LO SCUDETTO A TAVOLA
GLI ALBERGHIERI SARDI
A MOSCA SI MANGIA SARDO
al mare, in montagna in città
QUI SI MANGIA BENE
Mensile fondato e diretto da GIORGIO ARIU giorgioariu@tin.it
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SOMMARIO In fuga dal solito piatto
18 A PULA UNA SCUOLA A CINQUE STELLE
Per la fotografia Archivio GIA, Maurizio Artizzu, Yuri Basilico, Andrea Nissardi, Enrico Spanu, Roberto Tronci
20 STORIA E CIBO NELLA SARDEGNA DEL ‘700
Redazione Via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari Tel. 070.728356 - Fax 070.728214 giorgioariu@tin.it
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25 INCONTRO CON MASSIMILIANO ATZORI
GIA Editrice di Giorgio Ariu Premio Europa per l’Editoria Premio Editore dell’Anno per l’impegno sociale e la valorizzazione della cultura sarda
© Vietata rigorosamente la riproduzione anche parziale di testi, fotografie, disegni e soluzioni creative.
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E PIATTI DA RE
Il cibo nella Sardegna del ‘700
Cibo e ambiente incontaminati
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GLI CHEF DI SARDEGNA
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A TAVOLA PER LO SCUDETTO
28 SARDEGNATAVOLA NEWS
42 W LA CAMPAGNA
32 BONTÀ DI SARDEGNA
46 GIGI RIVA CHE GIRA PER I TAVOLI E POI CANTA
36 INCONTRO CON PAOLO MILANI 38 SU CASU FURRIADU
Sardegnatavola è marchio registrato presso il Ministero delle Attività Produttive Ufficio Brevetti N° 926965
26 SARDEGNA, ISOLA DELL’ACCOGLIENZA
Vini melodici
Distribuzione Agenzia Fantini S.P. Elmas-Sestu Km. 2,400 Tel. 070.261535 - 260053 Associata AIPE Associazione Italiana Piccoli Editori
12 GLI AGRITURISMO SARANNO COSÌ
16 CIBI E AMBIENTE INCONTAMINATI
Scritti di Giorgio Ariu, Simone Ariu, Laura Bonu, Claudia Cao, Michele Farru, Augusto Frongia, Daniela Spiga
Stampa e allestimento GRAFICHE GHIANI
IN FUGA DAL SOLITO PIATTO
14 ACQUE CRISTALLINE, BOSCHI VINI MELODICI E PIATTI DA RE
In redazione Simone Ariu, Maurizio Artizzu, Antonella Solinas, Michela Sorgia
Concessionaria per la pubblicità GIA Comunicazione Via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari Tel. 070.728356 - Fax 070.728214
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48 I MIEI RICORDI: RIVA E NENÉ
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iù buoni a tavola
Giorgio Ariu Direttore di Sardegnatavola
U
n tuffo dove l’acqua è più blu, anche sotto casa, eppoi per fattorie alla ricerca dei cibi a pastura garantita. E’ la moda più cult dell’estate: ha sedotto finalmente i sardi sulla scia dei turisti etnochic. Tavolate chilometriche per parenti ed amici, poi in fuga in cerca di silenzi e di ristoranti accoglienti. Dopo gli anni sgangherati degli agriturismi con i bastoncini di montagna e i salumi di mare ecco a regime le nuove disposizioni di Legge che regolamentano le 750 aziende agrituristiche. Da anni questo giornale supplicava trasparenza e rigore per il settore, finalmente l’assessore Prato ha messo mani ad un dispositivo di Legge che se non ci avvicina a territori virtuosi come Bolzano (gli agriturismi chiudono nei mesi improduttivi delle loro terre), mette fine però all’assalto selvaggio del malcapitato turista in cerca di buon cibo della casa.
L’ATTRAZIONE per il cibo sardo Sardegnatavola da oltre 26 anni ha questa missione: valorizzare, tutelare, promuovere i prodotti sardi, ricchi di una unicità che viene dalla magica pastura che incrocia i profumi del mare, del cielo immenso e terso e di una terra in larga misura incontaminata. Ecco perché per i fedelissimi lettori e per i turisti che si avvicinano a noi per la prima volta apriamo il giornale con il giro della Sardegna alla ricerca di quei territori che hanno conservato tradizioni millenarie. Da Nule a Buddusò, da Sassari a Castelsardo, da Dorgali e lungo la costa di Baunei (la più incantevole d’Italia) eppoi giù ancora tra Cagliari e dintorni a celebrare la cultura del lavoro, il rispetto del tempo, delle stagioni, dei cicli della buona terra, la sapienza della manualità, la generosa ospitalità. E ancora a posizionare alcune bandierine sul territorio: dove mangiare bene e non sentirti tradito. A Tempio, a Bidderosa
abbiamo vissuto giornate in compagnia del silenzio dei boschi mentre a Sassari ci siamo tuffati nel ’700, a tavola con le remote abitudini e i cibi di un’epoca resa affascinante dall’Alberghiero e con la regia del nostro chef di fiducia Michele Farru. La Sardegna ha un presente ed un futuro da giocare solo con la consapevolezza di essere straricca di attrazioni ambientali, archeologiche,umane. Più prodotti sardi sulle nostre tavole, diciamo da sempre su queste colonne, meno spazzatura griffata, colonizzatrice e tentatrice sugli scaffali degli ipermercati della seduzione imbrogliona; più professionalità e accoglienza equilibrata anche alla cassa: sono le carte da giocare sui tavoli vincenti di un nuovo turismo, più attento ed esigente in periodo di crisi, per una Sardegna che può avere finalmente la Prima Rinascita della sua storia.
GLI ITINERARI SPECIALI DI SARDEGNATAVOLA DA QUARTU A CASTELSARDO, ATTRAVERSO RISTORANTI, PAESAGGI E PERSONAGGI DA PORTARTI APPRESSO
In fuga
DAL SOLITO PIATTO di Giorgio Ariu
I
n fuga dal solito piatto, spento l’elettrodomestico TV che ti serve falsi miti e carne impudica anche nelle fasce non protette, via all’isola del gusto con famiglie e amici al seguito. Battezzati turisti dell’interno, battistrada per quelli che arrivano da lontano anche alla scoperta del mito dai sapori di Sardegna. Metti la voglia pionieristica di issare bandierine sulla tua personale food list, di godere della scelta fatta e di girarla, magari con una punta di gelosia, all’orecchio dei più prossimi. Naturalmente con il culturale condimento delle archeo scoperte piuttosto che dei paesaggi che ti prendono o delle scorciatoie in fuga anche dal caro carburante. Dopotutto fa tendenza creare il gruppone e mettere palla al centro costi e trasporti. Qui non aspettatevi ricette, né descrizioni minuziose di menu e piatti da regal chef.
Premessa: non mi è mai passato l’innamoramento per i prodotti che il cielo bacia sino alle viscere della nostra terra, né mi è passata la libertà di dire no ai taroccatori e agli imbroglioni (spesso celebrati con markette a gogo) dell’acquisto surgelato o last minute sugli stanchi banconi della chiusura dei grandi mercati. Volti anche noti, celebrati magari da clientela modaiola, magari poco godona al momento del conto chiccosissamente salato. Insomma, via per un primo giro ideale di Sardegnatavola, alla scoperta del cibo pulito, di itinerari da isola che piace e dove l’ospitalità non è mai cornice ma cultura e professionalità. Si parte da Cagliari e si arriverà stavolta a Castelsardo. Prima di imboccare la 554, nel centro storico di Quartu Sant’Elena l’Hibiscus di Nino Figus ti accoglie nella classica e signorile sala libery: puoi andare
nella suggestiva bisteccheria, dai toni rustici e avvolgenti con un maxischermo e una hit collection da fare invidia ai musicologi assatanati. Il trionfo delle carni e lo spettacolo della cottura a vista. Marta, figlia solare del patron dirige la sala con grazia e carisma. Nelle altre sale ti sembra di vivere atmosfere più sinuose e datate con i piatti della tradizione rivisitati e seduttivi anche da Giovanni Fanni figlio d’arte e nipote adottivo, anche in giro per il mondo, della star chef Figus. Sulla 554, Quartu alle spalle, Sa Baracca: qui il trionfo delle portate, a cominciare dagli antipasti di mare che ti fanno pensare alla Roma imperiale. L’ampio cortile, ambitissimo per le serate estive, prelude alla spettacolare esposizione del pescato di giornata. Alessandro, giovane patron dalla classe spicca-
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Sopra, Nino Figus, star chef di Hibiscus. A destra, i suoi allievi prediletti: la figlia Marta e Giuseppe Fanni.
ta, ti fa sentire special one con un team di camerieri efficienti e di sincera cordialità in tutti i momenti dell’accoglienza. Un tributo per ogni ben di Dio. Prima di lasciare la 554 per inoltrarci sulla 131, vale bene una sosta sulla strada che porta a Sestu, di fronte al policlinico Universitario. Felice Contu, buyer del settore carni per la premiata ditta Poddesu, ha messo a risorsa gli spazi di un’antica fattoria di famiglia e al centro moglie appassionata di cucina e figli diplomati all’alberghiero. Formula scontata e felice: a
pranzo, Vecchia Fattoria il meeting point veloce per l’universo ospedaliero e per imprenditori e camionisti (la sanno sempre lunga) di passaggio; la sera, vippaio cagliaritano in escursione e calciatori in fuga in mezzo a tavolate formato famiglia, con la passione delle ricette della nonna. E ora sulla 131 con deviazione per Senorbì, subito dopo il bivio per Ussana. A Ortacesus a trovare il mitico Francesco, già fondatore del ristorante “Da Severino” che ha celebrato più matrimoni di un qualunque parroco. Più sale, più giardini, perfino stanze da buon ritiro.
Luciano detta i tempi e ti accoglie amichevolmente per introdurti in una festa del palato. Nell’epicentro della Trexenta, antico paradiso del grano duro, il vastissimo ristorante ha il sapore del pane di una volta e ti sorprende per le portate generose che hanno con l’astice il momento clou. Con il buon sapore della liquirizia lasci l’oasi di Ortacesus e ritorni sulla 131. Si va nell’Oristanese. Deviazione per Terralba, poi nell’isola bonificata dai laboriosi veneti, principi dell’allevamento e dell’agricoltura: paesaggi lindi, ordi-
Ad Ortacesus “Da Severino il Vecchio” (ovvero Francesco), con Luciano.
Qui a “Sa Barracca” con il patron Alessandro ed il suo staff.
nati, quasi fuori dal tempo. Cornice straordinaria per il porticciolo dei pescatori di Marceddì. Ti inoltri su uno sterrato, sapori e ambientazioni cubani, poi di nuovo il paradiso in uno specchio d’acqua, risanato dalla tenacia e dalle fatiche di Antonio e della sua famiglia, dopo il periodo nefasto di una coop bevi soldi.
Scenario per esaltare i silenzi, animali esotici per la gioia di grandi e piccini, ci si accomoda in un’ampia sala tutti insieme alle 13,00 o alle 20,00. I piatti? Il pescato del giorno. Antonio pesca e cucina: una favola da raccontare. Gli antipasti, tra arselle e cozze, tutto di categoria A, cioè da acque che ti specchi. Il conto? Vergognosamente basso, e non paghi neanche lo spettacolo dei pesci che vedi saltare dalle vetrate. Di nuovo sulla 131, ampie corsie poi deviazione verso Simaxis. “Da Renzo”, semplice-
Alla “Vecchia Fattoria” della famiglia Contu. In basso a sinistra, Felice Contu e Benito Urgu.
Enzo Biagi, Nilde Jotti e Franco Baresi, con chi scrive, mollò il villaggio e le collanine all inclusive prepagate per la zuppa di pesce campione del mondo, benedetta pure dal Papa polacco. Fosse per loro ti chiuderebbero nei terrazzini vista mare, ma c’è il Centro Storico, l’antico borgo e le
Antonio Loi dell’ittioturismo “San Domenico” di Marceddì.
mente spettacolare. Giardini da villa vicentina, sale che si inseguono, il trionfo della cucina di mare e di terra. Renzo giramondo con la sua bottarga e la sua fregola ha sedotto perfino il Nobel Marquez, cucina e ti serve come parla, con uno slang universale. L’agenda è fitta, devi prenotare, ma per averlo come consulente esterno o event man in Costa piuttosto che a Dubai devi metterti in coda. Lasciato l’Oristanese si va verso Sassari, poi sulla panoramica per Castelsardo. La cittadina medioevale ti appare d’un soffio e ti incanta, le pietre antiche che si specchiano sulle acque del porto dove è frenetica l’attività dei pescatori. Subito di fronte alla spiaggiola, la prima sosta da Angela, Antonina, Lucia, qui “Pensione Pinna” ha messo radici da cinquant’anni, l’ospitalità è avvolgente, ci sono passati Giuliano Ferrara, “Da Renzo”, a Simaxis, il tempio di uno degli chef giramondo.
Qui Castelsardo al ristorante “Pensione Pinna”.
risalite verso l’aragosta più spettacolare del Mediterraneo che t’aspettano alla “Guardiola”. Qui lo scenario fa diventare tutti artisti della fotografia “ma forse è meglio dare le spalle al mare - ti accoglie la dolcissima Mairyn – per non perderti la sfilata dei piatti” che Nino e Giampaolo Tugulu, padre e figlio, da decenni portano sotto gli occhi incantati di turisti di tutto il mondo. Alta cucina di mare, pescatori fidelizzati, cucina da Castelsardo nel mondo e, se i ritmi della giornata non ti inseguono, per te Giampaolo, il patron, supertifoso del Cagliari, c’è pure per il giro per le viuzze del borgo. Racconto dopo racconto, pietra dopo pietra lungo i palazzi, ci sono pure frammenti di storia di una città A Castelsardo a “La Guardiola“ del mitico Nino Tugulu.
