Viamare (N. 29)

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Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea

Spedizione in Abb. Post. - 45% - Art. 2 comma 20/b legge 662/96

· speciale MEDITERRANEITÀ ·

1,00 €

IS FIGUREDDAS DE BRONZU E SU MARI ISPANTOSU

+ IL DIAVOLO VIENE DAL MARE +

L’INSULARITÀ COME RISORSA

IL PERIPLO DELL’ISOLA

LA SARDEGNA, CROCEVIA DI POPOLI E CIVILTÀ


GRAFICHE GHIANI


Giornale di bordo La nostra mediterraneità e Giovanni Lilliu

Giorgio Ariu, direttore di ViaMare

Spedizione in Abb. Post. - 45% - Art. 2 comma 20/b legge 662/96

1,00 €

IS FIGUREDDAS DE BRONZU E SU MARI ISPANTOSU

+ +

IL DIAVOLO VIENE DAL MARE

L’INSULARITÀ COME RISORSA

IL PERIPLO DELL’ISOLA

LA SARDEGNA, CROCEVIA DI POPOLI E CIVILTÀ

FOTO DI COPERTINA G. Molinari

· speciale MEDITERRANEITÀ ·

ANNO VI, NUMERO 29

®

Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea

La Sardegna ha avuto un destino dalla storia davvero speciale. Sempre sotto il dominio straniero eppure sempre in piedi, un miracolo autentico. Per questo la nostra isola è rimasta una “Terra marginale”, per dirla con l’Accademico dei Lincei Giovanni Lilliu: «Una terra diversa, po su caratteri morali, antagonista e arrebbellu, po s’istintu de frontiera». In questo numero speciale, tutto dedicato alla mediterraneità della nostra Terra, l’insigne storico e archeologo narra l’antico rapporto dei sardi con il mare. Due straordinari ed esclusivi servizi attorno alla storia di Sardegna, alla «subcultura de sa violentzia», ad un «sardismu proibiu, unu processu mannu, ideologicu, politicu e de cultura, nasciu ses sèculus ainnanti de Cristus», per celebrare l’ultranovantenne scienziato, gloria della Sardegna in tutto il mondo, che ha voluto accompagnare da subito la missione di questo Giornale attorno alla cultura mediterranea dell’isola e alla risorsa mare. «Unu mari ispantosu», l’unicità, l’incanto del mare di Sardegna e i mille attraversamenti di popoli e di culture sono raccontati in Lingua Sarda da Giovanni Lilliu in questo numero monotematico, da collezionare come bene prezioso, per alimentare la consapevolezza dell’essere una Terra Diversa e per capire perché nei secoli «su tiàulu benit de su mari», «il diavolo venne dal mare».

DIRETTORE RESPONSABILE Giorgio Ariu IN REDAZIONE Simone Ariu, Maurizio Artizzu, Lorelyse Pinna, Antonella Solinas REDAZIONE GRAFICA E IMPAGINAZIONE GIA SCRITTI Antonello Angioni, Barbara Cadeddu, Lucio Deriu, Paolo Fadda, Giovanni Lilliu FOTO Danilo Anedda, Simone Ariu, Maurizio Artizzu G. Molinari, Nino Muggianu CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀ GIA Comunicazione Tel. 070 728214 - giorgioariu@tin.it

PREMIO EUROPA PER L’EDITORIA Premio Editore dell’Anno per l’impegno sociale e la valorizzazione della cultura sarda

REDAZIONE E CENTRO DI PRODUZIONE via Sardegna, 132 - 09124 Cagliari (Italy) Tel. 070 728356 - giorgioariu@tin.it www.giacomunicazione.it - facebook.com/giacomunicazione STAMPA E ALLESTIMENTO Grafiche Ghiani DISTRIBUZIONE Agenzia Fantini (Cagliari-Olbia) Registrazione Tribunale di Cagliari n. 18/05 del 14 giugno 2005 / Marchio depositato numero CA2005C000191 Vietata la riproduzione, anche parziale, di foto, testi e soluzioni creative presenti nella rivista. Sped. in abbonamento postale (45%, art. 2, comma 20/b, legge 662/96) ViaMare

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L

ucien Febvre affermava l’esistenza di due tipi di isole: l’isola-crocevia, nella quale le correnti di civiltà si incontrano e talvolta si scontrano ma comunque si misurano, e l’isoladeposito che per definizione resta ai margini delle grandi correnti che quasi la evitano. E - per spiegare in concreto la distinzione - precisava che, mentre la Sicilia era un’isola-crocevia, la Sardegna era un’isola-deposito: un luogo della perifericità e dell’isolamento non solo geografico ma anche storico e culturale. L’affermazione, nella sua assolutezza, esprime una grande verità ma - al tempo stesso - risente anche di una notevole approssimazione. La Sardegna infatti non è stata sempre così isolata e remota come si è portati a pensare. Il mare, già prima che i mercanti fenici vi approdassero, aveva traghettato genti e popoli di altri lidi, innescando i germi di diverse culture. Gli archeologi ci informano che gli antichi abitatori della Sardegna entrarono in contatto con popoli anche assai lontani: si pensi che le prime testimonianze della presenza nell’Isola dell’ambra del Baltico risalgono al XIII secolo a.C. I nuraghi, le possenti torri tronco-coniche realizzate con enormi massi di pietra, se per un verso costituiscono

l’espressione del carattere “originale” della più antica cultura materiale dei sardi, d’altro canto, partecipano a quel ciclo del megalitismo e della grande statuaria in pietra che, a partire dal IV-III millennio a.C., si diffonde un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo e che trova importanti tracce nella cultura minoica e micenea. La Sardegna, in quell’alba della nostra civiltà, era dunque meno “chiusa” di quanto si possa supporre. Anche l’altra grande manifestazione architettonica “originale” della Sardegna - vale a dire il romanico delle basiliche che tuttora segnano le grandi solitudini delle nostre campagne - in realtà è meno autoctona di quanto si possa pensare posto che i monaci dei diversi ordini benedettini, che si insediarono nelle nostre vallate grazie alla benevolenza dei giudici, esprimevano una cultura ed una sensibilità maturate altrove. Dunque isola-deposito ma anche isola-crocevia per riprendere la distinzione cara a Febvre. In altri termini, per i sardi, l’insularità non è stata solo isolamento. Il paesaggio, infatti, è caratterizzato dai segni di molte civiltà che si manifestano nella lingua, negli usi e nelle tradizioni: nella dolce melodia delle launeddas, nei preziosi costumi, nelle filigrane dei gioielli, nei modi di dire, nelle archi-

G. MOLINARI

Vecchia incisione sul bombardamento di Cagliari, 1793

tetture, nella religiosità e nell’ospitalità delle genti. Un paesaggio contrassegnato da ampie solitudini, spesso sospeso tra la bellezza contadina e le scogliere a picco sul mare, dove i bianchi cisti e la rosa erica in fiore si alternano ai campi di grano e agli uliveti. Una terra antica fatta di pastori, contadini e minatori; di strade polverose che si concludono in lussureggianti vigneti o in casolari sperduti. Potrà sembrare un paradosso ma, per conoscere meglio la Sardegna, bisogna superare i suoi confini, varcare il mare, uscire non solo fisicamente - attraverso il viaggio - ma anche con la dimensione dello spirito e con la ricerca di nuovi itinerari culturali. Solo uscendo dall’Isola infatti è possibile verificare la specialità e apprezzarla davvero. Nivola è andato in America per vedere e capire meglio la Sardegna: le sue sculture sono “sarde” ma, al tempo stesso, partecipano della civiltà del mondo intero. E anche Sciola - altro artista autenticamente “sardo” - ha viaggiato molto ed ha potuto cogliere il senso della specialità attraverso il confronto con le altre culture. Il Mediterraneo - come ha efficacemente dimostrato Fernand Braudel ha costituito nel corso dei secoli non solo il teatro privilegiato di conflitti, razzie e scontri epocali (si pensi alla


