anche altre voci, ma antiche e ormai spente. ED.

Quali? Voglio fare tutte le ricerche possibili.

CORO Si disse che Laio era stato ucciso da alcuni viandanti. ED.

L’ho sentito dire anch’io; ma il testimone oculare non si fa vedere.

CORO Ma se l’assassino conosce la paura, e ha udito le tue maledizioni, non starà ad aspettare. ED.

Chi non ha avuto paura di agire, non avrà paura neanche delle mie parole.

CORO Però c’è chi è in grado di denunciarlo. Ecco, accompagnano qui il divino profeta, il solo tra gli uomini che possieda congenita la verità. (Entra Tiresia, coi servi e un fanciullo) ED.

Tiresia, tu che comprendi tutte le cose, ciò che si può dire e ciò che si deve tacere, ciò che sta in cielo e in terra; tu conosci bene, anche se non lo vedi, il male che è dentro la nostra città. Solo in te, signore, troviamo soccorso. Apollo – forse già l’hai saputo dai messi – ci manda a dire che la sola salvezza da questa pestilenza è scoprire gli assassini di Laio, e metterli a morte, o scacciarli da questa terra. Ora, tu che puoi ascolta il responso degli uccelli, usa tutte le vie possibili della tua arte profetica; salva te stesso e la città,

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salva me, allontana la contaminazione del morto. Siamo nelle tue mani. Aiutare gli altri come si può è il più nobile fra i compiti dell’uomo.

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TI.

Ahimè! Come è terribile conoscere, quando la conoscenza non giova a chi la possiede! Lo sapevo bene, ma l’ho scordato; e solo per questo sono venuto qui.

ED.

Che dici? Perché sei così inquieto?

TI.

Lasciami tornare a casa; se mi dai retta, sopporterai meglio il tuo destino, ed io il mio.

ED.

Le tue parole sono fuori di ogni norma, e non amiche alla città che ti ha allevato e a cui tu vuoi negare l’aiuto della tua rivelazione.

TI.

Le tue parole sono fuor di proposito; e perché non mi capiti lo stesso...

ED.

In nome degli dèi non te ne andare, tu che conosci la verità. Tutti noi te ne supplichiamo.

TI.

E tutti voi non capite. Ma io non rivelerò il mio dolore per non dire il tuo.

ED.

Che dici? Sai e non parli? Mediti dunque di abbandonarci, di portare alla rovina la città?

TI.

Non voglio fare del male nè a me stesso, nè a te. Perché continui inutilmente a chiedere? Da me non saprai niente.

ED.

Scellerato, che turberesti anche un cuore di pietra... Davvero hai deciso di non parlare, resterai duro e irremovibile?

TI.

Tu biasimi la mia natura, e non vedi quella che sta in profondo dentro di te. E mi insulti pure!

ED.

Ma chi non sarebbe preso dall’ira a sentire le parole che dici, e che suonano disprezzo per la città?

TI.

Verrà quel che deve venire, anche se io lo copro nel silenzio.

ED.

Proprio perché verrà è tuo dovere dimmelo.

TI.

Non dirò più una parola. Dopo questo, se credi, puoi infuriarti e dare sfogo all’ira più selvaggia.

ED.

Sì, e di ciò che penso, nella mia collera, non ti risparmierò nulla. Sappi che io credo che sei stato tu a tramare e a compiere il fatto, anche se non hai ucciso con le tue mani. E se tu avessi la vista, direi che è tutta opera tua.


TI.

Davvero? E allora ti impongo di obbedire all’editto che tu stesso hai emanato e, a partire da oggi, di non rivolgere più la parola nè a me nè a loro, perché sei tu l’empio che contamina questa terra.

ED.

Come osi scagliare un’accusa così spudorata? E dove credi di metterti in salvo?

TI.

Sono già in salvo; ho in me la forza della verità.

ED.

E da chi l’hai appresa? Non certo dalla tua arte.

TI.

Tu stesso mi hai imposto di dire contro la mia volontà...

ED.

Dire che cosa? Ripetilo; voglio impararlo meglio.

TI.

Non hai capito? O mi provochi a parlare?

ED.

Non ho capito: ripeti.

TI.

Dico che sei tu l’assassino che cerchi.

ED.

Non ti gioverà ripetere due volte questa infamia.

TI.

Devo dire altro, perché la tua rabbia sia ancora maggiore?

ED.

Quello che vuoi; sarà detto invano.

TI.

Dico che tu senza saperlo vivi una spaventosa relazione con i tuoi cari e non vedi a che punto di sventura sei giunto.

ED.

Pensi che ti porterà fortuna continuare a dirlo?

TI.

Sì, se la verità possiede una sua forza.

ED.

Sì, ma non per te. Non per te che sei cieco negli occhi, negli orecchi, nella mente.

TI.

E tu sei un disgraziato che mi rinfacci quello che tutti presto rinfaccerano a te.

ED.

Tu vivi dentro un’eterna notte; non puoi colpire me, né alcun altro che veda la luce.

TI.

Non è destino che io ti colpisca; basterà Apollo, a lui spetta questo compito.

ED.

È una trovata di Creonte, o di chi altro?

TI.

Non è Creonte che ti fa del male; sei tu che lo fai a te stesso.

ED.

Ricchezza, potere, arte più grande di ogni altra nella lotta per la vita, quanta è l’invidia attorno a voi! Per amore di questo regno, che io non ho chiesto, che la città mi ha messo in mano, Creonte, il fedele Creonte,

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mio amico da sempre, desidera cacciarmi via insinuandosi di soppiatto; e ha corrotto questo ciarlatano, questo mestatore, questo impostore astuto che è cieco nella sua arte, ma vede benissimo il profitto. Perché, dimmelo, dov’è la chiarezza della tua arte profetica? Quando la Sfinge cantava i suoi ritornelli hai forse detto una sola parola capace di aiutare il tuo popolo? Eppure il suo enigma non lo poteva certo sciogliere il primo venuto: c’era bisogno dell’arte profetica. Allora non s’è visto che tu possedessi la verità; né il dio né gli uccelli te l’hanno detta; ma io, Edipo, ignorante com’ero, venni e la sconfissi. E con la forza del mio ingegno, non con le arti apprese dagli uccelli. Ora tu pensi di cacciarmi via perché speri di essere un domani molto vicino al trono di Creonte: ma io credo che tu e l’autore di questo piano purificherete la città a vostre spese; e se tu non fossi così vecchio, capiresti dalla pena la gravità del tuo atteggiamento. CORO Le sue parole ci sembrano dette nell’ira, e anche le tue, Edipo; non di questo c’è bisogno, ma di trovare il modo migliore per compiere la parola del dio.

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TI.

Se anche tu sei il re, il mio diritto di parlare è pari al tuo; almeno questo potere appartiene anche a me. lo sono servo di Apollo, non tuo; e Creonte non è il mio patrono. Poiché tu mi hai rinfacciato la mia cecità, ti dico che tu hai gli occhi, ma non vedi il male dentro il quale ti trovi, non vedi dove sei e con chi vivi. Ma tu sai da chi nasci? Ignori di essere odioso ai tuoi cari, ai vivi e ai morti; ma un giorno la maledizione tremenda di tuo padre e di tua madre ti caccerà da questa terra, e gli occhi che ora vedono non vedranno che il buio. Quale porto allora accoglierà le tue grida? E il Citerone riecheggerà ad esse, quando capirai a quali nozze, a quale meta funesta ti ha spinto un giorno il vento che credevi propizio! E tanti altri sono i mali di cui non ti accorgi e che ti renderanno uguale a te stesso e ai tuoi figli. Dopo questo, infanga pure Creonte e le mie parole; nessun uomo è destinato ad essere colpito più duramente di te.

ED.

Devo sopportare di sentire da lui cose simili? Te ne vuoi andare alla malora? E subito! Vattene, fuori dalla mia casa!

TI.

Non sarei neppure venuto, se tu non mi avessi chiamato.

ED.

Non sapevo che avresti detto queste follie; altrimenti non avrei avuto tanta fretta di chiamarti qui.

TI.

A te sembrano follie, non certo ai tuoi genitori.


ED.

