Il Cagliaritano - Marzo '12 - N. 2

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PER SILVIA E PAOLO CITTÀ AMMUTOLITA

TUTTI PER FRA NAZARENO 40° ANNO

Anno 40, N. 2 - € 2.00

DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

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SOMMARIO ANNO 40 - N. 2

IN EVIDENZA

ALTRE STORIE

LA CARTOLINA GRATTA E VINCI DI QUESTA CITTÀ Degrado urbano senza tante prospettive ................................... 4

LE PAGINE DEI GRANDI DI SARDEGNA ................................... 32

È IL FALLIMENTO DI UN INTERO SISTEMA Dossier emergenza Sardegna .......................................................... 6 SIAMO QUELLI CHE RISCHIANO IL TRACOLLO Dossier emergenza Sardegna ........................................................ 10 LA SFIDA PER CAMBIARE LA POLITICA Dossier emergenza Sardegna ........................................................ 14

QUI SI È RITROVATA L’ANIMA DELLA CITTÀ

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PIÙ DI UNO SCATTO PER IS MIRRIONIS

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MITICO AMEDEO NAZZARI

CASTEDDU E IS MILITARIS ........................................................... 36

CAGLIARI, I RITI DELLA SETTIMANA SANTA ........................ 38


Dialogo

a cura di Giorgio Ariu

si”, i Progetti erano degli altri, Rossella non ce la danno anche perché di santi in paradiso noi sardi non ne abbiamo. Come non li abbiamo per quelle ciminiere spente che buttano fuori tute illuse e incazzate che imprecano in quella strada veloce veloce simil pedonale contro il Potere stratificato. C’è una drammatica cartolina a tinte fosche, provi a grattarla sugli angoli e vinci un parcheggio per la domenica da santificare nelle città mer-

Giorgio Ariu, Direttore de Il Cagliaritano g.ariu@giacomunicazione.it

C

orrono, splendide e arrabbiate, con meno benzina e tanta fretta che ti asfaltano sulle patetiche ed invisibili strisce pedonali. Corrono, le auto corrono prepotenti e livide di rancore. Qualcuna ha nel manico chi frequenta strisce bianche per nasi drogati più che regole per pedoni smarriti invadenti e impauriti. È la città, bellezza, che si sveglia incazzata. E, se giovane, abbraccia poi il buio per dimenticare che la cresta serve per lo sballo. Una città veloce, violenta, dai connotati sempre più confusi e senza un perché, per oggi e domani... Smarrita la memoria su progetti e speranze. Non solo i cani defecano volentieri sotto i portici sfatti però multietnici, con i padroni che accorciano disinvolti il guinzaglio. C’è un’aria diffusa di degrado. Dicono che è segno dei tempi: lo scazzo, signori. La paura di non poter più volare ha distribuito piene dosi di cinismo e fottutismo. Si salvi chi può in questa giungla metropolitana, un tempo seduta ad inseguire il solelungo e rosso declinante da Giorgino a Monte Arcosu. Al Poetto ci hanno tolto la sabbia, i baretti ondeggiano, lo stadio fa immagine (però che noia, non si parla d’altro), i muri sono sempre più sporchi, in vetrina sono in saldo anche “vendesi” e “affitta-

cato per vedere il carrello del vicino che piange di più. Poi per il gas non ti preoccupare, c’è quel padellone di Sky così ben esposto al sole e all’invidia dei vicini che frigge tutto e ti fa sapere, minuto per minuto, le sorti della tua squadra del cuore e quasi tutto di te. Scriveteci, dite la vostra, il confronto è aperto...

LA CARTOLINA GRATTA E VINCI DI QUESTA CITTÀ


Dialogo

TUTTI INSIEME PER PAOLO CARTA E SILVIA ACHERI

QUI SI È RITROVATA L’ANIMA DELLA CITTÀ L

e città, si sa, sono sempre sensibili a tributare ai potenti ed ai vip l’estremo saluto. Fiumi di gente in chiesa, distratta talvolta dal vedo e sono visto. Paginate di necrologi perché si fa, non si può mancare. E poi si fissa e si fa fissare l’appartenenza. Si può insinuare, insomma, una vena protagonistica, innervata da piangente opportunismo. E non lo si riconosce neanche con se stessi. L’anima della nostra città, però, negli ultimi tempi si è palesata tutta trasparente, bella, compresa, ammutolita davvero.

L’anima più giovane, appunto, ma non solo. Paolo Carta e Silvia Acheri, due cagliaritani accomunati dalla giovane (e giovanissima) età: 38 il primo, il politico; 15 la seconda, dettorina e velista talentuosa. Hanno sorpreso e addolorato la città intera, andandosene inaspettatamente ed in silenzio. Paolo Carta, una dimensione personale politica tutta sua, distante dal paternalismo del padre Ariuccio, uomo di alta cultura e di trascorsi di vecchi vertici ministeriali, era un ragazzo dolce e deciso, appassionato alla politica in modo pulito. Un ragazzo molto amato in città, silenzioso e solo apparentemente introverso. Occhi talvolta assenti, malinconici e comunque rivolti al futuro. Anche per strada, sotto i portici, passava lieve. La grande chiesa di viale Trieste si è rimpicciolita. Tantissimi fuori ancora increduli, gente mista e sincera ad interrogarsi sul mistero. Silvia Acheri, ma può impazzire un cuore gonfio di speranza e generosità appena all’alba dei quindici anni, e poi da atleta per imprese anche azzurre, nel corso di una leggera oretta di educazione fisica quasi da convivio? Silvia che già sfidava il vento con la sua 420, Silvia che anticipava i desideri di una famigliola splendida e degli amici di scuola e di Marina Piccola. Solo pochi giorni prima in pulmino, in cricca, che sogno la trasferta a Sanremo per mari sempre più impegnativi. Silvia che col suo incedere simpatico non ha smesso di pensare agli altri neanche da lassù, donando parti di sé ed altra vita. Silvia che non poteva mai pensare che una chiesa potesse diventare piccola piccola, e che questa città - per lei silenziosa - decidesse di non dimenticarla mai.


L’ISOLA È UNA POLVERIERA DAL GOVERNO, UNITI SENZA IL CAPPELLO IN MANO

È IL FALLIMENTO D di Claudia Lombardo*

T

utta la Sardegna è colpita da una povertà diffusa per la mancanza di risorse economiche, a causa di una crisi che ha indebolito le buste paga, ridotto la capacità di spesa delle famiglie, strangolato le attività produttive e il terziario. L’Isola oggi è una vera e propria polveriera, fatta di un mix di rabbia, frustrazioni e sfiducia, pronta ad esplodere e la paventata ulteriore perdita di posti di lavoro nel settore industriale, Alcoa, Eurallumina e tutto l’indotto, è destinata ad alimentare nuove fiammate di tensione sociale, pericolose e difficilmente controllabili. Non è esagerato parlare di situazioni delicate, anche sotto il profilo della gestione dell’ordine pubblico. Qualsiasi azione di riscatto, senza una profonda presa di coscienza delle nostre inadeguatezze, è destinata al fallimento! Per esse-

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re credibili e autorevoli nel confronto con il governo nazionale, al fine di inchiodarlo al rispetto degli accordi ed ai propri doveri, dobbiamo prendere piena coscienza delle insufficienze di carattere politico e progettuale che hanno caratterizzato il nostro impegno. Limiti e insufficienze attribuibili, non solo alle fin troppo richiamate ridotte potenzialità dello Statuto di Autonomia, ma anche alla miopia di una visione politica che ci ha portato a ricondurre i nostri “piani di rinascita” e tutto il sistema economico alla logica perversa delle monoculture produttive. Quindi dobbiamo prendere coscienza del fallimento di un intero sistema: politico, economico e sociale che ci ha visto tutti responsabili. E proprio oggi deve nascere, con il contributo di tutti, una nuova coscienza critica per il vero


DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

DI UN INTERO SISTEMA

riscatto della Sardegna, che impone la ricerca di uno spirito unitario, non più solo evocato, ma effettivo. La recente visita in Sardegna del Presidente Napolitano ha consentito di evidenziare con la giusta enfasi il profondo stato di crisi ed ha lanciato un monito, ma, per quanto l’impegno del Presidente della Repubblica, volto a sensibilizzare con maggior vigore il Governo centrale sulla questione sarda, vada vissuto con legittima soddisfazione, non possiamo tuttavia cullarci con imprudenti illusioni. Dobbiamo avere ben presente che nulla ci verrà mai regalato! E’ bene saperlo. Quello che otterremo sarà il frutto della nostra incisività, della nostra capacità nel negoziare con il Governo un nuovo patto. Un patto che abbia come presupposto imprescindibile e pregiudiziale il pieno rispetto del

dettato del novellato articolo 8 dello Statuto e della Costituzione. Di fronte a questo fascio non possiamo restare inermi, né tanto meno presentarci al confronto con il Governo con il cappello in mano. Dobbiamo reagire con forza e con quella grande dignità che è nel DNA di noi sardi. Ci vuole una grande mobilitazione di popolo. Un popolo che, unito e coeso si deve muovere per il proprio futuro, per pretendere ed ottenere il riconoscimento di ciò che ci è dovuto e che oggi ci viene negato da uno Stato patrigno. *Claudia Lombardo, Presidente del Consiglio Regionale

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ECCO I NODI DI 30 ANNI DI PROBLEMI

TUTTI INSIEME PER LA PARTITA DELLA VITA di Ugo Cappellacci*

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a società sarda è chiamata ad affrontare nodi, limiti e criticità, frutto di scelte compiute in passato, che sono gli stessi da decenni. I problemi sono gli stessi da trent’anni, ma nel frattempo il mondo è cambiato e ora spetta all’attuale classe dirigente la responsabilità di prendere decisioni anche per il futuro. Perché oggi dovremmo essere capaci di realizzare quello che in passato non è stato possibile portare a compimento? Sono diversi i motivi che fanno pensare che ciò sia possibile. In primo luogo, perché il contesto politico è profondamente mutato: l’Esecutivo nazionale è sostenuto da una maggioranza composta da forze politiche che vanno dalla destra alla sinistra, passando per il centro. In secondo luogo perché ci si muove in un quadro che non è più solo locale o nazionale, e in questa fase cruciale aumenta la consapevolezza della necessità del contributo della nostra isola e del Meridione d’Italia al consolidamento della posizione del Paese nello scenario europeo. Il terzo elemento è la sponda straordinaria offerta da un grande meridionalista: il presidente Napolitano, che ha trasferito in modo forte e chiaro la sua convinzione assoluta di dover affrontare la questione sarda, e lo ha fatto come

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garante di quell’Unità nazionale che non può non passare attraverso quella coesione territoriale richiamata a livello europeo dal Trattato di Lisbona. Lo stesso trattato che, per quanto ci riguarda, all’art. 174 fa un chiaro riferimento all’insularità. Per raggiungere gli obiettivi, però, serve altro, un “di più”, che in passato è mancato e che ora può essere fondamentale per raggiungere i risultati auspicati: quello della coesione. Se vi è una responsabilità della nostra attuale classe dirigente è quella di non aver unito finora le forze, la nostra creatività e le nostre eccellenze. Occorre un impegno straordinario, un cambiamento di stile. Abbiamo il dovere di circoscrivere un ambito condiviso di questioni che possa essere davvero sintesi efficace e posizione unitaria. Sono d’accordo con i sindacati quando chiedono che si debba arrivare a un tavolo che preveda il pieno coinvolgimento di tutte le forze economiche e sociali. Impegniamoci per allargare quel tavolo. L’Assemblea degli Stati Generali avvia un percorso che deve essere alimentato con il contributo leale e finalizzato a raggiungere il risultato da parte di tutti. Ognuno deve fare la sua parte e come presidente della Regione assicuro che farò la mia per consentire a ciascuna rappresentanza di dare il proprio

contributo. Smettiamo di vestire la maglia dei nostri rispettivi club di appartenenza, lasciamola alle partite di un altro campionato che può essere disputato a parte e che non finisce qui, e sulle grandi questioni vestiamo quella della nazionale sarda: quella con i quattro mori. *Ugo Cappellacci, Presidente della Regione Autonoma della Sardegna


DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA


NOI DELL’INDUSTRIA, ARTIGIANATO, AGRICOLTURA E COMMERCIO NEL PRECIPIZIO

SIAMO QUELLI CHE RISCHIANO IL TRACOLLO

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DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

È

di Luca Murgianu*

in atto oggi una pericolosa fase involutiva del sistema produttivo locale, oggetto di drastiche ristrutturazioni e chiusure di interi comparti produttivi, con scarse o nulle opzioni di riconversione. Una fase, o meglio uno stato di crisi che coinvolge tutti i settori, ognuno con le proprie peculiarità: Industria, Artigianato, Agricoltura, Cooperazione e Commercio. E la mancata soluzione delle annose questioni contenute nella Vertenza con lo Stato condiziona in maniera rilevante lo sviluppo e le prospettive delle attività economiche nella nostra Isola: i punti della Vertenza entrano nella pelle dei cittadini e delle imprese e la loro soluzione non deve essere fine a se stessa ma strettamente funzionale a nuove prospettive di sviluppo. E deve considerare il sistema economico sardo nell’integrazione totale dei fattori e delle soluzioni. In poche parole: nessuno si salva da solo. La difficoltà del manifatturiero investe tutti i principali poli di produzione industriale (chimica, energia, metallurgia, tessile, minerario) con un sistema di grande industria residua che mostra segnali inequivocabili di arretramento. Tutto questo senza che il sistema delle Piccole e Medie Imprese si sia ancora sviluppato adeguatamente e le iniziative nei settori più innovativi e ad alto valore aggiunto abbiano occasione di poter essere una reale alternativa a ciò che non c’è più. Dentro il settore dell’industria, anche l’edilizia, tradizionale valvola di sfogo nei momenti di recessione, sta venendo meno con rilevanti perdite di posti di lavoro e di imprese. L’artigianato, il Commercio ed i Servizi, specie quelli al turismo, soffrono di un mercato ristretto nel quale vincoli burocratici e di spesa della Pubblica Amministrazione, freni legati alle condizioni di isolamento e scarsa produttività del lavoro, hanno generato un contrazione del sistema di riferimento. Dalla crisi non si esce se l’Italia tutta non investe nel recupero produttivo delle sue aree più deboli e sottoutilizzate, valorizzandone le risorse naturali e le vocazioni, promuovendo una nuova industria sostenibile, e puntando su un migliore raccordo tra lavorazioni primarie e secondarie. Due settori in particolare hanno operato come cardine anche sociale di riferimento dell’economia sarda (quasi un ammortizzatore in più) e vivono una crisi potenzial-

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mente più pericolosa: si tratta del mondo agricolo e di quello cooperativo. Il mondo dell’agricoltura infatti subisce più di altri gli effetti negativi di un modello demografico e produttivo che ha premiato nel tempo più l’abbandono che l’insediamento. Un modello che anziché spingere verso forme di cooperazione e di utilizzo ragionato del territorio, dell’acqua e dell’energia ha depauperato l’ambiente

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agricolo e le sue potenzialità. Oggi l’Agricoltura Sarda è in attiva ricerca di percorsi di qualità e di cooperazione, ma soffre di una contrazione indotta troppo spesso da condizionamenti impropri del mercato esterno. La mancanza di infrastrutture, la grave crisi finanziaria delle famiglie agricole, la piccola dimensione, il peso della burocrazia sono altri punti che impediscono tuttora una svolta. La speri-

mentazione di percorsi sulla multifunzionalità e sulle filiere dell’ecosostenibilità devono essere supportati dalle Istituzioni con la creazione di specifiche opportunità, anche normative, che consentano al mondo agricolo di tenere anche in questa fase difficile. E questo supporto deve essere garantito anche e soprattutto nell’ambito del credito e nella soluzione delle gravi problematiche fiscali.


DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA Anche la Cooperazione, impresa basata sulla persona e sulla solidarietà interna tra i lavoratori, sembra aver retto meglio all’urto della crisi. Il radicamento nel territorio rappresenta il carattere portante dell’iniziativa imprenditoriale cooperativa. Questo nei servizi socio-assistenziali, nella trasformazione agro-alimentare, nella pesca e nella gestione delle lagune, nel sistema dei beni culturali e ambientali. Ma

proprio per questo tipo di diffusione e collegamento agli Enti Locali, risulta anche il settore più esposto alle rigidità inique del “Patto di Stabilità” che rischiano di mettere seriamente in discussione il sistema del welfare locale e la moltitudine di servizi pubblici locali gestiti prevalentemente dalle Cooperative. Ma il vero punto nodale della Vertenza Sardegna, e che va oltre questa Vertenza,

è un contesto che resta non favorevole allo sviluppo delle imprese, e verso il cui miglioramento devono essere indirizzate tutte le nostre energie, in particolare quelle della Pubblica Amministrazione a livello nazionale ma anche nella declinazione regionale. Le priorità sono sicuramente la Vertenza delle Entrate, la modifica del Patto di Stabilità (che renda effettivamente utilizzabile il beneficio delle maggiori entrate), e la conferma operativa di quanto stabilito nella programmazione del FAS 2007-2013 (che comprendeva una risposta ad alcune problematiche legate al tema dell’insularità), che devono essere politicamente al centro della discussione e, in qualche modo, propedeutiche rispetto a qualsiasi discussione sul tema del Federalismo che non può essere affrontato se lo Stato non dimostra davvero un spirito di leale collaborazione. Deve essere preteso dallo Stato il rispetto dei Patti già sottoscritti. Inoltre la dotazione infrastrutturale della nostra Regione è tuttora largamente insufficiente (52,6 rispetto al 100 della media Italiana) e a questo si aggiungono nuove problematiche sul fronte dei servizi di collegamento tra la nostra Regione ed il Continente che, pregiudicando la continuità merci e passeggeri, di fatto si traducono in un vincolo sostanziale alla crescita della nostra economia. Deve dunque essere affrontato il problema dell’insularità. Sul punto della cosiddetta problematica “Equitalia” va risottolineato il dramma dei ritardi di pagamento della Pubblica Amministrazione che interpella lo Stato ma anche gli EE.LL. in una Regione in cui la Spesa Pubblica rappresenta circa il 61% dell’intera ricchezza regionale. Sempre più spesso il fantasma del fallimento aleggia sopra le teste degli imprenditori onesti, ma il dato insopportabile ed inaccettabile è che tutto questo sia causato dallo Stato. È necessario che venga posta all’ordine del giorno un’azione coordinata e complessiva di profonde semplificazioni della P.A. in sede locale sia essa di derivanza Statale, Regionale o Locale. Questo per far diminuire drasticamente i tempi di pagamento della P.A. e per migliorare la qualità del rapporto con le imprese. *Luca Murgianu, Presidente del Coordinamento delle Associazioni Imprenditoriali della Sardegna

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BISOGNA SOSTENERE IL MONDO GIOVANILE A COMINCIARE DALL’ISTRUZIONE E VALORIZZARE I TERRITORI E LE RISORSE LOCALI

LA SFIDA PER

CAMBIARE LA POLITICA E IL RAPPORTO CON LO STATO di Enzo Costa*

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DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

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’anno 2011 si è chiuso con una sostanziale stagnazione delle attività industriali in Sardegna. Un’indagine della Banca d’Italia, del novembre 2011, indica che oltre il 40% delle imprese ha registrato una flessione del fatturato rispetto al 2010, il 20% ha avuto ricavi stabili, il 40% ha evidenziato una modesta espansione. Le attività di investimento sono rimaste deboli. Il 2012 è iniziato con una comunicazione dell’Alcoa di Portoscuso, una lettera che apre una procedura di licenziamento collettivo per tutto il personale dipendente e annuncia la fermata degli impianti e la volontà di chiudere lo stabilimento. In termini sociali significa almeno altre mille persone che rischiano di perdere il lavoro e un duro colpo alle speranze di ripresa dell’intera filiera produttiva del comparto dell’alluminio e di tutto il Sulcis. Regna una grande confusione, la crisi che sta sconvolgendo

tutto e tutti è una crisi vera, di sistema che, come era prevedibile, impone dei cambiamenti. Ecco perché è importante, anche in questo scenario mondiale, il taglio che si da alle politiche regionali, a partire da come spendiamo le risorse disponibili. E’ necessario che nasca un contesto di confronto continuo tra i diversi attori istituzionali e sociali e che la Regione perda una parte del suo potere centralistico e assuma un ruolo di coordinamento e di indirizzo. Deve prevalere la regola che su materie comuni ci sia un lavoro comune. E’ indispensabile che l’integrazione arrivi nei territori, che sono il luogo dove le politiche devono svilupparsi e produrre i loro effetti. Servono politiche mirate a sostenere il mondo giovanile a partire dall’istruzione, bisogna porre un freno agli abbandoni scolastici che creano figure marginali nel mondo del lavoro e nella società. Bisogna ripartire dalla valorizzazione e dal rispetto

delle risorse locali, questo vale sia per l’industria (carbone, sale, sughero, granito, caolino, agroalimentare ecc.), che per lo sviluppo del territorio rurale e del sistema turistico. Dobbiamo evitare che la gente si sradichi dai luoghi in cui vive, valorizzare il saper fare, fare in modo che l’intervento pubblico aiuti la creazione di reddito rendendolo il meno assistenziale possibile. Per cui salvaguardare e difendere l’esistente, renderlo compatibile con l’ambiente, rivendicare la delocalizzazione dei distretti industriali, superare i deficit infrastrutturali, i limiti geografici, realizzare le pari opportunità con il resto del paese devono essere le basi di un vero confronto tra Regione e Governo. Parallelamente dobbiamo iniziare a diventare una regione virtuosa, che sa spendere le risorse che ha, e non sono poche, che sa intervenire in momenti di crisi, come questo, nel sostegno alle persone

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e alle imprese ma che è in grado di dimostrare che è capace, anche essa, di ridurre i costi della politica e di proporre una stagione di riforme che riattualizzino la nostra scelta autonomista. Il vero problema che abbiamo di fronte è come disegnare un modello di nuovo sviluppo che non abbia le contraddizioni e gli squilibri di quello precedente. Nella sfida per il cambiamento, che è già partita, dobbiamo rimettere al centro il lavoro, inteso come strumento di crescita sociale di contrasto all’emarginazione e

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alla povertà, come strumento portatore di democrazia, di uguaglianza e di libertà. Anche le imprese devono capire che è tempo di abbandonare logiche che ricercano la competitività giocando solo sulla riduzione dei costi e dei diritti dei lavoratori con pochi investimenti in ricerca e occupazione. In Sardegna con una presenza diffusa di sistemi distrettuali di piccola e media impresa, la sfida è difficile. Anche il mondo della grande impresa risente della nuova divisione internazionale del lavoro, che determina processi di concentrazione

aziendale, ridisegna le prospettive di interi settori manifatturieri. I fattori strategici di competitività, ormai esterni alle imprese e spesso anche ai territori presi singolarmente, sono la ricerca, l’innovazione, il capitale umano, le reti terziarie, le grandi infrastrutture e le risorse finanziarie, che configurano sistemi a rete su ampia scala, la cui soglia critica per noi è costituita proprio dalla dimensione regionale dall’essere un isola e dalla difficoltà di “tenere” il sistema in termini sia locali che globali. Da questa convinzione


DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA nasce la proposta di proiettare la politica industriale regionale nell’ambito di un sistema integrato, inteso come modello capace di mettere in rete le sue componenti a partire dalla odierna struttura articolata per sistemi locali di imprese, poli produttivi, grandi e medie imprese, sviluppando la massa critica necessaria a produrre innovazione, da diffondere a livello regionale, anche con le necessarie discontinuità. L’obiettivo è favorire politiche innovative e collegamenti con il contesto nazionale e europeo, valorizzando le radici locali at-

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traverso interventi selettivi e concentrati, ponendo grande attenzione alle politiche di filiera, all’attrazione di investimenti, alla necessità di crescita dimensionale e tecnologica delle imprese, chiamate ad un ruolo più diretto nella competizione internazionale, capaci di innovare e divenire i soggetti dinamici del cambiamento. Tutto ciò richiede l’immissione nel sistema di consistenti contenuti di conoscenza: per farlo bisogna connettere le sedi della ricerca di base, della conoscenza tecnica e scientifica e della conoscenza conte-

e aziende sarde indebitate con il fisco, al 31 dicembre 2010, erano 64.104 su un attivo di 160.000 imprese presenti sul territorio, con un’esposizione debitoria di 3 miliardi e 516 milioni di euro, vale a dire che il 40 % delle imprese sarde era gravata in media da un debito verso l’erario di circa 55.000 euro. Solo nella Provincia di Cagliari, nel gennaio 2011, 33.956 imprese (+11 % rispetto a gennaio 2010) risultano essere indebitate con Equitalia per oltre 2 miliardi e 232 milioni di euro contro il miliardo e 700 milioni del gennaio 2010. Industria, Commercio e Artigianato, in sostanza il sistema imprese della Provincia di Cagliari, in circa 12 mesi ha incrementato i propri debiti nei confronti di Equitalia quasi del 24 %: nello specifico si registra un + 23,30 % relativo alla sezione Erario (+20,56 % in Sardegna), +10,89 % nella sezione Inps (+11,15 % in Sardegna) e + 21,46 % nella sezione Altri (+14,37 % in Sardegna). I primi dati e le previsioni per l’anno in corso sono tutt’altro che confortanti visto che il numero delle imprese indebitate con il fisco per il 2011 sembra destinato a toccare la cifra di 70.450, a fronte di un debito da riscuotere pari ad un importo di 4,27 milioni di euro, con un’ulteriore crescita del 22 % rispetto all’anno precedente.

stuale, valorizzando le competenze innovative interne alle imprese, alle Università e al territorio e sviluppando uno stretto rapporto tra pubblico e privato. La sfida non riguarda quindi solo il mondo delle imprese e del lavoro, ma deve diventare patrimonio comune delle comunità locali con l’obiettivo di investire nel cambiamento attraverso tutte le risorse disponibili, da quelle umane, territoriali, ambientali, sociali, culturali, oltre che economiche. In questo contesto si inserisce la grande mobilitazione che le OO.SS. hanno avviato con lo sciopero generale del 11 novembre 2011 ripreso dalla importante manifestazione che si è tenuta il 13 marzo, due piazze che sollecitano l’apertura di un tavolo politico, e non tecnico, con il Governo che affronti il rilancio di una nuova fase di sviluppo per la Sardegna insieme al tema delle entrate che ci sono state negate per gli anni 2010 e 2011, e che continuano a esserci negate, nonostante la Commissione paritetica l’8 marzo 2011 abbia deliberato le norme di attuazione che disciplinano le modalità di calcolo del nuovo regime di entrate. Le maggiori entrate sono giustificate anche dalle maggiori competenze di cui si è fatta carico la Regione ma, diventerebbe quasi inutile rivendicarle se non chiediamo la modifica dei limiti di spesa che il patto di stabilità, definito sulla spesa 2005, ci impone. Come dobbiamo affrontare il riconoscimento della nostra condizione di insularità, il ritardo infrastrutturale e lo sblocco delle singole grandi vertenze aziendali a partire dalle fabbriche energivore. Chiediamo che il Consiglio Regionale assuma un dispositivo che avvii un percorso comune che ci porti ad aprire il tavolo politico con il Governo, un confronto che deve vedere partecipi anche le forze sociali e che deve concludersi con un protocollo di impegni da sostanziare nei tavoli istituzionali, decisione che, se sarà utile, siamo pronti a supportare anche con nuove iniziative di lotta. Ma al di la delle questioni importantissime legate ai rapporti con il Governo nazionale, è la politica regionale, con i sui indirizzi e le sue scelte, che può e deve cambiare la Sardegna, è da qui che dobbiamo ripartire nessun altro lo farà mai per noi. *Enzo Costa, Segretario Generale CGIL Sarda

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CRESCITA PIL REGIONALE QUASI ZERO DISOCCUPAZIONE AL 14%, 400.000 POVERI!

STATUS

DI INSULARITÀ E AUTONOMIA FINANZIARIA di Mario Medde*

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a Sardegna vive una fase tra le più difficili della sua storia autonomistica. Il lavoro e la questione sociale sono l’epicentro di questa crisi. Le difficoltà coinvolgono tutte le categorie sociali e producono un malessere che talvolta viene espresso anche in forme e modi non tradizionali, frutto dell’esasperazione e dei problemi che nel tempo si sono incancreniti. Oggi siamo nella fase più acuta di questa crisi e ne sono interessati tutti gli ambiti della vita economica, sociale e ambientale della Sardegna. La crescita del PIL regionale è quasi a zero ormai da anni, il tasso di disoccupazione si mantiene su valori intorno al 14% senza contare i cassintegrati e gli scoraggiati, il tasso di occupazione è ormai sceso sotto al 50% e l’indice di povertà si è dilatato fino a interessare circa 400.000 persone. In Sardegna nell’ultimo triennio sono andati perduti oltre 30 mila posti di lavoro stabili nell’industria e nell’agricoltura, settori che pesano rispettivamente appena il 19% (costruzioni comprese) e il 4% circa nella composizione del reddito regionale, composto per il 77% dal settore terziario, che oggi mostra i segni negativi del calo generalizzato dei redditi e dei consumi di massa. È diventato urgente e inderogabile un nuovo progetto di sviluppo capace di promuovere una nuova fase di crescita economica e sociale dell’Isola, dandosi una valida

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strategia per superare i condizionamenti economici, storici e geografici. Gli obiettivi più importanti sono: • il riconoscimento dello status di insularità; per recuperare le diseconomie esterne ai processi produttivi e il diritto dei sardi alla mobilità reale delle persone e delle merci. • l’autonomia finanziaria della Regione; indispensabile per promuovere le basi materiali e immateriali dello sviluppo. Può concretamente realizzarsi non solo attraverso la leale partecipazione dei cittadini al raggiungimento di questo obiettivo, ma anche a condizione che lo Stato onori i suoi impegni e crediti, a partire dai trasferimenti erariali e tributari dovuti negli anni, ai fondi per le aree sottoutilizzate, all’attuazione di quanto previsto dallo statuto speciale circa il Piano di Rinascita dell’Isola. • la revisione del patto di stabilità è per la Sardegna; indispensabile per garantire una migliore e maggiore capacità di spesa utile a promuovere il lavoro e lo sviluppo e ad attutire l’impatto della crisi. • la partecipazione dello Stato al rilancio del sistema industriale; condizione fondamentale non solo per arrestare il declino di settori strategici per la Sardegna e per il Paese (chimica, metallurgia non ferrosa, tessile, allevamento e agro-alimentare), ma anche per promuovere le condizioni necessarie ad attrarre nuove intraprese, favorendo le bonifiche e le riconversioni

produttive dei siti dismessi o in via di dismissione. • il recupero del divario infrastrutturale sia nelle reti (viarie, ferroviarie, portuali, marittime e loro terminali, snodi intermodali, idriche, energetiche e telematiche) sia nei servizi pubblici essenziali (scuola, sanità, trasporti pubblici locali, uffici pubblici e sicurezza, poste e servizi finanziari, servizi sociali, cultura e sport). Perché tutto ciò diventi credibile è però necessario che il Governo nazionale si impegni a che le vertenze aziendali aperte (Alcoa, Eurallumina e tutta la filiera dell’alluminio, il minero-metallurgico, Carbosulcis, il futuro del petrolchimico, l’apertura del tavolo nazionale sul tessile, la questione


DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA

energetica, l’agro-industria) trovino un tavolo di confronto e una definizione in tempi accettabili. Questi problemi potranno essere meglio affrontati, e gli obiettivi raggiunti, se si sapranno superare i ritardi e le inefficienze locali e regionali e se verrà attuata immediatamente una svolta nell’azione della Giunta in termini di maggiore efficienza ed efficacia. Il sostegno ai settori produttivi appare improntato alla mera gestione delle emergenze e delle numerose vertenze aziendali; lo stesso Piano straordinario per il lavoro ha finito per disperdersi in misure normali o, peggio, assistenziali; le risorse destinate ai Progetti di Filiera e Sviluppo Locale sono contingentate; non ci sono scelte chiare né sui settori tradizionali, come il primario, né sui comparti innovativi, e si resta al traino delle decisioni dei grandi gruppi industriali; non si comprendono chiaramente neppure i veri orientamenti della Regione nelle politiche di settore. Decisivo è però un nuovo Patto costituzionale tra Stato e Regione, precondizione per riconoscere all’Isola le pari opportunità rispetto alle altre realtà del Paese, e per rinegoziare, con pari dignità, poteri e risorse utili a un maggiore e migliore autogoverno dell’Isola. La mobilitazione del sindacato confederale

in Sardegna, sia con le costanti e continue assemblee territoriali, sia con gli scioperi generali e le manifestazioni partecipate dal popolo sardo negli ultimi anni, è una dimostrazione non solo della fiducia che i lavoratori e i pensionati ripongono in queste organizzazioni, ma anche dell’importanza che assume per la coesione sociale e per una pacifica rappresentazione del malessere. Le difficoltà della politica, in un preoccupante e drammatico scenario di crisi economica, rischia di vanificare l’impegno e la mobilitazione dei lavoratori, poiché lo sforzo e l’unità dei sindacati, per avere successo, deve avvalersi delle risposte delle istituzioni e della politica. Da qui l’importanza dell’incontro in Consiglio regionale, a patto che la determinazione conclusiva che verrà assunta contenga prima di tutto la richiesta al Governo di aprire un tavolo di confronto politico con Regione e sindacati. Considerato che, sui diversi argomenti che riguardano la vertenza Sardegna, non c’è più nulla da discutere sul versante tecnico ma solo da decidere strumenti, risorse e tempi da destinare alla soluzione dei problemi del lavoro, dello sviluppo e delle vertenze aziendali ancora aperte nell’Isola. Infine, proprio per le caratteristiche del tempo che viviamo, caratterizzato da profondi

cambiamenti nell’economia, nella politica e nella società, la mobilitazione dei lavoratori deve continuare ad essere messa in campo per evitare che la Sardegna ne esca ancora una volta sconfitta. La crisi, infatti, viene utilizzata per riposizionare i rapporti di forza e le relazioni tra gli Stati e i territori, ma anche tra i ceti sociali, con ulteriori e pesanti attacchi alle categorie meno abbienti nella redistribuzione dei redditi e per una resa dei conti nella divisione internazionale del lavoro. Le richieste e il confronto da mettere in campo in Sardegna, e tra quest’ultima e lo Stato, non sono dunque di mera contabilità sui crediti dell’Isola, ma riguardano il destino della specialità e dell’autogoverno e le condizioni materiali e dei poteri necessarie a rilanciare una nuova fase dell’autogoverno dei sardi. Su tutti questi argomenti è indispensabile una sintesi politica in grado di dare risposte ai problemi del lavoro, della crescita economica e sociale, e per affermare tutte le «libertà» dei sardi. *Mario Medde Segretario Generale CISL Sarda

