Sardegnatavola (N. 1)

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CIBO & TURISMO

CAGLIARITANI BUONGUSTAI

PIÙ BUONI PIÙ BELLE

SPECIALE ECCELLENZE SUL TRENINO VERDE

CARNEVALE RITI E SAPORI



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Carnevale tradizione e identità

Mensile diretto da GIORGIO ARIU giorgioariu@tin.it In redazione: Simone Ariu, Maurizio Artizzu, Antonella Solinas Scritti di: Antonello Angioni, Giorgio Ariu, Lorelyse Pinna, Valentina Caruso, Laura Bonu, Simone Ariu, Alessandra Scifoni, Michele Licheri, Severino Sirigu Per la fotografia: Sarah Pinson, GIA foto, Archivio GIA, Maurizio Artizzu, Bruno Atzori, PJ Gambioli Elmar Grimmenstein Foto di copertina Sarah Pinson Redazione Via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari Tel. 070.728356 giorgioariu@tin.it Concessionaria per la pubblicità GIA Comunicazione Via Sardegna 132 - 09124 Cagliari Tel. 070.728356 Stampa e allestimento GRAFICHE GHIANI Registrazione presso il Tribunale di Cagliari N. 499 del 16-10-1984

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LE DONNE RISCOPRONO LA CUCINA

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COME TI FA BELLA LA FRUTTA

10 L’ESTETICA DELLE API 11 CARNEVALE, TRADIZIONE E IDENTITÀ 13 I RITUALI DELLA FESTA 18 IL FASCINO DE “SU COMPONIDORI” 24 BUONGUSTAI QUESTI CAGLIARITANI 28 ALLA SORGENTE DE SU GOLOGONE 30 E LAWRENCE SI UBRIACÒ DI SARDEGNA 36 IL TRENINO PIÙ GUSTOSO CHE C’È 44 A TAVOLA CON I NOSTRI ANTENATI 50 ORA GLI AGRITURISMO AVRANNO NUOVE REGOLE

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Ufficio del Garante Presidenza del Consiglio dei Ministri Registro Nazionale della Stampa n. 3165 Anno 26 - N. 1 Febbraio 2011 Sped. in Abb. post. - 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Cagliari

IL FASCINO DE SU COMPONIDORI

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Distribuzione Agenzia Fantini S.P. Elmas-Sestu Km. 2,400 Tel. 070.261535 - 260053 Associata AIPE Associazione Italiana Piccoli Editori

IL TRENINO PIÙ GUSTOSO CHE C’È

GIA Editrice di Giorgio Ariu Premio Europa per l’Editoria Premio Editore dell’Anno per l’impegno sociale e la valorizzazione della cultura sarda www.giacomunicazione.it

© Vietata rigorosamente la riproduzione anche parziale di testi, fotografie, disegni e soluzioni creative.

Sardegnatavola è marchio registrato presso il Ministero delle Attività Produttive Ufficio Brevetti N° 926965

A TAVOLA

CON I NOSTRI ANTENATI

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iù buoni a tavola

Giorgio Ariu Direttore di Sardegnatavola

TRA MASCHERE E ALTRE SEDUZIONI

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a Filonzana, vecchina di nero vestita, è la maschera che si impone tra il Boe, vittima, e il Merdule servo pastore. Ella tesse il filo della vita, mentre il Boe rovina a terra. La sua vita può spezzarsi come il filo della tessitrice, ma ar-

riva il Merdule che lo scuote, lo incita a rialzarsi e lo rivitalizza accarezzandogli i genitali. La paura della morte è così scacciata. Nessun rito profano, come quello di Ottana, riannoda i significati più profondi dell’eterno conflitto esistenziale. Al centro della cultura della nostra isola, le rappresentazioni carnevalesche hanno poteri allegorici e simbolici che esaltano storia e identità, lotte per la sopravvivenza e danze attorno alla quotidianità che ti lasciano basito. Ottana ha visto spegnere le ciminiere e il Sogno della Rinascita. Pastori e contadini che indossarono l’illusoria tuta hanno dovuto emigrare o sono tornati all’aria aperta con alterna fortuna. Gli itinerari del Carnevale, autentici attraversamenti della nostra cultura, esaltano quelle tradizioni che mantengono così misteriosa la nostra isola, tanto fiere ed indomita. Sos Bundos a Orani: paese per paese, con maschere e ritmi in un calendario che accosta sacro e profano, escursioni tutte appassionanti, che con o senza maschera, ti avvincono per un viaggio attorno alle radici profonde della nostra terra. La Sardegna, fuori dalla stagione dei tuffi nelle acque più calde e azzurre del Mediterraneo, si scopre con il suo volto autentico e in fondo all’anima. Ti prende magicamente per ridate fiato alla speranza e alla vita, ti stordisce con i sapori buoni di una cucina, oltre l’afrodisiaco, baciata da quel mix irripetibile e tutto nostro tra cielo, sole, terra e mare. E allora buon viaggio.

I SILENZI CON TARA GANDHI SUL TRENINO VERDE

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uella volta Tara mi fece accostare l’auto. Dall’alto le acque del Flumendosa suonavano silenzi di una intensità così profonda da farle dire che quello assomigliava al Paradiso dei suoi sogni. Quello, poi, era il paesaggio che congiunge Siurgus Donigala ad Orroli e c’erano anche tanti buoi stesi al sole del mattino. Tara Gandhi, giramondo e ambasciatrice per la Fondazione e la missione di pace che inseguono il Grande Sogno del Mahatma, nipote prediletta imparò presto il significato della non violenza, quello della dignità e quello della Pace. Le piace un sacco che amichevolmente la chiamo “Sa pippia”, la Sardegna le è rimasta nel cuore, del cibo sardo ama le verdure e la frutta, “quella che non sa di plastica” e conta di tornarci presto. A maggio magari, quando con il Trenino Verde scoprirà la storia di quei silenzi e quanto sia profonda quella misteriosa parte di Sardegna senza che si debba fermare l’auto.



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CIBI SPAZZATURA E BIMBI OBESI TUTTA COLPA DELLA FUGA DAI FORNELLI

E DONNE RISCOPR

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e donne riscoprono il piacere di stare in cucina. Ma non immaginatavi bigodini e pantofole perché sono vip e professioniste a tornare ai fornelli, con una maggiore consapevolezza del valore della loro femminilità. Se ne parla ormai da tempo: si chiama “Neofemminismo culinario” ed è un cambiamento nella concezione del cucinare, che da simbolo di sottomissione diventa una forma di affermazione culturale e sociale. L’icona di questo movimento nato negli Stati Uniti è Giulia Child, ma è supportato anche dalle recenti affermazioni della femminista inglese Rosie Boycott,

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che ha ammesso pubblicamente l’errore commesso nel passato dal movimento: «L’allontanamento delle donne dalla cucina ha prodotto solo cibi-spazzatura e bimbi obesi», ha affermato. Ma c’è chi dice che quella rottura fosse necessaria perché le donne potessero affrancarsi e mettersi alla pari delle loro dolci metà. E allora ecco di nuovo le donne-cuoche come Sigrid Verbert, autrice del blog “Cavoletto di Bruxelles”, tra i più famosi del genere. Sigrid rappresenta la nuova cuoca tipo: una fotografa di trentadue anni che in cucina ha riscoperto il suo “lato zen”. E come lei fanno le visitatrici del blog, donne tra i trenta e i quarant’anni colte e impegnate, che però non vogliono rinunciare al piacere


di cucinare per i propri mariti, compagni o amici. E in Italia? Anche nel paese simbolo del ben mangiare le vip affermano di non voler rinunciare ai fornelli, signore e padrone della propria vita e della cucina. Un esempio tra i tanti è Serena Autieri, attrice e moglie felice del manager Enrico Griselli, che sostiene che oggi le relazioni uomo-donna siano complicate perché «le donne sono

della scuola parigina Le cordon Bleu, fondatrice della rivista “Good Living” e regina della cucina televisiva de “Il mondo di Csaba”, dove le stoviglie di plastica e i tovaglioli di carta non entrano mai. Lei, sempre impeccabile, sostiene: «Anche in cucina ci vuole portamento. È triste vedere certe padrone di casa che non trovano nemmeno il tempo di truccarsi e poi corrono stravolte qua e là come cameriere. Tutto sta nell’organizzarsi». Perché la verità è che in Italia la donna dalla cucina non si è mai allontanata davvero, lo dice Adriana Cavarero, filosofa della differenza e dicente all’Università di Verona: ha solo smesso di cucinare due volte al giorno e gli ha aggiunto un nuovo valore culturale. E allora donne, prendiamo esempio da queste “colleghe” e organizziamoci!

RONO LA CUCINA

di Lorelyse Pinna

sempre più uomini e gli uomini se la danno a gambe terrorizzati» e fa un appello: «bisogna che anche noi torniamo al calore della casa, al senso della famiglia, l’uomo italiano ne ha davvero un gran bisogno». E questo ha a che fare anche con la cucina, espressione del ritorno delle donne al loro ruolo di “angeli del focolare”. Senza però rinunciare alla carriera, anzi a volte facendone una carriera, e di gran successo per di più: è il caso di Csaba dalla Zorza, chef

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LE CILIEGIE DI BURCEI SONO GLAMOUR E LE PESCHE DI SAN SPERATE... IN GIRO PER L’ISOLA PER LA PELLE E PER ESSERE GIOVANI

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a frutta ti fa bella, ormai lo sanno tutti. La ciliegia, per esempio, è un vero elisir di giovinezza: è stato dimostrato che il suo estratto rallenta l’invecchiamento cellulare e ne basterebbero due o tre al giorno per proteggersi in modo efficace. I frutti di bosco sono ricchi di antiossidanti e vitamine utilissime per combattere la ritenzione idrica e i proteggere i capillari. Chi sapeva poi che anche le fragole e le pesche, come gli agrumi, sono una riserva di vitamina C, che favorisce la produzione di collagene e rende la pelle più elastica? E proprio perché la loro stagione è l’estate, fanno bene anche all’abbronzatura: le pesche infatti contiene carotenoidi, che difendono la pelle dai raggi solari, e le fragole fanno bene anche spalmate sulle scottature. Si può poi dare una mano alla rigenerazione della pelle con la melagrana, ricca di acido ellagico, e schiarirla dalle macchie, esfoliandola contemporaneamente, con l’acido citrico contenuto nel limone. Fa bene “mangiata” o “bevuta” in infusi e tisane, ma fa bene anche “spalmata”. Sono infatti molto richieste le creme a base di frutta e l’industria cosmetica accontenta proprio tutti i gusti. Dai bagnoschiuma alle creme (esfolianti, idratanti, rassodanti...), dai profumi alle essenze per il corpo e per la casa (rilassanti, energizzanti, antistress...). Ma ci sono anche modi più economici per trarre benefici dalla frutta e proprio noi sardi, che di frutta ne produciamo tanta e della migliore qualità, potremmo sbizzarrirci. Alcune “ricette” semplici si trovano anche su internet. E allora perché non iniziare con una maschera di ciliegie di Burcei o di Villacidro? Non c’è da preoccuparsi, ne bastano quattro: schiacciare la polpa e stendere su viso

OME TI FA BE


Elmar Grimmenstein

e collo. Questa maschera è indicata per le pelli grasse e per rassodare i tessuti. Continuiamo con una crema di fragole di Arborea (anche in questo caso una quantità minima, due o tre), che applicata sulla pelle dona colorito e rassoda. L’Isola è anche una delle regioni italiane produttrici di limoni: un impacco preparato con un litro di acqua bollente, a cui si aggiungono, una volta tiepida, un cucchiaio di miele (e anche di miele in Sardegna ce n’è tanto!) e il succo di un limone, è efficacissima contro la pelle ruvida. E quando d’estate si mangia una pesca, magari una di quelle prodotte a San Sperate o a Villacidro, bisogna ricordarsi che una o due fette, passate sulla pelle fino a farne assorbire il succo, acidificano e ammorbidiscono. C’è poi chi consiglia di reidratare la pelle massaggiandola con cubetti di ghiaccio alla frutta, per esempio all’uva perché è ricca di polifenoli, che combattono i radicali liberi e stimolano la microcircolazione e la produzione di collagene. Basta frullare qualche acino, metterlo in uno stampo da freezer e si avranno cubetti pronti da massaggiare quando se ne senta il bisogno. E se non si è troppo stanchi dopo una passeggiata nei boschi, ci si può sempre preparare un frullato di more e kiwi, o mescolarle a yogurt o ricotta. La mora contiene ferro e calcio, sostanze utilissime per la bellezza della pelle. Ma stavolta non c’è bisogno di massaggiare, è uno spuntino...I risultati? Provare per credere...