Chi? Aspetta. Chi sarebbero i miei genitori?

TI.

È questo giorno che ti dà alla luce, è questo giorno che ti distrugge.

ED.

Come è enigmatico e oscuro tutto ciò che dici!

TI.

Ma non sei tu il più abile solutore di enigmi?

ED.

Sì, rinfacciami anche quello in cui dovresti riconoscere la mia grandezza.

TI.

Proprio questa fortuna è stata la tua rovina.

ED.

Non me ne importa, se ho salvato la città.

TI.

Vado via. Accompagnami, ragazzo.

ED.

Sì, accompagnalo. La tua presenza mi dà fastidio.

TI.

Me ne andrò, ma non prima di averti detto ciò per cui sono venuto. Non ho paura di te; tu non hai modo di colpirmi. Ti dico: quest’uomo che tu vai cercando con le tue minacce e i tuoi bandi, l’uccisore di Laio, quest’uomo è qui: lo credono tutti straniero, ma ben presto risulterà tebano e non avrà motivo di rallegrarsi della sua sorte. Ora vede e non vedrà più; ora è ricco e diventerà mendico, e dovrà tastare col bastone una terra straniera. Si vedrà che egli è insieme padre e fratello dei suoi figli; figlio e marito insieme della donna che gli ha dato la vita; rivale e assassino di suo padre. Va’ e pensaci. Se troverai che non è vero, dì pure che io non ho alcuna padronanza dell’arte profetica.

(Escono Tiresia e il fanciullo; Edipo rientra nel palazzo)

CORO Chi è colui che Apollo accusa di avere compiuto, sporcandosi le mani di sangue, i più indicibili delitti? Ora dovrà fuggire più rapido della tempesta. Apollo lo insegue col fuoco, con le folgori, e lo inseguono tremende le Erinni.

Una voce è lampeggiata dal Parnaso: mettersi in caccia, ovunque, dell’uomo ignoto. Cammina come un toro, nella foresta selvaggia, per antri e per rocce, vagando solo e triste con triste passo, e cercando di sfuggire agli oracoli pronunciati nel centro del mondo. Ma quelli sono ben vivi, e gli volano attorno.

Mi sconvolge, mi sconvolge orrendamente ciò che dice Tiresia; non posso né accettarlo né respingerlo. Non so che dire. Non vedo né presente né futuro. Non so, non ho mai saputo che ci sia stata lite tra Tebe e Corinto,e non ho nessuna prova per smentire la fama di Edipo, presumendo di vendicare la morte oscura di Laio.

71


Zeus e Apollo capiscono, e conoscono le vicende degli uomini. Ma che Tiresia, che è un uomo, veda più lontano di noi, di questo non c’è prova sicura; c’è sempre un uomo più sapiente di un altro uomo. Senza certezze non possiamo ammettere le accuse contro Edipo. Quando si è trovato contro la Sfinge si è dimostrato saggio e amico della città; non possiamo dire niente contro di lui.

(Entra Creonte) CR.

Cittadini, ho saputo che il re Edipo mi rivolge accuse terribili: e sono qui perché non posso sopportarlo. Se lui crede che in questa situazione io gli abbia recato qualche danno, con parole o con azioni, non desidero vivere più a lungo, sotto il peso di quest’infamia. Il torto che mi fa questo discorso non si limita al singolo fatto, ma è il maggiore di tutti; rischio di passare per traditore ai vostri occhi e a quelli degli amici, di tutta la città.

CORO Ma è una accusa esplosa per rabbia, non proviene dal ragionamento. CR.

Ma si è detto o no che Tiresia diceva menzogne istigato da me?

CORO Sì, è stato detto, ma non so con quale intenzione. CR.

Ma Edipo come mi ha rivolto queste accuse? A testa alta, con mente limpida?

CORO Non lo sappiamo; quello che pensano i potenti non lo vediamo, Ma ecco che lui stesso sta uscendo di casa.

72

ED.

Tu? perché sei venuto, con quale faccia entri in casa mia, tu che sei chiaramente il mio assassino, il pirata che saccheggia il mio trono? Dimmi, per gli dèi, che viltà, che pazzia hai visto in me da spingerti a osare tanto? Credevi che non avrei avvertito lo strisciare insinuante della tua opera, o che non mi sarei difeso? La tua è davvero un’impresa sconsiderata; senza il popolo, senza amici andare a caccia di un regno che si può acquistare solo con l’aiuto di molti e col denaro.

CR.

Ti chiedo questo: in cambio delle tue parole, stanne a sentire altrettante. Quando avrai saputo, giudicherai da te.

ED,

Lo so che sei bravo a parlare; ma non io ad ascoltarti, dopo che ti ho scoperto mio nemico.

CR.

Proprio su questo, prima di tutto, vorrei che mi stessi a sentire,

ED.

Proprio su questo, non mi verrai a dire che sei innocente,


CR.

Se tu ritieni che abbia valore la violenza lontana dalla ragione, sbagli.

ED.

Se tu ritieni che sia possibile far del male a un congiunto e non doverne scontare la pena, sbagli.

CR.

Su questo sono d’accordo con te; ma dimmi qual è il male che dici di subire da parte mia.

ED.

Hai o no sostenuto che bisognava mandare a chiamare l’indovino?

CR.

Sì, e sono ancora dello stesso avviso.

ED.

Quanto tempo è passato da che Laio…

CR.

Laio cosa? Non capisco.

ED

È morto per mano di un assassino?

CR.

Un tempo lontano, lungo da misurarsi.

ED.

E a quel tempo Tiresia esercitava già la sua arte?

CR.

Con uguale sapienza; ed era tenuto nello stesso onore.

ED.

Ha mai fatto allusione a me, in quel momento?

CR.

No; non alla mia presenza almeno.

ED.

E non avete fatto nessuna indagine sul morto?

CR.

L’abbiamo fatta sì; ma non abbiamo saputo mai niente.

ED.

E come mai questo grande sapiente non ha parlato allora?

CR.

Non lo so; e su ciò che non so preferisco tacere.

ED.

C’è però una cosa che sai perfettamente e che puoi dire.

CR.

Quale? Non mi rifiuterò di parlare, se posso.

ED.

Se non era d’accordo con te, non mi avrebbe mai attribuito l’uccisione di Laio.

CR.

Se lui dice questo, lo sai tu. Ma ci sono delle cose su cui io vorrei interrogarti, come tu hai fatto con me.

ED.

Chiedi pure; non riuscirai a provare che sono un assassino.

CR.

Hai tu sposata mia sorella?

73


ED.

Non posso negarlo.

CR.

E dividi con lei in parti uguali il potere su questa terra?

ED.

Da me può ottenere tutto quello che desidera.

CR.

E io non sono forse considerato pari a voi due?

ED.

Proprio da questo risulta il tuo tradimento.

CR.

No, se vuoi considerare dentro di te la questione, come faccio io. Prima di tutto rifletti: credi che sia meglio un potere pieno di paure o lo stesso potere esercitato in tutta tranquillità? lo preferisco vivere da padrone piuttosto che esserlo; e così la pensa qualunque uomo saggio. Adesso io ottengo da te senza rischio qualunque cosa, mentre se il signore fossi io, dovrei compiere molte azioni contro la mia volontà. Perché dovrei voler governare quando posso avere un potere privo di fastidi? Non sono così cieco da desiderare profitti che non siano onorevoli? Tutti mi vogliono bene e mi hanno in simpatia; quelli che hanno bisogno di te si rivolgono a me pensando che in me risieda la speranza di successo della loro causa. Perché dunque dovrei abbandonare il mio stato e cercarne un altro? In queste condizioni nessuna mente sana si volgerebbe al tradimento, neanche con l’appoggio di un altro. Se non mi credi, va a Delfi e informati se ti ho riferito esattamente i vaticini. Se scopri che mi sono accordato con Tiresia per complottare contro di te, fammi morire, ma a quel punto non col solo tuo voto, col tuo e col mio. Ma non mi accusare sulla base di un sospetto oscuro: non è giusto che i buoni siano considerati malvagi né i malvagi buoni. Cacciare un buon amico a me sembra come cacciare quanto si ha di più caro, la propria vita. Col tempo saprai bene tutto, perché solo il tempo rivela un giusto, così come basta un giorno a scoprire un malvagio.