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SUBITO UNA RIFORMA STRUTTURALE DEL MODELLO DI SVILUPPO DELLA SARDEGNA

SCONTIAMO

UN DIVARIO DI PRODUTTIVITÀ ABISSALE M di Maria Francesca Ticca*

i piace citare una frase famosa che diceva “Ogni crisi è un’opportunità sotto mentite spoglie”. Anche io concordo che da questa crisi, oltre alle ricadute evidentemente negative, che soffriranno molti Sardi e le nostre imprese, noi dobbiamo ricavare la parte positiva. Nel merito del tema, la parte positiva può essere quella di mettere ordine nel sistema di scelte programmatiche, rapporti, regole, che la Sardegna sul suo progetto di sviluppo non ha saputo fare da decenni. Mi occupo di sindacato da diversi anni, ho letto decine di proposte di modelli di sviluppo per la Sardegna. Nessuno di quelli che si ponevano l’obiettivo più strategico e più generale è andato a buon fine. Ciò significa che siamo ancora fermi concettualmente al Piano di Rinascita, al progetto di industrializzazione della Sardegna, che è il punto da cui dobbiamo ripartire se vogliamo - e io penso dobbiamo - fare dei passi avanti rispetto a quelle intuizioni. Grandi intuizioni e grandi idee che hanno dimostrato tanti aspetti positivi in quel determinato periodo storico, che non intendo sottovalutare. In questi termini, ci sono ancora situazioni che hanno retto fino ai giorni nostri, addirittura meglio delle aspettative, l’impatto della crisi sarda e questo è anche merito degli effetti di trascinamento di quel modello. Tuttavia, in questi anni, abbiamo anche misurato con mano i limiti e i punti di diffi-

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coltà che quel modello poneva per il cambiamento strutturale e culturale del sistema Sardegna. È tempo di porre mano seriamente ad una RIFORMA STRUTTURALE DEL MODELLO DI SVILUPPO DELLA SARDEGNA. Fra i diversi problemi che frenano lo sviluppo della Sardegna, quello che porta la maggiore responsabilità è il bassissimo livello d’infrastrutturazione, che non ha eguali in nessun’altra regione italiana. Senza efficienti reti energetiche, di trasporto e di telecomunicazioni, l’attività d’impresa è condannata a scontare un divario di produttività, che nessuna politica di incentivi e nessuna riforma del mercato del lavoro è in grado di contrastare. L’inadeguatezza della dotazione infrastrutturale, rende inefficaci le politiche per l’attrazione degli investimenti. La Sardegna ,secondo gli indicatori disponibili, presenta un livello di dotazione pari appena al 50% rispetto a una media di 100 per l’Italia nel suo complesso. Questo dato, decisamente negativo, è tuttavia ancor più impressionante, se si tiene conto della congestione e del degrado di molte delle infrastrutture esistenti. Per quelle idriche siamo a meno della metà dei valori medi nazionali, altrettanto per le comunicazioni e per l’energia. Per quanto riguarda l’estensione della rete ferroviaria, la Sardegna rappresenta poco più dello 0% del totale italiano.

Il peso di questo ritardo accumulato dalla Sardegna, è tra i responsabili principali del divario di sviluppo e di conseguenza della nostra economia. Come sindacato, riteniamo, necessario un programma di investimenti prioritari “integrati e coordinati” che punti non solo a ripianare il deficit precedente di quantità e qualità delle infrastrutture fisiche-settore idrico e smaltimento rifiuti, energia, reti di trasporto-ma anche sul rapido sviluppo delle infrastrutture immateriali: banda larga e strutture di ricerca e sviluppo tecnologico, essenziali entrambi, per favorire l’innovazione, che ha un ruolo di primo piano per lo sviluppo della Sardegna e per un’elevata competitività del Paese. Non possiamo consentire, anche se le difficoltà in cui versano i conti pubblici non lasciano troppi spazi di intervento, che si rimandi il problema Sardegna. Senza infrastrutture non si può modernizzare questa Regione, a loro dovrà essere dedicata gran parte di un progetto per lo sviluppo, abbiamo molti ritardi importanti da colmare su diversi settori di base:-trasporti, energia, telecomunicazioni... Bisogna quantificare l’adeguatezza delle risorse necessarie, chiarendo al Governo che le risorse destinate fino ad oggi alla Sardegna sono comunque inferiori a quelle realmente spettanti. Come sindacato, chiediamo al Governo regionale di assumere un’iniziativa ufficiale per rappresentare al Governo nazionale la


DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA gravità della situazione che vive quest’isola e la necessità di apertura di un tavolo politico. Crescono e diventano sempre più gravi i segnali di cedimento dei grandi insediamenti industriali, in tutti i settori; intere filiere produttive, sono investite da processi di crisi che ne minacciano l’esistenza. Tutto ciò avviene in Sardegna mentre l’orizzonte Europeo ci costringe a misurarci come non mai con i temi dello sviluppo e della coesione, stiamo facendo i conti con nuove esigenze, nuove povertà, nuovi squilibri. È proprio la straordinarietà di questa fase, cioè la collocazione della Sardegna nel nuovo contesto Nazionale ed Europeo, ad essere ancora sottovalutata da larghi settori delle classi dirigenti. Al di là degli sforzi generali di programmazione si continua, infatti, ad operare con una vecchia logica, impegnando risorse a prescindere dai risultati, innestando gli interventi straordinari sui tradizionali canali ordinari e facendo venire meno quella “aggiuntività” necessaria per produrre effetti nuovi. Manca nuova progettazione, si continua a

raschiare il barile dei vecchi progetti, oggi, però, questo meccanismo non è più sufficiente: è giunto in maniera non più rinviabile il momento in cui si deve fornire nuovi progetti in grado di elevare la competitività del sistema Sardegna, non limitandosi più ad una gestione ordinaria dell’esistente. Non possiamo rischiare ancora una volta di perdere l’occasione del riequilibrio e della coesione. Abbiamo bisogno di nuove risorse da impegnare per nuova e qualificata progettazione. È necessario un grande impegno per riprogrammare. Il 2012 per la Sardegna deve essere l’anno dell’accelerazione e per raggiungere questo traguardo CGIL-CISL-UIL hanno costruito momenti specifici di iniziativa, per chiedere l’apertura di un tavolo di confronto Governo-Regione-Forze Sociali, utile a rimuovere lentezze e ridare nuovo smalto alla programmazione, per far incontrare opportunità di investimento con bisogni e potenzialità del territorio Sardo. In passato abbiamo potuto affrontare positivamente momenti difficili della vita economica e sociale, garantire l’avvio di impor-

tanti risanamenti economici, perché si è riusciti a trovare un equilibrio tra esigenze finanziarie ed equità sociale; tutto ciò è ancora più importante oggi sui temi dello sviluppo della Sardegna, in quanto le politiche di innovazione presuppongono una condivisione larga, non solo istituzionale ma anche sociale, degli obiettivi . Il metodo che proponiamo è quello del dialogo e della costruzione unitaria delle idee forza per fare avanzare progetti di sviluppo e di coesione. È una sfida difficile ed ambiziosa, c’è dunque bisogno anche di una nuova consapevolezza della fase che si apre e dei problemi da affrontare, e ciò presuppone una nuova dimensione dell’impegno di tutti ed una diversa concezione delle relazioni sociali. È possibile costruirla, è necessario l’impegno di tutti. *Maria Francesca Ticca, Segretario Generale della UIL Sardegna

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ALL’APPARATO STATALE ANCHE UN APPORTO DI 13 MILIARDI DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, E ORA LO SCENARIO È DRAMMATICO

I COMUNI NON SONO I FIGLI SPRECONI di Cristiano Erriu*

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a vertenza intende giustamente rimetteLa vertenza intende giustamente rimettere al centro del dibattito non dico la nostra costante autonomistica di popolo ma l’idea stessa di autonomia e di sussidiarietà così come è stata ridisegnata con la riforma del Titolo V, oggi così pesantemente messa in discussione. Autonomia non più intesa non tanto come difesa delle comunità locali contro un potere centrale che tende ad invadere ciò che la circonda. Per come leggiamo noi il contesto, l’autonomia messa in discussione oggi è quella nuova autonomia di tipo relazionale, grazie alla quale non ci devono essere più centri né periferie ma ogni soggetto appartiene al sistema, interagisce con gli altri soggetti in maniera del tutto autonoma e con pari dignità. Eravamo convinti che fosse ormai metabolizzato il passaggio da un tipo di autonomia a raggiera ad un tipo di autonomia a rete nella quale andare a creare una molteplicità di relazioni e dove è possibile crearne molte altre in modo da poter sempre più soddisfare gli interessi a cui fanno capo e in modo da liberare e valorizzare idee, energie e competenze utili alla crescita e allo sviluppo ma, soprattutto funzionali ad un corretto ed equiordinato dispiegarsi di rapporti interistituzionali. Dobbiamo constatare che non è più così.

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Che vi sono nuovi ostacoli pesanti da superare. E che sono oramai molteplici i punti di differenziazione tra il sistema delle autonomie e il governo centrale, differenze che in molti casi ci hanno portato e ci portano ai limiti del conflitto istituzionale. Mi riferisco ad esempio al tema della tesoreria unica, alla decisione unilaterale di caricare sulle spalle dei comuni costi relativi ad apparati di sicurezza pubblica e ad uffici giudiziari periferici, all’istituzione di una nuova imposta che di municipale porta solo il nome e la volontà di utilizzare i Comuni come agenti di riscossione per conto dello Stato. E la lista potrebbe continuare a lungo. In questo periodo è sempre più preoccupante l’incertezza dei Comuni, impegnati in nella predisposizione del Bilancio 2012 a causa delle numerose novità normative che si sono susseguite nel corso dell’anno 2011 con tagli al fondo sperimentale di riequilibrio che con la manovra di quest’anno raggiungono quasi i 6 miliardi di euro. A questa situazione drammatica si aggiunge l’incertezza suscitata dal metodo di calcolo delle poste che devono essere iscritte in bilancio che sono determinate dalla stima del gettito IMU prodotta del Ministero dell’Economia e che risultano molto distanti sia dai dati sul gettito ICI riportati nei consuntivi del Comuni sia dalle proiezioni realizzate dai singoli Comuni in collaborazione con l’ANCI.

Queste differenze dovranno essere compensate in corso di esercizio in ogni singolo Comune e comporteranno la necessità di appostare ulteriori risorse nel fondo sperimentale di riequilibrio. Ma il tema che a noi sta più a cuore è la richiesta di rivisitazione del Patto di stabilità in un’ottica di maggiore flessibilità e pur nel rispetto degli impegni europei. Il tema è per noi di particolare importanza perché riguarda il ripristino dell’autonomia organizzativa dei Comuni, necessario per poter svolgere al meglio il compito di garantire i servizi essenziali ai cittadini e alle comunità, a maggior ragione in un momento di difficoltà come quello che stiamo attraversando. Siamo tutti d’accordo nel considerare il principio di responsabilità come corollario indispensabile del principio di autonomia. I numeri stanno lì a dimostrare che i Comuni, nel corso degli anni , questo senso di responsabilità lo hanno dimostrato con i fatti. I numeri affermano senza ombra di dubbio che i Comuni non sono i figli spreconi dell’apparato statale e che, anzi, hanno portato dal 2007 circa 13 miliardi di saldo positivo al comparto della pubblica amministrazione. Nel 2012 il contributo finanziario previsto dal governo aumenta del 69% rispetto al 2011. Nel suo complesso il contributo finanziario richiesto ai comuni vale: - Il 14,6% della spesa corrente, compromettendo la capacità di fornire servizi; - Il 55,8% delle risorse trasferite nel 2010 e prevalentemente fiscalizzate nell’ambito della transizione al federalismo fiscale, compromettendo quindi in modo grave questo percorso; - Senza tener conto che l’onere in rapporto alla spesa degli enti effettivamente è di gran lunga maggiore, anche per effetto dell’applicazione dei criteri di virtuosità. Nell’anno 2012, in Sardegna il contributo finanziario dei Comuni maggiori di 5000 abitanti soggetti al patto, ipotizzando uno scenario di numerosità di enti virtuosi pari al 10% prevede un importo complessivo di 172 milioni di euro. Il contributo finanziario pro capite è di 152 euro, il più alto tra tutte le Regioni d’Italia. Solo il Comune di Cagliari parteciperà con 33 milioni di euro. Sassari con 19. Nell’anno 2013 il contributo finanziario verrà richiesto a tutti i Comuni maggiori


DOSSIER EMERGENZA SARDEGNA di 1000 abitanti. E qui lo scenario è ancor più drammatico. Ipotizzando sempre una numerosità di enti virtuosi pari al 10% i Comuni sardi dovranno contribuire con 243 milioni di euro e, anche in questo caso la spesa pro capite di 151 euro/abitante è la più alta d’Italia. L’estensione del patto ai comuni piccoli dal 2013 redistribuisce l’onere del risanamento su una platea più ampia ma rischia di compromettere pesantemente il livello di erogazione dei servizi nelle comunità con rischi di ulteriore spopolamento e con l’acuirsi di fenomeni già gravi di disagio sociale. Altro punto che voglio segnalare. Con la manovra viene concesso ai Comuni lo sblocco dell’aliquota addizionale IRPEF comunale sino ad un massimo dello 0,8 %. L’obiettivo sarebbe quello di consentire una compensazione dei minori trasferimenti attraverso l’incremento dell’addizionale. Il combinato disposto dell’inasprimento degli obiettivi di patto e il contemporaneo sblocco dell’addizionale Irpef indurranno inevitabilmente i Comuni a reperire le maggiori risorse necessariamente attraverso il canale dell’autonomia tributaria. Al di là della dubbia efficacia di questo canale, si produrrà il risultato di far diventare i Comuni esattori dello Stato e attraverso le imposte locali (destinate a finanziare i servizi) si contribuisce al risanamento delle finanze pubbliche. In questo modo, invece di incentivare i comportamenti responsabili dei sindaci con il federalismo fiscale, si comprime l’autonomia tributaria. - Oggi l’aliquota massima è adottata dal 13,4% degli enti, dopo lo sblocco oltre il 95% degli enti potrebbe adottare il valore massimo. - Si cancellano così le differenze attualmente riscontrabili nella distribuzione delle aliquote praticate dai comuni Anche chi ha controllato la pressione fiscale in passato sarà costretto ad incrementare le imposte locali per darle allo Stato Il cittadino in questo modo non sarà più in grado di riconoscere un comune virtuoso che controlla la pressione fiscale da un comune non virtuoso Il risultato finale sarà che tutti saranno uguali con un’omologazione al peggio. In questo scenario descritto a tinte fosche ma realistico, come Comuni, resta fermo il nostro impegno a lavorare sui criteri di virtuosità, soprattutto con riferimento al

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Giunta Regionale e parlamentari sardi al tavolo sulla crisi ALCOA

miglioramento ulteriore dell’efficienza delle funzioni e dei servizi affidati alla nostra responsabilità. Rimane da capire in che modo si possa lavorare per favorire la crescita e lo sviluppo. Nonostante tutti questi sacrifici, i fatti hanno dimostrano che l’intervento sul solo lato dei tagli non è sufficiente a migliorare i fondamentali economici e a rassicurare le preoccupazioni dei mercati. Senza una strategia di crescita sostenuta è impossibile migliorare la nostra posizione internazionale. Le città, le autonomie locali, i territori, possono giocare un ruolo fondamentale per la crescita: è infatti nei territori che possono essere avviate azioni immediate e urgenti di sostegno allo sviluppo. Promuovere “cantieri” diffusi nelle città e nei territori può dare il senso di un progetto ampio e concreto, capace di mettere in moto le risorse di intere comunità, fatte di imprenditività e di protagonismo sociale ed economico nella prospettiva di un rilancio dell’Isola. È in questo processo autopropulsivo di sviluppo autogenerato che si possono realizzare processi rapidi e solidi di innovazione sociale e nuovi investimenti produttivi. Nelle città possono, inoltre, precipitare i disegni di politiche nazionali coerenti e al contempo riconoscersi le imprese e i cittadini che intendono partecipare a uno sforzo comune per il rilancio dell’Isola e, più

