Il Cagliaritano - N. 2 ANNO XXXVI

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Anno 36 N.2 • € 2,00 • Spedizione in Abb. Post. - 45% - Art. 2 comma 20/b legge 662/96 • C/C post. n. I7233099

Signora e Signore LAVOROEFAMIGLIA


SARAS. ANIMA ITALIANA, VOCAZIONE INTERNAZIONALE.

SARAS. IL VALORE DELL’ENERGIA.


9 Anno 36 N.2 • € 2,00 • Spedizione in Abb. Post. - 45% - Art. 2 comma 20/b legge 662/96 • C/C post. n. I7233099

Signora e Signore LAVOROEFAMIGLIA

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PER UNA LEGISLATURA DI RISCATTO E DI RISCOSSA

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Foto di copertina Elisabetta Messina Direttore responsabile GIORGIO ARIU giorgioariu@tin.it In redazione: Antonello Angioni Antonella Solinas, Maurizio Artizzu, Michela Sorgia Scritti di: Giorgio Ariu, Claudia Lombardo, Antonello Angioni, Paolo Fadda, Giampaolo Lallai, Michela Sorgia, Eugenio Orrù, Francesco Fuggetta, Bruno Puggioni,Valeria Carcangiu, Ilaria Etzi, Francesco Alziator Fotografie di: Andrea Nissardi, GIA foto, Enrico Spanu, Maurizio Artizzu, Roberto Ferrante, Roberto Tronci, Elisabetta Messina, Francesco Pisu Redazione e Centro di Produzione via Sardegna 132 - Cagliari Tel. 070.728356 - Fax 070.728214 giorgioariu@tin.it Grafica e impaginazione Gia Comunicazione Concessionaria per la pubblicità GIA Comunicazione via Sardegna , 132 Cagliari Tel. 070.728592 - Fax 070.728214 Anno 36 - N.2 Aprile 2009 Stampa e allestimento GRAFICHE GHIANI Registrazione Tribunale di Cagliari n. 21 del 23 Gennaio 1973 Ufficio del Garante Presidenza del Consiglio dei Ministri Registro Nazionale della Stampa n. 3165 Sped. in Abb. post. - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Cagliari Abbonamento a 12 numeri € 20,00 Ufficio abbonamenti Gia Editrice via Sardegna 132 09124 Cagliari Distribuzione: Cagliari-Olbia: Agenzia Fantini

giorgio ariu editore

Premio Europa per l’Editoria Premio Editore dell’Anno per l’impegno sociale e la valorizzazione della cultura sarda www.giacomunicazione.it

BASTIONIS 14 9 A CASTEDDU

PALAZZI DI CITTA’

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PAESE PER PAESE

MITICO

SERRENTI GAVINO SANNA

L’IMPERATIVO Il mercato 31 DELBenedetto FARE di San

Ie SAMI i SARDI

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31CAGLIARI AMARCORD

IN RICORDO DI CARLO DE MAGISTRIS


Dialogo a cura di Giorgio Ariu

Con i Grandi da “fatti sentire” a “Dialogo”

Giorgio Ariu Direttore de Il Cagliaritano giorgioariu@tin.it

“A

scoltare genera cose buone”. Sulle rovine di quattro anni e mezzo di mal governo regionale dove cresceva la mala pianta dell’invidia, della demagogia, della sottocultura buzzurra del rancore e della superbia, dei veleni, del protagonismo più becero e malato, del più spietato mobbing contro il pensiero altro e libero, ora la giunta Cappellacci, senza azioni muscolari nè giochi pirotecnici, investe sulla persona. L’assessore alla Programmazione Giorgio La Spisa rilancia il patto sull’ascolto, sul dialogo tra tutti i protagonisti della società. Solo così si potrà fronteggiare una crisi che rimanda alle macerie del dopo guerra. E con la cultura delle condivisione è passata anche in commissione la Manovra finanziaria, con un catalizzatore di rigore e di armonia come Paolo Maninchedda. _____________

“C

agliari capitale nel Mediterraneo”, lo spot del Floris pensiero faceva ridere davvero.Agli inizi e solo agli sfigati portantini dell’invidia. Noi

che abbiamo invocato il ribaltamento delle panchine di Via Roma perché guardassero le meraviglie del Golfo, godiamo nel vedere crescere il porto turistico e sportivo. E cresce tutta la città: i nuovi spazi dall’antico municipio di piazza Palazzo all’ostello della gioventù. E qualcuno rosica., mentre Russell Coutts, velista d’oro delle tre Americhe e della Forty44Four cagliaritana, passeggia per i vicoli della Marina e di Castello. _____________

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ezzo mondo a Cagliari attorno a S. Efisio. Crocieristi e principi, top manager e alti prelati, telecamere no stop. Un altro miracolo del Nostro. Dopo la cacciata dei francesi e della peste, la Grande Liberazione dopo quattro anni tra i più oscuri della storia di Sardegna. _____________

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enunciava il calo di tensione morale e di buon gusto dell’offerta televisiva pubblica e privata, era nella Guida del Comitato per l’applicazione del Codice di Autoregolamentazione TV e minori. Emilio Rossi, già direttore del TG1 in un epoca tragica per il Paese, già Presidente del Centro

Televisivo Vaticano, ci ha lasciato recentemente. Mi onorava il dialogo che aveva voluto per il mio operare in Commissione Qualità Televisiva al tavolo nazionale dei Comitati Televisivi. Mai avrebbe voluto le mie dimissioni in aperta denuncia contro il duo delle meraviglie alle Presidenze regionali. _____________

S

e ne andato un altro amico, un grande della Sardegna, Armandino Corona. Mi aveva voluto conoscere quando da studente curavo “Dialogo”, giornale di tutti gli Istituti cagliaritani. Gli piaceva “questo Dialogo”, poi negli anni mi volle quasi ospite fisso nelle domeniche mattina dei summit politici di casa sua. Aveva inventato la trasversalità? Macchè, era la naturalezza del Dialogo. Io, dopo i Grandi, nel salone con i giovanissimi Ketty, Giorgio e Maurizio ad ascoltare il Saggio. Ammirava, con una punta di paternalismo , il catalogo libri GIA e quella mia caparbietà nell’accogliere in questo giornale, contemporaneamente, Enrico Endrich e Giuseppe Podda e Yojce Lussu. Da questo numero questa rubrica da “Fatti sentire” diventa “Dialogo”.

Da sinistra: Emilio Rossi con Giorgio Ariu; Armandino Corona con Yasser Arafat; Emilio Floris


Elisabetta Messina

DOCUMENTI

DEMOCRAZIA PARITARIA IN CONSIGLIO REGIONALE

Si avvera un sogno di Claudia Lombardo

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FAMIGLIA LAVORO IDENTITA’

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l popolo sardo oggi vive momenti di grande sofferenza per una crisi economica che ha assunto risvolti preoccupanti anche sotto il profilo sociale. Un affettuoso saluto rivolgo a tutte le donne sarde che con l’elezione di una di loro alla guida dell’assemblea regionale vedono concretizzato il sogno di una democrazia paritaria in seno alle istituzioni. Va riconosciuto al nostro parlamento regionale il coraggio di aver voluto effettuare una scelta di grande civiltà. Una scelta foriera di sempre più luminosi e nuovi traguardi nel cammino delle conquiste sociali e nella costruzione di una società migliore, pluralista ed attenta alle esigenze dei singoli individui. Pur con tutta umiltà, e, ci tengo a sottolineare, senza nessun tentativo di accostamento, mi piace ricordare come, anche nel passato, la Sardegna abbia costituito un esempio di quanto le donne siano state capaci di incidere nel processi di crescita sociale, culturale e civile. Lo faccio, per tutte, rendendo omaggio alla memoria di due grandi donne: Eleonora d’Arborea e Grazia Deledda. Eleonora d’Arborea, uno degli esempi più rappresentativi della storia sarda, italiana ed internazionale. Fiera nel difendere l’autonomia della Sardegna dall’invasione. Indomita nel cercare di unirla sotto un’unica bandiera. Grande nell’amministrare il suo popolo. Insuperabile nel voler codificare la società sarda attraverso un corpo di leggi scritte, la Carta de Logu, considerato uno dei primi esempi di costituzione al mondo. Altra donna, altra epoca, ma stessa rilevanza, Grazia Deledda che in un mondo dominato dalla predominanza maschile in tutti i settori della vita pubblica, culturale

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ed artistica, ottenne nel 1926 il Nobel per la letteratura, scrivendo pagine di struggente bellezza sulla sua amata Sardegna. Fu la seconda donna a conseguire questo riconoscimento ambitissimo. Fece conoscere al mondo la grandezza di un popolo e l’originalità della sua cultura. Un saluto porgo alle famiglie sarde che sostengono tutto il peso della crisi economica, pur mantenendo saldi i principi posti alla base di questa istituzione familiare plu-

risecolare. Il nucleo familiare svolge un compito essenziale, sancito dalla Carta Costituzionale, volto a favorire la creazione di un tessuto sociale solidale, ad assicurare la pacifica convivenza, ad educare i componenti al rispetto delle regole civili, alla solidarietà ed alla difesa della vita. Da questo Consiglio regionale deve partire un rinnovato impulso legislativo per fornire alla famiglia tutti gli strumenti e mezzi necessari affinché possa adem-

Elisabetta Messina

DOCUMENTI

piere ai propri doveri e soddisfare le esigenze di chi vi appartiene. La sfida sarà quella di costruire intorno alla famiglia e alle sue necessità una società organizzata e moderna, tollerante e rispettosa dei diritti umani. Un caloroso saluto rivolgo ai poveri, agli anziani, ai disoccupati, ai disadattati, ai meno abili e a quanti soffrono ai margini della società. A coloro cioè che più di altri sentono la necessità di avere vicina la solidarietà e l’attenzione di questa istituzione. Conosco particolarmente bene il livello di questo

malessere, provengo da un territorio, il Sulcis- Iglesiente, dove attualmente i lavoratori sono in lotta a difesa del loro sacrosanto diritto al lavoro. Un territorio martoriato dal dramma della chiusura di molte attività industriali e con numerosissime famiglie per cui si prospetta un futuro incerto fatto di povertà. Il Consiglio regionale, questo Consiglio regionale, deve diventare un baluardo insuperabile nella difesa dei livelli occupazionali dell’Isola, creando le migliori condizioni per una loro futura crescita. Stessa attenzio-


ne rivolgo a quei giovani sardi che, avendo conseguito un titolo di studio, sono costretti ad emigrare perché a casa loro non trovano opportunità d’impiego. Questa fuga di intelligenze deve cessare! Il nostro Parlamento su questi temi è chiamato ad assumere un solenne impegno. Il parlamento sardo è chiamato a svolgere un ruolo alto, nobile e insostituibile per incidere, unitamente al governo regionale, nel processi decisionali che ci atten-

dono per dare ai sardi le risposte che si aspettano. L’ambizione è quella di collocare la nostra Regione fra quelle più avanzate in termini di cultura, qualità della vita, servizi e infrastrutture. L’assemblea deve rivolgere uno sguardo attento anche a quanto sta avvenendo in termini di riforme nei due rami del Parlamento, con l’avvio della discussione sul cosiddetto federalismo fiscale, per l’esame dello schema di disegno di legge in mate-

ria di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Il federalismo fiscale per noi sardi rappresenta una opportunità per abbattere tali differenze, per mezzo di un sistema di solidarietà che garantisca alla Regione di progredire adottando opportune misure attraverso la leva della fiscalità di sviluppo. Siamo tutti consapevoli che la nostra particolare condizione geografica costituisce un freno di carattere permanente nelle dinamiche di sviluppo

Maria Valeria Serra, Assessore del Lavoro; Maria Lucia Baire, Assessore della Pubblica Istruzione, Spettacolo e Sport; Andreina Farris, Assessore dell’Industria; Emilio Simeone, Assessore della Difesa dell’Ambiente; Liliana Lorettu Assessore dei Trasporti; Maria Paola Corona, Assessore degli Affari Generali

economico. Nel momento in cui i due rami del Parlamento e il governo della Repubblica sono impegnati a disegnare una nuova architettura costituzionale dello Stato, il nostro Parlamento regionale deve elaborare le forme da proporre al fine di introdurre particolari misure di sostegno alle attività economiche, per le infrastrutture e per i servizi. Misure previste dai trattati europei per le aree altraperiferiche e insulari della comunità. La Sardegna è l’Isola più periferica del Mediterraneo. Tuttavia, ancora non

vede riconosciute in Italia ed Europa adeguate compensazioni di carattere fiscale, energetico, creditizio e assicurativo. Unitamente a tali misure va affermata la rivendicazione per ottenere una effettiva, illimitata continuità territoriale con il continente italiano e con l’Europa. Da questa assemblea deve levarsi alta la voce dei sardi per chiedere al governo della Repubblica tutta l’attenzione necessaria perché siano affrontate e risolte le endemiche problematiche legate alla Questione Sarda. L’ideale sarebbe una forma

costituzionale per il riconoscimento degli svantaggi imputabili alla condizione geografica di insularità, attraverso adeguate misure di compensazione per ridurre le differenze oggi esistenti fra la Sardegna e il resto del territorio italiano. Da diverso tempo è sentita l’esigenza di rinnovare la nostra Autonomia speciale con una profonda, originale e coraggiosa riforma. Questa XIV° legislatura si apre alla luce della necessità di una imprescindibile riscrittura della nostra carta autonomistica. Escluse alcune

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Elisabetta Messina

La giunta regionale

significative eccezioni, in Sardegna non si è potuto creare un positivo e condiviso clima per rideterminare le competenze attuando il principio che pone l’autonomia quale forma di approfondimento della democrazia. Il Consiglio Regionale deve sentire forte il dovere di superare la fase di semplice constatazione delle carenze della nostra autonomia, per essere propositivo e confrontarsi con possibili ipotesi di un rinnovamento reale delle istituzioni regionali. Rinnovamento alla cui base poggi il riconoscimento dell’aspirazione ultrasecolare dei Sardi di essere popolo con propri diritti, lingua, storia e cultura. Da ciò deriva la legittimazione per realizzare il nostro futuro attraverso l’acquisizione di una forma avanzata e originale di potestà autonomistica all’interno dell’unità dell’indivisibilità della Repubblica italiana. E’ questo un momento nel quale appare necessario che il dibattito intorno alla nostra autonomia si evolva per affermare le basi della nostra vocazione come popolo e del nostro volere collettivo. Un dibattito sul senso della nostra storia, sul ruolo della Sardegna in Italia e in Europa, sulla nostra realtà sociale, demografica, economica, sulla nostra lingua e cultura. In sintesi un dibattito sulla nostra identità nazionale per affermare il diritto dei sardi a costruire intorno alle proprie necessità una nuova Carta Costituzionale della Sardegna. Il Nuovo Statuto di Autonomia Speciale non può risolversi in una semplice perifrasi di quello eistente. Deve essere caratterizzato da temi

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forti: la fiscalità di sviluppo o zona franca. L’abbattimento degli alti costi per l’approvvigionamento energetico e dei carburant. Un nuovo piano di grandi opere infrastrutturali e di servizi reali per adeguare a Sardegna alle regioni più avanzate d’Europa. Una politica de credito sarda per ridurre il costo del denaro e creare incentivi alle imprese. Una effettiva e illimitata continuità territoriale. L’istruzione e il lavoro visti non più come una conquista, ma come un diritto dei sardi ad un futuro di conoscenza, serenità e prosperità. Sono queste le ragioni fondanti per le quali tutte le donne e gli uomini della Sardegna debbono sentirsi mobilitati per il riscatto della propria terra. All’interno della nuova specialità non devono mancare le spinte per una riforma complessiva delle istituzioni sarde – il federalismo interno – al fine di ridisegnare prontamente i rapporto esistente tra Regione ed Enti Locali. Va rinforzato i compito dei Comuni, per far sì che il loro ruolo non sia limitato a quello strumento di decentramento di un regime regionale centralistico, ma divenga quello di assolvimento della funzione pubblica; in ossequio al principio di pari ordinazione degli enti introdotto nel 2001 con la riforma del Titolo quinto, parte seconda, della Costituzione repubblicana. Nell’immediato siamo chiamati ad affrontare una difficile contingenza, fatta di mille emergenze per le quali si rende necessaria tutta la nostra attenzione e massima applicazione. In primo luogo la grande sete di lavoro della Sardegna. Noi non possiamo

pensare che i sardi possano convenientemente sostenere le aspirazioni ad ottenere un nuovo modello di statuto di autonomia, sino a quando saranno flagellati da un altissimo tasso di disoccupazione. Deve essere quindi chiaro a tutti noi che in Sardegna l’impegno per il lavoro è intimamente legato alla lotta per migliorare i diritti autonomistici, per l’affermazione e la valorizzazione dela nostra identità storica e culturale. Spero che al di sopra dei pur legittimi interessi di parte, che ciascuno di noi legittimamente e con orgoglio rappresenta in Consiglio Regionale, sapremo porre gi interessi superiori del nostro popolo e delle istituzioni che lo rappresentano. Il comune sentire è quello di adoperarci affinché Governo e Consiglio Regionale agiscano in sintonia, per meglio assicurare la tutela e la difesa dei diritti inalienabili del popolo di Sardegna. Mi unisco all’auspicio del Presidente Cappellacci affinché le due massime istituzioni sarde sappiano mantenere costante il dialogo e il confronto istituzionale, con generosi slanci di reciproco vantaggio per la comune bandiera che sono chiamate a onorare. Al mondo della stampa, chiamato al difficile compito di informare puntualmente i cittadini sui nostri lavori, rivolgo un saluto e ringraziamento per l’insostituibile servizio che rendono alle istituzioni e alla democrazia di questa terra.


Enrico Spanu

Ilnuovometodoperunbuongovernodell’isola

Per una legislatura di riscatto e di riscossa di Paolo fadda

O

ccorre dare atto al Presidente Ugo Cappellacci d’avere espresso, con il suo programma “di legislatura”, un apprezzabile nuovo metodo per un buon governo dell’isola. Dando ad esso, con l’aggettivo “partecipativo”, la sua più convincente definizione. Ha infatti inteso porre una decisa cesu-

ra con quanto fatto dal predecessore, deciso a riportare l’azione di guida dell’isola dentro i giusti canoni d’una democrazia compiuta e matura, lontana – quindi – da ogni tentazione assolutista e prevaricatrice. Con ancora più forte sottolineatura ha dato, al metodo di “governance” che intende attuare, due interessanti ag-

gettivazioni, definendola verticale ed orizzontale, con ciò intendendo interare insieme le capacità di decisione con le capacità di ascolto. Si tratta, quindi, di un metodo che non può che trovare apprezzamento in chi crede fermamente nelle virtù salutari della politica del consenso. Dopo una stagione in cui si è gover-

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dell’isola. C’è dunque il tanto per augurare al presidente di poter mettere in campo, nel tempo del suo governo e con il più ampio consenso, quelle vo-

lontà decisorie necessarie per tradurre in realtà concrete i proponimenti ed i progetti indicati.