CORO Ha parlato bene: bisogna ammetterlo, se si vuole stare in guardia dai giudizi frettolosi, le decisioni troppo rapide espongono a rischi.

74

ED.

Ma quando c’è chi è rapido nel complottare di nascosto, altrettanto devo esserlo io nel controbattere. Se aspetto senza far niente, lui riuscirà nel suo intento e io sarò perduto.

CR.

Che vuoi dunque? Allontanarmi da questa terra?

ED.

No, no: ti voglio morto, non esule: per dare un esempio della sorte che tocca agli invidiosi.

CR.

Non vuoi cedere, non vuoi fidarti di me? Vedo che non ragioni.


ED.

Ragiono in vista dei miei interessi.

CR.

Dovresti pensare anche ai miei.

ED.

Ma tu sei un traditore.

CR.

E se ti sbagliassi?

ED.

Devi obbedire lo stesso.

CR.

No, se gli ordini sono sbagliati.

ED.

O città, città!

CR.

La città è anche mia, non solo tua.

CORO Basta, signori! Sta arrivando la regina Giocasta; lei potrà aiutarvi a sanare la disputa. GlOCASTA Sciagurati, perché questa stupida lite? Non vi vergonate di litigare per questioni private, mentre la città è affranta? Tu entra in casa, Edipo e tu, Creonte, va’ alla tua; non ingrandite una cosa da niente. CR.

Sorella mia, Edipo, il tuo sposo, vuole infliggermi una di due terribili condanne, la morte o l’esilio.

ED.

È così; perché l’ho sorpreso a ingannarmi e a tramare contro la mia persona.

CR.

Possa non avere più bene, e morire maledetto, se ho compiuto le azioni di cui mi accusa. Lo giuro.

GIO. In nome degli dèi, Edipo, credigli! Prima di tutto per rispetto al suo giuramento; poi per riguardo a me e a tutti i presenti. CORO Ti supplichiamo di cedere, signore; ritorna in te. ED.

In cosa debbo cedere?

CORO Rispetta quell’uomo, che non è un irresponsabile; il giuramento poi lo rende sacro. ED.

Ma sai cosa mi chiedi?

CORO Certo. ED.

Dillo.

CORO Non accusare, non infamare un amico per un indizio oscuro.

75


ED.

Ma ti rendi conto che se con questo è la mia morte, o il mio esilio che chiedi?

CORO No, in nome del Sole, il più grande degli dei! Se questa è la mia intenzione, possa morire infelice, senza conforto di dèi o d’amici. È l’agonia della città che sconvolge il mio povero cuore. Abbiamo già tante sciagure, adesso anche questa di voi due. ED.

Va bene: se ne vada libero; anche se dovrò morire io, o essere bandito da Tebe con infamia. Ho pietà della vostra compassione, non di lui, che mi sarà sempre odioso.

CR.

C’è odio nella tua grazia, anche al momento di smettere la collera; è giusto che nature come la tua facciano il maggior danno a se stesse.

ED.

Vuoi lasciarmi in pace e andartene?

CR.

Me ne vado; anche se non vuoi riconoscermi innocente, per loro sono lo stesso di prima.

CORO (A Giocasta) Che aspetti a farlo rientrare in casa? GIO. Vorrei sapere qual è la questione. CORO Opinioni, parole confuse: cose infondate, ma che fanno male lo stesso. GIO. Da parte di entrambi? CORO Sì. GIO. Ma qual era la questione? CORO Basta così per noi. Questa città è già troppo travagliata; lasciamo le cose al punto dove sono rimaste. ED.

Vedete a che cosa siete giunti? So che le vostre intenzioni sono oneste, ma rammollite e snervate il mio cuore.

CORO Signore, non è la prima volta che te lo diciamo; saremmo stupidi e privi di ragione se ti abbandonassimo: tu hai raddrizzato la nostra città quando era sbattuta dalla tempesta; la nostra speranza è che sia sempre tu a guidarla con buona fortuna. GIO. In nome degli dèi, signore, dì anche a me: da dove nasce un’ira così grande? ED.

Te lo dirò, perché ti rispetto più di questi: la causa è Creonte, e i complotti orditi da lui.

GIO. Parla, fammi capire.

76


ED.

Dice che sono io l’assassino di Laio.

GIO. Lo sa lui, o l’ha saputo da qualcun altro? ED.

Ha mandato avanti quell’indovino intrigante; così personalmente non ha responsabilità di nulla.

GIO. Stammi a sentire; puoi facilmente tranquillizzarti. Impara che non c’è uomo che possieda veramente l’arte profetica. E te ne darò la prova con poche parole. Un tempo Laio ebbe un oracolo, da parte, non dirò di Apollo, ma dei suoi ministri; che il suo destino era di morire per mano di un figlio, un figlio suo, e mio. Invece si sa che Laio è morto a un crocicchio, ucciso da banditi; quanto a mio figlio, non passarono tre giorni dalla sua nascita che il padre lo legò per i piedi e lo fece gettare da mani estranee su un monte impervio. E così Apollo non diede compimento alla sua parola: né il figlio diventò parricida, né il padre ebbe la sorte tremenda che temeva, di essere ucciso dal figlio. Eppure questo avevano detto le profezie... perciò non te ne curare. Ciò che il dio ritiene utile cercare la mostra apertamente da solo. ED.

Quale smarrimento, quale turbamento del cuore mi prende a sentire queste tue parole!

GIO. Cos’è che ti sconvolge? ED.

Mi è parso di sentirti dire che Laio è stato ucciso ad un crocicchio.

GIO. Così si diceva, e si dice ancora. ED.

E in che luogo sarebbe successo?

ED.

Nella Fòcide, dove si incontrano la strada che viene dalla Dàulide e quella di Delfi.

ED.

Quanto tempo è passato?

GIO. La notizia è arrivata in città poco prima che tu arrivassi qui e prendessi il potere. ED.

O Zeus, che hai deciso di fare di me?

GIO. Che cosa ti preoccupa, Edipo? ED.

Non fare domande; ma descrivimi qual era l’aspetto di Laio e la sua età.

GIO. Era alto, col capo un po’ bianco; l’aspetto... non molto diverso dal tuo.

77


ED.

Me infelice! Credo che senza saperlo ho scagliato contro me stesso spaventose maledizioni.

GIO. Che dici, signore? Non oso guardarti. ED.

Ho paura, una terribile paura che Tiresia veda fin troppo chiaro. Ma ancora meglio puoi spiegarle tu le cose, aggiungendo un altro particolare.

GIO.

Tremo, ma risponderò a quello che mi chiedi.

ED.

Andava con una piccola scorta o con un largo seguito, da sovrano qual era?

GIO. Cinque in tutto, compreso un araldo, e un solo carro. ED.

Ahimè, è tutto chiaro. Chi vi ha detto queste cose?

GIO. Un servo che è stato il solo a salvarsi. ED.

Si trova ancora in casa?

GIO. No, appena tornato, con Laio morto e il potere nelle tue mani, m’implorò, mi supplicò di mandarlo in campagna, a pascolare le greggi, il più lontano possibile dalla città. L’ho accontentato; avrebbe meritato una ricompensa ben maggiore di questa. ED.

Si può farlo venire qui, subito?

GIO. Sì, ma perchè lo vuoi? ED.

Ho paura di averle dette fin troppo, le ragioni per cui desidero vederlo.

GIO. Verrà; ma è giusto che anch’io sappia cosa ti tormenta, signore. ED.