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in generale dell’Italia. Molte realtà locali si stanno già muovendo in questa direzione e molte persone con elevate competenze (amministratori, imprenditori, rappresentanti delle associazioni, cittadini) stanno cercando di mettere a disposizione delle comunità il proprio talento e la propria passione. Tuttavia per loro è difficile sentirsi parte di un grande disegno collettivo. La nostra proposta è quella di stringere un “Patto tra Comuni sardi e le forze sociali, per la crescita e lo sviluppo dell’Isola”. In questa fase drammatica della nostra vita si tratta di unire le forze più sane ed attive e disegnare insieme un programma comune in questa direzione: un programma articolato su pochi progetti semplici, concreti e capaci di dare risposta alle esigenze più immediate che abbiamo davanti. Si tratta di liberare risorse e favorire investimenti fondamentali per mettere le nostre imprese nelle condizioni di competere sui mercati e al contempo di garantire quell’equità sociale che i tagli alla spesa indiscriminati e lineari rischiano oggi di compromettere. Molti progetti possono essere realizzati a costo zero. In fondo anche da un punto di vista lessicale, il concetto di autonomia richiama l’autoregolazione prima che la rivendicazione. C’è una bella espressione di Umberto Cardia il quale riferendosi alla nascita

dell’autonomia nel secondo dopoguerra dice che l’idea di autonomia riemerge dal sottosuolo della dittatura. Per superare l’attuale sconcerto, può essere utile, non fosse altro per conforto, richiamarsi alla memoria storica e al suo percorso millenario su due “costanti”: la “costante resistenziale” e la “costante autonomistica”, tanto care al compianto Giovanni Lilliu. Quest’ultima, scriveva Lilliu, è assimilabile a un corso d’acqua in un terreno carsico, che per lo più fluisce all’aperto e ravviva la terra e la gente e la fa crescere liberamente, ma a tratti si ingrossa sfuggendo a cose estranee che tendono a corromperlo e ad essiccarlo, per riemergere quando il pericolo è cessato. Nel senso di questa metafora, va l’augurio che questa nostra Regione sarda si imbarchi, navigando serenamente in questo complicato III millennio, e che, giunta a quel porto, riprenda il cammino, per vie nuove, e con nuove opere sino a quando, sentendosi giunta al termine, si tramuti da Regione in Nazione. *Cristiano Erriu, Presidente dell’ANCI Sardegna



QUI MAGGIORANZA

UNA PULIZIA

DI BILANCIO PER CREARE SVILUPPO E POSTI DI LAVORO di Giulio Steri*

DOPO UNA GESTAZIONE DI QUATTRO MESI LA REGIONE HA VARATO FINANZIARIA E BILANCIO 2012: MAGGIORANZA E OPPOSIZIONE ESPONGONO QUI LE RISPETTIVE POSIZIONI

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a Finanziaria, tra Commissione e Aula, ci ha impegnati per quattro mesi. La rapida evoluzione della situazione di crisi rispetto al momento in cui la Giunta ha approvato il testo dei disegni di legge in questione, ha obbligato la Commissione e l’Aula ad intervenire, in accordo con la stessa Giunta, sui testi in esame con l’introduzione di notevoli ed incisive modifiche, interventi apportti anche con l’apporto dell’opposizione. In questo compito non ci ha sicuramente facilitato la legge di Contabilità, che si è rivelata del tutto inadeguata e che andrà sicuramente rivista profondamente. In questa fase abbiamo dovuto limitarci ad introdurre solo alcune modifiche per avvicinare il Bilancio di competenza al Bilancio di cassa, al fine di ridurre la possibilità che si creino i cosiddetti “residui”, ossia somme impegnate ma non spese spesso per parecchi anni. Quindi, considerato che una gran parte del Bilancio è obbligatoriamente destinata alla copertura di spese obbligatorie e che la massa manovrabile è risultata estremamente ridotta, al fine di reperire le risorse occorrenti per finanziare alcuni interventi ritenuti essenziali, si è reso necessario compiere , maggioranza e opposizione, una “pulizia” del Bilancio, individuando al

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suo interno risorse che potevano essere destinate ad altri interventi ritenuti prioritari. Le somme così individuate sono state destinate ad una serie di iniziative volte a creare posti di lavoro ed allo sviluppo. Così si pensi ai finanziamenti, consistenti, introdotti per finanziare cantieri comunali e cantieri verdi; non solo, ma sono stati introdotti anche altri finanziamenti di minore rilevanza economica, quale il rifinanziamento dell’azione bosco. Si pensi all’introduzione di consistenti risorse volte alla realizzazione di opere immediatamente cantierabili. Non solo, ma parte delle risorse sono state destinate ai consorzi fidi sia per consentire l’offerta di un maggior numero di garanzie, sia per l’abbattimento degli interessi sulle garanzie concesse. Si noti che questi interventi sono coincidenti anche con le richieste avanzate dalle organizzazioni datoriali. Inoltre, sempre in accordo tra maggioranza e opposizione, sono state introdotte norme per accelerare l’attribuzione delle risorse in favore dei Comuni, fornendo tempi certi per la chiusura delle tranche 2011 e delle risorse del 2012. Un altro problema affrontato è stato quello dei limiti di spesa imposti dal patto di stabili-

tà, ossia la Regione può impegnare risorse maggiori rispetto a quelle che poi può effettivamente pagare. Fermo restando che il problema può essere risolto con la sottoscrizione di apposite norme di attuazione, da un lato si è intervenuti cercando di introdurre disposizioni che allevino la posizione degli Enti Locali; dall’altro, si sono stabilite quelle che sono state ritenute spese prioritarie, in modo tale da assicurare che gli interventi così finanziati possano trovare poi effettiva attuazione. L’approvazione della Finanziaria e del Bilancio ha scatenato una forte polemica tra alcune forze della maggioranza e dell’opposizione su chi fosse stato più bravo ad apportare le modifiche. A noi dell’UDC è una polemica che non interessa: abbiamo contribuito tutti al risultato. Piuttosto che perdersi in sterili polemiche, è invece importante attivarsi affinché le disposizioni introdotte trovino effettivamente attuazione e non rimangano lettera morta come è avvenuto in altre occasioni. Questa è ora la priorità». *Giulio Steri, capogruppo UDC


QUI MINORANZA

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na finanziaria a due facce. Se da un lato c’è una manovra che, grazie soprattutto alla collaborazione che si è instaurata tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione, prevede una serie di interventi anticrisi, mirati in questo particolare momento a sostenere le imprese, i disoccupati, le famiglie e i giovani, dall’altro c’è una manovra ben lontana dall’essere quell’efficace strumento di pianificazione e programmazione indispensabile per gestire tutto il sistema Sardegna e per dare nuovo impulso all’economia. Ci troviamo di fronte a un provvedimento che dà delle risposte alle emergenze in atto, ma non getta le basi per uno sviluppo solido e sostenibile che permetta di recuperare il profondo divario che esiste con le altre regioni dell’Italia e dell’Europa. Questo aspetto è quello che ha spinto l’opposizione, nonostante alcune migliorie, a votare contro la finanziaria, che riflette il

UNA MANOVRA DAI DUE VOLTI di Franco Sabatini*

vuoto politico e programmatico dell’attuale esecutivo. Sia nelle pagine del documento annuale di programmazione economica e finanziaria, il DAPEF, sia in quelle del testo della manovra, infatti, non si intravede la linea politica e gestionale che la Giunta vuole portare avanti. Non a caso, in più di un’occasione, la manovra è stata definita pasticciata e confusa, perché frutto della contrapposizione tra i gruppi presenti all’interno della stessa maggioranza. Sono stati proprio i contrasti all’interno delle forze di centrodestra a rallentare i lavori in Commissione prima e in Aula dopo, a frenare l’approvazione del provvedimento e a portare il Consiglio ad autorizzare per due volte l’esercizio provvisorio di bilancio. La Terza Commissione ha lavorato con senso di responsabilità a migliorare il testo, analizzando tutti i capitoli del bilancio nel dettagli, eliminando tutte le spese inutili e recuperando 170 milioni di euro che sono stati utilizzati per finanziare tutti gli interventi contenuti nell’articolo 4 bis che è stato approvato all’unanimità. Questo però non promuove la manovra nel suo complesso, che definirei, usando un aggettivo sicuramente forte, falsa. Falsa perché per il terzo

anno consecutivo si iscrivono in bilancio le risorse provenienti dall’applicazione del nuovo regime delle entrate previsto dall’articolo 8 dello Statuto Sardo, che lo Stato però non ha mai accreditato. Falsa perché gli stanziamenti di alcuni interventi sono stati gonfiati mettendo in conto risorse inesistenti. Ci troviamo di fronte a una situazione assai complessa, con il forte timore di non vedere attuati molti dei provvedimenti previsti: in primis a causa della mancata risoluzione della vertenza entrate e in secondo logo a causa della mancata rimodulazione dei vincoli imposti dal patto di stabilità che ingessano la spesa. Le responsabilità della Giunta, in questo senso, sono evidenti a tutti. Troppe partite, vitali per le sorti della Sardegna, sono ancora in alto mare. Il voto contrario delle minoranze nasce appunto dalla consapevolezza che questa manovra, priva di una visione strategica e di sviluppo per la Sardegna, non riuscirà a dare quella spinta in più di cui avrebbe bisogno, ora più che mai, la nostra isola. *Franco Sabatini, Consigliere PD Bilancio

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C’ LE PAGINE DEI GRANDI DI SARDEGNA PER I 40 ANNI DEL NOSTRO GIORNALE

IL NEMICO VIENE DAL MARE

di Francesco Masala

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è un proverbio sardo che dice “sa fàula tràzat comènte su riu”, cioè, pressappoco, il mito è come il fiume, dovunque passa trascina quanto può e se lo porta via, dalla sorgente del passato alla foce del presente. In una società, come quella sarda, povera, vinta, che non ha fatto “storia”, l’esperienza esistenziale si stratifica nel “mito”, che è, appunto, la storia dei vinti, la tradizione popolare come riassunto della realtà. Non è facile decifrare gli strati di questa geologia dell’anima collettiva, nella sua vicenda millenaria , interpretare l’etnos e l’etos dell’uomo sardo, della sua dimensione, del suo essere così, spiegare le “permanenze”, dare ad esse un senso attuale, risalire alle sorgenti, quando l’uomo sardo ritualizzò, con la sua fantasia impaurita, le angosce della sua condizione inesplicabile e del suo destino implacabile, con i miti e con i riti che da noi appaiono, ora “rottami d’antichità” o incunaboli del folklore. Se è vero ciò che afferma uno storico tedesco (uno di quelli che capiscono tutto e sistemano tutto) che lo stato primitivo dell’uomo è contraddistinto dalla identificazione dell’io umano nell’io cosmico, ebbene, allora, noi sardi siamo, come Leopardi o Montale, dei primitivi: i nostri nuraghi, le nostre “pietre fitte”, le domus de janas, le bisacce policrome, i tappeti metafisici, i mammuthones, il riso sardonico, s’attidu, il ballo tondo, su boborobò, s’andira in nora anfira, li abbiamo inventati per incatenarci all’io scosmico, all’Universo. Sul piano dell’immaginazione, almeno, è meno pesante di Lawrence che i sardi conservano, a bella posta, il loro oscuro Paradiso dell’ignoranza per lasciare che il resto dell’Italia si crogiuoli nel suo illuminato Inferno: ma mette conto di dire che, oggi come oggi, non è più possibile neppure questo, dal momento che ci hanno pensato due moderne divinità ad illuminarci: il Dio Petrolio e il Califfo della Costa Smeralda. In realtà, per la gente sarda, la “morale della storia” è questa: il nemico viene sempre dal mare, dalla malaria, importata dai Cartaginesi, ai cani mastini, importati dai Romani, contro i mastrucati latrones, alle bardane dei Goti, dei Bizantini e degli Arabi, agli usurai di Pisa e di Genova, ai cavalli versi degli Spagnoli a sas cortes de sa furcas e sas tancas serradas a muru dei piemontesi, alla caccia grossa dei bersaglieri italioti, alle teste di morto, importate dal Fascismo, al petrolio, ultimo nemico venuto dal mare. Da ciò il rifiuto della “storia”, da parte dei Sardi, e la loro fuga nel “mito”: o meglio, la realtà che si fa mito. Riso sardonico. Era un riso “rituale”, usato, cioè, durante un rito di eliminazione. Secondo lo storico greco Timèo, in Sardegna, i vecchi,


non appena compivano i settanta anni d’età, venivano uccisi, a colpi di pietra, lapidati, in altri termini, dai loro stessi figli. Secondo un altro storico, il romanzo Eliàno, era una vera e propria legge di Sardegna, in forza della quale, i figli dovevano eliminare i loro padri settantenni e il rito doveva essere celebrato fra le risate, proprio per mostrare fermezza, forza d’animo, stoicismo. Ora, aggiungiamo noi, col permesso dei due antichi storici, un evidente provvedimento di natura economica, più che religiosa, indicante una costante eterna e immutabile della vita esistenziale in terra di Sardegna: la fame. Mentre presso altri popoli dell’antichità si uccidevano i bambini, per placare Molok, il dio della fame, in Sardegna si uccideva il vecchio, colui che ha terminato il suo ciclo produttivo, non tanto per motivi religiosi quanto per motivi economici, per avere una bocca in meno, un concorrente in meno nella divisione di uno scarso cibo. Naturalmente, per poter sopportare e ridere, durante il rito di eliminazione dei padri, i figli si passavano sulle labbra il lattice dell’euforia, l’antica “erba sardonica”, l’erba diffusa in tutta l’isola, amara come il fiele, che tumefà e sganghera la bocca in una tragicomica risata. Ora, i vecchi, in Sardegna, non muoiono più lapidati, ma di mancanza di fiato nel proprio letto. Eppure, il “riso sardonico” è rimasto, fuori dal rito e dal mito, nella realtà: è il riso della melagrana, quando cade per terra e si sfascia mostrando i suoi denti sgangherati e sanguinanti (su risu de sa melagranata, rutta a terra e squartaràda): è il riso della colomba che si squarcia il ventre con le unghie quando ha fame (su risu de sa columba chi si nde bogàt sa matta cun s’ungia); è il riso giallo (su risu grogu) del mietitore del Campidano quando lo scirocco gli miete, con la sua falce di fuoco, le spighe arrugginite, nel suo campo; è il riso verde (su risu birde) del pastore di Barbagia quando la gelata primaverile gli brucia l’erba nella tanca; è il riso di cenere (su risu de chigina) del mezzadro di Logudoro quando il pastore del Goceano gli mette la candela di cera dentro il moggio di sughero per bruciargli il suo grano; è il riso nero (su risu nieddu) del minatore di Carbonia quando il “grisou” scoppia in fondo al pozzo; è il riso rosso (su risu ruiu) del pescatore di frodo quando il tritolo gli scaglia le dita mozze contro la luna. Il giuoco della lite. C’è un giuoco di fanciulli, in Sardegna, chiamato “sa birga”, la lite. Si fa così. Si tracciano per terra dei grandi cerchi. Dentro ognuno di questi cerchi si mette un fanciullo. I cerchi si chiamano “sas tancas” e i fanciulli si chiamano “sos padronos”. I padroni delle tanche. Altrettanti fanciulli rimangono fuori dai cerchi e vengono chiamati “sos asciuttos”, a becco asciutto, cioè senza tanche, senza terra, senza nulla. Il giuoco

consiste, appunto, in una “briga”, in una lite, in una lotta, fra “padrones” e “asciuttos”, fra ricchi e poveri. A questo punto, lasciando i fanciulli che giucano nelle piazzette dei villaggi di Sardegna, mette conto di svelare i significati del loro giuoco. I fanciulli, si sa, stanno sempre ad imitare i grandi, e poi i giuochi se li passano da uno all’altro, da una generazione all’altra: e, così la storia si fa mito. Questo giuoco è nato circa due secoli fa, quando il piemontese, buonanima, inventò, qui, in Sardegna, la proprietà privata, detta, allora, la “perfetta proprietà”. Nel 1820 fu emanata in Sardegna la legge delle chiudende, in forza della quale chiunque poteva chiudere, tancare, gratis et amore dei, i terreni comunali che prima erano proprietà collettiva. Fin qui, niente di male. Era un modo come un altro di porre fine, anche in Sardegna, all’economia di tipo feudale e di dare inizio alla rivoluzione borghese. Il male fu che i beneficiari della legge, i nuovi proprietari, sos padrones de sas tancas, non furono i contadini, i pastori, gli ortolani, i vignaioli, che già coltivavano le terre comunitarie, ma furono quei sardi privilegiati che si trovavano alla Corte di Torino, nobili, ufficiali, magistrati, preti, che si precipitarono sui velieri e approdarono in Sardegna, prima che approdasse la Legge, e incitarono parenti ed amici al grido di «Tancade!! Tancade!!». Costoro chiusero, “tancarono” e, poi, fecero pagare ai lavoratori l’affitto di quelle terre che, prima, erano gratuite. Immaginiamoci un po’ questo sfrenato western in terra di Sardegna, questa ingiusta rapina della terra, questi pionieri sardi, armati di pietre nuragiche, filo spinato e filari di fichidindia; e immaginiamoci lo stupore, l’ira dei veri lavoratori della terra, dei servi della gleba ancora una volta fregati; e immaginiamoci i figli dei lavoratori che assistevano alla lotta, alla lite, alla “briga” dei loro padri con i “chiuditori di terre”, che culminarono nella ribellione nuorese, quando “sos asciuttos” se la presero contro sos padronos e si ribellarono per ristabilire le tradizioni comunitarie, al grido: «a su connottu!!», ritorno al conosciuto. Poi, le cose andarono come sono andate ed è rimasto il giuoco dei fanciulli a mitizzare la realtà e a sacralizzare la storia. Ma la realtà è che la “perfetta proprietà” fu un “perfetto furto” che suscitò lo sdegno del poeta cieco, Melkiorre Murenu, ucciso da sos padronos per la sua satira: “Tancas serradas a muru / Fattas a s’afferra afferra / si su chelu esseret terra / si l’haian serradu a muru / Fattas a s’afferra afferra / si su chelu esseret terra / si l’haian serradu puru”. Fra cento anni, e qui volevamo arrivare, i fanciulli, in terra di Sardegna, giuocheranno al “giuoco della raffineria”, la nuova “tanca” industriale.