ELLA LA FRUTTA


Sarah Pinson

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estetica DELLE API

na “seada” dorata perché fritta in olio extravergine di oliva, come tocco finale, abbisogna di un buon cucchiaio di miele, in alternativa va bene “abba mele”, mai zucchero. E non perché fuori dai canoni della tradizione ma lo zucchero, oltre che innalzare la glicemia oltre misura, mal si sposa con il formaggio acidulo. Il miele, quindi, anche per condire, e non solo sul pane la mattina a colazione o sulla ricotta ovina, è una scelta sempre opportuna. Lo si può usare anche su alcune carni (maiale, cinghiale) - meglio di corbezzolo Fotoservizio di Simone Ariu o di castagno- e sui formaggi ovini e vaccini tradizionali. A questo punto potrebbe dirsi esaurito il compito del miele poiché lo si considera solo come alimento. In realtà, un miele di qualità può essere usato per fare delle maschere di bellezza, o anche per produrre creme e linimenti. La cera, invece, la si usa, solitamente, per confezionare delle candele artigianali che concorreranno, con una particolare luce e un originalissimo aroma, a illuminare la sacralità dei riti festivi. Se poi, si vorrà brindare prima dei botti finali, ecco che un bicchierino di idromele fresco (vino di miele) sarà servito come aperitivo; se si dovranno aromatizzare i gamberetti o le tante salsine a base di maionese o senape, oppure se si dovrà preparare del vin agro per le insalatine sfiziose ecco allora che il delicatissimo e profumato aceto di miele farà al caso nostro. Resi noti gli usi del miele e dei suoi derivati torniamo ai prodotti di belezza. Sono nel laboratorio “Liune” di Giovannino Schirra, mentre scrivo sul pc dell’azienda, e ho l’occasione di chiedere al titolare alcune cosette riguardo “SA MANTEGA” e riguardo ad alcuni unguenti all’elicriso e all’iperico. Jò, saresti così gentile da informare i lettori a proposito della cosmesi derivata dal miele? Il miele possiede numerose proprietà naturali. E’ emolliente,

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di Michele Licheri

ha azione nutritiva, lenitiva, idratante e attualmente molto usato in cosmesi. Cos’è Sa Mantega Sarda? Sa Mantega è una crema di bellezza che è stata tramandata dagli apicoltori di generazione in generazione; essa unisce le proprietà nutritive di cera vergine d’api e olio d’oliva di cui è unicamente composta. Esistono anche alcune varianti che al posto dell’olio d’oliva utilizzano altri oli come ad esempio l’olio di mandorle o quello di iperico o di elicriso. Il suo uso? È utilissima in tutti i casi di pelle secca, aiuta la pelle a riprendere la sua naturale morbidezza sia dopo lunghe esposizioni al sole nelle caldi estati, sia al rientro da escursioni con basse temperature nei mesi più freddi. Ha il vantaggio, vista la sua composizione, di poter essere utilizzata anche mentre si maneggiano alimenti. A proposito della cura del corpo e degli usi estetici cosa produce la tua azienda? la nostra azienda si occupa prevalentemente di produrre miele e polline, per la parte relativa al corpo ci limitiamo a produrre limitate quantità di questa crema tradizionale. Cosa si potrebbe fare per affermare il segmento economico legato al miele? Il settore ha molte potenzialità ma necessità di forti investimenti economici legati sia alle attrezzature necessarie, sia per far fronte agli elevati costi per attivare tutto l’iter burocratico. Il dado è tratto. Sappiamo qualcosa in più sul miele. Ora a Voi signore e signori: coltivare i piaceri del palato e del corpo è un’ arte. E il naturalissimo prodotto delle api uno degli ingredienti per disporci al meglio della vita.


CARNEVALE TRADIZIONE E IDENTITÀ I l patrimonio dei Carnevali sardi per la prima volta si presenta riunito sotto la regia della Regione. È questa un’altra tappa della campagna promozionale “L’Isola che danza”, che si propone di far conoscere e valorizzare i tesori sardi che hanno meno visibilità , promuovendo il turismo invernale attraverso la costruzione di un’immagine unitaria dell’Isola con manifestazioni coordina-

te e, contemporaneamente, tutelando il patrimonio identitario rappresentato dalle feste e dalle sagre tradizionali. L’iniziativa “Scintille dal cuore” riunisce 41 comuni con i loro caratteristici carnevali, dai più conosciuti carnevali di Bosa, Tempio e Ovodda, “Carrasegare alligros”, i Carnevali allegorici, a “sa Sartiglia” e gli altri “Carrasegare a caddu”, i Carnevali a cavallo, fino ai classici

Sarah Pinson

SEGNI CHE RIMANDANO AI SECOLI

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Carnevali dell’interno con le Mascheras de su connottu. L’Assessorato del Turismo li ha affiancati nell’organizzazione della festa, li ha supportati finanziariamente e ha messo in atto la più importante campagna promozionale mai fatta per queste zone in bassa stagione. I segni distintivi del Carnevale sardo verranno diffusi attraverso tutti i canali di promozione turistica: le fiere internazionali europee del settore, i quotidiani nazionali, le riviste specializzate, le emittenti radiofoniche e televisive e per la prima volta anche il web, concorreranno a creare un club di prodotto, quello dei Paesi del Carnevale. La messa in moto

del meccanismo della conoscenza dovrà coinvolgere prima di tutto il turismo sardo, che deve riscoprire la propria storia e la propria identità a partire dalle tradizioni. Il Carnevale infatti conserva elementi arcaici, che si perdono nella storia, e che riaffiorano esclusivamente in questa occasione. Un patrimonio fatto non solo delle maschere, dei carri allegorici e delle giostre a cavallo, ma anche dell’accoglienza: le fave con il lardo, il “pistiddu”, il “coccone” e il buon vino raccontano a loro modo la tradizione del Carnevale, una tradizione da vedere e da assaporare.

Sarah Pinson

MASCHERE E CARNEVALE IN SARDEGNA Aidomaggiore - Sa cara e’monza; Aritzo - Sos Mamuthones, Su Coli Coli - S’Urtzu; Austis - Sos Colonganos; Borore - Sa cursa de sa pudda; Bosa - “Karrasegare Osinku” (S’Attittidu e Jolzi); Cuglieri – Sos Cotzulados; Fonni - “S’Urthu, sos Buttudos e Su Ceomo; Gadoni – Maimoni e Grastula; Gavoi – Sos Tumbarisnos, Su Zizzarrone; Ghilarza - “Su Carruzu a s’antiga”, Sa Maschera a lentzolu, Sos Burrones; Laconi – Is Corongiaius; Lodè – Sas Mascheras nettas, bruttas, sos Marratzaios, Issocadores, Maimone; Lodine - Sas Biudas e su Ziomo; Lula - Su Battileddu; Macomer - Donna Zenobia e Currere a pudda; Mamoiada - Mamuthones e Issohadores – Juavanne Martis; Neoneli - Su Farrapoddine, sos Corriolos, sa Maschera ‘e Cuaddu; Nuoro - Rassegna regionale ed internazionale delle maschere 12/03/2011; Ollolai - Su Thurcu e sa Maritzola (sos Turcos e sos Truccos); Olzai - Sos Intintos, Maimones e sos Murronarzos; Oniferi - Su Maimone e sas Biudas; Orani - Sos Bundos; Oristano - Sa Sartiglia; Orosei - Sa Zardinera e sos Maimones; Orotelli - Sos Thurpos e s’Erittaju; Ortueri - S’Urtzu e is Sonaggiaos; Ottana - Boes e Merdules e Sa Filonzana; Ovodda - Don Conte e sos Intintos; Paulilatino - Sos Corrajos; Samugheo - Mamutzones e Urzu; Santu Lussurgiu - Sa carrela ‘e nanti e sa Cursa ‘e sa pudda; Sarule - Sas Mascheras a Gattu e su Maimone; Sedilo - Sa corsa a sa pudda; Seneghe - Sas Andantzias; Sestu - Is Mustajones e s’Orcu foresu; Sindia - Cursa de sa pudda; Sinnai - Is Xrebus o is Cerbus; Tempio - Re Giorgio; Tonara - Su Coli-Coli, Coli Coli Padedda; Ula Tirso - S’Urtzu, sos Bardianos e su Maschinganna; Ulassai - Su Maimulu. 12


CARNEVALE DA ASSAPORARE LE RADICI NEI RITI ARCAICI DELLA FERTILITÀ

I RITUALI DELLA FESTA

SONO LEGATI AL CIBO E AL BERE

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di Alessandra Scifoni Fotoservizio di Maurizio Artizzu

esta della trasgressione e dell’eccesso, il Carnevale, come lo conosciamo oggi, nasce in contrapposizione al periodo della Quaresima cristiana, in cui il fedele dovrebbe dedicarsi maggiormente alla preghiera, alla carità, e astenersi dal mangiare carne il Venerdì. In tutti i luoghi in cui i rituali carnevaleschi sono ancora “presi sul serio”, troveremo allora, in particolare nei giorni di Giovedì e Martedì Grasso, e nei week end, gente di tutte le età travestita nei modi più bizzarri, sfilate accompagnate da ritmi incalzanti e ripetitivi, una pioggia colorata fatta di coriandoli e stelle filanti. Forse ai giorni nostri è considerata più che altro la festa dei bambini, ma in realtà il Carnevale affonda le sue radici nei riti arcaici per la fertilità, l’allontanamento della cattiva sorte e della morte. E nelle località in cui maggiormente si tengono alti i valori della tradizione, si potrà assistere a festeggiamenti dal sapore antico e misterioso. Non solo colori sgargianti, carri allegorici e dissacratori, danze e scherzi, quindi. Basterà addentrarci in alcuni dei più suggestivi scenari dell Sardegna, per accorgerci del legame ancora fortissimo con usanze nate