78

A questo punto, con quello che ci aspetta, non te lo posso negare. Con chi altro potrei parlare? Mio padre era Polibo, re di Corinto; mia madre Merope. A Corinto, ero considerato l’uomo più illustre, prima che mi capitasse un episodio certamente strano, anche se forse io gli ho dato troppo peso. Durante un banchetto un ubriaco, in preda ai fumi del vino, mi rinfaccia di essere falso figlio di mio padre. Ne fui addolorato, e per quel giorno mi trattenni appena; l’indomani vado a chiedere spiegazioni a mio padre e a mia madre. Essi si mostrarono molto irritati con la persona che aveva detto quella frase, e questo certo mi fece piacere, ma la cosa continuava a tormentarmi, e sempre più profondamente si insinuava dentro di me. Allora, all’insaputa dei miei genitori, sono andato a Delfi. L’oracolo non ha risposto alla mia domanda, ma mi ha svelato altre angosce: il mio destino era quello di unirmi


a mia madre, mettere alla luce una stirpe intollerabile alla vista umana, diventare assassino di mio padre. Udite queste cose sono fuggito, camminando notte e giorno, lontano da Corinto, dove non rischiassi di vedere compiute le profezie infami. E camminando, arrivo appunto a quei luoghi dove tu dici che è stato ucciso il re di Tebe. Ti dirò la verità. Quando nel mio vagare sono arrivato presso al crocicchio, mi è venuto incontro un araldo e poi un uomo seduto su un carro come quello che tu dici. Il guidatore e il vecchio, tutti e due, mi volevano buttare fuori strada. lo allora, furibondo, colpisco l’auriga che mi spingeva; il vecchio aspetta il mio passaggio e dal carro mi colpisce in testa con la frusta. A quel punto gli restituisco un colpo talmente più forte che si rovescia morto giù dal carro. Poi uccido tutti gli altri. Ora se quello straniero ha un qualche rapporto con Laio, chi è più infelice di me? Chi è più in odio agli dèi? Né cittadini né forestieri potranno accogliermi o rivolgermi la parola; dovranno cacciarmi dalle loro case. E queste maledizioni io stesso, io e nessun altro le ho attirate sul mio capo. lo contamino il letto del morto con queste mie mani che l’hanno ucciso. Non sono dunque un disgraziato? Non sono tutto impuro? Devo fuggire in esilio, e in esilio non potrò più vedere i miei cari né mettere piede a Corinto, dove sarei costretto a uccidere Polibo che mi ha dato la vita, e a unirmi in matrimonio a mia madre. Non avrebbe ragione che dicesse che è un dio crudele quello che mi colpisce in questo modo? No, per la sacra maestà degli dèi, non voglio arrivare a vedere quel giorno; voglio sparire dagli uomini prima che mi accada questa sciagura. CORO Siamo sgomenti, signore: ma continua a sperare fino a quando non avrai saputo la verità dall’uomo che era presente. ED.

Sì, questa è tutta la mia speranza: attendere il pastore.

GIO. Che cosa vuoi da lui? ED.

Se confermasse una cosa che tu hai detto, io sarei libero dall’angoscia.

GIO. Che posso avere detto di tanta importanza? ED.

Hai detto che sono stati dei banditi a ucciderlo. Se lui mantiene questo plurale, non sono stato io, perchè una persona singola non è lo stesso di molte. Se invece parla di una persona, questo fatto si rovescia con ogni evidenza addosso a me.

GIO. Così ha detto allora, sta’ sicuro, e non può ritrattare questa parola; non l’ho sentita io soltanto, ma tutta la città. Ma anche se cambiasse qualche punto del suo racconto, non può fare in modo che la morte di Laio compia la pro-

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fezia di Apollo, che egli doveva morire per mano di mio figlio. Quell’infelice non l’ha ucciso di certo, visto che è morto prima. Insomma per queste profezie non mi volterei né in qua né in là. ED.

È vero; tuttavia ti prego di mandarlo a chiamare; non scordartene.

GIO. Lo farò subito. Ora entriamo in casa; non vorrei fare nulla che ti dispiacesse. (Esce con Edipo) CORO Possa il destino conservarci la santa purezza nella parole e nelle opere, secondo le leggi eccelse, generate nel cielo, di cui l’Olimpo è unico padre; non sono nate da stirpe mortale, e non c’è oblio che possa seppellirle. In esse si rivela la grandezza del dio, che non invecchia.

È dalla violenza che nasce la tirannide; dalla violenza che si gonfia vanamente di ambizioni, si arrampica in alto e poi precipita negli abissi della necessità, dove resta imprigionata. Chiediamo agli dèi di garantire la lotta per il bene della nostra città; e nell’aiuto del dio non cesseremo di confidare.

E se qualcuno procede con parole o opere superbe, senza timore della giustizia, senza venerazione per gli altari degli dèi, lo colga un triste destino in premio del suo orgoglio sciagurato, se otterrà profitti ingiusti, se intraprenderà azioni sacrileghe, se nella sua follia toccherà l’intoccabile. Di fronte a questi fatti, chi si vanterà di tenere lontana la propria vita dai colpi del dio? Se tali azioni ricevono onore, perché continuare a pregare?

Non andremo più a venerare il sacro centro del mondo, non al tempio di Abe, non a Olimpia, se l’ordine di questi eventi non apparirà chiaro agli occhi di tutti gli uomini. Ma tu, signore Zeus, se a buon diritto sei chiamato onnipotente, nulla deve sfuggire a te e al tuo immortale potere, Svanisce l’antico oracolo di Laio, non si rende più onore ad Apollo, e il divino perisce.

(Entra Giocasta)

GIO. Signori, ho pensato di accostarmi ai templi degli dèi, portando l’incenso e le sacre bende. Nel profondo del cuore Edipo è sconvolto da angosce di ogni genere; e non riesce più a giudicare il presente sulla scorta del passato, come fa ogni uomo ragionevole, ma è preda di chi a volta a volta gli parla, purché parli di orrori. Coi miei consigli non ottengo niente; per questo sono qui supplice con queste offerte presso l’altare di Apollo: che trovi lui per noi una liberazione e una purificazione. Siamo come dei marinai che vedono impazzito il timoniere della loro nave.

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(Entra il messaggero corinzio)


MES. Potete dirmi, stranieri, dov’è la casa del re Edipo? Meglio ancora, dov’è lui? CORO La casa è quella, straniero. Lui è dentro; questa è sua moglie e la madre dei suoi figli. MES. Possa essere felice, e i suoi cari con lei. GIO. Anche a te ogni felicità, straniero, In cambio del tuo felice augurio. Ma dì che cosa ti occorre, che cosa sei venuto a dirci. MES. Buone notizie per il tuo sposo e la tua casa. GIO. Quali notizie? Da parte di chi vieni? MES. Da Corinto. Le parole che ti dirò ti porteranno gioia, ma forse anche tristezza. GIO. Che vuoi dire? Come mai hanno questo doppio potere? MES. Gli abitanti di Corinto lo acclameranno loro re; questo è quanto si dice. GIO. Ma non regna ancora il vecchio Polibo? MES. Non più, ormai appartiene alla morte. GIO. Che dici? E morto Polibo? MES. Possa morire io se ciò che dico non è vero. GIO. (A una serva) Tu va subito a dirlo al padrone. O profezie divine, dove siete? Da sempre Edipo tremava al pensiero di uccidere suo padre e per non ucciderlo è andato in esilio. Ora quest’uomo è morto, e lo ha ucciso la sorte, non lui.

(Entra Edipo)

ED.

Mia carissima Giocasta, perché mi hai fatto chiamare?

GIO. Sta’ a sentire quest’uomo; ascoltalo e guarda dove approdano gli oracoli del dio. ED.

Chi è? Che cosa dice?

GIO. Viene da Corinto e porta la notizia che è morto tuo padre, Polibo. ED.

Che dici, straniero? Dammi tu stesso la notizia.

MES. Te lo dico senza reticenza: è morto. ED.

Per un complotto o per una malattia?

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MES. Basta un piccolo colpo per mettere a riposo un vecchio corpo. ED.

Dunque è morto di malattia.

MES. E per il compiersi naturale del lungo tempo della sua esistenza. ED.

Ahimè, Giocasta, perché si deve guardare al focolare di Delfi, o agli uccelli che gridano in cielo? Dicevano che avrei dovuto uccidere mio padre: ora lui è morto e sepolto, e io qui, senza aver toccato un’arma; a meno che non sia morto di nostalgia; solo così avrei potuto ucciderlo. Tutti gli oracoli Polibo se li è portati con sé nella tomba e non valgono più niente.

GIO. Non te l’avevo già detto, da tempo? ED.

L’hai detto; ma io mi lasciavo portare fuori strada dalla paura.