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VIVERE

IL Q BASTIONE DELLA GERUSALEMME SARDA uesta non è stata la prima volta che trovandomi a Cagliari mi sono rifugiato sul bastione di San Remy al salvo dai cittadini cacciatori di pedoni che al volante si trasformano in

di Costantino Nivola

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veri e propri criminali. E’ proprio in quella parte storica della città che uno mette a repentaglio la vita se ha la pretesa di visitarla percorrendola a piedi. L’unico luogo interessante della “Gerusalemme Sarda”, come l’ha definita D.H. Lorens è territorio imperiale delle automobili. Queste, parcheggiate, occupano i due lati delle strade già strette e senza marciapiedi. Nello spazio che rimane, al centro, scorrazzano a tutta velocità le macchine, credo senz’altro meta oltre a quella di accoppare qualche retrogrado come me che osa dubitare sulla validità delle sacre “esigenze moderne”. Come alle oasi nel deserto, al bastione il viandante vi arriva esausto sia che scelga l’accesso dalla scalinata in piazza della Costituzione o l’entrata di fianco da via Università oppure quella dall’alto da via Fossario. Queste tre alternative sono tre promesse mantenute che si realizzano nelle loro varianti sensazionali: sorpresa e scoperta di questo incantevole spazio libero e sicuro sospeso tra cielo e terra. Che questo immenso lenzuolo al sole il vento non l’abbia portato via come una nuvola e che la follia degli uomini si sia limitata a ignorarlo è un fatto incredibile. Della sua sopravvivenza ne faccio cenno agli amici come di un segreto cospiratorio. Ho avuto anche l’occasione di sussurrarlo nell’orecchio (attento) del presidente Soddu, sorvolando la città prima di atterrare all’aeroporto. In Lingua Sarda, per forza! Per esprimere in modo più solenne la rilevanza contenuta nella mia informazione. Nel bastione io vedo, oltre a quello che di bello esiste, anche le infinite potenzialità per migliorarlo, rilevandole e potenziandole. Oso dire anch’io ciò che ho sentito dire a Le Corbusier ammirando il profilo di Manhattan – New York: «Mi trema la mano al desiderio di disegnare le infinite possibilità estetiche di questa formidabile città».


E’ da anni che sto corteggiando l’idea di proporre all’amministrazione della città di Cagliari e all’attenzione della Regione autonoma sarda, che ha sede in questa città, un progetto di natura artistica inteso a vivificare culturizzandola (per usare un termine concettualista) tutta l’area del bastione, magari seguendo il nastro di verde che, partendo dalla galleria passeggiata coperta, lungo il viale Regina Elena, va a finire nei giardini pubblici. Le autorità politiche, monarchiche e repubblicane, le amministrazioni comunali di tutti i tempi hanno commesso follie in nome di miti e ideali divenuti assurdi col passare del tempo . Contro gli interessi della comunità e di loro stessi hanno però anche saputo riscattare

che alle nostre amministrazioni il merito di essere state umane anche se inesperte e inadeguate al tempo presente. Breve descrizione del progetto bastione. L’accesso al bastione San Remy dalla piazza della Costituzione potrebbe essere reso più invitante dalla presenza di una scultura collocata nella nicchia all’inizio della gradinata. Il gesto e la forma di questa scultura dovrebbe evocare l’atto di ricevere un’ospite, la sensazione che una persona ci riceva cordialmente. Delle due arcate della galleria coperta due sculture di dimensioni piccole, come due bambini che si affacciano curiosi per vedere l’ospite. Nello spazio semicircolare che condu-

dra dentro la curva dell’arco della grande galleria. Desidero la presenza dell’acqua , che vorrei esprimere solo come desiderio. Dovrebbe sorgere dal muro del secondo belvedere, fare un lungo percorso, dividendo quasi tutta la distanza della piazza. Sollevato ma basso in un ruscello in movimento che si divide in due tra le palme e sparisce misteriosamente come nasce, producendo appena un mormorio discreto come il muoversi delle foglie, che però hanno il potere di cancellare il frastuono della città intorno. Ora che ho saziato la sete, ristorato nel senso dell’udito, mi viene più stimolante l’appetito visuale negli spazi prima monotoni e inerti, forme

la loro natura umana lasciando ai posteri opere d’arte che attestano la presenza dei valori dello spirito. Sarebbe assai triste se in questo periodo di transizione difficile per la Sardegna le amministrazioni responsabili sarde si identificassero soltanto come quelle che hanno venduto e incrementato le belle coste dell’isola e permesso il taglio delle sue ultime querce, che si è lasciata inquinare il mare che la circonda, i fiumi che la percorrono e infine l’aria che si respira. Una acropoli moderna al bastione di Cagliari: galleggiante in un mare di acque inquinate, di rifiuti di plastica, di sterco di maiale, sarebbe poca cosa (menu chi non nudda!) sufficiente però per riscattare an-

ce alle due rampe di scale che completano l’ascesa al belvedere, una scultura a forma di totem si alza verticale come per incoraggiare accompagnandolo, il visitatore fino in cima. Sorpresa e meraviglia di trovarsi in mezzo a un gruppo di palme e altri alberi verdi: immobili come se stessero per riprendere il fiato; o agiate ma tenaci nella loro abitudine a resistere al vento. Lo spazio è vasto e brillante. Il parapetto nasconde il caos delle nuove costruzioni e delle intricate attività del porto. Le colline si adagiano sopra il parapetto, il mare sembra una linea parallela adesso, il cielo domina su tutto. Mi guardo intorno, la cima della scultura totem ora si inqua-

scolpite intervengono in gruppi o isolate, alcune orizzontali altre verticali. Queste forme o immagini proiettate contro i fondi delle colline, monti e mari e che circondano la piazza bastione, comunicano tra loro come se radunate per un simposio grave e solenne. Come se parlassero in sardo, non tutti possono intendere. Questi personaggi potrebbero anche simboleggiare i grandi sardi di ieri, che hanno più sentito di difendere quest’isola dalle invasioni, e di quelli che oggi sentono con altrettanta urgenza la necessità di difenderla dalle insidie mortali del nostro tempo.

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“IO ED EMILIO LUSSU”

Il corpo?

L’IMPORTANTE È RAGIONARE SINO ALLA TOMBA di Armando Zucca

H

o avuto il raro privilegio di iniziare la mia attività politica e di porvi termine, dopo circa trent’anni, costantemente a fianco di Emilio Lussu. Perciò ho avuto modo di conoscerlo quant’altri mai, dopo il suo ritorno dall’esilio e dalla clandestinità per questo ne scrivo con molta titubanza, ben ricordando quanto ebbe sempre a dirmi, di non volere né commemorazioni né apologie postume. Fu nei primi mesi del 1946 che conobbi Emilio Lussu, durante un comizio ad Ales, per le elezioni amministrative; e fu un incontro che influì, in modo determinante, sulla mia vita. Ero già allora, forse più per istinto che per convinzione, socialista, anche se non avevo avuto il tempo di iscrivermi, essendo rientrato di recente, dal servizio militare. Malgrado ciò, gli amici che dirigevano il partito sardo d’azione, mi invitarono a porgere il saluto di benvenuto a Lussu. Lo feci ma non ricordo cosa gli dissi. Egli, finito il comizio, mi fece cercare: aveva saputo chi ero; mio padre era stato suo compagno di università, anche se in facoltà diversa. Si informò dei mie studi: ero alla vigilia della laurea in leggi. E, senza molti indugi, mi apostrofò: «Devi essere con noi!»; osservai: «Ma io sono socialista». La sua risposta fu immediata «Ma anch’io sono socialista: socialista e autonomista». Feci la battaglia per la lista sardista, non essendovi quella del “blocco del popolo”. Essa trionfò: l’ultimo degli eletti sardisti ebbe il doppio dei voti del primo della lista

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democristiana; il blocco liberal-qualunquista, appoggiato dai vecchi gerarchi, ebbe poche decine di voti. Mi trovai così iscritto al partito sardo d’azione e pochi mesi dopo ne ero dirigente provinciale. E con Lussu seguii le varie tappe della sua azione politica: partito sardo d’azione socialista nel 1948: partito socialista italiano nel 1949; partito socialista italiano di unità proletaria del 1964. Sempre nella corrente di sinistra: nel P.S. d’Az, nel P.S.I., nel PSIUP. Ma spero di essere creduto da quanti mi conoscono se affermo che ciò è avvenuto per convinzione, non per passiva acquiescenza o per la istintiva ammirazione per un uomo di statura, politica e morale, assolutamente eccezionale, quale è stato Emilio Lussu. Anche perché egli era un uomo politico che non si poteva seguire senza esserne convinti. Egli fu sempre un intransigente, nelle sue idee e nella sua azione: e lo fu innanzitutto con se stesso, senza tentennamenti e senza calcolare i rischi. Già nel 1948, con la scissione del partito sardo d’azione, decisa due o tre mesi prima del Congresso, egli poteva scomparire dalla scena politica. Considerato motivo di orgoglio aver contribuito, per vent’anni , a far sì che ciò non accadesse, si che egli ha dovuto ritirarsi dalla vita politica solo per motivi di età, a 78 anni. Gli storici diranno quanto sia stato duro l’impatto di Emilio Lussu, reduce dall’esilio e dalla Resistenza, con una Sardegna uscita frustrata e clericalizzata dal fascismo, senza aver neppure conosciuto la


lotta armata contro il nazi-fascismo. Egli era un intransigente: sapeva che non lui ma il popolo sardo si era fermato sotto i falsi miti e l’azione corruttoria del fascismo. Per tenere fede alle sue idee, maturate in venti anni di lotte, egli distrusse, coscientemente, il suo mito, quello che i combattenti delle trincee e i sardisti che si opposero fino all’ultimo al fascismo trionfante, avevano tramandato ai figli. Egli era un socialista rivoluzionario, giunto al marxismo, come non si stancava di ripetere, e alla convinzione che la classe operaia è la classe egemone nella lotta per la liberazione degli oppressi e per la costruzione della società socialista, non sui libri ma attraverso la lotta. Ma ciò non gli impediva affatto di continuare a vedere nelle lotte dei contadini del Sud e delle Isole, nelle quali egli aveva maturato le sue prime esperienze, col movimento dei combattenti prima, col partito sardo d’azione poi, uno degli elementi essenziali della lotta rivoluzionaria in Italia. E non gli impedì di continuare a vedere nell’Autonomia speciale per la Sardegna, e nelle Autonomie estese a tutte le regioni italiane, un elemento importante, non solo a livello delle sovrastrutture, per trasformare la società e lo Stato. “Socialismo e Autonomia”, fu il binomio cui egli rimase fedele e che lo portò alle scelte, sempre più rischiose, che egli ha fatto in questo dopoguerra, sempre con la stessa intransigenza. Vide nella D.C. lo strumento principale della restaurazione capitalistica e della conservazione delle strutture statali, forgiate dal fascismo, e perciò si oppose – ecco le scissioni – a qualunque accordo con essa. Ed è difficile affermare, ancora oggi, che i fatti gli abbiano dato torto, nel momento in cui, mutate le generazioni, le squadracce fasciste, che avevano tentato di ucciderlo, possono imperversare, pressoché impunite, per le strade della capitale d’Italia, ad appena trenta anni dalla Liberazione. Fu un intransigente, ma ebbe sempre presente che l’unità della classe operaia, dei lavoratori e l’estendersi delle alleanze attorno ad essi, erano il presidio più certo delle conquiste repubblicane e mezzo essenziale per avanzare verso il socialismo. Fu un intransigente, ma mai autoritario, al di là delle apparenze. Dopo lunghe, spesso interminabili discussioni negli organi di partito, si votava; ed egli si rimetteva sempre alla volontà della maggioranza. Posso affermare in tanti anni di battaglie comuni, di non aver mai avuto da lui un’imposizione o un tentativo di persuadermi se non con la discussione: e chi mi conosce sa

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LE PAGINE DEI GRANDI DI SARDEGNA PER I 40 ANNI DEL NOSTRO GIORNALE che ho sempre sostenuto le mie idee, in assoluta autonomia di giudizio, anche nei confronti di un uomo come Emilio Lussu. Un episodio, forse banale, che dà un idea dell’uomo. Tornavamo da Armungia, notte-tempo, molti anni fa. Oltre al compagno che guidava l’autovettura, era con noi un altro compagno, di cui mi sfugge il nome. Ad un tratto, ecco apparire una lepre: dopo breve corsa , si ferma sul ciglio della strada. Egli era un cacciatore appassionato e fino all’età di 82 anni ha sempre avuto la licenza di porto d’armi: ma mai avrebbe sparato non solo ad una lepre abbagliata dai fari, ma anche ad una lepre ferma, di giorno. Io ero armato di fucile da caccia; dissi al compagno di bloccare l macchina, per poter sparare alla lepre. Lussu mi apostrofò aspramente; controbattei: «Sei un democratico: rimettiti alla volontà della maggioranza dei presenti». Votammo: rimase isolato. Scesi e uccisi l’animale.

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Come risalii in macchina, mi gridò. «E’ un assassinio!»; e me lo rinfacciò per mesi e mesi… Ma aveva accettato i risultati di quella votazione, apparentemente scherzosa pur avendo pienamente ragione ed essendogli sufficiente dire al compagno di procedere oltre per impedirmi il misfatto. Questi era Emilio Lussu, un uomo eccezionale, la cui ambizione costante era di essere visto e trattato come un uomo comune. Quando egli si era ritirato dalla vita politica attiva, nel 1972, dopo la sconfitta elettorale e lo scioglimento del PSIUP, io decisi, per mia convinzione ma anche per un sentimento di fedeltà alle idee che per quasi trent’anni mi avevano accomunato ad Emilio Lussu, di ritirarmi dalla attività politica: egli non approvò questa mia scelta, ma rispettò la mia decisione ed io stesso preferii non trattare con lui questo argomento. Sapevo di doverlo fare, anche se, apparentemente, alla mia età, poteva

apparire una diserzione. Si è che con lui e con la sua scomparsa si è chiuso per me ben più che un capitolo della mia vita: ma so di aver avuto, come dicevo all’inizio, il raro privilegio di essergli stato vicino per tanti anni, per cui il futuro mi interessava molto relativamente… Per concludere queste brevi note di ricordi e di considerazioni. Emilio Lussu ebbe a dire, in un discorso all’Assemblea costituente, che: «La storia dei popoli è sempre la storia dei vincitori e non dei vinti…». Anche la storia dell’Isola in questi 50 anni è la storia dei vincitori: del fascismo prima, della Democrazia Cristiana poi. Anche la storia di cui Lussu è protagonista è la storia dei vinti, e di essa io stesso sono tra i compartecipi. La Sardegna di oggi è esattamente l’opposto di quella che Lussu ha sognato e per cui ha lottato, coerente e intransigente, fino all’estremo. Perciò egli ha voluto uscire dalla scena senza clamori: lontano, purtroppo, dalla sua terra, cui è rimasto indissolubilmente legato anche quando ne era lontano, con la stessa tenacia di una vecchia quercia abbarbicata alla roccia... Per questa terra, per le brulle montagne del Gerrei, egli ha conservato, per tutta la vita, un amore struggente. Quando, esausto per l’eccessivo lavoro, si rifugiava nella sua vecchia casa di Armungia, poche settimane gli erano sufficienti per riprendere forza e nuova lena. E si può dire che è morto con la visone della sua terra… Non più tardi del febbraio scorso, scriveva, con calligrafia, resa ormai incerta dall’inarrestabile indebolimento del suo fisico: «Ricordi gli alti asfodeli agitati dal vento a Pranu Sanguini? Sono rari gli spettacoli che ho visto, nel tramonto…». Così è vissuto ed è morto Emilio Lussu. Egli è stato il massimo protagonista della storia, dell’Isola in questi ultimi cinquant’anni: è la storia dei vinti? Può darsi. Ma non è detto che i vinti di oggi non possono indicare, col loro esempio, la strada alle future generazioni per vincere e costruire, anche in Sardegna, la società di liberi e di eguali, l’ideale cui Emilio Lussu ha dedicato l’intera, travagliata esistenza.