Sopra, Pietro Mula, eccellente sommelier e conduttore di “Ispinigoli”.
dove anche tu vorresti cercare casa. Ora si scende, attraverso la Gallura poi verso l’Ogliastra. A Dorgali, a inseguire profumi e mito delle vergini degli abissi.Proprio accanto alla Grotta più profonda, a Ispinigoli, dalla terrazza che guarda lungo la vallata e le spiagge che rifiutano ogni aggettivo, Ossalla e Cartoe. Pietro Mula, sommelier capitano di un gruppo famigliare così armonico e vincente che neppuSotto, a “Gli antichi ovili” di Orroli.
re Mourinho, ti accoglie e brinda subito alla sua terra e all’ospite che fa sentire special one. Tutto attorno vigneti e allevamenti, il mangiare, eccelso, è quasi tutto a Km zero. La sera una cena sulla terrazza ti riscalda il cuore, il buon cibo e il buon vino con un servizio rosa e avvolgente ti inebriano rimandandoti al mix di profumi che salgono dal mare e dai boschi secolari. Dall’Ogliastra al Sarcidano, dal mare alla campagna. Al ristorante museo Om’Axiu di Orroli Tonia, mani sapienti che raccontano e impastano e ti stringono tra antichi sapori e reperti di una civiltà contadina che mostra nella costruzione a corte, recuperata a santuario del
Ancora ad Orroli nella casa museo “Omu Axiu”.
cibo di una volta. Qui ho accompagnato anche Tara Gandhi che ricorda ancora le macchine antiche ma soprattutto le mani di Tonia che fanno ancora la pasta. Infine su, dopo una sosta al Nuraghe Arrubiu e l’ennesima chiacchierata con i giovani amici centenari , agli Antichi Ovili. Pinnette per il riposo, ideale per il fine settimana tra il selvatico ed il romantico, e al centro il risto tempio dei salumi, dei formaggi, della pasta e delle verdure dell’orto che fanno sorridere anche quel maialino così tenero che torni a casa senza complessi da assassino. Sulla strada Orroli-Siurgus Donigala meglio alla guida l’astemio del gruppo : l’incanto dei laghi ti rapisce e non te ne accorgi.
TUTTE LE NOVITÀ SULLE POLITICHE AGRICOLE ATTORNO AL TURISMO RURALE A TUTELA DEL CONSUMATORE E DEI PRODOTTI SARDI
GLI AGRITURISMO
Maurizio Artizzu
Incontro di Claudia Cao con Mariano Contu*
O SARANNO COSÌ
A
GLI CHEF DI SARDEGNA CON IL NOSTRO GIORNALE IN GIRO PER L’ISOLA IN CERCA DELLE ECCELLENZE
QUI TEMPIO
cque cristalline, b
elvini melodici e piatti
A
tmosfere da “Il Signore degli Anelli”, tra boschi, cascate e corbezzoli. Ma Tempio è anche una pittoresca e panoramica cittadina situata vicino al monte Limbara, tra vigneti e ciclopiche rocce tafonate. È l’antica capitale della Gallura. Di origine romana (Gemellae), fece parte nel medioevo del giudicato di Gallura (curatoria di Gemini). Appartenne ai Pisani dopo la morte di Ugolino Visconti (il dantesco Nino di Gallura) nel 1258. Durante la dominazione aragonese e spagnola conobbe una crescita lenta ma continua, favorita dalla salubrità dell’aria, dall’abbondanza delle acque e dalla posizione geografica, appartata dai pericolosi litorali marini. Nel 1836 ebbe il titolo di città e divenne rapidamente il centro più importante della provincia. Già capitale di circondario, è attualmente sede vescovile e di tribunale. Ancora un po’ di ripassino di storia? No, intesi, non ne parliamo più. In compenso, diciamo che Tempio, in passato, era prospera per l’intensa economia agro-pastorale e per l’attività di estrazione del granito e del sughero, ma ha intensificato, negli ultimi decenni, la produzione di insaccati e formaggi oltre che di vini di qualità tra cui si segnalano il Moscato e il Vermentino, che vanno giù che nemmeno ci si accorge. Attenzione alla
linea però. Qui le calorie non le contano mai. Anzi, se non si spazzola il piatto pensano che non si è gradita l’ospitalità e ci restano malissimo. Dunque, solo se non siete dei fan del buon cibo ricco, elaborato e saporito, considerate pure la visita a Tempio una sorta di “diet spa”. Perché a tavola c’è veramente l’imbarazzo della scelta: paste con sughi di cacciagione, crespelle di porcini e patate, zuppa gallurese, cordula con piselli, trippa con patate, fave con pancetta, cinghiale in agrodolce, bistecca di manzo, ravioli fritti e crème caramel. In the centre, tra la piazza del Purgatorio e la via Manno si trovano i ristorantini leggendari, come il ristorante
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Purgatorio, Li Noccari e il Gabriel Cafè, dove si possono gustare sia piatti tipici, anche a base di pesce, sia vini isolani e sfusi della cantina di Tempio. Preparazioni gastronomiche a parte, Tempio è nota anche per altro. Secondo i ben informati ha sviluppato un turismo residenziale, favorito dal clima e dalla presenza di rinomate acque minerali diuretiche che sgorgano dalle fonti di Rinagghiu. Qual è il pezzo forte? Ovviamente, la natura. E se l’avventura è il vostro mestiere, qui, ci si può immergere nel verde. Che è dappertutto e fa da sfondo all’architettura. La cittadina, infatti, presenta architetture tipiche, con i suoi palazzotti in granito grigio ornati di balconate in ferro battuto e le strade lastricate. La cattedrale, affacciata sulla bella piazza San Pietro, conserva il portale e il campanile quattrocenteschi. All’interno altari lignei del Settecento. Di fronte l’oratorio del Rosario, originale per
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boschi,
i da re
i sono, nell’arco dell’anno, i diversi cicli conseguenti al susseguirsi delle stagioni. Abbiamo quindi ricorrenze, feste, celebrazioni, solennità, cerimonie civili e religiose e tutta una serie di avvenimenti che vengono comunque ricordati e significati. E dove esiste cerimoniale esiste il conviviale, cui fanno da contorno tipiche pietanze, bevande e dolci. In ogni ricorrenza, le nostre esperte massaie, “le donne di casa”, hanno sempre confezionato tantissime varietà di dolci (ora, purtroppo, un po’ meno forse a causa del poco tempo disponibile, della pigrizia o del negozio a due passi): per Natale, papassini e pan’e sabba; per Carnevale le frittelle lunghe irrorate di miele o di zucchero; per Pasqua le formaggelle ed il pane guarnito con l’uovo. Nei matrimoni e nelle cerimonie familiari, ad eccezione delle frittelle, questi dolci vengono tuttora preparati e serviti poiché vi è ancora chi resiste alle tentazioni della moderna pasticceria. A noi piace se-
guire con l’interesse dei degustatori curiosi di novità ciò che la tradizione offre a piene mani. Ed è per noi motivo di altrettanta curiosità assistere alla preparazione dei dolci tipici fatti in casa da vere professioniste di questa arte, quasi sempre con una cura e una passione addirittura maniacali. Si loda sempre la pasticceria siciliana e quella di altre regioni; raramente si nomina la dolceria sarda e, se per certi versi non può essere competitiva per magnificenza e ricercatezza, lo è comunque per qualità e varietà. Tutti i paesi della Sardegna hanno le proprie tradizioni che non sempre corrispondono ad una univocità. Ecco quindi centinaia di varianti sempre molto interessanti dello stesso tipo di dolce. Un dolce particolare, buono per tutte le occasioni e che non esitiamo a definire anomalo, è il “gattò”, forse dal francese “gàteau” o dal piemontese “gatto”, equivalente ad un impasto di zucchero tostato e mandorle da offrire a chi ha denti sani e robusti.
la gola Per Lu Gattò di Giuseppe Sotgiu
INGREDIENTI (per dieci persone): Zucchero, 1 kg. Mandorle, 1 kg. Buccia secca di arancia tagliata a striscioline finissime, q.b.
LA RICETTA
Sbucciare le mandorle (un sistema sbrigativo può essere quello di scottarle nell’acqua calda), farle a fettine sottili e tostarle senza bruciacchiarle. Mettere lo zucchero in una casseruola, aggiungere qualche goccia d’acqua e girare bene a fuoco medio fino a che non è sciolto e diventa dorato. Aggiungere le mandorle e la buccia di arancia e continuare a girare per alcuni minuti. La lastra così ottenuta si posa capovolta su di un piano, possibilmente una tavoletta bagnata, lavorandola per ottenere una lastra di circa 1 cm o anche più, omogenea e regolare. Il “gattò” può essere preparato a pani o a lastre da tagliare a tronchetti romboidali o disuguali presentati in vassoio ognuno su foglia di alloro o di arancio o ancora su scodellino di carta plissata. Quella che presentiamo è una delle diverse varianti in uso a Tempio e sembra inutile aggiungere che si accompagna bene soprattutto con il moscato locale. Girovagando per la città, alla ricerca di sapori da riscoprire, abbiamo avuto modo di effettuare l’assaggio qualche giorno fa al Ristorante “Li Tre Funtani” di Mario e Rossella Masoni i quali gentilmente ci hanno messo a disposizione questa semplicissima ricetta.
l’armonica composizione di testimonianze artistiche di epoche diverse: motivi barocchi, romanici, gotici, che custodisce un magnifico altare policromo risalente al Settecento. Forse, finora, anche per voi, Tempio era solo il paese di Gavino Gabriel e Bernardo Demuro (i cui costumi di scena e articoli del tenore tempiese sono visibili nel museo che la città gli ha dedicato), uno fra i più grandi cantanti lirici del mondo. Poi, con l’arrivo del turismo e dei media, adesso tutti parlano del carnevale tempiese o delle escursioni ai laghi e ai boschi o ancora di tessuti, gioielli e tappeti. Non basta. Sono celebri le manifestazioni. A parte quelle di carnevale, che la rendono famosa per la sfilata dei carri allegorici e rogo finale di un grande pupazzo di cartapesta, “Re Giorgio”,
che richiama migliaia di persone da tutto il mondo, anche quelle di fine luglio quando si tiene il festival internazionale del folclore o quelle di fine agosto con la festa di san Paolo Eremita, e per finire, quelle della prima domenica di settembre, con la festa di sant’Isidoro oppure della seconda domenica con la festa di santa Maria Bambina. Imperdibili anche le escursioni. Se siete dei veri “Piero Angela” il vostro paradiso ideale è al lago Coghinas, alla Fonte Nuova e a quelle di Rinagghiu, al nuraghe “Maiori”, al monte Pulchiana, a Vallicciola sul monte Limbara e al colle di Curragghia. Tra boschi di sugheri, lecci e profondi valloni o laghi, con grandi massi granitici e gole. Una vera full immersion naturalistica per percepire le vibrazioni più magiche del pianeta ma anche per risvegliare l’anima da naturalisti doc. Daniela Spiga
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INCONTRO CON CHEF DI SARDEGNA
FORESTE APERTE RILANCIA LE ECCELLENZE DEI PRODOTTI DELLA TERRA
Maurizio Artizzu
CIBI E AMBIENTE INCONTAMINATI
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atura e scenari carichi di fascino, escursioni e visite con centinaia di persone, mostre e sfilate in costume sardo, esposizioni e dimostrazioni di lavorazioni artigianali. Manca solo un ingrediente per rendere completo il quadro di Foreste Aperte: tanti e tanti stand di prodotti tipici e grandi tavolate gremite di persone all’ombra delle foreste, con il profumo degli arrosti che aleggiano per l’aria. Perché, che senso avrebbe la riscoperta di un turismo montano senza i tradizionali tavoli e panche di legno all’aria aperta e un buon pranzo “alla sarda”, che dai malloreddus al maialetto non fa mancare niente agli escursionisti? Si sapeva che questa sarebbe stata la formula vincente per il grande evento. E “i numeri parlano da soli - come ha affermato lo stesso Salvatore Paolo Farina, presidente dell’Ente Foreste –: 5000 mila persone a Laconi, così come a Iglesias e ad Orgosolo, non molte di meno le persone a Bidderosa e a Bono, e tantissime, visto la giornata sotto i 5 gradi, le 1500 persone a Seui”. Gli scenari incantevoli hanno costituito indubbiamente la fetta maggiore di questo successo ma, come si sa, soprattutto quando si parla di Sardegna, la ciliegina sulla torta è rappresentata in ogni grande evento dalla buona tavola.
E l’organizzazione ha pensato proprio a tutto, scegliendo gruppi locali per la cura anche dell’aspetto gastronomico. Non sono mancate perciò le paste fresche, come i ravioli e, oltre i grandi vassoi in sughero per i tranci di maialetto arrosto, anche i capienti tegami di capra e pecora bollita. I dolcetti tipici non sono mancati e, per concludere, un accompagnamento sempre presente, è stato il rinomato sorbetto sardo, la “carapigna”, del gruppo di Aritzo che ha seguito ogni singola tappa della manifestazione. Ma non sono mancati neppure gli stand di prodotti tipici lungo nei punti di ritrovo all’ingresso delle foreste: dalle produzioni dello stesso Ente, come il miele, le marmellate e l’olio d’oliva, fino a quelli dei produttori locali. Il tutto poi coronato dal giusto pizzico di folklore, costituito dall’esposizione e dalle sfilate delle maschere, o degli abiti locali, cui si sono aggiunti i maestri degli antichi mestieri, dalla lavorazione dei coltelli alla realizzazione dei murales, come avvenuto ad Orgosolo. Insomma, non si può far altro che attendere con pazienza la prossima stagione dell’evento, quella autunnale, che regalerà probabilmente nuovi scenari, non meno carichi di suggestione, ma senza dubbio riporterà sulle tavole un gusto inconfondibile di tradizione.