GIO. Ora non devi più lasciare che niente sconvolga il tuo animo. ED.

Non devo più nemmeno temere il letto di mia madre?

GIO. Che cosa dovrebbe temere l’uomo che è in balia della sorte e non ha nessuna chiara possibilità di previsione? La cosa migliore è vivere a caso, come si può. Ma tu non temere le nozze con tua madre: tanti uomini in sogno fanno l’amore con la madre! Chi non tiene in nessun conto queste fantasie riesce a vivere meglio degli altri. ED.

Avresti del tutto ragione se mia madre non fosse ancora viva, ma lo è; e anche se hai ragione io devo stare attento.

GIO. Eppure la tomba di tuo padre è una grande luce. ED.

Lo so, ma finché lei è viva, ho paura.

MES. Ma chi è questa donna che vi fa paura? ED.

Merope, la vedova di Polibo.

MES. Ma perché vi fa paura? ED.

Un terribile oracolo, che viene dal dio.

MES. Puoi dirlo, o nessun altro lo deve sapere? ED.

82

Certo. Apollo disse un giorno che il mio destino era quello di unirmi a mia madre e di versare con le mie mani il sangue di mio padre. Perciò da


tanto tempo vivo lontano da Corinto, e questa è stata la mia fortuna, ma è pur dolce vedere il viso dei genitori! MES. Ed è per questa paura che te ne sei andato da casa? ED.

Sì, vecchio, per non essere l’assassino di mio padre.

MES. Ma io posso liberarti dalla paura, io che per te nutro affetto. ED.

Ti sarei grato, se ci riuscissi.

MES. Sono venuto soprattutto per questo, per ricavare un utile dal tuo ritorno a casa. ED.

lo non tornerò mai dai miei genitori.

MES. Si vede che non sai quello che fai, figlio mio. ED.

Come, vecchio? Parla, in nome degli dèi!

MES. Se è per queste paure che non vuoi tornare in patria! ED.

Temo che si realizzi l’oracolo di Apollo.

MES. Cioè di essere contaminato dai tuoi genitori? ED.

Questo è il mio terrore di sempre.

MES. Ma non sai che non hai nulla da temere? ED.

Come è possibile? lo sono il loro figlio!

MES. No Edipo, Polibo non ti era congiunto per nascita. ED.

Che dici? Non è Polibo che mi ha dato la vita?

MES.

Non più di quanto te l’abbia data io.

ED.

Perché allora mi chiamava suo figlio?

MES. Perché ti aveva ricevuto in dono dalle mie mani. ED.

Ma come? Mi ebbe da mani estranee e mi amò tanto?

MES. Non aveva figli suoi. ED.

E tu mi avevi comprato o trovato?

MES. Ti avevo trovato nei boschi del Cicerone.

83


ED.

Come mai attraversavi quei luoghi?

MES. Pascolavo le bestie sui monti. ED.

Eri pastore, dunque, e andavi là per lavoro?

MES. Si, figlio mio, ma in quel momento sono stato il tuo salvatore. ED.

Perché? Che male avevo quando mi hai preso tra le braccia?

MES. Possono dirlo ancor oggi le giunture dei tuoi piedi. ED.

Oh, perché mi ricordi quel vecchio dolore?

MES. Sono io che ti ho sciolto; avevi le caviglie trafitte. ED.

Ancora in fasce ho sofferto pene terribili!

MES. E da esse hai preso il tuo nome. ED.

Per gli dèi, chi è stato, mio padre o mia madre? Parla!

MES. Non lo so; di più ne sa l’uomo che ti ha consegnato a me. ED.

Ah, non sei tu che mi hai trovato, mi hai avuto da un altro?

MES. Sì, da un altro pastore. ED.

Chi era? Sei in grado di dirmelo?

MES. Mi pare che fosse un uomo di Laio. ED.

Dell’antico re di Tebe?

MES. Sì, sì; era pastore al suo servizio. ED.

È ancora vivo quest’uomo? Lo posso vedere?

MES. Questo lo saprete meglio voi, che siete di qui. ED.

C’è qualcuno dei presenti che conosca il pastore di cui parla quest’uomo, e l’abbia visto, in città o in campagna? Ditelo: è giunto il momento di scoprire tutto.

CORO Penso che sia la stessa persona che sta in campagna e che poco fa volevi vedere, ma meglio di tutti può dirtelo Giocasta. ED.

84

(A Giocasta) Hai presente l’uomo che ho mandato a chiamare poco fa? È la stessa persona che dice costui?


GIO. Quale persona? Non pensarci, non ricordarle neppure queste parole, è inutile. ED.

Non sarà mai che dopo avere appreso simili indizi io rinunci a svelare la mia origine.

GIO. In nome degli dèi, se hai cara la tua vita, non cercare altro. Già abbastanza sto soffrendo io. ED.

Sta’ tranquilla: se anche risultasse che sono schiavo da tre generazioni, tu non saresti meno nobile per questo.

GIO. Dammi retta, ti supplico: non farlo. ED.

Non posso, devo sapere chiaramente come stanno le cose.

GIO. Lo dico pensando al tuo bene. ED.

Questo che tu chiami il mio bene mi angoscia da tanto tempo.

GIO. Infelice! Vorrei che non venissi mai a sapere chi sei. ED.

Qualcuno vada a chiamare il pastore; quanto a lei, lasciate che si vanti della sua ricca famiglia.

GIO. Infelice; non posso dirti che questa parola, e poi più niente in futuro. (Esce) CORO Perché la regina è corsa via, in preda a un dolore selvaggio? Temo che da questo silenzio irromperà la sventura. ED.

Irrompa ciò che deve; ma io voglio conoscere la mia stirpe, per meschina che possa essere. Lei è orgogliosa come tutte le donne, e si vergognerebbe di una mia umile origine. Quanto a me mi considero figlio della fortuna e non vedo in ciò nessun disonore, da questa madre io sono nato e la mia vita si è fatta da sé, piccola o grande. Questo sono io e non potrei essere diverso. Non c’è ragione dunque che ignori la mia origine.

CORO Se ho virtù profetiche, se colgo nel segno, giuro che domani nel plenilunio il monte Citerone, verrà celebrato come patria e nutrice e madre di Edipo, e sarà onorato con le danze, per i benefici resi al nostro re, Signore Apollo, possa questo esserti gradito!

Quale ninfa immortale, figlio, ti ha dato la vita, accostandosi a Pan dio dei monti o ad Apollo, cui sempre sono stati cari i luoghi silvestrÌ, Forse sei nato da Ermes. O forse Dioniso che abita le cime dei monti ti ebbe, dono prezioso, da una delle Ninfe che sono la sua gioia?

85


ED.

Credo che quello sia il pastore che stiamo cercando. I suoi lunghi anni corrispondono ai tuoi e le persone che lo conducono sono servi miei. Ma voi che a differenza di me l’avete visto in passato lo conoscete certo meglio di me.

(Entra il pastore, accompagnato da altri due servi.)

CORO Sì, è il pastore fedelissimo di Laio. ED.

Voglio chiederti per prima cosa, straniero di Corinto: è lui che intendi?

MES. Questo che vedi. ED.

Ora a te, vecchio. Guardami e rispondi alle mie domande. Eri servo di Laio?

SE.

Un servo non comprato, allevato in casa.

ED.

Che lavoro, che vita svolgevi?

SE.

Per lo più mi occupavo delle greggi.

ED.

E quali luoghi frequentavi soprattutto?

SE.

Il Citerone, e i boschi vicini.

ED.

Conosci quest’uomo? Ricordi di averlo incontrato da quelle parti?

SE.

In che occasione? Di chi stai parlando?

ED.

Di costui che è qui presente. Hai avuto a che fare con lui?

SE.

Qui sul momento non ricordo, non saprei dire.

MES. Non c’è da meravigliarsene, signore. Ma se non ricorda, glielo riporterò io alla memoria. So che non può avere dimenticato come un tempo sul Citerone, lui con due greggi, io con una, stemmo insieme tre intere stagioni, dalla primavera all’autunno. Poi io riportavo le mie bestie a Corinto, lui le sue alle stalle di Laio. È vero ciò che ho detto, o le cose non sono andate così? SE.