Sopra: il Consigliere Moriconi si complimenta con Giorgio La Spisa Summit iglesiente: Giorgio Oppi con i Presidenti Lombardo e Cappellacci

Enrico Spanu

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nato “contro” (qualcuno, qualcosa o tutto), si individuano quindi le strade per governare “a favore” di tutti. Che è, certamente, una buona notizia, che infonde coraggio e speranza. Appare anche confortante aver ritrovato, nei propositi del nuovo presidente, la “centralità” dell’uomo come soggetto protagonista delle politiche per lo sviluppo e il progresso della Regione. Perché dovrà essere proprio l’uomo il beneficiario primo di ogni azione di governo, assicurando ad esso quelle che sono le sue essenziali necessità: dal giusto lavoro ad un equo benessere. Ed ecco che anche questa appare in decisa discontinuità con il recente passato dove quella primazia gli era stata sottratta per affidarla ai luoghi fisici, quasi che l’uomo dovesse essere assoggettato ai vincoli ed ai voleri della natura, e non viceversa. Ed è per questo che la rivalutazione dei poteri locali – così come indicato – appare opzione valida ed interessante, proprio perché con la riappropriazione delle loro competenze, e con l’utilizzo delle loro esperienze, si possa nuovamente meglio governare il territorio, ridandogli innanzitutto quella funzione di “risorsa” che è stato da sempre un valore inestimabile nella storia dell’uomo. Non diversamente andrebbe detto sul ruolo delle città: forse è la prima volta nella storia della Regione che alle città s’intenda riconoscere una funzione primaria nello sviluppo e per avviare il progresso dell’isola. Sia se viste come nodi “di interconnessione di reti” che come “poli trainanti”, ad esse s’intende affidare il compito di elaborare e di diffondere processi innovativi a favore delle aree e delle comunità circostanti. Perché le comunità delle zone interne, senza una virtuosa osmosi con le città, continuerebbero a patire i segni di una progressiva marginalità e di un inarrestabile declino. Nei propositi del presidente Cappellacci vi è sufficiente materia, di idee e di proponimenti, per avviare una stagione di buon governo dell’isola, che ridia a tutti i sardi quel patrimonio di speranze e di certezze per una fertile stagione di rifiorimento


Enrico Spanu

eutanasia L’ diuncavalieresolitario D

i Renato Soru, il governatore della Sardegna rimasto sonoramente sconfitto prima ancora che dal voto popolare del 15-16 febbraio, dalla sua protervia antipolitica, sono stati forniti molto ritratti dai media nazionali ed esteri, anche perché, dalla fondazione di “Tiscali” in avanti, è divenuto un “personaggio”. Della finanza come del mondo web inizialmente, ed, infine, anche della politica nazionale oltre che isolana. Il tutto, peraltro, racchiuso in una “bolla”, in un effetto di breve durata, per usare il linguaggio di piazza degli Affari. D’altra parte, anche per chi non gli è amico od anche concorrente o avversario, si tratta d’un personaggio non banale, vivo d’intelligenza e di tenacia, quanto ricco di orgoglio e di supponenza. Andrà aggiunto che molta della stampa nazionale – quella soprattutto ostile a Berlusconi – lo ha molto corteggiato, riservandogli anche eccessi di piaggeria e di adulazione avendolo dipinto come un eroico cavaliere so-

di Paolo Fadda litario, capace di risultare vittorioso sulle tante brutture e miserie della politica attuale. Molti dei giornalisti ed intervistatori ne avrebbero amplificato i meriti tralasciandone quanto, nelle sue vicende, era di meno conveniente. Si era così glissato – per rispetto o per servilismo – sulla sua azione, non certo politicamente virtuosa, tesa a sparigliare le carte all’interno del suo schieramento. Un’azione, lo si ricorda per dovere di cronaca, che avrebbe portato il neonato Partito democratico sardo a dover subire, nell’atto del suo battesimo, una competizione fratricida fra i “padrini”. S’era infatti voluto candidare, con propria decisione, alla carica di segretario regionale, pur essendo il presidente della Regione in carica. E sullo svolgimento di quelle “primarie” (indette per l’indicazione del leader regionale) c’è ci sostiene che non si astenne dal giocare, come si suol dire, “sporco”, avendo acquisito adesioni e consensi attraverso abili mosse delle leve del potere regionale (quelle che in

tempo di prima repubblica erano tacciate di clientelismo). Seppure questi addebiti odorino di un’evidente partigianeria, dato che potrebbero far parte di quel gossip che, da sempre, accomuna competizioni di questo genere, è certo che la sua sfida ad Antonello Cabras – da sempre esponente di primo piano della nomenklatura della sinistra democratica –, da lui persa peraltro sul filo di lana, avrebbe registrato molto spargimento di sangue e profonde divisioni nel neonato partito. La ragione di questa sua improvvida scesa in campo, a detta di qualcuno, stava nel fatto che intendeva potersi assicurare una sua automatica ricandidatura alla presidenza della Regione Sardegna (pesava, in questo, una sua iniziale assicurazione ai suoi sodali politici di volersi limitare ad una sola esperienza legislativa). Quella sconfitta gli avrebbe tolto anche gli ultimi di quei rari sorrisi che gli si conoscono, rendendolo soprattutto ancor più solitario ed introverso.

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Enrico Spanu

Ugo Cappellacci

Poiché molti lo dipingono anche come un vendicativo, incapace soprattutto di mandar giù dei bocconi amari, nel suo eremo di “cavaliere solitario“, avrebbe progettato altre due abili mosse per spiazzare i suoi avversari interni e per servir loro il boccone avvelenato della vendetta: con la prima, non si sottrarrà dal dare una mano a Walter Veltroni, acquisendo il controllo de “L’Unità”, lo storico giornale dei comunisti italiani, sottraendolo ad un inviso concorrente (l’editore di “Libero” e de “Il Riformista”). Da editore del giornale “amico”, avrebbe così consentito al segretario nazionale del PD di controllarlo, ponendo alla direzione persona a lui “gradita”. Da quel momento, il sardo Soru è ritenuto uomo di Veltroni, anche se si dice che amoreggiasse con il clan di Romano Prodi e che avesse come aulico consigliere, ed anche estimatore, l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che con il professore bolognese non è mai stato proprio in sintonia. La seconda mossa, che è poi una conseguenza della prima, la realizzerà poche settimane dopo, a metà novembre dell’anno passato. L’occasione, per la verità, gli si era presentata come molto ghiotta e, come si dice, politicamente gratificante. Riguardava il calendario dei lavori del Consiglio Regionale, con due leggi in discussione: la “finanziaria” e “l’urbanistica”. Con la protervia che gli è abituale, s’impunterà perché alla legge urbanistica venga data la priorità nell’approvazione assemblea-

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re, e questo ancor prima di discutere la “finanziaria” con le misure anticrisi. Apparirà certamente come un “nonsense” politico, ma alcuni osservatori dal naso fino lo ritengono un suo abile tranello, predisposto per consumare quella vendetta di cui s’è detto. La motivazione stava nel fatto che all’interno della sua maggioranza che lo sorregge sull’urbanistica s’erano consolidate opinioni divergenti, disomogenee soprattutto ai suoi voleri. Il discuterla e l’approvarla prima di affrontare quella “legge finanziaria” tanto attesa ed auspicata, può sterilizzare le critiche ed ottenere il voto favorevole. Quel tranello – a giudizio di quegli osservatori – era perfetto, dato che un voto favorevole lo avrebbe incoronato come il domatore d’ogni ribellismo interno, mentre quello contrario avrebbe portato giornali e tv a titolare “il coraggio di Soru battuto dal partito degli avidi cementificatori”. Sarebbe così apparso come un martire della religione ecologista e, come tale, simbolo imperituro della buona politica. E questo nonostante il motivo principale del contendere non fosse quello di metter più mattoni o metri-cubi di cemento nelle coste e nelle tanche, ma soprattutto quello di un più corretto bilanciamento dei poteri fra Presidente e Consiglio regionale in tema di programmazione territoriale ed urbanistica: un problema cioè di democrazia interna per evitare eccessi di cesarismo. E non di stravolgimenti cementificatori. Se quello era veramente un tranello, la

controprova la si troverà nella cronaca, dato che uno degli ultimi passaggi in aula della legge urbanistica verrà impallinato da parte della sua maggioranza e dall’opposizione. Renato Soru, da vero “cavaliere solitario”, prenderà cappello, come s’usa dire, e – irritato come non mai – deciderà in solitario di mandare tutti a casa, ponendo così termine alla legislatura ed andando ad elezioni anticipate. Poiché le dimissioni hanno decorrenza dopo 30 giorni, consentendo un ripensamento, mostrerà la disponibilità a ritirarle solo, e soltanto, se i ribelli verranno – come qualcuno ha detto – a “baciarli la pantofola”. Sarebbe stata l’apoteosi della sua vendetta. Più di un commentatore di quei giorni difficili – soprattutto fra quelli a lui più vicini – si schiererà al suo fianco, dipingendolo come il cavaliere buono che si batte per fare della sua isola un’Arcadia felice, di terre libere e vergini, dove volino cormorani e avvoltoi e si moltiplichino cinghiali e volpi. Ma la maggioranza che l’ha sostenuto pare un vulcano in eruzione, il partito democratico un vestito d’arlecchino, con un gruppo arroccato sull’Aventino e con una segreteria eletta da una minoranza: l’unica soluzione rimasta è andare ad elezioni, per poter riprendere quella che lui ritiene l’ “era” rifondatrice di una Sardegna a sua immagine e somiglianza. Cioè chiusa ed introversa, orgogliosa e solitaria, in un certo senso economicamente e socialmente autistica. Il nostro cavaliere ritiene di avere dal-


Enrico Spanu

G. Valerio Sanna e Renato Soru

la sua il consenso dei sardi, anche perché sembra non dar ascolto ai tanti malumori che crescono nell’isola, né i tanti yes-men con cui s’è circondato avranno mai l’ardire di contraddirlo o di metterlo sull’avviso. Un militante del vecchio PCI commenterà amareggiato che ha voluto anche il partito ai suoi ordini, aggiungendo d’essere certo dell’incazzatura che avrà fatto rivoltare nella tomba vecchi leader come Velio Spano o Renzo Laconi. E che il PD sia proprio ai suoi ordini lo si noterà con l’arrivo a Cagliari di un commissario “romano”. Lo ha inviato Veltroni che è in debito con Soru per via dei milioni investiti nel giornale fondato da Gramsci (averlo fatto comprare da un finanziere come Soru – hanno scritto – è come se “La Repubblica” la si facesse acquistare da un furbetto del quartierino, offendendo così il suo fondatore Scalfari). L’uomo di Roma, infatti, avallerà ogni decisione del presidente dimissionario, fra cui quella di evitare le primarie, di rimanere l’unico candidato della coalizione di sinistra e di effettuare un’epurazione anagrafica fra tutti quelli che hanno più di due legislature (fra questi i tre quarti dei suoi avversari interni). Quello stesso militante parlerà d’una “purga staliniana”, arrossendo per quel che dovrà fare nella cabina elettorale. Un giornalista continentale scriverà d’un “tagliafuori hard”, un atto di prepotenza che potrebbe pesare non poco sull’esito elettorale. Massimo D’Alema, leader storico dell’antiveltro-

nismo oltre che bravo velista, dirà che quella orchestrata da Soru e Veltroni sarebbe stata una sfida “controvento”. Ma il governatore, fatti fuori i notabili “più datati”, si sarebbe gettato nella campagna elettorale, armato – come si è letto – soltanto del suo smisurato orgoglio. Lo stesso suo slogan “meglio Soru” s’è tramutato in un “meglio solo”, simbolo e apogeo della sua immensa solitudine politica. E da solo si è presentato nei duecento e passa centri da lui visitati; da solo ha recitato in stile neo-kennediano centinaia di comizi, ricchi peraltro di pause e di imbarazzanti silenzi. Porterà però avanti – orgogliosamente – la sua idea di Sardegna, anche se non era quella auspicata e perseguita dai padri nobili dell’autonomia sarda e nel DNA suo PD, da Laconi e Cardia bandiere del padre PCI, e da Corrias e Dettori vessilli della madre DC. Un’idea di Sardegna-Arcadia – quella made in Soru – poco amata e non accettata dal “sardo faber” d’oggi. Attorno a lui s’andava intanto armando silenziosamente la fronda dei notabili esautorati improvvidamente, mentre la dura ed implacabile opposizione delle forze del centro-destra sparava le sue impietose bordate. E l’aria che si respirava in giro non era più a lui favorevole. Ma non sembrava darsene conto, chiuso com’è sempre stato nel suo smisurato “ego”. Ad un giornalista de “La 7” che gli aveva domandato quale sarebbe stato il suo futuro politico visto che i sondaggi lo davano in svantaggio, rispose, con ineducata

iattanza, che era una fandonia e che le previsioni lo davano vincitore con otto punti percentuali di vantaggio. Ad un confronto fra candidati presidenti, negli studi di Videolina, si sarebbe mostrato come un fiume in piena, incontenibile nella polemica quanto arcisicuro della bontà ed efficacia delle sue scelte di governo. Ponendo come suo avversario il premier Berlusconi e non certo i suoi lacché sardi! Quel che nella tarda notte di lunedì 16 febbraio è apparso sui teleschermi non era più il cavaliere solitario, coraggioso e prepotente, dei giorni passati. Appariva come un uomo comune, deluso per l’insuccesso, e stupito del perché la maggioranza dei sardi non avesse compreso il suo progetto di rinascimento. “Ha vinto la paura – dirà all’inviato del quotidiano torinese – dato che mi hanno voltato le spalle le aree più in crisi”, non tenendo forse conto dell’esatta geografia del voto. Quel che è avvenuto è ormai andato oltre la cronaca, dato che la sua sconfitta è stata impietosa. Dura da digerire per chi ha, come lui, l’animo del vendicatore. Ma è stata – per chi s’intende di politica – una sconfitta cercata dato che, come insegna il senno popolare, chi semina vento raccoglie tempesta. Ed è per questo che vale parlare dell’eutanasia di un cavaliere solitario.

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Strada facendo

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NDENDIABASTIONIS IN CASTEDDU

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testo e fotografie di Bruno Puggioni

a cittadi nostra, comenti apu giai contau in custa rivista, no è bella scetti po sa manna scioperada de bellesas naturalis de chi est arricca, ma puru po is monumentus chi testimonianta sa longa storia de is dominazionis chi si funti sighias una in vatu a s’atra. Custa borta bollu contai de cussus muraglionis, is chi funti abarraus, chi s’agattanta tottu a ingiru de Castedd’e Susu e chi funti stetius fabbricaus a cumenzai de is tempus de is Aragonesus e is Spagnolus, sighius de is Piemontesus –paridi chi ind’apanta a fattu unu puru is Austriacus- po accabbai cun cussu de su sindigu Bacaredda. Duncas una longa passillada a cumenzai de su bastioni de Dusay, zerriau puru baluardo de Santu Francau, po arribai a sa fini de su giru a cussu de San Remy. Prima de cumenzai però mi paridi indispensabili spiegai puita funti stetius costruius e ita ci fiada prima chi dus faessinti. Scieus tottus chi in su Medioevo dogna cittadi si difendiada de is invasoris costruendi murus e turris. Andada beni custu sistema poita insandus is gherras si cumbattianta cun arcus, freccias e catapultas, naraus oi con le armi bianche. Ma de candu is ominis anti scobertu sa bruvura is cosas funti cambiadas poita funti cumparessius pistolas, fusilis e cannonis: collochendi is cannonis apizzu de is cuccurus de Casteddu e de is navis in su portu cun d’unu bombardamentu ndi sciuscianta murus e turris. Duncas bisungiada a si difendi arrispundendi in sa propria manera. Murus e turris no fianta prus adatus a sa bisongia e po ponni

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arrimediu is Spagnolus anti allargau su spessori, prenendi de terra sa parti aintru, a manera de terreprenu. A pustis de essi sciusciau casi totus is turris anti allargau su basamentu donendindi una sembianza poligonali, de manera chi is cannonis podianta furriai a tundu e sparai in d’ogna direzioni. Si domandas a unu casteddaiu chinisisia cantu funti is bastionis de siguru t’ara arrespundi chi ndi connoscidi dusu, no sciendi chi finzas a sa fini de su ‘700 c’indi fianta bintunu. De i custus a sa fini de su ‘800 nd’anti sciusciau ottu de manera chi oi ndi poteus bidi trexi , mancai meda sianta stetius copertus de palazzius o atras costruzionis. Partendi de sa prazza ananti de su Giardinu Pubblicu, oi zerriada Largo Dessi’, aundi ci funti is aiolas ci fiada su bastioni del Beato Amedeo propriu in corrispondenza de su curvoni de viale Regina Elena. Pighendi a pustis s’Avanzada, custa puru de pagu zerriada via Ubaldo Badas, e castiendi a manu deretta si bidi su bastioni de Dusay, fattu fai de custu vissurei po proteggi sa turri de Santu Francau a sa parti de Buoncammino. Passada sa prazza de is cuattru portas e bessendinci de Porta Cristina, a manu deretta e a metadi de su stradoni s’affaciada su bastioni del Beato Emanuele chi a s’artaria del Belvedere pirmittidi de gosai unu spantu de panorama de celu, , de mari e de montis, e ghettendi s’ogu a su stani de Molentargius. Ci calaus imoi in via Anfiteatro sighendi a manu manca su muraglioni chi si furriada in su parcheggiu del Palazzo delle Scienze. In su fossau ci fianta is forrus de su pani po is sordaus de is

casermas chi fianta allogadas aintru de s’Arsenali. Esti custu su bastioni de S. Filippo chi, impari a cussu del Beato Emanuele fianta zerriaus “opera a corno”. Torrendi a coa e calendinci in via Fiume si toccada a manu manca su bastioni de Sa Concezioni chi tenidi inglobada sa parti bascia de sa turri pisana de La Tedeschina. Intrendi imoi a Castedd’e Susu po s’arruga Genuvesus, agataus su bastioni de Santu Creu, o de Santu Anni, aggradessiu de is casteddaius chi s’affacianta a calad’e soli po bidi su panorama de Stampaxi, ananti de su stani de Santa Gilla e de is montis de Caputerra. Ispantu mannu de su coru chi su poeta casteddaiu Alziator iada nomenau “una delle sette meraviglie di Cagliari”, ( po no si du scadesci sa prima funti is turris pisanas). A sa fini de s’arruga de santu Creu, passendi asutta de sa turri de su Liofanti , princìpiada su bastioni de su Balisci,


serrau de su canceddu de s’universidadi. Aintru funti allogaus tres perdigonis: funti proiettilis de catapulta! Si poridi intrai e mirai su panorama de su largo Carlo Felice e de sa Marina. Sighendi a camminai in via Università a manu deretta podeus arziari in su bastioni de Casteddu ,unu longu muraglioni chi congiungidi su Balisci cun s’orecchioni de su Speroni, bastioni custu chi impari a cussu de sa Zecca – aundi imoi c’esti sa Passillada Coperta- esti stetiu inglobau in su bastioni de San Remy, de su sindigu Bacaredda a prinzipiu de su ‘900. De sa manna scalinada ci calaus a piazza Costituzioni -antiga Port’e Biddanoa- e lompeus a Terreprenu aundi sporginti is bastionis piemontesus de Su Palazzu e cussu de San Carlo. Su primu ,aundi imoi c’esti unu parcheggiu interrau , serbiada a proteggi, comenti narada su nomini e tottu, su Palazzo Viceregio. Castiendi

beni si poridi osservai in pizzus su bastioncinu de su Vissurei addossau a su costoni de sa rocca. In s’atru c’esti unu accampamentu de abusivus chi anti invadiu sa Scola Mereu. Sa conta de is bastionis de Castedd’e Susu si podi nai cumpleta. Scieus però chi puru su quartieri de sa Marina, zerriau una borta La Pola, fiada circondau de cortinas chi a is cuattro cantonadas fianta controlladas de de is bastionis chi benianta a essi: de Santu Franciscu, a sa calada de sa Costa, a protezioni de Porta Stampaxi; sighendi a manu manca in su Largu , a s’artaria de sa Rinascenti ci fiada cussu de Sant’Agostinu. A faci de su portu si sporgianta a mari cussus de su Molu e de Castel Rodrigo e , a sa contonada, prima de ci arziai a Viale Regina Margherita ci fiada su bastioni de Gesus , nomenau puru de sa Darsena. Candu a sa fini de s’800 cun su smuramentu anti sciusciau

tottu custu bellu patrimoniu de monumentus antigus, esti nascia, in su logu sgomberau, sa Via Roma cun sa longa palazzada abellia de is porcius chi princìpianta de sa Rinascenti e accabbanta aundi ci fiada su Palazziu Zamberletti, passillada interrotta scetti de una antiga domu chi sporgidi e custringidi sa genti a passai in s’arruga, si podi immaginai cun cali prexedi de is carrozellas de pipius e invalidus! Accabbaus su giru arziendi a viale Regina Margherita. Innoi esti abarrau cussu de Monserrato, zerriau puru de santa Rosalia o de santu Iaccu o de Is Mortus. A pricipiu, dopu nd’essi sciusciau su campusantu, ianta costruiu s’albergu Scala di Ferro chi esti oi occupau de is uffizius de sa prefettura.