GLI ISTITUTI ALBERGHIERI DELL’ISOLA
A PULA UNA SCUOLA A CINQUE STELLE S
embra davvero di entrare in un albergo a cinque stelle quando si arriva presso la struttura dell’Istituto Alberghiero Azuni di Pula. Arrivati nell’elegante hall, ad accoglierci al desk della reception, una ragazza tanto giovane quanto posata e professionale chiama l’interno del professor Tommaso Foscarini che subito ci conduce alla hall del piano superiore. Enormi vetrate fino alla cupola in cui culmina l’edificio rendono ancora più luminosa la sala in questa giornata di primavera. Il professor Foscarini è responsabile dei laboratori di ricevimento e si occupa della didattica di questa disciplina insieme ad accoglienza. Questo è solo uno dei tanti laboratori multimediali della struttura in questione piuttosto fornita oltre che all’avanguardia, ed è stato sufficiente girare tra le grandi cucine e vedere alcuni dei macchinari per rendersi conto del grande lavoro di pianificazione e di costante aggiornamento che ci può essere dietro la realizzazione di un istituto di questo tipo. Ho iniziato subito col chiedere al professore quale percorso li ha condotti a questi risultati. «Sono qui dal ‘96. Ho iniziato nella vecchia scuola in via Sant’Efisio, una vecchia scuola media con qualche laboratorio per i quali abbiamo ricevuto delle sovvenzioni europee. Ci siamo trasferiti qui nel 2005, la struttura non è terminata ma noi abbiamo lavorato cercando di cambiare l’organizzazione delle scuole alberghiere. Il problema normalmente è che bisogna lavorare su un duplice fronte: da un lato come scuola, e dall’altro come albergo. Naturalmente, però, mentre ad un albergo danno con più facilità l’autorizzazione ad avviare la propria attività, nel caso di una scuola, invece è necessario passare per tutte le amministrazioni dal Comune alla Provincia, e tutto raddoppia, e risulta molto macchinoso. Abbiamo realizzato perciò una struttura 5 stelle pensata e costruita ad hoc perché Pula aveva bisogno di istituto alberghiero e di un’offerta nel settore scolastico. Probabilmente è l’unico in Italia e secondo gli esperti è la prima scuola pensata per gli alunni».
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Incontro di Claudia Cao con Tommaso Foscarini
In che senso pensata per gli alunni? Loro lavorano con consuetudine tutti i giorni, hanno anche autonomia, accolgono le persone per manifestazioni nella scuola, fanno accoglienza per i meeting che molto spesso vengono organizzati qui. Il nostro intento è quello di formare i ragazzi non solo sulla base della programmazione del docente, ma farli anche entrare in contatto con personalità eterogenee che arrivano qui come veri e propri clienti. Tutte queste opportunità risultano piuttosto insolite rispetto agli altri istituti. Si devono tutte ad un protocollo d’intesa firmato tra il nostro istituto alberghiero, il Forte Village, la Direzione Scolastica, la Provincia e il Comune, nato per tirare fuori un’offerta formativa di alto livello. Da qui nasce il master “Five Stars Hotel Management” volto a formare allievi anche laureati che possano diventare direttori di alberghi a 5 stelle. Perciò non solo tecnici delle attività turistiche e ristorative come chi consegue solo il diploma da noi, ma anche direttori. Quanti corsisti partecipano al master e che tipo di utenza vi si rivolge? Al master abbiamo 24 corsisti, la maggior parte laureati. Il protocollo d’intesa permette che solo dall’istituto alberghiero di Pula possono entrare due dei nostri diplomati gratuitamente. Un incentivo, perciò, a scegliere il nostro istituto e qualificarsi a livelli sempre più alti. Il master prevede sei mesi di teoria e sei mesi di stage in strutture a 5 stelle. Il che significa che dopo questo master i corsisti trovano occupazione in strutture di altissimo livello al 101%. L’Università Luiss di Roma è il nostro partner del master, da lì provengono i docenti che tengono le lezioni. Non è strano che quest’anno i corsi si siano tenuti interamnete in inglese. Prima accennava ad una desiderio di cambiare l’organizzazione delle scuole alberghiere. In che modo si sta realizzando quest’intento? Un esempio è che sempre all’interno di questo Protocollo d’intesa, per dare un ristorante ai ragazzi, è stato creato un ristorante didattico. La
preparazione inizia alle otto e finisce alle sedici. Sono protagonisti ragazzi guidati dai professori. Qui possono pranzare tutti i ragazzi impegnati nelle attività del pomeriggio e i corsisti del master che sono in tutto 24, che pagano mentre per gli studenti è un servizio offerto dalla scuola. Perciò gli studenti non fanno più prove o simulazioni, ma si devono cimentare realmente per poi essere giudicati dai docenti e dai corsisti che sono reali clienti, paganti, che hanno tutto il diritto di richiedere una cucina e un servizio di qualità. Questo vostro metodo di istruzione ha ricevuto dei riconoscimenti? Siamo stati selezionati in un progetto relativo all’alta ristorazione a scuola. L’azienda Spaggiari ha promosso questo progetto, facendo una selezione sulla base dei loro studi e per ogni regione ha selezionato la migliore nel settore. In Sardegna è stato scelto l’Azuni e questo ovviamente ci dà prestigio. Sarà un modo per mettere in vetrina l’alunno. Tutto ciò che si farà lo farà l’alunno. L’insegnante sarà solo un coordinatore. Questo permetterà loro anche di acquisire visibilità a livello nazionale e mondiale perché dal progetto nasce un sito con una sorta di data base in cui gli studenti potranno inserire il loro curriculum ed essere selezionati da ristoranti ed alberghi che lo consulteranno.
Tommaso Foscarini.
GHIANI
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ttraverso un progetto interdisciplinare sviluppato durante il corso dell’anno scolastico, Susanna Loche e Lorenza Masala, docenti dell’Istituto Alberghiero di Sassari, insieme agli allievi delle loro classi, hanno analizzato in modo più esaustivo la storia della Sardegna del diciottesimo secolo. La Vª A Ristorazione, guidata dalla professoressa di storia Lorenza Masala, ha studiato la
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EVENTI / ANTICHE ABITUDINI ALIMENTARI IN SARDEGNA RECUPERATE DALL’ISTITUTO ALBERGHIERO DI SASSARI complessa realtà sociale e politica vissuta dalla Sardegna nel corso del ‘700: la fine della dominazione spagnola e l’attribuzione dell’isola, nel 1720 col trattato di Londra, alla corona sabauda. Nondimeno sono stati studiati dalla classe i moti antifeudali, che hanno visto il popolo sardo protagonista di uno straordinario tentativo di ribellione alla dominazione piemontese, e la figura, per certi aspetti controversa, di G.M. Angioy.
L’altra classe coinvolta nel progetto, la Vª C Ristorazione, coordinata dalla professoressa Susanna Loche, ha invece indagato su un versante fondamentale per la formazione professionale e culturale degli studenti dell’Alberghiero: la storia dell’alimentazione locale. Attraverso lo studio di fonti d’archivio, esattamente le minute della spesa per le derrate alimentari relative alla seconda metà del ‘700, di due importanti famiglie della nobiltà sarda,
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gli Amat San Filippo, baroni di Sorso, e gli Aymerich, marchesi di Laconi, gli studenti della Vª C hanno potuto individuare le peculiarità della cucina sarda settecentesca, le novità introdotte in campo gastronomico dalla presenza della corte sabauda e la permanenza delle influenze iberiche sulla cucina tradizionale sarda. La documentazione archivistica ha evidenziato la conservazione delle consuetudini alimentari sardo-iberiche, consuetudine che proseguirà anche dopo l’insediamento dei Savoia, solo la cucina dell’aristocrazia sarda stabilirà infatti dei timidi contatti con la cucina piemontese e francese presso il resto della popolazione, sia nei due Campidani che nella Sardegna del Nord, verranno conservati i modelli alimentari autoctoni e iberici, pertanto la ventata di novità portata dai nuovi governanti coinvolgerà soprattutto le classi signorili e solo in piccolissima parte le classi subalterne.
La tradizione gastronomica catalana e castigliana non verranno infatti mai completamente abbandonate in Sardegna. Sono da ricondurre alla cucina spagnola le “panadas“, la cui produzione è tutt’ora diffusa in diverse parti dell’isola, le “cassolas”, le “suppas indoradas”, a cui corrispondono le “sopas doradas” iberiche, “su mazzamurru”, la zuppa di pane raffermo ancora oggi preparata a Cagliari e nei paesi vicini al capoluogo che anticamente costituiva il pasto dei galeotti della marineria spagnola, lo “scabecciu”, come viene chiamata la marinatura a cui vengono sottoposti i pesci, i bugnoli, i flan (i dolci fatti con mandorle e zucchero), come i gattò, i candelaus, i gueffus, gli amaretti.
IL MENÙ Croccoj Cervella di vitello, 200 gr. Latte, 2.5 dl Burro, 20 gr. Farina, 20 gr. Uova intere, 50 gr. (num. 1) Formaggio grattugiato, 20 gr. Pane grattugiato, 150 gr. Sale e pepe, q.b.
(per 10 persone)
Far cuocere in bianco il cervello in un brodo di vitello saporito e rafforzato con un ½ cucchiaio di farina bianca, far passare 25 minuti, spegnere la fiamma e lasciar riposare il cervello all’interno. Nel frattempo far spumeggiare il burro aggiungere la farina e incorporare fuori dalla fiamma il latte caldo, rimettere sul fuoco e continuare la cottura per 5 minuti
incorporare il formaggio grattugiato aggiustare di sale e pepe. Tagliare il cervello a cubi, unirli al precedente composto, lasciare raffreddare e passare il cervello nell’uovo sbattuto e successivamente nel pane grattugiato. Friggere in abbondante olio di oliva.
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NELLA SARDEGNA DEL ‘700 Oltre alle novità gastronomiche più rilevanti, la ricerca storica ha anche individuato le consuetudini alimentari legate alla quotidianità e quelle legate alla festa, permettendo di cogliere le inevitabili differenze legate alla stratificazione sociale. Per comprendere pienamente le abitudini alimentari del periodo si è fatta una distinzione tra cibo legato alla quotidianità e cibo della festa, tra cibo consumato dal popolo e cibo consumato dalla nobiltà. Anche la cucina sarda nel 1700, come è ovvio che sia, presentava stili alimentari non omogenei. La dieta dell’aristocrazia si avvaleva di una varietà di ingredienti e vivande spesso non ac-
cessibili alle classi popolari che continuarono a nutrirsi, come nel passato, di pane e altre pietanze molto semplici. Le classi subalterne, nel periodo analizzato non hanno cambiato sostanzialmente le abitudini alimentari rispetto al passato, mentre invece diverse novità emergono dall’analisi dei consumi delle classi alte, soprattutto in occasione di eventi di particolare rilevanza come i banchetti e i rinfreschi. La ricerca storica ha sollecitato negli studenti domande e curiosità. E proprio questo era l’intento del progetto, trovando valide risposte nella ricostruzione dei piatti stessi. Guidati dal docente di cucina, lo chef Michele
Cefalo in scabecciu
Friggere in abbondante olio d’oliva e dopo lo sgocciolamento per eliminare l’olio in eccesso disporli in un contenitore e ricoprili con la cipolla stufata, lasciare raffreddare.
Cefalo, 1.5 kg Farina sarda, 150 gr. Cipolla bianca, 500 gr. Aceto bianco, 2 dl Brodo di cefalo, 1 dl Alloro, 2 gr. Sale, q.b. Tagliare la cipolla a fettine e farla stufare partendo da freddo con olio e sale aggiungere poco alla volta l’aceto e aggiungendo del brodo ci cefalo per aiutare la cottura. Tagliare il cefalo a piccoli tranci, asciugarli e passarli alla farina sarda leggermente salata.
Farru, gli allievi hanno selezionato e successivamente rielaborato nei laboratori di cucina dell’Istituto Alberghiero, le ricette che sembravano più vicine alle consuetudini alimentari del periodo e che presumibilmente venivano realizzate presso le cucine dei palazzi signorili. Il coronamento di questo percorso didattico è stata la cena a tema “La Sardegna a tavola nel 1700” che si è tenuta la sera del 7 maggio presso la sala ristorante dell’Istituto. Ai 120 commensali è stato proposto un menu di ben nove portate: croccoj, dindo alla dobba, cefalo in scabecciu, timballo di maccheroni, agnolotti al sugo, quaglie al pomidoro, panadas di agnello e patate, flan di fagiolini al burro acido. Come
Brodo di cefalo Con le teste e le code dopo averle fatte spurgare nell’acqua corrente, fare un fondo di sedano e carote, prezzemolo, bucce di limone, pepe in grani, farle rosolare e bagnarle con l’aceto bianco aggiungere dell’acqua fredda e far cuocere per 20 minuti, spegnere facendo raffreddare tutto assieme con aggiunta di ghiaccio. Insaporire con poco sale e utilizzare per condire lo scabecciu.