È vero, ma è passato tanto tempo!

MES. Ora dimmi; ricordi d’avermi dato un bambino, perché lo allevassi come figlio mio? SE.

Ma che c’è? Perché mi fai questa domanda?

MES. Perché quello che allora era un bambino, eccolo qua! SE.

86

Ma va all’inferno! Vuoi startene zitto?


ED.

Non prendertela con lui, vecchio; il tuo silenzio è più grave delle sue parole.

SE.

Qual è la mia colpa, mio carissimo signore?

ED.

Ti rifiuti di rispondergli sul bambino.

SE.

Ma non fa che dire sciocchezze; si agita per niente.

ED.

Se non vuoi parlare per amore, parlerai per forza.

SE.

Per carità; non farmi del male! Sono vecchio.

ED.

Presto, legategli le mani dietro la schiena!

SE.

Povero me, perché? Che cosa vuoi sapere?

ED.

Hai dato a quest’uomo il bambino di cui parla?

SE.

Gliel’ho dato, e vorrei essere morto in quel giorno.

ED.

Avrai lo stesso risultato, se non dici la verità.

SE.

Molto più sono morto, se parlo.

ED.

Mi pare che quest’uomo voglia andare per le lunghe.

SE.

No, no, l’ho già detto prima, gliel’ho dato.

ED.

E dove l’avevi preso? Da casa tua o da qualche altro luogo?

SE.

Non era mio, l’avevo avuto da altri.

ED.

Da quale cittadino? Da quale casa?

SE.

In nome degli dèi, signore, non chiedermi altro.

ED.

Sei morto; se mi costringi a ripetere un’altra volta.

SE.

Era nato nella casa di Laio.

ED.

Uno schiavo o in qualche modo un congiunto del re?

SE.

Ahimè; sto per dire la cosa tremenda.

ED.

E io per sentirla. Ma sentirla bisogna.

SE.

Si diceva che fosse suo figlio. Ma meglio di tutti, tua moglie che è dentro può dirti come sono andate le cose.

87


ED.

Te l’ha dato lei?

SE.

Sì, signore.

ED.

Perché?

SE.

Perché lo uccidessi.

ED.

Sua madre!

SE.

L’ha fatto per paura delle sciagure annunciate dal dio.

ED.

Quali?

SE.

Che suo figlio avrebbe ucciso i genitori.

ED.

Ma tu, come mai l’hai dato a questo vecchio?

SE.

Ho avuto pietà di lui, e ho pensato che comunque quest’uomo lo avrebbe portato nella sua terra, lontano da qui. E lui lo ha serbato ai mali più orrendi. E se quell’uomo sei tu, sappi che sei nato infelice.

ED.

Ahimè, come tutto è venuto limpido! Luce del sole, vorrei fosse l’ultima volta che ti vedo. È chiaro che sono nato da chi non dovevo, ho vissuto con chi non dovevo, ho ucciso chi non dovevo.

(Escono tutti tranne il coro)

CORO Generazioni di uomini, vi conto una dopo l’altra, tutte uguali, tutte viventi nel nulla. Quale uomo ottiene più che l’illusione della felicità? E dopo l’illusione viene il declino. Abbiamo davanti a noi l’esempio della tua sorte, infelicissimo Edipo, e dunque non diremo felice nessuno degli uomini.

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Tu che con mire superbe hai conquistato ogni più grande fortuna, tu che uccidesti la sfinge dagli artigli ricurvi, e ti levasti come un baluardo contro la morte, in difesa della nostra città. Da allora sei chiamato nostro signore e onorato più di ogni altro, re della grande Tebe.

Ma ora, a quel che sentiamo, chi è più sventurato di te? Chi nella vicenda della sua esistenza vive angosce e travagli più selvaggi? Nobile Edipo, dunque lo stesso rifugio è bastato alle nozze del padre e del figlio? Come il solco arato da tuo padre potè sopportare anche te, per tanto tempo in silenzio?

Tuo malgrado, ti ha colto il tempo che tutto vede e di queste nozze orribili ti punisce come padre e come figlio. Figlio di Laio, vorremmo non averti mai


visto; e piangiamo su di te, gridando dalle nostre labbra i più tristi lamenti. Eppure, se si deve dire la verità, grazie a te abbiamo avuto respiro, grazie a te abbiamo potuto dormire.

(Entra un messaggero)

MES. Illustri cittadini di Tebe, cosa sentirete, cosa vedrete, cosa piangerete, se ancora siete legati alla casa di Laio! Tutti i fiumi del mondo non potrebbero togliere la macchia che cela nel segreto questa casa. E ora veranno alla luce altre sciagure, quelle che più colpiscono gli uomini perchè scelte da loro. CORO Quello che già sapevamo merita ogni gemito. Che cos’altro è accaduto? MES. È morta la regina Giocasta. CORO Infelice! E in che modo? MES. Di sua mano. Il peggio è lontano da voi, che non l’avete visto. Ma per quello che resta nella mia memoria, saprete le sofferenze di quell’infelice. Sconvolta attraversò il vestibolo ed entrò nella stanza nuziale, strappandosi i capelli. Appena fu dentro, sbattè la porta e invocò Laio, da lungo tempo morto, ricordando la nascita antica di quel figlio da cui era stato ucciso, lasciandola a generare con lui altri figli orribili. E imprecava al letto dove aveva concepito da un marito un marito, e figli da un figlio. Come è morta io non so dirlo; Edipo irruppe in casa gridando e da allora non fu possibile più guardare alla sciagura di lei. Tutti ci fissammo su di lui, che andava in giro furiosamente, chiedendo che gli venisse data una spada, e cercava la sua donna, no, non la sua donna, il grembo materno comune a lui e ai suoi figli. Nella sua furia, un qualche dio gli indicò quello che cercava, non certo nessuno di noi che eravamo lì presenti. Urlando disperatamente si scaglia sulla porta, come se qualcuno lo guidasse, forza dalla base i cardini e piomba nella stanza. Vedemmo allora la regina, impiccata con un laccio intorno al collo. Come la vede, lui, gemendo atrocemente, scioglie il laccio e quando il corpo fu disteso a terra, accadde una cosa orribile. Le strappò dalle vesti le fibbie dorate che la adornavano, le sollevò e si colpì le orbite degli occhi, dicendo che mai più avrebbero visto il male che aveva patito e compiuto: solo nel buio avrebbero visto le persone che mai avrebbero dovuto vedere, e misconosciuto quelle che avrebbero dovuto conoscere. Così imprecando più e più volte sollevava gli occhi e li colpiva. Le pupille insanguinate gli rigavano le guance, e non stillavano gocce di sangue, ma una nera pioggia, una grandine cruenta.

89


Questi mali sono esplosi da loro due insieme, dall’uomo e dalla donna. La felicità di un tempo era vera felicità: in questo giorno è pianto, sciagura, morte, vergogna: di quanti nomi possiede il male al mondo non ne manca nessuno. CORO E adesso l’infelice ha respiro dalle sue angosce MES. Grida che si aprano le porte e si mostri a tutti i Tebani l’uomo che ha ucciso il padre e con la madre ha... Oh, sono cose spaventose, non posso dirle. Scaccerà se stesso da questa terra e non resterà più in casa sua, maledetto dalla propria maledizione. Ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo guidi: la sua infermità è più di quanto possa sopportare. Ma lo vedrete anche voi. Si stanno aprendo le porte: vedrete uno spettacolo che farebbe compassione a un nemico.

(Entra Edipo)

CORO Sciagura terribile alla vista umana, la più terribile che io abbia mai incontrata! Quale follia ti ha invaso, sciagurato? Quale dio è piombato con lunghi balzi sulla tua sorte infelice? Ahimè, ahimè! Non riesco a guardarti, anche se molte cose vorrei chiederti e sapere e capire. Ma è tanto l’orrore che mi incuti! ED.

Ahimè! Dove vado, infelice, dove si perde il suono della mia voce? O destino, come mi sei piombato addosso!

CORO Tremendo da vedere e da sentire. ED.

Mia nube orrenda di tenebre, ineffabile, indomabile, tempestosa! Come penetra dentro di me l’assillo dei colpi e la memoria dei mali!

