Il Cagliaritano (N. 5)

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SA PASCHISCEDDA

LA PRIMA COSA BELLA

TRA BUS E METRO

Anno 38, N. 4 • € 2,00 • Spedizione in Abb. Post. - 45% - Art. 2 comma 20/b legge 662/96 • C/C post. n. I7233099

Ada Lai, Dirigente del Comune di Cagliari, nella foto di Mario Lastretti. C’è chi non può fare a meno di lei negli uffici comunali, e chi invece la vorrebbe come nuovo sindaco della città.

SISTEMA SARDEGNA

LA REGIONE BATTE CASSA

SCOPRIRE CAGLIARI

IL CENTRO STORICO INGORGO A PALAZZO

QUALE SINDACO?

APPROFONDIMENTI

PIÙ SPORT, CINEMA E STORIA DI CAGLIARI


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23 Paschiscedda in sa mesa casteddaia.

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DIALOGO La rubrica del direttore. L’INTERVISTA Incontro con la Dirigente delle Politiche Sociali e Culturali. LA SARDEGNA CHE FA La rubrica sugli avvenimenti e i personaggi dell’isola. POLIZIOTTI PUGNALATI ALLE SPALLE Denuncia del Coisp sulle dichiarazioni, e promesse non mantenute, dei ministri La Russa e Maroni. UN’ISOLA IN CERCA DI LAVORO Oltre il dramma, la crisi occupazionale. Ecco cosa si dice e si fa per fronteggiarla. VALIGIA CON CERVELLO E COMPETENZA Inchiesta in seguito alla pubblicazione del Rapporto sull’immigrazione. CAGLIARITANITÀ ALLA LUCE DEL SOLE Il movimento ‘A Cagliari’ in giro per la città alla scoperta di... DENTRO LA CITTÀ MULTIETNICA Quartiere Marina: cagliaritani doc e integrazione multietnica. L’INTERVISTA Incontro con il presidente di Arst, Giovanni Caria.

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CARTA BIANCA Castello, si avvicina il momento di gloria. NATALE A CAGLIARI Paschiscedda in sa mesa casteddaia. TRADIZIONI POPOLARI In famiglia si torna alle origini. TRADIZIONI POPOLARI /2 Appena nato, l’annuncio e le prime visite. PASSEGGIATE CAGLIARITANE Via Genovesi: il palazzo dei marchesi di Quirra. STORIA DI SARDEGNA 1973: il tentativo di invasione francese. STORIA DEL CINEMA Mitico Amedeo Nazzari. INCONTRI D’AUTORE Gianluca Sulis: “Sono precario ma faccio un film”. BUON COMPLEANNO, PROF! Nicola Di Bari alla Scuola Alfieri di Cagliari. GLAMOUR PARTY Cagliari è... donna: capitale femminile. AMARCORD L’atletica sarda sul tetto del mondo. RELAX & FITNESS Sabrina Lai ci fa scoprire lo yoga in Sardegna. MONDO PALESTRA Giovanni Palmieri e la kick boxing in Sardegna.


Dialogo

giorgioariu@tin.it facebook.com/ariug

Il Presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci.

LA LOTTERIA SULLE ENTRATE DELLO STATO

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u Il Cagliaritano di qualche mese fa avevamo avanzato il solito dubbio: “Ma Roma ci ama o no?”. Ora che la grande macchina sulla vertenza entrate ha preso un’accelerazione, facendo salire anche i sindacati, si fa slalom attorno ai paletti lotteria e accise. In ballo 5 miliardi e 400 milioni, il tanto perché Cappellacci e La Spisa facciano la spola tra i ministeri di Fitto e Calderoni e Villa Devoto, il quartiere generale con la bandiera dello Statuto Speciale issata a tutto vento. Contiguità con il rilanciato governo Berlusconi a parte, c’è da lottare duro perché vengano rispettati i patti. Insomma si vuole passare subito alla cassa, sono soldi benedetti per dare ossigeno al Sistema Sardegna, senza respiro con il perdurare del Patto di Stabilità che ha visto tramortire aziende piccole e grandi, Amministrazioni centrali e locali. Oltre centomila lavoratori, frattanto, utilizzano ogni tipo di ammortizzatore sociale, oltre cinquantamila giovani inoccupati non hanno alcuna copertura. In attesa di incassare, la Regione si è mossa con azioni di solidarietà, con percorsi formativi e collegando domanda e offerta di lavoro con un’apposita vetrina annunci. Fa riflettere, piuttosto, la fuga da lavori “duri”, ora occupati da un’immigrazione in crescita (4.700 in più rispetto al 2008), col tetto delle 40mila presenze nell’isola.

QUALE SINDACO PER CAGLIARI?

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l PD e la galassia dei partiti di sinistra hanno sempre creduto nelle primarie, il centrodestra ci crede solo ora per via di un ingorgo tra gli aspiranti alla Grande Stanza del Palazzo Civico. Tango e passione politica, giri di valzer e balletti di candidati tra nuovismo e riciclaggio. A qualcuno piace rischiattutto e la lezione delle provinciali di Cagliari è servita a ben poco. Massimo Fantola studia da sindaco da parecchi anni, da leader dei Riformatori ha rinunciato a Roma e al Consiglio Regionale per fare il regista di una formazione che gestisce assessorati di peso, in viale Trento e al Comune. Ha il consenso di UDC, Sardisti, liste civiche che flottano tra ambientalismo e terziario. La Cagliari del Commercio e del Terziario avanzato è forte del 70% del PIL, occupa oltre 15mila addetti e annovera diecimila imprese. Finalmente città turistica con il fronte porto, il Parco della musica e le aree ex Demanio può arricchire un’offerta straordinaria già attrattiva con la spiaggia sotto casa, i colli, i parchi, il centro storico, i mercati ed un clima ad alta seduzione. Delogu e Floris hanno rivoltato la città, è cresciuto il polo dell’accoglienza, la visibilità sul fronte Mediterraneo non è più esercizio demagogico. Ci sono politici che pettinano le bambole e passano puntuali alla cassa, altri animati da passione sincera per la gestione della “cosa” pubblica mettono tempo, genialità e faccia per una Cagliari a dimensione umana che riesca a trattenere i giovani, ad occuparli, a dare loro futuro ed orgoglio dell’appartenenza. Noi, per ora, in attesa di conoscere il candidato “certo” e condiviso della sinistra (troppo impegnata sugli equilibri delle altre candidature nel territorio), registriamo l’avanzata di una coppia invidiabile e promettente sull’altro fronte, quella formata dall’ex senatore Massimo Fantola e dalla Dirigente del Comune Ada Lai. Insieme e non contrapposti, questi due cagliaritani a Denominazione d’Origine Controllata possono dare molto alla città. Massimo Fantola


L’INTERVISTA · INCONTRO CON LA DIRIGENTE DELLE POLITICHE SOCIALI E CULTURALI

Ada Lai

QUANDO POLITICA VUOL DIRE PASSIONE

Il nostro direttore ha incontrato la Dirigente dei Servizi al Cittadino del Comune di Cagliari, vero e proprio braccio operativo della città. Donne, cultura e giovani sono le sue priorità. C’è chi ipotizza possa diventare il nuovo sindaco, e chi non può fare a meno di lei negli uffici comunali. di Giorgio Ariu · Foto, Mario Lastretti il Cagliaritano

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Dottoressa Lai, dicono che sia adrenalinica. «Perché metto passione in ciò che faccio. Fortunatamente godo di buona salute, il che mi permette di avere resistenza e continuare nel mio lavoro. Lavorare per migliorare la città è entusiasmante. Negli ultimi vent’anni Cagliari è cresciuta molto: le ultime due giunte hanno contribuito a migliorare la qualità della vita e a fissare alcuni punti fondamentali per le nuove economie, dal turismo al commercio». I miglioramenti nell’offerta dei servizi sono parametri fondamentali, ma anche benzina per i giovani, il futuro della città. «Cagliari non ha ancora completato la sua crescita. Non si può revisionare una città in una generazione. C’è stato un cambiamento nelle richieste di lavoro da parte dei giovani e le donne lavorano ormai anche in ruoli che pri-

ma erano solo degli uomini». Tutto questo è avvenuto con il supporto dei servizi delle politiche sociali. «I servizi alla persona sono fatti da donne, così come i B&B e non solo. Questi nuovi lavori stanno facendo calare la disoccupazione anche se l’economia fatica ugualmente. Alcuni punti ancora non sono completi, per esempio il Porto che aiuterebbe il turismo, quindi la ricettività, il commercio e tutto ciò che è connesso. Dunque una città completa occupa molta gente. In effetti pecchiamo in informazione, dovremmo lavorare di più in quest’ambito. La prima promozione dovrebbe venire dalla Regione Sardegna così da favorire gli investimenti». Ha parlato di lavoro al femminile. C’è un movimento che ha promosso che riunisce il protagonismo rosa cagliaritano. «Ho pensato che potesse coinvolgere tutta la società civile proprio a partire dall’entusiasmo delle donne. Più che protagonismo, parlerei di assunzione di responsabilità, di consapevolezza del valore aggiunto delle donne. Le donne hanno una marcia in più perché devono farsi valere, e poi sono più coscienti perché vivono di più la città, fanno la spesa, girano per i negozi. Quindi il loro coinvolgimento è un valore aggiunto». Continui pure. «La città è ormai pronta, ora dobbiamo completare il processo. Faccio un esempio: un centro storico viene predisposto per rinascere, ma i restauri necessari e il rifiorire delle attività commerciali devono ripartire da ini-

ziative private. Le istituzioni predispongono, il resto lo devono fare i privati. All’ente pubblico è dato rendere facile il restauro e promuovere l’animazione. Noi, però, non siamo anche animatori, possiamo solo contribuire. Un altro esempio: la pedonalizzazione è stata una proposta del Comune, ma è una scelta che deve essere condivisa da tutti. Così è nato un cambiamento culturale che è ancora in atto: la gente ora passeggia dove non ci sono macchine e i bar mettono i tavolini fuori. Le persone possono fermarsi a prendere il caffè all’aperto e guardare il cielo. A noi spetta completare la città: il Lungomare e il Poetto, il Porto, Castello». Sarà il sole lungo cantato da Alziator, sarà che da ogni scorcio si vede il mare, ma ora si inizia a parlare del mal di Cagliari. «Ho un figlio che vive a Roma e mi dice: “Mamma, devo tornare a casa”. E per casa intende il mare, il cielo di Cagliari. Tanta gente che si è trasferita qui per lavoro ha deciso di restarci, per esempio i militari a fine carriera. Questo perché la suggestione ti rimane nel cuore, e questo accade anche ai turisti». L’orgoglio di essere cagliaritani, che fortuna. Ecco, cosa vuol dire essere cagliaritana per Ada Lai? «Vuol dire essere consapevoli di vivere in una delle città più belle del Mediterraneo, forse del mondo. Basare l’economia sulla bellezza dei luoghi è una scelta felice: si vuole farla conoscere a tutti, si vuole migliorare la qualità della vita dei cittadini e dei turisti. Insomma, fare in modo che diventi un esempio di città vivibile. Cagliari ha mantenuto un ambiente intatto, per esempio le zone umide in città: noi non ci abbiamo costruito sopra e ora possiamo mostrare ai turisti uno scorcio di natura che convive con le case. Poi da tutti i palazzi si vede il mare e ci sono spazi verdi ovunque». Cagliari è tradizionalmente accogliente, e lo sta diventando sempre di più. Nell’Ufficio Servizi al Cittadino, da sempre, tutti trovano accoglienza: dagli artisti fino ai più bisognosi. Insomma, un luogo di eccellenza e di accoglienza per Cagliari. «È un’esperienza che sembra in contraddizione, ma non lo è. La qualità della vita, quando è vissuta, può diventare anche offerta. Non bisogna mai trascurare la cultura perché quando ci si investe, si investe in la-


«La rinascita della città deve venire dal mare», sostiene Ada Lai. «Le parole d’ordine sono commercio, turismo e cultura»: in un momento in cui si sta riscoprendo il Mediterraneo come “mare d’Europa” e come ponte tra Europa e Africa, il capoluogo può e deve tornare ad essere al centro, non solo geograficamente, del Nostro Mare. Traffici e commercio devono assumere un ruolo di primaria importanza e guardare al mare per raggiungere i paesi africani, le cui economie hanno bisogno di sostegno e cooperazione. La creazione di questo nuovo mercato sarebbe un’occasione di sviluppo sia per le imprese sarde che per quelle africane. Cagliari deve diventare il nucleo di iniziative e legami con gli altri paesi del Mediterraneo, ma anche centro turistico di qualità attraverso la valorizzazione del proprio patrimonio ambientale e culturale, come Castello, il lungomare e le aree umide di Molentargius e Santa Gilla, che dovrebbero essere più fruibili. In questo Ada Lai è chiara: «Bisogna capire che dobbiamo darci da fare tutti, anche i privati», senza aspettare dunque che siano le istituzioni a prendere l’iniziativa. E poi più spazio ai giovani e alla cultura: bisogna investire sulla vita notturna, sul riutilizzo dei beni militari dismessi e sugli spazi come il Parco della Musica, che rappresentano un’attrattiva e il simbolo di un miglioramento dell’offerta e della qualità della vita cagliaritane. Tutto questo, insieme alla riqualificazione del Porto e del fronte mare, che mira allo sviluppo del turismo nautico, porterebbe ad una ricentralizzazione del capoluogo sardo anche dal punto di vista dei grandi eventi legati al mare e alla cultura. La mediterraneità deve essere una scelta politica e sembra sia quella compiuta dalla dirigente Lai per costruire il futuro di questa città: solidale e multietnica, come l’ha recentemente descritta, rendendola una capitale mediterranea a 360 gradi.

voro. Un evento che dia visibilità a Cagliari non è incompatibile con la gente che sta male perché sviluppa la città che dovrà provvedere anche ai più bisognosi. Gli ultimi due sindaci hanno puntato su questo perché le politiche sociali permettono di mantenere alta la qualità della vita. Da un lato bisogna spendere per lo sviluppo, dall’altro per il controllo della povertà. Sono aspetti paralleli». E poi c’è il continuo scambio tra periferia e metropolitanità. «I colli di periferia sono dei posti bellissimi: Sant’Elia, San Michele e Molentargius sono quartieri che possono diventare turistici grazie all’ambiente, ma deve essere guarito il disagio sociale. I sobborghi sono rimasti tali e hanno i loro centri storici. La passione degli abitanti, poi, ne ha evitato il degrado. È una cosa unica che Cagliari abbia una periferia dove si vive come in città». Questa passione per Cagliari e per la cultura dei fatti, dal versante propulsivo a quello del bisogno, l’ha portata a non guardare la tessera dell’interlocutore di turno. «Le buone idee sono dappertutto e vengono da ogni parte».

Una cultura che viene dalle radici: suo papà è stato sindaco di Cagliari, poi senatore. «Ho vissuto alcune esperienze all’estero per lo studio, a Parigi per esempio, e questo mi ha permesso di capire quanto mi mancasse Cagliari. Stiamo lavorando alla riscoperta dei suoi monumenti nascosti, ci sono già tanti nuovi centri culturali pubblici e privati. E adesso arriverà anche il Parco della Musica. Questa riscoperta di Cagliari unita alla convinzione che potesse diventare una vera città d’arte, e quindi produrre turismo, mi ha appassionata. Tutto questo ha bisogno di investimenti. Bisogna trovarli, così il lavoro diventa divertente. È un privilegio». A cosa ha rinunciato? «Devo dir la verità, a nulla. Ho sempre cercato semplicemente di organizzarmi, di pensare alle priorità: la famiglia e il lavoro. La cosa importante è capire che queste due cose possono convivere. Poi c’è l’aiuto delle babysitter: con loro si è creata nel tempo una sorta di famiglia allargata, l’esterno è diventato parte della famiglia e ci si aiuta. Bisogna vivere con la famiglia i momenti piacevoli, per esempio i viaggi.

Il mio lavoro è un privilegio. E quando si è privilegiati, bisogna mettersi al servizio degli altri

TURISMO, COMMERCIO E CULTURA LE CHIAVI PER IL FUTURO

Insomma, non ho rinunciato a niente se non alle cose che non reputavo importanti». Negli ultimi anni è sempre stata in pole position per incarichi in Regione e altre istituzioni di primo piano, poi all’ultimo momento l’opzione non si realizzava. Quali sono i meccanismi che hanno impedito il passo decisivo? «Io sono abbastanza nuova alla politica e probabilmente pago l’essere uno spirito libero. Poi mi vedono così felice di quello che faccio che me lo lasciano fare (ride). Forse dovrei insistere di più? Volevo cambiare per fare qualcosa di più di ciò che ho fatto finora, qualcosa per la Sardegna e non solo per Cagliari. Ma non ho mire di potere, non ho fatto neanche alleanze particolari per questo». A proposito di opzioni, si parla da tempo, tra le molte candidature, di Ada Lai come sindaco di Cagliari. Sarebbe un’evoluzione epocale, la città non ha mai avuto un sindaco donna. Solo un’idea intrigante o qualcosa di più concreto? «È una risposta difficile da dare. A me piacerebbe perché potrei dare davvero qualcosa a Cagliari. Un sindaco, se è decisionista, può fare tanto. Ma non sono io che scelgo, io sono a disposizione, sia per il ruolo di sindaco che per “fare” un pezzo di città. E anche senza poltrona ci metterò sempre un grande impegno. Come ho detto, il mio lavoro è un privilegio e, quando si è privilegiati, bisogna mettersi al servizio degli altri».

il Cagliaritano

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LA SARDEGNA CHE FA · A cura di Lorelyse Pinna e Simone Ariu

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AMICO QATAR

l presidente della Regione Ugo Cappellacci, in missione insieme al ministro degli Esteri Franco Frattini, ha incontrato il primo ministro e l’emiro del Qatar per parlare delle possibili relazioni commerciali tra i due Paesi, soprattutto nei settori lapideo, dei graniti e dell’agroalimentare, del turismo e dell’energia. Si è inoltre profilata un’ipotesi di collaborazione tra il Parco tecnologico della Sardegna e quello del Qatar. L’incontro rientra nelle azioni di coinvolgimento delle regioni da parte del Ministero nell’ambito delle relazioni con gli Stati esteri e, in particolare, della riscoperta di un’area importante come il Qatar che, insieme a tutto il Golfo, viene considerato strategico per l’internazionalizzazione dell’industria italiana.