Agnolotti al sugo Farina Sarda, 300 gr. Acqua tiepida, 1.5 dl Olio d’oliva, 0.5 dl Salsa di pomodoro, 800 gr. Ricotta vaccina, 300 gr. Farina sarda, 20 gr. Aglio, 5 gr. Formaggio grattugiato, 30 gr. Uova intere, 50 gr. (num. 1) Sale, q.b. Mettere nel contenitore dell’impastatrice con gancio l’acqua tiepida a 30°C aggiungere l’olio d’oliva il sale fino, incorporare la farina in tre riprese in modo che venga assorbita dal liquido e risulti liscia e omogenea. Se necessario equilibrare l’impasto aggiungendo alcuni pugni di farina, togliere dall’impastatrice e mettere in frigo coperta da pellicola. Lavorare la ricotta con un spatola di legno e aggiungere le uova a più riprese, il formaggio grattugiato, l’aglio tritato, aggiustare di sale e grattugiare un po’ di noce moscata; lavorare delicatamente il composto ed equilibrarlo con la farina sarda. prendere la pasta e stenderla sottile e con un coppa pasta formare dei cerchi di 08 cm di diametro mettere una noce di ricotta all’interno e richiudere a mezza luna.
dessert, budino al latte, frittura di bugnoli e il tradizionalissimo gattò. La cena, curata in ogni suo aspetto e resa ancor più piacevole dalle musiche del Settecento suonate dal giovane pianista Antonello Carboni, è stata servita in modo inappuntabile dagli studenti delle due classi coinvolte nel progetto e dai professori Pierluigi Bartoli e Antonio Mura, docenti di laboratorio di sala che hanno coordinato il servizio in tavola. Il progetto “La Sardegna del 1700” ha prodotto anche una tesina di ben 63 pagine che sviluppa le fasi fondamentali dell’intero percorso didattico: la ricostruzione delle vicende storiche, l’analisi dell’economia e della gastronomia sarda settecentesca, le ricette del periodo e le tabelle dei calcoli calorici dei piatti serviti durante la cena, aspetto quest’ultimo curato dalla docente Maria Vittoria Pintore. Sia per gli studenti che per gli insegnanti prima citati, la ricerca è stata un forte stimolo per recuperare la memoria del passato, per muoversi con cognizione di causa nel presente e per essere aperti a problematiche fortemente attuali come lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse e della gastronomia tradizionale della Sardegna.
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Panadas di agnello e patate Farina da pane, 600 gr. Agnello, 1.2 kg Patate, 400 gr. Acqua tiepida a 30°C, 2.5 dl Olio d’oliva, 1.5 dl Strutto, 100 gr. Prezzemolo, 30 gr. Aglio, 10 gr. Pomodori secchi, 25 gr. Sale, 5 gr. Mettere l’acqua tiepida a 30°C nel contenitore della planetaria con gancio, aggiungere il sale e incorporare in tre riprese la farina da pane in modo che l’impasto assorba bene la parte liquida e risulti liscio e omogeneo, coprirlo con pellicola e metterlo a riposare in frigo per 1 ora. Trascorso il termine indicato riportare la pasta sulla sfogliatrice stenderla a 2 cm, cospargerla con fiocchi di strutto, ripiegarla su in tre su sé stessa e laminarla ancora riportandola a 2 cm di spessore; ripetere l’operazione sino a quando non si esaurisce la quantità dello strutto pesato. Formare una palla con l’impasto ottenuto e coprirlo con pellicola per 1 ora circa e metterlo in luogo
fresco. Prendere i pomodori secchi e sbianchirli leggermente in acqua, pestarli in un contenitore e infine aggiungere l’aglio e il prezzemolo tritato. Dalla pasta ricavarne due pezzi uno più grande dell’altro, stendere con la sfogliatrice a ½ cm e ricavarne due dischi di cui uno più grande che deve fuoriuscire dai bordi, serve per il fondo della tortiera e uno più piccolo che serve per il coperchio. Foderare una tortiera, spennellata con dello strutto, con il disco di pasta più grande facendolo aderire bene ai bordi, cospargere il fondo con il battuto di aglio, pomodori secchi e prezzemolo, distribuire uno strato di carne leggermente salato, dando precedenza alle parti con l’osso, che hanno necessità di una cottura più prolungata. Finire con le patate, in precedenza sbollentate in acqua salata e il resto del battuto, ricoprire con il disco più piccolo di pasta. Pizzicare per chiudere bene e infornare a 200°C per i primi 10 minuti dopo abbassare a 175°C per i rimanenti 90 minuti di cottura. Durante questo periodo formare un piccolo foro al centro del tappo della panadas e versarvi dentro l’olio d’oliva poco alla volta scuotendo il tutto per farlo arrivare bene in tutte le parti della stessa, ripetere l’operazione fino all’esaurimento dell’olio stabilito. Terminata la cottura della panadas coprirle con un telo per farla “stufare”.
Gattò Latte intero, ½ l Zucchero, 125 gr. Mandorle, 100 gr. Mezzo limone per aromatizzare Nel tegame di rame non stagnato, mettere lo zucchero e il succo di ½ limone, passare a fuoco medio e mescolando sempre con un cucchiaio di legno, farlo sciogliere bene e lasciarli cuocere finché acquista un leggero colore dorato. Aggiungere le mandorle (tenute in caldo a 40°C/50°C) , farvi aderire lo zucchero e far prendere al tutto un bel colore dorato. Versare il gattò su un foglio di carta forno, ricoprire con un altro e aiutandosi con un mattarello stendere a ½ cm di altezza. Tagliare a rombi e mettere in un luogo asciutto.
Budino al latte Latte intero, ½ l Zucchero, 200 gr. Mandorle, 100 gr. Colla di pesce, 25 gr. Panna montata, ½ l Essenza di mandorle amare, q.b. Pestare le mandorle con una parte dello zucchero aggiungendo un poco di acqua per aiutare le mandorle a ridursi in pasta e per impedire che fuoriesca dell’olio dalla preparazione; quindi aggiungere il latte, bollito con il rimanente zucchero e le essenze di mandorla amara. In ultimo unire delicatamente la colla di pesce messa in precedenza a mollo nell’acqua , quando il composto scende sotto i 20°C unire la panna montata delicatamente. Mettere negli stampini e lasciare un po’ in frigo.
Frittura di Brugnoli Ricotta di pecora, 150 gr. Zucchero, 75 gr. Farina sarda, 50 gr. Acquavite, 1 cucchiaino Uova intere, 25 gr. (n° ½) Tuorli, 10 gr. (n° ½) Scorza di limone, 5 gr. Sale, q.b. Zafferano, q.b. Zucchero semolato, 150 gr. (dopo la cottura) In una terrina amalgamare la ricotta con lo zucchero servendosi di una spatola sino a che il composto non si presenta come una morbida crema, aggiungere i tuorli e le uova intere sbattute, la scorza di limone, l’acquavite e lo zafferano, continuare a lavorare l’impasto sino a che tutti i componenti risultano ben amalgamati, a questo punto incorporare gradualmente la farina. Una volta preparato l’impasto si lascia che questo riposi per circa mezz’ora, poi si procede alla frittura, versando nell’olio caldo, i bombolotti delle dimensioni di una noce, con l’ausilio di un cucchiaio. I brugnoli vanno rivoltati nell’olio affinché cuociano uniformemente e tolti dalla padella una volta che hanno assunto la colorazione rosso-bruno intenso, fatti scolare e spolverati quando sono ancora caldi con lo zucchero.
CHEF SARDI NEL MONDO
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a sua avrebbe potuto essere la storia di un grande sportivo che intraprende sin da giovanissimo una carriera calcistica di successo. Ci tiene a precisarlo, Massimiliano Atzori, che sottolinea con rigore i successi raccolti negli anni in cui ha militato tra le file della prima squadra di Castelsardo come capocannoniere, proprio a rimarcare come la sua vocazione di chef sia riuscita a prevalere sopra ogni cosa. Come tanti ragazzi ha studiato presso l’istituto alberghiero della sua città, Sassari, e proprio qui ha iniziato la lunga carriera nel mondo della ristorazione. Tra le esperienze estive spiccano quelle nella Riviera di Sorso, per poi trasferirsi a Porto Cervo, dove trascorrerà ben dieci anni. Tuttavia la vera svolta avviene quando decide di qualificarsi all’estero e di partire per i Caraibi: dopo quel momento le avventure si susseguiranno senza sosta. Dopo il San Juan Hotel di Puerto Rico riceverà, infatti, la chiamata del Pellegrini Group, dell’ex presidente dell’Inter, per andare a lavorare nel terzo parco divertimenti più grande al mondo, a Il Cairo. Dal Dream Park, dove gestisce ben 22 ristoranti e tutta l’equipe management di cinque italiani, lavorerà al servizio del ministro egiziano e dei suoi ospiti. Sarà poi la volta della Tunisia e, dopo un breve intervallo in Sardegna, anche del Congo, dove il presidente della Repubblica Democratica, Kabila, lo vorrà per deliziare i propri ospiti.
Da capocannoniere
altri successi ai Caraibi e a Mosca INCONTRO CON MASSIMILIANO ATZORI
Rientrato a Porto Cervo c’è un’altra sorpresa ad attendere Max: è qui che, a contatto con le personalità più eminenti della politica e dell’alta finanza mondiale, ha la possibilità di farsi conoscere da un grande magnate russo, che lo inviterà a trasferirsi proprio a Mosca. Nella capitale russa trascorre dieci anni della propria vita, apre ben dieci ristornati di alto livello e conosce grandi autorità dell’alta politica italiana, oltre il presidente russo Putin, il premio Nobel Gorbaciov, e altre note figure mondiali. Gli anni a Mosca sono quelli che lo catapultano in una realtà certo fino a quel momento inimmaginabile: le più famose riviste gli dedicano servizi di primo piano, da JQ a Cosmopolitan a Four Season, Playboy. Dopo dieci anni Max è ora tornato nell’amata Porto Cervo con la moglie e i suoi due figli gemelli. Ha messo su una Country House di lusso e continua ad essere l’executive brand chef director manager per una grossa compagnia russa. Ha, inoltre, avviato un originale servizio di Rent Chef Service, per tutti coloro che desiderano “affittarsi” per un giorno lo chef a casa propria.
ORA, CON IL “PROGETTO LUNGA ESTATE”, SI APRE TUTTO L’ANNO
SARDEGNA ISOLA
DELL’ACCOGLIENZA di Simone Ariu
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n’estate lunga fino a otto mesi? In Sardegna si può. Chiunque abbia vissuto nella nostra isola è abituato a prendersi qualche momento di relax sulla spiaggia anche in quei mesi in cui nel resto d’Italia si fa già - o ancora – sentire la stagione invernale. Trasmettere questa visione delle stagioni anche a chi in Sardegna ci viene solo per qualche giorno all’anno? Si può fare anche questo, e gli ingredienti non mancano di certo. Oltre il clima e il mare cristallino, già tutta l’Europa ci ama e ci riconosce per l’ospitalità, la buona tavola e i nostri luoghi incantati per storia e tradizione. Manca solo un elemento
per la Sardegna. Sono tante le risorse esistenti e inespresse. È difficile convincere le multinazionali a mantenere le attività nel nostro territorio e a non seguire quel decentramento che si sta realizzando, ma c’è una risorsa che non è delocalizzabile che è il nostro patrimonio naturale e culturale . Nei pochi mesi estivi è difficile che questo possa accadere. Lo dimostra il fatto che il turismo ora come ora ricopre appena il 9% del nostro Pil regionale. Per questo motivo dobbiamo intervenire su più fronti e incentivare le imprese con risparmi sul costo del lavoro». Gli incentivi ammonteranno, infatti, a ben 18 milioni di euro, 11 dei quali saranno destinati
ga che si mira, ma anche ad una più alta qualità dell’offerta e dei servizi che sempre più i turisti ricercano. Ben 7 milioni degli incentivi, infatti, comprendono anche un’opera di riqualificazione e aggiornamento, comprendente tutte le materie di specializzazione nel settore, comprese le lingue. In questo modo, più specializzato sarà l’operatore, migliore sarà l’offerta dell’isola, ma soprattutto più semplice sarà anche per lui trovare impiego nei periodi al di fuori della stagione turistica canonica. Questo non significa – ha sottolineato anche Franco Manca, assessore del Lavoro – che le imprese «sono vincolate ad assumere il la-
essenziale: che questi fattori possano esistere ben oltre i tre mesi estivi canonici, la possibilità di trovare alberghi, ristoranti e strutture d’accoglienza in generale aperte anche in quei cosiddetti “mesi spalla” ( aprile, maggio, settembre e – perché no? – ottobre, novembre) per far sì che questa “lunga estate” raggiunga totale realizzazione. Questo è quanto la Regione auspica da lungo tempo, ed è quanto a partire da quest’estate sarà sempre più facile raggiungere. Di destagionalizzazione dell’attività turistica si è sempre sentito parlare, ma da oggi alle parole si sono uniti fatti concreti, che mirano a far sì che l’estate 2010 possa prolungarsi almeno fino ad autunno inoltrato. «Ciò su cui puntiamo – ha detto anche il presidente della Regione Ugo Cappellacci - è la promozione di quell’idea di “isola dell’accoglienza” che fa parte del nuovo modello di sviluppo
all’abbattimento del costo dei dipendenti proprio in quei “mesi spalla”. A poter partecipare al bando saranno soprattutto quelle imprese che a partire da aprile hanno assunto personale a tempo determinato, e che potranno contare, grazie a quest’iniziativa, su 600 euro al mese per ogni dipendente in relazione a ciascuno dei mesi “extra” rispetto a quelli canonici. «Questo provvedimento è uno dei cardini principali della strategia dell’assessorato del Turismo che mira a costruire “l’altra stagione”- ha detto Sebastiano Sannitu, assessore al Turismo - in questo caso incentivando e abbattendo il costo del lavoro. L’obiettivo è avere almeno otto mesi di attività turistica, ma è anche la nostra intenzione arginare il fenomeno del lavoro nero. La sperimentazione sarà portata avanti nel periodo aprile 2010-maggio 2011, con una verifica intermedia a dicembre». Ma non è solo ad una stagione turistica più lun-
voratore per tutto il periodo “di spalla”: possono scegliere i contratti con una durata che varia da uno a cinque mesi. Tuttavia, ciascuna azienda beneficerà di incentivi quantificati a seconda del mese di impiego delle imprese e in tal modo saranno tutelate le piccole imprese. Semplicemente l’assunzione nei mesi di spalla comporta l’impegno delle aziende ad impiegare gli stessi lavoratori nel periodo estivo (giugno-agosto 2010)». Insomma, si figura una nuova prospettiva e un nuovo ruolo per la Sardegna, che in questo modo si farà davvero luogo di accoglienza per tre quarti dell’anno per chiunque ricerchi un approdo caldo e accogliente per godere di una fetta d’estate a poche ore di viaggio da casa.