CORO In tali sciagure, doppia è la tua pena, doppio il tuo dolore. ED.

Amici che mi restate fedeli, che rimanete ad occuparvi di questo povero cieco... ahimè! Sento la vostra presenza e anche nel buio riconosco chiaramente la vostra voce.

CORO Hai compiuto una cosa terribile. Come hai avuto il coraggio di distruggere i tuoi occhi? Quale dio ti ha spinto a ciò? ED.

90

È stato Apollo, amici miei, Apollo che ha portato a compimento le mie angosce. Nessun altro mi ha colpito; sono stato io. Perché vedere, quando da vedere non ho più nulla di dolce?


CORO Sì, è così. ED.

Vedere che cosa? Amare che cosa? Sentire che cosa? Che cosa mi può dar piacere? Portatemi via di qua, amici; portatemi via al più presto, sciagurato, maledetto che sono, l’uomo più in odio agli dèi!

CORO Infelice, per la tua disgrazia e per la coscienza che ne hai! Come vorrei non averti mai visto! ED.

Maledetto l’uomo che mi ha liberato i piedi dalla catena e mi ha salvato dalla morte quando ero sperduto sul Citerone, non mi ha fatto che male. Se fossi morto allora non avrei recato tanto dolore ai miei e a me stesso.

CORO Vorrei anch’io che così fosse stato. ED.

Non sarei stato l’assassino di mio padre, né lo sposo della donna da cui ero nato. Ora sono senza dio, figlio di una stirpe impura, uguale a chi mi ha dato alla luce. Se c’è un male più grave del male, anche questo Edipo l’ha avuto in sorte.

CORO La tua decisione non è stata giusta: è meglio morire che vivere cieco. ED.

Non datemi consigli, non spiegatemi che quanto ho fatto non è il meglio che potevo fare. Non so con quali occhi giungendo nel regno dei morti avrei potuto guardare mio padre e la mia povera madre. Per ciò che ho fatto a loro neanche impiccarmi sarebbe stato abbastanza. O poteva essermi gradita la vista dei miei figli, nati come sono nati? O la città, la rocca, le statue degli dèi; tutto questo ho tolto a me stesso, io infelicissimo, che pure ero il cittadino più illustre di Tebe, quando ho imposto a tutti di cacciare l’empio che il dio stesso denunciava come impuro, ed era il figlio di Laio. E quando in me stesso ho scoperto la macchia, come avrei potuto guardare gli altri negli occhi? Se avessi potuto troncare anche le fonti dell’udito, non avrei esitato a farlo per essere cieco e sordo insieme. È dolce tenere il pensiero lontano dal male. Citerone, perché mi hai accolto? Perché non mi hai preso e ucciso subito, in modo da non mostrare mai la mia origine agli uomini? Polibo, Corinto, mia casa di un tempo che sembrava la casa paterna, come mi avete cresciuto, florida piaga di mali! Ora mi scopro sciagurato, e figlio di una stirpe sciagurata. Trivio, valle remota, querceto, strettoia del crocicchio, che per opera delle mie mani avete bevuto dalle vene di mio padre il mio sangue, ricordate ciò che ho fatto? E ciò che è successo poi a Tebe? Nozze che mi avete dato alla luce, e poi di nuovo avete dato vita allo stesso seme, padri, fratelli, figli, lo stesso sangue, spose, donne, madri, quanto di più infame può avvenire tra gli uomini! In nome degli dèi, nascondetemi, uccidetemi, gettatemi nel mare,

91


che più nessuno mi possa vedere. Su, degnatevi di toccare questo infelice, non abbiate paura, obbedite. Non c’è altro uomo che reggerebbe a portare il peso delle mie pene. CORO Per ciò che chiedi, per fare, per consigliare è qui Creonte: è rimasto lui, al tuo posto, il solo custode di questa terra.

92

(Entra Creonte)

ED.

Ahimé, cosa posso dirgli? Che fiducia potrà avere in me? Verso di lui mi sono dimostrato ingiusto in ogni mio atto.

CR.

Non sono qui per ridere di te, Edipo, né per rinfacciarti le offese passate. Ma se non si ha più ritegno di fronte agli uomini, lo si abbia almeno di fronte alla luce del sole. Non si mostri scoperta questa impurità, che né la terra né la pioggia né la luce possono toccare. Riportatelo in casa, presto. Solo i congiunti possono senza empietà vedere e udire i suoi mali.

ED.

In nome degli dèi, dal momento che tu mi togli dall’attesa venendo con le migliori intenzioni dall’uomo peggiore di tutti, dammi retta. Parlerò pensando al tuo bene, non al mio.

CR.

Che cosa vuoi? Qual è la tua richiesta?

ED.

Cacciami da questa terra, subito, dove nessun uomo possa più rivolgermi la parola.

CR.

L’avrei già fatto, se non avessi pensato che prima di tutto bisognava chiedere al dio la strada da seguire.

ED.

La voce del dio si è già sentita chiaramente: distruggere l’empio, il parricida, me.

CR.

Sì, così è stato detto; ma al punto in cui ci troviamo è meglio interrogare l’oracolo.

ED.

Ancora?

CR.

Credo che anche tu, ora, avrai fiducia nel dio.

ED.

Ti chiedo, ti prego: dà sepoltura, nelle forme che credi alla donna che è dentro; è giusto che te ne occupi tu. Ma Tebe, la mia patria, mai più finché io vivo dovrà chiamarmi suo cittadino. Lascia che io viva sui monti, sul Citerone ormai legato al mio nome, che mia madre e mio padre, quand’erano vivi, mi assegnarono per tomba. Come loro mi volevano uccidere, così voglio morire. Ma so bene che non sarà una malattia né alcun altro caso


a distruggermi. Quando ero sul punto di morire, non sarei stato salvato se non per essere dato in preda a una sciagura terribile. Il mio destino vada pure come deve andare; e neppure dei miei figli maschi devi preoccuparti; sono uomini e dovunque saranno non avranno ristrettezze di vita. Ma le mie povere figlie infelici, che mai hanno preso cibo lontano da me, ma avevano parte di tutto quello che io toccavo; curati di loro. E soprattutto, lascia che io le tocchi con le mie mani, e pianga con loro le mie disgrazie. Signore, nobile Creonte! Toccandole, mi sembrerà che siano ancora mie, come quando avevo la vista. Che succede? Questo che sento... in nome degli dèi... non è il pianto delle mie figlie? Creonte pietoso le ha mandate a chiamare, le mie carissime figlie. È così? CR.

Sì, ho provveduto io a questo, pensando alla gioia che ti avrebbero dato in questo momento, a quella che ti hanno sempre data.

ED.

Ti auguro ogni felicità; e per questi loro passi verso di me, possa tu avere un destino migliore di quello che è il custode della mia vita. Figlie mie, dove siete? Venite qui, tra queste braccia fraterne, che hanno tolto a vostro padre gli occhi che un tempo splendevano. Senza sapere, senza capire nulla mi sono trovato vostro padre in quello stesso grembo dal quale ero stato partorito. Piango per voi, che non posso più guardare, pensando a ciò che vi resta di un’amara esistenza, alla vita che dovrete vivere tra gli uomini. Da quale cerimonia, da quale festa non tornerete a casa piangendo, escluse dal rito? E quando sarete in età matura per le nozze, chi mai sarà che corra il rischio di affrontare tanta ignominia, la rovina dei miei genitori e la vostra insieme? A voi non manca nessun male: vostro padre ha ucciso suo padre, ha arato il grembo dove era stato gettato il seme della sua nascita e ha dato a voi la vita dove egli stesso l’aveva ricevuta. Nessuno vi sposerà. Nessuno; il vostro destino è quello di consumarvi sole, senza figli. Creonte, sei il solo padre che resti loro, perché noi due, i loro genitori, siamo morti entrambi. Non lasciare che delle tue congiunte vadano senza un marito, a mendicare come vagabonde. Non fare che abbiano una vita dura come la mia. Abbi pietà di loro, le vedi così giovani, abbandonate da tutti, non hanno che te. Dimmi di sì, e dammi la mano in segno di promessa. E voi, se foste in età di capire, vi darei tanti consigli: ma pregate soltanto che io viva giorno per giorno come potrò, e che a voi tocchi un’esistenza migliore di quella di vostro padre.