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Itinerari turistici Alla scoperta della città stradaperstradalungola storiadellesuecostruzioni

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ALAZZIDICITTÀ

dalla via martini alla via corte d’appello di Antonello Angioni Servizio fotografico di Francesco Pisu Nei precedenti saggi - dedicati alla via dei Genovesi, alla via Lamarmora ed alla via Canelles abbiamo avuto modo di illustrare la maggior parte dei palazzi storici presenti nel Castello. In questo articolo si procede alla descrizione dei restanti edifici che presentano un qualche interesse per lo studioso.

Il palazzo Bellegrandi

Dalla piazza Indipendenza si sviluppa la via Martini. Subito a destra (in corrispondenza dei civici 26-18) troviamo il palazzo Bellegrandi (Onnis) di cui è stato descritto il prospetto sulla via Canelles. La facciata sulla via Martini si articola in un ammezzato e due piani alti con cinque balconi per piano. Dalla “Guida di Cagliari” del Cugia (1902) si apprende che in questo edificio aveva sede l’Avvocatura dello Stato. Al piano terra del civico 20 vi è una rivendita di articoli di artigianato sardo. In corrispondenza del civico 18 si trova invece il giardino dell’edificio ove è sistemata una bella figura femminile in cotto di stile liberty. Il locale che si affaccia su tale giardino è attualmente adibito a scuola materna comunale.

IlpalazzoManconiBallero Superato il vico Martini, al civico 16, troviamo il palazzo Manconi Ballero (già Bacallar di San Filippo). La vista è subito attratta dai balconi in ferro battuto finemente lavorati che ornano le tre aperture al primo piano. In questo edificio, che si articola su due piani alti,

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è sistemata una lapide: ci ricorda che lo storico Pietro Martini (autore della Storia Ecclesiastica della Sardegna e di tante altre opere importanti) e i suoi familiari, Antonio e Michele, abitarono in quella casa. La lapide fu eretta a cura del comm. Ignazio Serra, erede dello studioso.

La piazzetta Mercedes Mundula

Di fronte alla casa che nel 1800 vide nascere il Martini - in una parte dell’area ove sorgeva il palazzo Manca di San Placido (che, a seguito dei danni di guerra, fu definitivamente abbattuto nel 1972) - l’Amministrazione Comunale ha sistemato alcune aiuole e delle panchine in ferro: la terrazza, assai panoramica, è stata dedicata di recente alla poetessa cagliaritana Mercedes Mundula. In adiacenza a questa piazzetta, nella piazza Palazzo, si sviluppano in successione il Palazzo Viceregio, l’Episcopio e la Cattedrale: di questi edifici, in considerazione dell’importanza, avremo modo di parlare in altro numero della rivista. Superata la piazza Palazzo, in natu-

rale prosecuzione della via Martini, si sviluppa la via Duomo: sul lato destro troviamo il prospetto retrostante del Palazzo di Città e dei palazzi Loy (civico 6), Lostia (civico 4), Tola e Atzeni-Tedesco (di questi edifici si è detto parlando della via Canelles). Nel palazzo Loy, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, si trovava lo studio dell’avvocato Celestino Loy Murgia. Quindi, dopo aver percorso un breve tratto del vico I Lamarmora, svoltando verso destra, giungiamo nella parte bassa della via Canelles che si conclude di fronte alla terrazza Santa Caterina.

Il palazzo Boyl

Nelle adiacenze di questa terrazza tra la via bastione Santa Caterina, la piazzetta Lamarmora e la salita Mario De Candia - sui ruderi dell’antica torre dell’Aquila e sull’area attigua sorge il palazzo Boyl costruito, intorno al 1840, su progetto del proprietario: il conte Carlo Pilo Boyl di Putifigari, lontano discendente di quel don Filippo di Boyl che il 9 giugno del 1326 aveva preso possesso del Castello. Si tratta di un’antica famiglia di origine catalana


che, nella metà del Trecento, aveva ricevuto in feudo - dal re Pietro IV d’Aragona - la baronia di Putifigari. L’edificio presenta una bella facciata in stile neoclassico sulla quale spicca la lunga balconata, con balaustra a colonnine in marmo, ornata da quattro statue che raffigurano le stagioni e dallo stemma dei Pilo (una mano che stringe dei capelli) e dei Boyl (un toro) inquartate con i pali rossi d’Aragona. Lo stemma, sormontato dalla corona, è decorato con la croce dell’Ordine Militare dei Savoia, la croce dell’Ordine Mauriziano ed il Collare dell’Annunziata. Sotto vi è una lapide che ricorda la costruzione dell’edificio. Il prospetto principale, che ha costituito oggetto di un recente intervento di restauro conservativo, si affaccia sulla salita De Candia. Presenta una simmetria che alterna pieni e vuoti e si conclude, ai due lati, con i corpi avanzati: quello della torre, a sinistra, si completa con una torretta quadrata a doppio livello. Dal basamento si sviluppano quattro piani alti, evidenziati dalle cornici marcapiano, racchiusi da un cornicione modanato fortemente aggettante. La copertura del tetto è nascosta da un parapetto che corre lungo tutto il perimetro. Il basamento - che, in corrispondenza del civico 5, contiene il portone d’ingresso (assai modesto ove si consideri l’imponenza dell’edificio) - è rivestito da fasce orizzontali interrotte dalle aperture ad arco con lunette. Le tre palle di cannone conficcate sul muro ricordano i tre diversi assedi subiti da Cagliari nel 1708, nel 1717 e nel 1793 rispettivamente ad opera di inglesi, spagnoli e francesi: naturalmente, considerata l’epoca della costruzione (che, come si è detto, è della metà dell’Ottocento), le palle furono conficcate successivamente dal conte Boyl a ricordo dei fatti d’arme. Nel portico sotto il palazzo si possono ancora osservare le guide ove scorreva la saracinesca di una delle antiche porte del Castello: la porta dell’Aquila. Nella muratura di uno dei fianchi del

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portico era incluso un cippo funerario romano che testimoniava il saccheggio di opere monumentali che i pisani operarono a Cagliari per procurarsi il materiale lapideo necessario all’edificazione della città fortificata. La torre dell’Aquila, al tempo della dominazione spagnola, era la residenza del Procuratore Reale. Successivamente (al pari della torre dell’Elefante) ospitò le prigioni politiche: qui, durante i moti popolari del 28 aprile 1794, venne rinchiuso il Segretario di Stato Valsecchi fino al suo “imbarco” per il Piemonte. Verso la fine dell’800 il palazzo Boyl venne acquistato dai baroni Rossi i cui discendenti in linea materna, i conti Tomassini Barbarossa, ne sono ancora proprietari. Dal palazzo Boyl - dopo aver percorso la piazzetta Lamarmora e il tratto iniziale della via dei Genovesi - arriviamo alla via San Giuseppe. Qui si affacciano i prospetti secondari dei palazzi Borro (civici 1-7), Nieddu (civici 9-17), Cao-Pinna (civici 19-27) e Abis (senza numerazione) che hanno costituito oggetto di recenti interventi di restauro conservativo. Sul lato opposto troviamo invece l’edificio che, nella seconda metà del Novecento, ospitò per diversi anni il Liceo Artistico Statale: si tratta dell’edificio già di proprietà degli Scolopi che, a seguito delle leggi del 1855 che prevedevano l’incameramento da parte dello Stato dei beni degli ordini religiosi, passò in proprietà del Regio Demanio.

Il palazzo Carboni

Giunti nella piazza San Giuseppe troviamo il palazzo Carboni. L’edificio insiste in un rettangolo irregolare (tra i civici 1-3 della piazza e i civici 1-7 della via Santa Croce) e si articola su tre piani alti separati da cornici marcapiano che presentano ampie finestre. Nel piano intermedio, in corrispondenza dell’angolo tra la piazza San Giuseppe e la via Santa Croce, si sviluppa un ampio balcone in muratura. Inoltre le finestre del secondo e del terzo piano sono adornate da decorazioni liber-

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ty. Al piano terra, nella piazza San Giuseppe, si trova il café “Sotto la torre” e, nella via Santa Croce, il ristorante “Antichi Sapori”. Dopo aver superato la teoria di case a schiera, proseguendo il tragitto, in corrispondenza del civico 35 della via Santa Croce, troviamo il café “Libarium” che, avendo anche la disponibilità di una parte della suggestiva terrazza sul bastione Santa Croce, costituisce un ritrovo tradizionale per i giovani cagliaritani.

Il palazzo Pintor (Loi)

A pochi passi dal “Libarium” - tra le scalette Santa Croce, la via Santa Croce (civici 37-41) e la via Corte d’Appello (civici 30-34) - insiste il palazzo Pintor (conosciuto anche come palazzo Loi). In corrispondenza del civico 2 delle scalette Santa Croce, al piano terra, si apre un locale che ospita mostre d’arte e d’artigianato. L’edificio, realizzato nella seconda metà dell’Ottocento in stile neoclassico, presenta un basamento in calcare e due piani alti. L’elegante prospetto evidenzia: sulla via Santa Croce, tre balconi con le ringhiere in ferro battuto e due finestre per piano; sulle scalette, tre balconi in ferro battuto al primo piano e un balcone e due finestre al secondo piano; sulla via Corte d’Appello, cinque finestre per piano.

Il palazzo Azara

A breve distanza dal palazzo Pintor, troviamo il palazzo Azara. L’edificio, costruito nella seconda metà dell’Ottocento, si sviluppa in un’area rettangolare compresa tra la via Corte d’Appello, la piazza Santa Croce e la via Santa Croce (civici 49/A-55) ove prospetta la facciata principale che si articola su quattro piani alti, separati da cornici marcapiano, caratterizzati da elementi architettonici tipicamente neoclassici. Le finestre del secondo e del terzo piano sono sormontate da archi ciechi, timpani e da cornici piatte ed evidenziano bei balconi con le ringhiere in ferro battuto.

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Il palazzo evidenzia un basamento in trachite ed un ampio cornicione di coronamento. Al piano terra (in corrispondenza del civico 51 della via Santa Croce) è stato di recente allestito il “Club Ristorante 51” che ha ottenuto anche la concessione di un tratto dell’antistante terrazza: un punto assai panoramico che consente di godere dei tramonti infuocati sulla laguna di Santa Gilla. Il prospetto del palazzo Azara sulla via Corte d’Appello è più semplice: presenta sette finestre per piano, senza balconi e prive di elementi decorativi, in perfetta simmetria rispetto al portone d’ingresso. Questo - che si apre in corrispondenza del civico 42 - immette in un vestibolo al centro del quale si sviluppa la scala che sale dritta fino al pianerottolo del primo piano. Sul pianerottolo, nella parte di fronte all’ingresso del primo piano, è collocata una lapide in marmo risalente al 1630 che ricorda la realizzazione in tale anno di una fontana profonda 67 metri. La

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fontana oggi non è più visibile essendo stata inglobata all’interno dell’attuale edificio. Qui, in epoca spagnola e sino alla metà dell’Ottocento aveva sede l’annona comunale. Dalla “Guida di Cagliari” del Corona (1894) si apprende che, alla fine di tale secolo, l’edificio ospitava la direzione del Museo Archeologico.

L’istituto di architettura Proseguendo lungo la via Corte d’Appello troviamo l’edificio che ospita l’Istituto di Architettura e Disegno della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi: venne costruito dall’architetto Giandomenico da Verdiana, allievo di Giovanni Tristano, e fu sede della magistratura della Reale Udienza e poi della Corte d’Appello. Per lungo tempo in questi locali ebbe sede anche la Stamperia Reale. La parte destinata ad ospitare il Collegio gesuitico di Santa Croce fu ampliata, tra il 1725 e il 1773, dall’arch. Antonio Felice De Vincenti che nel 1769 realizzò anche lo stupen-

do atrio caratterizzato delle volte sostenute da colonne fasciate - ma non venne mai ultimata a causa della soppressione della Compagnia di Gesù. L’edificio è formato da due sole ali (rispetto alle tre previste) e presenta un bel porticato diviso in undici campate voltate a crociera messe in evidenza da sott’archi che poggiano su capitelli pensili. L’ingresso della parte più recente, che ospita l’Istituto di Architettura e Disegno, è formato da un portale architravato inserito in una riquadratura modanata e concluso da una cornice concava che poggia su mensole a volute. L’atrio d’ingresso si sviluppa su due livelli collegati da una scala ed è caratterizzato da due colonne e paraste scanalate (interrotte da fasce lisce accoppiate di diametro maggiore) con capitelli compositi e archi che si dipartono nelle quattro direzioni suddividendo la copertura in diversi vani voltati a crociera.


LA SARDEGNA

paese per paese

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Qui Serrenti

l territorio comunale di Serrenti, situato a 33 chilometri a Nord di Cagliari, lungo la Strada statale 131, è un paese che conta poco più di 5.ooo abitanti e fa parte dei 28 comuni appartenenti alla Provincia del Medio Campidano. La sua estensione è di circa 42 Kmq e risulta ininterrottamente abitato sin dall’età nuragica. Le chiese presenti nel paese sono tre. Maria Immacolata, Patrona di Serrenti, costruita in stile goticoaragonese nel XIV secolo e dedicata all’Immacolata Concezione, è situata nel centro del paese.. Santa Vitalia è stata edificata, invece, alla fine del XIII secolo ed è realizzata in stile romanico-gotico. Collocata all’interno del Centro storico, viene aperta, oltre che in tante altre occasioni, principalmente per la festa che si svolge il primo lunedì di ottobre, Santa Vitalia, oggetto di un culto e di una venerazione straordinari, da parte dei serrentesi e di tanti sardi in generale. L’edificio venne poi modificato a fine

a cura di Valeria Carcangiu

XIX, inizi XX secolo, stravolgendo così la sua forma originaria. La sua bella facciata originaria si trova infatti oggi in posizione laterale rispetto all’attuale ingresso. Anche la chiesa di San Giacomo è edificata in stile romanico. Trova ubicazione nel centro storico, più precisamente nella zona che anticamente costituiva il rione principale, e viene aperta durante la suggestiva festa in onore di San Giacomo e S. Anna, a fine luglio. Se in passato il paese viveva prevalentemente di agricoltura e pastorizia, attualmente è il settore terziario ad avere il predominio. Nonostante ciò, l’asparago e i Pistokkedus de cappa di Serrenti sono i prodotti agro-alimentari che maggiormente rappresentano il paese. Un settore di grande rilevanza per l’economia del territorio è rappresentato anche dall’attività estrattiva, in particolare dalla lavorazione della pietra, la trachite grigia, molto usata per la costruzione delle caratteristiche case serrentesi, delle case a corte campida-

nesi e degli archi dei portali. Un’arte che venne fatta conoscere a metà secolo scorso da un gruppo di scalpellini toscani e che oggi viene molto apprezzata dagli operatori del settore edile in quanto, a motivo dell’elevata componente silicea, conferisce l’inalterabilità agli agenti atmosferici e chimici. La pietra di Serrenti, che vede la sua provenienza dalla cava di Monte Atzorcu, è stata utilizzata in passato anche per la costruzione di numerosi edifici situati in tutta la Sardegna. Si possono citare il Palazzo di Giustizia a Cagliari, la chiesa parrocchiale di Santa Maria a Cabras, e ancora diverse scuole, asili e piazze di tutto il Campidano. Serrenti è una cittadina molto vivace: l’Amministrazione comunale, le associazioni e numerosi serrentesi organizzano frequenti iniziative, manifestazioni e occasioni di incontro, festa e cultura che migliorano lo stile di vita, l’ambiente e il benessere di tutti.

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A PIETRA GRIGIA L segna la cultura del lavoro di Luca Becciu, Sindaco di Serrenti

S Luca Becciu

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errenti è tradizionalmente conosciuto per Santa Vitalia, la pietra grigia e i Pistokkedus: segni di una cultura contadina e di lavoro. Segni di una comunità che si riconosce oggi in valori importanti e che l’Amministrazione comunale ha voluto valorizzare per favorire lo sviluppo e il benessere socio-economico. I progetti dell’Amministrazione Comunale si sono rivolti, in particolare in questi ultimi anni, alle persone e ai loro bisogni. Abbiamo incentivato i Servizi sociali, in particolare per le persone più disagiate, attraverso piani personalizzati e aiuti economici che permettono di affrontare con più serenità i momenti difficili della vita. Abbiamo promosso la partecipazione di tutte le persone alla vita sociale, culturale e sportiva. I fondi incassati dal Comune per l’uso delle strutture sportive sono stati destinati ai “buoni sport” in favore dei giovani che, per difficoltà economiche, non possono praticare il calcio, lo judo, la piscina o altre attività sportive. In queste ultime settimane stiamo concludendo un laboratorio di progettazione partecipata che ha visto protagonisti i bambini di Serrenti. Da una loro idea, e grazie al prezioso contributo del gruppo “Officinevida”, i piccoli progettisti hanno ideato il loro parco ciclabile, che nascerà nell’area che si trova tra la Piscina, l’Orto botanico e la “vetrina” in terra cruda di Via Santa Barbara . Abbiamo fatto importanti investimenti sul lavoro, per incentivare le imprese del paese e la loro capacità di vendere prodotti e servizi. Il Comune di Serrenti è stato il promotore della nascita del Centro Commerciale Naturale “Serra dei Venti” ed ha attivato una collaborazione costante che mira a promuovere le aziende locali e i loro prodotti, con specifiche iniziative e attività. Per fronteggiare questo momento di difficoltà economica è importante utilizzare le capacità e le conoscenze dei serrentesi. Per questo motivo abbiamo promosso dei seminari dal titolo “fare impresa a Serrenti” con l’obiettivo di incentivare la formazione di nuove imprese e qualificare il lavoro di quelle esistenti. La numerosa e attenta partecipazione ai seminari è un segnale del valore e delle capacità dei nostri concittadini. Le iniziative dell’Amministrazione sono incoraggiate, stimolate e sostenute dalle numerose associazioni che operano nel nostro comune: nel volontariato, nello sport, nella cultura, nel tempo libero. La loro azione è l’esempio più importante di civiltà e senso di appartenenza alla comunità, e tutti i serrentesi si sono resi conto del prezioso contributo offerto dai volontari della Protezione Civile e della Croce Rossa in occasione delle alluvioni che hanno colpito il Comune di Serrenti alla fine del 2008. Si è potuto riscontrare come la loro presenza e il loro impegno hanno motivato tanti altri cittadini a mettersi a disposizione e sostenere una parte della comunità che in quei giorni ha vissuto dei momenti drammatici. Le persone sono la risorsa più importante di una comunità e considero un onore aver amministrato in questi anni una comunità di serrentesi disponibili, attenti, partecipi e accomunati dall’orgoglio di essere importanti per sé e per gli altri e dalla voglia di mettersi insieme per far crescere e sviluppare Serrenti, il suo territorio, la sua gente.