News
Sardegnatavola
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l Commissario UE verrà in Sardegna
i è mostrato particolarmente sensibile alle questioni relative il comparto agricolo in Sardegna Dacian Ciolos, il commissario all’Agricoltura dell’Unione Europea, che proprio di recente ha incontrato a Taormina l’assessore all’Agricoltura Andrea Prato. È stato soprattutto in occasione della presentazione del volume sulle maggiori tematiche che toccano l’isola – come la multifunzionalità turi-
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onfagricoltura e fonti rinnovabili
na richiesta forte e chiara quella che Confagricoltura rivolge alla Regione «Per non far morire l’Agricoltura in Sardegna è necessario che almeno 500 megawatt di energia provenienti da fonti rinnovabili vengano destinati a questo comparto». Come ha spiegato lo stesso Gigi Picciau, presidente dell’associazione, tra le soluzioni che possono salvare il comparto da qui al 2013 è la multifunzionalità energetica: «Pensiamo che l’utilizzo delle rinnovabili – ha aggiunto Picciau – se destinate al sistema produttivo agricolo e a quello serricolo in particolare, possa contribuire fortemente ad assicurare il futuro del
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comparto isolano. Oggi nell’isola si produce più energia da fonti alternative in misura ben maggiore rispetto a quanta se ne consuma e ala capacità reale di assorbirla».
31 aziende sarde al Cibus di Parma
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a Sardegna ha partecipato con più di 30 aziende agroalimentari che hanno occupato ben due padiglioni espositivi al Cibus di Parma. Il grande evento, che accoglie espositori e visitatori professionali, operatori esteri provenienti da più di cento Paesi, oltre le maggiori aziende agroalimentari italiane, è stata un’ottima vetrina per grandi chef che si sono fatti testimonial delle produzioni d’eccellenza dell’isola. Tra i momenti di scambio e di incontro, rilevanti quelli con studiosi e ricercatori provenienti da varie Università e Centri Studi, insieme a quelli con le testate giornalistiche italiane e estere. «Siamo convinti che la promozione delle nostre produzioni più importanti – ha detto Andrea Prato, assessore all’Agricoltura -, dove è assicurata la massima visibilità e un ritorno economico, sia strategico per le imprese isolane. Parma è una kermesse di valore e il fatto che rispetto agli anni scorsi possiamo contare su uno spazio istituzionale ed espositivo maggiore è la testimonianza che vogliamo investire negli appuntamenti più seguiti dagli operatori».
sapori della Sardegna nei market Lidl
i chiama “Giro tra le specialità italiane” la gustosa iniziativa promossa da Lidl che ogni settimana accompagna i clienti alla scoperta delle specialità nazionali. Dopo le sue tappe in Puglia, Liguria, Sicilia ed Emilia Romagna, questo tour è giunto sino alla nostra isola, pro-
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stica ed energetica – tenuta dall’assessore, che Ciolos ha potuto manifestare la propria condivisione per lo spirito dell’opera, volta ad avvicinare alle problematiche del settore proprio i non addetti ai lavori, affinché possano riconoscere come quello agricolo debba tornare ad essere un settore centrale nell’economia, una questione che deve coinvolgere ogni cittadino europeo. «È positivo – ha commentato Prato – che a Taormina abbia annunciato un sostegno dell’Europa nel pacchetto delle misure anticrisi che prevede diverse azioni per i diversi comparti, tra cui quello lattiero- caseario, sicuramente la filiera tra le più strategiche della nostra economia agricola». Una visita di Ciolos potrebbe costituire il seguito di quel dialogo aperto con Commissione Europea in seguito alla visita dell’altro commissario, Marianne Fischer Boel, avvenuta nel settembre scorso.
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ponendo nei suoi 550 punti vendita italiani il meglio della nostra tradizione gastronomica: Cannonau DOC, Pecorino sardo DOP, sebadas, malloreddus, pardulas e tanto altro. Un’iniziativa con un duplice scopo: quello di puntare sul Made in Italy e far scoprire le spe-
cialità regionali, e quello di proseguire con la filosofia Lidl del low cost- high value”, al fine di garantire un equilibrio perfetto tra qualità e prezzo.
News
natavola
Slow Wine IL VINO E IL TERRITORIO
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i chiama Slow Wine, la nuova guida ai vini italiani di Slow Food svelata al Vinitaly la cui uscita è attesa per il prossimo ottobre. Un modo innovativo di comunicare il vino che scaturisce dagli stimoli provenienti dai numerosi amanti del vino della rete associativa di Slow Food. L’uomo, la vigna e il vino sono le parole chiave di questa guida che contiene importanti novità. Innanzitutto l’importanza centrale che riveste la dimensione locale territoriale e il contatto diretto con i produttori che sarà possibile grazie agli oltre 150 collaboratori della guida che effettueranno 2000 visite sotto il coordinamento dei curatori Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni. In Sardegna sono stati individuati i nuovi responsabili locali che nelle ultime settimane hanno dato avvio ai lavori e che garantiranno il contatto diretto con le aziende.
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arcello Onorato, nuovo direttore dell’ARGEA
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ambio di dirigenza all’interno dell’Argea Sardegna. A prendere il posto di Gianni Ibba, commissario straordinario e già direttore generale dell’agenzia, è stato Marcello Onorato, agronomo oristanese e dirigente di Laore. Come ha sottolineato anche l’assessore dell’Agricoltura Andrea Prato, “Onorato dirigerà una delle strutture regionali più importanti anche perché interessa da vicino un settore, quello dei finanziamenti, strategico per la nostra agricoltura. Obiettivo della nuova dirigenza sarà primariamente velocizzare ulteriormente i pagamenti, continuando l’attività instancabile che il commissario Ibba ha svolto nell’ultimo anno”. L’ormai ex presidente Ibba ha, infatti, aggiunto in merito : “Lascio un’agenzia che in questi anni ha risolto molti problemi, soprattutto sul fronte organizzativo. Abbiamo dato vita ad un nuovo soggetto pagatore in agricoltura e nella pesca e ad un nuovo sistema informatico che ha dovuto gestire complesse normative regionali, nazionali e comunitarie. Gli obiettivi da raggiungere sono ancora tanti, uno tra questi dovrà essere la maggior specializzazione dell’agenzia”.
Dalle visite non scaturiranno punteggi ma giudizi che terranno conto di parametri quali il rapporto qualità-prezzo, l’eccellenza del prodotto e la vicinanza alla filosofia di Slow Food nelle pratiche dell’azienda, ossia l’ecosostenibilità e il legame con il territorio, così come il recupero di vitigni autoctoni o di impianti tradizionali. Alle visite seguirà in secondo momento la fase dell’assaggio che avverrà in maniera tradizionale, alla cieca. L’attenzione viene quindi spostata verso tutto ciò che sta dietro il bicchiere di vino partendo proprio dai produttori e dalle cantine per poter avere un quadro completo sulle modalità e il contesto in cui operano. La guida uscirà anche in inglese e in tedesco, in formato elettronico e le relative applicazioni per smartphone, uno strumento per conoscere il territorio attraverso il vino e il vino attraverso il territorio.
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arley, la birra di Maracalagonis
stata la BB10 della Barley di Maracalagonis ad aggiudicarsi il primo posto al Campionato Italiano Birre Artigianali, concorso organizzato dall’Associazione Degustatori. La Berley è, infatti, una delle nove micro-birrerie che all’interno del progetto voluto dalla Porto Conto Ricerche, ha portato avanti una serie di sperimentazioni e studi sulla durata delle birre crude prodotte nei microbirrifici in Sardegna e che ha potuto approfondire tutta una serie problematiche tecnologiche legate alla produzione artigianale della birra. “Proprio la pluripremiata BB10 è una delle birre che sono state messe “sotto osservazione – ha spiegato Nicola Perra, titolare della Barley - Il lavoro di ricerca sulle nostre birre è servito
a dare delle conferme. Si è trattato di uno studio accurato sulla rifermentazione in bottiglia che non ha precedenti in Italia. La BB10 ha bisogno di un lungo affinamento in bottiglia, esattamente come il vino. Per questo tipo di bevande è auspicabile avere una corretta evoluzione del prodotto in bottiglia, evitando che avvengano dei fenomeni di deterioramento”. Ciò che più risulta interessante è come nei laboratori di Porto Conte Ricerche la scienza sia diventata un partner concreto per le aziende, supporto volto al miglioramento tecnologico e professionale in modo immediato e a costo zero per le imprese stesse.
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Sardegnatavola
Giacomo Tachis RICEVE IL “PREMIO LA MARMORA”
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stituito nel 1977 dai Rotary Club di Cagliari, il Premio La Marmora viene consegnato ogni due anni ad un non sardo che nel campo dell’arte, della cultura, dell’economia, della scienza abbia dato un contributo alla valorizzazione o al progresso della Sardegna. Dopo il premio a Piero Bartoloni per la ricerca archeologica, dopo quello alla Rockfeller Foundation e alle Forze aeree tedesche della base Nato di Decimomannu, quest’anno il premio è andato invece ad un enologo toscano di fama mondiale, Giacomo Bachis. Nell’isola è conosciuto come colui che ha reso celebri i nostri vini nel mondo, colui che ci ha resi consapevoli dell’enorme tesoro che possediamo a livello enologico.E non poteva essere altrimenti visto l’amore a prima vista che sin dagli Sessanta lo ha legato alla nostra terra. Come ha sottolineato Angelo Aru, docente di Geologia, Bachis «si è subito reso conto del rapporto esistente tra il paesaggio e la qualità
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e ricerche sul cibo di Anna Zanon
imagrire è questione di cuore, non di pancia. Questo è il messaggio forte e chiaro di Stephan Clarget, una nota psicologa francese che, nelle sue recenti pubblicazioni, abbatte il mito degli inguaribili golosoni o delle naturali inclinazioni al cibo, inscritte nel nostro dna. Le nostre scelte – stando a quanto da lei affermato - anche in materia di palato, vengono dalla nostra storia, dalle nostre angosce e dalle nostre gioie. Ad approfondire la ricerca in Italia è stata la dottoressa Anna Zanon, rinomata psicoterapeuta nella ricerca sui nuovi sintomi e sulle nuove patologie della società contemporanea, dalla depressione alla bulimia e anoressia. Come ha affermato anche nella recente intervista rilasciata per Tu Style, non è certo una novità che in molti casi sia la psiche a sovvertire l’anatomia e fisiologia, e quando si parla di cibo le cose non funzionano diversamente.
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dei prodotti perché l’uva e il vino sono figli del sole e dei colori della terra in cui nascono». A lui va, infatti, il merito di aver riconosciuto e sfruttato al massimo del loro potenziale la vitivinicultura prima a Santadi, con il Terre Brune, il Cala Silente, Petraia, Latinia, poi nella Cantina Argiolas col Turriga, Perdera, Costera, Is Argiolas, Angialis. In assenza dello stesso Tachis al momento della consegna del premio, è stato il presidente della Cantina di Santadi, Antonello Pilloni, a ripercorrere la sua storia e a illustrarne le sue virtù di maestro, in quanto “guida fondamentale” per gli stessi Piero Cella e Mariano Murru della Cantina Argiolas ai quali, la lezione forse più preziosa che abbia lasciato, è che «l’enologo non è un alchimista, ma un conoscitore della natura» e in quanto tale deve conoscere a fondo e valorizzare quelle risorse primarie e quell’ambiente da cui i preziosi prodotti enologici hanno origine.
Il cibo diventa in molti casi un suppletivo di una carenza affettiva, o l’atto stesso del mangiare simbolo di atti repressi: il mandar giù diviene emblema di quel che non riesce a tirar fuori e il mangiar tanto una forma di cannibalismo, di bisogno di accrescimento sotto ogni punto di vista. Ciò che sorprende è come, però, oltre i ben noti sensi di colpa e bisogno di dieta, in alcuni casi l’acquisizione di peso divenga anche una ricerca inconscia, dettata dal bisogno di raggiungere una visibilità almeno in termini materiali per chi, nel mondo che lo circonda, sente di non avere peso alcuno. È semplice davanti a queste considerazioni comprendere anche come mai, allora, se si arriva a una radice emotiva, diete e tabelle di marcia di sorta non siano quasi mai veramente efficaci per perdere peso: se il cibo è un suppletivo di una carenza, chi è il masochista che
ha voglia di imporsi ulteriori “castighi” in un momento di difficoltà e che desidera imporsi nuove dolorose rinunce? Allora stop alle diete, sembra la morale di questa nuova ricerca. E stop all’uso del cibo come mezzo di compensazione. Cerchiamo di conoscere noi stessi e di risalire alla causa, facendo sì che un pranzo, uno spuntino e uno snack ricomincino a rispondere solo allo stomaco e non a vuoti di altra natura, che quasi sempre vanno a creare pericolose spirali.
ivere la campagna La Provincia del Medio Campidano è impegnata a difendere e valorizzare le biodiversità del territorio al fine di tutelare l’identità locale e la salubrità del territorio. Il progetto “Vivere la Campagna”, coinvolge 750 agricoltori per una superficie coltivata di 2000 ettari. L’obbiettivo è quello di valorizzare il “prodotto del territorio”, investendo sulle diverse potenzialità di sviluppo. I piani di valorizzazione prevedono interventi finanziari diretti che ,seppur piccoli, possono mantenere in attivo le microimprese del territorio. I bandi hanno riguardato prodotti come gli asparagi, lo zafferano, il suino a razza sarda e il miele, capaci di potenziare la tradizionale cultura agroalimentare sarda.