NAVICELLA DELLA SOLIDARIETÀ Serata all’insegna della solidarietà all’Auditorium di Piazza Dettori a Cagliari, dove si è svolta la manifestazione “La Navicella della Solidarietà”: uno spettacolo di teatro e musica a favore di Theleton in cui si sono esibiti Franca Pinna, Franco Montalbano, Renzo Zedda, Nicoletta Pisano, Salvatore Spano, Michela Atzeni, Giancarlo Rocca, Lucido Sottile ed Elena Pau. È inoltre intervenuto il mago e illusionista sardo Alfredo Barrago. L’evento è stato patrocinato dal Comune di Cagliari e dall’Assessorato delle Politiche Sociali, ed era presente l’assessore Anselmo Lai. La serata si è conclusa nelle sale dell’Ex Liceo Artistico con le degustazioni offerte dall’Azienda Agricola Pala di Serdiana e Dispensa del Fattore di Serrenti.

ZOLA, IL BELLO DEL CALCIO A Gianfranco Zola è andato il premio “Il bello del calcio”, indetto dalla Gazzetta dello Sport in memoria di Giacinto Facchetti. Il fantasista sardo si è detto onorato dell’accostamento a questo grande campione, paragone giustificato dal direttore del quotidiano sportivo Andrea Monti dal carattere simile, «determinato, schivo, con un fondo di lealtà straordinaria nei confronti degli avversari, dei compagni e soprattutto del pubblico». In comune anche una sola espulsione in tutta la carriera. «Ringrazio chi mi ha messo vicino alla figura di Facchetti, è stato un esempio in campo e soprattutto fuori», ha commentato Zola, che dopo una pausa di riposo e istruzione promette di tornare al calcio, la parte più importante della sua vita.

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il Cagliaritano

Pirri legge (e naviga) di più È stata inaugurata la nuova sede della Biblioteca Comunale di Pirri, in via Santa Maria Goretti. La struttura è stata rinnovata nell’arredamento, nelle attrezzature (anche la tanto attesa rete wireless) e negli acessori. La mediateca è dotata di una nutrita collezione di documenti multimediali, così come l’emeroteca che offre un’ampia selezione di quotidiani, riviste e periodici. La sezione giovani è suddivisa in tre fasce d’età: Posìdon, riservata ai bambini in età prescolare, Luna Monda, per i ragazzi fino ai 12-13 anni, e una sezione dedicata agli under 21. E per quelli che avessero bisogno di una pausamerenda, c’è anche un’area ristoro.


A Villacidro non si corre L’ippodromo di Villacidro, inaugurato nel 2008, non ha ancora ospitato alcuna gara ufficiale e neanche quest’anno è stato inserito nel calendario nazionale delle corse piane. Tutto questo a causa della crisi interna che paralizza l’Unire, l’associazione delle scom-

messe ippiche, e dei tagli che hanno ridotto il numero delle corse a livello nazionale, aumentando la concorrenza degli ippodromi della penisola, nonché degli altri due ippodromi sardi di Chilivani e Sassari. La struttura di Villacidro, pur avendo caratteristiche peculiari e complementari alle altre due, creerebbe una situazione del tutto nuova e la necessità di nuovi equilibri nell’ippica isolana.

MARACALAGONIS BALLA HIP-HOP

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l Palazzetto dello sport di Maracalagonis è stato teatro del “Feel da Bounce Vol.1”, il primo evento di danza hip-hop in Sardegna aperto al pubblico: due giorni di workshop, lezioni e contest in freestyle a cui hanno partecipato anche tre insegnanti stranieri di danze urbane, il francese Lamarre Mickael, primo freestyler al mondo, lo sloveno Zelino Bosic, tra i vincitori mondiali di contest coreografici, e il croato Sasa Krnetic, ballerino di break dance e hip-hop, vincitore di alcune battle a livello europeo, oltre a 200 ballerini di cui 50 provenienti dall’estero. La manifestazione, il cui scopo è promuovere la cultura hip-hop, lo studio e il turismo nell’Isola, è nata dalla collaborazione della Danse Outremer, scuola diretta da Nadia e Matteo Cois, con l’insegnante croata Dijana Martinovic ed è stata patrocinata dal Comune di Maracalagonis, dalla Provincia di Cagliari e dall’MSP Sardegna. L’idea è quella di riproporre il meeting annualmente e creare così un evento di riferimento in Sardegna per questo genere di danza.

DEMURU CANTA IN FRANCIA. E ORA ANCHE IN ITALIA...

Il suo vero nome è Norino Demuru, è nato a Gonnosfanadiga ma è emigrato in Francia nel 1960 con la famiglia. Sin da piccolo sapeva che sarebbe diventato musicista: lavorava in cantiere con il padre per potersi comprare la prima chitarra. Dal 1966 inizia a cantare e suonare nelle serate da ballo con un’orchestra conosciuta in Alsazia. È l’inizio di una carriera che non troverà ostacoli. Nel 1970 inizia a scrivere canzoni e crea la sua orchestra, la Rino Rivers Group, con cui va in tournée in Europa. Nel 1983 conosce il produttore Charles Talar (Notre Dame de Paris) e si fa conoscere con il primo disco “Dammi la Mano”. Costruisce anche due grandi discoteche in Alsazia, Le Best of e Le Phare, che riscuotono molto successo. Nel 2010 partecipa al programma televisivo italiano Millevoci, che lo fa conoscere al pubblico italiano. Ora sta preparando un nuovo disco, proprio in italiano, “Il Ladro d’Amore”. Ogni volta che può torna in Sardegna, e alla sua Terra ha dedicato la canzone “Costa Smeralda”.

UMBERTO CARDIA FOREVER

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resentata l’autobiografia di Umberto Cardia, “Il mondo che ho vissuto”, curata dal Centro di studi filologici sardi e pubblicata dalla Cuec. Scritto durante i primi anni Ottanta, il libro raccoglie i pensieri sulla storia e sulla politica, soprattutto nei suoi riflessi sulla Sardegna dell’intellettuale, studioso di Gramsci e parlamentare del Pci. Proprio Gramsci, oltre ad essere modello e icona, è lo strumento con cui Cardia indagava sul passato per capire il presente e costruire il futuro. «Per Cardia la politica è una questione di larghe masse, frutto di un lavoro complesso in cui il significativo ruolo dell’intellettuale va assunto con integrità e studio rigoroso», ha spiegato lo storico Aldo Accardo, mentre il docente universitario Giuseppe Marci, che ha curato la pubblicazione dell’autobiografia, lo ricorda come «l’uomo a cui meglio si riferisce il termine progressista».

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LA SARDEGNA CHE FA

CORTOMETRAGGIO SULL’OMOFOBIA Un giovane cagliaritano come tanti, che ama Cagliari, la propria città. I suoi pensieri scivolano sulle immagini di una Cagliari invernale: le strette vie del quartiere di Castello, il Bastione di Saint Remy, Monte Urpinu e il Poetto. Quella spiaggia alla quale sono ancorati i ricordi della sua infanzia e alla quale affida i suoi segreti più profondi, le ansie e le preoccupazioni. Quel mare al quale egli chiede perché in una bella città come Cagliari ci sia ancora spazio per ingiustizie e pregiudizi nei confronti di chi non è omologato alla massa. Degli omosessuali come lui, ad esempio, che qui trovano difficoltà persino a trovare lavoro, a farsi amicizie o ad intraprendere una carriera artistica. Insomma, quanto basta per capire che in questa città si sente soffocare. Così è costretto a lasciarla per trasferirsi a Madrid. Ma la sua non è una fuga. Vuole dare il tempo alla sua città di maturare, vuole aspettare che la gente comprenda che ognuno può vivere la propria vita ed il proprio essere come meglio crede, senza arrecar disturbo a nessuno. Poi, un giorno…tornerà. Questi sono i tre minuti del corto girato dal regista cagliaritano Luca Pinna, nel quale è raccontata la storia di questo giovane: si chiama Andrea Sanna ed è un cantante ed attore esordiente che nel lavoro di Luca Pinna interpreta se stesso. Il corto, dal titolo “Cagliari…è la mia città”, verrà presentato nelle principali rassegne cinematografiche nazionali ed internazionali.

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i entrava in punta di piedi alla mostra su Maria Callas allestita alla Fiera di Cagliari, perché sembrava di infilarsi per un poco nella sua vita, nella sua intimità: fotografie e lettere, abiti e gioielli della “Divina”, uno schermo con le immagini dei suoi concerti e la voce che si espandeva e faceva da sottofondo alla visita. Molte anche le testimonianze, da Luciano Pavarotti che la conobbe dietro le quinte del Carnegie Hall, quando cantò con Giuseppe di Stefano, alla telefonata che ella fece al Maestro Riccardo Muti: «La sua voce, quella che io conoscevo fino a quel giorno solo come cantante, mi è rimasta e mi resterà sempre come ricordo». Poi Dacia Maraini che viaggiò con lei e Pier Paolo Pasolini che la descrive come «indifesa e arresa di fronte all’amore che veniva voglia di proteggerla». Emergono le molte facce di una cantante grandissima e di una donna complessa e inquieta, ma pur sempre una donna, fino alle pagine tristi della morte in solitudine nel 1977. L’esposizione, già ospitata a New York, Città del Messico, Atene, Parigi, Roma, Los Angeles, Lisbona e San Francisco, dopo Cagliari tornerà a fare il giro del mondo: di nuovo New York, poi Rio de Janeiro, San Paolo, Sydney e San Pietroburgo. Insomma un grande evento per il capoluogo sardo.

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Patto per la salute «La sanità è una delle priorità della Giunta regionale e la riforma dell’intero sistema sanitario è ormai indispensabile». Queste le parole del presidente della Regione Ugo Cappellacci in occasione del convegno svoltosi a Cagliari, “La sanità che cambia: ridisegnare il modello Sardegna”, a cui ha partecipato anche il ministro della Sanità Ferruccio Fazio. «Vogliamo dare vita ad un sistema moderno, competitivo e capace di offrire servizi di qualità ai cittadini, che ponga la persona al centro dell’attenzione, con un occhio di riguardo ai conti, nell’ottica della riforma federalista dello Stato», ha spiegato Cappellacci. Gli stessi aspetti sono stati sottolineati anche dall’assessore della Sanità Antonello Liori nel suo intervento: «Dobbiamo ragionare su prospettive, sviluppi e scenari per una sanità nuova, moderna, tecnologicamente avanzata, ma anche e soprattutto umana e solidale. Dobbiamo realizzare una riforma, ormai diventata improcrastinabile, con l’obiettivo di mettere la spesa sotto controllo ed offrire ai sardi una sanità efficace, efficiente ed economica». L’assessore Liori ha spiegato che per questo si sta lavorando con gli esperti dell’Agenas (Agenzia nazionale della sanità) alla definizione del nuovo “Piano della rete ospedaliera regionale”: un nuovo modello in cui verranno riorganizzati i presidi sanitari in base a fabbisogno di prestazioni di specialità, all’area geografica, ai posti letto e strutture organizzative, secondo i parametri previsti dal “Patto per la salute” firmato con lo Stato.

MARIA CALLAS IN FIERA


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DENUNCIA: IL SEGRETARIO GENERALE DEL COISP, DOMENICO PIANESE, NON È UN “FALSO POLIZIOTTO” E IL MINISTRO MARONI MANTENGA LA MINACCIA

OLIZIOTTI PUGNALATI ALLE SPALLE

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e sagome dei poliziotti pugnalati alle spalle continuano a manifestare la delusione di questa categoria nei confronti del Governo che non ha mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale. Le sagome erano comparse sotto il Viminale nel 2008, dopo il fallimento delle trattative sul rinnovo del contratto e il taglio delle risorse destinate alle Forze di Polizia e denunciano tuttora le loro condizioni di lavoro inadeguate: la mancanza di veicoli, strumenti e personale, oltre alla condizione precaria di molti presidi sotto sfratto. La situazione è davvero critica: molte strutture sono state chiuse e molte, tra le quali anche la Questura di Cagliari, hanno troppo poco personale. Ma nonostante tutto questo i risultati operativi continuano ad arrivare grazie al sacrificio di quelli che fanno i poliziotti per passione e che, per questo, insorgono quando sentono il Ministro della Difesa La Russa accusare il segretario generale aggiunto del COISP, Domenico Pianese, di essere un “falso poliziotto”, fatto accaduto di recente durante la trasmissione televisiva Annozero. I “veri poliziotti” insorgono e con le sagome vogliono anche ricordare al Ministro dell’Interno Maroni la sua minaccia, mai attuata, di votare con l’opposizione se non avesse ricevuto i fondi necessari per gli obiettivi.

Da Severino Il vecchio

La tradizione è servita VIA KENNEDY, 1 - ORTACESUS (CA) - TEL. 070 9804197


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uasi un quinto della forza lavoro sarda, più di 100 mila lavoratori, utilizzano tutte le varietà di ammortizzatori sociali previsti dalla legge e circa 50 mila giovani in età lavorativa risultano inoccupati e privi di qualsiasi copertura e tutela normativa. A questi si aggiungono i tanti lavoratori coinvolti nella crisi delle aziende. Questa è la difficile situazione descritta dalla Cisl Sardegna, aggravata anche dalla dimensione internazionale della crisi. Per contrastarla, secondo il sindacato, la Regione Sardegna deve risolvere due priorità, la cui risoluzione è precondizione necessaria a qualsiasi intervento: l’aumento delle entrate, attraverso la riscossione di quanto le è dovuto dallo Stato e il riconoscimento e parametrazione di principio e dei costi dell’insularità, e l’aumento della propria capacità di spesa, attraverso la rinegoziazione del patto di stabilità, la qualificazione della spesa e l’eliminazione dei residui passivi. La Regione ha dato alcune risposte: per i problemi derivanti dal patto di stabilità, ha approvato una legge che istituisce un patto di solidarietà orizzontale e verticale tra regione, province e comuni e, nell’ambito del problema occupazione, nel 2010 ha investito 400 milioni di euro in 40 operazioni dedicate allo sviluppo occupazionale, all’inclusione sociale e al potenziamento del capitale umano e presentato recentemente il nuovo bando del PIP (Piano di Inserimento Professionale). La legge, ha spiegato la presidente del Consiglio regionale Claudia Lombardo, è «un intervento rilevante che consentirà agli enti locali di sforare il patto di stabilità, evitando le pesanti ricadute contenute nella disciplina statale e simultaneamente di evitare che i margini finanziari dei comportamenti virtuosi degli enti sardi possa essere dirottato dallo Stato in altre regioni». Il Piano, per cui sono stati stanziati 6 milioni di euro, è invece uno strumento utile per attenuare la disoccupazione e per riattivare il mercato del lavoro, che si inserisce nella serie di iniziative di supporto all’occupazione giovanile portate avanti dalla Giunta, tra le quali “Europeando” e il percorso per l’apprendistato. Prevede l’inserimento di giovani disoccupati o inoccupati in aziende private, associazioni di categoria, studi ordini e collegi professionali,

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UN’ISOLA di Lorelyse Pinna

per sei mesi se full time e per dodici se part time. Il lavoro (760 ore) sarà accompagnato da un percorso formativo (200 ore), in modo che il giovane possa acquisire la massima professionalità. «Si tratta di uno strumento doppiamente utile, avendo una connotazione formativa e lavorativa», ha commentato

l’assessore regionale del Lavoro Franco Manca, «l’azienda che ospita ha la possibilità di formare e mettere alla prova un giovane anche in vista di una eventuale conversione del PIP in rapporto di lavoro». La Regione ha previsto infatti anche un bonus per le aziende che trasformeranno il Piano in un contrat-


OLTRE IL DRAMMA, LA CRISI OCCUPAZIONALE: ECCO COSA SI DICE E SI FA PER FRONTEGGIARLA

A IN CERCA DI LAVORO to di almeno due anni. Questa è una delle novità del progetto, che rivede e corregge quello già proposto nel 2005, insieme all’apertura a ordini, collegi e studi professionali e ad aziende private anche senza dipendenti, e alla creazione di una “vetrina degli annunci” nella sezione apposita del sito della Regione,

un luogo di incontro tra soggetti beneficiari e soggetti utilizzatori che ne faciliterà l’incontro. Ma ai sindacati non basta: l’assenza delle risorse finanziarie necessarie causata dell’inadempienza dello Stato costringe la Regione a “risparmiare” in un momento troppo drammatico per

l’economia sarda, così hanno organizzato un sit-in di fronte al Consiglio Regionale e una manifestazione di popolo. Come nel 2005, quando la manifestazione a Roma portò al riconoscimento di quei diritti che ora si vogliono vedere rispettati.