P poi la rete culturale RIMA LA SCUOLA

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Incontro con Pantaleo Talloru, vice sindaco e assessore alla Cultura

l nostro intento è quello di dimostrare di essere una comunità aperta e disponibile al confronto, per garantire un futuro di progresso e integrazione socio culturale alle nuove generazioni. Il nostro è un centro molto attivo. Numerosi gli interventi a favore dei giovani e della loro formazione culturale. Sono in atto nuovi progetti riguardanti le fasce giovanili che vedono coinvolti un sempre maggior numero di ragazzi. Per quanto concerne la scuola, Serrenti è uno dei pochi paesi che può vantarsi di possedere tutte le scuole a norma, con scale antincendio e ascensori per i portatori di handicap. Abbiamo saputo sfruttare bene tutti i finanziamenti messi a disposizione dalla Regione e siamo così rientrati in tutti i piani previsti dalle norme vigenti. Provvediamo anche ad erogare alle scuole e alle famiglie degli alunni le borse di studio e i rimborsi spese viaggi. Diamo

agevolazioni per le mense scolastiche che coprono le esigenze della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di 1° grado. Nel nostro Comune si sono svolti anche numerosi corsi di formazione e socializzazione riguardanti le lingue straniere e vari laboratori (terra cruda, scalpellino..). In collaborazione con l’Istituto comprensivo, abbiamo varato dei progetti per la valorizzazione della lingua sarda ai sensi della legge regionale 26/97 e la legge 482/99, uno sportello linguistico per la formazione e la diffusione della cultura sarda. Un’ altro motivo di orgoglio per il paese è il teatro comunale. Siamo uno dei pochi centri che possiede un teatro a norma, il quale molto spesso è sede di varie rassegne teatrali, musicali e formative. I giovani delle scuole del paese tengono costantemente nel teatro i loro saggi di fine anno, nei quali rappresentano soprattutto vari aspetti di vita locale e del passato,

Pantaleo Talloru

ma anche traduzioni di opere letterarie in Sardo. Il teatro è una struttura con 250 posti a sedere e ospita spesso anche convegni, mostre, rassegne e conferenze. A Serrenti esiste inoltre un centro turistico culturale, “Casa Corda”, che ospita la Biblioteca comunale multimediale inserita nel Sistema Bibliotecario Joice Lussu e del Medio Campidano. E’ presente al suo interno un patrimonio di testi, cd, film, videocassette e altro materiale fruito giornalmente da un alto numero di utenti. Si pensi che ogni anno i libri prestati ammontano a 12.000. Tutto ciò evidenzia un alto valore culturale nel paese. Abbiamo anche un ufficio informazioni, che permette di offrire un servizio di assistenza su internet. Nel campo dello sport, invece, Serrenti si è dotata di una piscina comunale semiolimpionica frequentata da un migliaio di iscritti, e di un Palazzetto dello sport che vede la partecipazione anche di campionati di alto livello degli atleti della Polisportiva Serrenti 84 che gareggiano nella disciplina di judo. Grazie al lavoro svolto in questi anni e alla continuità amministrativa, il comune ha in progetto di produrre ulteriori iniziative, rendendo più fruibili gli spazi pubblici e ultimare alcune opere, quali un centro scolastico polivalente che potrà essere adibito anche all’allestimento di corsi formativi per i giovani.

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Le l’orto botanico

A CASA DEI NONNI

Incontro con Anna Rita Corda, assessore all’Agricoltura

Per ciò che concerne le politiche sociali, uno dei progetti in cui l’Amministrazione comunale ha impiegato tutte le sue forze è stato quello che prevedeva la nascita di un nuovo centro in paese, aperto a tutti le persone anziane della Provincia del Medio Campidano. Nell’Ottobre del 2006 è stata inaugurata, infatti, “La casa dei nonni”, il primo centro diurno di tutta la Provincia. Rimane aperto tutti i giorni, dal lunedì al sabato, e offre una grande quantità di servizi. E’ presente la mensa, la lavanderia, la stireria. Ed è un luogo accogliente e confortevole dove gli anziani possono trascorrere il loro tempo insieme, giocare, mangiare, imparare a leggere o disegnare. Dopo una giornata trascorsa in compagnia, per queste persone risulta difficile tornare nella propria dimora, magari in solitudine. Per questo, ci stiamo muovendo per far diventare questo centro anche notturno. Un’altro servizio che a breve verrà offerto al territorio di Serrenti è il “Centro affidi territoriali”. E’ un centro di affidamento per le persone affet-

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te da Handicap, che sorgerà tra qualche mese nello spazio prima occupato dall’ex Esmas. Tutti gli ospiti del centro saranno affiancati da una valida e preparata equipe pedagogica, psicologica, da animatori, fisiatri e quant’ altro, ritrovandosi avvolti in un clima caloroso e confortevole. Il comune di Serrenti punta ad attivarsi, quanto più è in suo potere fare, al servizio dei cittadini. Un area molto importante per il nostro territorio è, infatti, l’Orto Botanico. In quella zona del paese dove una volta c’era la ex discarica, ora si trova il polmone verde del paese. Alcuni anni fa si è provveduto ad organizzare dei corsi di potatura. In questo modo si è iniziato a dare un assetto botanico a questo spazio, facendolo diventare in poco tempo un grande giardino ricco di diverse specie vegetali. Un ettaro di terreno che è diventato la maggiore attrattiva di svago, che accoglie non solo tutte le famiglie e i giovani del paese, ma anche quelli dei centri vicini. Il luogo ideale per trascorrere una serata rilassante

con tutta la famiglia. Per una migliore valorizzazione del parco, nel 2003 l’orto botanico è stato dato in gestione a un giovane del paese, Stefano Foddis, che crede fortemente in questo progetto e cerca in ogni modo di accontentare tutti con le sue iniziative. Durante tutta l’estate, ogni fine settimana, il parco attira più di 1000 persone richiamate dalle numerose attrattive promosse, tra cui sfilate di moda, karaoke e rassegne musicali. Un altro sito che l’Amministrazione comunale sta cercando fortemente di valorizzare è il Sito di Interesse Comunitario (SIC) di Monti mannu per la presenza di una specie vegetale, su cracuri (AMPELODESMOS PENAX). E’ già stato approvato un piano di gestione, e ora, grazie alle risorse ottenute, lo si vuole valorizzare. Il sito è aperto tutto l’anno, ma è visitato in particolar modo nella giornata del 25 Aprile, nella manifestazione “Vivere Serrenti”, organizzata in collaborazione con tutte le forze sociali.


Santa Vitalia

Ogni anno, il primo lunedì di Ottobre, si svolge a Serrenti una delle più importanti feste del Campidano: Santa Vitalia. Al centro del piazzale dell’omonima chiesa, viene curata dalla Pro Loco Santa Vitalia la preparazione di un evento che coinvolge tutto il paese. Quattro giornate di festa che accolgono l’arrivo di migliaia di persone. Il programma religioso prevede, per il lunedì mattina, un importante processione, che vede accorrere i pellegrini dai vari centri dell’Isola, persino dal Nuorese, per intonare gli antichi canti religiosi, ciascuno nella variante fonetica del proprio comune di provenienza, garantendo così un sicuro interesse etnografico. La mattina, prima dell’alba, si celebra la tradizionale “messa dell’aurora”, un grande segno di devozione per la martire del II secolo. Poi segue la suggestiva processione che parte dalla Chiesa di Santa Vitalia e attraversa diverse vie del paese: la Via Nazionale, Via Umberto, Via Roma e Piazza Chiesa, facendo ritorno poi al luogo della partenza. A seguito della processione, hanno inizio le messe che si susseguono nel corso della giornata. Il sabato una rassegna etnica dà il via ai festeggiamenti ci-

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vili, mentre la domenica si prosegue con un orchestra che generalmente presenta uno spettacolo di ballo liscio. La serata del lunedì, giorno principale della festa, prima tutti con lo sguardo rivolto in alto ad ammirare lo spettacolo pirotecnico, e poi in piazza per ascoltare il concerto di un gruppo o di un cantante di grido. Per concludere la festa, il martedì sera, viene allestita una commedia sarda. Molto caratteristico lo spettacolo che si sprigiona dalle “Barraccas”, dove in un clima gioioso, i pellegrini e i turisti possono gustare le specialità locali e non (pistokkedus de cappa, maialetto e agnello arrosto, muggini, anguille e pane locale). Nel passato si era soliti organizzare anche una gara ippica e allestire una fiera mercato alla quale accorrevano gli allevatori e i proprietari terrieri per la compravendita degli animali da tiro e da lavoro. In seguito questi spazi sono stati occupati dalla costruzione di nuove case.

San Giacomo

La festa, che viene organizzata il 25 e il 26 luglio in onore di San Giacomo e S. Anna, nonostante si raccolga in due soli giorni di celebrazioni e festeggiamenti, è molto sentita dalla popolazione di Serrenti. Storicamente si svolge-

va nel rione più vecchio del paese, il rione di S. Giacomo, ed è portatrice di una lunga e antica tradizione che ancora oggi viene rispettata. Nel piazzale della chiesa, almeno una settimana prima della festa, veniva realizzato dagli agricoltori del paese un pergolato, su stabi, iniziando da Sa romadura, ovvero il taglio delle canne utilizzate per la realizzazione del pergolato. Il Comitato di San Giacomo, promotore della festa, si è sempre impegnato affinché questa antica usanza non si perdesse nel tempo. Attualmente sono i componenti del Comitato, insieme a tutta la popolazione che vuole partecipare, ad allestire l’ombraio nello spazio adiacente alla chiesa. Il fine settimana prima della festa viene dedicato a Sa romadura. Nel primo pomeriggio del sabato ci si reca nelle campagne del paese, in una zona di Serrenti chiamata Procedda, lungo gli argini dei fiumi. Qui vengono raccolte delle frasche e caricate in 4-5 trattori. Terminato il lavoro, tutti coloro che hanno partecipato al taglio si dirigono in una tenuta di campagna dove si svolge un momento di ristoro e si trascorre la notte. L’indomani mattina si rientra in paese sparando i tradizionali “guettus”, canne con una sorta

A SANTA VITALIA A “VIVERE SERRENTI” di Valeria Carcangiu


di petardo in cima, come segno che il Comitato sta rientrando in piazza a depositare le frasche per allestire su stabi. Si tratta di una struttura alta circa 5 metri, coperta da tavoloni in cui vengono poggiate le frasche che hanno l’utilità di ombreggiare lo spazio antistante la chiesa dove generalmente trovano ristoro gli anziani. La domenica mattina, terminato il posizionamento delle frasche, viene offerto uno spuntino a tutti i partecipanti. Anticamente la festa era completamente strutturata nel piazzale. Da circa tre anni, l’Amministrazione comunale ha organizzato tutta la zona adiacente in pietra, ristrutturando e modificando la piazza, consentendo di ampliare la festa anche alle vie adiacenti. Ad aprire la processione sono i 20 cavalieri che sfilano sui cavalli addobbati a festa, seguiti dai gruppi Folk e dalla Banda musicale del paese. Al termine della processione, durante la quale vengono sparati i tradizionali “guettus”, viene celebrata la messa all’interno della chiesa di San Giacomo. «Il Comitato – sostiene l’attuale Presidente in carica, Marcello Ortu – è stato costituito con dei precisi obbiettivi da raggiungere: l’organizzazione dei festeggiamenti in onore di S. Giacomo e S. Anna; la ricerca storica del culto dei Santi e far rivivere il rione attraverso iniziative, proposte e manifestazioni culturali». Tra le altre occasioni di festa promosse dal Comune vi è il 25 Aprile con la manifestazione “Vivere Serrenti”, presso il parco comunale di Monti Mannu. Questa collina, devastata dagli incendi, è stata oggetto di pro-

grammi di salvaguardia che l’hanno portata a diventare un sito di interesse comunitario (S.I.C.). L’area coinvolge circa 120 ettari, dove sono presenti specie botaniche rare e tipiche specie faunistiche. A dare il benvenuto alla primavera ci pensa invece “La festa degli alberi”. Il 21 marzo, ogni anno, si svolge una giornata di sensibilizzazione sui problemi della salvaguardia dell’ambiente, che vede la partecipazione degli alunni delle scuole locali e dei loro familiari, al fine di promuovere la conservazione e la tutela della diversità biologica. Ma la manifestazione che per eccellenza mette in luce i prodotti che maggiormente rappresentano il paese dal punto di vista gastronomico è “La sagra dell’asparago e de su Pistokkeddu de cappa di Serrenti”. La Pro Loco Santa Vitalia, in collaborazione con l’Amministrazione comunale, organizza una festa di una o due giornate interamente volte a valorizzare i due prodotti di punta della tradizione gastronomica serrentese. Con circa 80 ettari di terreno, Serrenti è, infatti, la più grande produttrice di asparago in Sardegna. Pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Gigliacee, l’asparago viene coltivato dagli inizi degli anni ’90. Le diverse aziende e produttori del paese coltivano l’asparago verde, più precisamente la var. UC 157 e la var. GRANDE. La raccolta, che dura circa 60 giorni, permette ai coltivatori di vendere direttamente il prodotto o di conferirlo alla Coop. Sorgente e ad altre cooperative dell’isola, dalle quali viene venduto nei mercati regionali, nazionali ed esteri (Germania). In oc-

casione della manifestazione vengono allestiti degli stand espositivi per presentare il prodotto ai visitatori, che accorrono numerosi da tutto il territorio circostante a gustare la specialità cucinata in svariati modi. L’asparago, come anche su Pistokkeddu de cappa, in quanto rappresentativo della cultura gastronomica locale, è spesso protagonista nelle fiere gastronomiche regionali e nazionali del Nord Italia (Milano, Torino). Katiusha Fois è una giovane imprenditrice di Serrenti che porta avanti l’eredità tramandata dai suoi genitori, che hanno aperto “Il forno” nel 1980, e dalla nonna, che andava nei paesi vicini con l’asinello a vendere su Pistokkeddu. Il dolce caratteristico misura non più di 5 cm e pesa circa dieci grammi. E’ fatto di zucchero, farina, limone e olio d’oliva. Prelibatezza che va a ruba, non solo per la sua bontà, ma anche per essere povero di calorie. Titolare dell’unica pasticceria fresca in paese, Katiusha mi racconta quanto il dolce venga apprezzato in ogni periodo dell’anno, ma ricercatissimo nei periodi delle feste, specialmente dai tanti pellegrini o turisti di passaggio in paese. «Sotto le feste riusciamo a produrre circa 10 Kg di Pistokkeddus al giorno. I macchinari sono impiegati solo per l’impasto, la lavorazione è tutta manuale. Per questo motivo i Pistokkeddus non presentano mai la stessa forma. I nostri dolci vengono distribuiti in tutti i bar di Serrenti e nei supermercati, e sono inseriti nel prezioso menù di un noto ristorante cagliaritano, molto legato alle specialità del nostro paese».


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N BENE OPERARE

Era il febbraio del 1958. Un gruppo di scalpellini di Serrenti, stanchi di lavorare la pietra in regime di un lavoro saltuario, decisero di unirsi per tentare un percorso imprenditoriale. Nasce così la Cooperativa Edile di Serrenti. “La Sardarese”, con alle spalle una storia analoga, si rende conto, unitamente alla Cooperativa di Serrenti, della necessità di avere uno strumento imprenditoriale più capace, sia dal profilo professionale che tecnologico. Così, agli inizi degli anni ’90, le due società si fondono insieme per dare vita alla Ope, Compagnia Opere Civili, con l’obbiettivo di riuscire a superare la tradizione artigiana per affrontare un confronto imprenditoriale sul mercato. Ope è una Cooperativa capace di mettere sul mercato prodotti qualitativamente adeguati e con un giusto prezzo. Il confronto con l’impresa privata deriva dalla capacità di saper fare meglio o come gli altri. Se una

Incontro con Giuseppe Corso

Cooperativa vuole avere successo sul mercato, deve dimostrare di essere capace e tecnicamente idonea, professionalmente adeguata e tecnologicamente strutturata al pari della migliore azienda privata. E’ solo in questo modo che sul mercato può avvenire il confronto. Oggi la valenza di socialmente utile per l’impresa, sia cooperativa che privata, è una caratteristica essenziale. In questo momento in cui stiamo vivendo ci sono cambiamenti epocali, e questi richiedono sempre più una valenza etica per l’impresa e la sua capacità di rispondere ai nuovi bisogni della società. L’impresa di ieri è profondamente diversa da quella di oggi e di domani, perché sono diversi i bisogni che la società esprime. I nuclei familiari sono via via sempre più piccoli. Sempre meno persone pranzano in casa. Quello che la società richiede domani è rappresentata da prodotti semplici, duraturi e qualitativamente

adeguati, con bassi consumi energetici, insieme ad un sistema di servizi che consentano di vivere in condizioni adeguate. La Ope sta iniziando a camminare in questa direzione. I suoi futuri prodotti consentiranno costi di gestione dell’immobile vicino allo 0, prevedendo una garanzia del prodotto che durerà 5 anni dalla data della consegna. All’interno di questo periodo di tempo, la Cooperativa si farà carico degli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria, interpretando così il mercato della costruzione come mercato che ha bisogno di un approccio di tipo industriale. La Ope si impegna a mostrare attenzione per l’ambiente, il paesaggio, con un unico obbiettivo: consentire che i nuovi tempi possano permettere ad ognuno di noi di passeggiare per la città moderna senza il bisogno di andare a ricercare luoghi o quartieri costruiti due secoli fa.

il Cagliaritano

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FORMAGGI CHE GIRANO IL MONDO