Provincia del MEDIOCAMPIDANO
di Sardegna Ciliegia è femmina Le Ciliegie, sono il simbolo della femminilità, e in effetti alle donne sono molto utili, per combattere le rughe e la vecchiaia. Merito delle antocianidine, molecole idrosolubili che giocano un ruolo di rilievo nell’attività antiossidante e che si ritiene siano in grado di proteggere dai radicali liberi responsabili dell’invecchiamento precoce delle cellule. E come se non bastasse sono ricche di vitamine A e C e di sali minerali, il tutto per il piacere delle donne, in pochissime calorie: 100 grammi denocciolati ne contengono infatti solo 38. Famose quelle di Burcei, prelibate dolci e dissetanti.
Fatti in Sardegna La Sardegna alla conquista del mondo, gastronomico s’intende, armata di pecorino, olio e tutti i prodotti della nostra terra. Il Pecorino sardo, l’olio ma anche il pane carasau e la pasta, partono alla volta della Finlandia e conquistano il mercato scandinavo. Un passo importante per l’economia agroalimentare sarda, i cui prodotti sono presenti in 120 punti vendita dello Kesko (la principale catena del paese).«Oggi più che in passato c’è l’esigenza di creare Pil agricolo e di aggregare l’offerta per arrivare in mercati nuovi e dove c’è molta richiesta di alimenti di qualità, e soprattutto, buoni», ha detto Andrea Prato, assessore Agricoltura della Regione. New York, la nuova frontiera per il Pecorino Romano Dop, qui Toto Meloni, presidente del Consorzio Latte di Macomer, ha inaugurato un’imponente campagna di promozione negli Stati Uniti del formaggio a pasta dura prodotto per il 98% in Sardegna. Un investimento di oltre un milione di euro, in una robusta azione di marketing spalmata per tutto il 2010, format televisivi, un sito internet e degustazioni in famosi ristoranti e wine bar degli Stati Uniti: ecco le iniziative previste
per scongiurare la crisi. E alle Olimpiadi Invernali di Vancouver, cosa si è usato per brindare alla vittoria? Semplice:il Vermentino gallurese. Una delle eccellenze enogastronomiche che sono state proposte a tutti gli ospiti presenti nel salotto della squadra azzurra, abbinato ai piatti tipici dell’isola. Il sole e l’aria delle vigne galluresi, producono da sempre un vino dal profumo inebriante, che ha saputo conquistare anche il Canada, quinto mercato estero per i vini italiani, con un giro di affari di 85 milioni di euro. Gli antichi segreti per l’essicazione e la lavorazione della bottarga, alimento sardo dal gusto inconfondibile, hanno varcato le sponde del mar Mediterraneo, per arrivare all’oceano Atlantico. In Senegal, per la precisione nell’isola di Saint Louis, grazie ad un progetto di cooperazione internazionale, una cooperativa di pescatori sta imparando i segreti della produzione dell’oro del mare per poter avviare una produzione autonoma. Anche in Senegal tra poco, potranno assaporare “due spaghetti alla bottarga”.
Arance: il primato in Sardegna Tonde, succose e saporite le Arance contengono vitamina E e C, entrambe anti età, possono combattere efficacemente l’invecchiamento anche perché ricchi di sostanze antiossidanti con un elevato indice Orac. Lo sanno bene a Muravera, che da sempre detiene il primato sardo degli agrumi di qualità: la sagra dedicata a questo frutto, diventa l’occasione per sperimentare gli effetti benefici di questo frutto.
Il cappero selargino Le Ciliegie, sono il simbolo della femminilità, e in effetti alle donne sono molto utili, per combattere le rughe e la vecchiaia. Merito delle antocianidine, molecole idrosolubili che giocano un ruolo di rilievo nell’attività antiossidante e che si ritiene siano in grado di proteggere dai radicali liberi responsabili dell’invecchiamento precoce delle cellule. E come se
L’Olio d’oliva (crudo) è il principale condimento della dieta mediterranea, ed in Sardegna la sua qualità è indiscussa. Perché da noi, la cura, l’aria, la terra, l’attenzione particolare per i dettagli gli conferisce un sapore unico. Ricco di acido oleico, prezioso a livello cardiovascolare per la sua capacità di ridurre il colesterolo totale e innalzare l’Hdl. Inoltre contiene antiossidanti che contrastano l’invecchiamento cellulare. Rigorosamente crudo ed extravergine, è un vero toccasana: un filo d’olio regala alle vostre ricette il sapore della nostra terra.
Olio d’oliva
antiossidante
aglio
che passione È famosa l’azione disinfettante sull’intestino, ma pochi sanno che l’Aglio abbassa la pressione, è un antisettico delle vie aeree ed è utile nei casi di torcicollo e reumatismi. Infine contiene sostanze fitochimiche biologicamente attive con funzioni protettive di tipo antitumorale. Un condimento perfetto per i nostri piatti, cotto e in modica quantità può essere consumato anche tutti i giorni. Sardegnatavola consiglia la pasta ”aglio, olio e peperoncino”o delle classiche bruschette “aglio e pomodoro” ,piatti saporiti e veloci da preparare.
non bastasse sono ricche di vitamine A e C e di sali minerali, il tutto per il piacere delle donne, in pochissime calorie: 100 grammi denocciolati ne contengono infatti solo 38. Famose quelle di Burcei, prelibate dolci e dissetanti.
Miele oro giallo Il miele, l’oro giallo degli apicoltori sardi presenta proprietà antibatteriche forti. Dolce e zuccheroso, ma con un aroma meno intenso e più fine, il miele alla lavanda selvatica, pruzione tipica della Sardegna contiene proprietà analgesiche, antispasmodiche, antireumatico, battericida, antisettico, digestivo, diuretico, calma le bruciature e le punture di insetti.
Su Casu Il Formaggio, invece contiene vitamine del gruppo B, calcio(prezioso per le ossa), fosforo, proteine di elevato valore biologico. “Su Casu”, come siamo abituati a sentirlo nominare, nella nostra isola, di capra o il pecorino sardo, sono compagni fedeli dei nostri pasti: alimento di qualità ceh può essere gustato anche a fine pasto, come dolce. Le formaggelle e le sabadas, sono esempi di dolci sardi in cui il formaggio diventa protagonista principale della ricetta.
Sardine per il cuore Il più classico dei pesci azzurri, la Sardina, cult delle tavole nostrane, contiene grassi simili a quelli vegetali, caratterizzati da omega 3, importanti per lo sviluppo celebrale e protettori del cuore e delle arterie. Come tutti i pesci, inoltre, la sardina contiene vitamine (E e B) e minerali (selenio, fosforo, fluoro e iodio). Sott’olio, al naturale o cucinate, mangiatene in abbondanza, perché fra le loro mille virtù hanno anche quella di essere ipocalorica.
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MISSIONE: VALORIZZARE LA BUONA TAVOLA CON PIÙ PRODOTTI SARDI
S
i sente spesso parlare dell’esigenza di una maggior valorizzazione della cucina e dei prodotti tipici sardi, ma difficilmente si trovano personalità che su questo scopo investono la propria attività e la propria conoscenza. Paolo Milani - oggi presidente dell’Associazione Chef di Sardegna oltre che Supervisor e consulente nel settore del catering - ci racconta come da questa mission sia nata l’Associazione di cui oggi è a capo, e come la sua esperienza di questi anni lo abbia condotto alla filosofia che fa della cucina mediterranea il centro delle sue
sperimentazioni. «L’Associazione Chef di Sardegna nasce da un’attenta analisi dei problemi della globalizzazione e dalla necessità di fare promozione dei nostri prodotti locali per creare richiamo, reddito e sistema di consorzio. Da questi studi la nostra attenzione si è focalizzata su un gruppo di esperti chef che già da ora si occupano delle problematiche territoriali e culturali inerenti alla gastronomia isolana con ampio raccordo al Mediterraneo». Un’associazione che si rifà a tutto il panorama anche storico e culturale oltre
che gastronomico. «Sì, la definirei un’Associazione Culturale e Professionale che tende a presentarsi per l’Innovazione nell’Innovazione, per dare lustro a cultura, archeologia ed enogastronomia. Forse come prima ricerchiamo gli antichi sapori che diventano preziosità ed arte nell’ingegno degli chef. Al contempo vogliamo presentare un quadro quanto mai eterogeneo di una Sardegna in rinnovamento che sappia far riscoprire il valore simbolico degli alimenti, quale fonte primaria di vita e di sostentamento, e portatore di una intrinseca capacità di introdurci nel collettivo e
GLI CHEF DI SARDEGNA
dopo il forte e il giro del mondo INCONTRO CON PAOLO MILANI
nel sociale legato al ciclo della terra». Quando e come è nata quest’iniziativa? «In forma ufficiale è nata a Cagliari sul finire del 2008, da una ventina di prestigiosi chef sardi che si sono posti come primo obiettivo quello di istituire un albo professionale in conformità con le disposizioni dell’Unione Europea. Si tratta di un’organizzazione apartitica che non si pone fini di lucro, ma che vuole porsi come interlocutore privilegiato con enti pubblici e privati nel portare avanti tutte le iniziative necessarie alla valorizzazione culturale della nostra gastronomia con richiamo alle diverse espressioni
presenti nell’isola e nel Mediterraneo. Oggi gli stessi chef mirano a diffondere il Modello Sardo dove si intrecciano intelligenza e gusto, che diventerà innovazione e richiamo per l’utente critico di un certo turismo culturale. Perciò non solo cucina, ma cultura della cucina volta a far conoscere la Sardegna nel mondo». Facciamo un passo indietro, e ripercorriamo la strada che l’ha condotta alla presidenza di un’associazione di questo spessore. Lei non è sardo, eppure sembra conoscere la cultura isolana come fosse sua. «È vero, ma nonostante sia di origine veneta ho ricevuto tanto da quest’isola. Ho imparato molto attraverso il contatto con questa terra ricca di differenze, ricca di influenze storiche diverse, ma tutte molto presenti nelle tradizioni di questa regione. Per trent’anni sono stato executive chef al Forte Village, quando il Forte era uno dei resort più famosi al mondo, e sono stati anni in cui sono cresciuto molto. È da qui che sono riuscito ad affinare la mia filosofia basata su una cultura di cucina mediterranea con una continua ricerca di innovazione, ma con un fermo riferimento ai prodotti tipici della tradizione regionale». Prima del Forte quali sono state le tappe percorse? Potrebbe essere uno slogan di incoraggiamento per tanti giovani ambiziosi la formula “da aiuto cuoco in trattoria a chef executive al Forte Village”. «Sì, in effetti è vero che ho iniziato così. Finita la scuola, entrai nella trattoria del paesino dove sono nato, Grisignano, per dare una mano ai fornelli. La passione mi folgorò in pochi giorni: guardavo il cuoco, lo osservavo mentre sgobbava nella cucina e quel movimento mi affascinava, mi rapiva. Decisi così di iscrivermi alla Scuola Alberghiera di Abano Terme. Il diploma di cuoco è stato solo il punto di partenza. Da quel momento ho volato da una parte all’altra dell’Europa,sempre in cerca di una lavoro più prestigioso: da Villa d’Este a Saint Moritz, dall’Hilton di Londra ai megalberghi di Montecarlo.Fino ad arrivare alla Sardegna. Prima è arrivato il Grand Hotel Capo Boi, poi
dall’’84 al Forte Village di Santa Margherita di Pula». Oggi invece si dedica alla consulenza per gli imprenditori che si buttano nel turismo. Qual è la prima lezione che insegna? «Studio l’aspetto della ristorazione legato al tipo di investimento. Per capirci: non puoi metter su un grande albergo e dimenticarti dei ristoranti. Non basta uno, bisogna farne tanti e tutti diversi perché alla gente piace andare a cena fuori ma deve essere invogliata a farlo. Sono cambiati i tempi anche in Sardegna. Oggi si va in ristorante per stare tutti insieme, è finita l’epoca delle grandi abbuffate, il che non significa dire addio al porchetto, ma privilegiare i pranzi dove puoi fare piccoli assaggi di tante pietanze. Musica non troppo alta che ti permette di chiacchierare, tanti piatti leggeri di verdure e pesce. E poi, d’estate, qualche bicchiere di vino bianco, un sorso di mirto. Insomma, non si usa più uscire per mangiare. La cena è solo un pretesto per trascorrere una serata in compagnia e la cucina deve assecondare queste esigenze». La sua esperienza all’estero ed insieme il contatto con una clientela tanto eterogenea, l’ha portata a conoscere anche quali sono i nostri prodotti tipici più apprezzati. In base a quali criteri avveniva l’elaborazione dei suoi menu? «Innanzitutto, di solito, insieme ai colleghi si procedeva ad uno studio del luogo in cui si andava ad operare. Si riusciva quindi a calibrare i piatti secondo le esigenze e le abitudini della clientela, in modo da rendere più piacevole possibile la scoperta di diverse culture gastronomiche. Ad esempio nei paesi nordici ho riscontrato una certa difficoltà nell’inserire la bottarga, il “caviale sardo”, del tutto sconosciuta in quei paesi e che difficilmente sarebbe stata apprezzata come lo è dalle nostre parti. Inutile dire che in questo compito siamo sempre stati avvantaggiati dall’enorme diffusione e dal grande credito di cui gode la cucina mediterranea in ogni parte del mondo. Ovunque ci siamo recati, i nostri sapori sono conosciuti ed apprezzati e ci hanno permesso una certa libertà nella creazione».