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INCHIESTA · RAPPORTO SULL’IMMIGRAZIONE IN SARDEGNA

LA VALIGIA

CON CERVELLO E COMPETENZA Simone Ariu Ferrante didiLorelyse Pinna· Foto, · Foto,Roberto Fr. Pisu/E. Locci

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a Caritas ha realizzato e presentato il XX Rapporto sull’Immigrazione. I risultati: la Sardegna risulta al quartultimo posto in Italia per numero di stranieri, 38.300 in tutto, 4700 in più rispetto al 2008, di cui 23.127 occupati soprattutto nel settore alberghiero e della ristorazione. La maggior parte proviene da Paesi europei, Romania per prima, dall’Africa, in particolare Marocco e Senegal, e dall’Asia, soprattutto Cina. Sono meno, invece, quelli provenienti dall’America e dall’Oceania. Secondo i dati del Ministero dell’Interno sono stati concessi 1179 permessi di soggiorno, per lo più per motivi di lavoro. Ciò significa che i lavoratori stranieri hanno accusato meno il colpo della crisi, continuando ad accettare lavori anche a bassa specializzazione e sottopagati. Così sono riusciti a inviare in patria nel 2009 più di 65

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milioni di euro in rimesse, dimostrazione evidente della loro capacità di risparmio e del loro potenziale economico. Un altro dato importante è la presenza di una seconda generazione di immigrati composta da 3.837 alunni stranieri, di cui 562 nati in Italia, che frequentano le scuole sarde, soprattutto primarie.

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ome si trovano gli immigrati a Cagliari? Il Rapporto della Caritas afferma che il capoluogo isolano è una città ospitale, pochi gli episodi di intolleranza e xenofobia registrati e addirittura in quartieri come la Marina si assiste ad una pacifica convivenza multietnica. Ma gli studiosi denunciano comunque una bassa integrazione causata dalla “debole capacità di inserimento socio-lavorativo nel contesto sardo”. La popolazione straniera cresce dunque più di quella sarda: «Se

non ci fossero gli stranieri, il nostro bilancio tra nati e morti sarebbe sempre in passivo», ha affermato Raffaele Caria, redattore del dossier e responsabile del Servizio Studi e Ricerche della Caritas regionale. A parte il generalizzato decremento della natalità, la Sardegna è sempre meno popolata a causa delle emigrazioni. È paradossale ma la stessa regione, che registra un aumento del numero degli immigrati, si trova ancora a dover combattere con la fuga dei propri abitanti: lo denuncia il Rapporto Italiani nel Mondo, che lo chiama fenomeno del “vai e vieni”. Nuovi flussi migratori che coinvolgono soggetti socio-demograficamente diversi dai classici emigranti che partivano con la valigia di cartone tra Ottocento e Novecento. Oggi a partire sono i giovani, con un livello di istruzione medioalto, spesso addirittura laureati e per la maggior parte provenienti da quella


38.300 stranieri in Sardegna

562 stranieri di quarta generazione

(4700 in più rispetto al 2008)

nati in Italia

1.179

23.127

permessi di soggiorno concessi stessa provincia di Cagliari che accoglie il numero maggiore di immigrati nell’Isola. Partono alla ricerca della opportunità occupazionali offerte dall’Italia continentale e dall’estero, soprattutto dai Paesi europei. Lo ha denunciato anche l’assessore regionale del Lavoro Franco Manca durante l’incontro con gli emigrati di terza e quarta generazione che hanno partecipato al progetto “Corso di formazione sui programmi di mobilità giovanile europea”: «Gli emigrati di oggi hanno la valigia fatta di competenze e cervello. Purtroppo la Sardegna si impoverisce e ne beneficiano altri Paesi: lo vediamo anche con il Master and Back concepito alla vecchia maniera. È un gap che si può superare soltanto offrendo ai giovani delle opportunità di lavoro, purtroppo una merce rara un po’ ovunque».

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come si trovano gli emigrati sardi all’estero? Sempre secondo il Rapporto Italiani nel Mondo, il loro inserimento è facilitato dalla presenza dei circoli e delle associazioni di emigrati sardi, alle quali si appoggiano i giovani partiti dall’Isola e partecipano con entusiasmo i figli degli emigrati, i “sardi di cuore”. Secondo l’assessore Manca, «Gran parte dei nostri emigrati ha superato gli ‘anta’, i più giovani presidenti dei Circoli del Sud America hanno oltre 70 anni. C’è l’ esigenza di passare il testimone tra le generazioni e di riorganizzare le nostre strutture all’estero. Non a caso abbiamo destinato ai giovani buona parte delle risorse per il 2010». Ai giovani emigrati di terza e quarta generazione, infatti, era rivolto il progetto

lavorano nel settore alberghiero e in quello della ristorazione

regionale “Corso di formazione sui programmi di mobilità giovanile europea”, iniziativa dell’Assessorato regionale del Lavoro in collaborazione con la Filef (Federazione italiana lavoratori emigranti e famiglie): nella prima fase, svolta nella primavera del 2008, 15 tra figli e nipoti di emigrati sardi provenienti da Argentina, Belgio, Canada, Germania, Stati Uniti, Svizzera e Italia hanno partecipato ad un corso di formazione sulla progettazione di eventi di mobilità giovanile e sull’accesso ai fondi europei per i giovani. Hanno poi messo in pratica quanto appreso elaborando un progetto per la seconda fase. Cinque di loro sono venuti in Sardegna tra ottobre e novembre per compiere un’indagine proprio sui fenomeni di immigrazione ed emigrazione nell’Isola, intervistando emigrati di ritorno, immigrati e giovani tra i 18 e i 30 anni. Al termine di questo lavoro i giovani, provenienti da Argentina e Stati Uniti, hanno incontrato l’assessore del Lavoro, che ha voluto conoscere il frutto della loro esperienza in Sardegna. «Questi ragazzi conoscevano la Sardegna per lo più dai racconti dei nonni e dei genitori, ora c’è stata una prima presa di contatto», ha affermato Manca, «desideriamo replicare questa iniziativa con dei progetti mirati, come stage ed educational tour. Si dice che i circoli siano un po’ le ambasciate sarde all’estero, ma non è esattamente così perché mancano le necessarie competenze. La Regione, attraverso le iniziative elaborate in collaborazione con la Consulta dell’emigrazione, intende individuare le professionalità tra i giovani che devono farsi portatori anche della nostra identità culturale».

«Il capoluogo isolano è una città ospitale,

sono pochi gli episodi di intolleranza e xenofobia registrati negli ultimi anni» il Cagliaritano

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ITINERARI · A CAGLIARI CON NOI

CAGLIARITANITÀ alla

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LUCE DEL SOLE za pe sen

Il Movimento “A Cagliari” è andato in giro per il capoluogo sardo alla scoperta dei luoghi più belli. E ha trovato una città piena di colori e vivacità, ma con tante cose da fare per un futuro migliore.

I

di Maria Sias

l forte senso di appartenenza e di affetto che in fondo anima tutti noi cagliaritani è il sentimento che ispira questa nuova rubrica intesa ad aprire un dialogo sul tema della qualità dell’ambiente urbano. Siamo convinti che, oggi più che mai, nel processo di riqualificazione urbana si renda necessario uno sforzo comune nella ricerca di nuovi modelli di trasformazione culturalmente più adeguati e socialmente più evoluti, attenti alle identità delle realtà locali e ai nuovi indicatori di qualità della vita. Mi è parso stimolante seguire il filone di un’idea di conoscenza e di approfondimento dei problemi dell’area urbana sperimentato nei mesi passati con gli amici del Movimento di Opinione A Cagliari, con i quali già da tempo organizziamo momenti di incontro e di scambio culturale. A Cagliari con noi è il nome di un’iniziativa divertente che ha coinvolto i cittadini in piccole gite urbane, effettuate a piedi o con il bus verde scoperto, alla ricerca di una città da “esplorare”, tra presente e futuro. Essenzialmente tre sono stati gli itinerari che ci hanno portato a dialogare nel corso delle diverse gite sulle potenzialità di luoghi e risorse che purtroppo spesso ignoriamo, pur avendole sotto gli occhi. Forse siamo resi ciechi dall’abitudine, oppure semplicemente scoraggiati da tanti, troppi anni di inefficienza. In diverse giornate assieme abbiamo visitato: CAGLIARI ALLA LUCE DEL SOLE - Dalla via Roma a Molentargius, percorrendo il lungomare e osservando le cri-

ticità dell’area portuale e le opportunità di trasformazione del waterfront cagliaritano, da Giorgino a Sant’Elia, da Calamosca al Poetto, da Marina Piccola all’Ippodromo, dagli stagni salati a Monte Urpinu, attraverso il sistema di canali fino a Terramaini. CAGLIARI DOPO IL TRAMONTO - Il Centro Storico, le vie dello shopping, i centri culturali, i luoghi di tendenza per l’aggregazione, la ristorazione e lo svago. Sono questi i luoghi di innovazione per la città, luoghi dei quali molti cagliaritani, delle fasce di età più avanzate, ignorano l’esistenza. CAGLIARI SENZA PERIFERIE - Le periferie storiche, vecchi e nuovi quartieri residenziali, il parco della Musica, Pirri, Terramaini, San Michele, Tuvixeddu e Monte Claro, ovvero la residenzialità in città, i contenitori culturali e le grandi risorse ambientali costituite dai parchi urbani individuati dal sistema del Verde del Piano Urbanistico. In queste passeggiate, animate da un confronto di opinioni aperto e sensibile, si è consolidata l’immagine di una città bella ma poco curata, con episodi di qualità ma disomogenea nelle sue tessiture, paesaggisticamente unica ma scarsamente fruibile, attraente ma poco accogliente. E proprio nella transizione di questo continuo passaggio tra luci ed ombre è nata la sensazione che questa bella addormentata (così definita da una delle nostre amiche) ci richiamasse ad una maggiore attenzione ed anche ad un diverso e più responsabile impegno civico. Certo come semplici cittadini o anche come movimento di

«Cagliari ci è parsa bella ma poco curata, paesaggisticamente unica ma poco fruibile» 16

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opinione, sebbene animati da buona volontà e da spirito di servizio, senza importanti concreti aiuti non si può fare molto. Così per il momento ci dobbiamo limitare a portare all’attenzione di un pubblico sempre più vasto le tematiche emerse in questi momenti di ascolto e di dialogo per aprire un dibattito e una riflessione sui grandi temi delle trasformazione urbana e sugli aspetti inediti di una Cagliari tutta da scoprire e da inventare. In una prospettiva di crescita comune. In particolare oggi il nostro impegno si concentra sulla possibilità di innalzare il livello della cultura diffusa sui temi della qualità dell’ambiente urbano, e proprio con questo obiettivo è nata l’dea di un premio che potesse costituire gratificazione ed incentivo a chi con iniziativa personale, sacrificio e particolare capacità contribuisce in maniera evidente all’innalzamento delle valenze di qualità dell’ambiente urbano o risulta essere valido testimonial dell’immagine cittadina. La manifestazione Ali per Cagliari 2010, tenutasi in Castello, intende veicolare nuovi concetti di qualità urbana, e vuole essere un riconoscimento alle persone che, secondo le segnalazioni degli amici del Movimento A Cagliari, in diversi settori e con varie iniziative sono stati capaci di indurre processi tangibili di riqualificazione, dimostrando particolare talento innovativo e risultando testimonial per la città. Come ricordo di questo momento emblematico di apprezzamento ed incoraggiamento, verrà omaggiata una targa sulla quale Carla Pusateri, con le amiche dell’Accademia delle Arti minori, ha realizzato due belle grandi ali simboliche che ci auguriamo si moltiplichino per aiutare Cagliari a volare sempre più in alto!

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D L

a Marina, affacciandosi sul porto, è da sempre la zona di Cagliari che accoglie i forestieri, ieri soldati e commercianti venuti dal mare, oggi turisti e immigrati. Convivono nello storico quartiere cagliaritani doc e stranieri in un mix pacifico e produttivo, che lo ha fatto definire “fucina” o “ laboratorio” di integrazione multietnica. Ed è proprio questa la sua caratteristica e la sua forza. Se ne è parlato di recente per la presentazione del libro di Roberta Rachele Pistis “Marina: condominio multicolor”, a cui hanno partecipato Massimo Fantola e don Marco Lai e in cui si è affrontato anche il tema scottante della costruzione di una moschea in città. Fantola e don Lai sono d’accordo: si alla moschea, la libertà di culto è intoccabile. Un quartiere aperto anche ai turisti e alle passeggiate dei cagliaritani: dopo l‘esperimento della pedonalizzazione

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LA MARINA: QUI CAGLIARITANI DOC E LABORATORIO DI INTEGRAZIONE MUTIETNICA

ENTRO LA CITTÀ MULTIETNICA

estiva, i residenti e i commercianti della Marina dicono si alla chiusura del traffico nelle strade del quartiere. La possibilità di passeggiare lontani dagli scarichi delle auto e di sedersi nei tavolini all’aperto dei ristoranti hanno incrementato il commercio e reso più piacevole visitare questo pezzo di storia del capoluogo. Un problema però c’è: i parcheggi. Tutti convengono sulla necessità di aree in cui i residenti possano lasciare le proprie auto, soprattutto in vista dei lavori per il tunnel che renderanno inutilizzabili la corsia centrale di via Roma, ma anche pass per il carico e lo scarico delle merci e per i clienti che devono fermarsi per alcune ore, per cui sarebbe troppo dispendioso sostare a pagamento. E poi la Marina quartiere di cultura, teatro di appuntamenti importanti come il “Marina Cafè Noir – Festival di Letterature Applicate” organizzato

dall’Associazione Culturale Chourmo, che da otto anni a settembre anima le sue strade con mostre, reading e musica, o come “Nues”, il Festival internazionale di fumetti e cartoni nel Mediterraneo ideato e organizzato dal Centro Internazionale del Fumetto di Cagliari, quest’anno alla terza edizione. La partecipazione a questi eventi di tante persone favorisce la rinascita del quartiere, riscoperto e riqualificato in ogni suo angolo. Se, come ha scritto Alziator, «La Marina è un modo di vivere, una filosofia dell’esistenza che vince i secoli», questi sono i nuovi modi di vivere la Marina, che non coinvolgono solamente i suoi storici abitanti, nella speranza che un po’ di quella particolare filosofia dell’esistenza penetri anche in chi non ci abita.



L’INTERVISTA · INCONTRO CON IL PRESIDENTE DELL’ARST

PROSSIMA FERMATA,

Cagliari più vasta e migliore

Giovanni Caria, presidente del CdA dell’Arst, la più grande azienda di trasporto pubblico in Sardegna, racconta presente e futuro di quella che rappresenta, da anni, una realtà consolidata. di Lorelyse Pinna · Foto, A. Scifoni

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rst Spa ha recentemente concluso l’iter di acquisizione delle aziende che gestivano i trasporti su rotaia FdS e FmS, dunque ora gestisce anche i treni e le tratte non FS. Che vantaggi ha la creazione di un unico ente di gestione del trasporto pubblico su gomma e rotaie? «È stata l’ufficializzazione del processo di fusione iniziato nel 2008, dopo una fase in cui Arst ha gestito il trasporto ferroviario attraverso un’altra società. L’obiettivo è la produzione di un servizio più efficiente e razionale. Questo presuppone, soprattutto per quanto riguarda il trasporto ferroviario, alcuni interventi di ammodernamento sia delle linee che dei rotabili. Gli interventi in corso in questo momento sono le sostituzioni dei binari sulle linee Macomer-Nuoro e MonserratoSenorbì, mentre è in fase di appalto l’automazione. Questi interventi serviranno a dotare di maggiore efficienza un sistema ferroviario che risale al 1800 perché da allora la gestione governativa dei trasporti ha apportato poche novità. Dunque l’unificazione del sistema di trasporto pubblico