feroce battaglia di Lepanto che vide la partecipazione degli archibugieri sardi sotto i vessilli cristiani di don Giovanni d’Austria) ma anche uno straordinario spazio di convivenze pacifiche e operose tra molteplici identità politiche e culturali. Il convergere dei tre vecchi continenti - l’Africa, l’Asia e l’Europa - ha modellato la sua vocazione di croNome Cognome Antonello Angioni cevia di popoli e civiltà. E’ stato il Mediterraneo a veicolare, a partire dal VII-VI millennio a.C., da Oriente a Occidente, la prima grande rivoluzione agricola e, dopo qualche millennio, il megalitismo - di cui ancora oggi restano importanti tracce - e poi, partendo dalle coste e dalle isole della Grecia, la filosofia (l’amore del sapere) e con essa la dialettica, il confronto tra le opinioni, che sta alla base della democrazia e del diritto (espressione dell’esigenza di regolare il complesso agire umano). Nelle terre che si affacciano sul Mediterraneo hanno avuto origine le tre grandi religioni monoteiste: il cristianesimo, l’ebraismo e l’islam. Il Mediterraneo peraltro non è solo il mare delle grandi civiltà del passato. Ancora oggi il mare nostrum si pone come uno spazio di dialogo e di cooperazione, indispensabile banco di prova per pacifiche convivenze tra identità culturali, politiche e religiose diverse. E’ uno dei terreni privilegiati ove possono svolgersi i grandi processi di integrazione e unificazione continentale e planetaria. Questo grande mare - illuminato dai “fari” delle città storiche (Atene, Alessandria, Barcellona, Bisanzio, Genova, Venezia, Napoli, Siracusa, Cagliari e tante altre che vantano ricchi patrimoni di tradizioni e di cultura) - può ancora oggi dare molto alla Sardegna ed alla sua capitale. Cagliari è città antichissima. La sua posizione baricentrica nel Mediterraneo e l’accessibilità del sito ne fecero un approdo sicuro sin dall’antichità classica. Ma non solo: la città storicamente ha ricollegato il diffondersi della vita commerciale e mercantile allo sviluppo del porto e viceversa. Però il mare è stato sempre visto dai cagliaritani quasi come un limite, il luogo in cui la terra si conclude e la vita scompare restando assorbita dal nulla. Occorre compiere una mutazione profonda, capovolgere la prospettiva. La riviera è una linea di confine geografico - tra la terra emersa e le acque - dove inizia

la via della comunicazione vera, quel-

la che le realtàe economiche La Sardegna, crocevia diunisce popoli civiltàe le

diverse e lontane. E’ nel porto La Sardegna, croceviaculture di popoli e civiltà

e di culture, fattore in grado di dare un insostituibile contributo allo sviluppo urbano. Bisogna operare in maniera decisa per far acquisire al porto cagliaritano un ruolo di primaria importanza nei traffici del Mediterraneo. Gli amministratori e i cittadini, insieme al mondo della cultura e delle professioni, dovranno misurare le capacità di riflessione e di proposta su un moderno progetto di sviluppo della città, in sinergia con l’area portuale, che si qualifichi non solo per una proiezione verso gli spazi e i mercati esterni - secondo i modelli più avanzati delle economie di trasformazione - ma anche per la ricerca di un legame forte ed integrato con la città ed il territorio circostante.

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Gianni Piludu

L’insularità come risorsa L’insularità come risorsa dunque che, in primo luogo, si misura la capacità di apertura e di dialogo della città con l’esterno. Estrema importanza riveste dunque il rapporto tra l’area portuale e la città di Cagliari. Lo spazio portuale dovrà sempre più integrarsi col resto della città e dotarsi di servizi, punti d’incontro e ristoro, attrezzature. Dovrà andarsi verso la graduale sistemazione del vasto litorale che, senza soluzione di continuità, si sviluppa dal Poetto sino a Giorgino. Il rafforzamento della collaborazione tra Comune e Autorità Portuale di Cagliari é indispensabile. Al fine di creare uno sviluppo vero e permanente occorre ripristinare la comunicazione profonda tra la città e il porto, continuo traghettatore di genti


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ucien Febvre affermava l’esistenza di due tipi di isole: l’isola-crocevia, nella quale le correnti di civiltà si incontrano e talvolta si scontrano ma comunque si misurano, e l’isoladeposito che per definizione resta ai margini delle grandi correnti che quasi la evitano. E - per spiegare in concreto la distinzione - precisava che, mentre la Sicilia era un’isola-crocevia, la Sardegna era un’isola-deposito: un luogo della perifericità e dell’isolamento non solo geografico ma anche storico e culturale. L’affermazione, nella sua assolutezza, esprime una grande verità ma - al tempo stesso - risente anche di una notevole approssimazione. La Sardegna infatti non è stata sempre così isolata e remota come si è portati a pensare. Il mare, già prima che i mercanti fenici vi approdassero, aveva traghettato genti e popoli di altri lidi, innescando i germi di diverse culture. Gli archeologi ci informano che gli antichi abitatori della Sardegna entrarono in contatto con popoli anche assai lontani: si pensi che le prime testimonianze della presenza nell’Isola dell’ambra del Baltico risalgono al XIII secolo a.C. I nuraghi, le possenti torri tronco-coniche realizzate con enormi massi di pietra, se per un verso costituiscono

l’espressione del carattere “originale” della più antica cultura materiale dei sardi, d’altro canto, partecipano a quel ciclo del megalitismo e della grande statuaria in pietra che, a partire dal IV-III millennio a.C., si diffonde un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo e che trova importanti tracce nella cultura minoica e micenea. La Sardegna, in quell’alba della nostra civiltà, era dunque meno “chiusa” di quanto si possa supporre. Anche l’altra grande manifestazione architettonica “originale” della Sardegna - vale a dire il romanico delle basiliche che tuttora segnano le grandi solitudini delle nostre campagne - in realtà è meno autoctona di quanto si possa pensare posto che i monaci dei diversi ordini benedettini, che si insediarono nelle nostre vallate grazie alla benevolenza dei giudici, esprimevano una cultura ed una sensibilità maturate altrove. Dunque isola-deposito ma anche isola-crocevia per riprendere la distinzione cara a Febvre. In altri termini, per i sardi, l’insularità non è stata solo isolamento. Il paesaggio, infatti, è caratterizzato dai segni di molte civiltà che si manifestano nella lingua, negli usi e nelle tradizioni: nella dolce melodia delle launeddas, nei preziosi costumi, nelle filigrane dei gioielli, nei modi di dire, nelle archi-

Vecchia incisione sul bombardamento di Cagliari, 1793

tetture, nella religiosità e nell’ospitalità delle genti. Un paesaggio contrassegnato da ampie solitudini, spesso sospeso tra la bellezza contadina e le scogliere a picco sul mare, dove i bianchi cisti e la rosa erica in fiore si alternano ai campi di grano e agli uliveti. Una terra antica fatta di pastori, contadini e minatori; di strade polverose che si concludono in lussureggianti vigneti o in casolari sperduti. Potrà sembrare un paradosso ma, per conoscere meglio la Sardegna, bisogna superare i suoi confini, varcare il mare, uscire non solo fisicamente - attraverso il viaggio - ma anche con la dimensione dello spirito e con la ricerca di nuovi itinerari culturali. Solo uscendo dall’Isola infatti è possibile verificare la specialità e apprezzarla davvero. Nivola è andato in America per vedere e capire meglio la Sardegna: le sue sculture sono “sarde” ma, al tempo stesso, partecipano della civiltà del mondo intero. E anche Sciola - altro artista autenticamente “sardo” - ha viaggiato molto ed ha potuto cogliere il senso della specialità attraverso il confronto con le altre culture. Il Mediterraneo - come ha efficacemente dimostrato Fernand Braudel ha costituito nel corso dei secoli non solo il teatro privilegiato di conflitti, razzie e scontri epocali (si pensi alla