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nel lontano Medioevo, come ad esempio la Sartiglia di Oristano, o nel più antico mondo agropastorale, un legame indissolubile con una natura che tutto può creare e distruggere. Incontreremo allora sos Mamuthones e sos Issohadores, Boes e Merdules, sos Thurpos e s’Erittaju, s’Urtzu e sos Buttudos, tra le maschere più caratteristiche del Karrasegare. I primi, con i loro abiti in pelle di montone, capra o pecora, di colore nero o bianco; i campanacci, che in processione creano quel frastuono cadenzato, quasi ipnotico; i visi neri, dipinti, o i volti in legno dalle inquietanti fattezze antropomorfe o zoomorfe, vanno assieme ai loro “padroni”, vestiti completamente di nero o, per contrasto, di rosso e bianco, che cercano di “domarli” con catene o funi. Essi rappresentano l’incontro/scontro tra uomo e animale, tra dominatore e colui che si sottomette, e ripetono rituali le cui origini si perdono in un passato lontanissimo. Tra gennaio e febbraio, la natura e le pratiche agricole prevedevano la macellazione dei suini, con la conseguente abbondanza di grasso di maiale o strutto. Da qui l’usanza di offrire, durante i festeggiamenti, un piatto ori-

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ginario del nuorese e noto in tutta la l’isola: le fave con il lardo. Piatto semplice ma gustoso, composto da fave, costole di maiale, lardo e cavolo verza, da mangiare caldo e, preferibilmente, accompagnato dal buon Pani Carasau sardo. Per la stessa ragione “naturale”, ovvero per una maggiore disponibilità di strutto, i dolci tipici della festa sono per lo più fritti. La base per l’impasto è sempre piuttosto semplice, si utilizzano farina, uova, zucchero, latte o acqua, in certi casi si aggiunge burro e lievito, mentre le differenze riguardano soprattutto le forme e gli aromi. Le chiacchiere, che assumono nomi diversi a seconda della regione o località in cui vengono prodotte, hanno un’antichissima tradizione che probabilmente risale a quella delle frictilia, dolci fritti nel grasso di maiale che nell’antica Roma venivano preparati proprio durante il periodo di Carnevale, in gran quantità, poiché dovevano durare per tutto il periodo della Quaresima. Particolarità di questo dolce è l’aggiunta di liquore, spesso grappa, la forma rettangolare o, meglio, a striscioline e i bordi frastagliati. È ricoperto infine, come tutti gli altri, di abbondante zucchero a velo o semolato.


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Altrettanto semplici nella lavorazione, sono dolci come i Parafrittos (Fatti Fritti), ciambelline lievitate anch’esse insaporite spesso con un po’ di grappa, o come i Tortelli e i Brunniolus, gustose palline a volte farcite con panna o crema. Ci sono poi i dolci fatti con l’aggiunta di miele, gli Acciuleddi, o Gugligliones (Matassine) dai caratteristici fili di pasta intrecciati, e le Meraviglias, che hanno le forme più fantasiose, di mano, di stelle o di rombi. I Crucuxionis de mendua, o Culurgiones de mendula, sono i tradizionali ravioli alle mandorle, per la preparazione dei quali, anche in questo caso, viene lasciato ampio spazio alla fantasia. Spesso nella ricetta compaiono acquavite, maraschino e vino bianco; per gli aromi si utizza per lo più arancia e limone (scorza o succo), in qualche caso la cannella. Esistono inoltre alcune varianti dei ravioli alle mandorle, tipiche del sud Sardegna, i Culingiònis de pappài biancu (con amido di frumento) e i Crucuxionis de bentu (privi di ripieno). Come non citare poi le Zippulas (chiamate anche Cattas), probabilmente il dolce carnevalesco per eccellenza? Che siano soffici ciambelle o anelli tanto lunghi da diventare spirali, il loro gusto,

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arricchito dallo zafferano, rimane sempre inconfondibile. Spesso i rituali della festa sono legati al cibo e al bere. A Escalaplano, ad esempio, si perpetua nel giorno di Sant’Antonio l’antica usanza della Paniscedda: durante la notte i bambini vanno di casa in casa a chiedere il pane, confidando nella generosità della gente, arcaico predecessore del più moderno “dolcetto o scherzetto”. Ad Ottana, invece, i Boes richiedono animatamente alla gente non solo dolci, ma anche da bere, e così pure la vecchia Filonzana (la filatrice): maschera facciale simile a quella del Merdule, scialle e vestito femminile nero su gambali e scarponi di cuoio, tiene tra le mani una rocca da cui pendono dei fili di lana, simbolo della fragile vita umana. Il funereo personaggio minaccia di reciderli in segno di malaugurio nei confronti di chi non gli offra da bere. È un ritorno alla collettività, alla condivisione, il Carnevale, ci permette di ridere dei nostri guai tutti insieme. Perciò alziamo i nostri bicchieri colmi di Cannonau e brindiamo alla salute e alla fortuna e... buon divertimento!


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CARNEVALE DA ASSAPORARE AD ORISTANO PER LA CORSA ALLA STELLA IN UN TRIPUDIO D

IL FASCINO DE “SU COMPONI ALLA SARTIGLIA di Antonello Angioni Fotoservizio di Sarah Pinson

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QUANDO L’I

’ultima domenica di Carnevale e il martedì successivo si corre ad Oristano la Sartiglia, uno spettacolo secolare ricco di elementi storici e civili. Le due giornate sono organizzate, separatamente, dal gremio dei contadini e dal gremio dei falegnami. Tale tradizione rievoca la prova di abilità che l’associazione di mestiere (il gremio) esigeva dal neofita ed è anche l’ espressione ultima di un rito agrario dal quale si traggono auspici per l’annata. Nella Sartiglia i cavalieri tentano, in una corsa sfrenata, di centrare la stella con la spada o con su stoccu. Per tale motivo la manifestazione carnevalesca è conosciuta anche col nome di “Corsa alla stella”. Questa singolare gara ha da sempre costituito un momento di richiamo per gli abitanti dell’ Oristanese, dell’ intera Sardegna e per non pochi turisti, anche stranieri. Ad organizzare la Sartiglia, come dicevamo, sono i Gremi, le antiche corporazioni dei contadini e dei falegnami. I primi, sotto la protezione di San Giovanni, disputano la corsa domenica; mentre i falegnami, sotto la protezione di San Giuseppe, disputano la gara il martedì seguente. Il fatto che la Sartiglia venga ancor oggi organizzata dai gremi si spiega - secondo Francesco Alziator - con la circostanza che queste associazioni di categoria (nelle quali la prova iniziatica di mestiere costituiva un vero e proprio rito di passaggio) richiedevano un prova di bravura equestre, anche se declassata a gioco, quale probabile integrazione del rito del passaggio gremiale da apprendista a maestro. Questa prova, per i gremi oristanesi, storicamente, fu la Corsa alla stella. I preparativi della sfilata in costume e della corsa durano molti mesi. Infatti, sin dai giorni precedenti le festività natalizie, i gremi si riuniscono per discutere sul programma e sulla scelta del rispettivo componidori: il capo della corsa. L’avvio dei riti carnevaleschi rappresenta, ogni anno, l’occasione per rievocare le edizioni passate della Sartiglia: episodi veri, leggendarie contese tra cavalieri, cadute drammatiche e mille altre acrobazie (forse mai esistite) galoppano nella fantasia degli oristanesi che preparano nei minimi particolari la Sartiglia. Intorno alla corsa si sviluppa un singolare e pittoresco cerimoniale incentrato su un personaggio, su compo-

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DI SAPORI

NIDORI”

’ISOLA PULSA

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nidori. E’ la maschera più bella della Sartiglia: un volto pallido, non ancora primaverile, e due occhi impenetrabili che fissano un’ immagine lontana. Questa maschera di cera porta con sé un alone misterioso tra il fiabesco e il grottesco. La sua espressione, secondo la tradizione, avrebbe il magico potere di allontanare gli spiriti maligni dalle messi. Su compondori viene investito dell’ incarico il 2 febbraio, durante la cerimonia della consegna del cero benedetto, la tradizionale Candelora. La consegna avviene ad opera del presidente del rispettivo gremio (su majorali) con le rituali frasi augurali di “Santu Giuanni t’ aggiudidi” (pronunziata da presidente della corporazione dei contadini) e di “Santu Giuseppi t’assistada” (pronunziata dal majorali del gremio dei falegnami). Il rito della consegna viene onorato, secondo la più genuina tradizione oristanese, con la migliore vernaccia e i più saporiti amaretti. Intanto in tutta la città fervono i preparativi: i cavalieri effettuano gli allenamenti, si allestiscono gli ornamenti per i cavalli, si scelgono gli abiti e le maschere per i cavalieri. Nei giorni precedenti la giostra si sistema il palco, mentre il tragitto della corsa viene accuratamente transennato e cosparso di sabbia per evitare possibili guai alle zampe dei cavalli. Il primo atto vero e proprio della cerimonia consiste nella vestizione del capo della corsa, su componidori. Tale rituale dovrebbe svolgersi (ma non sempre si segue questo copione) nell’ abitazione del presidente del gremio. Come

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vuole la tradizione le operazioni in questione vengono compiute su un tavolo basso da alcune ragazze vestite in costume sardo, chiamate massaieddas, guidate da una anziana donna (sa massaia manna). La caratteristica del costume della Sartiglia è data dalla maschera di cera, dal velo di pizzo e dal cilindro che ricopre il capo de su componidori. La vestizione si inizia con la camicia di lino bianco. Poi si continua coi calzoni, la giacca di pelle e i tradizionali fiocchi rossi o azzurri che vengono sistemati intorno alle braccia. Quindi viene posata sul viso la maschera di cera e il capo viene ricoperto con un finissimo velo di pizzo e col cilindro. Con una gardenia appuntata sul petto del componidori la cerimonia di vestizione si conclude. Da questo momento su componidori è una divinità e non potrà più poggiare i piedi per terra sino al termine della corsa. Il suo cavallo, riccamente bardato, viene condotto dentro la casa e avvicinato al palchetto della vestizione onde consentire a su componidori di balzare in sella senza toccare il suolo. A questo punto al capo della corsa viene consegnata sa “Pippia de maiu”, una composizione formata da due mazzi di viole mammole tenuti da nastri verdi, con la quale benedice la folla che si accalca nella tortuosa pista che solca l’antico centro oristanese per disperdersi nella profondità dello scenario, in un sipario naturale che degrada dolcemente verso il mare di Tharros. E’ l’ inizio della Sartiglia. Intanto su bandidori ha già annunciato in tutte le contrade della città la sfida equestre: “Si dà il bando: o amato popolo di Oristano, sia noto a tutti che noi (segue il nome del sindaco), per grazia di Dio magistrato di Oristano, conte del Goceano e visconte di Basso, volendo provvedere al necessario e nobile divertimento di tutti i nostri fedeli sudditi e di tutte le curatorie della Sardegna, abbiamo deciso di fare secondo l’antica costumanza e perciò ordiniamo che si faccia grande giostra, ovvero Sartiglia….”. Lo squillo delle trombe e il rullare dei tamburi richiamano la folla. Il corteo dei cavalieri, accompagnato dai tamburi e dai trombettieri in costumi spagnoli si reca nella piazza del duomo dove ha inizio nel primissimo pomeriggio (intorno alle ore 15) il tradizionale torneo equestre. Qui decine di cavalieri, lanciati in una sfrenata corsa, cercano di infilare la spada nel foro di una stella argentea appesa ad un nastro verde sistemato in alto a mezza


strada. La cavalcata e, soprattutto, il momento della stoccata vengono seguiti dalla folla in perfetto silenzio. Ogni passaggio, preceduto dal furibondo rullare dei tamburi e dallo squillare delle trombe, è seguito da grida di gioia se il cavaliere centra la stella. Dal numero delle stelle infilzate dipende, secondo l’antica tradizione (di edizioni ne sono state celebrate oltre 500), la buona annata dei contadini e il sicuro lavoro degli artigiani: più stelle centrate indicheranno quindi una maggiore sicurezza e tranquillità economica per gli oristanesi. Quale l’origine della Sartiglia? La tradizione è nota a tutti. Intorno alla meta del XVI secolo un canonico avrebbe donato al gremio dei contadini le rendite di una proprietà terriera come ricompensa per l’ organizzazione della giostra equestre. Secondo Alziator, infatti, il prelato - preoccupato per le cruente giostre equestri che si svolgevano nella cinquecentesca Oristano aveva lasciato in eredità al gremio di San Giovanni le sue proprietà a condi-

zione che si ponesse fine all’ inutile spargimento di sangue. I cavalieri, insomma, si sarebbero dovuti cimentare in giostre di abilità come la Corsa alla stella. Col passare degli anni, al gremio di San Giovanni si affiancò il gremio di San Giuseppe (la Corporazione dei falegnami). Da allora la tradizione continua con l’antico fascino di una volta richiamando un numero sempre maggiore di turisti e visitatori.