LE PAGINE DEI GRANDI DI SARDEGNA PER I 40 ANNI DEL NOSTRO GIORNALE UNO SCRITTO INEDITO DI TERESINA GRAMSCI

L

avoravo all’ufficio telegrafico di Ghilarza, e credo di essere stata la prima donna del paese ad avere un impiego pubblico. Ancora non si era sentito parlare di femminismo, le suffraggette ottocentesche erano sconosciute non solo nei paesi dell’interno dell’isola, ma anche nel capoluogo. Allora le donne andavano in campagna e non studiavano, un po’ a causa degli ostacoli finanziari, molto per la mentalità corrente del tempo. Il mio orario di lavoro comprendeva oltre nove ore; in pratica dalle otto del mattino alle sette di sera, con una breve pausa per il pranzo, quando non svolgevo straordinari. La domenica era un giorno lavorativo come gli altri. Naturalmente quando uscivo dall’ufficio dovevo svolgere anche compiti casalinghi, sebbene nell’ambito familiare avessi qualche aiuto. Anche scioperare, persino negli anni delle grandi sommosse operaie e nel biennio rosso, in un paese dell’interno dell’isola non era una delle cose più semplici. Ricordo di aver aderito ad uno sciopero nazionale delle poste (allora non erano di proprietà statale, ma date in appalto) nel 1919. la mattina dell’agitazione lasciai sulla porta dell’ufficio un cartellino con scritto «chiuso per sciopero». Venne, qualche ora dopo, un brigadiere dei carabinieri ad invitarmi a riprendere il lavoro. Mi feci impaurire. Rientrai. Da quella nostra protesta, tuttavia, nacquero

dei risultati positivi, seppur marginali: un leggero aumento di stipendio per i supplenti e per il fattorino. Nel frattempo mio fratello Antonio svolgeva l’esperienza torinese dell’occupazione delle fabbriche, del rapporto organico con la classe operaia più combattiva d’Italia. Anche io, la impiegata delle poste di Ghilarza, vivevo, seppure di riflesso, l’entusiasmo di quel contatto, di quelle battaglie. Nino, prima di partire per Torino, quando ancora studiava a Cagliari, mi raccontava con molto entusiasmo la partecipazione alle lotte operaie. Spesso cantava l’inno dei lavoratori. Passeggiava su e giù per la stanza seguendo il ritmo della canzone, sollevando il pugno. Allora ero molto piccola e non riuscivo bene a capire cosa volesse dire «e pugnando, pugnando si morrà». I piccoli Gramsci, nell’infanzia ghilarzese, coltivavano assieme i giochi e gli amori, primo fra tutti, quasi precoce, quello per la lettura. Andavamo molto d’accordo, soprattutto per la lettura. Una volta una signora, a cui era morto il figlio, ci aveva regalato la sua piccola biblioteca. Bisogna immaginare la nostra gioia di fronte a quello che ci pareva un ben di Dio: noi non avevamo i soldi per acquistarceli. Più che ogni altro mi avevano colpito i romanzi “Senza famiglia” e “I Miserabili”. Quest’ultimo l’abbiamo letto assieme, io e Nino, e ne abbiamo discusso per lun-

go tempo. Per leggere e discutere i libri in pace ci isolavamo nella «casa del forno», vuota e abbandonata nei giorni in cui non si faceva il pane. Una volta, andata a pulire il pollaio, mi cadde il libro che mi portavo dietro, “Il bacio della morta”. Si sporcò. Ebbi paura di rientrare a casa per i rimproveri di Nino, che aveva una grande cura dei libri. Quand’ero bambina avevo il desiderio di scrivere, avrei voluto continuare a studiare per diventare scrittrice. Una volta provai a buttar giù qualcosa. I miei fratelli mi presero in giro, mi chiamarono Grazia Deledda. Io non conoscevo l’artista sarda, e comprai i suoi libri a rate per vedere cosa c’era di vero nel loro scherzare. Sono diventata ufficiale postale. Dietro lo sportello dell’ufficio del vecchio locale di Corso Umberto, a Ghilarza, ho trascorso 35 anni della mia vita. C’erano anche momenti di distensione, che però non fugavano le preoccupazioni quotidiane: la famiglia, il fratello carcerato perché difendeva le proprie idee ed era a capo di un partito operaio. Ricordo che, tramite l’alfabeto morse, comunicavo con i colleghi di Oristano e di Cagliari. Niente di «sovversivo», s’intende. Solo il desiderio di avere contatti, di scambiare notizie, di uscire – come diceva Nino – dal «piccolo, grande, terribile mondo». Era un modo anche questo di «stare nella vita», di non sentirsi rinchiusi e isolati.

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La caserma Ederle alle pendici del Colle Sant’Elia

CASTEDDU E IS MILITARIS C

asteddu est prena de cartellus grogus, de liau- na, cun sa scritta “Zona militare, limite invalicabile”. Cindi funt in dogna logu: a Monti Urpinu, in su portu, a Calamosca, a Santu Bartumeu, in su stradon’ ‘e su Poettu, a Boncamminu, in is arrugas de su centru cumenti via Nuoro, sa caminer’‘e Bonaria e via Campania. Ddus eus sempri connotus. Ci ndi funt meras puru in sa Sedda ‘e su Tiaulu, asutt’ ‘e sa cali c’est sempri istetiu su misteru mannu de sa gruta in mari: nanchi ci cuant is sommergibilis! Ma nisciunu nd’at mai bistu unu. A ci pensai beni, casi totus cussus logus funt in d’una posidura stravanara. Tenint una vista de ispantu, poita funt postus in artu, cumenti is casermas de Boncamminu (aundi ci ant fatu pofintzas sa presoni), o a fac’ ‘e mari, cumenti Calamosca o su far’ ‘e Sant Elia. In is mellus passillaras. In cussus logus no faiat a c’intrai, ma nimancu a ci acostai. Fiat proibiu, ti nci bogànt, narendi “esigenze di difesa nazionale”. Ci fiat pagu de si chesciai. Totus cussus logus serbiant in cas’ ‘e gherra, abi-

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di Giampaolo Lallai

songiàt essi sempri prontus, no si scit mai! Ma po bona sorti, de s’urtima gherra chi iat distrutu Casteddu, arruta asut’ ‘e is bombas in su Corantatresi, non est sussediu mai nudda. Unu tempus de paxi mera longu. Is casermas, però, funt abarradas aundi fiant, non poriant essi scuncordaras. No si scit mai! Torrànt a nai. E aici a Casteddu eus tentu sempri meras sordaus, avieris e marineris, chi in su Poettu tenint ancora s’arena e is gabinas cosa insoru, mentris is casotus nostrus, de linna colorada, ddus ant fuliaus totus, nendi chi fiant bassinus! Immoi, finalmenti, su Guvernu at decidiu de dd’acabai: cussus logus non serbint prus po defensa natzionali e ddus at torraus liberus, nd’at bogau is istelletas. Ma sa gherra chi non fiat iscopiada prima est iscopiada immoi intra su Stadu, sa Regioni e su Comunu. Unu treulu mannu. Totus si bolint ponni meris de cussus logus. Totus tenint bideas mannas po ddus imperai beni. E funt certendi, tantis po cambiai. Dognunu bolit pigai cussus logus a stracu baratu, boghendinci is atrus. Parint gio-

ghendi a Monòpoli: “a tui Monti Urpinu, a mei Calamosca e Santu Bartumeu”; “si mi do- nas sa casermeta Griffa, deu ti dongu is magasinus de sa caminer’ ‘e Bonaria o su forr’ ‘e Boncamminu”. Prus a prestu abisongiat a nai chi calincunu de cussus logus, fintzas a immoi, s’est salvau de su cimentu, propriu poita fiat militari: aici Calamosca o sa Sedda ‘e su Tiaulu. Bai e circa ita iat a essi sussediu si fessit istetiu permitiu de ci porri fabricai! Iant a essi acabau cumenti sa parti bascia de Monti Urpinu, chi est istetia papara de is domus o cumenti su guventu de is mongias accant’ ‘e Bonaria o su palatziu “belvedere” a Boncamminu. E intzandus custu non est su momentu po certai. Su Stadu, sa Regioni e su Comunu si depint acordai e circai de agatai sa manera chi cussus logus chi ant smitiu d’essi militaris, siant sempri prus bellus po ndi gosai to- tus is casteddaius chi ddus agradessint e chi ddus funt abetendi de mera tempus.


PIÙ DI UNO SCATTO PER IS MIRRIONIS di Lorelyse Pinna

LA CITTÀ CHE VUOLE CAMBIARE: L’IMPEGNO DELL’AGENZIA DEL LAVORO PER LA RIQUALIFICAZIONE DEI QUARTIERI DEGRADATI

“O

biettivo hangar: fotografa l’anima di Is Mirrionis” è il concorso indetto dall’Agenzia regionale per il Lavoro nell’ambito del progetto”Cosa fare dell’Hangar”, all’interno del progetto europeo Med More and Better Jobs Network, che mira a costruire una rete stabile di cooperazione transregionale per favorire l’inclusione sociale e lavorativa delle fasce deboli. Raccontare le persone, i luoghi, i colori e le emozioni di un quartiere che vuole rinascere, a partire proprio dal vecchio hangar da riqualificare: uno spazio di circa1.400 metri quadri che dopo essere stato per anni la sede dell’officina meccanica della scuola di formazione professionale regionale, è entrato nella disponibilità della Agenzia regionale per il Lavoro. La struttura è stata oggetto di un dibattito aperto a tutti i cittadini, invitati dall’Agenzia a riflettere ed analizzare le problematiche del quartiere e fare proposte per la riqualificazione dello spazio.

Stefano Tunis, Direttore Generale dell’Agenzia del Lavoro

Attraverso una progettazione partecipata in più tappe i cittadini sono stati chiamati ad essere protagonisti della trasformazione della grande struttura e del quartiere, anche attraverso il loro sguardo che si poggia sulle sue particolarità. Questa la filosofia del concorso: promuovere e valorizzare Is Mirrionis in tutti i suoi aspetti (sociale, storico, artistico, naturalistico, culturale) e raccontare attraverso una fotografia paesaggi, scorci, volti, oggetti, momenti di vita quotidiana del quartiere cagliaritano. «Il progetto rappresenta per l’Agenzia per il Lavoro l’occasione per svolgere una funzione di promozione sociale e lavorativa nella zona», ha spiegato Stefano Tunis, direttore dell’Agenzia regionale per il Lavoro, «Is Mirrionis e’ un quartiere storicamente segnato da forti problemi sociali, ma non privo di elementi di forza. La vicinanza ad ampie zone verdi, un tessuto commerciale di piccoli esercizi che ancora resiste alla concorrenza dei centri commerciali, la presenza diffusa di servizi

pubblici e la recente vocazione come area residenziale degli studenti universitari sono alcuni dei fattori di maggior pregio e di dinamicità per il quartiere». Tutte le opere, presentate in occasione del convegno finale del progetto Med More and Better Jobs Network, sono pubblicate su facebook nella pagina del progetto partecipativo “Cosa fare dell’hangar?” e nella pagina istituzionale dell’Agenzia regionale per il Lavoro. Una giuria, composta da fotografi professionisti e presieduta dal direttore dell’Agenzia Stefano Tunis, le giudicherà in base a originalità, attinenza al tema e qualità tecnica ed estetica e deciderà i vincitori delle tre macchine fotografiche in palio. Le opere in concorso potranno poi venire poi esposte in una mostra permanente nei locali dell’Agenzia.

il Cagliaritano

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Enrico Spanu

Cagliari

I riti della Settim

È

l’ora del crepuscolo e la luce fioca dei ceri e i canti intonati nelle brevi pause della processione ti trasmettono il senso della profondità e del dolore. Gruppi di fedeli sono assiepati nel sagrato intorno alla chiesa di San Giacomo, in attesa; altri seguono a piedi, nelle stradine del quartiere di Villanova, il corteo; altri ancora sono in preghiera nel silenzio delle chiese, immersi in un’oscurità appena attenuata dal baluginare delle candele. I riti della Settimana Santa, ancora oggi, costituiscono un momento di riflessione sulla condizione umana e sul senso della vita, proprio in rapporto con la morte. Il Venerdì Santo, nel pieno rispetto della tradizione, a Cagliari,

si svolgono tre processioni curate dalle confraternite della Solitudine, del SS. Crocifisso e del Gonfalone, che hanno rispettivamente sede nella chiesa di San Giovanni, nell’Oratorio del SS. Crocifisso e nella chiesa di Sant’Efisio. I confratelli attraversano i quartieri storici trasportando il simulacro del Cristo in croce con i simboli della passione seguito dalla statua dell’Addolorata che, completamente vestita di nero, col volto triste e pallido, rivolge lo sguardo verso il cielo in un atteggiamento di rassegnazione e speranza che, con grande espressività, pare segnare il momento del “trapasso”. E poi vi sono i cori, i fedeli con i lampioni e le consorelle che pregano: statue nere che reggono una candela. Ma i veri protagonisti sono gli uomini

delle confraternite, vestiti di bianco, circondati da gruppi di bambini con la veste candida (is baballotis) che agitano le caratteristiche matraccas, costituite da due tavolette di legno che emettono il tipico suono quaresimale. Dalla chiesa di San Giovanni il corteo parte intorno alle 13 diretto in Castello, verso la Cattedrale, col grande Cristo (“Su monumentu”) che sarà deposto nella cappella a sinistra dell’altare maggiore. La Madonna – accompagnata dalla processione – farà invece rientro, in lutto e con la corona di spine, nella chiesa di San Giovanni. Un gruppo di confratelli, la mattina seguente, rientrerà in Cattedrale per il rito de “su scravamentu”: la pietosa deposizione di Gesù dalla croce, l’asporto dei chiodi della Crocifissione


e la sistemazione del simulacro nella lettiga al centro della chiesa, vicino all’altare maggiore. Attorno al catafalco quattro grandi candelabri con le candele accasa. Il rito è curato dalla confraternita della Solitudine, istituita sotto il pontificato di Clemente VIII con lo scopo di redimere gli schiavi e, più tardi, di seppellire i condannati a morte. La tradizione ci riporta al Seicento ed alla dominazione spagnola che consolidò i riti della Settimana Santa introdotti dagli aragonesi. Dall’Oratorio del SS. Crocifisso, in piazza San Giacomo, la processione del Venerdì Santo inizia invece a metà sera e si snoda nelle stradine del quartiere per concludersi, dopo qualche ora, nella chiesa di San Lucifero, alle antiche propaggini di Villanova, dove il simulacro in legno del Cristo, opera del Lonis, sarà vegliato per tutta la notte. La Madonna, invece, farà rientro a tarda sera nella chiesa (o Oratorio) del SS. Crocifisso. Il crocifisso di Giuseppe Antonio Lonis, sardo di Senorbì ma stampacino d’adozione, è opera di grande espressività e valore. Forse perché uscito dalla sgorbia e dallo scalpello di un singolare personaggio che – benché nato nel 1720, dunque quando i piemontesi erano già sbarcati in Sardegna – vestiva ancora alla spagnola e teneva modi da hidalgo. S’era formato alla scuola napoletana di Giuseppe Picano di cui continuava a sentire l’influsso e i modi

e fare ritorno in piazza San Giacomo. La cerimonia è quella di sempre: a metà sera il rullo dei tamburi rompe il brusio della lunga attesa e inizia la processione; nella piazza campeggia la croce sormontata da un gallo (il tradimento di Pietro) e dagli arnesi della tortura: una tenaglia, un martello, i chiodi, due fruste, orecchie e mani mozze, tre dadi (quelli con cui i centurioni romani si giocarono la tunica del Cristo prima di crocifiggerlo sul Calvario). La domenica è il giorno de S’Incontru, cerimonia pasquale che si riallaccia all’antico rituale spagnolo. Gli incontri tra il Cristo gloriosamente risorto e la Madonna avvengono a Villanova (a cura dell’arciconfraternita del SS. Crocifisso), a Stampace ( organizzato dall’arciconfraternita del Gonfalone) e alla Marina (organizzato dalla confraternita di Sant’Eulalia). Le statue del Cristo e della Madonna – che, deposto l’abito nero, ne indossa uno bianco con velo turchino – sembrano quasi uscire dalla rigidità impressa dal legno scolpito per incontrarsi davvero. Tutto intorno è un festoso movimento di stendardi e un suonare di campane, che annunciano la Resurrezione. S’Incontru costituisce oggi un “reliquato” del rituale spagnolo, essendo scomparsa anche la “Processione dei Misteri” che un tempo percorreva le vie degli antichi quartieri della città. Ora i Misteri vengono esposti nel-

che si esprimevano in un’eleganza formale in forte contrasto col carattere rude e rovente dello scultore, ancora oggi grande protagonista del Venerdì Santo. Il Sabato Santo si svolgono le processioni del ritorno. I confratelli della Solitudine, accompagnati da una folla di fedeli, salgono fino alla Cattedrale per riprendere il Cristo (altrimenti l’arciconfraternita ne perde la proprietà). Il simulacro verrà ricondotto in lettiga nella chiesa di San Giovanni. A seguirlo, nel tradizionale itinerario, la statua della Madonna della Solitudine. L’arciconfraternita del SS. Crocifisso organizza invece la processione con la statua della Madonna che si reca nella chiesa di San Lucifero per riprendere il Figlio deposto dalla croce