feroce battaglia di Lepanto che vide la partecipazione degli archibugieri sardi sotto i vessilli cristiani di don Giovanni d’Austria) ma anche uno straordinario spazio di convivenze pacifiche e operose tra molteplici identità politiche e culturali. Il convergere dei tre vecchi continenti - l’Africa, l’Asia e l’Europa - ha modellato la sua vocazione di crocevia di popoli e civiltà. E’ stato il Mediterraneo a veicolare, a partire dal VII-VI millennio a.C., da Oriente a Occidente, la prima grande rivoluzione agricola e, dopo qualche millennio, il megalitismo - di cui ancora oggi restano importanti tracce - e poi, partendo dalle coste e dalle isole della Grecia, la filosofia (l’amore del sapere) e con essa la dialettica, il confronto tra le opinioni, che sta alla base della democrazia e del diritto (espressione dell’esigenza di regolare il complesso agire umano). Nelle terre che si affacciano sul Mediterraneo hanno avuto origine le tre grandi religioni monoteiste: il cristianesimo, l’ebraismo e l’islam. Il Mediterraneo peraltro non è solo il mare delle grandi civiltà del passato. Ancora oggi il mare nostrum si pone come uno spazio di dialogo e di cooperazione, indispensabile banco di prova per pacifiche convivenze tra identità culturali, politiche e religiose diverse. E’ uno dei terreni privilegiati ove possono svolgersi i grandi processi di integrazione e unificazione continentale e planetaria. Questo grande mare - illuminato dai “fari” delle città storiche (Atene, Alessandria, Barcellona, Bisanzio, Genova, Venezia, Napoli, Siracusa, Cagliari e tante altre che vantano ricchi patrimoni di tradizioni e di cultura) - può ancora oggi dare molto alla Sardegna ed alla sua capitale. Cagliari è città antichissima. La sua posizione baricentrica nel Mediterraneo e l’accessibilità del sito ne fecero un approdo sicuro sin dall’antichità classica. Ma non solo: la città storicamente ha ricollegato il diffondersi della vita commerciale e mercantile allo sviluppo del porto e viceversa. Però il mare è stato sempre visto dai cagliaritani quasi come un limite, il luogo in cui la terra si conclude e la vita scompare restando assorbita dal nulla. Occorre compiere una mutazione profonda, capovolgere la prospettiva. La riviera è una linea di confine geografico - tra la terra emersa e le acque - dove inizia

la via della comunicazione vera, quella che unisce le realtà economiche e le culture diverse e lontane. E’ nel porto dunque che, in primo luogo, si misura la capacità di apertura e di dialogo della città con l’esterno. Estrema importanza riveste dunque il rapporto tra l’area portuale e la città di Cagliari. Lo spazio portuale dovrà sempre più integrarsi col resto della città e dotarsi di servizi, punti d’incontro e ristoro, attrezzature. Dovrà andarsi verso la graduale sistemazione del vasto litorale che, senza soluzione di continuità, si sviluppa dal Poetto sino a Giorgino. Il rafforzamento della collaborazione tra Comune e Autorità Portuale di Cagliari é indispensabile. Al fine di creare uno sviluppo vero e permanente occorre ripristinare la comunicazione profonda tra la città e il porto, continuo traghettatore di genti

e di culture, fattore in grado di dare un insostituibile contributo allo sviluppo urbano. Bisogna operare in maniera decisa per far acquisire al porto cagliaritano un ruolo di primaria importanza nei traffici del Mediterraneo. Gli amministratori e i cittadini, insieme al mondo della cultura e delle professioni, dovranno misurare le capacità di riflessione e di proposta su un moderno progetto di sviluppo della città, in sinergia con l’area portuale, che si qualifichi non solo per una proiezione verso gli spazi e i mercati esterni - secondo i modelli più avanzati delle economie di trasformazione - ma anche per la ricerca di un legame forte ed integrato con la città ed il territorio circostante.

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Il Po

Cartoline da

A cura di Bru

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Poetto da Cagliari

Bruno Puggioni

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La riscoperta della risorsa mare

Cultura e razza mediterranee Paolo Fadda

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“M

editerranea” è il nome d’una rivista pubblicata a Cagliari, in anni ormai lontani e dimenticati e con la direzione di Antonio Putzolu e di Dionigi Scano, che intendeva testimoniare e raccontare – in chiave storico-culturale prima ancora che politica – l’auspicato rinascimento sociale ed economico dell’isola, coniugandolo con la riscoperta del suo ruolo d’avamposto d’italianità su quello che era stato il mare nostrum degli antichi romani. La rivista, espressione e prodotto della migliore intellighentzia cagliaritana di allora (che, a tempo perso, indossava pure la camicia nera), avrebbe interpretato, con scritti di un certo spessore intellettuale, l’opinione di quanti ritenevano possibile il riscatto della gente di Sardegna – con i cagliaritani come alfieri – attraverso più stretti legami con gli altri popoli che s’affacciavano sullo stesso mare. Si trattava, in concreto, della riscoperta del Mediterraneo (con i suoi valori e le sue potenzialità) contrapponendola alle tante opzioni montagnine e pastorali con cui, fin da allora, s’andava compitando l’ideologia della sarditudine, quasi fosse sinonimo di solitudine e di isolamento. Da un mare visto da sempre come portatore di pericoli o come barriera invalicabile, s’intendeva portare avanti una nuova tesi. Proponendolo come “porta” verso l’esterno e spazio aperto da conquistare e non da temere. Opinioni che erano in sé rivoluzionarie per un’isola che era vissuta autarchicamente chiusa in sé stessa, e che era sempre rimasta “isola” non solo per la geografia, ma anche per la storia, l’arte e l’economia. Con “Mediterranea”, quindi, s’era inteso presentare un’apertura culturale nuova, più moderna per prospettive e per interessi individuati. Nella consapevolezza che quel mare dovesse essere considerato come patrimonio e

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strumento di progresso, come un’importante strada di collegamento e di legame con altri popoli e con altri mercati. Così com’era stato un tempo per le repubbliche marinare. Va ricordato come fossero rimaste sempre presenti, nella memoria collettiva dei cagliaritani, le storie e le leggende dei pericoli e dei disastri che quel mare, con i suoi umori ed i suoi padroni mutevoli, aveva arrecato alla città ed ai suoi abitanti. Tanto da far sì che nella tradizione religiosa della città, ancor oggi continuino ad essere privilegiati, con preghiere e venerazione, i santi e le madonne più disponibili a dare aiuti e protezioni contro i pericoli (non solo atmosferici come le tempeste e le burrasche) di quel mare sempre pronto a divenire infido. Quella rivista (che anche nella sua testata si contrapponeva all’altra, anch’essa cagliaritana e coeva, dedicata a “il nuraghe”, mitica fortezza in di-