Claudia Cao
I
l «casu furriàdu» è un cibo a base di formaggio in prevalenza pecorino, tipico del mondo agro-pastorale, esclusivamente nulese, a quanto risulta, le cui origini affondano nella notte dei tempi. Alla base c’è il formaggio fresco di 3-5 giorni, non salato e lasciato inacidire, (“imbischidàre”). Viene quindi tagliato a fette sottili o anche a pezzettoni e versato nel fondo di un grosso paiolo di rame ben pulito, “su labiòlu” (la ricetta non funziona o non dà buon risultato con recipienti di altro materiale). Si aggiungono quindi tre mestoli di acqua e un poco di sale. Il paiolo viene collocato sul fuoco (oggi è più pratico il fornellone a gas) e con un bastone di legno duro, stagionato – più comunemente di olivastro, “ozzastru” – si pesta il formaggio durante la cottura. Quando la pasta del formaggio si è bene amalgamata, si versa nello stesso paiolo una scodella di semola di grano duro e si continua a girare e rigirare il tutto col predetto bastone, finché non si forma l’amalgama di una pasta molliccia e filamentosa. L’operazione ha termine quando compare abbondante l’olio o grasso del formaggio (“su ozzu casu”). Dall’azione del rimestare, “furriàre”, la pasta del formaggio con la semola fino ad ottenere il prodotto finito, deriva il nome di «su casu furriàdu». L’origine della festa nulese di Sant’Antonio di Padova risale al secolo XIX, all’Ottocento, ed è legata ad una promessa-voto del nulese Manca Formiga Antonio, classe 1828, bisnonno dell’attuale erede Mariangela
Manca che continua la tradizione di famiglia. Quel Manca Formiga Antonio era uno dei 15.000 sardo-piemontesi inviati dal noto Camillo Benso Conte di Cavour a combattere nella penisola di Crimea, nel Mar Nero, contro i russi (“sa gherra ‘e Crimea”). Il contingente sardo-piemontese, al comando del Generale Alfonso Ferrero di Lamàrmora, si distinse in varie occasioni specialmente nella battaglia della Cernaia dove furono determinanti per la vittoria sui Russi (16 agosto 1855). Mentre infuriava la battaglia, un ufficiale, sotto cui militava il Manca, non faceva che sfogare la sua rabbia e la paura bestemmiando. Il Manca, invece, invitava l’ufficiale a non bestemmiare, invocando a sua volta Sant’Antonio, di cui era devoto e del quale portava il nome, dicendo: «Sant’Antonio mio, se ritorno a casa sano e salvo, farò su casu furriadu chin su bussiottu (la spianata) per tutti i ragazzi del paese, finché dura la generazione…” Alla fine dell’anno il soldato Manca poté tornare a casa sano e salvo e si affrettò a mantenere la promessa, che, anzi, in breve tempo, trasformò in un “legato” sottoscritto dalle autorità ecclesiastiche. Uno dei figli prese poi in mano la tradizione, finché visse poi l’impegno passò quindi ai figli e da allora e fino al 1988 ci pensò la sorella Battistina. Da questa la responsabilità passò all’unica figlia Antoniangela, attuale obriera, “oberaza”, responsabile vivente del voto e della tradizione. Occorre ricordare un altro dato: fin verso la metà dell’Ottocento, l’uso
SU CASU FURR UNA TRADIZIONE NULESE LEGATA ALLA FESTA DI SANT’ANTONIO DA PADOVA
del “casu furriàdu” era legato alla festa di San Giovanni Battista, celebrata il 24 giugno. Dopo l’iniziativa del Manca, per qualche anno le due tradizioni riuscirono a convivere; per cui le persone impegnate per la festa di Sant’Antonio si spostavano poi alla chiesa di San Giovanni. Poi, ad un certo punto – ma non si è in grado di precisare quando – il “casu furriàdu” di San Giovanni non si fece più, mentre rimase, per continuare fino ad oggi, quello di Sant’Antonio. La realizzazione della festa prende l’avvio alla lontana: la programmazione comincia nella seconda metà di maggio; ma il lavoro vero e proprio prende il via al primo di giugno. Tutto è reso possibile dal contributo generoso della popolazione e con la collaborazione di un nutrito gruppo di volontari, donne e uomini, giovani e adulti, che lavorano per la preparazione del pane e del “casu furriàdu”, per la macellazione delle pecore offerte dai pastori (ma anche lo stesso formaggio fresco è offerto dalle famiglie dei pastori), per la distribuzione di pane, carne e, naturalmente, del “casu furriàdu” a tutte le famiglie del paese. Durante i 13 giorni di giugno, i collaboratori, mentre lavorano, cantano, pregano e si mantengono allegri; mentre qualche giovane spera che l’occasione sia propizia per trovare “un buon partito” poiché, come si dice «Santu Antoni est cozzuadore”, Sant’Antonio favorisce i matrimoni.
RIADU
INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
W la cam I GAL RILANCIANO L’AGRICOLTURA Migliorare la qualità della vita nelle zone rurali e diversificare l’economia in campagna, questi sono gli obbiettivi della Regione Sardegna, perché la nascita di nuove imprese agricole, agriturismi, servizi ambientali, e aziende abilitate alla vendita di prodotti significa creare occupazione, garantire un reddito adeguato a chi lavora in questo settore e bloccare lo spopolamento del comporta agricolo. Ma per le grandi imprese, un uomo solo no basta, anche se quell’uomo è la Regione Sardegna, per le grandi imprese bisogna unirsi: lo fecero agli albori della civiltà attorno al Tigri e l’Eufrate, quando fu l’agricoltura il motivo aggregante tra i popoli, e sono stati sempre il lavoro dei campi e l’allevamento a far nascere le prime associazioni rappresentative. Anche oggi l’unione del mondo agricolo,
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di una rappresentatività regionale qualificata e reattiva alle esigenze del mondo rurale, può rappresentare un punto di svolta: i Gal, ovvero gruppi di azione locale, sono la risposta. Tredici ,in tutta la Sardegna, tra quelli del Sulcis, Terre Shardana, Anglona, Nuorese Baronia, Marghine, Logudoro-Goceano, Gallura, Sarcidano, Barbagia Mandrolisai Gennargentu Supramonte, Sarrabus-Gerrei-Trexenta, Ogliastra, Marmilla, Linas Campidano, i Gal che andranno a ricoprire una funzione fondamentale per l’intera isola. Costituiti da operatori pubblici e privati degli ambienti socioeconomici del territorio, da operatori di categoria, imprese locali, organizzazioni professionali agricole, sindacati, volontariato e settore non-profit, associazioni sportive o culturali, hanno l’unico scopo di elaborare ed attivare i piani
di sviluppo locali(Psl). Fondamentale anche il supporto dell’assessorato all’Agricoltura, che manterrà con loro un’interlocuzione costante e privilegiata, aiutandoli ad assegnare le priorità, garantendo il coordinamento tra le parti e promuovendo un continuo dibattito, fattore di crescita e miglioramento. In un momento di seria crisi del comparto primario, i Gal possono essere una soluzione capace di salvaguardare una tradizione millenaria come quella dell’agricoltura: diversificazione delle aziende agricole con l’inserimento di attività imprenditoriali integrative, come la pulizia delle strade rurali e la crescita degli agriturismi, straordinari veicoli di promozione turistica ed enogastronomica, possono essere le soluzioni.
mpagna Per un’agricoltura più bio ed un mondo più equo L’agricoltura biologica cresce, registrando un +7,4% e nonostante la crisi, anche l’acquisto domestico dei prodotti agricoli biologici riporta un incremento del valore di 6,9%: a dare la bella notizia è l’AIAB, Associazione Italiana Agricoltura Biologica. «Quest’aumento», dice Giuliana Nivoli,presidente AIAB Sardegna,«denota una crescente attenzione dei consumatori alla qualità dei prodotti acquistati e alla salute. I prodotti biologici certificati garantiscono qualità, freschezza e rispetto dell’ambiente». AIAB Sardegna, lavora per sensibilizzare consumatori e produttori ad investire nel biologico, attraverso un calendario di incontri territoriali e predisponendo delle attività di formazione per i consumatori al fine di guidarli nel riconoscimento dei prodotti biologici. La campagna associativa 2010, non a caso, recita “Per un’agricoltura più bio ed un mondo più equo”, perché scegliere prodotti bio significa mostrare una particolare attenzione alle risorse umane impiegate e alle filiere delle aziende produttrici. Parola di AIAB.
ZIO MARCUCCIO ACHENZA
PER LE AZIENDE COLPITE DA CALAMITÀ «Si tratta di un’importante boccata d’ossigeno per numerose aziende agricole piegate da calamità varie», così apre la discussione Andrea Prato, assessore all’agricoltura, sui nuovi finanziamenti messi a disposizione dalla Regione per indennizzare le aziende danneggiate da diverse calamità naturali avvenute tra il 2004 e 2007. La cifra ammonta ad oltre 6 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi ai quindicimila euro già autorizzati in precedenza. «Per quanto riguarda gli indennizzi, stiamo recuperando i ritardi», precisa Prato, «Bisogna comunque prendere coscienza che adesso contro le calamità naturali, l’unica soluzione così come prescritto dalle norme statuarie e comunitarie, e il Piano assicurativo per il quale anche nella Finanziaria 2010 ci sono ingenti risorse».
«È una parte molto complicata, hai ragione..vuol dire che la farai tu!», con queste parole Zio Marcuccio ingaggia Giuseppe Sotgiu come protagonista del suo copione con la copertina violacea: Lu Graminatuggiu (Il Carminatoio), ovvero la cerimonia della cardatura della lana. E a Zio Marcù non si poteva dire di no, a lui spettava sempre l’ultima parola. Osservatore acuto e profondo e cultore delle avite costumanze. Giuseppe Sotgiu come protagonista, dunque, e glia amici del Coro Gabriel della Accademia Gabriel a istruire, con pazienza e dedizione, tutti gli altri personaggi che dovevano cantare e recitare. La prima? Un successone. Un successo al “Teatro Tenda”, ripetuto anche alla “Casa del Fanciullo”. Così Zio Marcuccio iniziò la sua carriere da commediografo, e dopo il primo successo decise di continuare, «appena possibile ci mettiamo mano e vedrai che sarà un successo», ma il destino aveva deciso diversamente. Grazie a lui Tempio, ha avuto il suo bravo commediografo, forse ancora dilettante, ma capace regalare sorrisi e speranze all’indomani della guerra. Ricordi di Giuseppe Sotgiu «Affettuosamente ti saluto, onorato della vostra amicizia e di essere stato un vostro allievo».
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W la cam LA PRIMAVERA BIO
Acquistare biologico a chilometro zero! Questa la scommessa che Aiab ( Associazione italiana per l’Agricoltura Biologica) sta portando avanti per fare conoscere meglio il territorio. L’ultima proposta? La Primavera Bio. Dove? Ad Alghero. Un’occasione per coinvolgere i consumatori della filiera produttiva, ma soprattutto per imparare a riconoscere le differenze nei prodotti che si vanno ad acquistare, riavvicinandosi alle aziende e alla natura. La cena bio, al ristorante movida di Alghero, si è aperta con un bioaperitivo, seguito da antipasto, primo, secondo, contorno e dolce: tutto rigorosamente bio! Ma questa non è stata l’unica occasione per entrare in contatto con il mondo del biologico ed imparare ad apprezzare i suoi prodotti, anche Sassari , con le sue Piazze del Bio, ha promosso
l’incontro tra il mondo agricolo, i consumatori e le istituzioni. Venticinque aziende, olio, formaggi, ortofrutta, miele e vino e Piazza Italia( a Sassari) si colora di Bio.UN’iniziativa importante e strategica se si pensa che in Sardegna i produttori biologici sono circa 1.300 e gli ettari destinati a questa coltivazione sono circa 60 mila. Particolarmente incuriositi i bambini e i ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori, che hanno rappresentato il biologico attraverso disegni, fotografie, temi, poesie e cartelloni realizzati in classe ed esposti nello stand istituzionale della Sardegna. «Quest’ano abbiamo deciso di privilegiare Sassari per valorizzare anche le aziende del Nord Sardegna, che in gran numero operano in un comparto che consideriamo strategico. Da tempo non si vedeva Piazza Italia così colorata e ricca di prodotti agroalimentari della nostra terra», ha sottolineato Andrea Prato, assessore regionale all’Agricoltura.
Debiti in agricoltura, la Regione contro la crisi Andrea Prato, assessore regionale all’Agricoltura, interviene propone una risoluzione all’emergenza legata alla legge 44(fondo regionale di garanzia per l’agricoltura): «Periodicamente arrivano richieste per aiutare l’agricoltura, con norme che violano i regolamenti dell’Unione Europea e che dovrebbero dar nuova vita a una nuova legge 44, che la Sardegna e il comparto non possono non possono più permettersi. E soprattutto, l’isola non può più permettersi una Giunta “cicala” che oggi regala soldi agli agricoltori e poi li richiede al triplo del valore». Trovato il problema, fatta la soluzione, o almeno, una possibile soluzione: la Regione, infatti, sta portando avanti la piattaforma di “novazione” studiata d’intesa con le banche e con Ismea. Attualmente si stanno trattando circa venti casi, alcuni dei quali sono già arrivati ad una soluzione definitiva. Ma le richieste per usufruire di questo strumento crescono: «È positivo che gli imprenditori comincino a capire l’importanza della piattaforma, anche perché, ad oggi questo è l’unica strada praticabile per uscire da una situazione disgraziata. Stiamo inoltre definendo un accordo con Abi, abche se si registra la difficoltà delle imprese a sostenere costi peritali e istruttori che frenano i tempi deliberativi. Per ovviare al problema si pensa a finanziare a breve un contributo per alleggerire il costo della novazione. Infine ci stiamo attivando anche a livello nazionale per far sì che questa emergenza sia nota anche al neoministro Galan». Il rilancio delle imprese agricole come soluzione alla crisi del comparto: questa la strada della Regione Sardegna..