Carla Piroddi

mana Santa

la chiesa di S. Michele, a Stampace, illuminati dalle candele dei fedeli, e non sono più annunciati dal rullare dei tamburi che, ancora negli anni Sessanta, iniziavano la tradizionale processione. Il Lunedì dell’Angelo l’arciconfraternita del Gonfalone (quella stessa che organizza la sagra di Sant’Efisio) arricchisce i riti della Resurrezione con un motivo tutto particolare: abbandonato l’abito turchino delle occasioni minori e vestito quello delle maggiori solennità (costituito da un copricapo bianco infiocchettato d’azzurro, da una cappetta di lana bianca con bottoni turchini e da scarpe bianche e calze nere), i confratelli salgono con Sant’Efisio fino alla Cattedrale e sciolgono il voto pronunziato per la liberazione della città di Cagliari dall’assedio francese nel 1793. ma il lunedì la cerimonia è già in tono minore in quanto i fedeli – superato l’olocausto del Cristo e glorificati dalla Resurrezione – festeggiano con scampagnate e balli, la Pasquetta. Sullo sfondo si agita una Cagliari “grande” - città “metropolitana” come oggi si dice – che tende sempre più all’anonimato delle grandi periferie senza storia e che corre a fare la spesa negli ipermercati, ma è in grado di conservare ancora, nei momenti più significativi, le suggestioni, i ritmi ed i valori del passato.

di Antonello Angioni


A

di Italo Urru

vent’anni dalla morte resta vivo nel cuore dei fedeli sardi l’amore per il frate di Pula. Un esempio di vita «all’insegna della carità, sempre tra gli oppressi e i bisognosi», come ricorda Italo Urru: le sue giornate «scandite tra la carità, la preghiera, la sofferenza, i disagi», il carattere «ora scontroso e difficile, alle prese con le cose di tutti i giorni, talvolta sfuggente perché cercava la perfezione». Fra Nazareno è morto il 29 febbraio del ‘92 a Cagliari e le sue spoglie riposano nella chiesa costruita dai suoi amici accanto alla casa che la sorella gli fece costruire a Is Molas in località “Sa guardia è su Predi”, nei pressi di Pula. Il frate amava infatti lavoro dei campi e in quella casa aveva trascorso l’ultimo periodo della sua vita. Le testimonianze, come quella di Italo Urru, si nutrono della fede e del «senso di responsabilità di dar vita ad una testimonianza che parli finalmente di lui»: il bisogno di raccontare un’esistenza all’insegna della carità, sempre tra gli oppressi e i bisognosi, per liberarsi «come di cose indebitamente custodite, che non mi appartengono» e restituirle alla Comunità di credenti che lo hanno sempre seguito. Fra Nazareno, al secolo Giovanni Zucca, intraprese il cammino spirituale dopo una vita difficile, segnata dall’emigrazione e dalla prigionia in Kenia durante la Seconda Guerra Mondiale. Raccontano che durante quella terribile esperienza riuscì a distinguersi per la sua grandezza d’animo e farsi apprezzare sia dai commilitoni che dai soldati inglesi che lo tenevano prigioniero. Rientrato in Sardegna sentì impellente la necessità di dedicarsi alla vita religiosa. In questo, sempre secondo i racconti, fu determinante l’incontro con Padre Pio da Pietralcina che gli disse che lo aspettava da tempo e lo convinse a tornare in Sardegna perché il suo posto era lì, ad aiutare la gente della sua isola. Divenne ufficialmente frate cappuccino il 23 settembre 1951 a Sanluri e da lì si spostò poi a Sassari, Iglesias, Cagliari, di nuovo Sanluri e poi Cagliari. Ovunque riceveva, ascoltava e aiutava i sempre più numerosi fedeli che si recavano da lui da tutta l’isola e non solo. «Un frate al quale la Sardegna è grata dopo averlo amato e conosciuto», come lo ricorda Italo Urru.

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il Cagliaritano

FRA NAZARENO QUASI SANTO UN MARESCIALLO HA VISSUTO CON LUI E CE LO HA RACCONTATO


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IL CAGLIARITANO DOCUMENTI: DOSSIER MASSONERIA


VITA DA GIRAMONDO E la Sardegna... di Julian Borghesan

C

he rapporto hai con il mare? E cosa mi dici in particolare della Sardegna? Penso che ogni essere umano, anche se nato in montagna, senta per il mare un fascino ancestrale. Per me in particolare il mare è come una malia che spesso mi commuove sino alle lacrime. Non potrei pensare alla mia vita lontana dal mare e immagino che per i fortunati abitanti della Sardegna la vita non avrebbe senso senza “quel mare “, uno dei più belli del mondo. Conosco la Sardegna per aver effettuato tantissime tournee con il mio circo, dove sempre, dico, sempre io ed i miei fratelli Nando e Rinaldo abbiamo avuto l’approvazione del pubblico sardo che è venuto in massa ad ogni appuntamento con i nostri spettacoli. Parlando di cucina, c’e’ un piatto che preferisci e magari una ricetta che vuoi regalare ai nostri lettori? Io “in particolare” amo tutti i piatti!

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il Cagliaritano

Penso che il cibo sia la grazia che Dio ci ha regalato e piango per tutta la popolazione del mondo che non può avere tutto questo. La ricetta che vi propongo è un piatto povero che però è squisito come tutti quelli che la tradizione contadina ci ha tramandato: “poyenta e radicio” (polenta e radicchio). Fare una polentina con farina bramata, lavare del radicchio trevigiano (quello lungo), asciugarlo molto bene e metterlo per pochissimo nello scomparto freezer (un minuto non di più). Preparare la salsina per condire il radicchio, olio vergine di oliva, due tre acciughe sciolte in un goccio di aceto, aglio e sale, condire le foglie del radicchio direttamente sulla polenta calda e...buon appetito. Viaggiando all’estero… quale paese ti ha maggiormente colpito positivamente e perché? Per la ricerca dei grandi artisti che ogni anno compongono il Golden Circus Festival sono obbligata a visitare parecchi paesi stranieri perché purtrop-

po di grandi artisti in Italia ce ne sono pochi e questi sono stati visti e stravisti e il festival può vivere solo di artisti bravi ed inediti. Visitando i paesi più importanti del mondo come Cina, Russia, Canada, America e tanti altri posso dire che, ogni uno di loro possiede cose positive e altrettanto negative. Della Cina, che conosco dal lontano 1980, posso dire che, a parte la magia che mi suggestionò al mio primo incontro, quello che mi ha colpito è stata la rapidità con cui si sono evoluti da paese rurale a grande potenza mondiale, saltando in un baleno decine di anni di quella evoluzione che tutti gli altri paesi del mondo hanno avuto. Ma a parte la Cina, vorrei avere tanto spazio per descrivere i lati positivi che ho trovato in tutte le popolazioni con cui sono venuta a contatto e che vorrei poter per molto tempo ancora poter scoprire e descrivere.



IL SIGNOR BUFFA DI CAGLIARI NELLA STORIA DEL CINEMA

N

ell’immaginario collettivo nazionale gli italiani vengono rappresentati come un popolo di santi, eroi e divi del cinema. Un’immagine riduttiva, ma assai significativa che mette in luce alcuni tratti salienti della nostra personalità e identità. Oggigiorno il cinema e la televisione italiana sono dominate da uno stuolo di personaggi evanescenti e privi di spessore artistico e professionale, che acquistano notorietà ed onori per mezzo di futili e dannosi reality, che li rendono improvvisamente beniamini di un vasto pubblico. Questi falsi “divi nazionali” dopo qualche apparizione mediatica, scompaiono e si dissolvono come “neve al sole”, non lasciando nessuna traccia della

loro presenza e della loro arte. Che tristezza. Soffermandoci sul mondo cinematografico nazionale, la nostra rivista mensile “Il Cagliaritano” non poteva dimenticare un autentico divo del cinema italiano Salvatore Amedeo Buffa in arte Amedeo Nazzari (Cagliari 10 Dicembre 1907 – Roma 7 Novembre 1979), cagliaritano verace, popolare, vanto e onore dell’Italia e della sua amata Sardegna. L’esordio professionale di Amedeo Nazzari avvenne nel 1927 con la “compagnia di giro” di Dillo Lombardi e già negli anni successivi Nazzari iniziò a collaborare con compagnie teatrali di prestigio come quelle rappresentate da Annibale Ninchi, Marta Abba, Memo Benassi. Sarà Anna Magnani “la divina”, a sco-

MITICO

prire Amedeo Nazzari a teatro. Fu lei, infatti, ad inserire il cagliaritano nel cast di “Cavalleria”: la professionalità, la prestanza fisica di Nazzari diventavano la principale attrazione artistica del film, che presentato alla Mostra del Cinema a Venezia, e poi proiettato in tutte le sale nazionali, diveniva la pellicola di maggiore incassi della stagione cinematografica italiana del 1936. Nel 1938 Amedeo Nazzari accresceva il suo successo professionale (ampiamente meritato) con l’interpretazione del film “Luciano Serra pilota”, per la regia di Goffredo Alessandrini: fu questa prova cinematografica a rafforzarne il mito. Nel corso degli anni, sul personaggio Amedeo Nazzari, i critici cinematografici hanno coniato appellativi curiosi: “il Clark Gable delle zone depresse” (Giulio Cesare Castello); “È senza dubbio il primo autentico divo del cinema italiano dall’avvento del sonoro: fisico prestante, tratti alla Errol Flynn:” (Francesco Troiano). Amedeo Nazzari divenne, suo malgra-

Amedeo Nazzari di Maurizio Orrù


do, beniamino del regime mussoliniano, seppur estraneo alla dittatura e ad ogni compromesso politico e culturale. La grande popolarità di Nazzari fu determinata dalla sua grande professionalità di attore, dalla sua prestan-

che lo ricordano per la straordinaria prova di attore, ma anche per il suo intercalare “casteddaiu” presente nelle sue tanti e molteplici ruoli di protagonista. Questi tratti hanno contributo a rafforzare il divo e il suo mito nazional-

za fisica, ma anche, in quel torno di tempo, dalla politica autarchica del fascismo, che vietava tassativamente l’ingresso nel territorio nazionale di pellicole straniere imponendo che i film da proiettare fossero rigorosamente italiani. Interprete in quarant’anni di carriera 112 film, molti dei quali entrati prepotentemente nella cinematografia nazionale, quali “Il bandito”, “la figlia del capitano”, “il brigante Musolino”, “catene”, “proibito”, “le notti di Cabiria”, “Malinconico autunno”, Nazzari svolse esclusivamente ruoli positivi, rivolti al bene: l’avventuriero romantico, l’ufficiale gentiluomo, il padre di famiglia, il brigante generoso ed umano o l’imperturbabile magistrato. Nei suoi personaggi traspariva l’identità dell’uomo forte e orgoglioso ma dall’animo nobile, così come era lo stesso Nazzari. Oggigiorno il nome dell’attore Amedeo Nazzari risulta essere un mito, una icona nel multiforme mondo del cinema italiano, ricordato, a distanza di decenni da una moltitudine di fan,

popolare. A 100 anni della nascita, Cagliari la sua città, ha voluto ricordarlo organizzando una straordinaria mostra allestita all’Exmà, nella quale attraverso l’esposizione di libri, locandine, proiezioni di film e la pubblicazione delle recensioni d’epoca è stata riproposta la straordinaria avventura di Amedeo Nazzari. Questo tipo di manifestazione pubblica, per il suo alto contenuto storico e cinematografico, è risultata gradita soprattutto al pubblico giovane non avvezzo al divo Nazzari. A tale proposito, importante la sponsorizzazione dell’ente locale e la professionalità dell’impresa culturale Lu. Ci che hanno dato lustro e splendore alla rassegna. Amedeo Nazzari dopo la partecipazioni ad una serie di film minori, tentava la fortuna nei Paesi di lingua spagnola. In Argentina il primo intoppo: la produzione cinematografica di un film gli propose il ruolo di un personaggio italiano corrotto e malavitoso, assai lontano dalla sua tradizione e pensiero della figura standard dell’italiano.

Rifiutò sdegnato. Anche questo era Amedeo Nazzari. A quest’episodio fanno seguito, negli anni ‘60, le prime delusioni cinematografiche: il ruolo del principe Salina ne “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, originariamente proposto ad Amedeo Nazzari veniva assegnato a Burt Lancaster; nel film “La figlia del capitano” nel ruolo del rude Pugacev veniva preferito Van Heflin. Nel corso della sua onorata attività artistica Nazzari non è stato mai al centro di pettegolezzi, scandali o gossip. Anzi la sua vita è stata improntata alla modestia e alla generosità. Tanti gli episodi che ricordano Amedeo prodigo nei confronti degli indigenti. Lunga e prestigiosa è stata la carriera che lo ha vistola fianco dei più grandi e qualificati registi nazionali e stranieri: Blasetti, Zampa, Germi, Fellini, Soldati, Risi e tanti altri. Altrettanto numerose e rinomate le attrici co-protagoniste con Nazzari: Merlini, Ferida, Valli, Magnani, Gardner, Sanson, Masina… Molteplici ed interessanti anche le pubblicazioni editoriali dedicate al Nostro divo: tra le tante ricordiamo “Amedeo Nazzari. Il divo, l’uomo e l’attore” a cura di Simone Casavecchia, omaggio editoriale pubblicato in occasione dei cento anni della nascita di Cinecittà in Roma. Dopo una serie di presenze televisive in alcuni programmi ad alto audience come il Musichiere, Studio Uno, Sette Voci, incominciava il tramonto cinematografico di Nazzari con un calo di presenze dovuto anche all’insorgere di problemi di salute. L’ultima fatica di Amedeo è stato il film “Melodrammore” (1978) che segnava l’esordio cinematografico di Maurizio Costanzo, in cui il Nostro interpretava una piccola ma significativa parte da protagonista. Amedeo Nazzari rientrava spesso nella sua Sardegna, in cui aveva coltivato amicizie forti e vigorose. Morì a Roma il 7 Novembre 1979. Dicono gli amici cagliaritani più cari: “Il cruccio di Amedeo è di non essere riuscito a creare a Cagliari un centro di cinematografia”. Questa bella proposta sarà un sogno o un utopia? Ai posteri l’ardua sentenza.

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L’ODONTOIATRIA IN TEMPO DI CRISI: NUOVE SOLUZIONI PER VECCHI PROBLEMI Le ideò il dott. Charles Pincus, che le applicava prima di ogni ripresa cinematografica con della polvere adesiva per dentiere, rimuovendole finito il set : infatti a quei tempi non era possibile ottenere alcun tipo di adesione permanente.