Cala Goloritzé

fesa della sarditudine) riteneva necessario diffondere quella che si potrebbe chiamare “la cultura del mare”, cioè la consapevolezza che su quella superficie marina che circonda e chiude l’isola, e la divide e l’allontana dalle altre terre, si poteva e si doveva “navigare” verso le sponde del progresso della Sardegna. Avventurandosi, quindi, coraggiosamente per mare, senza chiudersi nei propri nuraghi. Sembrerebbe, con il senno dell’oggi, un’intuizione lapalissiana (perché mare e isola sono destinati a vivere geograficamente in simbiosi), ma a scorrere anche gli scritti ed i documenti di allora s’avverte la portata quasi sconvolgente di quest’indirizzo “marinaro”. La stessa rivista avrebbe avvertito il peso di questa responsabilità, tanto che per i primi anni “Mediterranea” avrebbe avuto il sottotitolo “rivista di cultura e di problemi isolani”, per trasformarlo poi (dal 1933 in avanti),


forse dopo che qualcosa s’era riusciti a far maturare, come organo “di cultura e di problemi mediterranei”. Non a caso un suo redattore così avrebbe argomentato: “la Sardegna sedentaria e georgicale, risuonante di tristi campani di armenti, più non ci piace e vorremmo che avanzasse verso il futuro, che ha per sua strada unica il mare, perché il suo destino sarà sempre sul mare”. Aggiungendo ancora che i problemi sardi erano e dovevano essere, prima d’ogni cosa, “mediterranei”. E su quelle strade del mare la Sardegna avrebbe dovuto dirigere il suo sviluppo, la sua uscita dalle arretratezze del passato. D’altra parte il Mediterraneo è stato storicamente, e da sempre, un insieme di strade, fossero esse quelle dell’economia o della politica, delle civiltà laiche o di quelle religiose. Tanto da determinare – come avrebbe scritto Fernand Braudel – uno straordinario “sistema di circolazione”, su cui avrebbero circolato i più importanti eventi del mondo, si sarebbero diffuse le più importanti civiltà e si sarebbero costituite le più intraprendenti e ricche potenze politiche. Entrare in quel sistema, per andare incontro al futuro, era stato quindi l’opzione intellettuale dei redattori di quella rivista, tanto da scrivere peana in onore della “razza mediterranea”, o d’auspicare che i sardi (tutti i sardi, compresi quelle dei tancati e delle pinnette) dovessero ritenersi figli legittimi di quel mare che li aveva generati e protetti. Anche per il rispetto dovuto a quella “madre mediterranea” (suprema divinità femminile dalla natura feconda), che è strettamente legata alle origini più antiche della nostra terra, ed oggi fa parte del nostro straordinario patrimonio archeologico. Ora, si è ritenuto di ricordare quell’esperienza editoriale, forse da molti dimenticata, proprio per ripercorrere le tappe d’un rapporto – quello tra Cagliari e il suo mare – che è stato sempre sfuggente ed elusivo, fonte di timori più che di iniziative, esercitato in modo estemporaneo ed anche senza convinzione. In effetti, con la rivista di Putzolu e Scano qualcosa sembrava potesse cambiare, perché il Mediterraneo veniva indicato come il “nuovo obiettivo” per gli interessi culturali d’una pattuglia di sardi illuminati, pronti a voler sfruttare in chiave sarda le

mire espansionistiche del governo d’allora su alcune terre di quel mare (la Corsica, innanzitutto, Nizza, la Tunisia e poi ancora Malta). Che poi quell’opzione espansionistica non fosse stato altro che folle utopia, e quelle mire niente altro che vacui sogni, lo avrebbe detto la storia. Andrebbe comunque aggiunto che l’impegno, diciamo così “culturale” di quella rivista, poco avrebbe inciso, anche per via di una linea editoriale molto fragile e, forse, condizionata, a formare nei sardi un’ideologia più mediterranea e meno paesana. Sarebbe mancata la capacità (o la possibilità) di interpretare il Mediterraneo come luogo ideale per sviluppare le opportunità di scambi e di relazioni (anche turistiche, come già i francesi avevano fatto con la Corsica) con le altre terre rivierasche, avendo invece preferito privilegiare proprio quel versante nazionalistico, per italianizzare politicamente quel mare. I tempi da allora sono fortunatamente mutati e l’espansionismo nazionalistico non fa più parte del bagaglio politico-culturale della nuova democrazia repubblicana. Può essere quindi utile, oggi, raccogliere il testimone di quella rivista, riprendendo elaborazioni ed opzioni “mediterranee” per concorrere al progresso della nostra Sardegna. Perché ai cagliaritani d’oggi rimane l’obbligo di fare proprie quelle tendenze e di impegnarsi per ridare contenuti, certamente nuovi e differenti, a quella riscoperta di una “madre mediterranea” da cui trarre nutrimento e progresso. Perché quel mare è sempre lì, attorno all’isola, ed è rimasto come uno dei grandi ed importanti sistemi di comunicazione anche per l’economia globalizzata del mondo d’oggi. Si dovrebbe aggiungere che la nostra sofferta insularità (perché da dolorosa ferita diventi fortunata opportunità) si gioca proprio sul Mediterraneo, sulle sue rotte e sul suo sviluppo. Lo stesso incontro fra la vecchia Europa ed i nuovi paesi emergenti sulle sponde meridionali di quel mare, non potrà che interessare un tessuto di intensi e proficui legami economici, favoriti dalle strade che lo solcheranno. La Sardegna non potrà più rimanere un’isola prison, ma dovrà impegnarsi per trasformarsi in carrefour, cioè in importante crocevia d’incontro (di partenza e d’arrivo) per tutte le interrelazioni possibili fra i diversi popoli

mediterranei. Si dovrebbe cominciare a capire che una cultura mediterranea è l’antitesi di quella mentalità chiusa ed autarchica, del proprio pollaio, che continua a permanere nel pensiero e nell’azione di molti isolani. Tanto da apparire come un castigo culturale più che un handicap genetico, quasi una punizione biblica che trae le sue motivazioni nell’ancestrale e preconcetto rifiuto per quanto non sia già conosciuto e sperimentato. E che in molti continuano a spacciare come difesa di un’identità “sarda”, che però appare sempre più come un valore puramente nominale. Una “cultura mediterranea”, dunque. Come apertura verso il “resto del mondo”, verso quel mare che occorre imparare ad amare, che non ci deve dividere ma unire con gli altri popoli. Perché anche i sardi ricerchino un’integrazione reale nel mondo e nella storia, per dare un valore universale e originale alla loro identità mediterranea. Lo ha scritto, pochi anni or sono, uno scrittore di acuta sensibilità intellettuale come Salvatore Mannuzzu che citiamo a braccio: per i sardi di oggi – è il suo prezioso avvertimento – il primo impegno deve esser quello di cambiare se stessi, agendo innanzitutto dall’interno, ma con lo sguardo volto verso l’esterno, al di là dei confini del mare. Non sarà – avverte ancora – un’impresa facile, perché le resistenze saranno tante, ma rimane l’unica risorsa che può dare un onorevole futuro a questa nostra terra. Ecco perché si è proposto il ricordo d’una rivista (o, meglio, del suo titolo) che anticipava, seppure in chiave differente ed anche profondamente errata,, quel che oggi ci pare essere l’obiettivo principe per la cultura sarda: quello cioè di “mediterraneizzarsi”, cioè di impegnarsi per valorizzare la propria identità, senza doverla perdere, ma arricchendola con le valenze di quel mondo esterno che si specchia in quel grande lago d’acque salate dove sono transitate nei millenni le più importanti civiltà e dove si sono scambiate e fortificate le più importanti forme del progresso dei popoli civili.

* Storico e saggista.

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I sardi

nelle relazioni e nei traffici nel mediterraneo antico di Lucio Deriu

C

Per ricostruire lo sviluppo delle relazioni tra la cultura dei sardi e quella degli altri popoli che si affacciano nel bacino del Mediterraneo, sia esso orientale che occidentale, purtroppo, possiamo fare affidamento su fonti storiche assai scarne. Per fortuna esiste una vasta documentazione archeologica. Le fonti archeologiche vengono considerate “fonti mute” ma sono indispensabili per ricostruire il contesto in cui determinati fenomeni si sono sviluppati. Grazie ai ritrovamenti archeologici può affermarsi che i sardi e la loro organizzazione erano in stretto rapporto