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no dei motivi di orgoglio che il Comune di Serrenti può permettersi di vantare è la presenza nel suo territorio di un’azienda che, per la qualità e la genuinità dei suoi prodotti, si è saputa affermare in tutto il mondo. Le origini della Cen.tra.l. formaggi risalgono alla seconda metà dell’ottocento, quando Agostino Villecco, recandosi nell’Isola, attratto dalla grande abbondanza di latte ovino presente e dalla possibilità di realizzare una produzione di formaggi quantitativamente e qualitativamente eccellente, strinse un legame così profondo con questa terra da non riuscire più ad andare via. Con il passare degli anni, affinate le tecniche organizzative, l’azienda acquisisce macchinari e metodi di lavorazione sempre più moderni, senza per questo compromettere la bontà indiscussa trasmessa dalla propria tradizione casearia, punto fermo della proprietà. Inizia così a farsi apprezzare nel mondo, dopo aver riscosso successi, da nord a sud, in tutto lo stivale. Attraversando un percorso lungo tre generazioni, dove le tradizioni legate alla produzione sono rimaste immutate per decenni, oggi, l’azienda, nata nel 1974 e gestita dal nipote di Agostino, Efisio Villecco, affiancato dai suoi figli, trova sede lungo la strada statale

di Valeria Carcangiu

131: luogo strategicamente adatto al reperimento del latte e che ben si presta a sfruttare l’unica arteria stradale dell’Isola. Da qui, settimanalmente, partono infatti i camion refrigerati che servono centinaia di clienti dislocati nel territorio e che ricevono differenti prodotti destinati a palati diversi: tra le produzioni della Cen.tra.l., infatti, si possono contare una grande varietà di formaggi, più di 40, tra stagionati, semistagionati, freschi e molli, oltre gli speciali, le ricotte e le creme, che permettono ai distributori di soddisfare qualsiasi tipo di esigenza. Da sempre, la politica aziendale, vero punto di forza, è stata quella di realizzare produzioni mirate, seguendo le più svariate indicazioni fornite dai committenti e dal mercato: questo ha permesso di commercializzare formaggi specifici per territori differenti. I clienti Cen.tra.l. sono presenti in ogni regione d’Italia. Ma anche negli Stati Uniti, in Canada, Spagna, Belgio, Francia, Olanda e Germania. La commercializzazione avviene generalmente tramite dei grossisti che esportano i formaggi in qualunque località vengano richiesti, servendosi dello stretto supporto logistico della TNI, con automezzi refrigerati in grado di mantenere i prodotti ad una temperatura ottimale e costante e di arriva-

re a destinazione senza interrompere la catena del freddo. I controlli imposti dall’HACCP garantiscono all’interno del caseificio un’igiene impeccabile, rafforzata anche dalle pratiche seguite in base alla certificazione di Qualità ISO, che la Cen.tra.l. ha acquisito nel corso degli anni, attenendosi meticolosamente alle procedure riconosciute da Enti specializzati nel settore. Tutte queste peculiarità hanno fatto sì che la Central ricevesse nel tempo numerosi e importanti riconoscimenti da associazioni di settore (come il Gotha del Gusto che a Giugno le ha consegnato il certificato di Qualità e di eccellenza), in particolare per il Moliterno, un pecorino a pasta dura dal gusto gradevolmente saporito, vera punta di diamante dell’azienda. Il Moliterno, come le altre varietà di formaggio, è ottimo se gustato da solo, ma si sposa perfettamente anche con altri ingredienti, che con un po’ di fantasia in cucina, possono creare gustosissimi primi, secondi o dolci. Con circa 15 milioni di litri di latte lavorato all’anno, oggi la Cen.tra.l. può senza dubbio essere considerata una delle più importanti aziende del settore, vanto del territorio campidanese, che fa della “tradizione moderna” un punto fermo per la produzione dei suoi formaggi.


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vendo ben chiaro in mente l’obbiettivo di valorizzare e riqualificare il commercio all’interno del proprio territorio, si è costituito recentemente a Serrenti il Consorzio “Serra dei venti”. Più di 50 aziende, operanti nei settori del commercio, dell’artigianato, dei servizi e dell’enogastronomia, hanno partecipato attivamente in varie occasioni per promuovere i loro servizi e fornire così al paese un mix di convenienza, cortesia e vantaggi dimostrando che questi servizi non vengono offerti solo dai grandi centri commerciali.

Azienda Pineda

il Cagliaritano

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Una delle imprese appartenenti a questo grande Centro Commerciale di Serrenti è l’Azienda Pineda. Fondata da Giovanni Pineda nel 1972, l’Azienda, con la sua esperienza più che trentennale, si è saputa affermare nel mercato sardo raggiungendo, con la distribuzione dei suoi prodotti, una presenza capillare su tutta l’isola. Attraverso una commercializzazione all’ingrosso, l’Azienda si avvale della collaborazione di 25 persone e trova tra i suoi clienti ideali macellerie, rosticcerie e pollerie, che espongono i suoi prodotti rigorosamente marchiati “Prendas de Mesa”, quale riconoscimento di accertata e ottima qualità. Tra le sue produzioni, le carni avicunicole in genere, alcuni tagli di bovino, suino, equino, e altri prodotti alimentari quali pasta fresca, alimenti sott’olio e miele.

La dispensa del fattore

Unica nel territorio di Serrenti, “La dispensa del fattore” è un azienda, anch’essa facente parte del Consorzio sopra citato, che produce, confeziona e trasforma prodotti tipicamente sardi. Emanuele Frau, giovane imprenditore che gestisce l’Azienda a conduzione familiare da circa 15 anni, mi spiega in cosa consiste il loro lavoro. «I prodotti della terra, vengono trasformati e confezionati in vasetti, conservando quel gusto naturale che presentano appena colti. I nostri punti di forza sono i pomodori secchi e le olive in salamoia ma confezioniamo anche ottimi prodotti sott’olio quali carciofini, asparagi e cardi selvatici, funghi, peperoncini ripieni e carciofi». I prodotti vengono raccolti per lo più nelle campagne del paese, altri vengono forniti, invece, da produttori seri e di fiducia. Tutti coloro che vogliono gustare la genuinità di questi prodotti possono recarsi nel negozio di famiglia il Cagliaritano oppure nei migliori negozi specializzati dell’Isola riforniti dall’Azienda.

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S de is nuraxis U TEMPU

Incontro con Daniele Carta

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l territorio di Serrenti è una zona ricca di numerosi siti di interesse archeologico. Tra questi, si possono citare i siti nuragici in località “Nuraxi oliri”, “Bruncu su nuraxi” e altri reperti archeologici di notevole interesse soprattutto in località “Sa tellura” in cui due nuraghi e un vicino villaggio potranno essere oggetto di una futura campagna di scavi. Dalla S.S. 131 si possono notare due grandi rocce note come “Perda Longa”, sovrastate dal Monte Mannu. In collaborazione con la sopraintendenza per i beni culturali e l’Anas, nei prossimi mesi saranno attivati dei cantieri di scavo sia nella zone di “Sa tumba”, sia nel sito di Monti Mannu, presso il deposito dell’aeronautica militare in cui sono presenti anche testimonianze dei primi insediamenti che hanno dato poi vita al paese di Serrenti. Tra i tanti appassionati di storia antica e di archeologia c’è anche un giovane del paese, Daniele Carta. Anche per lui, come per tanti altri giovani, è arrivata da poco la grande soddisfazione di aver raggiunto la laurea, uno dei più importanti traguardi della vita. Iscritto alla Facoltà di Beni Culturali all’Università di Cagliari, Daniele ha discusso una tesi sul patrimonio archeologico del proprio paese d’origine, Serrenti. Tesi che però ha qualcosa di diverso da tutte le altre e che per questo suscita la nostra ammirazione e curiosità. E’ stata infatti interamente scritta e discussa in lingua Sarda.

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Nonostante questa possibilità fosse in realtà prevista dalla legge, nessun altro giovane prima di lui aveva fatto la medesima scelta. Unica eccezione quella di due studenti delle Facoltà di Ingegneria elettrica ed Economia che nel 2003 si erano limitati alla sola discussione in Sardo. Daniele invece, è andato oltre. Motivato da un innata passione per la sua terra, ha fatto un lungo e approfondito lavoro, supportato dal prezioso aiuto del suo relatore Giovanni Ugas, per elaborare una scrittura che si avvicinasse il più possibile a quella lingua che in realtà è prevalentemente una lingua orale. Nonostante abbia solo 23 anni, Daniele scrive e traduce testi in Sardo fin dall’età dell’adolescenza. La sua, è una passione che lo ha sempre accompagnato nella crescita. «Trovo naturale parlare il Sardo, è la mia lingua madre. Sono cresciuto parlandolo in casa, con la mia famiglia e lo parlo abitualmente quando esco con gli amici». Mi racconta il giovane, stupito e allo stesso tempo orgoglioso del clamore che ha suscitato con questo gesto, che in realtà era assolutamente premeditato. L’idea di una tesi in Limba era, infatti, già chiara nella sua mente ai tempi del Liceo. Appena messo piede all’Università, Daniele aveva già le idee molto chiare. Un grande incoraggiamento è arrivato poi da colui che in seguito è diventato il suo Relatore, quel Docente di Preistoria e Protostoria che, men-

tre spiegava le sue lezioni in lingua Sarda, catturò l’attenzione di Daniele. La tesi, che porta il titolo “Su sattu de Serrenti me in s’edadi Prenuraxesa e a su tempu de is nuraxis”, è stata discussa da Daniele davanti a una commissione di Docenti entusiasta, che a loro volta si rivolgeva a lui parlando il Sardo. L’unico momento che ha rotto quest’atmosfera è stato quello della proclamazione che è stata pronunciata in Italiano, in quanto un riconoscimento ufficiale. E’ duro il pensiero di Daniele nei confronti dei suoi coetanei, e non, che non parlano la lingua. «Bisogna fare una distinzione. Ci sono coloro che non lo parlano perché non hanno avuto la fortuna come me di avere una famiglia che glielo ha insegnato. Ma tutti quelli che lo conoscono perfettamente, forse anche più di me, e non lo parlano perché si vergognano, sono da condannare». Messa subito da parte la grande soddisfazione per il traguardo raggiunto, ora Daniele ha già ripreso a frequentare le lezioni per conseguire la laurea Specialistica in Archeologia. E neanche a dirlo, la tesi sarà in Sardo. Il suo sogno fin da bambino è infatti quello di diventare nel prossimo futuro un archeologo. Inutile dire che il paese è orgoglioso di questo giovane paesano, tanto che la Giunta Comunale ha invitato ufficialmente Daniele e il suo Relatore per discutere nuovamente la Tesi di fronte all’intera comunità.


S anche in Vaticano e in Abruzzo UPER VOLONTARIATO

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a campagna antincendio che ogni anno, dal mese di Giugno al mese di Ottobre, permette di salvaguardare il territorio e di intervenire in caso di emergenza, è solo una delle tante attività svolte dall’Associazione Nazionale Volontari per la Protezione Civile PROCIV ARCI di Serrenti. La cura per la natura e la grande soddisfazione che ne deriva dal fare del bene al prossimo, sono le motivazioni principali che hanno spinto un gruppo di persone, nel 2002, a dare vita a questa Associazione. Più di 40 volontari sono a completa disposizione per qualsiasi tipo di emergenza, sia nella propria Provincia che in qualsiasi parte del territorio, e agiscono in collaborazione con la Provincia del Medio Campidano e la Regione stessa. I compiti sono molteplici. Dall’aiutare a ritrovare le persone scomparse a supportare gli anziani in caso di necessità. Sotto la loro vigile attenzione anche il supporto e l’assistenza alle varie Associazioni, anche dei paesi vicini. Davvero incisivo il contributo annuale che l’Associazione dà durante la campagna antincendio. Per quasi 5 mesi i volontari, a rotazione, si appostano in un punto di vedetta, Monti Mannu, da dove si può tenere sotto controllo tutto il territorio che abbraccia la vasta area che va dal Golfo di Oristano al Golfo di Cagliari. Collaborano anche con il Corpo Forestale e vengono coordinati dal Centro di Protezione Civile Provinciale per sopperire alla grande emergenza con ogni anno causano gli incendi. Nell’anno 2008 l’Associazione

ha dato il suo fondamentale contributo durante tutte le emergenze derivate dalle alluvioni che, ahimè, lo scorso inverno hanno creato dei disastri immani. Senza un attimo di esitazione, i volontari sono partiti alla volta di Capoterra, Sanluri, Segariu e di tutte le altre zone colpite. Non mancano gli aiuti, però, anche nelle occasioni più gioiose, come le sagre o le feste che il Comune di Serrenti organizza ogni anno. I volontari che fanno parte dell’Associazione di Serrenti, non sono persone che partecipano a queste attività semplicemente per tenersi occupati. Hanno un cuore così buono che sono pronti a correre in qualsiasi momento, anche in piena notte, mettendo il loro tempo a disposizione del prossimo gratuitamente, 24 ore su 24. E’ fantastico osservare con quanto amore queste persone raccontano la gratificazione che si prova dopo aver fatto uno dei loro interventi. E molto spesso la stanchezza per il lavoro fatto sparisce nel nulla dopo aver ricevuto un “grazie” dalle persone soccorse. Nonostante Silvano Pasci ricopra il ruolo di Presidente, all’interno dell’Associazione non vi è alcuna scala gerarchica. «Fortunatamente c’è chi è più forte e motivato degli altri e sostiene e manda avanti l’intera organizzazione. Ma tutti siamo allo stesso livello». Racconta Mario Grecu, uno dei numerosi volontari. I membri del gruppo sono una grande famiglia. Ci sono donne, uomini, giovani e persone un po’ più mature che essendo già in pensione hanno più tempo da

dedicare alle varie attività. Sebbene il gruppo si sia formato da pochi anni, la grande disponibilità e l’impegno per il lavoro svolto ha già suscitato diversi plausi e riconoscimenti. La serietà e la competenza sono d’obbligo. Molti dei membri hanno infatti svolto dei corsi a Roma o nei territori circostanti per una guida sicura, per l’utilizzo di determinati mezzi di trasporto e per approfondire le proprie conoscenze sulle attrezzature e le tecniche di intervento anche nella pratica. Sono tutti dotati di un adeguato abbigliamento di soccorso e hanno frequentato seminari di formazione per saper gestire qualsiasi tipo di emergenza. Tra i loro compiti, anche quello di gestione e organizzazione in occasione di grandi eventi. L’Associazione è stata infatti invitata ad assistere la grandissima folla di gente che ha invaso il Vaticano durante la scomparsa del Papa Giovanni Paolo II e durante l’elezione del nuovo Pontefice. A settembre 2008 i volontari erano a completa disposizione anche per supportare in tutte le forme possibili, sia dal punto di vista fisico che morale, l’incontenibile folla di persone che si è riversata a Cagliari per la visita del Papa Benedetto XVI. Hanno montato le tende e assistito i fedeli, anche mentre facevano delle lunghe code sotto il sole. E visto che l’aiuto non è mai troppo, l’Associazione è lieta di accogliere chiunque voglia entrare a far parte di questo grande nucleo familiare

V.C. il Cagliaritano

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L per il sociale

A POLISPORTIVA 84

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di Valeria Carcangiu

nche nel campo dello sport, Serrenti non si fa mancare proprio niente. Festeggiando quest’anno il suo 25° anniversario, l’Associazione Polisportiva 84 è la società sportiva più longeva del paese. Attualmente vede il coinvolgimento di 92 allievi iscritti, che si dilettando nelle tre differenti discipline: il judo, il Karate e la ginnastica di mantenimento. All’interno della società, tra le persone regolarmente tesserate, sono presenti anche alcuni bambini e ragazzi disagiati o con problemi psicofisici che, segnalati dal Responsabile del Servizio Sociale del

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Comune e dal Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo V. Angius di Serrenti, sono stati inseriti gratuitamente a svolgere le varie discipline insegnate dai 5 istruttori della società. Grazie all’alto livello di preparazione presente nella società sportiva, tutti gli allievi dell’Associazione si sono ritrovati numerose volte a competere a livello agonistico alle manifestazioni ufficiali organizzate dalla Federazione (FIJLKAM), riuscendo anche a portarsi a casa ottimi piazzamenti. Grande risultato quindi per il Presidente dell’Associazione sportiva, Italo Corongiu, che afferma orgoglio-

so: «Siamo consapevoli che queste iniziative, anche se dispendiose, sono di enorme importanza per i nostri ragazzi. Sia per l’arricchimento tecnico agonistico, sia per l’aspetto culturale e sociale, avendo l’opportunità di avere uno scambio interpersonale con ragazzi della stessa età, ma di diverse Nazionalità. Altre iniziative importanti della nostra Associazione sono state la partecipazione a trasferte extra regionali a carattere Internazionale. Abbiamo partecipato inoltre a diverse gare organizzate da vari Club, come da calendario stilato dal Comitato Regionale FIJLKAM, sia a livello agonistico che non, in tutta la Sardegna, dove sovente la Polisportiva Serrenti 84 si è colloca ai vertici delle classifiche delle società partecipanti alle varie competizioni». In perfetta armonia con lo spirito generoso di tutti gli abitanti di Serrenti, compresa l’Amministrazione comunale, la Polisportiva coglie sempre l’occasione per partecipare con le altre Associazioni e dare una mano nel promuovere e organizzare manifestazioni che si svolgono in ambito locale.