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Buongustai

questi cagliari di Antonello Angioni

C

agliari è sempre stata una città di mercanti e di mercati: lo è stata in epoca pisana e durante la dominazione catalano-aragonese, come pure in età spagnola e sotto i Savoia. Tale tendenza peraltro si accentua nella seconda metà dell’Ottocento, e precisamente dopo il 1867, quando la città cessa di essere una piazzaforte, perde le antiche mura e si apre verso l’esterno.

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La formazione della città borghese, favorita dall’elemento forestiero, da quell’intraprendente ceto di negozianti che si afferma a partire dagli ultimi due decenni dell’Ottocento, porta con se anche una nuova cultura dell’alimentazione: non a caso nel 1886 viene inaugurato a Cagliari, nel largo Carlo Felice, il primo vero e proprio mercato in senso moderno. Prima vi era la piazza delle derrate.

E’ certo che la presenza di quel mercato civico contribuì, e non poco, all’affermazione della buona cucina ed al formarsi di una tradizione della tavola. Il mercato é un luogo importante: é lo spazio fisico dove le radici commerciali della città si combinano con le tradizioni della marineria e con la cultura contadina dell’entroterra agricolo. Quanto ai cagliaritani, sono buongustai e non aspettano certo l’arrivo delle feste co-


IL CIBO DELLE FESTIVITÀ NELLA TRADIZIONE CAGLIARITANA

ritani mandate per dimostrarlo: ben note sono is pikkettaras che, senza particolari motivi, vengono organizzate. Comunque, in occasione delle festività, si riserva una maggior cura sia nella preparazione dei cibi che della tavola. Quella cagliaritana è una cucina che risente delle diverse culture alimentari che si sono avvicendate in questa terra. Costituisce un po’ la sintesi - ma, in una certa misura, an-

che la rielaborazione - sia degli apporti autoctoni (provenienti dalle diverse contrade dell’isola) e sia delle dominazioni e delle influenze esterne. La centralità mediterranea della città e l’incrociarsi di popoli e civiltà hanno prodotto usanze alimentari di derivazione spagnola, italiana e nordafricana. In particolare è ancora forte la presenza iberica. Nel complesso è una gastronomia a base di piatti semplici eppure, in qualche

misura, aristocratici. La varietà della cucina sarda è paragonabile alla varietà dei paesaggi. Infatti, ai sapori del mare si affiancano i gusti dell’antica tradizione pastorale e contadina. Venendo ai piatti caratteristici della cucina cagliaritana, tra i primi, abbiamo sa minestra ‘e cocciula (preparata con la fregola e le arselle dello stagno di Santa Gilla), is maccarronis cun arrescottu (pasta corta condita con la ricotta fresca e un po’ di zafferano), is malloreddus alla campidanese (gnochetti di semola di grano duro conditi col pecorino e una salsa di pomodoro e pezzi di salsiccia fresca aromatizzata con semi d’anice), sa minestra de fregula (preparata con i granelli di semola), sa minestra de filindeus (tagliatini di pasta di semola cotti nel brodo con formaggio fresco, piatto originario della zona di Nuoro); is angiulottus (ravioli a base di ricotta che vengono conditi in modo diverso). Durante la stagione invernale è possibile gustare anche una sostanziosa minestra di fave secche e lardo (o cotenna di maiale): è un antico piatto contadino. Tra i secondi piatti, può farsi una distinzione tra quelli di terra e quelli di mare. Tra i primi abbiamo l’agnello in bianco (spezzatino d’agnello cotto al tegame con soffritto di cipolle e salsa bianca: è l’agnello della Pasqua), su succhittu de conillu (coniglio messo per qualche ora nell’aceto e soffritto al tegame con prezzemolo e aglio e con l’aggiunta, a fine cottura, di olive e capperi), is coiettas (involtini di carne, ripieni di pancetta, oppure di prosciutto o lardo, e odori: si tratta di una ricetta di derivazione piemontese), sa cordula arrustia (treccia lardellata, a base dell’interiore dell’agnello o del capretto, cucinata lentamente allo spiedo), sa cordula cun pisurci (treccia rosolata con piselli), su ghisau (ricetta di origine iberica, è lo spezzatino di manzo o agnello stufato in una salsa a base di pomodoro), su porceddu furria furria (il maialetto di latte arrostito allo spiedo), sa schironada (pezzetti di carne cotti allo spiedo), is peixeddus (zampette di agnello o piedi di bue lessati e conditi con aromi: specialità tipicamente cagliaritana). Tra i piatti di mare abbiamo sa burrida (gattuccio di mare lessato, tagliato a trance e immerso, almeno per un giorno, in una salsa fatta col fegato del gattuccio e condita con aceto, olio d’oliva, aglio, prezzemolo e noci), su pisci a cassola (una zuppa fatta con l’utilizzo di varie qualità di pesce: capponi, scorfani, vacche, muggini, anguille, polpetti, ecc., che vengono cotti in una salsetta di pomodoro con aglio, olio, sale e peperoncino), su pisci scabecciau (muggine fritto e lasciato per almeno una notte in una salsa con aceto), sa sparedda arrustia (sparlotti arrostiti

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e messi in acqua salata e aglio), s’anguidda schironada (anguille allo spiedo intercalate con le foglie di alloro), su pruppu buddiu (polpo lessato, condito con olio, prezzemolo, aglio e aceto). Non ha niente a che fare col pesce, su pisci a collettu: sono le fave bollite e condite con la menta (un primo piatto della stagione fredda). Non vi è dubbio che la cucina è parte non secondaria della tradizione di un popolo di cui, in qualche misura, rispecchia l’identità. E’ così come questo è un concet-

to, salsicce, guanciale, pancetta, mustela). E poi si servono i formaggi, in particolare quelli a base di latte di pecora, di cui la nostra terra é assai ricca in considerazione dell’economia pastorale (spiccano il fiore sardo e il pecorino romano). Ma vi sono anche formaggi vaccini: i più conosciuti sono il dolce sardo (prodotto ad Arborea e commercializzato in tutta l’isola), il casizzolu (il caciocavallo) e il provolone sardo (produzione tipica di Bortigali). Durante le festività natalizie non può mancare la frutta secca: le noci, le nocciole, le mandorle tostate, i pistacchi. E poi datteri e fichi secchi a volontà.

to dinamico, aperto al nuovo, anche in cucina la tradizione si evolve perché le abitudini alimentari cambiano. Pensate che, nell’Ottocento e sino ai primi del Novecento, le folaghe (volatili acquatici delle zone lagunari) erano uno dei piatti tipici della cucina cagliaritana. Ora sono del tutto scomparse dalle nostre tavole. In occasione delle feste, per i più fortunati, vengono serviti anche is pillonis de taccula (le deliziose grive lessate, salate e aromatizzate con le foglie del mirto) e is panadas (pasticci di pasta lavorata con lo strutto col ripieno di carne, ortaggi o anguille). In quest’ultima versione si tratta di un piatto tradizionale dell’area lagunare (di Assemini, della vicina Elmas ma anche del sobborgo di Sant’Avendrace). C’è poi il pane della festa: finissimo, candido, lavorato e decorato come un’opera d’arte. A Cagliari l’attività della panificazione costituisce un’antica tradizione (is panetteras erano soprattutto diffuse nel quartiere di Villanova e nel sobborgo di Sant’Avendrace). A ben vedere, nella sostanza, il nostro sistema alimentare si impernia ancora sui tre settori tradizionali che, per primi, determinarono in Sardegna (e soprattutto qui da noi a Cagliari) il sorgere di industrie di trasformazione e collegarono la nostra terra con i mercati esterni. Sono: - la trinità dei campi (il grano, il molino e la farina); - la trinità dei pascoli (il latte, il caseificio e il formaggio); - la trinità delle vigne (l’uva, la cantina e il vino). In occasione delle feste, le tavole vengono arricchite con gli antipasti: le olive, i funghetti sott’olio, le melanzane, i cardi selvatici, la bottariga di muggine, i salumi (prosciut-

E che dire dei dolci? In una festa che si rispetti il dolce non può mai mancare. In occasione della ricorrenza dei defunti abbiamo is pabassinas (a base di uva passa con noci, mandorle e scorza d’arancia) e su pan’è saba (pane con sapa, uva passa e mandorle). Per il carnevale al pani cum gerda (pane confezionato con i ciccioli) si accompagnano is zippulas. Per Pasqua invece abbiamo su pizzikorru e is coccois de Paska (una pasta dura a forma di numero otto con inserite due uova sode dal guscio colorato con lo zafferano). Nella preparazione dei dolci si esprime tutta la varietà d’invenzione dei sardi delle diverse contrade. Abbiamo is amarettus (dolci a base di mandorla morbidi e dal gusto particolarmente delicato: si producono un po’ in tutta l’isola ma forse quelli del Campidano sono i più rinomati), s’aranzada (scorza d’arancia leggermente cotta col miele ed


aggiunta di mandorle, preparata soprattutto nelle Baronie), is candelaus (pasta di mandorle in acqua di fiori d’arancio), is gesminus (pasta di mandorle e zucchero a forma di piccole ciotole ripiene di mandorle), is gueffus (dolci a base di mandorle macinate, zucchero e acqua di fiori d’arancio, lavorati a palline e involti in foglietti di carta sottile colorata), is pardulas (le formaggelle di ricotta aromatizzata con lo zafferano), is pirichittus (pasta lavorata con elementi aromatici e avvolta in una cappa di zucchero e limone), is pi-

stoccheddus (dolce della tradizione serrentese), is sospirus (pasta di mandorle con copertura zuccherina: lavorazione tipica della zona di Ozieri), i mostaccioli di Oristano (dolci a forma romboidale preparati con la cannella secondo la tradizione araba). Un dolce del tutto particolare è la sebada: è a base di formaggio e miele. Con i dolci non possono mancare i vini da dessert. La Sardegna, grazie al clima propizio, ne produce diversi: il moscato, il girò, la malvasia, il nasco. E, col gusto delicato di questi vini, finisce la conversazione e inizia la cena. Come dire: basta con le chiacchiere e buon appetito a tutti.