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con tutte le civiltà del Mediterraneo ed anche col mondo etrusco. Le relazioni si instaurano dapprima direttamente con le città dell’Etruria settentrionale (come Vetulonia e Populonia) e poi - dopo lo stanziamento degli empori commerciali fenici sulle coste dell’Isola - vengono mediati attraverso questi centri: Tharros, Othoca e Neapolis nel golfo di Oristano; Sulci, Bithia e Nora nella parte più meridionale della Sardegna. Col passare degli anni si instaurano rapporti preferenziali con le città di Vulci, Tarquinia e Cerveteri. Con la fine dell’età arcaica, tra i primi decenni del VI e il V secolo a C., la Sardegna è oramai ridotta a provincia

dell’impero cartaginese e, come efficacemente ha affermato l’archeologo Carlo Tronchetti, “i sardi non sono che una delle tante componenti di questo impero, senza originalità e autonomia politica e culturale”. Dobbiamo pertanto fare un salto indietro nel tempo per accorgerci quanto la Sardegna sia stata immersa nei circuiti commerciali mediterranei: ciò è dovuto alla sua particolare posizione geografica ed alla ricca e frastagliata articolazione delle sue coste, ad eccezione di quelle orientali dove esistono pochi punti favorevoli all’approdo. Tutto ciò ha fatto sì che l’Isola fosse, sin dalla più remota antichità,


un punto di passaggio, d’incontro e anche di rielaborazione autonoma di correnti culturali provenienti dalle diverse regioni circostanti. La Sardegna era dunque in costante rapporto con altri popoli e non costituiva una realtà separata a sé stante: faceva parte di un più grande bacino culturale cementato attraverso gli scambi di tutti quegli elementi - non solo di cultura materiale - che ora ci permettono di tracciarne meglio i caratteri. Nel neolitico medio (IV millennio a C.) troviamo raffinate ceramiche a superficie bruna e lucida, spesso decorata con incisioni, talora con rilievi, che trovano riscontro nelle coeve produzioni del Mezzogiorno francese così come spiccano le statuette in pietra, le cosiddette “dee madri”, che hanno riferimenti stilistici nelle similari produzioni del Mediterraneo orientale. Il neolitico recente, che inizia alla fine del IV millennio, vede la massiccia presenza della cosiddetta Cultura di San Michele di Ozieri con la sua prestigiosa ceramica che richiama forme e motivi decorativi egeo-orientali (come spirali, festoni, triangoli) e le stilizzazioni di figure umane singole e a gruppi, con riferimenti che vanno da Creta alle isole Cicladi. Tra gli orizzonti culturali che si pongono nella nostra Isola fra la metà del terzo e gli inizi del secondo millennio a C. vi sono le cosiddette facies di Monte Claro e quella definita Campaniforme che prende il nome dalla forma a campana del suo vaso più caratteristico. I popoli di tale periodo, definiti spesso come “gli zingari della preistoria”, si spostano per tutta l’Europa in piccoli gruppi isolati. Arrivano in Sardegna in tempi diversi ed occupano in prevalenza i territori della costa occidentale, convivendo pacificamente a fianco delle popolazioni indigene. Alla soglie di quella che sarà la fase più importante per la cultura della nostra Isola a partire dalla fine del bronzo medio (1800 – 1700 a C.) assistiamo alla nascita dei nuraghi, prima attraverso costruzioni più rudimentali, definite protonuraghi e pseudonuraghi, per finire con forme più evolute come le strutture megalitiche dei nuraghi maggiori che ancora punteggiano il territorio dell’intera Sardegna. Questa fase potremmo sicuramente definirla come “autoctona”. In ambito egeo assistiamo alla costruzione di strutture definite a “tholos” per mol-

Isili, Il nuraghe Is Paras.

ti versi architettonicamente consimili alle nostre nel posizionamento dei filari litici che costituiscono la sua erezione. Peraltro tali strutture venivano utilizzate esclusivamente in ambito di un megalitismo funerario ad appannaggio delle classi regnanti. E’ soprattutto in questa fase che i nuragici (così verranno definiti i costruttori di queste possenti torri) entrano in stretto contatto con altre popolazioni mediterranee, stanziate sia a oriente che a occidente dell’Isola. L’incontro con i popoli di area egea avviene almeno a partire dal quindicesimo secolo a C.; essi sono apportatori di strumenti e nuove tecniche per la lavorazione dei metalli. Nello stesso periodo si intrecciano le relazioni con le isole Eolie e, come già accennato, con l’area tirrenica villanoviana che sfocerà nella splendida civiltà etrusca che ci ha tramandato interessanti reperti come i piccoli bronzetti e altri manufatti tra cui quelli definiti “faretrine votive”. In Sardegna i materiali provenienti dalla Penisola sono abbondanti: abbiamo armi, strumenti, oggetti metallici e soprattutto fibule. Particolare rilevanza assumono i ritrovamenti di tali oggetti in quanto direttamente legati a fogge di vestiario che nell’Isola non erano in uso. Tali scambi e relazioni fra la Sardegna e l’area etrusca fanno intendere che essi si svolgono in un contesto ben determinato e cioè quello delle aristocrazie. La presenza di oggetti prodotti nelle

Scandaglio di Piombo

officine sarde, in ripostigli o in altri contesti di ritrovamento in varie parti dell’Italia (spesso assieme a materiali di alto pregio provenienti da diversi centri di produzione quali la Grecia), ci fa capire come la partecipazione sarda al “circuito dei metalli” nel bacino del Mediterraneo fosse un fenomeno oramai ben definito. Tutto ciò, chiaramente, non avviene all’improvviso. Gli studi condotti dall’archeologa Fulvia Lo Schiavo, sulla notevole componente vicino orientale presente sia nella bronzistica che nella metallurgia sarda più in generale, ci fanno capire che in Sardegna esistevano già le condizioni per un successivo sviluppo in tali direzioni. La Sardegna prosegue la sua antica tradizione di “crocevia” del Mediterraneo occidentale. Molto spesso dispiace notare, in molti, la tendenza a voler considerare la nostra Isola come un’entità culturale distante dagli influssi esterni, incontaminata, quasi che il contatto con gli altri popoli potesse togliere prestigio

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Le rovine della città di Tharros

a quanto il passato ci ha tramandato. Invece la Sardegna é tutto un fiorire di usi e culture frutto delle relazioni instaurate con gli altri popoli. I sardi sono stati e rimangono un importante punto fermo nel grande melting pot culturale neolitico prima e protostorico poi. Il fatto d’aver appreso, talvolta, nuovi metodi per migliorare una tecnica esistente non ci deve per forza mettere in una condizione di sudditanza o inferiorità intellettuale. Al contrario tutto ciò é da interpretare in senso positivo, quale testimonianza dell’essere stati un popolo aperto agli scambi e alle novità. Il fatto di non aver avuto alcun segno che possa essere decifrato come “scrittura” non deve essere interpretato in termini negativi. La rivincita di molti sedicenti specialisti nella lettura del territorio antico e di quanto in esso contenuto trova spesso sfogo in teorie in cui astronomia ed esoterismo sembrano le uniche attività praticate dai nostri predecessori per poter espletare persino le pratiche quotidiane. La realtà è che spesso il posizionamento o l’orientamento di una qualsiasi costruzione era dettato da motivi molto più pratici, come quello di poter sfruttare quanta più luce possibile per illuminare un deter-

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minato ambiente, o, al contrario, tenere fresca un’altra determinata area. Sono convinto che i nostri progenitori, un po’ come facciamo noi ancora oggi, non cercassero molte complicazioni. I sardi conoscevano l’astronomia e le pratiche esoteriche - che sicuramente adattavano ai loro rituali - ma, soprattutto, erano in grado di dosare con

saggezza tali conoscenze che, in una storia da considerare esclusivamente e sempre 360 gradi, troviamo come patrimonio comune di ogni popolo e che - proprio grazie agli scambi di idee, esperienze, merci e forse anche di sogni - sono arrivate fino a noi.