Redazione e Centro di Produzione via Sardegna 132 - Cagliari Tel. 070.728356 - Fax 070.728214 giorgioariu@tin.it


a Casteddu di Giampaolo Lallai

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a cida santa est sempri meda sentida a Casteddu. At a essi po is processionis chi sigheus de candu femus piciocheddus. Cumentzant sa cenabara innantis cun is Santus Misterius e acabant sa dì de Pasca Manna cun s’Incontru. Po donniuna acurrit una mech’ ‘e genti chi arresat cun fidi e devotzioni. Is processionis prus importantis funt organizadas, donniuna po contu suu, de is Cunfrarias de Biddanoa. Sa prima est cussa de sa Cunfraria

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il Cagliaritano

de sa Soledadi chi arregordat su dolori de Nosta Sennora po sa morti de su fillu Gesùs, fundada in su 1603, po circai sa libertadi de is ominis in scravidadi e s’assistentzia a is cundennaus a morti: partit de sa cresia de Santu Juanni e lompit a sa Seu; torrat s’incrasi. S’atra est de sa Cunfraria de su Santissimu Crucifissu, fundada in su 1616: nci bessit de s’oratoriu de sa cresia de Santu Jacu e bandat a sa cresia de Santu Lutziferru. Issa puru

torrat s’incrasi. In custu oratoriu funt arrimadas is statuas de is Misterius fatas de su scurpidori de Senobrì Antoni Lonis in su 1758: afigurant Gesùs in s’ortu, acapiau e arrutu a terra. Su Santu Cristu de sa processioni de Santu Juanni est de unu artista ispannolu no connotu, de su XVII seculu e s’est salvau de su fogu chi in su 1750 iat sderrocau cudda cresia. Dd’ iat arregalau su guvernu ispannolu a sa Cunfraria etotu. Tenit is


bratzus e is cambas snuaus chi favoressint su scravamentu chi est fatu in sa Seu su sabudu santu a mengianu. Sa genti s’acostat po ddu tocai, si fai su sinnali de sa cruxi, arresai, domandai una gratzia o otenni perdonu. Sa faci esprimit meda beni su trumentu mannu sunfriu po sarvai s’umanidadi. Cumentzant a dd’aprontai su dominigu de pramas: su Crucifissu est calau de sa capella innui est allogau totu s’annu e postu in cussa acanta a Nosta Sennora addolorada. Su merculis benit limpiau e untau cun ollu profumau. Sa processioni partit a sa una pretzisa de sa cresia de Santu Juanni po ci artziai in Castedd’‘e susu fintzas a sa Seu, passendi in is arrugas strintas de Biddanoa e de Castedd’‘e susu e in d’un’‘arrogheddu de sa Marina puru (sa costa). Su primu de totus est unu sonadori de tamburru, sighiu de dus ghionis, cun is simbolus de sa Passioni, e de is lantionis indoraus. Apoi ci funt is cunsorris cun su bistiri nieddu e cun sa cara cuada cun d’unu velu, nieddu issu puru. Donniuna portat in sa manu dereta unu ciriu allutu. Su Crucifissu est poderau cun is manus piadosas de is cunfraris chi faint a trivas de pari. Sa processioni caminat a pagu a pagu. De is fentanas ghetant froris e in calancun’ arruga faint sa ramadura. Bella meda est sa presentzia de is cantoris bistius cun sa tunica e su cuguddu biancus; portant unu curdo-

ni cun apicau s’Arrosariu. Funt spartzius: de una parti cussus cun boxi baxia, de s’atra cussus cun boxi arta e, prus a innantis de totus, is pipius cun sa boxi bianca. Cantant a prumonis prenus e cun abilesa manna sa Passioni de Gesùs Cristu. Est unu prexeri ddus ascurtai po oras interas. Serrat sa processioni s’Addolorada, prena de tristesa po sa morti de su Fillu notzenti chi sa malesa de is ominis at fuliau in sa cruxi; ma resinnada a sa boluntad’‘e Deus. Po seti dìs a innantis de sa cida santa, in sa cresia de Santu Juanni, faint s’arresu e cantant is atitidus. S’Addolorada portat su bistiri totu nieddu; est precedia de dus pipius chi afigurant Santu Juanni e Sa Mallena i est sighia de su predi e de sa genti. Su Crucifissu depit arribai in sa Seu prima de is tresi de merì i essi pigau, s’incrasi a cussa ora etotu, po torrai in sa cresia de Santu Juanni. Su sabudu a mengianu faint su scravamentu: Gesùs benit scravau, calau de sa cruxi e postu in d’una letiga indorada. S’atra processioni, chi bessit de s’oratoriu de Santu Jacu po andai a Santu Lutziferru e torrai, apustis de su scravamentu, su sabudu, est meda simbillanti i est sighia issa puru de genti meda. Sa giobia santa a Casteddu cuncordant is Monumentus in casi totus is cresias. Funt apariciaus cun su nenniri, cambus de trigu apillonaus in su scuriu. Is fidelis ndi visitant seti intra sa giobia a merì e sa cenabara a mengianu. Ddus visitat, cun d’una processioni a posta, sa statua de Sant’Efis puru chi, in s’ocasioni, portat su pinnaciu e su manteddu nieddus. No est cussa chi su prim’‘e maju partit po Nora, ma cussa de Antoni Lonis chi su lunis de Pasca Manna artziat a sa Seu po arregordai de nc’ essi bogau is frantzesus in su 1793. Una borta, de sa giobia santa e fintzas a sa dì de Pasca Manna, is campanas aturànt citias, non sonànt. A su postu insoru, ci fiant is matracas, connotas in casi totu sa Sardigna e a Casteddu puru. Sa matraca fiat un’arroghedd’ ‘e taula (casi trinta cm. de longaria e binti de largaria) cun d’una pariga de aneddus mannus e grussus de ferru apicaus a unus a unus e in manera de porri santziai. Pighendi sa matra-

ca cun d’una manu a sa segada chi teniat a s’ala curtza e furriotendidda de pressi una borta a manu manca e un’atera borta a manu dereta, is aneddus sbatìant in sa taula fendi un’arremoriu meda forti chi s’intendiat de atesu. Oi is matracas funt sparessias poita no serbint prus; no c’est prus abisongiu de sostituiri is campanas chi funt casi sempri mudas e no in cida santa sceti. Is campanas torrànt a sonai sa dì de Pasca Manna, sa dì prus carriga de allirghia de s’annu interu. Sonànt a festa su Groria po arregordai sa Resurretzioni de Gesùs Cristu. In manera spetziali sonànt s’arrepicu po sa Missa manna, a mesudì, e po s’Incontru chi is casteddaius, totus allichidius i alleputzadus, andànt a biri in is arrugas de sa Marina, de Stampaxi e Biddanoa. Is Incontrus ddus faint oi puru e funt s’ocasioni po atobiai parentis i amigus e ddis donai is augurius de Bona Pasca e de Medas Annus. Po s’Incontru de sa Marina sa statua de Nosta Sennora, bistia a festa, bessit de sa cresia de Sant’Olaria e cussa de Gesùs Cristu de sa cresia de su Santu Sepulcru; po s’Incontru de Stampaxi Nosta Sennora bessit de sa cresia de Sant’Anna e Gesùs Cristu de sa cresia de Sant’Efis; po cussu de Biddanoa de s’oratoriu de Santu Jacu. Candu is duas statuas lompint acanta si saludant incrubendisì e apoi torrant agoa impari. Un’usantzia casteddaia antiga chi calincunu tenit ancora bia est cussa de sa pipia de caresima, un’immagin’ ‘e paperi apicada a su muru de un’ aposentu chi afigurat una pipia cun seti peis, unu po donnia dominigu de sa caresima. Donnia dominigu si ndi bogat unu e, duncas, sa dì de Pasca Manna s’urtimu pei sparessit cun is tristesas e is penitentzias de cuddu tempus longu. In sa domu torrant prexu i allirghia e si podit nai cun cuntentesa: “Sa pipia est abarrada sentz’ ‘e peis!”.

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Strada facendo

di Francesco Alziator

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come in Villanova, né litigiosa come a Stampace, le case sono a fianco a fianco come in Castello, eppure ognuno fa per sé. Alla Marina forse sarà un effetto dell’aria fortemente iodata, nessuno sta con le mani in mano; gli uomini Roberto Ferrante

a Marina non è soltanto un quartiere, ma piuttosto una visione della vita tutta particolare. Anche se non vuole uscire dai limiti del vecchio trapezio, ogni abitante può trovare tutto nel suo quartiere. All’infuori di un cimitero per seppellire, la Marina ha tutto: alberghi, cinema, negozi di lusso e bancarelle, industrie e manifatture, giardini e terrazze e perfino i più bei topi di tutta la città. Topi audaci e saettanti, grassi e prelatizi nell’incedere, arruffati e lisci come siluri ingrassati di fresco. Topi e Bagarozzi sono la fauna stanziale del quartiere. Come i topi, i bagarozzi (che la gente chiama piuttosto prettas) sono di più specie: neri, con riflessi d’onice o con trasparenze da cellofan, biondi, elegante prodotto d’importazione che ricorda le cabine dei vecchi piroscafi, affusolati, con lunghissime, vibratili, tenui antenne. Nessuno, alla Marina, si preoccupa dei topi o dei bagarozzi. Sono di casa e, forse, se scomparissero del tutto, si finirebbe col rimpiangerli. Proprio come quel soldato che, (dopo essere stato disinfestato col D.D.T. dalle legioni di pidocchi che lo martirizzavano) guardando sconsolato l’infermiere disse “Ed ora, come faro a passare il tempo?”. La Marina è un sentimento, uno stato d’animo al quale si perviene attraverso chissà quale ignota iniziazione. Conosco decine e decine di Napoletani e di Siciliani che fanno parte della Marina; ci sono Cinesi che ne fanno parte, ma migliaia di Cagliaritani di vecchio ceppo che l’attraversano centinaia di volte all’anno ne restano affatto estranei. Alla Marina la gente non è espansiva

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LA MARINA, UNA VISIONE DELLA VITA TUTTA PARTICOLARE L

hanno tutti un lavoro, qualunque esso sia:banchiere o fattorino, lustrascarpe o imbroglione, cosa faccia non importa; una cosa è certa: nessuno si gratta. Le donne hanno cento risorse, impagliano sedie, fanno le commesse o le dattilografe, riparano o tessono reti e soprattutto stendono biancheria e innaffiano fiori. E’ incredibile la quantità di biancheria stesa che impavesa da un balcone all’altro le strette vie del quartiere, biancheria femminile nera, rosa, orlata e peccaminosa che pare uscita da una vetrina di Rue de la Paix, mutandoni e braghe di tela, camisacci da marinaio, panni di bambino, lunghi interminabili festoni di pannizzus alla moda di cinquant’anni fa. Ogni giorno il gran pavese dei panni stesi fa festa al vento di mare o di terra. A levar gli occhi in alto dalle vie povere di cielo si scopre l’incantesimo dei balconi fioriti


che nessuna parte della città, neppure il Castello che ha una topografia simile, ma è più battuto dai venti, abbia odori così caratteristici e così intensi come la Marina. Dove? Se non qui, si sente così forte l’odore di vino delle bettole, il profumo delle spareddas o delle carinas che indorano nelle graticole, i fiumi corposi e voluttuosi dei longus arrosto? Decine e decine di odori, diversi per ogni via e ad ogni ora del giorno, stanziano come cortine fumogene sul quartiere. Al primo mattino le vie sanno di letto e di pavimenti umidi, più tardi di canestre di pesce e di alghe, poi di arrosto e di fritto ed infine di sole e di silenzio. C’è proprio anche un odore di sole e di silenzio, che è quello stesso che ha la pelle al mare e la spiaggia al meriggio. La Marina è il più sudicio, il peggio illuminato, il più arretrato ed irrazionale quartiere della città, eppure è quello che meglio

la esprime, quello che la gente più ama e meno vuole lasciare, sia che viva in una stamberga di due metri d’altezza, con il soffitto di travi di ginepro, o in un elegante appartamento sulla Via Roma con l’aria condizionata. La Marina è un modo di vivere, una filosofia dell’esistenza che vince i secoli. Per questo, a sera, quando nelle bettole degli altri quartieri gli ubriachi litigano, quelli della Marina cantano. *Francesco Alziator da “L’elefante sulla Torre”

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di ferro battuto. Napoli, Barcellona, Palma, Siviglia non ne hanno di migliori. Il ferro perde ogni rigidità metallica, si fa nastro, vilucchio di pianta, ha flessuosità di carta ritagliata, s’attorce in spire barocche, si compone in simmetrie neoclassiche, fluttua in ondeggiamenti liberty, ha sapori e climi d’Arcadia, prelude Churriguera o Valadier. Ognuno di questi balconi dovrebbe essere schedato e studiato e la burocrazia che qualche volta riesce perfino ad essere utile, dovrebbe tutelare questo incomparabile patrimonio cittadino che attende ancora il suo studio, ma ebbe già in Valere il suo poeta. Oltre la biancheria, i balconi e le donne che hanno fama di essere le più smaliziate e le meno sentimentalmente aggredibili di tutta la città, la Marina ha i suoi odori. Le vie strette e le case alte fanno in modo

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IntervisteadAngeloLaieFrancaDallolio

C

i sono momenti che i cagliaritani non scorderanno mai, o perché li hanno vissuti, o perché li hanno sentiti rievocare tante volte. Nel campo della politica, dello sport, della cultura e dello spettacolo, questi eventi sono legati indissolubilmente a persone che sono diventate parte della storia recente della città. Molti ricorderanno, ad esempio, un grande nome del panorama politico sardo: l’ex sindaco di Cagliari

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di Francesco Fuggetta Angelo Lai, in seguito Senatore della Repubblica. E ancora, la bella cagliaritana che nel 1963 vinse il concorso di Miss Italia: Franca Dallolio. Li abbiamo incontrati, per scoprire qualche particolare in più della loro vita e degli eventi che li hanno riguardati. Senatore, come avvenne il suo ingresso nel mondo della politica? Dopo la fine della seconda guerra mondiale ripresi nuovamente le mie attività, ottenni la laurea in

Giurisprudenza e diventai avvocato. Fu in quel periodo che cominciai a frequentare l’Azione Cattolica di Cagliari. Lei ha amministrato la città per 15 anni, dal 1960 al 1975: ci può ricordare i suoi incarichi al Comune? Sono entrato nell’amministrazione della Città nel 1960 come consigliere comunale (allora ce n’erano 50, oggi sono 40). Poi diventai capogruppo del mio partito, la Democrazia Cristiana, e lo rimasi fino al ’75, quando terminai la mia carriera al Comune. Nella giunta di Brotzu e De Magistris fui nomi-


nato Assessore allo Sport e Turismo, fino al ’69. In seguito fui consigliere di amministrazione dell’Università di Cagliari, presidente del Conservatorio e dell’Ente Lirico. Quali furono i problemi più urgenti che dovette affrontare? Senza dubbio il piano regolatore. Cagliari, nel dopoguerra, era sorta con un piano di ricostruzione, ma non aveva un piano regolatore generale. Fu varato nel ’63 ed entrò in vigore nel ’65. Dopo la guerra e i bombardamenti degli inglesi e degli americani, bisognava ricostruire il 75% degli immobili. La Città, infatti, ricevette la Medaglia d’Oro al Valor Militare, che ora si trova nella sala dell’ex Giunta, appuntata sul gonfalone: venne a portarcela Giovanni Gronchi in persona, che era allora Presidente della Repubblica.

Ricorda quale è stata la sua più grande soddisfazione, il suo progetto meglio riuscito durante il suo incarico da Sindaco? La mia passione è sempre stata lo sport, in particolare il calcio: da ragazzo giocavo, poi ho dovuto interrompere a causa della guerra… La mia più grande soddisfazione è avere dato il via alla costruzione dello stadio di S. Elia. Ho fatto iniziare la costruzione da assessore nel ’65 e l’ho inaugurato da sindaco nel ’70. Il Cagliari ha così potuto giocare la prima partita con lo scudetto nel nuovo grande stadio di S. Elia. Successivamente ho fatto costruire il Palazzetto dello Sport, e in quella zona sono sorte tutte le società sportive: l’Aquila, la Rari Nantes, l’Esperia. Una cosa di cui nessuno si ricorda più è la palestra di pugilato, che feci costruire vicino al Palazzetto dello Sport. Lei era un esponente della Democrazia Cristiana, con quale maggioranza e alleati fu eletto sindaco? La mia fu la prima giunta di centrosinistra, era composta da democristiani e socialisti. Il vicesindaco era Duilio Casula. Poi nel ’71 ci fu la crisi: mi chiesero di restare, ma io non ne avevo intenzione. Il mio stipendio era di 180.000 lire al mese, e veniva speso quasi tutto per i regali agli impiegati, in occasione di matrimoni, pensionamenti e altre evenienze. Lei aderì alla corrente dorotea o a quella andreottiana? Nel primo periodo ero più doroteo, anzi direi moroteo: era la corrente di Aldo Moro. Poi in Senato seguii la corrente di Andreotti: l’ho conosciuto fin da giovane perché era il presidente nazionale della FUCI, la Federazione Universitaria Cattolici Italiani. Lui ha

appena compiuto 90 anni, io ne faccio 89 a luglio. Politicamente parlando, si è sentito più gratificato in Sardegna o in ambito nazionale, in Senato? Sono state due esperienze molto diverse, ed io sono stato gratificato sia da una parte che dall’altra. In Senato ti utilizzano per quello che sai fare, io sono stato specialista di diritto tributario – sono stato il primo avvocato tributarista in Sardegna – e sapendo questo mi hanno affidato alla Commissione Finanza e Tesoro, che è quella che lavora di più, perché da lì passano tutte le leggi, con relative entrate e uscite. Ho fatto due legislature in Senato, l’VIII e la IX, dal ’79 fino all’87: avevo un residence a Roma e vivevo lì dal lunedì al venerdì. Quando la gente vede l’aula semivuota alla Camera o in Senato, non pensa che quando le leggi arrivano in aula, quella è solo la fase finale, perché sono state prima discusse e approvate in Commissione. Ha potuto svolgere tranquillamente il suo programma o anche allora c’erano i trasformisti? Prima il sistema era diverso, era il consiglio comunale che eleggeva il sindaco e gli assessori. Ora fanno tutto il sindaco e la giunta: c’è maggiore stabilità, ma credo che il vecchio sistema fosse più giusto e più democratico. Per quanto riguarda i trasformisti, certamente c’era chi passava da uno schieramento all’altro, ma nessuno andava via dalla DC: al limite erano gli altri che volevano unirsi a noi, perché il nostro era il partito al potere. In che modo è cambiata Cagliari, da allora? Innanzitutto Cagliari contava 250.000 abitanti: comprendeva tutte le frazioni che ora sono comuni a sé stanti, come Monserrato, Quartucciu, Elmas. Il Comune aveva 2.000 impiegati, fra i quali ben 600 netturbini. Ora la città ha circa 170.000 abitanti. Non c’è dubbio che nel tempo è notevolmente migliorata, è più moderna e più bella. Apprezzo molto i progetti per la realizzazione del lungomare di via Roma, e del sottopassaggio. Noi all’epoca avevamo in mente di costruire una sopraelevata, simile a quella del porto di Genova, ma non ce lo permisero. C’è qualcosa, in ambito politico,

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che oggi non rifarebbe? Direi di no: ogni cosa che ho fatto è perché la ritenevo giusta. Mi sono sempre confrontato con tutti, ho discusso… ma non ho niente di cui pentirmi.