A

LLA SORGENTE

U

TRA PANE CARASAU E

n territorio di 165 km², ottomila abitanti avvolti dal tiepido, verde abbraccio della natura e protetti dal monte Corrasi, custode misterioso delle leggende del posto: in paese si dice che “le sue guglie sono la pietrificazione della famiglia Giuglìa,appunto, punita da Gesù Cristo per la sua avidità e ingordigia, perché così non si ci comporta”. La vita ad OLIENA sembra scorrere lenta, in un vortice di antico e moderno, restituendo fotografie di un tempo che fu. Patria del Cannonau e del Pane Carasau, qui sembrano incontrarsi colori, sapori, musiche e balli tradizionali della nostra cultura. Sembrano darsi appuntamento storie e leggende della storia Sarda, a dispetto della zona impervia e isolata e del clima fresco e pungente. Le numerose chiese, testimoniano la religiosità della comunità olianese, così come di tutti i Sardi, dapprima diffidenti alla religione cristiana. E se per Ulisse la sua Itaca era petrosa, per gli olianesi la loro cittadina è granitica, a tratti basaltica o calcarea, guardiana austera della storia che fu. Le grotte (Corbeddu o Rifugio, per dirne qualcuna), i nuraghi e i resti di antichi villaggi continuano a raccontare lo scorrere lento della vita passata, ma anche le gesta di uomini straordinari che hanno reso la Sardegna migliore, o che ci hanno provato. Neppure la fauna e la flora, si sottraggono al quadro generale, così profondamente

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isolano. E allora ecco davanti agli occhi scenari imponenti, come i basalti di Gollei, dai colori scuri, bastionate calcaree e il Supramonte, selvaggio, aspro e tormentato. Prati di ribes sardi, nepete, armerie e peonie, specie endemiche del monte Corrasi (alcune) o in genere della Sardegna, ad animare le ampie e verdi vallate. E nascosta tra la roccia, la sorgente di Su Gologone, che dopo aver attraversato chilometri di gallerie sotterranee, sfocia ai piedi del Supramonte con le sue acque limpide e fresche. Alle sue fonti per abbeverarsi, un branco di mufloni, che in questo ambiente trovano un habitat perfetto per vivere. Cinghiali, volpi, lepri sarde e gatti selvatici, si rincorrono e pascolano quotidianamente sui monti, e persino il ghiro e il quercino trovano rifugio nelle vetuste foreste di su Lidone. Ad Oliena, la tavola ha un sapore semplice, la cucina inedita sfrutta le ricchezze del territorio, che offre carni di prima scelta (ingrediente principale de “su prattu de sa cassa”) e tanti altri prodotti gustosi. Sicuramente avrete visto donne e uomini in costume sardo in molti paesi: gonne, corpetti e fazzoletti non saranno certo indumenti nuovi


IN GIRO PER L’ISOLA: QUI OLIENA

E DI SU GOLOGONE

U E CANNONAU

di Laura Bonu

per la nostra vista, ma probabilmente qualcuno di quei particolari potreste ritrovarlo ad Oliena, che compone il suo vestito ispirandosi a quelli del circondario e curandone ogni componente nei minimi dettagli. I ricami, i colori e i pizzi sapientemente accostati, i gioielli in oro e filigrana ad incoronare gli abiti scuri. Feste, balli e canti rallegrano le giornate della città. Sono numerosi gli uomini che si dilettano nel canto a tenore e sono altrettante le donne che tramandano i numerosi balli tipici della cultura olianese. Tutto questo e qualcosa di più è raccolto nelle duecento pagine di “Oliena. Storia, cultura, ambiente e territorio”, uno sguardo di insieme su questo magico territorio.

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E LAWRENCE SI UBR di Severino Sirigu

“E’ una strana ferrovia. Sfreccia per le colline e giù per le valli attorno a curve improvvise, con la massima noncuranza”. (David H. Lawrence, Mare e Sardegna, 1921)

T

utto resta immobile a bordo del Trenino Verde. Anche il tempo sembra fermarsi ad ammirare i paesaggi, gli splendidi scenari dal fascino antico, le colline e le valli attraverso la Trexenta e il Sarcidano. E’ una sensazione magica: come vivere una favola. Sui binari della fantasia attraverso un mondo incantato e incantevole. Le ferrovie a scartamento ridotto della Sardegna hanno sempre attirato l’attenzione dei viaggiatori per gli scenari che si presentavano durante i viaggi. Nel 1921 lo scrittore britannico David Herbert Lawrence, nel libro “Mare e Sardegna”, raccontò le sue esperienze di viaggio lungo la Cagliari-Isili-Sorgono. La Mandas-Sorgono esisteva già. Il primo viaggio della vecchia locomotiva risale al 3 dicembre 1889. Centoventi anni e non dimostrarli. Una grande festa, una giornata storica con uno sguardo al passato e un progetto per il futuro. A Mandas si è celebrato il 120° anniversario dell’inaugurazione della linea ferroviaria Mandas-Sorgono. Quando si dice una giornata storica. Ad organizzarla sono state le amministrazioni comunali di Mandas e di Sorgono in collaborazione con le Ferrovie della Sardegna, l’Arst e la Regione. I promotori dell’iniziativa, con il sindaco di Mandas Umberto Oppus in testa, non si sono limitati a una semplice celebrazione, ma hanno voluto sfruttare l’occasione per fare il punto sulle strategie di rilancio del turismo legato ai viaggi sui binari. Rispetto alla Corsica e alla Svizzera (solo per citare due esempi non troppo lontani), in Sardegna, su questo versante, ci si è mossi forse con troppa cautela. Finalmente sono state poste le basi per la realizzazione di un progetto ambizioso e ricco di fascino. Spiega Umberto Oppus: <<Anche per questo, dopo la celebrazione vera e propria, con tanto di viaggio in Trenino da Gesico a Mandas, abbiamo tenuto un convegno dal titolo “Le Ferrovie della Sardegna per un nuovo processo di sviluppo dei territori”>>. Il sottotitolo è ancora più esemplificativo: “Il Trenino Verde quale attrattore turistico di rilevanza nazionale ed europea, veicolo di rilancio delle zone interne e di sviluppo della cooperazione tra le regioni del Mediterraneo”. Il Trenino Verde è un piccolo treno turistico che attraversa le zone più selvagge della Sardegna. Le carrozze dallo stile classico viaggiano per luoghi dove la natura è ancora intatta: foreste e laghi, coste e siti archeologici. Nel dopoguerra in Sardegna inizia a farsi largo una vera e propria forma di turismo ferroviario in grado di convincere le concessionarie delle linee secondarie (all’epoca c’erano le Strade Ferrate Sarde e le Ferrovie Complementari della Sardegna) a promuovere un servizio per turisti e cultori della natura. Da qui il nome di Trenino Verde, per via dell’importante patrimonio di vegetazione presente nel territorio. Ma la domanda di turismo interno non conosceva battute d’arresto, tanto che le Ferrovie della Sardegna (nate nel 1989 dalla fusione di FCS ed SFS) ottennero alcuni finanziamenti dalla Regione e dalla Comunità Europea per migliorare il servizio. Con quei soldi in particolare furono restaurate le locomotive a vapore e le carrozze d’epoca. Nel 1995, quattordici anni dopo la sua chiusura, la ristrutturata tratta Tresnuraghes-Bosa Marina divenne la prima linea ad utilizzo esclusivamente turistico della Sardegna. Due anni dopo, quattro linee della rete FdS, la Mandas-Arbatax, la Isili-Sorgono, la Macomer-

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Tresnuraghes e la Nulvi-Tempio-Palau furono riconvertite a linee esclusivamente turistiche. Il progetto Trenino Verde stava decollando, merito anche dell’apertura di due musei a tema nei locali adiacenti alle stazioni di Monserrato e Tempio Pausania. Il resto è storia dei nostri giorni: con la Giunta Oppus a Mandas ispiratrice di una serie di iniziative capaci di far fare il decisivo salto di qualità all’intero progetto turistico. Una scommessa solo apparentemente azzardata. In fondo se più di ottant’anni fa i paesaggi del territorio mandarese sono piaciuti così tanto a Lawrence, oggi non dovrebbe essere difficile richiamare visitatori e turisti. Intanto l’assessore regionale ai Trasporti, Liliana Lorettu, ha annunciato l’arrivo di nove nuovi treni (quattro saranno locomotive da utilizzare nel percorso turistico) e ha garantito l’impegno della Giunta Cappellacci affinché le zone interne dell’Isola possano trasformarsi in attrattive turistiche puntando su storia, cultura e ambiente. <<E’ quello che già stiamo vivendo grazie a una serie di interventi e iniziative portate avanti con successo in questi anni>>, dice Umberto Oppus, con lo sguardo fiero di chi sa di aver vinto un’importante scommessa. <<I viaggi turistici a bordo del Trenino Verde sono una realtà da tempo, dobbiamo continuare su questa strada per valorizzare ulteriormente le nostre risorse. Stiamo ultimando i lavori per la realizzazione del Parco ferroviario Lawrence, dedicato allo scrittore britannico che negli anni Venti aveva viaggiato a bordo del Trenino ed era rimasto talmente affascinato dai paesaggi e dal territorio circostante tanto da rendere immortali i suoi ricordi nel libro “Mare e Sardegna”>>. Il parco nascerà a Mandas, ma è rivolto a tutti i centri inseriti nel percorso del Trenino. <<Il progetto prevede la valorizzazione della stazione ferroviaria e la sistemazione delle vecchie locomotive, con altre nuove pronte ad arrivare>>, continua il


RIACÒ DI SARDEGNA sindaco Oppus. <<Inoltre nascerà un punto di accoglienza per i turisti con tanto di sportello telematico per le informazioni. Una volta realizzate le strutture il Comune punta a coinvolgere i cittadini per ampliare le offerte. Chi farà sosta a Mandas in questo modo avrà un’ampia possibilità di scelta: più ristoranti e pizzerie, ma anche nuovi locali ricettivi e bed & breakfast per consentire una sosta più lunga>>. Utilizzare questo ricordo, questa testimonianza storica e letteraria, per dare vita a un progetto di rilancio del turismo interno è stato il vero colpo di genio dell’amministrazione di Mandas. Nasce da qui la richiesta presentata all’Unesco per il riconoscimento delle tratte ferroviarie Mandas-Arbatax e Cagliari-Sorgono quali patrimonio dell’umanità. Iniziativa per la quale sono scese in campo le amministrazioni di Cagliari, Mandas, Monserrato, Donori, Dolianova, Soleminis, Barrali, Suelli, Gesico, Isili, Laconi, Sorgono, Settimo San Pietro, Serdiana, Nurri, Orroli, Serri, Aritzo, Arzana, Desulo, Seulo, Escalaplano, Escolca, Esterzili, Gadoni, Gairo, Isili, Lanusei, Sadali, Seui, Ulassai, Villanovatulo, Villagrandestrisaili, Tonara, Aritzo, Belvì e Ilbono. Insieme sugli stessi binari con in testa un unico obiettivo: valorizzare le immense risorse storiche e il patrimonio ambientale unico che pulsa nel cuore della Sardegna.