CR.

Hai pianto abbastanza; ora rientra in casa.

ED.

Devo obbedirti, anche se mi è gravoso.

93


CR.

Ogni cosa è giusta al momento giusto.

ED.

Me ne andrò, ma ad un patto.

CR.

Dimmelo, ti ascolto.

ED.

Mandami lontano di qui.

CR.

Mi chiedi qualcosa che può darti solo il dio.

ED.

Sono in odio agli dèi, io.

CR.

Se è così, otterrai quello che chiedi.

ED.

Dici davvero?

CR.

Ciò che non penso, non amo dirlo inutilmente.

ED.

Portami via!

CR.

Vieni, ma lascia le tue figlie.

ED.

Non portarmele via!

CR.

Non pretendere di vincere sempre: le vittorie che hai ottenuto non ti hanno accompagnato nella vita.

(Escono tutti tranne il Coro)

CORO Cittadini di Tebe, guardate: ecco Edipo che sapeva risolvere gli enigmi famosi, ed era uomo potente. Chi non avrebbe guardato con invidia alle sue fortune? Ora è precipitato in un tremendo vortice di sventure. Guardiamo all’ora estrema e non giudichiamo felice nessun uomo mortale prima che, giunto al termine dell’esistenza, non abbia davvero mai sofferto il dolore.

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Collana GTK Edizioni Il Pozzo di Giacobbe L’Istituto di Gestalt Therapy hcc Kairòs cura una collana di testi di Gestalt Therapy presso l’editore Il Pozzo di Giacobbe. Tanti piccoli grandi libri sulla vita e sulla morte, sul senso e sulla sua disperazione, sul dolore e su i suoi esiti, sulla crescita e i suoi blocchi, sulla patologia e sulla clinica. Libri ispirati alla Gestalt Therapy (o ai suoi dintorni) e tesi a rileggere in maniera agile, vivace e scientificamente coerente le contraddizioni e il fascino della condizione umana nel difficile transito della modernità.

PROSSME PUBBLICAZIONI Danza delle sedie e danza dei pronomi. La Gestalt Therapy con le coppie e le famiglie Autore: Giovanni Salonia La famiglia postmoderna porta avanti un progetto inedito e ambizioso: essere il luogo della piena realizzazione di ognuno e di tutti. Dentro tale intenzionalità accadono difficoltà e conflitti che spesso sembrano contraddire questo progetto. Coniugare, infatti, maternità e paternità, maschile e femminile, sessualità e vita quotidiana, sogni e tradimenti, piccoli e grandi, centralità e periferia, primogeniti e secondogeniti è fatica spesso impossibile. La Gestalt Therapy, assumendo come principi ispiratori e clinici la centralità del soggetto in relazione, il corpo vissuto, il qui-e-adesso del contatto, offre chiavi di lettura e di intervento che facilitano nella famiglia la ripresa della danza relazionale, dove diventa musica il ritmo di ogni membro della famiglia. Categorie come intercorporeità, funzione Personalità, grammatica della relazione, diventano nella presentazione dell’autore strumenti terapeutici preziosi per ridare alla famiglia il sogno di una pienezza del singolo e di tutti. ISBN 978-88-6124-388-0 Pagine: 160

Devo sapere subito se sono vivo. Saggi di Psicopatologia Gestaltica Autori: Giovanni Salonia, Valeria Conte, Paola Argentino Come comprendere la follia propria ed altrui? Dove cercare il motivo originario dell’umano smarrirsi? La Gestalt Therapy propone quale cifra ermeneutica di ogni esistere, nella pienezza e nello smarrimento, l’intenzionalità di contatto, ovvero: l’insopprimibile bisogno di raggiungere e di sentirsi raggiunti dall’altro. I fallimenti di questa intenzionalità – inscritta e vibrante nei vissuti corporei relazionali – generano il disagio psichico nelle sue varie forme. Su questo Grundkonzept si costruisce e articola la psicopatologia della Gestalt Therapy nei suoi vari capitoli: eziologia, diagnosi, terapia. Grazie ad una lunga esperienza di clinica, di formazione e di ricerca, gli Autori di Devo sapere subito se sono vivo presentano alcune forme di disagio psichico, coniugando, in un genere letterario immediato e toccante, la lettura del disturbo e l’intervento relazionale. Ne viene fuori un nuovo modo di guardare alla sofferenza psichica e di curarla, ma anche una diversa epistemologia della scienza e dell’esperienza terapeutica. ISBN: 978-88-6124-432-0 Pagine: 292

Tra. Per una fenomenologia dell’incontro Autore: Bin Kimura Viviamo ogni giorno trasportati dall’onda inarrestabile del quotidiano. Eppure il nostro organismo è costantemente in contatto con un fondamento della vita che ci supera e ci sostiene, mentre appare al contempo strutturalmente aperto al mondo in cui accade per noi e per tutti il gioco dell’esistenza. In Gestalt Therapy il principio vitale che regge e armonizza le dinamiche dell’esserci si chiama sé, l’istanza che esprime il nostro essere collocati alc onfine dell’esperienza, lì dove siamo protesi verso l’altro e incontriamo l’ambiente che ci sollecita e ci nutre. Da questo punto di vista, Tra di Bin Kimura, uno dei più noti e influenti psichiatri giapponesi, può a buon diritto essere considerato come un vero e proprio trattato di fenomenologia gestaltica, dove, con u linguaggio rigoroso e concettualmente controllato, si racconta la manifestazione del sé nella concretezza del contatto intersoggettivo e intrapersonale. ISBN: 978-88-6124-300-2 Pagine: 160


03 nuindi m ce er o

INDICE Editoriale

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In questo numero Ricerca

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La funzione Personalità nel testo Gestalt Therapy Antonio Sichera Teoria del sé e società liquida. Riscrivere la funzione-Personalità in Gestalt Therapy Giovanni Salonia Arte e psicoterapia

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67

Borderline Border-line Annalisa Iaculo Rileggendo ʻIl corpo ritrovatoʼ Intervista a Maurizio Stupiggia a cura di Elisa Amenta Nuove applicazioni cliniche

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81

La Gestalt Therapy e la cura del disturbo post-traumatico da stress. Unʼipotesi di intervento in gruppo con i sopravvissuti del genocidio cambogiano Vinanda Var Società e psicoterapia

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pag. 97

Il volo di Bauman a Siracusa Intervista a Zygmunt Bauman a cura di Orazio Mezzio Lettura

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P. Cavalieri, L. Marchiori, F. Pecorari

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ce ro di e innum 04

INDICE Ricerca ........................................................................................ La modalità relazionale narcisistica nella post modernità e il lavoro terapeutico in Gestalt Therapy Valeria Conte Oltre LʼEdipo, un fratello per Narciso Paola Aparo «La luna è fatta di formaggio». Sulla traduzione gestaltica del linguaggio borderline Giovanni Salonia Nuove applicazioni cliniche ............................................. Il vissuto dellʼadolescente prende corpo nella relazione. Risultati di una ricerca empirica. Stefania Antoci e Rosaria Lisi Adolescenza: generazione e degenerazione di una Festa Federico Battaglini Affrontare il dolore con un bagaglio di leggerezza Anna Cò e Annalisa Marinoni Lʼesperienza triadica in Gestalt Therapy Enrica Ficili e Gabriella Gionfriddo La vergogna nella coppia: un appello allʼintimità Daniele Marini Coparenting nelle nuove figure familiari Daniela Lipari e Aluette Merenda Il cancro al seno: per ridefinire ricordi, progetti e aspettative Valeria Nigro e Alessandra Pitino Il video racconto. Un'arte di gruppo Giovanna Silvestri

Lettura ...................................................................................... A. Merenda, G. Salonia, A. Sichera

psicopatologia

...............................................................

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Arte e psicoterapia Incesto Dada Iacono

RIVISTA DI PSICOTERAPIA

2013/04 Istituto di Gestalt Therapy Kairòs

La mafia e la plebe. La psicoterapia e la violenza rimossa della politica in Sicilia Dario Vicari

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