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ignora Dallolio, lei è stata eletta Miss Italia nel 1963. Come iniziò quell’avventura? Avevo 17 anni, frequentavo la seconda liceo al Dettori. I concorsi di Miss Cagliari e Miss Sardegna si svolgevano al Lido: io e le mie amiche d’estate andavamo sempre lì e così decidemmo di partecipare alle selezioni, in abito da sera. Arrivò anche Enzo Mirigliani, e quando mi vide sulla spiaggia mi disse: “Lei sarà Miss Italia”. Poi una volta arrivata al titolo di Miss Sardegna, mi imposero quasi di partecipare. Mio padre era contrarissimo: allora l’ambiente di Cagliari era abbastanza chiuso. Mia madre invece era d’accordo, era anche più moderna di me… Poi ci furono le selezioni a Salsomaggiore…. Partii con una zia e un cugino. Lì ebbi una delusione: i giornalisti trattavano le ragazze come fossero delle oche. Io reagii male, e a certe domande risposi anche in modo sgarbato. Loro rimasero spiazzati da questa ragazza con le gambe lunghe e la lingua tagliente come una spada. E fu lì, secondo me, che vinsi il titolo. In seguito lavorò nel mondo dello spettacolo? Io posi come condizione di non continuare, non avevo firmato niente. Infatti dopo l’esperienza con me, Mirigliani disse: “D’ora in poi contratti

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ferrei, rigidi”, perché si era ritrovato praticamente senza una Miss Italia. Andai al Festival di Venezia, feci una sfilata in Inghilterra, poi basta. Non volli andare neanche al concorso di Miss Mondo, a Miami, perché avevo paura dell’aereo. Mi proposero un film con Celentano, ma rifiutai: non era il mio mondo. Qual è il ricordo più bello di quell’esperienza? La solidarietà che si era creata tra noi ragazze, al punto che alla fine del concorso regalai la pelliccia di visone che avevo vinto ad una ragazza che io ritenevo bellissima, ma che non aveva vinto niente. Poi regalai la macchina da cucire ad un’altra ragazza che era sposata e aveva un figlio, e lo teneva nascosto perché altrimenti non avrebbe potuto partecipare, anche se tutte noi lo sapevamo. Le altre erano tutte più grandi di me, sui 22-25 anni, io ero la piccolina del gruppo. A parte questi due premi, quale fu la vincita in denaro? Il premio consisteva in 500.000 lire in gettoni d’oro e un’automobile, una Fiat 1800: per quei tempi erano dei bellissimi premi. I ladri poi entrarono in casa mia e portarono via la cassaforte, con la vincita, tutti i ricordi di Miss Italia e di famiglia. Oggi segue sempre il concorso di Miss Italia? In che senso è cambiato? Qualche volta lo seguo. Ora è uno spettacolo, prima era una manifestazione molto diversa: erano tre serate, che venivano trasmesse alla radio. Oggi non avrei mai vinto: non so ballare, non so cantare. Allora non dovetti superare delle prove, se non la sfilata: comunque fu una stanchezza infinita, perché eravamo impegnate dalle otto del mattino fino a mezzanotte. Posso chiederle se è sposata? Ha figli? Sì, ho due femmine e un maschio, e sono anche nonna. Oggi consiglierebbe alle sue figlie di partecipare a Miss Italia? No, loro non hanno mai avuto velleità artistiche o di spettacolo. Ma se fossero state interessate, perché no? Passiamo alla sua carriera politica. Come avvenne l’ingresso in Consiglio Comunale? Fu un’esperienza esaltante. Era

il 1994: avevo aiutato mio cugino Valentino Martelli, che era allora senatore, nella campagna elettorale. Mi chiamò e mi disse: “Stiamo cercando una donna per Alleanza Nazionale, tu sei la persona giusta”. Io risposi: “No grazie, non mi interessa”. Il giorno dopo apro l’Unione Sarda e trovo il mio nome in lista! Così fui candidata ed eletta consigliere comunale. Eravamo un gruppo di persone che credevano veramente in ciò che facevano… E il sindaco era Mariano Delogu… Sì, una persona eccezionale. Una sua frase mi è rimasta impressa: “Non metterò a repentaglio il mio nome e trent’anni di onorata carriera di avvocato per un qualsiasi errore”. Leggeva tutto, controllava tutto, era un decisionista. Poi arrivò la rielezione nel 1998… Sono rimasta in Consiglio fino al 2001. Come presidente della Commissione Cultura, preparai tutte le schede per la ristrutturazione dei monumenti in vista del Giubileo. Feci delle ricerche per ottenere i finanziamenti, così 13 monumenti di Cagliari vennero ristrutturati: sono molto orgogliosa di questo. Nel 2000 sono stata candidata alle regionali, conquistai 2000 voti: il consigliere col maggior numero di voti, ma non venni eletta. Ora di cosa si occupa? Mi sono laureata in lettere e ho insegnato per 28 anni nelle scuole medie dell’hinterland: italiano, storia e geografia. Scuole di frontiera, dove c’era da combattere. Da nove anni gestisco una farmacia, e devo dire che l’esperienza fatta in Comune mi è stata utilissima anche per affrontare al meglio quest’ultimo impegno.


107 107 non è un numero qualsiasi: è l’articolo del Testo Unico Bancario che prevede un elenco speciale per gli intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia. Finsardegna è stato il primo Confidi in Italia a richiedere l’iscrizione al 107 ed il primo ad ottenerla. 107 significa per Finsardegna un impegno sempre più concreto in favore delle 3000 imprese socie un nuovo ruolo nel sistema del credito una responsabilità sociale più forte una nuova sfida per la crescita professionale. Tutto questo in un numero, ma il 107 non è un numero qualsiasi.

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Uffici di corrispondenza Villacidro Alghero Ozieri Tempio Pausania

è il Consorzio Fidi della

sarda


GRANDI CAGLIARITANI CIHAAPPENALASCIATOCARLODEMAGISTRIS

IL SENSO DELLA MISURA E DELLA GIUSTIZIA di Antonello Angioni

T

racciare, anche se per grandi linee, il profilo di un uomo è compito non semplice. E la difficoltà aumenta ove si debba ricordare una persona alla quale si era legati da un rapporto di amicizia e affetto. Infatti, nel definire i caratteri dell’uomo, inevitabilmente si sovrappongono e si intersecano ricordi personali e sentimenti che, in qualche misura, riflettono anche le emozioni che, nel corso del tempo, si sono sedimentate nell’animo e nella memoria di chi ora è chiamato, attraverso lo scritto, a rendere testimonianza. Inizio da alcuni dati biografici. Carlo De Magistris era nato a Cagliari il 6 aprile 1952 da Edoardo, stimato magistrato (concluse la carriera da presidente di Sezione della Corte di Cassazione), e da Maria Cannas Asproni, nipote di Giorgio Asproni junior. Dopo gli studi liceali si laureò presso la facoltà di Giurisprudenza

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dell’Università di Cagliari discutendo una tesi in diritto canonico col prof. Roberto Frau. Dal padre aveva recepito il senso della misura e della giustizia che connotò i suoi comportamenti e le sue espressioni simboliche, rendendo il suo stile di vita equilibrato e discreto, sobrio, contrario alla vistosità e agli sprechi. D’altronde, sin da bambino, nel quartiere Castello, aveva avuto modo di incontrare quell’umanità povera e sofferente che viveva nell’umida oscurità de is baxius, ambienti tetri e ammuffiti in passato adibiti a scuderie e magazzini dell’aristocrazia feudale. Quell’esperienza sicuramente influenzò la sua futura visione del mondo rendendogli impossibile qualsiasi atteggiamento di disimpegno nei confronti dei bisognosi e dei deboli. Un’esperienza che lo segnò e divenne un’idea guida della sua fede cristiana. Carlo professava il cattolicesimo alla

lettera e, conseguentemente, praticava la carità con discrezione come un obbligo morale. Intorno a questo credo costruì la trama della sua vita personale e professionale ponendo i valori morali al vertice delle proprie azioni. Conseguito il titolo di procuratore legale nel 1981, per le sue doti umane e professionali, diventò ben presto un punto di riferimento all’interno dell’Avvocatura cagliaritana. Venne eletto più volte consigliere dell’Ordine Forense e, in tale veste, fu subito apprezzato per il suo equilibrio e la serenità nel giudicare i colleghi. Del resto tale attività rientrava nella tradizione dei De Magistris. Sin dal Cinquecento molti membri della famiglia erano magistrati e forse proprio dall’esercizio di tale delicato ufficio trovò origine il loro cognome ed il motto “Juste iudica proximo” (giudica il tuo prossimo secondo giustizia) che campeggia sopra lo stemma nobiliare. Fu proprio in occasione della mia entrata nel Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari che ebbi modo di apprezzare più da vicino le doti di Carlo. Devo dire che, pur non essendo del tutto convergenti negli ideali politici, scoprii da subito notevoli affinità culturali e sociali, gusti e abitudini comuni e, in fondo, la partecipazione ad una stessa visione del mondo. Mi affascinavano molto la sua intelligenza e la sua sensibilità. Il suo amore smisurato per la Sardegna e per la


S città di Cagliari in particolare, la sua disponibilità a renderti partecipe delle sue notevoli conoscenze e della cultura che aveva. Al riguardo devo dire che, nei nostri colloqui e negli scambi, all’inizio, non ci fu una reale reciprocità essendo lui molto più avanti di me nelle conoscenze. Solo più tardi, col mio lento progredire, si realizzò una maggiore comunicazione. Fu allora, intorno al 2000-2001, quando stavo scrivendo la “Guida alla città di Cagliari”, che la frequentazione si fece più intensa. Licenziavo un capitolo ogni 7/10 giorni e, con analoga cadenza, nella tarda serata, mi recavo nel suo studio per verificare l’elaborato. I suoi suggerimenti consentirono di correggere diversi errori e colmare vuoti. Devo dire che, senza il suo aiuto, non sarei stato in grado di andare avanti con la necessaria speditezza: si trattava di scrivere 38 capitoli. Quando l’opera venne ultimata, mi riservò l’onore di presentarla (unitamente all’arch. Francesca Pulvirenti Segni e al comm. Paolo Fadda) presso la Camera di Commercio di Cagliari. Per me fu una grande gioia. Dopo di che la frequentazione si fece più intensa. Grazie a lui venni coinvolto nella delegazione del FAI di Cagliari. Promuovemmo tante iniziative. Ricordo la mostra “Invito a nozze”, allestita nel maggio del 2004 presso la Sala Matrimoni del Palazzo Civico, che riscosse un notevole successo. Carlo aveva messo a disposizione del FAI i suoi numerosi “cimeli” (partecipazioni di nozze, bomboniere, sonetti, ecc.) che consentivano di dare una chiave di lettura della società cagliaritana durante il secolo che va all’incirca tra il 1850 e il 1950. Ricordo ancora quando, sempre nel 2004, in occasione della “Giornata di Primavera” organizzata dal FAI, guidò una visita alla “Collezione Piloni” (uno dei tesori dell’Università di Cagliari): Carlo descriveva ogni carta geografica, ogni acquerello, ogni dipinto, ogni stampa con una naturalezza ed una familiarità davvero uniche. Era evidente la passione del collezionista che, unita alla competenza dello storico, sa collocare il singolo oggetto in una vicenda più ampia di cui costituisce frammento e al tempo stesso memoria. In lui la complessa dimensione indivi-

duale e le straordinarie caratteristiche della personalità erano strettamente interrelate alla dimensione culturale, sociale ed etica in modo inestricabile. Aveva una particolare passione per i libri e per gli studi storici: una passione sicuramente favorita dalla permanenza a Torino per alcuni anni. Figura alta e nobile dell’Avvocatura e della cultura cagliaritana, interpretò in chiave cristiana il mondo degli umili. Confratello e grande animatore dell’Arciconfraternita del Gonfalone sotto l’invocazione di Sant’Efisio martire, mi diede un grande aiuto quando, nel 2007, venni incaricato -dalla delegazione di Cagliari dell’Unesco - di redigere una prima relazione di inquadramento culturale della sagra in vista del suo riconoscimento - dal parte dell’Unesco - quale patrimonio immateriale dell’umanità. Carlo ricopriva anche l’incarico di consigliere di amministrazione della “Fondazione Siotto” e della “Scuola Carlo Felice”. Era inoltre presidente emerito della “Commissione Araldica Genealogica”, ispettore archivistico onorario, consulente della casa editrice “Illisso”, socio del Rotary. Era stato anche componente della “Commissione vertenze arbitrali” della Federazione Italiana Pallacanestro. Faceva tutto con grande semplicità e spirito di servizio, come era nella tradizione della sua famiglia. Come faceva suo nonno, il conte Edmondo De Magistris di Castella, “il medico dei poveri”, che apriva quotidianamente le porte del suo ambulatorio in via Lamarmora alla folla degli indigenti. O come faceva la nonna Agnese Ballero Ciarella che, senza sosta, dedicò la propria vita ai meno abbienti promuovendo iniziative a favore di ospizi, ricoveri e istituti di beneficenza: in questo sforzo continuo inventava lotterie, organizzava questue, presiedeva comitati. Eppure Carlo De Magistris di Castella, nonostante fosse sempre disponibile e portato a trovarsi a suo agio con chiunque, apparteneva ad una delle famiglie della più esclusiva nobiltà cagliaritana. Ricordo che i De Magistris giunsero in Sardegna, dal Piemonte, nel 1842. Fu il conte Edoardo, ufficiale dello Stato Maggiore, ad arrivare per primo. A Cagliari si sposò con

Francesca Giuseppina Amat (figlia del suo comandante). Suo figlio Casimiro si sposò con Maria Grazia Roberti dei conti di Castelvero: una famiglia di nobili origini che aveva avuto tra i suoi membri uno degli ultimi viceré di Sardegna, Giuseppe Roberti. Ove si consideri che i De Magistris avevano ottenuto il titolo comitale direttamente dall’imperatore Carlo V (che nel 1536 aveva fatto conte l’astigiano Giovanni Tommaso De Magistris) non vi è dubbio che Carlo avrebbe potuto tenere le distanze, ma ciò non era nel suo stile. In lui si leggeva, nell’aspetto somatico e comportamentale, nel linguaggio e nello stile di vita un inconfondibile tratto signorile. A cominciare dal volto. Sotto la fronte ampia, intelligente e aperta, due occhi attenti illuminavano il viso con uno sguardo lucido e lineare, a tratti severo. Ma dietro quella espressione rigorosa vi era sempre una grande umanità, una comprensione affettuosa, soprattutto verso gli umili e i bisognosi. In ciò era accomunato agli altri De Magistris, uomini probi e di elevatissimi sentimenti. Ho detto del nonno don Mondino, “il medico dei poveri”, e del padre Edoardo, magistrato di cassazione, secondo figlio di don Mondino, diventato conte di Castella a seguito della morte del primogenito Casimiro, integerrimo prefetto della Repubblica, tra i fondatori della democrazia cristiana in Sardegna, stretto collaboratore di Antonio Segni. Potrei parlare di Paolo De Magistris, “don Paolo”, fratello del padre, più volte sindaco di Cagliari e raffinato interprete della città e delle sue vicende, col quale Carlo condivideva numerosi interessi; potrei parlare di Ignazio, altro zio, giornalista Rai attento ed impegnato; ed ancora di “zio Luigi”, vale a dire di monsignor Luigi De Magistris che ha ricoperto importanti incarichi in Vaticano restando sempre legato alla sua città. E potrei parlare di altri ancora. Ma preferisco chiudere il ricordo parlando della moglie, Maria Giulia Lo Faso di Serradifalco, donna di grandi qualità umane che ha seguito Carlo durante la malattia con grande serenità senza mai perdere la fede cristiana. Con Maria Giulia, Carlo lascia due figli ancora in tenera età: Edoardo e Maria Teresa.

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GRANDIDISARDEGNA:ANTONIOGRAMSCI

L’ I M P E R AT I V O

DEL FARE

di Eugenio Orrù

di Biagio Arixi

L

e relazioni e gli interventi dei dibattiti dell’Istituto Gramsci della Sardegna, organizzati anche per l’iniziativa di altre associazioni e enti, negli anni 20052006, toccano temi più che mai cruciali ancora oggi: lo sviluppo, le condizioni materiali dell’esistenza, la qualità della vita, la scuola, la cultura, la ricerca; le istituzioni e la loro forza e vitalità in Italia, in Sardegna e nel mondo; l’identità, i valori dell’esistere, i principi e le regole di condotta civile, politica, morale; la democrazia, la società, lo Stato; la democrazia come scelta, come conquista, come partecipazione del cittadino, come dignità dell’uomo; quindi la Costituzione e i suoi contrari: il fascismo, il totalitarismo, il dispotismo, il populismo, il declino culturale, politico, civile e morale della società contemporanea e anche le vecchie e nuove forme di criminalità in Sardegna e in Italia; e infine la riflessione su uomini fondamentali come Gramsci, come Lussu, come Berlinguer.

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Tutti questi temi, e ancora altri, contiene il libro, che non si propone come mera registrazione di un pensiero già espresso, datato e pur vivo nel presente, ma vuol’essere monito, sollecitazione, stimolo per esserci, per alzarsi in piedi, per avere voce, diritti, identità, dignità, felicità. Non c’è democrazia senza partecipazione consapevole, senza diritti e potestà della collettività e dei singoli, senza l’affermazione di una volontà collettiva, per dirla con Gramsci, se non è vincente la volontà generale, per dirla con Rousseau, se non vale la legge universale, per dirla con Kant, se non si lavora per conquistare il superamento di ogni forma di alienazione, proprio come pensava Marx, per costruire la società superiore, l’uomo “totale”. Riflettere sulle istanze cruciali della condizione umana, della politica come etica e come cultura, come espressione la più alta e più nobile delle occupazioni dell’uomo, è l’imperativo che contraddistingue questo libro, l’impe-

rativo del fare, per costruire il futuro. Più che mai il mondo si configura “grande e terribile”, come ha scritto Gramsci; più che mai il mondo appare aggrovigliato e complesso e il futuro incerto e oscuro. Tutto è in discussione, anche i valori più alti sembrano vacillare e deperire tutte le certezze e i principi già definitivamente consolidati. Si vede l’abisso. Ma la storia non può finire così e la vita non dà solo questa truce prospettiva. Forse il mondo dell’uomo attraversa oggi la più grande rivoluzione della sua esistenza, con le straordinarie conquiste della scienza e della tecnica, con gli sconvolgenti processi sociali, con la società globalizzata, mentre permangono situazioni orride e disperanti, ferocie senza limite e senza fine. Ma la speranza non può morire, non perché – come si dice - è l’ultima a morire, ma perché l’uomo come singolo, l’uomo come forza e volontà collettiva, può e deve vincere la battaglia della costruzione della vita. Perché è possibile venire a capo del groviglio


delle contraddizioni, delle minacce di futuro, delle catastrofi e degli abissi annunciati. E’ possibile contare su istanze universali che non sono morte, su principi, su valori invincibili. E’ possibile governare il mondo e renderlo vivibile. La riforma intellettuale e morale, di cui parlava Gramsci, cioè il rinnovamento radicale e profondo dell’esistenza è possibile, è conquistabile, è alla nostra portata. Non bisogna perdere la speranza, smarrire la bussola. Il traguardo non è sicuro, forse è molto lontano e la strada è impervia e tortuosa, ma il tracciato può essere sicuro, perché la stella polare c’è e non può essere persa di vista. Non può essere persa di vista perché richiama temi vitali. La riforma intellettuale e morale che si evoca, e si imporrà, domanda il superamento delle attuali forme economiche, delle presenti condizioni materiali di vita. Anzi, a partire da questo cambiamento è possibile costruire una umanità nuova, contare su un cittadino sog-

getto e depositario di diritti, garantire l’esistenza di esseri pensanti che pretendono di non essere ridotti a passivi e proni consumatori, ma che combattono e affermano pienamente la propria identità, la propria dignità. Da qui parte e trova alimento e forza la riforma intellettuale e morale: una superiore cultura, una più alta civiltà, che vuol dire una nuova scuola, istituzioni riconosciute e forti, forme della politica che esaltino ad un tempo l’etica, la cultura, la giustizia, la democrazia. In altre parole, per stare al tema oggi cruciale, occorrono partiti robusti, democrazia partecipata, per esercizio reale di volontà collettiva; serve una politica che esalti l’interesse generale, oggi così sconosciuto nella politica operante di personaggi mediocri, anzi nani, di truffaldini e di criminali, anzi di vere e proprie associazioni per delinquere. E’ possibile sul serio costruire una società superiore a misura degli interessi generali, all’altezza dei valori più alti. Le risorse intellettuali, morali esistono per questo compito arduo,

ma assolvibile. Operando per liberarci dall’indifferenza, dall’ignavia, dalla rassegnazione e dal fatalismo. Per conquistare speranza, fiducia, certezze vincenti, che nessun ostacolo potrà vanificare. “In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità”. Ha scritto Zygmunt Bauman nel libro dal titolo “La vita liquida”. La vita liquida è precarietà, incertezza, passività, sconfitta. Ma la vita moderna può essere il suo contrario. L’uomo, come singolo e come collettività, può vincere. Dappertutto. Anche in Italia, dove, come segnala esemplarmente Luciano Gallino(“L’Italia in frantumi”) modernizzazione e globalizzazione si sono tradotte in dilagante precarietà di condizioni materiali , in crisi dell’istruzione, in crescente e drammatica forbice di disuguaglianze e in povertà. Ma il destino dell’Italia non è scontato. Come non è scontato i destino del mondo. “Il capitalismo ha i secoli contati” è il titolo dell’ultimo libro di Giorgio Ruffolo: il capitalismo con le sue incognite e prospettive drammatiche. Ma il futuro può riservarci positive sorprese. E la globalizzazione, ha scritto Joseph Stiglitz (“La globalizzazione che funziona”), può diventare, anzi deve diventare, una forza positiva, con lo sviluppo di tutte le sue potenzialità, nel pieno rispetto della democrazia e della giustizia sociale. Come sarà il mondo nei prossimi cinquanta-cento anni? Così ha risposto Jacques Attali in “Breve storia del futuro”: “Scrivo questo libro perché il futuro non assomigli a quello che temo sarà. Io credo nella vittoria dell’iperdemocrazia, forma superiore di organizzazione dell’umanità, espressione ultima del motore della storia: la libertà”. Non c’è spazio per disperanti teorizzazioni. Contro tutti gli egoismi e la loro feroce violenza si può vincere. Un mondo migliore è possibile. Conta l’impegno di ciascuno e per costruirlo vale la pena , per tutti, di spendere la propria vita.