IGIENE E SORRISO SICURI? ORA ALL’ISTANTE di Stefano Oddini Carboni

L

e necessità di soluzioni per la modifica estetica e funzionale dei denti anteriori sono da sempre una sfida importante per l’Odontoiatra. Le problematiche legate ad una colorazione non gradevole, alla presenza di carie, fratture o di alterazioni congenite della forma, nonché il difettoso allineamento rendono talvolta poco piacevole il sorriso. Le soluzioni proposte di volta in volta, pur rimanendo singolarmente valide, sono spesso costose, non sempre con effetti di lunga durata come per esempio le tecniche di sbiancamento dentale, oppure impegnano il paziente per lunghi periodi come le terapie ortodontiche finalizzate al riallineamento dentale. Oggi esiste una tecnica che affronta contemporaneamente tutte queste necessità nel gruppo frontale da canino a canino in una unica seduta operatoria e con costi contenuti. Magia o imbonitura da strapazzo ? Niente affatto, si tratta di applicare sugli elementi dentali delle faccette in composito preformate e prelucidate, prodotte in serie dall’industria con standard rigorosi di durezza ed impermeabilità, che vanno posizionate con un protocollo molto preciso. Cosa sono le faccette? Sono sottili gusci (0,3 mm) di un materiale variabile, nel nostro caso di resine composite, che applicate sulla superficie di un dente appartenente al gruppo frontale superiore o inferiore, ne mascherano imperfezioni legate alla forma, al colore o alla posizione. La relativa economicità dell’operazione è permessa proprio dalla produzione in serie che ha abbattuto drammaticamente i costi della singola faccetta rispetto a quel-

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le in porcellana, le quali vanno costruite singolarmente dall’Odontotecnico sulle impronte dei denti eseguite con metodiche di precisione. Inoltre le faccette cosiddette “indirette” in porcellana richiedono più sedute terapeutiche e spesso l’uso di “provvisori” applicati in attesa dell’approntamento dei manufatti definitivi: tutti questi passaggi, che incidono sui costi, non si adottano nelle faccette “preformate”. La personalizzazione dei colori e delle trasparenze è comunque possibile, agevolata dalla scelta di differenti tipi di faccette “preformate” e dalla scelta cromatica dei compositi di incollaggio che formano la basetta di supporto e che vengono selezionati direttamente “alla poltrona”. In realtà, infatti, non si tratta di un semplice incollaggio ma la scelta della posizione della faccetta rispetto al dente, con la possibilità di modificare gli spessori della base in composito, ci permette una buona libertà nel correggere i difetti di allineamento, posizionamento ed inclinazione del singolo elemento rispetto alla forma ideale di arcata. Al punto che si può parlare di una sorta di “Ortodonzia Istantanea”. E’ fondamentale, quindi, per ottenere una particolare gradevolezza di risultato, che vengano applicate le faccette su tutto il gruppo frontale nella stessa seduta per raggiungere la massima omogeneità estetica. L’applicazione non richiede, di norma, una perdita di sostanza dentale. Storicamente le faccette, chiamate “Laminates”, nacquero alla fine degli anni ’30, per migliorare l’estetica dei divi hol lywoodiani.

Oggi l’adesione delle faccette preforma te è eccellente, grazie anche alla affinità molecolare con i compositi della basetta. Questa caratteristica, unitamente alle ottime “performance” meccaniche ed al basso grado di imbibizione e decolorazione, dovrebbe garantire una più che soddisfacente durata dell’estetica e della funzione del trattamento. La tecnica permette al paziente di poter valutare se effettivamente il risultato finale sarà o meno di suo gradimento, grazie al così detto “mock-up”, ovvero la simulazione dell’aspetto finale del sorriso. Si appoggiano infatti le faccette selezionate sulla superficie dei denti non ancora preparati, con interposizione di un sottile strato di resina composita che non viene polimerizzata. In questa fase il paziente potrà quindi dare il suo contributo per una ulteriore personalizzazione del risultato finale, ovvero per il suo “nuovo sorriso”. La paziente prima dell’applicazione delle faccette vista di lato, occlusalmente e di fronte .

Prima dell’applicazione delle faccette

Dopo l’applicazione delle faccette



Rossella Urru, deserto totale Va bene che si muovono le diplomazie, ma su Rossella Urru che ha compiuto 30 anni ancora nelle mani dei sequestratori è calata un inquietante silenzio. Senza voler fare del sardo vittimismo mi viene da pensare che anche qui siamo cittadini di una serie inferiore.

E.P. – Cagliari

Questa città di fantasmi Cagliari non la riconosco più. Via Garibaldi in serrata, Via Dante dove un tempo si facevano le vasche è desolata e spiccano i cartelli affittasi e vendesi. Vanno tutti alle città mercato, anche la domenica che prima era dedicata al riposo e, per chi crede, alla Messa. La grande distribuzione sfrutta sempre più i lavoratori e spreme quel poco che è rimasto nei portafogli della gente. Non c’è neanche più speranza per domani. La brutta immagine dello stadio ci rappresenta ora, però non si parla che di quello! Poi non capisco come il nuovo sindaco sia sempre ben messo nei sondaggi. La nostra città ormai è per i ricchi, sempre più lontani dai nuovi poveri che sempre più numerati vanno alla Caritas o non escono neanche nel pianerottolo di casa.

Emanuele Concu – Cagliari

Le caste sempre più grasse Che sconforto! Scendiamo in piazza, solidarizziamo, tagliamo i costi del nostro vivere, non sappiamo più cosa dire ai nostri figli, non riusciamo più a sopportare le dichiarazioni di chi sta sopra di noi e che colleziona immensi patrimoni, case, bonus, redditi da stordimento. Vivono in un’oasi sempre più lontana dalla realtà, come fanno a capire il dramma di tutti noi, loro asserragliati nelle caste (ora ci hanno

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il Cagliaritano

Via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari info@giacomunicazione.it facebook.com/giacomunicazione twitter.com/comugia

S.T.

40 anni per raccontare l’isola Anche io che ho cercato di seguire “Il Cagliaritano” sin dai primi numeri del 1973 (mi ricordo le collaborazioni di Agostino Castelli e di Ugo Ugo e Giuseppe Podda) vorrei formularVi gli auguri più sinceri di lunga vita e un grazie. Non vi siete mai smarriti né venduti e mi ricordo di quando noi irriducibili socialisti (tra gli altri vorrei ricordare Vinicio Mocci) ci ritrovavamo ogni sera nella trattoria cenacolo dietro la Questura e parlavamo del Vostro (nostro) giornale come il luogo indipendente e libero su questioni politiche e culturali.

Lettere a Il Cagliaritano

messo anche gli statali) e ci dicono che bisogna fare tutti dei sacrifici, perché ce lo impongono l’Europa e il debito pubblico. Fiumi di denaro ai partiti, con sindaci e amministratori pubblici avidi e corrotti!

Francesco Maxia

Vendola, benzina e avvocati “Devastazione delle civiltà democratica” ha detto Vendola e io che non sono del Suo schieramento dico che ha ragione: ci hanno messo tutti contro, altro che coesione sociale! I soldi rubati a mafie varie, parte di quelli dati alle Caste dei grandi giornali e ai partiti potrebbero essere messi a risorsa anziché caricare le accise sui carburanti che massacrano il gommato del trasporto merci e noi che ci dobbiamo spostare per lavoro. Tutto costa di più in Sardegna, siamo dentro il tunnel e a fari spenti! Chiudono i commercianti strangolati dalle grandi catene e chiudono quelli che fanno impresa, perfino gli avvocati, anche se per loro il lavoro non manca, perché quasi nessuno paga. Mi ricordo un amico, bravo avvocato, tutte le mattine con la borsa vuota in tribunale. Poi un giorno il suo necrologio su L’Unione : aveva detto basta.

Manuela Tronci

Jazz a Cagliari Egregio Direttore Giorgio Ariu Direttore Responabile de IL CAGLIARITANO Mi chiamo Vittorio Sicbaldi, sono un musicista, batterista jazz, da anni residente a Novara dove svolgo anche l’ attività, ormai secondaria, di insegnante. Come tutti i sardi emigrati per cercar fortuna e lavoro, torno spesso nella città che mi ha dato i natali, mi ha visto crescere, studiare e specializzare in musica jazz. In aeroporto, alla partenza, per rendere sempre meno doloroso il distacco da affetti e cose care, acquisto sempre una copia de Il Cagliaritano che leggo sempre con attenzione e che, arrivato a casa, conservo assieme ad altre pubblicazioni sulla Sardegna. Vengo al dunque: dopo 12 anni al Nord, centinaia di concerti in Italia e all’estero, 18 cd registrati di cui 2 a mio nome e 8 in cd compilation, ho pensato di mettere l’esperienza maturata a disposizione della mia città e dedicarmi in prima persona alla diffusione della musica jazz. Ho pensato così di segnalarLe per la rubrica TIMEOUT una interessante iniziativa: pochi giorni or sono, il 23 febbraio, ha aperto i battenti a Monserrato in via Cesare Cabras 8 un nuovo Jazz Club, il Jambalaya Jazz Lounge per il quale sono orgoglioso di lavorare come Direttore Artistico. Con stima ed affetto, Vittorio Sicbaldi PS: può vedere Jambalaya Jazz Lounge su facebook o, a breve, sarà attivo il sito: www.Jambalayajazzlounge.it Ricordo di Beniamino Piras Egregio direttore, desidero ringraziare Lei e, per suo tramite, l’avvocato Antonello Angioni, per il bellissimo ricordo di mio padre, Beniamino Piras, che avete pubblicato. Al di là della commozione che ho provato


Lettere a Il Cagliaritano e per gli altri 5 ho continuato a lavorare senza vedere un soldo. Quando arrivano i soldi di rimborso dalla Regione mi da il compenso in contanti, cioè mi paga con quello che la Regione gli ha mandato. Poi del resto di quanto mi deve si dimentica, o fa finta almeno... Mi deve ancora 100 euro di dicembre e chiaramente gli stipendi interi di gennaio e febbraio. Quando finiremo di incontrare persone che vogliono solo sfruttare i ragazzi e le Istituzioni?

nel leggere questa esauriente descrizione della persona, constato con molto piacere che a quasi vent’anni dalla sua scomparsa ci sono persone per le quali i valori in cui ha sempre creduto hanno ancora significato. Di questi tempi non è poco. Grazie di cuore.

Francesco Piras

Auguri per i 40 anni Gentilissimo Editore, complimenti per i primi 40 anni. Auguro alla Vostra azienda lunga vita. La comunicazione è un bene inestimabile e va tutelato e sostenuto. Certa di un Vostro grande successo, corro in edicola ad acquistare il nuovo numero speciale di una delle Vostre prestigiosissime pubblicazioni. Cordialità e saluti sinceri,

Laura Fadda

Giovani e precariato Alla cortese attenzione della redazione de Il Cagliaritano. Vorrei approfittare dello spazio libero delle lettere per fare una denuncia. Sono una dei tanti ragazzi che lavorano grazie ai Piani di Inserimento Professionale istituiti dalla Regione. Da contratto il Pip obbliga la struttura ospitante a corrispondere al tirocinante il compenso ogni mese, ma nel mio caso non è così: il capo dice di non avere soldi, fa finta di nulla e quando riceve le mail che lo sollecitano a presentare domanda di rimborso emette assegni a me intestati con le date dei mesi passati, che chiaramente non mi da ma che fotocopia e porta all’ufficio Pip (o manda me) per richiedere il rimborso. La prima volta ha fatto la domanda per 6 mesi insieme ma mi aveva pagato solo il primo mese

C.P.

Ho conosciuto un eroe Egregio signor Giorgio Ariu, sono Giovanni Satta e mi rivolgo a Lei per segnalare quanto segue: nel settembre 2005 con un amico affittammo un’imbarcazione a pedali da uno stabilimento nel litorale di Quartu Sant’Elena. Quel giorno il vento di maestrale arrivò presto e forte, così in poco tempo ci trovammo vicino le boe, poi il pedalò fu capovolto e ci aggrappammo al timone. Mentre guardavo la spiaggia ormai lontana notai un tipo mettere in acqua un mezzo di salvataggio a remi. Intanto il mio amico tremava dal freddo. Pochi minuti e quella persona in tuta sportiva mandata chissà da quale santo fu da noi, con poche parole capì subito che il mio amico aveva bisogno di essere soccorso per primo, lo portò a terra in breve tempo e velocissimo venne a prendere anche me. In pochi minuti raggiungemmo la riva, poi quell’uomo sfidò per la terza volta il vento e riuscì a portare a terra anche il pedalò, perché disse che sarebbe potuto essere pericoloso. Un “Buongiorno” e riprese la sua corsa verso Cagliari. Nell’estate del 2006, mentre ero nel porticciolo di Marina Piccola, fui attratto come tanti altri da un veloce mezzo della Guardia di Finanza, con gli uomini a bordo che indossavano i caschi protettivi. Quando se li tolsero quasi non credevo ai miei occhi: il finanziere accanto al pilota riconobbi essere il nostro soccorritore, “l’angelo con gli occhi del colore del cielo”. Cercai di avvicinarmi per un pubblico ringraziamento ma il pilota diede un ordine, tutti i finanzieri rimisero il casco e via veloci. Solo allora capì perché quel soccorritore si muoveva così bene in mare... Domandai a un gruppo di pescatori se sapessero dove potevo trovare la base di quel motoscafo, mi dissero che loro lo chiamavano “i Quattro Mori” e quando descrissi il mio soccorritore quasi in coro mi fu risposto: «Andrea». Molto cono-

sciuto soprattutto per il calcio, perché da anni gioca con la squadra dell’Oratorio di Sant’Elia di don Marco Lai, ma nessuno sapeva il suo cognome. Mi convincevo sempre più che Andrea non fosse una persona comune. Ricordai che il figlio di un amico aveva fatto la leva nella Finanza e gli chiesi la cortesia di informarsi, così seppi che il militare era il brigadiere Andrea Pinzuti, conosciutissimo e a Cagliari da oltre 20 anni. In possesso dei dati scrissi al Comando di viale Diaz nel maggio del 2007 e da allora non so nulla. Incoraggiato da amici ho deciso di scriverLe, giudichi Lei se questo gesto del brigadiere debba rimanere solo un dovere o sia degno di nota. Giovanni Sanna, Quartu Sant’Elena 20 febbraio 2012 Dalla Confindustria per i giovani Una mano d’aiuto ai giovani imprenditori da parte della Confindustria Sardegna Meridionale: grazie a “Promo Impresa Giovani 2012” le imprese costituite da meno di un anno da imprenditori con meno di 35 anni di età, che non facciano già parte del sistema Confindustria con altre imprese di gruppo, potranno usufruire di tutti i servizi forniti da Confindustria Sardegna Meridionale al costo di un solo euro. E per favorire i percorsi di internazionalizzazione e la capacità di penetrazione di Alessandra Scifoni delle imprese sarde nei mercati internazionali, la Regione ha stanziato aiuti rivolti alle piccole e medie imprese, distinti in tre tipologie: contributi di supporto all’export, progetti di internazionalizzazione tra più imprese aggregate e voucher per la promozione dell’internazionalizzazione d’impresa. Potranno accedervi le piccole e medie imprese con sede operativa nell’isola e la cui attività rientri nei settori manifatturiero, estrattivo, costruzioni, servizi logistici di distribuzione merci, produzione software e consulenza informatica, ricerca scientifica e sviluppo sperimentale.

il Cagliaritano

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I consigli de Il Cagliaritano

Ristorante Sa Barracca

Accoglienza e piatti di gran classe v.le Europa, 53 - Quartu Sant’Elena - Tel. 070 813570

LA STELLA MARINA di Montecristo

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ANNO 40 - N. 2 MARZO 2012

DIRETTORE RESPONSABILE Giorgio Ariu (g.ariu@giacomunicazione.it) SEGRETERIA DI REDAZIONE Antonella Solinas (info@giacomunicazione.it) REDAZIONE Simone Ariu (s.ariu@giacomunicazione.it) Lorelyse Pinna (l.pinna@giacomunicazione.it) UFFICIO GRAFICO Simone Ariu, Maurizio Artizzu (grafica@giacomunicazione.it) REDAZIONE E CENTRO DI PRODUZIONE via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari · Tel. e Fax 070 728356 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ GIA Comunicazione (marketing@giacomunicazione.it) STAMPA E ALLESTIMENTO Grafiche Ghiani DISTRIBUZIONE Agenzia Fantini (Cagliari-Olbia)

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VILLAGGIO CAMPING GOLFO DI ARZACHENA

Il camping della Costa Smeralda Il Villaggio Camping Golfo di Arzachena si trova alle porte di Cannigione, in posizione baricentrica tra le altre rinomate località della Costa Smeralda ed il paradisiaco arcipelago di La Maddalena. Il cuore della struttura è la zona collettiva. La grande piscina con solarium, attorno alla quale si dispone l’area gioco bimbi, un’ampia sala relax con all’interno Tv a schermo piatto, internet point con wi-fi, zona ricreativa per bambini, divani per conversare e rilassarsi e il bar-tavola calda con terrazze sulla piscina. Nella zona più panoramica e riservata dell’area ricettiva sorge il complesso di trenta mini appartamenti monolocali da 25 metri quadrati, dotati di aria condizionata e Tv. All’interno, fino ad un massimo di quattro posti letto, bagno completo, angolo cottura attrezzato, veranda o terrazza con tavolo e sedie. Le roulotte fisse dispongono di quattro posti letto, un mini bagno e verandasoggiorno completa di fornelli e frigo nonché di tavolo e sedie. Il campeggio è disposto a terrazze con alberatura di alto fusto con piazzole tenda ben ombreggiate. È dotato di tre blocchi di servizi igienici con lavelli, lavabi, wc, docce ad acqua calda gratuite e lavatrici. Il Villaggio dispone anche di un’area barbecue e il servizio navetta gratuito per la spiaggia. Il porto di Golfo Aranci e le moderne strutture portuali ed aeroportuali di Olbia distano dai 25 ai 28 km. Villaggio Camping Golfo di Arzachena S.P. per Cannigione Km 3,800 07021 Cannigione di Arzachena (OT) Tel. 0789 88101 · Cell. 346 7023289 · Fax 0789 88583 campingarza@tiscali.it · www.campingarzachena.com


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