S

a Sardigna at tentu unu destinu de istoria abberu ispeciali. Sempri posta asuta de su dominiu de foras, issa at sempri resistiu. Est propriu unu miraculu, candu si pentzat chi custa terra, posta in d’unu mari continuamenti tocau de is bixinus e de is furisteris, est una firmada. Miràculu si teneus contu chi sa vastidadi e sa soledade de is logus (si chistionat de s’ísula comenti de unu continenti), ant pretziau e prétziant a dha prenni de óminis de totu is arratzas e de totu is bandheras ideologicas e económicas. Sa traditzioni istórica, s’umori naturali, sa lei mediterranea de sa montagna, ant fatu e faint de custa ísula sa clàssica “terra marginali”, una terra “diversa” po su carateri morali, antagonista e arrebbellu, po s’istintu de frontera. Si is sardus funt portaus po natura a no si fidai de totu cussu chi benit de foras, est po morri de su ispàtziu de montagna e de unu sentimentu de aspresa chi nant “subcultura de sa violentzia”. Ma est, pruscatotu, poita issus si istringint a s’autonomia de sa cultura insoru chi is colonizadores antigus e recentis ant serrau in d’una spétzia de “riserva indiana”. A parti unu monumentu de sa istoria precoloniali, is sardus no ant connotu prus su sentimentu e sa virtudi de su mari. Issus ndi tenint unu cuncetu “diabolicu” chi isterrint a totus cussus chi dhu atravessant e benint a tocai sa costa e a si firmai in custa “ísula terrestre”. Po nosu, po sa poesia nosta, po sa cultura nosta, po sa istoria nosta millerària, su mari est su tiàulu e cussus chi benint de su mari funt issus puru tiàulus (o furuncus, chi est sa propria cosa). Fortzis custu este su frutu de totus is esposidius e de frustratzioni e de umiliatzioni. Su isvilupu internu de sa Sardigna est blòcau poita su mari, oi imperu de su neocapitalismu e de su imperialsmu italianu e europeu, est proibiu a is sardus, fata eccetzioni a livellu subalternu, candu si trattat de mediai su profitu de is petrolieris e de is cumpangias turísticas. Po custu, nosu seus una natzioni proibia, e su sardismu est proibiu. Su sardismu: custu processu mannu, ideologicu, políticu e de cultura, de sa istoria de sa Sardigna. Nasciu ses séculus ainnanti de Cristus, candu is

Su tiàulu benit de su mari. Cultura mediterranea: Così lo storico e archeologo, insigne accademico dei Lincei ci racconta l’antico rapporto dei sardi col mare. E lo fa a modo suo.

IL DIAVOLO viene dal mare

di Giovanni Lilliu

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Nuraghe Is Paras, Isili

cartaginesus iant ispintu is sardus in sa montagna, dhus iant impresonaus in sa riserva spartzendu s’isula in duas partis (cussa de is “maquis” resistentis e cussa de is “collaboratzionistas”), su sardismu at acumpangiau s’evolutzione de sa terra nosta fintzas a oi, cun sinnus e manifestatziones diversas, però sempri orientadas a unu matessi fini: recuberai sa “natzioni pérdia”, gadangiai sa “frontera-paradisu”, su mari. Su sardismu s’est isvilupau in mesu de tanti avenimentus istoricus, meda bortas in su dramma, in sa violentzia e in su sànguini. Arregordaus is gherras de liberatzioni contra is romanus, is giudicaus, sa bogada de is piemontesus a sa fini de su 1700, sa reatzione a sa “fusioni” de su 1848, is trumbullus de “su connotu”, sa fundatzioni de su movimentu e de su partidu sardu in is annus avatantis a sa prima gherra mundiale, s’autonomia otènnida ammarolla cun su istatutu ispeciali de su 26 de friaxu

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de su 1948. Su sardismu no est a sa fini de su camminu, poita oi si fuedhat de “autonomia noa”. Est difícili de cumprendi su sardismu po chini no est sardu o no connoscit profundamenti sa istoria e sa mentalidade de sa Sardigna. Funt tanti cosas impari: ratzionalidade, istintu, esperientzia istòrica, movimentu de afetus nascius de su “èsseri sardu”, pentzau comenti unu sigillu e unu fatu ispeciali e diferenti. Su sardismu est, apitzus de totu, su gustu de èssiri “nosu matessi”, comenti su “Sinn Fein” de is irlandesus. Totus is sardus dhu intendint custu ispíritu antigu e sempri nou: s’ómini


Oristano: statua di Eleonora d’Arborea

de su pópulu po istintu naturali, comenti e una cosa chi dhi benit de atesu e de sa memória de is tempus; su intelletuale cun sa consideru teórica chi no est ancora acabada; su políticu po mesu de una pràtica de guvernu chi no est arribbada fintzas a oi a su puntu necessàriu storicamente de s’autodeterminatzioni soberana. Totus duncas dha ant tocau e dhu tocant, totus dh’ant tentu e dhu tenint aintru, su sardismu. S’idea passat in sa sociedadi civili e in associatzionis e partidos políticus chi funt in Sardigna, fintzas in is partidos “natzionalis”, mancai custus bengant cunsideraus e siant efetivamenti is “agentzias” italianas de su neocapitalismu e de s’imperialismu europeu, motivu de su isvilupu inferiori de su Mesudí e de is ísulas, casi colonias po efetu de su processu de s’unidadi “natzionali” italiana fundada apitzus de sa inegualidadi, in sa lógica de su sistema de classi. Su sardismu oi, custu cimentu ideologicu e psicologicu de s’ísula, est atacau de una “force de frappe” mostruosa: de s’industrializatzioni

neocapitalista e monopolista. Sa cultura sarda est de fronti a su perígulu prus mannu de aciocu e de integratzioni, de azuvamentu de s’identidade, che si registrat in sa istoria de is concuistas colonialis de sa Sardigna. Si is responsàbbiles chi tenit su poderi no arreparant de una manera urgenti custu istremorosu processu de isvilupu in totu “esternu” a s’ísula, nosu sardus seus a sa fini, cali si siat sa mexina (“intesa” e “cumpromissu istoricu” cumpréndius) is succursalistas intendant preparai po si fai fàiri una morti bella. S’úrtimu bénniu de is colonizadores est otennendi cussu colonialismus de totu is èpocas: sa distrutzioni de is valoris naturalis de sa Sardigna e de is sardus, sa sciasciu de su pópulu, sa ridutzione de una natzioni a una simpri espressione geograficas in su mercau comunu de una cultura apranada, globali e de ammassu, una ispétzia de produtu in iscatula, regulau de unu ciorbedhu eletrónicu cumandau de su poderi esclisivu e violentu de foras. Fortzis s’úrtimu bénniu de is colonialistas, agiudau de is succursalistas nostranus de dereta e de manca, a arrennesci a fai cussu chi no ant isciu fai is àterus, cussu chi no at fatu nemmancu su istadu italianu (chi est totu nai!) e dh’at a fai mancai cun sa trassa política de “s’Europa unia”. In custa cunditzioni, su destinu de sa natzioni sarda est craru meda. Sa Sardigna est cundennada a èssiri un iceberg, iscallau de is vaporis de sa pollutzioni de s’industrialsmu inummanu e afundau in su mari chi no est su suu. Cussus chi ant a portai ancora ogus po castiai, ant a biri una bara sparafundendi in su Mediterraneu: su baulu de sa Sardigna de su cali cantada su poeta Bustianu Satta, in d’unu demasia de disisperu e de arrabiu po sa terra sua.