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locale permetterà di raggiungere più alti livelli di qualità dei servizi. Per lo meno questo è l’auspicio». Gestire anche il Trenino Verde, oggetto di grande interesse turistico con una media di 60 mila passeggeri l’anno, potrebbe essere un ulteriore strumento di destagionalizzazione del turismo e di valorizzazione delle aree interne. Come lo potenzierete? «La prospettiva del Trenino Verde è molto importante e molto attesa dai territori, soprattutto per il Nuorese, l’Ogliastra e il Sassarese. Gli interventi necessari sono la manutenzione dei binari e la dotazione di maggiori servizi nei punti di sosta. Bisogna attrezzare tutto il territorio perché il Trenino da solo non ha tante prospettive. Ma questo è un problema che richiede il coinvolgimento di enti locali e Regione, noi siamo solo un’azienda di gestione del trasporto. La promozione turistica, la programmazione e il finanziamento sono di competenza delle istituzioni. C’è molto da lavorare ma è una prospettiva stimolante. Bisogna fare il salto di qualità: su 600 chilometri di ferrovie, solo 200 sono dedicati al trasporto pubblico giornaliero, tutti gli altri possono essere dedicati al trasporto turistico. Purtroppo però i treni a disposizione sono condizionati

dall’esercizio del trasporto locale e le vecchie locomotive, per quanto siano un elemento di grande suggestione e richiamo, necessitano di interventi che le rendano più confortevoli. Abbiamo comunque riscontrato un grande interesse da parte delle autorità e degli enti locali». Poi c’è il trasporto automobilistico. «Il trasporto automobilistico ha una storia consolidata ed è un servizio efficiente e produttivo. I problemi in quest’ambito sono per lo più legati alle esigenze dell’utenza, che per la maggior parte è costituita da studenti. Di recente, per esempio, ci sono stati disservizi legati al cambiamento degli orari scolastici per la riforma dell’Istruzione. Abbiamo dovuto adeguare gli orari e cambiarli rispetto a quelli tradizionali. In provincia di Sassari è stato un cambiamento immediato, ma abbiamo ancora qualche difficoltà in provincia di Cagliari». Il trasporto metrotramviario adesso è presente solo a Cagliari e Sassari, ma nei prossimi anni le tratte coperte dalla metropolitana leggera dovrebbero aumentare, è corretto? «Questo è il segmento maggiormente rivolto verso il futuro. Entro il 2012 il sistema collegherà il Policlinico, che costituisce un bacino d’utenza molto importante, ed entro il 2011 avverrà


l’elettrificazione della tratta per Settimo. È una prospettiva interessante: dappertutto in Italia si stanno rimettendo in circolazione i tram ed è una coscienza che speriamo maturi anche a Cagliari, sia per quanto riguarda il trasporto interno che la conurbazione. Se la Regione promuoverà l’espansione del sistema metrotramviario, questo diventerà il futuro dell’azienda. Per esempio una volta che sarà collegato il Policlinico, potremo raggiungere anche Sestu. Una prospettiva importante anche dal punto di vista economico, ma a noi non spetta programmare, siamo un’azienda di gestione. La programmazione riguarda la Regione, noi siamo “il braccio”». In che modo Arst e Ctm saranno complementari? «Con Ctm non abbiamo diversità di obiettivi. Noi stessi gestiamo anche il trasporto urbano in alcuni centri, ma ci dedichiamo soprattutto al trasporto extraurbano e suburbano. Il Ctm si occupa invece del trasporto urbano a Cagliari. La complementarietà dipenderà da come la Regione penserà i trasporti. Questo è un momento di crisi e i tagli ricadranno anche sulle aziende come noi. Non è tempo per pensare in grande. Poi si vedrà». Adesso potreste gestire anche il trasporto aereo, marittimo e fluviale. Con quali intenzioni è nata questa nuova azienda? Che progetti avete per il futuro? «Queste sono le previsioni ottimistiche dello statuto di una società per azioni. Non c’è nessun programma che faccia pensare ad un trasporto aereo o marittimo, il nostro è un ruolo regionale. Poi un domani, se dovesse cambiare il mondo...» Si parla di milioni di euro mancanti all’appello. «Purtroppo nel nostro caso si parla di 10 milioni di euro mancanti. Ma non posso ancora parlare con sicurezza di ciò che accadrà, si sta decidendo in questi giorni dove tagliare. È un’operazione certosina perché tutto risulta essenziale. Sicuramente dovremo tagliare qualche linea, per esempio se la domenica ci sono dieci corse potrebbero essere ridotte a sei. Certo è che sarà inevitabile un ridimensionamen-

to dei servizi per il 2011». Lei è il presidente del CdA e ha una grande esperienza, è stato anche assessore. Quanto ha pesato, e pesa, questa sua esperienza nella trasformazione dell’azienda? Quanto di suo c’è in questa “nuova Arst”? «Sicuramente la mia esperienza pregressa mi è utilissima per affrontare un impegno gravoso come questo, soprattutto in un momento in cui affrontiamo la nascita di una nuova azienda con meno risorse a disposizione. Ma è un impegno stimolante e appassionante. Questa azienda è ricca di professionalità al suo interno. L’esperienza è fondamentale, una persona che ne fosse priva faticherebbe molto a gestire questa situazione. E fatico pure io, anche se in modo diverso».

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Il percorso del Trenino Verde nella tratta Mandas-Arbatax, una delle più suggestive, pubblicata nel libro ‘Il treno nel verde’ (Edizioni Salcef).

«La prospettiva del Trenino Verde è molto importante e molto attesa dai territori, soprattutto per il Nuorese, l’Ogliastra e il Sassarese». il Cagliaritano

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Cartabianca

CENTRO STORICO E CENTRO DEL BLA BLA BLA: PROMESSE ELETTORALI E INCOMPIUTE

CASTELLO

SI AVVICINA IL MOMENTO DI GLORIA

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d onor del vero in campagna elettorale di celebra il momento di gloria di un sacco di cose: amicizie dimenticate, parentele lontane, associazioni improbabili, promesse impossibili da mantenere… In pol position però invariabilmente “Lui”, il recupero del centro storico, il Jolly che tutti, ma proprio tutti, giocheranno nei prossimi mesi. Leggevo di recente un articolo di Pasquale Ristretta dei primi anni Sessanta in cui, attraverso un’analisi particolarmente brillante dei problemi del centro storico, emergeva l’ABC del quartiere così come lo hanno trovato i briosi partecipanti della Caccia al Tesoro con Buco a sorpresa di qualche giorno fa…Giurin girello, non è cambiato niente! Stessi problemi, stesse linee guida per trovare soluzioni quotidiane e concrete a problemi che non hanno proprio nulla di esoterico, sono quotidiani e concreti e (grandissima vergogna) sono sempre lì. Quante campagne elettorali in poco meno di 40 anni? Tante. Promesse elettorali? Non si contano. Sdegno elettorale per l’inoperosità degli avversari e/o dei predecessori? Tanto, tantissimo, troppo. Troppo per un cinquantennale ricambio di paladini per una donzelletta sdentata e grinzo-

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sa, che inizia a dubitare dell’inutilità di buttare giù le trecce dalla torre per sentire (solo in campagna elettorale) sempre la solita serenata, di anno in anno più vuota di significato, ripetuta quasi meccanicamente, che si avvia alla metamorfosi da destriero a ronzino, ad autogol. In effetti se fossi un candidato alle prossime elezioni opterei per una scelta ruffiana ma vincente: silenzio di tomba sul centro storico. E se poi quelli avessero mangiato la foglia e si fossero fatti l’idea che dentro il progetto di un albergo diffuso, di un distretto destinato ad hotel, centri di bellezza e locali notturni, non fossero gradite le famiglie con il loro fardello di passeggini, nonni, amici in visita e più in generale di esigenze? E se fosse assolutamente chiaro a tutti che il motivo per cui non nascono gli interventi atti a favorire il ripopolamento come matrice di progressiva e spontanea rinascita fosse appunto che l’idea di fondo non è affatto ripopolare Castello, creando le condizioni perché sia abitabile? Ecco, se io fossi un candidato alle prossime comunali eviterei di svegliare il can che dorme e non passerei in Castello nemmeno per un caffé, men che meno rischierei qualche

serenata elettorale con il rischio che Raperonzolo, a metà tra dignità e menopausa, tirasse giù un comodino dalla torre e mi facesse secco… C’è sempre, s’intende, quello che passa dalla ragione al torto e anche noi, qui sulla collina, abbiamo un manipolo di squinternati estremisti che tira in ballo i cattivi delle favole, le trame segrete tese a spopolare il piccolo borgo e farci un autogrill e un’autostrada. Ma no, non direi sia questo il pericolo: i grandi progetti, buoni o cattivi, richiedono comunque grandi progettisti, che sono poi grandi uomini, e di grandi uomini, buoni o cattivi, (questo è certo) siamo a secco. Accontentiamoci quindi della modesta noncuranza di chi non disdegna di prendere possesso di Castello se si svuota da sé e non trova motivo di stancarsi per offrire “a gratis” un bel luogo per vivere a un manipolo di fortunati, che poi magari se lo godono tutto da soli… Ecco questo si che assomiglia di più agli uomini che ho visto sfilare con il sorrisone dell’amico di famiglia, campagna elettorale dopo campagna elettorale. Per i grandi complotti invece aspettiamo che torni un’era di grandi uomini. Mai dire mai… Nel frattempo, come la bambina della poesia di Jaques Prevert, “Aspettiamo il Vincitore”!


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aschiscedda in sa mesa casteddaia

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aschiscedda est una de is festas prus mannas de sa Cristianìa e doncas est connota in totu su mundu chi dd’abetat cun prexeri po un’annu interu. Sa televisioni e is mass media ant cuncursu a ndi fai una festa chi parit sempri prus simbillanti in dogna logu de sa Terra, tant’est chi at pigau una bisura comuna. Bollu nai chi is usantzias e is costuminis chi una borta aparteniant sceti a unu locu, a pagu a pagu, casi sentz’‘e si ndi sapìri, si funt perdius. Sa genti at prefertu sighiri modas bennias de atesu, poita fiant noas e atraiant. Custu est sutzediu in Sardigna puru e non po sa Paschiscedda s c e t i . Bastat a pensai

di Giampaolo Lallai

a su tempus de is annus Sessanta e Setanta, a candu, in nomini de su modernamentu, medas bortas est istetiu fatu arrasu de is arrichesas curturalis cosa nostra, mirendi a fai prevalessi cussas natzionalis e de su mundu etotu. Po cust’arrejoni eus perdiu una parti manna de is arrichesas de sa musica, de sa poesia, de is costumus, de sa lingua, e pofintzas de s’art’‘e coxinai. Trinta o corant’annus prima de oi, sa Paschiscedda fiat diferenti in Sardigna puru: casi totus is tzitadis e is biddas teniant a su mancu calincunu costumu cosa insoru. Cussus prus piticus, chi mancai oi arregordaus in manera prus forti, funt sparessius po sempri. Funt abarraus cussus prus mannus, ma nimancu in dogna logu. Biveus sa festa cumenti dda bivint in is tzitadis de s’America, de s’Australia o de s’Africa o de atru calisisiat logu. Is simbillantzias ddas connosceus

beni: Paschiscedda est sa dì de is arregalus a is pipieddus e si ddus betit “Babbo Natale”, chi est paris in dogna logu, cun sa bistimenta e su cuguddu arrubius, sa barba bianca, su sacu pren’‘e gioghitus; totu su mundu cantat Adeste fideles, Stille Nacht, Astro del ciel, Jingle bells, Oh Happy Day e papat Cotechino e Panettone; is domus chi cuncordant su nascimentu funt sempri prus pagus, preferrint aprontai “l’albero di Natale”; custu una borta fiat una matixedda bia, casi sempri d’opinu, oi in dogna logu usant is matas fintas. E aici si podit sighiri. Mancu malis chi a Casteddu faint dus Nascimentus chi funt sempri pren’‘e genti: unu in su cumbentu de Santu Nassiu e s’atru in sa ex cresia de Santa Restituta, cun duxentus statuinas bistias cun is costumus de totu sa Sardigna. Un’usantzia chi, invecis, est abarrada comuna a totu su mundu, in Sardigna


puru, est sa Miss’‘e Mesunoti (in sa zon’‘e Casteddu est connota coment’e sa Missa de puddu o de puddas, nomini chi eus pigau de sa Catalogna: “Missa del gall”). Custu fai comprendi chi, mancai sa festa siat cambiada, Paschiscedda at mantenniu firma in dogna logu sa prus importanti sustantzia religiosa, chi est s’arregordu de sa nascida de Gesus. E a nai sa beridari propiu in sa Miss’‘e Mesunoti e in sa Novena, sa Sardigna si scerat po sa musica sua, spetziali, fata de cantzonis bellas meda (Notti de chelu, Naschid’est, Celesti Tesoru, Su Rei de s’amori, Anghelos cantade) e, aundi s’agatant sonadoris, de su sonu de is launeddas chi lompit sempri a su coru. Ma prima de sa Missa c’est sa cena e custa puru no est mai sparessia. Sfidu deu! Nisciunu arrenuntziat a una papada cumenti Deus cumandat, a su mancu una borta a s’annu, nimancus immoi chi su dinai de ispendi est tropu pagu. Seus bivendi unu tempus malu: medas traballadoris no arrennescint a lompi a s’acab’‘e su mesi, is antzianus tirant una pension’‘e famini, is fabricas e is aziendas funt custrintas a serrai poita no bendint casi nudda, is butegas funt sempri sbuidas. Ant depiu imbentai pofintzas sa social card po circai de donai una manu de agiudu a is prus abisongiosus. Creu chi cust’annu puru, mancai cun calincunu sagrifitziu, dognunu at a circai de fai un’ecetzioni e d e

papai unu pagu mellus de is atras dis. Antzis, postu chi in custas dis de festa teneus tempus in prus po fai is cosas e po ddas fai sentz’‘e pressi, iat a essi su casu de coxinai pitantzas chi no papaus casi mai poita bollint tempus e faina. Eus abarrai cuntentus de tastai cosas chi eus fatu nosus etotu, bonas de si ndi lingi is didus; una borta tanti nci besseus de su connotu de casi totu s’annu. Bieus impari ita podeus coxinai e aprontai. A dognunu de bosatrus s’incarrigu traballosu de scioberai! M’arrecumandu: no pigheis sceti is arretzetas prus fatzilis o lestras. Po cumentzai: cociulas e cotzas scabeciadas (oi est proibiu de ddas papai cruas cun stiddius de limoni, cumenti una borta a su mercau beciu de su Largu: su collera at fatu sparessi custa antiga guturrentzia); butariga segada a arrogheddus piticus postus in ollu de olia; burrida fata a su mancu duas o tres dis prima; olias sardas stasonadas in aqua salìa e cun finugheddu burdu; sartitzu e presutu sardu de sirboni; pillonis de tacula, buddius in aqua salìa e imbuddicaus in foll’‘e murta (medas nci papant totu, lassendi sceti su bicu); buconis; ortziadas fritas; insalad’‘e prupu; cambaredda frita; peis de boi (ammoddiaus in allu, perdusemini, ollu e pagu axedu); piscisceddus fritus de papai totus interus cun concas e ispinas; call’‘e crabitu. Is primus pratus funt medas. Ndi bollu arregordai calincunu: pisci a colletu (fa sicada, buddia cun allu e cundia cun ollu e pibiri); matzamurru, chi est bonu e costat pagu (si segant fitas grussas de pani tostau, mellus si est unu cocoi, si ponint a ammoddiai in su brod’‘e petza o in s’aqua callenti, si cundint cun bagn’‘e tomatas e casu de brebei e s’inforrant po una coidura lestra); malloreddus cundius cun bagn’‘e tomatas, arrogheddus de sartitzu sardu arrubiau e tzafaranu o puru cun bagna e pitziall’‘e caboniscu; culingionis prenus de casu friscu o arrescotu amesturau cun spinacius e tzafaranu (su pillu depit essi fini meda po intendi mellus su sabori de sa prenidura); macarronis cun bagna o cun arrescotu; culingionis de petza, de cibudda; macarronis cun arritzonis; findeus cun butariga o cun cociula bianca; minestr’‘e cixiri, de gintilla, de fasolu (cun croxol’‘e porcu), de indivia, de patata, de cas’‘axedu, de fregula cun cociula; brod’‘e pudda cun simbula o farricru, cun tzafaranu


e aciunta, a urtimu, de fitas de casu friscu; ziminu (sup’‘e pisci: prupu, scropula, caponi); cassola; arrosu cun tzafaranu o cun bagna; timball’‘e macarronis o de cibudda. Is segundus pratus funt aici etotu medas. Pim’‘e totu su pisci: giarretu; sardinas fritas; mongixeddas de lati (cociula bianca); lissas, carinas, mumungionis, murenas, spirritus (murgiaus), trillias imbuddicadas, auguiddas arrustias a schidoni cun follas de lau (si ndi abarrant si podint ponni in scabeciu: ollu fritu cun allu e axedu); su spirritu e su merlutzu funt bonus buddius puru e cundius sceti cun limoni; bacaliari a cassola o a schiscionera; bacaliari fritu; anguiddas cun su lau o cun sa marvasia; macioni fritu; aligusta buddia segada a arrogheddus e cundia cun ollu e limoni; aligusta a sa piscadora; cavuru buddiu; cambara arrustia. Ma a nosus casteddaius si praxit sa petza puru: angioni arrustiu (e stiddiau cun lard’‘e porcu) o cun ous e limoni amisturaus impari, o arrubiau cun patata o cun pisurci; porceddu arrustiu sentz’‘e pressi e, issu puru, stiddiau cun lardu po otenni su croxolu tzacarrosu; pudda buddia e farcia cun supressada e sa frisciura sua, mòllias beni cun ous e pani tratau; caboniscu cun bagna; bistech’‘e cuaddu arrustia e sfusta in ollu, allu e perdusemini; conillu a suchitu; perdixi cun gintilla; lepori a sa cassadora; sirboni a carraxu; tratalia; cordula arrustia o cun pisurci; longus e mannareddas arrustius; matzamin’‘e boi cotu in bagn’‘e tomatas cun sa menta; tzitzigorrus; bombas de petza (mòllia cun allu, perdusemini, ous e pani tratau) fritas e postas in sa bagn’‘e tomatas; anadi cun gintilla; ghisau; panada (de anguidda, de canciofa, de angioni). No si scarexiais de is ortalitzias: canciofa a tianu; cardulinu arrustiu; cauli soffocau; cibuddau; crocoriga a cassola; perdingianu o crocoriga fartzius; perdingianu arrustiu. Agoa aciungei su casu martzu, si dd’agatais. Su binu? Scioberai bosatrus: mancai Nuragus (biancu) o Cannonau (arrubiu). Po su durci, ponei a parti su panetoni e papai, prus a prestu, pan’‘e saba, candelaus, guefus, pirichitus, pabassinas, amaretus, pardulas casteddaias (pasta prena de casu friscu traballau), arrubiolus e bugnoleddus. Ci nd’est po si preni sa brenti. Una borta tanti lasseus perdi sa linia e totus is liagas de dogna dì.