Sardegnatavola

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nicredit punta sui prodotti sardi

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niCredit Group investe in Sardegna e fa sistema con idee e progetti per rilanciare la regione, mettendo in rete uomini e aziende di consolidato successo che sappiano “ascoltare e agire”, come ama riferire Antonio Muto, Responsabile di Territorio Area Centro. Dieci saggi con un presidente di Consiglio di Territorio Sardegna, Enrico Gaia, già presidente di Sardafidi, fresco di nomina.”Sono tutte personalità del mondo sociale, culturale e imprenditoriale – afferma Muto – che abbiamo coinvolto per abbracciare un piano di attività mirato a sostenere e rilanciare l’economia regionale”. E grande attenzione sarà rivolta al Turismo e all’agroalimentare con la creazione di corridoi diretti ed esclusivi con al-

I

cuni paesi dell’Est, a cominciare dalla Polonia, dove Unicredit ha particolare peso. “Nella dimensione imprenditoriale – rilancia Enrico Gaia – puntiamo su internazionalizzazione ed export ; su modernizzazione infrastrutturale del territorio; su sviluppo distretti, evoluzione filiere e reti d’impresa; infine su nuova imprenditoria e innovazione, oltre turismo ed agroalimentare”. “Ma ci sono anche la dimensione sociale - sottolinea Giuseppe Murgia , direttore Area Sardegna Sud – con l’educazione finanziaria per famiglie e imprese e il supporto a settori, aziende e famiglie in difficoltà, oltre a quella ambientale con la green economy”. In definitiva una struttura con linee guida strategiche ben definite che esalta i dieci saggi chia-

ncentivi per l’agricoltura

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a Giunta regionale ha detto sì agli incentivi proposti dall’assessore dell’Agricoltura Andrea Prato, destinati alle aziende che trasformano e commercializzano prodotti di qualità e alle Organizzazioni di produttori di diversi settori, lattiero-caseario, florovivaistico, cerealicolo, zootecnico e produzioni biologiche. Per il primo settore sono stati stanziati 200 mila euro, un incentivo per le imprese che hanno avviato un percorso di qualità orientato alla differenziazione delle produzioni agricole, con l’obiettivo di essere più competitivi sui mercati nazionale ed estero e allo stesso tempo garantire la qualità ai consumatori. Questi soldi serviranno per abbattere i costi fissi che le imprese devono sostenere nei confronti delle organizzazioni di controllo per partecipare ai sistemi di qualità alimentare. 297 mila euro invece andranno al secondo settore, quello delle 14 Organizzazioni del comparto non ortofrutta, sempre più importanti nel processo di sviluppo dell’agricoltura sarda, e serviranno ad incentivare l’aggregazione dei produttori, sostenendo le attività che rendano più efficace la commercializzazione dei prodotti.

mati da Unicredit a fare rete: Quirino Coghe, a.d. Sarda Affumicati srl; Paolo Contini, a.d. Azienda Vinicola Attilio Contini; Giangiacomo Ibba, presidente Crai; Romano Mambrini, presidente Remosa spa; Giuliano Mannu, dottore commercialista; Attilio Mastino, rettore università di Sassari; Giovanni Melis, rettore università Cagliari; Beniamino Moro, direttore dipartimento economia università Cagliari; Giovanni Sanna, amministratore delegato gruppo Sanna; Alberto Scanu, presidente Confindustria Sardegna Meridionale.


l’Isola del cibo

Maurizio Artizzu

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Sardegnatavola

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rekking urbano

uoro e Tempio Pausania sono entrate nel circuito del “Trekking urbano”, partecipando alla settima giornata nazionale del turismo lento, durante la quale è stato possibile visitare molte città d’arte italiane a piedi seguendo percorsi culturali gratuiti e divertenti. Il “Trekking urbano” è nato a Siena, lo stesso termine è una felice coniazione dell’assessore al Turismo di Siena Donatella Cinelli Colombini, ed è ormai una vera e propria moda: permette di visitare le città senza sottostare ai ritmi del turismo di massa, scoprendone arte, panorami e sapori autentici. È inoltre una nuova frontiera del turismo sostenibile e destagionalizzato, in quanto gli itinerari cittadini possono essere percorsi anche nei periodi in cui gli appassionati del trekking devono rinunciare alle passeggiate in campagna. Senza considerare i vantaggi sulla salute, per cui si pone come un’alternativa interessante e divertente alla palestra. Il tema di questa settima giornata è stato il “trekking in tutti i sensi”: percorsi che impegnassero, oltre alle gambe e agli occhi, anche naso, bocca, orecchie e dita, la mattina per i più piccoli e la sera per gli adulti, conclusi nei ristoranti dove i partecipanti hanno potuto assaporare le antiche pietanze locali.

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re Terre a Villacidro

sei anni dal suo completamento ha aperto il mercato rurale “Le tre terre” a Villacidro, che ospiterà il primo esperimento di commercio con filiera corta “a chilometri zero”. «Si è parlato tanto di accorciare la filiera per sostenere le aziende degli agricoltori, degli allevatori e degli artigiani del Medio Campidano. Il mercato rurale non è altro che la logica conclusione di quel virtuoso piano di lavoro», ha spiegato il presidente della provincia Fulvio Tocco, uno dei firmatari dell’accordo che ha dato il via alla sperimentazione del progetto, insieme al sindaco di Villacidro Ignazio Fanni e al presidente del Consorzio Industriale Giorgio Danza. La struttura del nuovo mercato, che si propone di far incontrare produttori locali e consumatori, ha un’area di 15.200 metri quadrati, di cui 3200 coperti, e un’area di vendita di ventiquattro box con cella frigo. Sarà la vetrina dei prodotti del Linas, del Campidano e

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ntica cucina sarda

a sesta edizione del Concorso internazionale di Antica Cucina Sarda, promossa dall’Associazione Donne al Traguardo e patrocinata dal sindaco di Cagliari, è stata vinta dalla torta di mandorle a tre piani (“Sa turta de is isposus”) della cagliaritana Maria Gabriella Pitzianti. La giuria e il pubblico riunito alla Vetreria di Pirri ne hanno decretato la vittoria per la cura e la fantasia delle decorazioni della torta, ricoperta di fiocchi e fiori di pasta di zucchero. Seconda classificata Elsa Nonnis di Pirri con i suoi “Spaghetti alle sardine” e terza Luisa Pani di Cagliari con la pecora alla campidanese. La sezione dedicata alle ricette dei sardi residenti all’estero “Ricette sarde dal mondo” è stata vinta da Daniele Cammarano di Sapri (Salerno) per i suoi Tordi al mirto. Tante anche

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della Marmilla, un’opportunità per valorizzare e promuovere il patrimonio agroalimentare e enogastronomico del Medio Campidano, «infatti l’abbiamo chiamato mercato rurale delle “Tre terre”», ha sottolineato il sindaco di Villacidro. Saranno commercializzati solo i prodotti delle aziende locali, alla cui base ci sono le materie prime del posto e che fanno parte della tradizione storica locale e il mercato aprirà solo in base alle richieste dei produttori.

le menzioni speciali: a “Su Filindeu” di Paolo Testa (Cagliari), alle cozze gratinate di Franca Gabba (Cagliari), a “Sa panada dulci de figu” di Manuela Secci di Vallermosa, a “Su succu” di Franca Gabba Zedda (Cagliari) e al “Cunillu a succhittu” di Maria Rita Arangino di Quartu S.E. La manifestazione si è conclusa con la presentazione del libro delle ricette in concorso e del corso permanente di cucina sarda organizzato dall’Associazione.


l’Isola del cibo

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arciofo spinoso

I

l Carciofo Spinoso di Sardegna si appresta ad ottenere il tanto atteso marchio DOP. La procedura prevede infatti sei mesi in cui uno Stato Membro o esterno può opporsi all’attribuzione del marchio decisa dalla CE a giugno. Intanto però diminuisce la superficie di terra coltivata con la Cynara Cardunculus a causa degli elevati costi di produzione e della contrazione dei consumi. Problemi e prospettive della filiera del carciofo sono state discusse di recente durante la giornata tecnica “Filiera della trasformazione del carciofo”: la soluzione proposta dalla Regione Sardegna e dall’Agenzia Laore è il Progetto Novagrimed, finalizzato alle produzioni per il mercato della trasformazione e che stimola l’innovazione in tutte le fasi della filiera.

S I

i beve meno

l 2010 è stato un anno nero per il vino sardo: ne è stato prodotto e bevuto meno. Il calo della produzione è tra i più gravi di sempre con soli 468 mila ettolitri, 15% in meno rispetto al 2009. Non è una tragedia se si pensa al vino invenduto che resta nelle cantine e alla qualità della produzione. Infatti il vino sardo è si meno, ma riconosciuto tra i più eccellenti con prestigiosi trofei. Ora bisogna capire se questa picchiata è solo una fase o un segnale di decadenza. In generale in Italia nel corso degli ultimi anni il vino è stato esportato di più. Questo perché il mercato interno è fermo e i consumi sono in netto calo: si è passati dai due bicchieri degli anni Settanta al mezzo attuale. Forse a causa di un cambiamento nello stile di vita, ma anche della massiccia presenza di altre bevande.

P M

reziosità a Quartu

usica, degustazioni e bancarelle di prodotti artigiani hanno accompagnato e accompagneranno lo shopping dei quartesi. L’esperimento fatto in via Marconi e viale Colombo ha funzionato e la manifestazione “Funghi e preziosità di Sardegna”, organizzata dall’associazione micologica Amesm e patrocinata dal Comune di Quartu, si riproporrà dopo Natale in tutte le zone della città. Nella scuola media di via Vespucci saranno allestite le mostre di funghi, piante ed erbe officinali, insieme alla mostra delle produzioni dei più famosi ceramisti locali. Un modo nuovo per riscoprire il piacere di passeggiare apprezzato da tutti, negozianti e cittadini.

T L

onno rosso

a ricerca scientifica potrebbe salvare la tradizione: la sperimentazione della riproduzione del tonno rosso in provetta è una delle possibili soluzioni al rischio estinzione della specie e, di conseguenza delle tonnare del Sulcis. La pesca indiscriminata del tonno rosso ha infatti costretto l’Unione Europea e il Governo a ridurre le quote-tonno, mettendo a rischio il futuro dell’antica tradizione. Ed ecco che la scienza risponde: una società di Cagliari, la Biotecnomares, sta sperimentando con successo la riproduzione dei tonni nella sua avannotteria in Puglia e si dice pronta a portare in Sardegna questa esperienza. Il progetto è quello di far riprodurre i tonni e trasferire i piccoli di 3 kg in grandi gabbie in mare aperto, per poi liberarne una parte per incrementare la specie e trattenere l’altra per la riproduzione. Le tonnare di Carloforte e Portoscuso, le uniche fisse in Europa, aspettano intanto il verdetto sulle quote-tonno, ma il consigliere regionale del Pd Pietro Cocco, primo firmatario di una proposta di legge per l’istituzione del Distretto del Tonno del Sulcis, assicura che i tagli non riguarderanno le tonnare sarde, dove si pratica un tipo di pesca selettiva.


Il trenino più gu IN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELL’ISOLA INCONTAMINATA DA MANDAS A SORGONO, UN TRIPUDIO DI COLORI E SAPORI IRRIPETIBILI

I

di Lorelyse Pinna

l viaggio sul Trenino Verde parte da Mandas: in questo paese al confine tra Campidano e Barbagia gli antichi binari della ferrovia sarda si biforcavano, andando ad ovest in direzione di Sorgono e ad est verso Tortolì. Proprio a Mandas iniziò il viaggio dello scrittore inglese D. H. Lawrence, che nel 1921 percorse in treno i Km che separano questo importante centro della Trexenta dal cuore dell’Isola. Oggi è possibile rivivere la sua esperienza nelle pagine del libro “See and Sardinia” e sulle carrozze antiche, che ancora corrono su quei tratti di linea a scartamento ridotto rendendoli ancora più suggestivi. Ma a Mandas vale la pena di fermarsi per il suo valore archeologico e paesaggistico. Intorno al paese sorgono infatti 40 nuraghi, tra i quali il complesso di “Su Angiu” è il più imponente: qui venne ritrovata la navicella di bronzo esposta al Museo Archeologico di Cagliari. Alla stessa epoca risale anche la tomba dei giganti di “Sa Ruina de su Procu”. Prima di salire sul Trenino perché non visitare anche il parco di “Acqua Bona”, una delle tante bellezze naturali di questa zona sulla sponda nordorientale del lago Mulargia, dove all’interno all’interno delle numerose gole scorrono ruscelli dalle acque limpidissime? Per chi fosse più interessato alla storia agropastorale del paese, c’è poi il Museo Comunale Etnografico “Is Lollasa ‘e is Aiaiusu”, dove si può tornare alla vita quotidiana delle campagne nei secoli scorsi, passeggiando comodamente tra le camere di due case contadine tipiche.