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Da Cagliari il periplo dell’isola

Solcando il Mediterraneo la magica Sardegna Barbara Cadeddu

C

Simone Ariu

ircumnavigare la Sardegna, partendo dal Capoluogo e solcare il Mediterraneo in senso antiorario, per fare ritorno, infine, nel golfo cagliaritano. È un’avventura straordinaria per i toni azzurrati del mare e per le varietà litologiche delle coste, lungo le quali si dispongono porti turistici che garantiscono ai croceristi confortevoli condizioni di viaggio, per la sosta come per gli approvvigionamenti. Si apre nella litoranea del golfo di Cagliari il Porticciolo di Marina Piccola, costruito nella seconda metà del ‘900. Riparato dai venti attraverso il Promontorio di Sant’Elia, è un porto

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ben attrezzato: in banchina ci si può rifornire di acqua ed energia elettrica; sono utilizzabili 3 scali di alaggio, e sono possibili riparazioni di piccoli scafi e interventi su motori marini. Vi si trova un circolo nautico, bar, ristoranti. Dopo aver attraversato un buon tratto della Sardegna Sud-orientale, con le sue coste basse e sabbiose, nel settore antistante il bordo costiero di Santa Luria si può raggiungere il molo di Porto Armando, un porticciolo privato ben attrezzato con ingresso aperto a Nord Ovest. Le banchine e i pontili sono costruiti in muratura; tali strutture sono fornite di anelli d’ormeggio, acqua, energia elettrica e prese tele-

foniche in banchina. Oltre al rifornimento di carburante, il porticciolo offre servizi igienici, docce, presidi di vigilanza e locali per il ricovero invernale degli scafi. Oltrepassato il Promontorio di Capo Boi, che si insinua nel mare con alte pareti granitiche, e proseguendo verso Capo Carbonara, è possibile approdare nel Porto di Villasimius, costruito nel settore orientale della Rada di Carbonara. Può ospitare fino a 750 imbarcazioni da diporto e da pesca. Dispone di acqua, energia elettrica, carburanti, scali d’alaggio, gru, officine per motori marini e locali per il rimessaggio. A breve distanza dal porto è possibile trovare alberghi, ristoranti,


Nino Muggianu

servizi di ogni tipo. A nord della foce del Flumedosa, in territorio di Villaputzu, si estende un chilometro di scogliera dove un porto turistico ben attrezzato si apre a sud est. Si tratta di Porto Corallo: vi si accede dopo aver superato il pennello di protezione di un corso d’acqua. All’interno è possibile ormeggiare sia nei due moli della banchina meridionale sia negli altri due che partono dalla diga foranea che ripara il porto da Nord Est. Inoltre, nei pressi sorge un villaggio turistico dove si trovano bar, ristoranti e negozi. Fra le aspre e selvagge coste dell’Ogliastra è possibile sostare nel Porto Frailis, in un’insenatura aperta a Sud Ovest, protetta dai venti settentrionali con lo scudo di Capo Bellavista ma investita dallo Scirocco. Nella piana retrostante e sui rilievi che la racchiudono sono stati organizzati diversi villaggi turistici, camping e hotel. Superato il Capo Bellavista, passando dalle rocce granitiche alla lunga curvatura della spiaggia di Tortolì fino alle altissime falesie di Capo Montesanto, si raggiunge il Porto di Arbatax, nell’insenatura di Santa Maria Navarrese.

E’ un porto commerciale usato anche per i collegamenti con la penisola, e di recente è stato ampliato per accogliere le imbarcazioni da diporto. E’ dotato di gru e locali per il rimessaggio, ma sprovvisto di officine meccaniche per la riparazione dei motori marini, reperibili nel vicino centro di Tortolì. Nei pressi del porto, nell’abitato di Arbatax, si trovano negozi, empori, bar, ristoranti, ed alberghi. Mantenendo la rotta verso nord, si può ammirare l’insenatura di Cala Gonone, dietro la quale la falesia lascia il posto ad una costa bassa, costituita da un bordo di detriti. Situato sul bordo di una piana alluvionale sulla quale si trova l’abitato di Gonone, una frazione del Comune di Dorgali, il Porto di Cala Gonone è dotato di uno scalo di alaggio per imbarcazioni fino a 23 tonnellate, di una gru fissa di 9 tonnellate, carpenterie per piccole riparazioni, assistenza all’ormeggio. L’ingresso al porto può essere difficoltoso quando spira il vento di Maestrale, a causa delle forti raffiche di vento provenienti dalle gole retrostanti. In una frazione del Comune di

Siniscola, il porticciolo La Caletta sorge in una prominenza rocciosa fra le due sporgenze di Punta San Giovanni e Punta La Caletta. Si tratta di un molo che gode di una posizione strategica, essendo adatto all’attracco di traghetti veloci e consentendo un rapido collegamento con la Penisola. Può ospitare imbarcazioni con pescaggio fino a 5 metri; è servito di acqua e carburante in banchina ed ha un piccolo scalo di alaggio. Tra la punta Li Cucutti e Punta Li Tulchi, distanti fra loro 1 chilometro e mezzo, si apre l’insenatura di Ottiolu, orlata dalla spiaggia omonima, conclusa da un porto turistico. E’ un molo privato dotato di circolo nautico, che dista 8 miglia da La Caletta. Conta 445 posti barca, 45 dei quali riservati al transito; può ospitare imbarcazioni da 6 a 22 metri di lunghezza. Esposto a Sud Est, è attraversato dai venti di Levante, Scirocco e Grecale; dispone di assistenza meccanica ed elettronica, ed è servito di acqua, ghiaccio, supermercato, carburante, corrente elettrica, e presa TV in banchina. Sono inoltre offerti i servizi di ritiro rifiuti, guardiania, sommozzatori, ormeggia-

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Danilo Anedda Danilo Anedda

tori. È possibile anche il rimessaggio e la riparazione degli scafi. Di fronte all’isola di Tavolara si apre l’insenatura di Porto San Paolo, protetta a Nord Est dall’isola Piana e dall’isola di Tavolara e, a Nord, dall’isolotto Cavalli e da Punta Corallina. La sua posizione ben protetta viene utilizzata come porto per pescherecci e per il traffico della vicina Tavolara. Porto di Spurlattà si apre a Ovest della Punta Corallina, inserito tra le coste granitiche. Il porto può ospitare imbarcazioni con pescaggio massimo di 1,5 metri; è servito d’acqua, corrente elettrica, carburante in banchina. Inoltre,

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sono offerti servizi di ritiro rifiuto, la guardiania, sommozzatori, servizi igienici e docce, assistenza meccanica e ricovero degli scafi durante l’inverno. Numerosi insediamenti turistici nel litorale offrono servizi di alloggio, commercio, ristorazione. Il golfo di Olbia si apre tra Capo Ceraso a Sud e Capo Figari a Nord ed è impostato sulla valle più estesa della Gallura. L’area portuale è divisa in tre zone: la stazione marittima, che ha una larga banchina ed è servita dalla rete ferroviaria, nella quale approdano i traghetti, il porto interno, e il porto industriale.

Tra il golfo di Olbia e quello di Arzachena si estende un litorale ricco di valli sommerse. Superata la Punta del Canigione si arriva al golfo di Marinella, estremamente ricco di cale, la cui bellezza è in parte compromessa dalla presenza di numerosi villaggi turistici e abitati privati. Al termine della spiaggia di Marinella si trova il Porto di Marana, che può ospitare fino a 300 imbarcazioni. Il molo è banchinato e dotato di diversi pontili, e dispone di acqua, corrente elettrica, distributore di carburante. Vi si trova, inoltre, un circolo nautico e si può usufruire di sommozzatori, guardiania, cabine telefoniche, docce, assistenza meccanica, rimessaggio a secco. L’accesso all’area portuale è reso complicato dalla presenza di numerose secche e dalla frequente corrente ventosa. A poco più di 500 metri è possibile raggiungere il Porto Oro Palumbalza, costruito in una rientranza della costa. È un porticciolo privato inserito in una struttura turistico alberghiera. Il bacino portuale ha forma ellittica ed è interamente banchinato. Il porto offre la possibilità di rifornimento d’acqua, corrente elettrica, èd è servito da albergo con piscina, bar, ristorante, rivendita di ghiaccio. Proseguendo la navigazione, poco più di un chilometro a sud dell’istmo della Punta della Volpe si apre la baia rotondeggiante di Porto Rotondo. Il molo, caratterizzato da una banchina che segue tutto il perimetro interno della baia, può ospitare imbarcazioni da diporto fino a 30 metri di lunghezza. È un porto privato dotato di tutti i servizi, come l’acqua, corrente elettrica e distributore di carburante in banchina, empori per oli, gas combustibile, attrezzature nautiche. Vi si trova un circolo nautico e il servizio di ormeggiatori, piloti, sommozzatori, guardiania. È dotato inoltre di cabine telefoniche, servizi igienici, docce, officina meccanica, assistenza elettrica ed elettronica. Nel settore occidentale della baia di Cugnana si trova Portisco, quasi di fronte a Porto Rotondo, realizzato per accogliere fino a 670 barche. Il molo, ben riparato, è dotato di acqua, energia elettrica, distributore di carburanti in banchina, servizi di ormeggiatori, sommozzatori, guardiania e docce. A Nord inizia il litorale del comprensorio della Costa Smeralda, che com-