IL CAGLIARITANO DOCUMENTI: DOSSIER MASSONERIA


I

Gentile da Fabriano, l’adorazione dei Magi

n famiglia si ritorna all

Il Natale rappresenta la più suggestiva tra le celebrazioni della religione cristiana, in quanto festa della Natività di Gesù. L’origine risale al IV secolo e la scelta del 25 dicembre non è casuale, visto che è correlata a un fenomeno naturale: passato il solstizio d’inverno, le notti cominciano ad accorciarsi e le giornate si allungano. Gli antichi Romani celebravano infatti con gioia la festa del “sole invitto”. Fra le tradizioni natalizie si annoverano certamente il presepe e l’albero. Il primo, istituito da San Francesco nel 1223 a Greccio, sulle colline di Rieti, attraverso l’allestimento di una sacra rappresentazione rievocante la

di Armida Forteleoni*

nascita di Gesù, è molto comune nei paesi dell’area mediterranea e deriva il suo nome dal latino praesepe, is, neutro praesepio, che significa propriamente recinto per il bestiame, stalla, mangiatoia, greppia. La Natività ha poi ispirato numerosi artisti e, come vuole la consuetudine, accanto a Gesù Bambino, ci sono la Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello. La tradizione di addobbare un abete è, invece, di chiara origine nordica e, stando a una leggenda, deriverebbe da un’idea del monaco tedesco Martin Lutero, il quale rimase estasiato dall’effetto prodotto dai ghiaccioli scintillanti fra i rami degli alberi che venivano illuminati dalla

Luna. Un’altra pianta tipicamente natalizia è il vischio, un arbusto ornamentale sempreverde ritenuto simbolo di pace e di buon augurio. Come auspicio per un buon raccolto è usanza far ardere un ceppo al fuoco del camino e spargere poi la cenere nei campi. Ogni anno liturgico, in tutti i centri della Sardegna, nel mese di dicembre si rinnovano i riti della Notte Santa, simili in tutte le parti dell’isola. Soltanto ad Alghero si rievoca il Natale catalano, attraverso una tradizione che rinnova l’antico canto della Sibilla. Il rituale viene officiato nella parrocchia di Santa Maria durante la Santa Messa della notte di Natale:


nel corso di questa antica cerimonia iberica, mentre il coro canta, un chierichetto impugna uno scettro simboleggiante l’autorità Capitolare e un altro sfodera una spada, simbolo della Giustizia Divina. Una leggenda popolare narra che la spada fu donata alla città dall’imperatore spagnolo Carlo V. Da anni viene portata avanti con successo anche l’iniziativa di fondere insieme i suoni delle zampogne, sorta di pifferi pastorali, con quelli delle launeddas e creare così suoni armoniosi. In Sardegna, la vigilia di Natale si trascorre in famiglia, a dimostrazione dell’attaccamento dei Sardi alle proprie origini; il sentimento religioso e la suggestività delle celebrazioni tengono in piedi un patrimonio di tradizioni antiche che,

lle origini unite alla cultura moderna, creano un connubio magico tra un passato ricco di fascino e un presente innovativo. Consuetudini che si tramandano e si rinnovano e che hanno come fulcro della notte in cui si celebra la nascita di Cristo due elementi: la Messa di mezzanotte ed il cenone. La novena di Natale si riappropria dell’importanza che deteneva in passato, richiamando fedeli più numerosi soprattutto quando recitata nella versione latina dell’ “Adeste Fideles” e del “Regem venturum Dominum”. Di particolare interesse è la novena natalizia di Aggius, annoverata fra le più significative della nostra isola e caratterizzata dai peculiari canti

corali.A Busachi i festeggiamenti per il Santo Natale riservano particolare attenzione al rito de “Sa Missa ‘e Puddu”(Messa di mezzanotte) fra il 24 e il 25 dicembre, celebrata prima del canto del gallo. Il Natale, Paschixedda nel Campidano, a Calangianus come in Gallura è chiamato Pasca di Natali; la sera della vigilia ci si reca alla Messa di mezzanotte per poi banchettare con salsiccia arrosto, verdure e dolci tipici preparati in casa tra cui mindulati (mandorle, albumi d’uovo, scorza di limone e zucchero), papassini (pasta dolce con uva passa e noci), pani e saba (pane impastato con mosto stracotto) diffusissimo anche nel Campidano di Cagliari, cucciuleddi o acciuleddi (ripieno di miele e semola, limone e mandorle), niuleddi (miele con noci, mandorle e fichi secchi cotti al forno). Da rilevare che, anticamente, le donne del paese dovevano servirsi dei forni pubblici per cuocere il pane e i dolci e, di conseguenza, erano tenute a stabilire l’orario del turno di cottura; inoltre la tradizione voleva che si alzassero di buona lena per preparare il pranzo del 25 a base di antipasto di salame, di rivea, interiora cotte allo spiedo, carne arrosto con contorno di verdure, frutta e dolci. In diverse località dell’isola troviamo i mercatini di Natale, che espongono una varietà consistente di creazioni artigianali e rappresentano un’ occasione per curiosare tra le bancarelle, contribuendo a creare quell’atmosfera e quelle luci tipiche del periodo natalizio. Di particolare interesse sono anche i presepi allestiti nei vari centri sardi, come il presepe vivente di Gergei, una suggestiva immagine della Natività. Il paese, con i suoi viottoli, le strade acciottolate, le stalle, i granai si illuminano e si animano; nell’aria si diffonde il profumo degli incensi e per le vie vengono rappresentati gli antichi mestieri, emblema di un sapere antico e pur sempre vivido, mai tramontato. E’ un modo per conoscere il piccolo paese, per assistere alla lavorazione del pane, della pasta, del legno, del ferro, senza perdere di vista il presepe itinerante che prosegue la sua marcia verso la piazza della parrocchia, dove lo attende la capanna che accoglierà Gesù Bambino, interpretato abitualmente dall’ultimo nato di Gergei e al-

lietato dal canto di una ninna nanna intonata da Maria. A seguire, allo scoccare della mezzanotte, la celebrazione della Santa Messa, dopo la quale la comunità si ritrova attorno ad un falò per scambiarsi gli auguri. Una particolarità è che tutti i dialoghi e i canti della rappresentazione sono esclusivamente recitati in lingua sarda. A Desulo, nel cuore della Barbagia, si organizza il “Natale in montagna”, con iniziative nel settore dell’artigianato e dei prodotti tipici. Proprio la vigilia di Natale si assiste alla lavorazione di cesti, ceramiche, coltelli, launeddas, pellame, ricotta, formaggi, pane. Il presepe vivente è caratteristico in quanto animato da personaggi che indossano il tradizionale costume di Desulo, con la partecipazione dei cori polifonici. Il Natale nel Nuorese rivive antiche usanze e consuetudini: nelle case si è ben svegli la sera della vigilia, in attesa delle campane che annunciano sa missa ‘e puddu e solo dopo aver assistito alla liturgia e aver salutato la nascita del Bambino Celeste con spari di fucile, si può consumare la cena precedentemente preparata. Tutti partecipano al banchetto, a sa notti de is setti cenas (la notte delle sette cene), simbolicamente intesa come una cena di sette pietanze per onorare la nascita di Gesù. A Cagliari è chiamata, invece, sa notti de is mattinas, in riferimento al fatto che si fanno le ore piccole. Per quanto riguarda la zona di Nuoro, le pietanze che non possono mancare sono quelle tipiche del pastore, l’agnello di latte e il porchetto, cotti ad arte nel camino delle abitazioni. Spesso, però, il pastore trascorre la notte nell’ovile o in campagna, a meno che non raggiunga il focolare domestico in quanto fidanzato o novello sposo e festeggi quindi in famiglia. In questo caso, il giorno di Natale dovrà sostituire chi la notte della vigilia ha custodito il suo gregge. Ma la tradizione vera e propria è quella della festa nell’ovile, con il raduno di diversi pastori della zona; si intonano le melodie soavi e natalizie dei gosos, si cuoce l’agnello in uno spiedo di legno aromatico, si sorseggia il vino novello e si gusta la frutta secca. Tradizioni di origine e sapore antico, che resistono intatte al trascorrere del tempo.


APPENA NATO, L

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il Cagliaritano


TRADIZIONI POPOLARI E STUDI SOCIO E ETNO-ANTROPOLOGICI IN SARDEGNA

, L’ANNUNCIO E LE PRIME VISITE “Deu bòllada!”

L

di Armida Forteleoni*

a nascita di un bambino era annunciata immediatamente dalle sorelle e dai fratelli maggiori, dai nipoti o dai cugini che rendevano noto il felice avvenimento recandosi da parenti, amiche della puerpera, vicini e conoscenti. Era usanza che chi andava ad annunciarne la nascita ricevesse da questi una strenna. Le prime visite cominciavano abbastanza presto, a pochissima distanza dalla nascita: non vi era un’usanza precisa per cui chi si recasse a casa della puerpera dovesse portare qualcosa in dono, ma se lo faceva si trattava soprattutto di regali semplici per il bambino, fatti però col cuore. A chi veniva in visita si offrivano dolci, amaretti e bucconettusu, e il rosolio fatto in casa con l’alcool e l’essenza. Sovente si offriva agli ospiti anche una tazza di caffè, di vino o della buona malvasia e solitamente i visitatori, avvicinandosi alla neo mamma e al bimbo, pronunciavano la formula d’augurio «A du biri mannu e bonu!» (sperando di vederlo grande e buono!) a cui la madre rispondeva «Deu bòllada!» (Dio voglia!). Era inoltre consuetudine baciare e salutare il neonato. L’ostetrica si occupava della puerpera e del neonato sia durante il parto, che avveniva rigorosamente entro le mura domestiche, sia nei giorni immediatamente successivi. Questa tradizione è attestata da diverse e numerose testimonianze orali e scritte. La nascita di un bambino era un avvenimento non solo per i più intimi, ma anche per tutto il vicinato. Soprattutto in paese, ancor più se piccolo, la notizia del lieto evento si diffondeva rapidamente. Al nuovo nato si cospargeva della cenere sull’ombelico per cicatrizzarne la ferita. Le visite erano quanto mai gradite alla novella madre, ma se

ancora non si era fatto il battesimo, non c’era pericolo che essa presentasse il bimbo o le visitatrici lo richiedessero per il rituale bacio: quantunque sia bello come un angelo e rubi proprio i baci, “est morixèddu ancora”, è ancora moretto e non ha diritto ai baci finché non sarà fatto cristiano. Era poi consuetudine l’invito al prete e al sagrestano e il giorno del battesimo il chierichetto e lo stesso sacerdote tenevano un succhiellino con l’acqua benedetta dove c’era aspersorio e qualcuno vi deponeva delle monetine. La tradizione imponeva, per preservare il nascituro da eventuali insidie come malocchio e invidia, disporre un treppiede capovolto sul letto che si lasciava fin quando la puerpera non si fosse alzata oppure dell’aglio o una scopa capovolta dietro la porta della camera da letto. Si trattava di una serie di pratiche magiche, cui si intrecciavano elementi religiosi, atte a contrastare “is brùixias”, streghe, fattucchiere e malefici. Un atro accorgimento protettivo era un amuleto costituito da una pallina di lignite nera, tenuta ai lati da due catenelle d’argento, chiamato “sa sabègia”: la sfera simboleggiava il bulbo oculare, l’occhio buono che contrastava quello cattivo. Si posizionava nella fascia del bambino, dove poteva essere sistemato anche un nastrino verde oppure delle foglie dello stesso colore, preferibilmente di maggiorana. Se si spaccava non c’era da rammaricarsi, bensì da gioire in quanto ciò significava la vittoria riportata sul malocchio. All’elenco sono da aggiungere molte pietre dure, “pinnadèddus” nel Campidano, “ogu de Santa Luxìa” nel Cagliaritano, in particolare di ossidiana, onice, cammeo e corallo. La credenza del malocchio o jettatura non è un portato della mentalità sar-

il Cagliaritano

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da, ma una credenza generale e universale, temuto presso tutti i popoli e in tutti i tempi soprattutto nei confronti dei più piccini, considerati più vulnerabili. Abbastanza frequente per scacciarlo era “sa mexìna e’s’ogu”, la medicina dell’occhio: dopo aver preso un bicchiere con acqua, due chicchi di grano e un goccio d’olio, si recitavano sottovoce delle formule magiche frammiste a preghiere cristiane, rivolte a determinati santi, Gesù e Maria. Proprio la componente cristiana, alla quale ci si affidava con massima fiducia e devozione, assumeva una notevole importanza per il buon esito del rito. Se nel bicchiere si formavano dei cerchi concentrici significava che il bimbo era stato preso d’occhio, “ogu pigau”, e con questa procedura veniva liberato. Il rituale doveva ripetersi per tre volte, senza che in mezzo passasse il giovedì. Altra usanza era “sa mexìna de sa carra segada”, la medicina per la schiena rotta o strappata, contro i dolori alla schiena e ai reni, strappi muscolari e dorsali provocati ai piccoli dalla maldestrità nel tenerli in braccio. Si prendeva dunque il bambino, lo si capovolgeva e se il braccino non arrivava a toccare il piedino, allora era presente il dolore che si guariva con invocazioni e preghiere. Qualcuno ricorda anche “sa mexìna e’s’umbra”, la medicina dell’ombra, che consisteva nel recitare una preghiera contro lo spavento. Il pianto del bambino era spesso attribuito a fame e mal di pancia e in alcuni casi si cercava di calmarlo, mentre in altri lo si lasciava piangere. Il rimedio contro il mal di pancia era quello di scaldare un po’ d’olio e fregarlo tiepido sul pancino del piccolo. Vi erano inoltre dei liquori specifici per questi disturbi, ad esempio l’acqua ardente che, all’occorrenza si prendeva da una persona del luogo. Il bambino non usciva di casa prima del battesimo, che avveniva ad appena otto giorni dalla nascita. Vi partecipavano il padre e i padrini ma non la madre, che prima dei quaranta giorni non poteva oltrepassare il limitare domestico. Una volta trascorso tale periodo si recava in Chiesa con il figlio per il rito della purificazione, quindi si confessava, accendeva un cero, riceveva la comunione e la benedizione. La cerimonia, chiamata “s’incresiu” o “s’incresiamentu”, ricalca la presentazione di Gesù al Tempio, recitata anche nel Rosario. Per quanto riguarda l’onomastica era tradizione tramandare i nomi di generazione in generazione: solitamente al primogenito si imponeva il nome del nonno paterno e alla primogenita quello della nonna paterna, mentre ai secondogeniti quelli dei nonni materni. Talvolta invece si trattava di nomi di zii e zii, oppure non concernenti il parentado. Moltissimi davano il nome del patrono o della patrona del paese. Ma ci si rivolgeva al bimbo e si parlava di lui anche con altri nomignoli o diminutivi teneri e affettuosi: “su pippìu” e “sa pippìa”, il bambino e la bambina, “pippièddu”, bambinetto, “su pippìu miu”, il mio bambino, “pistirrinchìna”


o “pistirrinchinèdda”, piccolina, piccina, “picciocchèddu”, ragazzetto. L’allattamento si protraeva per un periodo piuttosto lungo, anche fino ai due-tre anni, interrotto spesso dall’arrivo di un nuovo fratellino o sorellina. Appena nato al bimbo veniva applicata una fasciatura che lo immobilizzava fino ai piedi, perché crescesse ben dritto e forte. Questo costume di fasciare i bambini, senza lasciare loro possibilità di movimento e lasciando scoperti solo piedi e faccia, ha origini lontane. I medici credevano che il parto alterasse le deboli membra del neonato e che bisognasse proteggerle finché non avessero raggiunto una consistenza sufficiente. Tra gli antichi, gli unici a non adoperare la fasciatura furono gli Spartani. Si doveva tenere per un arco di tempo che andava dai tre mesi fino anche a quando il piccolo non fosse in grado di camminare. Indossava poi “sa vasca”, un panno di tela che si lavava spesso, il triangolo, sempre di stoffa denominato “su cullàcciu”, e una benda fine per i reni. Si preparavano inoltre gli immancabili “cambuscèddusu”, le cuffiette, pagliaccetti e semplici abitini a pettina, o se femminucce, oltre ai vestitini, quasi sempre di panno duro di cotone e ricavai da altre stoffe, si adoperavano anche i grembiulini. L’abitino per la domenica non era da tutti, così come i bei vestitini ricamati con pizzi e merletti. Per lo più i bimbi andavano scalzi e solo la domenica, per chi li aveva, indossavano gli zoccoletti. Per i più piccini che non erano in grado di camminare, invece, le mamme facevano delle calzette di cotone bianco. Un’altra caratteristica comune a molti era il fatto di non portare le mutandine, perché non si potevano comperare, come le scarpe. Per calmare i bambini e fargli prendere sonno si ricorreva al dondolio e alle ninna nanne: «Anninnìa, anninnìa, dromidì su pippìu, su pippìu de sa mamma, oh oh fai sa nanna» (ninna nanna, ninna nanna, dormi bambino, il bambino della mamma, oh oh fai la nanna). Durante il giorno, quando le mamme erano impegnate nei lavori di casa, il neonato stava nella culla, che veniva trasportata nel luogo dove si trovava la madre, oppure veniva adagiato su due sedie o se ne capovolgeva una per infilarci il piccolo, sostituendo così il girello. Frequentissimo deporlo in cucina in “una crobi”, una corba, con un panno o un cuscino, oppure in “unu canistèddu”, un cestino dove di solito si metteva il pane, o anche nel vano di un cassetto. Alcune madri che lavoravano in campagna portavano con sé il figlioletto e lo sistemavano sotto una pianta, talvolta avvolto in uno scialle o in una copertina. * Gli studi e le indagini sul campo svolti dall’autrice sono stati mirati a ricostruire la condizione infantile nel primo Novecento in Sardegna. I dati e le informazioni raccolte sono frutto di un’inchiesta durata quattordici mesi.