Mandas

Isili

Ripercorriamo allora il viaggio di Lawrence: la prima stazione che si incontra è quella di Isili, paese che da un altipiano domina le estese valli e colline che lo circondano. Il suo nome, secondo l’autore greco Pausania (II sec. d.C.) deriva da “Ilienses”, l’antica popolazione greca che vi si stabilì dopo la distruzione di Troia. In effetti le origini del paese sono molto antiche: le numerose “domus de janas” raccontano una storia che risale al Neolitico e a pochi metri dalla ferrovia si trova il nuraghe bianco di “Is Paras”, uno tra i meglio conservati del territorio. Le stesse case di Isili hanno un valore storico. La loro architettura è infatti quella tipica dei paesi ad economia agricola con ampi cortili a cui si accede da grandi portali costruiti ad arco, che in passato servivano per favorire l’ingresso delle attrezzature agricole all’interno delle “cortes”. Molto interessante è anche il Museo del Rame e del Tessuto che vi ha sede. E per chi fosse appassionato di cultura e tradizioni isolane è consigliata la visita del paese a giugno, quando si anima con musica e balli in costume tradizionale per la festa si San Giovanni Battista.

Nurallao

La stazione successiva è quella di Nurallao, che si trova in una

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Isili, lago Is Barrocus Foto di Bruno Atzori


ustoso che c’è

posizione panoramica sul paese. Il suo territorio è molto ricco dal punto di vista archeologico: vi si trovano diversi nuraghi, un importante tempio a pozzo e poco distante, in località Aiodda, è possibile visitare un’area archeologica con una tomba dei giganti e una serie di menhir. Molto suggestivi anche i paesaggi del parco “Funtana Is Arinus”, a nord del paese, dove tra boschi di querce, lecci e sughere, scorrono torrenti che formano cascate alte anche 20 metri. Il parco è teatro di alcune delle feste principali del calendario di Nurallao: nel periodo di Pasqua la sagra “Is Tallarinus Nuraddesusu”, durante la quale viene offerto ai visitatori il famoso piatto tipico locale, e poco dopo, a maggio, la festa di Sant’Isidoro, patrono dei contadini, e la sagra della pecora. Altro evento di notevole richiamo

è la Fiera Regionale della Musica, organizzata ogni terzo fine settimana di settembre per far conoscere o riscoprire il fascino della musica tradizionale sarda, accompagnata dalle degustazioni enogastronomiche.

Laconi

Arrivati a Laconi si viene subito colpiti dalle rovine del Castello di Aymerich, che sorgono immerse in un parco al centro del paese. Realizzato nella prima metà dell’Ottocento dall’architetto Gaetano Cima, il castello racchiude alcune parti più antiche: una torre che risale al 1053, una sala del XV secolo e un portale del Seicento. Particolare anche la roccia che circonda questo piccolo centro abitato al confine tra Mandrolisai e Barbagia, il cui nome sembra

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derivare proprio dal vocabolo locale “locane”, che significa appunto “confine”. Laconi vanta anche due musei, uno dedicato a Sant’Ignazio, a cui diede i natali nel 1701, allestito vicino alla parrocchiale cinquecentesca, il secondo è il Museo Civico, dove sono raccolte molte statue menhir in vario stato e di varie epoche, ospitato dal palazzo comunale.

Meana Sardo

La quarta tappa del viaggio è Meana Sardo, centro situato in posizione panoramica sotto il monte Sant’Elia, tra le montagne della Barbagia e le colline del Mandrilisai e del Sarcidano. Tra le case emergono i 30 me-

Meana Sardo, Sa Mola

tri della torre campanaria della chiesa di San Bartolomeo, edificata nel XVI secolo su un impianto più antico, di cui si hanno notizie nelle “Ratio Decimarum Sardiniae” del 1321. Durante la festa patronale di San Bartolomeo, il 24 agosto, è possibile ammirare la musica, gli abiti e le danze tradizionali del paese. Numerosi i reperti di epoca nuragica, tra i quali spiccano il “Nuraghe Nolza”, famoso per la pianta quadrilobata simile a quella di “Su Nuraxi” a Barumini., e il “Nuraghe Maria Incantada”. Presenti anche testimonianze di epoca romana e bizantina, come la fonte nella località di Polcilis e le tombe di “S’enna sa Pira” e “Laldà”. Ogni anno a giugno il paese si anima per la famosa sagra del formaggio, durante la quale si possono assaporare l’ottimo pecorino sardo e i diversi formaggi preparati secondo le più antiche tradizioni locali.

Belvì-Aritzo

La fermata successiva di Belvì-Aritzo segna l’inizio delle montagne della Barbagia. Il primo sorge sulla costa del monte “Genna de Crobu”, circon-

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dato di boschi di ciliegi, noccioli, noci, castagni, roveri, lecci e agrifogli. Questo piccolo centro, in passato considerato uno dei più importanti della zona, tanto da dare il nome a questa parte di Barbagia chiamata ancora oggi “di Belvì”, si sottomise tardi all’egemonia dei feudatari: fino al 1700 il suo governo venne affidato a rappresentante scelto tra i capofamiglia. Ospita il Museo di Scienze Naturali e Archeologia, sorto una quindicina d’anni fa per iniziativa di un gruppo di appassionati, tra cui un naturalista tedesco, vissuto per quasi dieci anni in paese. Aritzo è il centro di villeggiatura in montagna più conosciuto dell’Isola: da qui partono le gite verso il Gennargentu e l’alta valle del Rio Flumendosa, dove è possibile praticare la canoa. Anche questo paese mantenne a lungo la propria indipendenza per mezzo del privilegio, concessogli dai governi aragonese e spagnolo, di essere amministrato da persone del luogo scelte dalla popolazione stessa. Sopravvivono ancora alcune costruzioni di indiscusso valore architettonico e storico, come la Casa degli Arangino, di forme neogotiche, e la cosiddetta ‘’Prigione di Aritzo’’, imponente edificio seicentesco in pietra. Molte delle case conservano inoltre la facciata in pietra e i lunghi balconi tradizionali. Famoso in passato per il commercio della neve, mantiene viva ancora oggi la vocazione artigianale dei mobili in legno, le ‘’cascie’’ nuziali intagliate.

Tonara-Desulo

I binari proseguono tra i monti per fermarsi alla stazione di Tonara-Desulo. Il paese di Tonara è sorto alle pendici del Monte Mungianeddu dai suoi tre antichi rioni: Arasulè,


Museo della Statuaria Foto Archivio Museo della Statuaria, Laconi

Teliseri e Toneri. Probabilmente il nome dell’ultimo quartiere e quello del paese derivano dalla parola sarda “toneri”, che indica i torrioni calcarei presenti nella zona. È famoso per la produzione di torrone, la cui Sagra, il giorno di Pasquetta, richiama numerosi visitatori, dei campanacci per il bestiame e dei tappeti. Si può osservare il lavoro dei mastri ferrai e degli artigiani dei tappeti durante le sagre e nelle loro botteghe, dove vengono ancora prodotti secondo le antiche tradizioni locali. All’interno del paese si possono visitare l’antica Casa Porru, che un tempo alloggiava le carceri e la Fonte di Galusè, da cui sgorgano, insieme all’acqua, tanti aneddoti e leggende millenarie.

Sorgono

Desulo si trova sul lato occidentale del Gennargentu ed è anch’esso composto di tre antichi rioni: Ovolaccio, Issiria e Asuai, un tempo collegati da piccoli sentieri, ora invece uniti dalle nuove case sorte lungo la strada principale. Ognuno di questi ha mantenuto una propria identità e la manifesta orgogliosamente durante le sagre e le feste paesane. Una leggenda vuole che le antiche origini del paese siano legate alla parola “exul”, l’“esilio” degli abitanti di Calmedia, oggi Bosa, fuggiti dalle persecuzioni dei Goti nel IV secolo d.C. Qui ancora oggi molte donne indossano il costume tradizionale di orbace, decorato con ricami di colori vivaci. La bellezza della tradizione convive a Desulo con le bellezze naturali della vallata coperta di boschi di lecci e castagni e ricca di sorgenti.

Sorgono

Ed eccoci giunti al capolinea del viaggio di Lawrence: la stazione di Sorgono, capoluogo del Mandrolisai le cui origini si perdono nel tempo, risalendo addirittura all’epoca prenuragica. Agli appassionati di archeologia si consiglia la visita al sito di “Biru’e Concas”, tra i più suggestivi raggruppamenti di menhir di tutta la Sardegna. Il paese conserva inoltre i ruderi di un palazzotto seicentesco, Casa Carta, di una fonte pisana e, allontanandosi un poco dal centro abitato, si può ammirare uno dei santuari campestri più antichi dell’Isola: la chiesa di San Mauro, circondata dal tradizionale recinto delle “cumbessias”, gli edifici in cui riposavano i pellegrini, le cui iscrizioni si leggono ancora sulle pietre della chiesa. In questo territorio le testimonianze del passato hanno come sfondo una natura incontaminata, dove è ancora possibile vedere mufloni, volpi, cinghiali e donnole aggirarsi tra i lecci e i castagni, sotto lo sguardo di aquile reali e falchi pellegrini.

Aritzo

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DALLA PREISTORIA AI ROM

D

TAVO A CON I NOSTR

i fronte a una gustosa pizza, a un bel piatto di spaghetti al pomodoro e a un buon bicchiere di vino, vi è mai capitato di chiedervi quali fossero le pietanze e le bevande preparate e consumate dai nostri antenati? Ebbene, se ci catapultiamo indietro di millenni nell’epoca preistorica, dobbiamo subito pensare a un’era in cui l’uomo visse prevalentemente in condizioni durissime: egli infatti non sapeva né scaldarsi, né coprirsi ed era sottoposto a ogni gene-

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re di pericolo. La sua alimentazione si basava prevalentemente su raccolta, caccia e pesca, mangiando direttamente ciò che trovava a disposizione: semi, bacche, radici, frutti. Ed era nei ripari e nelle caverne naturali che l’uomo primitivo nascondeva il suo tesoro di bacche e radici. Quando l’uomo imparò a scheggiare le pietre, poté fabbricarsi i primi utensili e le prime armi per poter cacciare gli animali, da principio piccoli: marmotte, ghiri, serpenti, uccelli, topi, tartarughe; poi più grandi: cervi, daini, camosci. Nella preistoria la


Maurizio Artizzu

OMANI SINO AL MEDIOEVO

VOLA

Villasalto, lavorazione della pasta

RI ANTENATI fonte più grande di riserva di cibo e non solo era rappresentata dal mammut, enorme animale che poteva pesare fino a otto tonnellate. I cacciatori lo macellavano direttamente nel luogo in cui moriva e poi si dividevano la sua carne, le ossa, le zanne, i tendini, da cui si ricavavano solidi lacci, il grasso e la pelliccia. L’invenzione più grande nell’epoca preistorica fu rappresentata oltre che dalla scheggiatura della pietra, dalla scoperta del fuoco: finalmente l’uomo poteva scaldarsi, illuminare la caver-

di Valentina Caruso

na e cuocere il cibo. Per conservare la cacciagione, in genere si svuotava l’animale degli intestini che venivano sostituiti da pietre, poi venivano immersi nelle acque gelide di un torrente che li avrebbe mantenuti commestibili per molti mesi. I pesci venivano conservati affumicati. Ma è nel corso del Neolitico, precisamente tra i 10 mila e i 6 mila anni a.C., che si scatenò una vera rivoluzione: la nascita dell’agricoltura e l’addomesticamento degli animali. L’uomo