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mpagna Piano Cerealicolo La Sardegna un esempio da seguire per tutte le regioni a vocazione agricola. Questo è quanto è emerso dalla riunione presso Casa Ruda degli stati maggiori e di tutti gli attori della filiera per presentare ufficialmente il Piano cementiero regionale e il marchio “Semenadura”, che contraddistingue le produzioni di malloreddus e di pane carasau e di varietà locali di frumento duro. Il Piano, nato dalla collaborazione tra l’assessorato all’Agricoltura e le agenzie Laore e Agris, che si pone come obiettivo una migliore remunerazione degli interessati, è stato ampiamente apprezzato Giovanni Di Genova, del Ministero delle Politiche agricole, al punto da essere proposto come modello per le altre regioni italiane. “Oggi più che mai – ha sostenuto Di Genova
– è necessaria una maggiore organizzazione nel comparto, che poi è l’unica arma a disposizione affinché la qualità sia ripagata adeguatamente. La Sardegna, con i progetti presentati oggi, è un esempio virtuoso che va seguito”. È intervenuto nella presentazione anche il presidente della Quinta commissione Agricoltura del Consiglio regionale, che ha ricordato l’impegno dell’organismo consiliare e i punti chiave della legge 1/2010 che vuole ridare dignità al settore agricolo nel rilancio dell’economia isolana. A concludere la giornata, la premiazione dei produttori di sementi certificate di grano duro organizzata da Laore e l’Ense.
LA SARDEGNA IN FIORE
Semendadura
A primavera si sa, tutto fiorisce a nuova vita: piante, fiori e foglie salutano il tiepido sole. Quest’anno Sassari ha deciso di aiutare questo processo naturale con la manifestazione “Sassari … in fiore”, che ha consentito alle principali piazze e vie del centro di essere arricchite di decorazioni floreali e aiuole con le essenze della macchia mediterranea curate da florovivaisti del territorio. All’inaugurazione Gavino Sini, presidente della Confcommercio Sassari e Andrea Prato, assessore regionale all’Agricoltura. «Un centro storico ricco di fiori e di giardini è più bello e rende la città più vitale e attraente. Come Regione valuteremo la possibilità di finanziare un servizio di vigilanza per mantenere permanenti le installazioni floreali oltre la durata dell’iniziativa di questi giorni», ha commentato Andrea Prato.
IL MIELE DI ORISTANO Il miele di Oristano sbarca in Spagna e conquista i palati spagnoli. Grazie ad un’iniziativa dell’Apapo (associazione produttori apistici della Provincia di Oristano) anche il miele oristanese ha partecipato alla Fiera apicola della Spagna portando a casa ottimi risultati: uno stand diretto da Alberto Scartabelli e Antonello Pischedda ha permesso ad oltre 200 persone di degustare e apprezzare l’amplissima e rara gamma di mieli oristanesi. Al segretario dell’associazione, Manias, il compito della degustazione guidata per giornalisti e gourmands, cui ha proposto anche l’abbinamento dei mieli con
alcuni pani tradizionali, come lo zicchi e il carasau, e con due formaggi, come la provola vaccina e un pecorino. Sono state affrontate in quest’occasione anche le tematiche e le sperimentazioni per la tutela della salute degli alveari, con particolare riferimento al problema della varroa, l’acaro che causa la morte dell’alveare: Manias ha, infatti, illustrato come la claustrazione dell’ape regina possa essere la decisiva tecnica di contenimento della varroa, portando quella che lui stesso ha definito una novità assoluta per gli apiocoltori spagnoli.
Nasce Semenadura, il nuovo marchio voluto dal progetto pilota ideato dall’assessorato all’Agricoltura e recentemente presentato da Andrea Prato. Due le finalità del progetto: la tutela dei prodotti cerealicoli e il rilancio dell’intero comparto. Grazie al Piano, infatti, sarà possibile far pagare il grano di qualità ad un prezzo equo, ma soprattutto garantire agli agricoltori la vendita dell’intera produzione. Di quattro aziende agriolae verrà acquistato il grano a 25 euro il quintale dal Mulino Fratelli Brundu di Macomer, mentre tre saranno le aziende di trasformazione che produrranno pane carasau e malloreddus (la Casa del grano di Elmas, il Vecchio forno di Fonni e la cooperativa S’ispiga di Lei). in questo modo sarà possibile anche arginare un fenomeno come quello della produzione di carasu con grano straniero, e «garantendo un prezzo equo non sarà più necessario comprarlo altrove» sottolinea Prato. Il carasau e i malloreddus del marchio Semendura sono ottenuti dalle tre principali varietà di grano sardo, Iride, Karalis e Saragolla. Una produzione proveniente da circa 70 mila ettari coltivati, rispetto agli appena 29 dell’anno precedente. Diverse le occasioni in cui questi prodotti verranno promossi: ne offrono un esempio il “Cibus” di Parma e il “Fancy food” di New York. In vista anche un progetto di educazione alimentare nelle scuole per promuovere la filiera.
ESCLUSIVO
A TAVOLA CON GLI EROI DEL MITICO SCUDETTO DEL CAGLIARI
GIGI RIVA CHE GIRA PER I TAVOLI E POI CANTA Incontro con Augusto Frongia*
M
edico del Cagliari, oltre che autore di diversi libri autobiografici, Augusto Frongia è memoria storica rossoblu, e si porta appresso anche oggi l’emozione grande della rimpatriata per i festeggiamenti dei quarant’anni dello Scudetto. Qui ci racconta sensazioni, riflessioni e ricordi di una giornata speciale. Anche a tavola... «È la prima volta che il Cagliari viene festeggiato con una cerimonia simile in tutti questi anni. Nonostante la presenza di 450 persone, ogni dettaglio è stato curato nei
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minimi particolari , con finezza ed eleganza, ma soprattutto “i festeggiati” si sono comportati come degli ottimi padroni di casa: Tommasini, Gigi Piras e Gigi Riva giravano tra i tavoli degli invitati come fossimo loro ospiti.Sembrava di essere tornati indietro al giorno in cui vinsero lo scudetto: dopo quarant’anni l’emozione di tutti i ragazzi e di tutti noi era ancora viva ed intensa e tutti hanno sottolineato il grande pathos dell’evento». Ci può raccontare un aneddoto che la coinvolge relativo al campionato ‘69-‘70?
«Potrei raccontarvi cosa succedeva quando si ammalava Riva, che soffriva di tonsillite cronica per via di un’operazione riuscita male. Purtroppo una delle settimane in cui gli venne la febbre era proprio quella in vista di una partita decisiva per lo scudetto, quella contro il Napoli. Lui di martedì aveva la febbre altissima e se l’è trascinata fino al giorno della gara. Tutti i giorni i dirigenti, i vicini, i parenti, i giornalisti dalla Gazzetta al Corriere, non mi lasciavano nemmeno il tempo di mangiare. Pensi che arrivavano persino maghi che volevano spacciarsi per guaritori. C’erano fotogra-
fi che pagavano per entrare a scattargli qualche foto nei giorni in cui non usciva di casa per la febbre. Il venerdĂŹ dovevamo
farlo partire con noi in ogni caso. Non si era allenato per nulla. Messo sotto terapia stava meglio, ma restava ancora qualche
lineetta di febbre. Dopo una chiacchierata gli ho dato qualcosa per riprendersi un po’ (tutti ancora vorrebbero sapere cosa
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gli ho suggerito ma di sicuro non è niente di quelle sostanze che girano adesso) ed è entrato in campo. C’è da considerare che quando entrava lui era come giocare dieci contro nove, perché almeno due giocatori marcavano solo lui, o comunque pensammo fosse indispensabile anche per battere le punizioni. La partita poi finì 2-0 per il Cagliari, doppietta di Riva». Immagino la gratitudine nei suoi confronti… «Sì. Al termine della partita era nel lettino del massaggiatore e come sono entrato mi ha detto “Assassino!!” e mi ha abbracciato. C’era moltissima stima tra tutti, e tuttora si è visto che è una squadra molto unita». Per quanto tempo è stato i medico
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del Cagliari e che rapporti si erano creati fra lei, l’allenatore e la squadra? «Sono stato allenatore del Cagliari per sette anni esatti, ma avevo già iniziato come medico sociale all’Amsicora e avevo già vinto cinque scudetti come giocatore di hockey. Avevo perciò un ottimo bagaglio, perché per fare il medico sociale bisogna essere anche sportivi ed, in più, il ruolo di questo tipo di medico deve essere anche quello di un sostenitore a livello psicologico. Non era semplice perché ho avuto che fare con giocatori di varie nazionalità: italiani, brasiliani, argentini e lì entrano in gioco diversi fattori, anche culturali. Non è semplice saperli prendere, aiutarli a “confessarsi”. Come può immaginare per-
ciò il rapporto con loro era anche di stima e di fiducia. Gigi Riva alla presentazione del mio libro “Così, senza una ragione”, mi ha definito un amico, un confidente. Anche quando loro erano poco sereni il mio compito spesso era quello di tirarli su con qualche battuta e nello spogliatoio tornava tutto alla normalità». Che rapporto aveva con Scopigno? «Anche lui si fidava ciecamente. Eravamo molto affiatati. Lui sapeva che i ragazzi si confidavano con me, ma io sono sempre stato discreto, non sono mai entrato nelle loro vite private. Così a sua volta l’allenatore non indagava troppo, si avvicinava da me, durante gli allenamenti o prima delle partite, e mi chiedeva qualche consiglio. La domanda fatidica prima di ogni partita
era “Che è?” e io magari gli suggerivo chi far giocare, chi poteva fare solo un tempo, chi doveva fare solo la parte atletica, e lui non mi domandava mai il perché. Con poche parole ci capivamo. Oggi squadre così non ne esistono, per fiducia e rispetto tra giocatori e tutto il team. Pensi che li portavo persino a caccia nel tempo libero». E qualche ricordo riguardo al giorno in cui vinsero lo scudetto? «Il giorno contro il Bari, in casa, abbiamo vinto facilmente perché eravamo nettamente superiori, ma questo non lo sapevamo solo noi lo sapevano anche loro. Basti pensare che il terzino che marcava Riva gli chiedeva la maglietta (come tutti d’altronde).
Il ricordo che ho più impresso è quando al termine Gigi mi ha chiamato e mi ha abbracciato dicendomi che era anche merito mio. Abbiamo visto lo spogliatoio invaso di persone. Alcune, tra le altre, rivendicavano meriti che non si erano guadagnati. Per il resto, eravamo tutti presi d’assalto da parenti, amici e tifosi in genere, che non abbiamo avuto il tempo lì di stare tutti insieme. Forse ne abbiamo potuto parlare davvero solo in occasione dei festeggiamenti dei quarant’anni. A tutti sono stati strappati la maglietta, i calzoncini, nessuno si è salvato». E oggi cosa è rimasto di tutte queste emozioni condivise? «La cosa più bella è l’unione rimasta anche a distanza di anni. L’ambiente familia-
re che abbiamo potuto respirare, il forte senso del rispetto sono ciò che ancora ci lega. Io personalmente poi, posso dire che tra tante delusioni, il Cagliari, come squadra, non mi ha mai deluso». *Medico sociale del Cagliari Scudetto.
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I MIEI RICORDI
di Augusto Frongia
Riva e il bimbo che rifiutava il cibo
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i rivolgeva a me un padre disperato per la saluto di suo figlio di dieci anni che, a sentire lui, medici e maghe, era affetto da un morbo stranissimo che lo aveva reso anoressico. Magro, insomma, come un’acciuga. La causa? Una sindrome assolutamente originale. Il ragazzo rifiutava qualsiasi tipo di cibo, dormiva pochissimo, non studiava, non giocava, non aveva rapporti con altri ragazzi e neppure con i familiari escluso il padre. Perché? Per un pensiero fisso: Gigi Riva. Il padre le aveva tentate tutte. Aveva riempito la sua cameretta di poster, di figurine Panini ingrandite, di palloni con la sua firma (fasulla), di magliette bianche con il numero undici, di lettere fatte passare per autentiche e tante altre cose. Ma niente. Ultima possibilità di salvezza? Incontrare Riva di persona e sperare in uno shock psicologico o qualcosa del genere. Risultato: appuntamento a Milano, Hotel Rosa, sabato mattina alle dodici. I tre parlarono per una decina di minuti, poi vidi Riva appoggiare la mano sulla spalla del ragazzo e accompagnarlo amorevolmente in sala ristorante. Il padre naturalmente non si fece pregare neppure lui. A questo punto però mi incuriosii e li seguii anch’io. Riva ordinò per due guadagnandosi un larghissimo sorriso. “Vanno bene le lasagne?” “Benissimo, come vuole lei” “Poi... un filetto?” “Ben cotto però!” “Va bene, vi lascio soli. Ci vediamo dopo” “Grazie, grazie di tutto, sor Riva. Lei è troppo buono!” Riva non fece in tempo a girarsi completamente che il padre lo richiamò: “Sor Riva, non ci giudichi degli sfacciati, ma che c’avrebbe pure due bi-
glietti per la partita?” Il campione stava per ricordarsi che la sua pazienza aveva limiti molto bassi, quando, senza aprir bocca, si grattò il mento e poi, con mossa decisa e nervosa, come dire a se stesso che sarebbe stata l’ultima concessione, infilò la mano in tasca, tolse fuori i due biglietti e li consegnò al ragazzo. Uscando dalla porta girevole, senza accorgersi che dietro con loro giravo anch’io, il bambino, guardando il padre con un’espressione furbastra, disse: “A pà! Che, anche tavolta…” “Zitto, non hai visto che c’è il dottore dietro!”
Nené e gli infortuni
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ené era un brasiliano longilineo, alto, dal fisico asciutto, costruito per il calcio. Bravo, bravissimo, tecnico, altruista, cattivello per istinto. Tutto ciò in campo. Fuori era un bambinone ingenuo. Per vederlo piangere bastava dirgli che aveva sbagliato un passaggio. Era succube di una madre che viveva dall’altra parte del mondo. Se Nené avvertiva qualche dolorino ad un muscolo, non si rivolgeva ad un medico, ma telefonava immediatamente alla madre, la quale, più che atteggiarsi a dottoressa, si sentiva molto più simile ad uno stregone africano. E decretava: per uno stiramento muscolare? Semplice: quattro immersioni vestito nel mare del Poetto a distanza di dieci minuti l’una dall’altra. Distorsioni? Impacchi di uova sull’articolazione. E così via. Naturalmente col tempo cambiò, ma non del tutto.
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