L

o stabile sito in Castello nella via Genovesi, comunemente denominato palazzo Nieddu o Cugia, con portoni in corrispondenza dei numeri civici 120 e 122, oltre al prospetto principale su questa via, prospetta altresì sulle vie Santa Croce e via Stretta. La parte terminale di quest’ultima via (l’antica Carter del Vì), chiusa da un portone, fa parte del palazzo. Attraverso que-

risulta da un documento della Casa di Osuna, conservato nell’Archivio di Storico Nazionale di Madrid (Archivo Historico Nacional de Madrid, seccion de Osuna, legajo n. 156), concernente il reddito di alcuni locali dello stesso, dati in affitto, adibiti a magazzini per il grano e per il formaggio. E’ probabile che l’allora conte di Quirra, don Gioacchino Carroz Centelles, padre di donna Alemanna moglie di don

glie nobili Sarde. Edizioni della Torre Cagliari, 1986, pag. 210 e Tav. 44 e pag. 216 e Tav. 45). Il palazzo ospitò, fino al riscatto dei feudi, la Curia del marchesato di Quirra. Da alcuni documenti dell’Archivio di Stato di Cagliari, relativi al passaggio di questo feudo dalla famiglia Catalan alla famiglia Osorio, si apprende che nel 1775 don Agostino Grondona Boghi, allora podatario della marchesa Gilaberta

PASSEGGIATE CAGLIARITANE ATTORNO ALLE MURA DI CITTÀ: VIA GENOVESI

I L PALAZZO DEI MARCHESI D di Paolo Amat di San Filippo

sto portone si accedeva a due ampi locali, probabilmente un tempo, carrozziere o stalle. L’edificio confina con il palazzo Siotto, (attualmente sede della Fondazione omonima), già Floris Thorel, e anticamente Alagon, e con il suo cortile. Le notizie più antiche di questo edificio risalgono al 1598, come risulta da un documento dell’Archivio di Stato di Cagliari, che certifica il collaudo di alcune riparazioni effettuate nei porticati dei cortili del palazzo del conte di Quirra, e al 1698, come

Cristoforo Centelles che già marchese di Nules fu il primo marchese di Quirra, si fosse trasferito dal castello di San Michele nella casa di Castello, che non è detto avesse l’estensione attuale, per controbilanciare forse, con la sua presenza, l’influenza politica degli Alagon. Lo stemma che campeggia sul balcone del piano nobile comprende, inquartate, le armi delle famiglie Carroz e Centelles (F. Floris, S. Serra: Storia della Nobiltà in Sardegna – Genealogia e Araldica delle fami-

Carroz Catalan, già Josepha Domina Cathalà y Lujan, aveva commissionato alcuni lavori nel palazzo, dove viveva, al picapedrer Masci Rambau, forse sotto la guida del regio architetto Giuseppe Viana. Nello stesso periodo, il Rambau, infatti, per alcuni lavori effettuati nel palazzo dell’Università degli Studi, sotto la direzione del capitano ingegnere Vassallo Belgrano di Famolasco e dello stesso Viana, era stato retribuito con la cospicua somma di 100 scudi. La facciata del


palazzo, inoltre assomiglia molto a quella del palazzo progettato, ad Asti, dall’architetto Alfieri del quale il Viana era stato allievo. Nel 1798, il Supremo Tribunale della Corona di Madrid attribuì, dopo un lungo iter giudiziario, il feudo di Quirra a din Carlo Filippo Osorio de La Cueva y Castelvì, duca di Albuqyerque, conte di Cervellon, ed essendo stata la sentenza ratificata anche dal Consiglio Supremo del-

DI QUIRRA la Corona di Torino nel 1805 (A.S.C., Fondo Regie Provvisioni, Vol. 26, carte 46 v, 88,91 v,120,150,171 v, 173174), nel 1807 il nuovo podatario della famiglia Osorio, don Giuseppe Maria Fancello, sfrattò dal palazzo, dove risiedeva, il podatario della famiglia Catalan, don Gioacchino Grondona Lopez, che era subentrato, in quella carica alla morte del padre don Agostino, avvenuta in quel palazzo il 4 giugno 1784. Il Fancello effettuò alcuni lavori nel palazzo, che comprese-

ro la realizzazione di alcuni tramezzi (Tabics), e la sostituzione di ben, ben 400 vetri alle finestre. Al Fancello subentrò, come podatario della famiglia Osorio, il genero, avvocato don Pietro Nieddu Meloni (A.S.C., Fondo Segreteria di Stato I Serie, Vol. 322, lettera n. 23, Carta 104) che, intorno al 1830, da Carlo Alberto fu creato conte di Santa Margherita (A.S.C., Fondo Intendenza Generale, Vol. 49, carte 83 e 124)… Anch’egli fece effettuare dei lavori di restauro o di modifica nel palazzo, probabilmente sotto la supervisione e/o direzione dell’architetto Gaetano Cima. Tuttavia, una perizia tecnica effettuata, nel 1919, dall’ingegnere Dino De Gioannis, adombra che il Cima si fosse limitato ad intervenire in alcune parti del palazzo, per es. nella facciata (con il tamponamento delle finestre adiacenti al bancone centrale, per mettere questo in maggior evidenza), nello scalone d’onore (con la realizzazione delle ringhiere in ghisa e dei capitelli che, come nel giardino della Villa Santa Maria a Pula costruita su suo progetto, dovevano sostenere dei vasi ornamentali in tufo calcareo), nella tramezzatura di alcuni locali sotterranei e nella realizzazione della cisterna centrale (costruita partendo dal livello originariamente corrispondente a quello della via Stretta dalla quale si accedeva al cortile attraverso un’arcata, ora sotterrata, colmando lo spazio circostante fino al piano attuale). Nel 1860 il palazzo apparteneva a donna Maria del Pilar Loreto Osorio Gutierrez de los Rios y de la Cueva, duchessa di Fernan Nunez e del Arco, contessa di Cervellon, marchesa di Quirra, figlia di Don Carlo Filippo Osorio, ultimo feudatario di Quirra di cui don Pietro Nieddu Meloni era stato l’ultimo podatario (Rogito notaio Vincenzo Manca del 10 Dicembre 1860, insinuato il 29 Dicembre dello stesso anno, al n. 1929, Libro 11). Nel 1895 la marchesa rivendette il palazzo a don Gavino Nieddu Fancello, conte di Santa Margherita, secondogenito del conte Pietro, e a sua moglie Enrichetta Cappai Rossi (Rogito notaio Michele Sulis del 3 Agosto 1895, registrato il 10 Agosto dello stesso anno, al n. 259). Dopo la morte, nel 1919, della con-

tessa Enrichetta Nieddu Cappai, vedova di don Gavino Nieddu Fancello, il palazzo fu diviso fra gli eredi dei due coniugi: i fratelli Enrico e Rita Randaccio Cappai, figli della sorella di donna Enrichetta, Maria Cappai Rossi maritata con Carlo Randaccio Cappai (rogito notaio Michele Cugusi del 30 Dicembre 1921 (Rep. n. 3588 – Vol. n. 11294), registrato il 14 gennaio 1922 al n. 1873), e l’ammiraglio don Umberto Cugia di Sant’Orsola, nipote, a sua volta, della sorella del conte donna Maria Rita Nieddu Fancello vedova di don Litterio Cugia di Sant’Orsola, caduto nella battaglia di Custoza. Alla morte, nel 1930, di Enrco Randaccio Cappai, la sorella Rita, coniugata con l’avvocato erariale Virginio Cugia (figlio di Pasquale), divenne proprietaria della metà dello stabile pertinente alla zia contessa donna Enrichetta Nieddu Cappai, in quanto sorella di sua madre, e alla sua morte lo divenne la figlia Maria Cugia Randaccio, coniugata con il generale Cesare Cremese. Nel 1964, il palazzo venne sottoposto a vincolo dalla Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie, vincolo che venne confermato, nel 1996, dalla Soprintendenza ai B.A.A.A.S. di Cagliari e Oristano. Maria Cugia Cremese, alla sua morte, nel 1994, legò a Paolo Amat di San Filippo, anch’egli imparentato con la contessa Enrichetta Nieddu Cappai in quanto sua bisnonna Cristina, coniugata con il maggiore medico Stefano Fadda Maxia, era sorella della contessa donna Enrichetta, la sua quota del palazzo, ad esclusione di un appartamento al secondo piano, con accesso dal n. 120 della via Genovesi, precedentemente venduto (Testamento olografo pubblicato dal notaio Fernanda Locci nel 1995). L’ammiraglio don Umberto Cugia che, andato in pensione risiedeva a Rapallo, e che aveva ottenuto dall’ex re Umberto di Savoia in esilio a Cascais, il riconoscimento del titolo di conte di Santa Margherita estintosi nella persona del prozio don Gavino Nieddu Fancello, vendette, nel 1979, la propria quota del palazzo all’Università di Cagliari (Rogito notaio Roberto Vacca del 20 Aprile 1979, repertorio n. 31282, raccolta n. 8036, registrato il 10 Maggio 1979 al n. 5632).

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Il tentativo di invas

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el settembre del 1792 gli eserciti della Francia rivoluzionaria, quasi in coincidenza con la vittoria conseguita a Valmy contro i prussiani, invadono la Savoia e il Nizzardo (territori appartenenti al Regno di Sardegna). Nell’ambito di questa politica di espansione territoriale si colloca anche il tentativo di conquistare la Sardegna. La spedizione contro l’Isola viene decisa il 19 settembre 1792, con decreto del Consiglio esecutivo provvisorio che pone in evidenza “l’estremo malcontento degli abitanti di detta isola contro il governo piemontese”. E’ affidata al contrammiraglio Truguet,

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di Antonello Angioni

mentre a capo delle truppe da sbarco destinate ad occupare il territorio viene designato, nel gennaio del 1793, il generale Casabianca. Il corpo di spedizione comandato da Truguet è formato da circa seimila uomini tra truppe regolari e volontari. Il 21 dicembre la flotta francese si presenta minacciosa nel golfo degli Angeli, davanti alla città di Cagliari, ma viene sbattuta da una tempesta di libeccio e deve rinunciare allo sbarco. Si rifugia nel golfo di Palmas. All’alba del 29 dicembre le navi della Repubblica francese ricompaiono nella rada di Cagliari: si tratta di sette unità al comando del capitano Lautouche-

Tréville di rientro da un’azione contro Napoli. Le imbarcazioni vengono allontanate dalle cannonate sparate da un presidio posizionato nella Torre dei Segnali (nei pressi del capo Sant’Elia). Sono solo le prime avvisaglie del nuovo anno. Il 1793 infatti è destinato a segnare in modo drammatico le vicende storico-politiche della Sardegna. In siffatto contesto il Governo dell’isola, affidato al viceré Vincenzo Balbiano d’Aramengo, non appresta alcuna difesa e neppure si premura di incrementare le forze militari d’ordinanza che, in tutta l’Isola, non superavano le quattromila unità. L’inerzia governativa spinge le forze locali a promuo-


STORIA DI SARDEGNA: QUANDO CRESCEVA IL MALCONTENTO DEI SARDI CONTRO IL GOVERNO PIEMONTESE. IL 1793 È DESTINATO COSÌ A REGNARE IN MODO DRAMMATICO LE VICENDE STORICO POLITICHE DELLA NOSTRA TERRA

asione francese

A sinistra, la flotta francese bombarda la città di Cagliari. Foto sopra, il contrammiraglio Lautouche-Tréville.

vere tutta una serie di iniziative, sia a livello politico che militare, finalizzate a scongiurare l’invasione francese. Il 4 gennaio, ottenuto il permesso dal viceré, si riunisce lo stamento militare che, in via d’urgenza ed alla presenza dei soli rappresentanti residenti a Cagliari, discute le misure difensive da adottare e delibera la leva di quattromila uomini a proprie spese. L’arcivescovo mons. Vittorio Filippo Melano di Portula e il Capitolo della Cattedrale di Cagliari mettono a disposizione dello stamento militare notevoli risorse da utilizzare per la guerra contro i francesi. Mentre la nobiltà sarda - preoccupa-

ta per l’inerzia del viceré Balbiano organizza la difesa del territorio, il 7 gennaio le truppe della Francia rivoluzionaria provenienti da Ajaccio occupano Carloforte, abbattono la statua del re Carlo Emanuele III (che era stato il promotore di quella colonia) e, al suo posto, alzano l’albero della libertà. Successivamente conquistano senza difficoltà Sant’Antioco. Intanto nella rada di Cagliari fervono i preparativi di difesa: i baluardi esistenti vengono riadattati mentre a protezione del porto si posizionano alcune batterie di cannoni; inoltre, sul colle di Sant’Elia e sulla spiaggia di

Quartu Sant’Elena, si realizzano trincee e si piazzano diversi cannoni. Il 13 gennaio nel golfo di Palmas le navi di Latouche-Tréville si uniscono a quelle di Truguet. Il 22 gennaio il simulacro di sant’Efisio viene trasportato in processione, nel nuovo baluardo dedicato al santo eretto in riva al mare. Partecipano l’arcivescovo, il Capitolo metropolitano, il clero secolare e regolare, le autorità civili e militari; inoltre si registra un grande concorso di popolo. L’invocazione dell’intercessione di Efisio non è casuale posto che lo stesso non solo, nel 1656, aveva fatto cessare l’epidemia di peste che flagellava l’Isola ma - secon

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do la tradizione - in punto di morte, prima di subire il martirio, aveva chiesto al Signore “di proteggere la città di Cagliari dalle invasioni dei nemici”. Sempre nella giornata del 22 gennaio le prime vele francesi spuntano dal

francese va al loro inseguimento la fa attirare verso terra dai pescatori che fingono di voler fuggire. A questo punto escono allo scoperto i miliziani che uccidono più di quaranta inseguitori. La rappresaglia è immediata: il 27 e

sbarcano al Margine Rosso: una colonna di armati si dirige verso Quartu Sant’Elena, un’altra verso Cagliari. Il 15 e il 16 febbraio la città viene duramente bombardata (il 15 per ben dodici ore). Nella notte si verificano duri

Ritratto di Domenico Millelire, e una rappresentazione della battaglia navale di fronte al porto di Cagliari.

promontorio di Pula ed il successivo 23 l’intera flotta getta le ancore nella rada di Cagliari: sono undici vascelli di linea, sei fregate e tre corvette. La mattina del 24 una lancia si stacca dalla flotta: a bordo vi sono alcuni parlamentari ed è probabile che intendano far arrivare al viceré un’intimazione di resa da parte del contrammiraglio Truguet. Peraltro i miliziani cagliaritani, anziché accogliere a braccia aperte i rivoluzionari, si posizionano sui cannoni sistemati nel porto e fanno fuoco sulla lancia: quasi tutti gli occupanti vengono uccisi. La reazione dei francesi non si fa attendere. Il 26 viene catturata una barca di pescatori che s’erano avventurati ad uscire dal porto. In questo frangente s’impone la figura di Vincenzo Sulis. Questi, raccolti un centinaio di miliziani, li fa appostare sulla spiaggia; poi fa uscire in mare un’altra barca di pescatori; quando una lancia

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il 28 la città viene bombardata (il 28 ininterrottamente dalle otto del mattino sino alle due del pomeriggio). Peraltro, nonostante il massimo dispiegamento di mezzi, il bombardamento non arreca danni significativi. Il comandante della flotta francese, in ogni caso, è convinto di aver impressionato la popolazione e fa diffondere proclami e manifesti che invitano alla resa. Ma tutto è inutile in quanto la difesa dell’Isola oramai riveste sempre più il carattere di una difesa degli altari e dei focolari domestici (“pro aris et focis” come aveva osservato Damiano Filia, insigne storico della Chiesa). Frattanto la flotta francese si riorganizza e il 7 febbraio, dopo l’arrivo delle navi del capitano Lautouche-Tréville, poteva contare su ventisette navi da guerra (tra vascelli, fregate e corvette) e quarantadue bastimenti carichi di soldati pronti allo sbarco. Il 13 febbraio oltre cinquemila francesi

scontri, in località San Bartolomeo, fra le truppe francesi e i miliziani sardi. Questi ultimi, guidati da don Girolamo Pitzolo, riescono ad avere la meglio e i francesi devono ripiegare verso il Margine Rosso ove, minacciando d’impiccare i loro ufficiali, chiedono di essere reimbarcati. In questo frangente, mentre infuria la violenza, accade qualcosa di davvero straordinario che la tradizione ha tramandato sino a noi: tra il 15 e il 16 febbraio del 1793, quando la flotta francese comandata dal contrammiraglio Truguet bombardava la città di Cagliari, a seguito di un’invocazione a sant’Efisio, si solleva una furiosa tempesta di vento e pioggia con burrasca in mare che squassa le imbarcazioni, spezza gli ormeggi di quelle all’ancora e distrugge alcuni vascelli. Gli invasori sono costretti alla ritirata: il 20 febbraio la flotta francese deve lasciare in fretta e furia il porto di Cagliari.


A seguito dell’intervento prodigioso, al santo viene attribuito il titolo di “comandante supremo dei combattenti”. Ma non solo. La Municipalità pronuncia un ulteriore voto al santo (dopo quello fatto l’11 luglio 1652 per

le, il giovane Napoleone Bonaparte. Peraltro anche tale assalto fallisce per la strenua resistenza opposta dagli isolani guidati dal capitano Domenico Millelire. I velieri francesi devono ripiegare verso la Corsica.