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ORGOGLIO CAGLIARITANO

IL SORRISO CALDO E SOLARE DI CATERINA di Antonello Angioni

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i Caterina Murino la prima cosa che ti colpisce sono gli occhi: marcatamente mediterranei e intensi, esprimono una carica magnetica rara che solo le persone dotate di una particolare sensibilità e comunicativa possiedono. E’ stato scritto che nei suoi occhi vi è un qualcosa di greco o mediorientale. Io dico che vi è la Sardegna, crocevia di popoli e di etnie, terra d’antica civiltà. Del resto è noto a tutti che nel dna dei sardi vi è anche una componente di origine egeo-anatolica che si ricollega alle prime grandi migrazioni nel Mare Nostrum. E poi di Caterina ti colpisce il sorriso, caldo e solare, quasi un’esplosione di luce. Penso che una donna così non poteva che nascere in Sardegna e proprio qui, a Cagliari, la “città del sole” cantata dall’indimenticabile Francesco Alziator: città di pietra e d’acqua, aggiungo. Una città da sempre aperta al sole, al vento e alla voce del mare. A queste origini, alle sue radici, Caterina si richiama spesso, come ha fatto anche di recente in un’intervista in cui ha affermato di non sentirsi italiana ma sarda e di portare avanti questa rivendicazione d’identità in giro per il mondo. O ancora quando si dichiara “cento per cento sarda”. Il suo cognome del resto dovrebbe svelare radici ogliastrine, forse del villaggio

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di Osini: terra affascinante e di grande riservatezza, proprio come Caterina. Ma Caterina Murino, all’espressività del sorriso e alla grazia del corpo, unisce l’eleganza del portamento, agile e sapiente, che concentra il grande patrimonio gestuale di cui è portatrice e che si esprime compiutamente nelle sue interpretazioni teatrali e cinematografiche. E’ unanimamente apprezzata, oltre che per la sua bellezza e la bravura sulle scene, anche per uno spiccato senso dello stile: merce questa sempre più rara in una società che fa tutto di corsa e privilegia la quan-

tità alla qualità, l’avere all’essere. Caterina Murino nasce a Cagliari nel 1977 e inizia a farsi conoscere dal grande pubblico nel 1997 quando, non ancora ventenne, partecipa alla finale del prestigioso concorso di “Miss Italia”, classificandosi quinta. L’anno successivo lavora per un’agenzia di moda. Dopo di che studia recitazione a Roma nel laboratorio teatrale della scuola di cinema e teatro di Francesca De Sapio e muove i primi passi in televisione come valletta muta (letterina) nel popolare programma “Passaparola” condotto da Gerry Scotti su Canale 5. Quindi, dopo aver curato alcuni programmi di cinema e moda, si fa apprezzare in tv nella fiction “Le ragazze di Miss Italia” per la regia del maestro Dino Risi (si tratta di una produzione televisiva andata in onda nel 2002). Da allora le affermazioni e i riconoscimenti non si contano: il cinema, il teatro e la tv spalancano le porte a Caterina. E lei tenta, con molta decisione, di far fiorire la sua passione per la recitazione. Alterna alle fiction (“Il Giovane Casanova” e “Don Matteo” nel 2001) il teatro portando in scena importanti lavori di Agatha Christie e Luigi Pirandello. Nel 2002 ha il suo primo ruolo importante nel grande schermo in “Nowhere” dello scrittore cileno Luis


Sepùlveda. Un debutto che potremo definire letterario in un lavoro che in Italia passa quasi inosservato, ma non altrettanto in Francia: si tratta di una toccante pellicola sulla sorte dei desaparecidos nell’America Latina che mette in luce una verità scomoda. Caterina interpreta con grande naturalezza Helga Estrella e in questo ruolo esprime anche qualcosa delle eterne malinconie della Sardegna. Segue il cortometraggio “Il Grafologo” di Alberto Pucci ove ricopre il ruolo di protagonista. La svolta alla sua carriera avviene quando decide di trasferirsi in Francia. Nel 2004, grazie alla sua partecipazione come co-protagonista (nel ruolo di Lea Leoni) in “L’Enquête Corse”, un film sul banditismo con Jean Reno e Christian Clavier (che è anche lo sceneggiatore), diventa molto popolare nella nazione transalpina al punto di essere più famosa in Francia che in Italia. In questo lavoro Caterina Murino è perfetta nel ruolo della sorella del bandito: sensuale, misteriosa e un po’ sofferta. Inoltre offre un’eccellente e magistrale interpretazione della realtà corsa. Nel 2005 va in scena con “L’amour aux trousses”. Al crescente successo contribuisce anche la sua partecipazione nel popolare film “Les Bronzès 3 - Amis pour la vie” di Patrice Leconte, girato nel 2006, ove interpreta Elena. Con l’esperienza francese Caterina oltrepassa la sua zona d’ombra e amplia la visione della vita e il suo rapporto col mondo della cinematografia. Ora vive a Parigi. Ma non lavora solo in Francia, ritorna spesso in Sardegna e in Italia, va in Spagna, in Germania e in Gran Bretagna e persino in Canada e in Argentina. Nel 2006 viene scelta come Bond girl nel film “Casinò Royale” di Martin Campbell. Interpreta Solange Dimitrios, bella e insoddisfatta moglie del contrabbandiere Dimitrios

(uno dei soci in affari di Le Chiffre, nemico di James Bond). Con questo lavoro Caterina Murino ha la possibilità di affiancare il suo nome ad attori del calibro di Giancarlo Giannini, Eva Green e Daniel Craig (che, con la sua faccia di bronzo, interpreta per la prima volta il grande agente 007 durante una delle sue importanti missioni). Il film diventa campione d’incassi in tut-

to il mondo e questo le fa ottenere una notorietà immediata che le consentirà di prender parte a importanti produzioni soprattutto italiane, francesi ed inglesi. Sempre nel 2006 Caterina Murino va sul set con “La leggenda di Eleonora di Arborea”, un lavoro di Claver Salizzato riconosciuto “film d’interesse culturale nazionale”: la trama narrativa si incentra su un personaggio assai caro a Caterina che la riporta alle sue radici di donna di Sardegna. La giudicessa Eleonora, forte e impavida come una giovane quercia, è al tramonto della

sua vita. Una forma incappucciata compare nel suo studio, nel palazzo giudicale di Oristano, per aiutarla nel momento del trapasso e per ricordare ciò che è stato e non sarà mai più. Eleonora ricorda il tempo passato: le turbolenze dei feudatari filo aragonesi, guidati da Valore De Ligia, le dure battaglie e il momento in cui viene promulgata la “Carta de logu” (una vera e propria costituzione destinata a durare per molti secoli, praticamente sino all’entrata in vigore del codice feliciano). Corre l’anno del Signore 1402, quando Eleonora, la giudicessa, figlia di Mariano IV, muore di peste ad Oristano. Nel film la Sardegna non è solo uno straordinario sovrapporsi di luoghi unici e incantevoli, dove una natura dolce e profumata spande i suoi tenui colori all’infinito. E’ anche un’ideologia dell’anima: una terra che lascia addosso tracce indelebili, radici che non si cancellano. Tra il 2007 e il 2008 la produzione cinematografica di Caterina Murino si intensifica : “St. Trinian’s”, una commedia tutta british, ove veste i panni della signora Maupassant; “Non pensarci” di Andrea Zanasi ove interpreta Nadine; The Garden of Eden”, tratto dal romanzo di E. Hamingway, ove ricopre il ruolo di Marita; “Made in Italy”; “Le Grand Alibi”. Infine nel 2008, per la regia di Papi Corsicato, esce il film “Il seme della discordia”: interpreta Veronica, la protagonista. Qui lavora insieme ad Alessandro Gassman e Martina Stella e viene molto apprezzata, per la sua perfomance, al Festival del Cinema di Venezia. Si tratta di una divertente commedia degli equivoci senza via d’uscita. Lui e lei sposati e dediti ad una brillante carriera. Tutto fila liscio in un crescendo di successi finché la donna rimane incinta e l’uomo scopre di essere sterile, una vera tragedia: è il seme della discordia. Sempre nel 2008

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torna in scena con “Il regalo di Anita” ove interpreta una donna sola e senza amore che incontra un uomo misterioso che, col tempo, le farà cambiare la sua visione della vita e le donerà un nuovo equilibrio. Assai importanti anche le produzioni teatrali. Nel 2000 è l’esordio. Al Teatro Chiesa di Milano, per la regia di Danilo Ghezzi, interpreta “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. Nel 2001 va in scena con “Così è (se vi pare)” di Luigi Pirandello e, nel 2003, con Riccardo III di William Shakespeare: entrambi i lavori vengono rappresentati al Teatro Chiesa con la regia di Ghezzi. Nel 2007, con “La vedova scalza” di Salvatore Niffoi (vincitore del Campiello 2006), Caterina Murino interpreta quel meraviglioso personaggio di Mintonia Savuccu, appunto la vedova scalza: donna aspra e di carattere, espressione della Sardegna più interna. Si narra la storia di un amore che vive al di là della morte e di una feroce vendetta. Sullo sfondo si agita un mondo arcaico e crudele, primitivo e ancestrale: quello della Barbagia fra le due guerre mondiali. E’ qui che Mintonia e Micheddu, nello sbocciare della loro prima adolescenza, si conoscono e si amano con la necessità prepotente ed esclusiva che è propria degli amori infantili. E continueranno ad amarsi anche quando Micheddu dovrà darsi alla macchia, anche quando Mintonia, “femmina malasortata”, potrà vederlo solo di nascosto e passare ore di angoscia a pensarlo braccato. Nella sua magistrale interpretazione di Mintonia, Caterina tocca l’anima: amore e morte, gelosia e vendetta, fanno da sfondo alla vicenda dell’uomo e della donna, in un affresco dove le vite si intrecciano e si spezzano seguendo il loro destino. Ciò che resta quando la luce ritorna in sala è un delizioso sapore agro-dolce che si esprime negli occhi di Mintonia. Ma il vero protagonista del film è forse la

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Sardegna, terra amata e odiata, rude, dalla bellezza aspra e fiera come quella delle sue donne. Una terra in cui il tempo talvolta sembra essersi fermato. Sullo schermo si impone un paesaggio ostile, forza immanente e motore di una caratterialità e di una violenza del soggetto umano che vi è immerso. Ed emergono strutture familiari dai connotati arcaici, insieme dinastici (che si richiamano ancora alla cultura dei capitribù) e un po’ matriarcali. Ne “La vedova scalza” la vera drammaturgia dell’Isola è scritta tutta nel tempo

della sua memoria, nelle pietre e nella luce e in tutto ciò che ne costituisce il “fuori campo” perenne. Caterina in questo lavoro dimostra grande padronanza della scena e il microcosmo di un piccolo borgo e dei suoi personaggi le permette di conoscere l’umanità nel profondo. Si compone così un affresco della Sardegna: di ciò che l’Isola è stata e, per certi versi, ancora è pur vivendo un momento meravigliosamente aperto verso il possibile. La regia de “La vedova scalza” è di Ciro Ippolito e il lavoro viene presentato al Teatro Valle di Roma.

Nello stesso anno Caterina ritorna anche al Teatro Chiesa di Milano ove, con la regia di Danilo Ghezzi, interpreta un episodio de “I blues” di Tennessee Williams. Il teatro arricchisce la sua formazione di attrice e la coinvolge nella rappresentazione di importanti classici. Caterina Murino ha avuto modo di esprimersi anche in lavori televisivi. Si è detto dell’esordio, nel 2000, con “Le ragazze di Miss Italia” di Dino Risi. L’anno seguente lavora per “Il Giovane Casanova” di Giacomo Battiato e per un episodio di “Don Matteo” (Il passato ritorna). Quindi, nel 2003, lavora per “Orgoglio” e, nel 2005, per la serie “Vientos de Agua” diretta da Juan José Campanella. Nel 2008 ritorna sul piccolo schermo con “Donne Assassine”. In tutti questi lavori Caterina interpreta personaggi assai diversi: Veronica, Nadine, Solange Dimitrios, Lea Leoni, Helga Estrella, Elena, la signora Maupassant, Marita, Mintonia Savuccu ed altre ancora. Ma soprattutto interpreta sé stessa: una donna che, con la sua capigliatura scura e l’occhio da gazzella, ricorda Claudia Cardinale e ci può portare molto lontano. In Caterina Murino la dimensione artistico-intellettuale e il suo animo convivono e si esaltano a vicenda: per lei l’impegno civile è parte integrante della sua weltanschauung e la Sardegna continua ad esercitare su di lei un fascino irresistibile, tanto più forte quanto più se ne allontana e tarda a ritornare. Con la sua attività dà un sicuro contributo per valorizzare l’immagine e le enormi risorse di cui la nostra Isola dispone e, al tempo stesso, per riscoprire le ragioni delle nostre origini e della nostra peculiare identità. Anche per questo Caterina ha ottenuto dal Lions Club Cagliari Host il prestigioso riconoscimento “Maschera Punica”.


Monte Paschi Siena e Caritas insieme per le vittime dell’alluvione Marco Burchietti, Direttore Retail Sardegna di Banca Monte dei Paschi di Siena consegna a don Marco Lai, Direttore della Caritas Diocesana di Cagliari, l’assegno a favore di oltre 1.000 famiglie vittime dell’alluvione che ha colpito l’hiterland cagliaritano lo scorso 22 ottobre. La somma raccolta verrà utilizzata per l’acquisto di beni di varia necessità a sostegno delle famiglie che, a causa dell’alluvione, hanno subito terribili disagi alle proprie abitazioni. A livello nazionale il Gruppo Montepaschi ha coinvolto 19 tra associazioni ed onlus locali che hanno raccolto circa 180 mila euro complessivi tutti destinati a progetti di aiuto a bambini e adolescenti

Don Marco Lai e Marco Burchietti

“L’orecchio assoluto” di Ilaria Ilaria Vanacore si è diplomata, a pieno merito, in pianoforte recentemente presso il Conservatorio Pierluigi Da Palestrina di Cagliari, dopo un brillante corso di studi condotto sotto la guida della professoressa Angela Tangianu. Dotata di particolare sensibilità e cultura musicale, accentuata dalla non comune dote definita tecnicamente “Orecchio Assoluto”, durante il suo corso di studi, Ilaria ha avuto modo di farsi apprezzare anche da alcuni fra i piu’ prestigiosi Maestri di pianoforte di fama mondiale, quali il M.o Joachin Achuccarro, docente presso l’Accade-

mia Chigiana di Siena e il M.o Fabio Bidini, docente presso l’Università di Musica di Berlino.

Ilaria Vanacore

Grande stagione lirica Si parte anche quest’anno con un calendario ricco di interessanti appuntamenti per il Teatro Lirico di Cagliari. Il 22 Aprile verrà inaugurata la stagione lirica 2009 con un opera d’eccezione quale Semën Kotko di Sergej Prokof’ev. Opera rara, scritta nel periodo dello Stalinismo, che è stata presentata in Italia una sola volta tanti anni addietro ma degna di essere rappresentata perché opera di grande prestigio e portatrice di una importante storia alle spalle. Cagliari la ripropone quest’anno nella sua versione originale ma con nuovo allestimento in coproduzione con il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e con la regia di Yuri Alexandrov. Si preannuncia uno spettacolo assicurato. Nonostante un taglio di 2 milioni di euro rispetto all’anno precedente, la stagione di quest’anno sarà comunque molto apprezzata dal pubblico. Anche in un momento di difficoltà come quello attuale per i teatri, il pubblico non deve “pagare” il prezzo della crisi. Per questo motivo nel Teatro Lirico di Cagliari non sarà diminuita né la qualità, né la quantità delle opere riuscendo a tener testa a una crisi che sta colpendo tutti i teatri nazionali ed Europei. Alla crisi, che quest’anno si fa sentire in maniera più insistente, il Teatro di Cagliari vuole rispondere con il maggiore entusiasmo possibile, dimostrando di essere una struttura già ben consolidata e con un grande equilibrio gestionale. Con la ricorrenza del 50° anniversario della sua morte, nell’arco della Stagione tra le altre

cose si aprirà anche un discorso su Ennio Porrino con l’idea di riflettere sul suo ruolo nella musica italiana del ‘900 e non solo con una semplice celebrazione. I 1300 abbonati per turno, che hanno fatto registrare già il tutto esaurito, fanno sì che dopo il Teatro Reggio a Torino, il Teatro Lirico sia il 2° in Italia come numero di abbonati, rendendolo così uno sei teatri più stimati e guardati con interesse. glia appassionati sono già in trepida attesa e sarà senza dubbio entusiasmante per i tutti veder salire sul palco artisti del calibro di Roberto Bolle o Polina Semionova, protagonisti indiscussi della danza classica. Tutte le opere saranno eseguite dall’Orchestra e dal Coro diretto da Fulvio Fogliazza.

Speciale Cd di Enrico Pasini In questi giorni è stato pubblicato a cura del SIL.W.SE Studio Musicale di Monserrato un Cd particolarmente interessante di Enrico Pasini nel quale sono inserite le più belle e conosciute musiche prodotte dal compositore in questi ultimi anni tra le quali spicca il For You ispirato alla Baia di Calamosca. Ciò che rende speciale questa pubblicazione è il fatto che i 7 Cantabili scritti per organo non sono solamente realizzati nella versione per questo strumento e da lui eseguiti ma anche in quella orchestrale curata dallo stesso Pasini e due di essi con la splendida partecipazione vocale del mezzosoprano Elisabetta Cois, giovanissima cantante cagliaritana dotata di mezzi vocali non comuni.Il CD che porta il titolo “Musica per sognare” non si trova in vendita nei normali negozi di musica ma si potrà acquistare rivolgendosi direttamente alla Studio Musicale SIL.W.SE telefonando al numero 3282820844 oppure scrivendo direttamente una mail a silvse@alice. it dove si avranno tutte le informazioni a riguardo. Un prodotto quindi di un musicista che, seppure romano di nascita, sottolinea l’importanza e la scelta fatta da moltissimi anni di vivere in Sardegna diventando “sardo” di adozione in una terra ideale per la sua ispirazione musicale e di avere realizzato il CD totalmente quì.


CARDIO TONIC

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