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A TAVOLA CON I NOSTRI ANTENATI 46

cominciò a lavorare la terra per produrre egli stesso i prodotti necessari al suo sostentamento. Con l’agricoltura, l’uomo divenne sedentario e iniziò a vivere in insediamenti stabili da lui fabbricati, non più nelle caverne. La prima conseguenza fu il rapido aumento della popolazione: la terra coltivata consentiva di sfamare un numero molto più elevato di persone. Coloro che si occupavano della raccolta, da principio di frutti e radici spontanei e successivamente di orzo e grano coltivati, erano le donne: la conservazione di derrate costituiva la riserva alimentare per tutto l’anno e al momento opportuno il grano e l’orzo raccolti venivano pestati con macine e pestelli allo scopo di ridurli in farina e infine cuocerli. Le prime culture che segnarono il progresso erano stanziate nell’attuale area nord-africana e mediorientale; tra queste le civiltà semitiche dei Fenici e degli Ebrei. Presso queste popolazioni, il cibo, era consacrato da una preghiera prima e dopo il pasto. Quest’ultimo era molto povero: alla base vi era il pane, accompagnato da fave e lenticchie, pesce e frutta abbondante. La carne era considerata un alimento di lusso, per cui se ne consumava pochissima e veniva cucinata dopo essere stata totalmente dissanguata, in quanto si riteneva che nel sangue dell’animale vi fosse l’anima che pertanto


Maurizio Artizzu

non doveva essere ingerita. Tra le norme valide tuttora per gli ebrei praticanti, vi era la proibizione di consumare carne di maiale, probabilmente derivata da norme igieniche, in quanto i suini, nei paesi caldi, erano portatori di gravi malattie. Ma fu nelle epoche successive che il ruolo del banchetto divenne centrale nella società aristocratica: momento di aggregazione e di affermazione del proprio status. Avete presente la celebre frase del poeta Alceo (VII-VI secolo a.C.), poi ripresa in epoca latina dal poeta Orazio (I secolo a.C.), “nun bubendum est”-“Ora si deve bere”? Essa fu espressa proprio durante il brindisi all’interno di un simposio, in seguito alla morte del tanto odiato tiranno Mirsilo, grande nemico di Alceo. In Grecia il banchetto comprendeva due momenti: all’inizio si mangiava, insieme a dei cereali, la carne di un animale prima sacrificato a una divinità; poi si beveva una miscela di vino e acqua consacrata a Dioniso, dio dell’ebbrezza. Il primo era dunque un momento sacro rivolto agli dei; la seconda fase era caratterizzata dal simposio, il bere insieme, che costituisce il vero momento sociale svolto secondo precise regole fatte osservare dal simposiarco, il capo del banchetto. Occorreva seguire un preciso ordine di libagioni da offrire agli dei, un preciso grado di miscelazione di vino e acqua nel cratere, (grosso vaso in cui si mescolava vino e acqua e da cui si attingeva con coppe per i singoli commensali), la circolazione delle coppe tra gli invitati e la possibilità di prendere parola. Gli uomini si sdraiavano su divani disposti intorno alla sala del banchetto, l’andròn, ossia la stanza degli uomini. Ogni letto aveva accanto un tavolino con piatti e coppe. Durante il simposio si svolgevano altre attività, tra le quali giochi, musica, canti, recitazione o improvvisazione di poesie. I Greci che vi partecipavano appartenevano tutti allo stesso gruppo sociale. Si poteva discutere di argomenti seri e non, quali politica, amore, guerra e amicizia. In epoca romana occorreva fare distinzione tra i Romani della prima Repubblica che si vantavano di mangiare poco e in modo semplice e frugale e i Romani della tarda Repubblica, ma soprattutto di epoca imperiale. Il banchetto divenne un momento non soltanto di appagamento per la gola, ma anche momento di esibizione delle proprie ricchezze, i convivi divennero così lussuosi che il senato promulgò alcune leggi contro il lusso allo scopo di contenerli. Il convito si svolgeva in una sala arredata da divani ricurvi, i triclini, su cui i Romani come i Greci, mangiavano semisdraiati. Ogni commensale portava con sé uno schiavo allo scopo di essere da lui servito e spesso anche un tovagliolo per avvolgere gli avanzi di cibo da consumare il giorno dopo. Il tovagliolo non veniva quindi usato al fine di pulirsi la bocca o le mani: per questo venivano utilizzate coppe d’acqua profumata. Non esisteva il sapone e per una pulizia efficace veniva adoperato l’olio di oli-

va mescolato con crusca, sabbia, cenere o pomice. Non esistevano nemmeno posate e tovaglie, ma veniva impiegato un ricchissimo vasellame in oro e argento, di varie forme. Alla base delle pietanze di questi ricchi banchetti vi era il pesce, ma anche la carne era molto apprezzata, specie se di animali rari come cicogne, pavoni, pappagalli. Il condimento era costituito da olio, aceto, menta, mosto e una salsa speciale detta garum, a base di pesce macerato. Unico dolcificante noto era il miele, che veniva quindi usato in larga quantità. A questo punto sarete curiosi di sapere quali fossero le pietanze preparate dai romani, ecco qui un ricco menù romano: tra gli antipasti figuravano pesci salati e uova, mammelle di scrofa farcite, funghi bolliti in salsa di pesce, ricci di mare alle spezie con miele e olio. Tra i piatti principali trovavano posto arrosto di daino con salsa di cipolla, rabarbaro, datteri, uva secca, olio e miele; struzzi bolliti con salsa dolce; ghiri farciti con pinoli; prosciutto bollito con fichi e cotto in crosta di miele; fenicotteri bolliti ai datteri. Infine, tra i dolci, erano apprezzati fricassea di rose in crosta e datteri snocciolati farciti con pinoli fritti nel miele. Non dobbiamo dimenticarci che la stragrande maggioranza della popolazione era costituita da persone non abbienti e che la loro alimentazione era costituita prevalentemente da pane non lievitato, adatto a essere conservato a lungo; minestre di legumi, pesce salato e raramente carne ovina e suina. Un’ultima considerazione va espressa in merito all’età medievale: tale epoca non fu tra le più felici e infatti, larghissimi strati di popolazione erano rappresentati da persone povere e talmente denutrite che la fame era spesso causa di morte. La loro alimentazione era costituita da verdure, frutta, lardo, formaggi e uova che venivano conservate sode. I ricchi invece si nutrivano in modo vario e abbondante: selvaggina (dove figurano anche gru e cigni), prodotti della pesca, specialmente di acqua dolce, in particolare le anguille e il miele. Alla base dell’alimentazione rimaneva comunque il pane. Per quanto riguarda le bevande, al primo posto nel consumo europeo troviamo la birra, il vino e il sidro, prodotto dalla fermentazione delle mele. Agli Arabi si dovette l’invenzione della distillazione dell’alcool (utilizzato per scopi medici); l’invenzione del sapone, composto da olio di oliva e carbonato di sodio (ricavato dalle ceneri di piccoli arbusti) con aggiunta di essenze profumate; l’introduzione in Europa della coltura del riso e della canna da zucchero. Caffè, cacao, pomodori e patate non erano ancora conosciuti; fu solo dopo la conquista delle Americhe, alla fine del Medioevo, che si iniziò a impiegare questi alimenti nella cucina del vecchio continente. Ed ora non resta che invitare voi lettori a cimentarvi nella preparazione di un “pranzo antico”, augurandovi buon appetito.

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ivere la campagna La Provincia del Medio Campidano è impegnata a difendere e valorizzare le biodiversità del territorio al fine di tutelare l’identità locale e la salubrità del territorio. Il progetto “Vivere la Campagna”, coinvolge 750 agricoltori per una superficie coltivata di 2000 ettari. L’obbiettivo è quello di valorizzare il “prodotto del territorio”, investendo sulle diverse potenzialità di sviluppo. I piani di valorizzazione prevedono interventi finanziari diretti che ,seppur piccoli, possono mantenere in attivo le microimprese del territorio. I bandi hanno riguardato prodotti come gli asparagi, lo zafferano, il suino a razza sarda e il miele, capaci di potenziare la tradizionale cultura agroalimentare sarda.

Provincia del MEDIOCAMPIDANO



ra O gli agriturismo

avranno regole e un albo LA STORICA BATTAGLIA DEL NOSTRO GIORNALE A FAVORE DEI PRODOTTI SARDI, FIN DAGLI ANNI ‘80, A NUOVE SENSIBILITÀ 1

D’

ora in poi solo prodotti sardi sulle tavole degli agriturismo. Questa la nuova disposizione resa nota dall’assessore dell’Agricoltura Andrea Prato insieme allo stato dei pagamenti del Piano di sviluppo rurale e degli aiuti previsti dalla legge 3. La Regione aveva già istituito l’elenco dei fornitori a cui gli agriturismo avrebbero dovuto rivolgersi e a breve sarà aperto il bando con cui produttori e trasformatori vi si potranno iscrivere. Un intervento significativo sul fronte della difesa dei prodotti tipici: le strutture infatti potranno rivolgersi alla grande distribuzione solo per ciò che non riescono a produrre in proprio o che non risulti prodotto da alcuna azienda iscritta all’Albo, che riunirà aziende di produzione agricola e agroalimentare, di tipo agricolo e artigianale singole o associate e imprese di trasformazione per la sola fornitura di prodotti di qualità certificata. «L’Albo, che sarà tenuto e aggiornato dall’Agenzia Laore, sarà uno strumento

decisivo sia per il mondo agricolo sardo che per il cliente degli agriturismo», ha affermato l’assessore Prato, «l’obiettivo è che nel sistema agrituristico isolano si utilizzino solo prodotti locali». E ciò sarà garantito dal sistema di controlli che partirà con l’entrata in vigore della legge. In partenza anche i pagamenti per le aziende agro-pastorali che beneficiano degli aiuti previsti dalla legge 15/2010 per l’aggregazione di allevatori per il latte di qualità. E quelle rimaste fuori per vizi o errori di forma nelle domande presentate, potrebbero essere riammesse grazie a un nuovo bando e all’arrivo di altri 4 milioni di euro, che si aggiungeranno ai 16 già messi in campo. Per il Piano di sviluppo rurale sono invece già in via di liquidazione 30 milioni di euro, concentrati soprattutto sulle misure dell’Asse 2, ossia sul Miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale, le più attese dal comparto: Benessere degli animali, Indennità compensativa, Agro-ambiente, Forestazione. Sono stati sbloccati inoltre i finanzia-

menti previsti sull’Asse 1, Miglioramento della competitività in agricoltura, grazie a un’intesa con l’Abi che faciliterà l’accesso ai mutui. Per il “Sostegno del comparto cerealicolo” è previsto un piano di rilancio, «che sarà anche un piano di rilancio del comparto zootecnico, nell’ottica di un rispetto integrale della filiera produttiva che debba fare attenzione anche alla provenienza del mangime», ha annunciato Prato, che ha spiegato: «Se si incentiva il pascolo naturale si abbassa la quota dei mangimi con il triplice vantaggio: meno costi per l’azienda, il benessere dell’animale e la qualità del prodotto».


Da Severino Il vecchio

La tradizione è servita VIA KENNEDY, 1 - ORTACESUS (CA) - TEL. 070 9804197

GHIANI



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