Pitzolo ed altri valorosi acquisirono fama e onori. Per contro il viceré Balbiano non aveva fatto nulla, neppure per rendersi simpatico ai sardi: ruvido al tatto, presentava il viso sfregiato dalla mancan-

I cavalleggeri Sardi difendono la città di Cagliari, da un’opera di Quinto Cenni, e il ritratto di un giovane Napoleone.

far cessare la peste). La processione di ringraziamento viene autorizzata nel 1794 da papa Pio VI col breve Pretegensis e l’arcivescovo di Cagliari Filippo Vittorio Melano assegna alla stessa - che si svolgeva il 15 gennaio, data del martirio di sant’Efisio - la funzione di riconoscenza al santo per aver preservato la città dall’assedio francese. Nel 1814 il Capitolo della Cattedrale di Cagliari fissa il giorno della processione nel Lunedì dopo la Pasqua, data in cui il voto tuttora si compie. In tale ricorrenza, al termine di una suggestiva processione che parte di buon mattino dall’antica chiesetta di Stampace, il simulacro del santo viene collocato nel mezzo del Duomo fra quattro ceri. Ma torniamo a quelle giornate del 1793. Tra il 22 e il 25 febbraio i francesi organizzano la spedizione contro l’Isola della Maddalena alla quale partecipa, col grado anche di ufficia-

Il pericolo dell’invasione francese aveva dato luogo ad una forte mobilitazione delle popolazioni sarde e delle antiche istituzioni parlamentari. Tale mobilitazione si sostanziava anche in un momento di grande unità patriottica che, da sempre, ha costituito “il terreno privilegiato nel quale si rinsalda il sentimento di appartenenza alla propria comunità e sul quale cresce e si alimenta il sentimento nazionale” (Luciano Carta, Pagine di storia cagliaritana 1794-1795, saggio introduttivo, Cagliari, 1995, p. 8). La difesa della città e dell’Isola dunque aveva avuto successo grazie alla coraggiosa reazione delle popolazioni locali ed in particolare delle “milizie nazionali” comandate da nobili e notabili sardi: si trattava di contingenti che prendevano le armi solo nei momenti di pericolo. In quei tumulti il marchese di Neoneli, il visconte Asquer, Vincenzo Sulis, Girolamo

za di un occhio. Già tale particolare - secondo lo storico Giuseppe Manno - lo rendeva poco adatto a governare in mezzo a gente, come i cagliaritani, abituata a scherzare su tutto e su tutti. Per di più si era circondato da un manipolo di funzionari odiosi e intriganti. Dell’assedio del 1793 restano ricordi nella memoria cittadina e nella stessa chiesa stampacina di sant’Efisio ove una lapide così ricorda l’evento: “Gallici furoris specimena adversus Calarim, divanae opis monumenta Sancto Efisio tutelari sacra”. Ma restano anche preziosi documenti iconografici raccolti in una pubblicazione curata nel 1977 da Luigi Piloni dal titolo L’assalto francese alla Sardegna del 1793 nell’iconografia dell’epoca. Ciò conferma della grande risonanza che l’avvenimento ebbe a suo tempo.

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IL SIGNOR BUFFA DI CAGLIARI NELLA STORIA DEL CINEMA

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ell’immaginario collettivo nazionale gli italiani vengono rappresentati come un popolo di santi, eroi e divi del cinema. Un’immagine riduttiva, ma assai significativa che mette in luce alcuni tratti salienti della nostra personalità e identità. Oggigiorno il cinema e la televisione italiana sono dominate da uno stuolo di personaggi evanescenti e privi di spessore artistico e professionale, che acquistano notorietà ed onori per mezzo di futili e dannosi reality, che li rendono improvvisamente beniamini di un vasto pubblico. Questi falsi “divi nazionali” dopo qualche apparizione mediatica, scompaiono e si dissolvono come “neve al sole”, non lasciando nessuna traccia della

loro presenza e della loro arte. Che tristezza. Soffermandoci sul mondo cinematografico nazionale, la nostra rivista mensile “Il Cagliaritano” non poteva dimenticare un autentico divo del cinema italiano Salvatore Amedeo Buffa in arte Amedeo Nazzari (Cagliari 10 Dicembre 1907 – Roma 7 Novembre 1979), cagliaritano verace, popolare, vanto e onore dell’Italia e della sua amata Sardegna. L’esordio professionale di Amedeo Nazzari avvenne nel 1927 con la “compagnia di giro” di Dillo Lombardi e già negli anni successivi Nazzari iniziò a collaborare con compagnie teatrali di prestigio come quelle rappresentate da Annibale Ninchi, Marta Abba, Memo Benassi. Sarà Anna Magnani “la divina”, a sco-

MITICO

prire Amedeo Nazzari a teatro. Fu lei, infatti, ad inserire il cagliaritano nel cast di “Cavalleria”: la professionalità, la prestanza fisica di Nazzari diventavano la principale attrazione artistica del film, che presentato alla Mostra del Cinema a Venezia, e poi proiettato in tutte le sale nazionali, diveniva la pellicola di maggiore incassi della stagione cinematografica italiana del 1936. Nel 1938 Amedeo Nazzari accresceva il suo successo professionale (ampiamente meritato) con l’interpretazione del film “Luciano Serra pilota”, per la regia di Goffredo Alessandrini: fu questa prova cinematografica a rafforzarne il mito. Nel corso degli anni, sul personaggio Amedeo Nazzari, i critici cinematografici hanno coniato appellativi curiosi: “il Clark Gable delle zone depresse” (Giulio Cesare Castello); “È senza dubbio il primo autentico divo del cinema italiano dall’avvento del sonoro: fisico prestante, tratti alla Errol Flynn:” (Francesco Troiano). Amedeo Nazzari divenne, suo malgra-

Amedeo Nazzari di Maurizio Orrù

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do, beniamino del regime mussoliniano, seppur estraneo alla dittatura e ad ogni compromesso politico e culturale. La grande popolarità di Nazzari fu determinata dalla sua grande professionalità di attore, dalla sua prestan-

che lo ricordano per la straordinaria prova di attore, ma anche per il suo intercalare “casteddaiu” presente nelle sue tanti e molteplici ruoli di protagonista. Questi tratti hanno contributo a rafforzare il divo e il suo mito nazional-

za fisica, ma anche, in quel torno di tempo, dalla politica autarchica del fascismo, che vietava tassativamente l’ingresso nel territorio nazionale di pellicole straniere imponendo che i film da proiettare fossero rigorosamente italiani. Interprete in quarant’anni di carriera 112 film, molti dei quali entrati prepotentemente nella cinematografia nazionale, quali “Il bandito”, “la figlia del capitano”, “il brigante Musolino”, “catene”, “proibito”, “le notti di Cabiria”, “Malinconico autunno”, Nazzari svolse esclusivamente ruoli positivi, rivolti al bene: l’avventuriero romantico, l’ufficiale gentiluomo, il padre di famiglia, il brigante generoso ed umano o l’imperturbabile magistrato. Nei suoi personaggi traspariva l’identità dell’uomo forte e orgoglioso ma dall’animo nobile, così come era lo stesso Nazzari. Oggigiorno il nome dell’attore Amedeo Nazzari risulta essere un mito, una icona nel multiforme mondo del cinema italiano, ricordato, a distanza di decenni da una moltitudine di fan,

popolare. A 100 anni della nascita, Cagliari la sua città, ha voluto ricordarlo organizzando una straordinaria mostra allestita all’Exmà, nella quale attraverso l’esposizione di libri, locandine, proiezioni di film e la pubblicazione delle recensioni d’epoca è stata riproposta la straordinaria avventura di Amedeo Nazzari. Questo tipo di manifestazione pubblica, per il suo alto contenuto storico e cinematografico, è risultata gradita soprattutto al pubblico giovane non avvezzo al divo Nazzari. A tale proposito, importante la sponsorizzazione dell’ente locale e la professionalità dell’impresa culturale Lu. Ci che hanno dato lustro e splendore alla rassegna. Amedeo Nazzari dopo la partecipazioni ad una serie di film minori, tentava la fortuna nei Paesi di lingua spagnola. In Argentina il primo intoppo: la produzione cinematografica di un film gli propose il ruolo di un personaggio italiano corrotto e malavitoso, assai lontano dalla sua tradizione e pensiero della figura standard dell’italiano.

Rifiutò sdegnato. Anche questo era Amedeo Nazzari. A quest’episodio fanno seguito, negli anni ‘60, le prime delusioni cinematografiche: il ruolo del principe Salina ne “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, originariamente proposto ad Amedeo Nazzari veniva assegnato a Burt Lancaster; nel film “La figlia del capitano” nel ruolo del rude Pugacev veniva preferito Van Heflin. Nel corso della sua onorata attività artistica Nazzari non è stato mai al centro di pettegolezzi, scandali o gossip. Anzi la sua vita è stata improntata alla modestia e alla generosità. Tanti gli episodi che ricordano Amedeo prodigo nei confronti degli indigenti. Lunga e prestigiosa è stata la carriera che lo ha vistola fianco dei più grandi e qualificati registi nazionali e stranieri: Blasetti, Zampa, Germi, Fellini, Soldati, Risi e tanti altri. Altrettanto numerose e rinomate le attrici co-protagoniste con Nazzari: Merlini, Ferida, Valli, Magnani, Gardner, Sanson, Masina… Molteplici ed interessanti anche le pubblicazioni editoriali dedicate al Nostro divo: tra le tante ricordiamo “Amedeo Nazzari. Il divo, l’uomo e l’attore” a cura di Simone Casavecchia, omaggio editoriale pubblicato in occasione dei cento anni della nascita di Cinecittà in Roma. Dopo una serie di presenze televisive in alcuni programmi ad alto audience come il Musichiere, Studio Uno, Sette Voci, incominciava il tramonto cinematografico di Nazzari con un calo di presenze dovuto anche all’insorgere di problemi di salute. L’ultima fatica di Amedeo è stato il film “Melodrammore” (1978) che segnava l’esordio cinematografico di Maurizio Costanzo, in cui il Nostro interpretava una piccola ma significativa parte da protagonista. Amedeo Nazzari rientrava spesso nella sua Sardegna, in cui aveva coltivato amicizie forti e vigorose. Morì a Roma il 7 Novembre 1979. Dicono gli amici cagliaritani più cari: “Il cruccio di Amedeo è di non essere riuscito a creare a Cagliari un centro di cinematografia”. Questa bella proposta sarà un sogno o un utopia? Ai posteri l’ardua sentenza.

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INCONTRI D’AUTORE · CINEMA LOW COST E CRISI DEL LAVORO

Gianluca Sulis

SONO PRECARIO MA FACCIO UN FILM

Il giovane regista cagliaritano, professore di lettere e latino per professione, esce nelle sale con un film, A Morte!, che tratta il tema dei giovani e delle difficoltà che devono affrontare per inserirsi nella società odierna. Paure e incomprensioni che portano il protagonista e i suoi amici a compiere un gesto estremo. di Claudia Sarritzu · Foto, Silvia Taddei

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Laureato ma senza un lavoro, quindi precario e senza mai una pensione. Sono questi i motivi che spingono Marco, giovane protagonista della pellicola A Morte!, a compiere un gesto folle. Poi Marco si giustifica, ricorda a se stesso che non c’è altra scelta, e il gesto lo compie. Di lui, però, si potrebbe dire che è un giovane laureato in attesa di un lavoro, che continua a studiare per prendersi la seconda laurea, perché la prima sembra non bastare nell’Italia di oggi. Si mantiene agli studi facendo il clown per bambini, ha amici semplici, una fidanzata. Una vita normale insomma. Ma forse di Marco si dovrebbe dire soprattutto che è arrabbiato. Così arrabbiato con il sistema di questo paese - che non gli permette di rendersi indipendente e «diventare grande» - che decide di compiere un gesto estremo assieme a quegli stessi amici semplici con cui sognava una vita «normale». L’ultimo film di Gianluca Sulis - giovane regista sardo, nato e cresciuto a Tonara, cagliaritano di adozione e professore di lettere e latino in un liceo scientifico di Capoterra - si intitola A Morte! ed è nelle sale dal 2 dicembre. Un film che parla delle paure dei giovani una volta presa coscienza del fatto che la loro esistenza sarà molto più dura di quella dei loro genitori. Il protagonista, Marco appunto, decide di rapire due soggetti che, per lui e i suoi amici, incarnano le colpe di una società che non si occupa dei problemi dei giovani ma scarica sulle nuove generazioni debiti, corruzione, immoralità e degrado: un professore universitario e un politico locale. Gianluca Sulis ha iniziato a sognare di fare il regista al liceo. Ma è rimasto un sogno anche all’università, quando si è iscritto in Lettere mo-

derne a Cagliari. Rimanda così per anni questa passione, si laurea, inizia ad insegnare e nel mentre scrive un libro, un romanzo dal titolo La fontana di Morù. Un giorno però decide che quel sogno è il momento di iniziare a realizzarlo. Non ha mai studiato cinema, è un autodidatta, ma dalla sua parte ha la voglia di farcela, la testardaggine e la generosità di tante persone che non lo lasciano solo in quest’avventura. Con pochissimi soldi dà vita ad un manoscritto che da romanzo poi si tramuta in sceneggiatura. E finalmente gira il suo primo film che esce nelle sale nel 2008. «Emergere nel mondo del cinema sardo è difficilissimo, quasi quanto ottenere sostegno economico dagli enti locali. La cosa che mi deluse moltissimo, due anni fa, fu il silenzio che mi riservò il mondo dei media locali». Il mondo artistico, quello del cinema soprattutto, non è in crisi da pochi mesi, da quando cioè si sta compiendo una lotta e una mobilitazione in tutto il Paese: «Non è solo per colpa dei tagli alla cultura e della crisi internazionale che fare cinema sia difficile», afferma ancora. «Era un’impresa anche due anni fa. È un mondo chiuso, senza aiuti finanziari e sostegno da parte di chi gestisce la comunicazione. Non si trova spazio». Gianluca è molto contento però del successo che il suo film ha avuto in giro per l’Italia, dove ha venduto svariate copie, e in giro per il mondo, soprattutto nelle comunità di emigrati sardi. «Le ha osservate le facce degli spettatori dopo la fine del film?», chiede retoricamente. «Molti mi hanno chiesto se fossi un veggente, e io ho risposto di no, non voglio certo promuovere iniziative di questo tipo. Il mio è un messaggio diverso, che va capito dopo aver meditato, sul film e sulla società odierna». Sicuramente in tanti si interrogavano sulle frequenti allegorie del film. Una pellicola che farà discutere per il modo estremo in cui viene trattato un tema molto attuale, una provocazione forse, un avvertimento alla società. Il regista ha iniziato le riprese con una troupe di 20 fra ragazzi e attori professionisti circa un anno fa. Quando la società civile, a parer suo, non reagiva, non manifestava. Senza il naturale sfogo di pacifiche mobilitazioni questo film rappresenta in extremis quello che fra i giovanissimi poteva capitare in mezzo all’indifferenza totale nei riguardi del precariato. «Un male assoluto per questa

società». Paura sventata dalla bellissima e pacifica lotta portata avanti anche fra i monumenti più importanti in tutto il Paese da universitari e ricercatori. Gianluca Sulis dimostra di essere un regista coraggioso nell’affrontare un tema del genere; nel mettere in piedi un cast, ed un film, con pochi soldi; nella scelta dei costumi, della sceneggiatura e del linguaggio. Gli attori parlano di argomenti «nostri», quotidiani, ma recitano, si muovono, gesticolano, intonano la voce come i personaggi della tragedia greca. I rimandi non sono solo ai classici, ma anche al mondo mitologico locale. Maschere prese dalla tradizione barbaricina e riti, balli e musiche della cultura sarda dell’entroterra. E i dialoghi fra Marco - carceriere - e le due vittime sacrificali, professore e politico - carcerati - ricordano spesso quelli fra i brigatisti e l’onorevole Aldo Moro, sequestrato e ucciso nel 1978 dalle Brigate Rosse. I luoghi sono simbolici, e la stessa scelta della miniera come prigione è quasi un modo per ricordare che dalla fine di quel mondo la Sardegna non riuscì più a creare nuove possibilità lavorative. Un professore, Sulis, che vede nella sua categoria la colpa ai molti mali della società. Gli chiedo se fa autocritica rispetto ai suoi colleghi, e risponde: «Sì, noi siamo molto importanti, dovremmo ricordarcelo più spesso anche se non prendiamo uno stipendio adeguato al nostro ruolo. Noi docenti dobbiamo continuare a fare bene il nostro lavoro, così lasceremo nelle mani giuste il futuro di questo Paese». Qualcuno definirà questo film retorico. E la risposta la dà Marco, il protagonista: «A volte si diventa per forza retorici, quando le cose normali vengono stravolte, quando non si hanno più certezze ci si arrende alla retorica». Gianluca Sulis fa qualcosa di bello aldilà del film. Ci crede, che in Sardegna e a Cagliari, si possa realizzare un film anche con poche risorse, che possa far discutere e che permetta un confronto. E la città, possiamo dirlo, ha accolto bene questo regista e la sua opera.


BUON COMPLEANNO, PROF! · IL REGALO PIÙ BELLO

NOTE DI NATALE

MUSICA

MAESTRO!

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cuola di eccellenza l’Alfieri di Cagliari, sapientemente diretta da Gabriella Artizzu con un corpo docente creativo e dinamico. Lucio Tunis, docente di musica e infallibile organizzatore di eventi, s’è fatto e ha fatto un bel regalo per il suo compleanno: ha scomodato l’amico di sempre Nicola Di Bari, super vincitore negli anni 70 di due Festival di Sanremo, voce sabbia e sale che con le sue hit ha promosso e accompagnato amori di generazioni. Una mattinata di amicizia, aria natalizia ed entusiasmo alle stelle per studenti e professori, coordinata dal generosissimo Tunis e condotta da Giorgio Ariu. “La prima cosa bella” ora veleggia per l’Oscar americano, e Nicola Di Bari, che ha cantato più di un brano, è il solito vagabondo che ama tanto l’isola e l’amicizia. Simone Ariu

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Sopra, il disco di Malika Ayane, La prima cosa bella, remake dell’originale scritto e interpretato da Nicola Di Bari. A destra, la locandina dell’omonimo film, grande successo cinematografico degli ultimi mesi.


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GLAMOUR PARTY · CAGLIARI È... DONNA

INCONTRI E PROPOSTE

CAPITALE

FEMMINILE N on perdono occasione per incontrarsi, discutere, animare la vita cittadina. A Cagliari è il movimento tutto al femminile che propone una città a dimensione umana, la famiglia al centro, il mare come valore aggiunto con il fronte-porto, le isole pedonali, i teatri, il nuovo Parco della musica e opportunità di lavoro, con tanta attenzione anche per i più bisognosi.

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AMARCORD · L’ATLETICA SARDA SUL TETTO DEL MONDO

PROFUMO di OLIMPIADI

Nei gloriosi anni ‘80 e ‘90, l’atletica leggera ha vissuto dei momenti indimenticabili. Anche grazie ad atleti sardi del calibro di Sandro Floris che, in esclusiva, ci racconta le emozioni che si provano in un’Olimpiade (anzi due). di Donatella Rossi

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ome non ricordare i tempi d’oro della Sardegna nel mondo dell’atletica? Era la seconda metà dei gloriosi anni ’80 e poi ‘90, il movimento era grande e i campi di atletica erano sempre stracolmi di sportivi e appassionati. All’epoca emergeva la figura di Sandro Floris, un sardo che ha portato la nostra isola sul tetto del mondo dell’atletica leggera. Lo incontriamo per conoscerlo meglio e farci raccontare le emozioni vissute da atleta. Come ti sei affacciato al mondo dell’atletica leggera? «Capitò quando, per conto della scuola, partecipai ai Giochi della Gioventù a Cagliari. Avevo 16 anni e fui notato da un allenatore di atletica leggera. Da quel momento iniziai a fare gare regionali e stabilii il nuovo record sardo nei 100 metri, categoria juniores, il cui precedente era 10,8”». Come si è evoluto il tuo percorso? «La svolta fu nell’84, quando il mio modo di fare atletica diventò più serio grazie al preparatore atletico Gianfranco Dotta. Venni chiamato a partecipare a raduni nazionali ed entrai nel mondo del professionismo di questo sport. Nell’86 arrivò l’anno della pausa di riflessione, causa servizio milita-

Sandro Floris (il secondo da sinistra) alle Olimpiadi di Atlanta ‘96.

re, ma dall’87 in poi iniziarono le competizioni importanti». E arrivarono le soddisfazioni. Parlaci del tuo personalissimo medagliere. «Ho partecipato a due Olimpiadi, Seul ’88, dove arrivai quinto nella 4x100, e Atlanta ’96, in cui venni eliminato alle batterie dei 200 metri. Poi Campionati del Mondo come Tokio ’91, dove ottenni il quinto posto nella 4x100, e Goteborg ’95, terzo nella 4x100. Ai Campionati Europei di Spalato ’90 vinsi la medaglia di bronzo nella 4x100, così come a Budapest ’98. Ai Campionati Europei indoor, Glasgow ’90, vinsi l’oro nei 200 metri. Poi titoli italiani, indoor e outdoor». Parliamo di sensazioni. Cosa si prova nel momento in cui si sta per affrontare una gara delle Olimpiadi? «La sensazione dura poco. Il tempo di entrare nello stadio, preparare il blocco di partenza… e poi c’è la gara. Se ti fai prendere dall’emozione arrivi ultimo. Non puoi lasciar spazio alle sensazioni, devi riuscire a dominarle per poterti concentrare esclusivamente sulla competizione. E anche quando vinci l’emozione dura poco, soltanto l’attimo del podio e dell’inno. Ovviamente c’è la grande gioia della vittoria, ma sai già che quando scendi dal podio devi iniziare di nuovo tutto da capo». Un mondo difficile, quello dell’atletica. Oggi sei ancora nel campo dello sport, di cosa ti occupi? «Sono un tecnico specialista Fidal (Fe-

derazione Italiana Atletica Leggera). Ormai da otto anni sono responsabile del settore velocità delle Fiamme Azzurre. Svolgo quest’attività in campo nazionale con atleti in tutta Italia. Invece a livello regionale ho trovato molte difficoltà per creare spazi e trasmettere la mia esperienza acquisita in vent’anni di attività. In Sardegna potrebbero svilupparsi importanti progetti che confluirebbero in ambito nazionale grazie alla collaborazione di atleti sardi del calibro di Gianni Puggioni, Giorgio Marras, Davide Cadoni, Angelo Locci, Andrea Rubiu e Valentina Uccheddu, ovvero tutti coloro che hanno onorato, e reso celebre, la Sardegna in campo nazionale ed internazionale. Ricordiamoci che l’atletica è fatta di atleti e non di dirigenti. Molte scelte inopportune hanno portato al fallimento di queste operazioni e allo svuotamento dei campi di atletica». Sei anche istruttore in una palestra di Cagliari. Come applichi la tua esperienza di atleta agonista? «Dato il mio rapporto con Gianfranco Dotta (proprietario della palestra Athlon per cui lavora), basato sull’amicizia, il mio lavoro in sala pesi è un puro divertimento e ha un senso di riconoscimento per Gianfranco con il quale ho condiviso tanti successi. Qual è il consiglio che dai a chi vuole emergere nell’atletica, nonostante i limiti dell’ambito regionale? «Crederci sempre, arrendersi mai. Questo è il mio motto».

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RELAX & FITNESS · IN PALESTRA

LO YOGA

inSARDEGNA Una disciplina che ormai spopola in tutto il mondo, non solo tra le star dello spettacolo, sbarca finalmente in Sardegna. La palestra Athlon ospita la prima scuola di power yoga, diretta dall’insegnante Sabrina Lai. di Donatella Rossi · Foto, Athlon

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a prima scuola di power yoga è finalmente arrivata anche in Sardegna, e ad ospitarla è la palestra Athlon di Cagliari. Abbiamo incontrato colei che ha voluto fortemente la nascita di questa scuola, Sabrina Lai, insegnante di power yoga da più di dieci anni, che si è avvalsa della preziosa collaborazione dei suoi colleghi ed istruttori Silvia Ledda e Giovanni Palmieri. Sabrina Lai ci spiega che in Sardegna c’è una grande difficoltà a far attecchire questa disciplina perché non esiste un’adeguata divulgazione. Nell’ultimo decennio ci sono stati miglioramenti in tal senso, ma la nostra regione è ancora molto indietro rispetto al resto d’Italia e del mondo. La scarsa informazione non consente ai più di conoscere i benefici dello yoga. Che cos’è, nello specifico, il power yoga e qual è la differenza con quello classico? «Lo yoga classico è una disciplina vastissima che prevede una parte meditativa e una parte di lavoro e allungamento muscolare. Il power yoga deriva dallo yoga, mira ad allenare la parte muscolare e flessibile del corpo ma dedica poco spazio alla meditazione. È la parte ginnica della più antica disciplina. Ha una collocazione specifica nel mondo del fitness, trascurando l’aspetto meditativo perché, per motivi logistici, nei centri sportivi

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non è possibile ricostruire il clima delle scuole di yoga. Clima e ambienti soft atti al rilassamento e al training autogeno non sempre esistono nelle palestre, dove lo yoga deve convivere con altre discipline più frenetiche». Lo yoga classico prevede varie posizioni. Il power yoga ha la stessa impronta? «Sì, il power yoga riprende le posizioni classiche dello yoga, posizioni dette asana. Più precisamente consiste in una sequenza di posizioni, la cui base è il saluto al sole, principio del lavoro dinamico dello yoga. Da esso si sviluppa il lavoro che viene combinato con altre posizioni». Quali sono i benefici? «I benefici sono il miglioramento della forza, del tono e dell’allungamento muscolare. Si può parlare di lavoro di tonificazione perché il muscolo è sempre attivo e in continua contrazione grazie appunto ai lavori isometrici. Contemporaneamente si svolge un lavoro di allungamento muscolare. In sostanza, tutto ciò è definito Pnf, cioè una tecnica di allenamento muscolare in cui si alternano momenti di contrazione muscolare e momenti di allungamento. Tale alternanza determina un aumento della flessibilità, ma a chiave di lavoro dello yoga è la respirazione (vinuasa). Tutto nasce dal respiro, da esso si costruisce un lavoro dinamico e muscolare. Il respiro deve essere solo nasale (ujjayi) perché ciò consente di mantenere costante la temperatura


Sabrina Lai, cagliaritana, insegna a bambini, adulti e anziani. Grande appassionata di sport, si avvicina all’insegnamento nelle palestre nel 1996, dopo gli studi Isef: prima diventa istruttrice di aerobica, poi di pilates e yoga. In seguito all’incontro con l’insegnante Giuseppe Orizzonte, conosce a fondo lo yoga e ottiene la certificazione Yu Nu Mi. Arrivano anche il brevetto di istruttrice di ginnastica artistica e il certificato per la Back School.

corporea, la quale a sua volta facilita il rilassamento delle fibre muscolari. Per questo motivo non si lavora con l’aria condizionata. La sudorazione deve essere intensa sia per favorire l’allungamento muscolare che per l’eliminazione delle tossine. È interessante notare che negli Stati Uniti esiste una parte di yoga, detta bikram, praticata in ambienti surriscaldati a 40 gradi». A chi è rivolto il power yoga? Può essere praticato da tutti? «Non presenta controindicazioni, eccetto per coloro che hanno patologie a livello articolare della scapola omerale in quanto molte posizioni utilizzano l’appoggio delle mani caricando sull’articolazione della spalla. Lo possono praticare coi dovuti accorgimenti anche le donne in gravidanza. Non è controindicato per chi soffre di mal di schiena perché la colonna viene sollecitata in modo benevolo». Parlaci della scuola di power yoga, la prima in Sardegna, inaugurata il 23 ottobre a Cagliari. «La scuola sarà concentrata in tre mesi (un weekend al mese) anziché sei, come da programma, a causa dei costi elevati. È stata fortemente voluta per consentire agli insegnanti di migliorarsi e aggiornarsi. Inoltre consente agli appassionati di ottenere il primo livello di certificazione per l’insegnamento. Fondamentale la presenza del docente torinese Roberto Bocchi, il cui prezioso background culturale ha permesso, e permet-

terà ai partecipanti, di apprendere tecniche corrette di esecuzione e insegnamento». Hai parlato di costi elevati. Chi sovvenziona la scuola? Vi aiuta qualche ente pubblico? «Non ci aiuta alcun ente, ci auto-sovvenzioniamo. In passato abbiamo provato a chiedere l’aiuto di enti pubblici ma abbiamo sempre trovato porte chiuse. La cooperazione con l’FBI (Fitness Best Innovation), società con la quale Roberto Bocchi collabora e che si occupa della formazione degli insegnanti fitness in Italia, ci ha consentito la realizzazione di questo evento. I costi sono elevati perché il biglietto aereo per portare l’insegnante in Sardegna è alto. La risposta a questo primo corso è stata buona: venti partecipanti e un interesse crescente per questa disciplina». In cosa consiste tale scuola, nello specifico? Ci saranno sviluppi nel futuro o tutto finirà al termine di questi tre mesi? «Gli incontri consistono in lezioni sia teoriche che pratiche in cui si affrontano temi legati all’anatomia, alla dinamica della respirazione, alla tecnica delle varie posizioni ma soprattutto all’approccio con l’allievo, ossia il messaggio che l’insegnante vuole trasmettere attraverso tale disciplina. Al termine del corso verrà rilasciata la certificazione di primo livello. Il percorso prevede quattro livelli e il nostro obiettivo è riuscire a farlo tutto».

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HO DATO UN CALCIO

AGLI ALTRI SPORT

Siamo andati a conoscere Giovanni Palmieri, istruttore quarto dan di kick boxing, una delle discipline più varie tra quelle da praticare in palestra. Ci ha parlato del suo passato di atleta, dei giovani emergenti e dei campioni sardi che si sono distinti in questo sport.

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di Simone Ariu · Foto, Studio Labor

rentatré anni, maestro da dieci, Giovanni Palmieri è istruttore tecnico quarto dan dell’unica disciplina riconosciuta dal Coni, la kick boxing. Una sera, dopo aver visto una delle sue tante lezioni nella palestra Athlon, ci siamo trattenuti con lui per andare alla scoperta di uno sport in continua espansione. Il tuo incontro con la kick boxing è stato quasi casuale... «Sì, prima di cimentarmi in questa disciplina praticavo tennis, ma lì non riuscivo a sfogarmi, a trovare il giusto equilibrio tra passione e divertimento. Così un giorno ho provato una lezione di karate e, subito dopo, una di kick boxing nella specialità full contact (quella dove sono ammessi più contatti, ndr). Mi è piaciuta molto e da quel giorno non ho più smesso». Ora sei istruttore tecnico e collabori anche con la Federazione. Ti aspettavi tutto questo? «Come detto, una volta provata la di-

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sciplina non ho mai pensato di fare altro. Poi con applicazione, sacrificio e tanta passione sono riuscito a trasformare il tutto in un lavoro. Dal 1989 lavoro nella palestra Athlon, a Cagliari, e sono diventato cintura nera nel 1994. Dal ’96 seguo corsi di formazione e fitness (yoga e pilates) e mi aggiorno di continuo. Però continuo anche a gareggiare: ho vinto a livello regionale, nazionale e anche internazionale. Su tutte, nel 2007 ho vinto il bronzo nella Coppa del mondo nella categoria light contact». Parlaci in generale della kick boxing. «È una disciplina completa, a dispetto di quanto si possa pensare. Aiuta il corpo e la mente a sfogare le tensioni della giornata. Ma non solo: i benefici sono a livello fisico, psicologico e sociale. Dal punto di vista fisico è completa perché lavora su tutto l’apparato cardiocircolatorio, da quello psicologico e sociale perché permette di divertirsi, scaricare e socializzare, che è ciò

che la gente ora vuole. La disciplina è in evoluzione continua proprio perché cambia l’utenza e la lezione ora è diversa, è meno difficile. Si arriva a lezione, si suda, si tirano pugni al sacco e si va via». E i giovani come rispondo? Sono interessati alla pratica agonistica? «Oggi è molto più difficile portare i ragazzi alle gare: per far questo è necessaria una vita rigorosa, comprese le rinunce alimentari, e in pochi sono disposti al sacrificio. I ragazzi di oggi sono diversi, hanno meno passione. Ma qualcuno c’è, e con il suo sorriso andiamo avanti in campo regionale e nazionale». Qual è la vostra utenza e com’è articolata una lezione? «È un bacino che va dal bimbo di 4 anni e mezzo all’uomo di 68. Con i bambini lavoriamo due volte alla settimana e facciamo propedeutica alla disciplina e attività ludica. La lezione ha una prima parte atletica, che si fa con la musica, poi si passa alla kick boxing vera e propria. Insomma una lezione semplice con la possibilità di fare anche cose più specifiche, tecniche». È una disciplina molto diffusa dunque. Quali sono state le tappe di questo successo? «La kick ha avuto il boom in questi ultimi dieci anni, ma regge nel tempo per la sua completezza sia a livello agonistico che ludico, cardiocircolatorio. Questo perché chi si allena esce sudato, ma contento. I meriti vanno dati alla FIKB, la Federazione, e a Massimo Casula, il mio ex istruttore e ora presidente della Federazione a livello regionale. Dietro l’enorme diffusione della kick boxing c’è un enorme lavoro serio: sono state riunite tutte le categorie e create società in tutta la Sardegna. Oggi sono 42 con 1600 tesserati». Chi sono gli atleti sardi che hanno ottenuto dei successi in questo sport? «Per primo Massimo Casula, che è stato campione europeo di semi-contact e campione italiano di light. Ha dovuto smettere per la rottura di un ginocchio. Poi Gianpaolo Spanu, campione del mondo di full contact che ancora combatte a 40 anni. Ma anche Alessio Rondelli, diventato poi pugile, che è stato campione del mondo di full contact nel 1981. Oggi, invece, i nostri migliori atleti sono Maria Antonietta Lovicu e Gianluca Monni, Valentina Cabras e Alessandro Pira».


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Ada Lai, Dirigente del Comune di Cagliari, nella foto di Mario Lastretti. C’è chi non può fare a meno di lei negli uffici comunali, e chi invece la vorrebbe come nuovo sindaco della città.

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LA REGIONE BATTE CASSA

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QUALE SINDACO?

ANNO 38, NUMERO 4 DICEMBRE 2010

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PIÙ SPORT, CINEMA E STORIA DI CAGLIARI

DIRETTORE RESPONSABILE Giorgio Ariu IN REDAZIONE Simone Ariu, Maurizio Artizzu, Lorelyse Pinna, Antonella Solinas REDAZIONE GRAFICA E IMPAGINAZIONE Simone Ariu, Maurizio Artizzu SCRITTI Paolo Amat di S. Filippo, Antonello Angioni, Giorgio Ariu, Simone Ariu, Armida Forteleoni, Maurizio Orrù, Lorelyse Pinna, Donatella Rossi, Claudia Sarritzu, Maria Sias FOTO Simone Ariu, Maurizio Artizzu, Athlon, Roberto Ferrante, Mario Lastretti, Alessandra Scifoni, Studio Labor, Silvia Taddei CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ GIA Comunicazione

REDAZIONE E CENTRO DI PRODUZIONE via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari (Italy) Tel. 070 728356 - Fax 070 728214 - giorgioariu@tin.it www.giacomunicazione.it - facebook.com/giacomunicazione STAMPA E ALLESTIMENTO Grafiche Ghiani DISTRIBUZIONE Agenzia Fantini (Cagliari-Olbia) Registrazione Tribunale di Cagliari n. 21 del 23 Gennaio 1973 Ufficio del Garante e Presidenza del Consiglio dei Ministri Registro Nazionale della Stampa n. 3165 Sped. in abbonamento postale (45%, art. 2, comma 20/b, legge 662/96)



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