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prende Cala di Volpe, Porto Liccia, Porto Cervo, Liscia di Vacca e Poltu Quatu. A Nord di Punta Carpaccio si apre l’insenatura di Porto Liccia, caratterizzato da una costa granitica, poi, superato il Golfo del Pero, si giunge all’insenatura di Porto Cervo, intorno alla quale è stato edificato il più importante complesso turistico della Costa Smeralda. Il porto è dotato di tutti i servizi in banchina, scalo d’alaggio fino a 350 tonnellate, cantiere nautico, centro medico, docce, servizi igienici, antincendi. Ad Ovest di Liscia di Vacca, oltre Punta Barrotti, si apre Poltu Quatu, chiuso ad Ovest dalle rocce di Monte Stentino. Stretto e profondo, è racchiuso da graniti rosa. Il porticciolo privato, che occupa tutta l’insenatura, è capace di ospitare circa 500 imbarcazioni; ben riparato da tutti i venti, è accessibile anche quando soffia il Maestrale. Offre tutti i servizi relativi all’approvvigionamento d’acqua ed energia elettrica, carburante, oli; ospita empori per attrezzature nautiche, cabine telefoniche, servizi igienici,

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Falcone, si può raggiungere l’Arcipelago di La Maddalena. Il porto dell’Isola di Maddalena è importante per il diporto, trovandosi in una posizione strategica ed essendo dotato di tutti i servizi, come acqua, corrente elettrica, distributore di carburanti, oli, bombole, gas combustibile, emporio per attrezzature nautiche, cabine telefoniche, servizi igienici. Nel porto si trova inoltre il Club Nautico di La Maddalena, e si può usufruire di gru, parcheggio auto, officina meccanica, assistenza elettrica, locali per il rico-

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docce, officine meccaniche, eccetera. Da Poltu Quatu i graniti continuano fino alla Punta Battistone, ad Ovest della quale si apre Baia Sardinia. Nel lato occidentale del Golfo di Arzachena si trova l’approdo di Cannigione. Il porto è dotato d’acqua, energia elettrica e telefono in banchina. Ad Ovest di Punta Nera si apre la rada di Palau, il cui porto viene utilizzato per i collegamenti con l’Isola di La Maddalena, con la Corsica e per le escursioni nelle numerose isole del vicino arcipelago. L’area portuale è dotata da tutti i servizi, come acqua, corrente elettrica, distributore di carburanti, gru, parcheggio auto, emporio per attrezzature nautiche, cabine telefoniche, servizi igienici, officina meccanica, assistenza elettrica, ricovero degli scafi. Nella parte occidentale della Rada di Mezzo Schifo si apre la Cala Inglese, con una spiaggia intorno alla quale è stato costruito il villaggio turistico residenziale di Porto Raphael, il cui nome si deve ad un architetto spagnolo che, negli anni Sessanta del ‘900, dotò la zona di insediamenti turistici che non compromisero l’equilibrio ambientale. Porto Raphael ospita uno Yacht Club; e fornisce acqua ed energia elettrica, servizi igienici, docce, guardiania e ritiro rifiuti. Nello scalo d’alaggio si possono eseguire riparazioni a piccoli scafi, ed avere sommozzatori e ormeggiatori. Attraversata la Gallura Nord Orientale, caratterizzata da aspri speroni granitici a Punta Mormorata e Punta

vero degli scafi. Superata La Maddalena, si naviga verso Santa Teresa di Gallura, cittadina turistica dotata di porto che è il principale punto di comunicazione con Bonifacio, in Corsica. Avendo raggiunto Punta Li Francesi, avvistato la Torre di Vignola, costruita all’inizio del ‘600 in blocchi di granito, e costeggiato la spiaggia omonima, si arriva al bordo della Gallura nord-occidentale, dove le rocce granitiche generano una scogliera rossastra che si adagia al mare trasparente. Navigando nel Golfo dell’Asinara, che abbraccia gran parte delle coste della Sardegna settentrionale, si può sostare nel porto di Castelsardo, che è il solo esistente nel settore costiero tra quelli di Santa Teresa di Gallura e Porto Torres. Il porto, esposto ai venti di Maestrale, Ponente e Tramontana, è attrezzato con una gru mobile, ha uno scalo per l’alaggio di barche fino a 12 tonnellate e un’officina meccanica; è dotata di officina per riparazioni meccaniche. Superato il porto di Stintino, detto Minore (il vecchio porticciolo mentre il nuovo è stato realizzato a Portu Mannu), che fornisce servizi di ogni sorta, si doppia Capo Falcone e si comincia la traversata lungo la costa Ovest dell’Isola, con il litorale occidentale della Nurra, dove si apre la cala di Porto dell’Argentiera e Porto


fiume Temo è navigabile con piccole imbarcazioni per circa 4 chilometri. L’accesso al porto è a Nord dell’isola Rossa, che è stata unita alla terraferma attraverso una diga. Le imbarcazioni con pescaggio fino a 1 metro possono addentrarsi nel porto fluviale, dove è possibile l’ormeggio sulla banchina del lato sinistro del Temo, ma vi si può accedere solo quando non soffiano i venti che provocano la risacca. Sulla banchina del fiume è possibile usufruire di fontanella d’acqua, un distributore di carburante e uno scalo d’alaggio privato. Nell’abitato, inoltre, si trova un emporio nautico, un cantiere per riparazioni, capannoni per il rimessaggio e cabine telefoniche. Attraversata Capo Mannu e la Penisola del Sinis, si raggiunge il golfo di Oristano, che offre come punto di approdo il Porto di Torre Grande. Questo si trova nei pressi delle vaste zone umide del Sinis, conta 780 posti in barca e offre servizi di ogni sorta. Dopo aver costeggiato per un buon tratto il litorale dell’Iglesiente, si può raggiungere il Porto di Buggerru, il cui bacino viene continuamente insabbiato, a causa della sua particolare posizione e dell’abbondante presenza di sabbia. Nella banchina del porto, che è a gestione pubblica, è possibile trovare prese di corrente, rifornimen-

to d’acqua dolce, scali d’alaggio, gru; nel vicino centro abitato si possono raggiungere agilmente negozi, bar e ristoranti. Arrivati nell’Isola di San Pietro (Carloforte) è possibile sostare nel suo porto commerciale: le imbarcazioni da diporto reperiscono in banchina acqua, distributore di carburanti, gru, officine meccaniche. Nell’Isola di Calasetta il porto viene utilizzato sia per le comunicazioni con Carloforte, sia per ospitare le imbarcazioni da diporto. Vi si trova scalo d’alaggio, acqua e, nel vicino centro abitato, ogni sorta di servizi. Superata l’Isola Rossa e Capo Spartivento, costeggiando il litorale di Pula, si raggiunge il porticciolo di Calaverde, costruito alla foce di un torrentello. Può ospitare un centinaio di imbarcazioni della lunghezza di 12 metri; in banchina ci si può approvvigionare di acqua, energia elettrica, carburante. Inoltre nel porticciolo, servito da una gru di 10 tonnellate, si eseguono riparazioni meccaniche ed è possibile il rimessaggio. Ospita un circolo nautico, e offre servizi igienici, cabine telefoniche, ormeggiatori.

Nino Muggianu

Ferro per poi costeggiare la Penisola di Capocaccia, caratterizzata dalla pietra calcarea. Dopo Capocaccia di trova la baia di Porto Conte, protetta da colli calcarei. Lunga 6 chilomentri, ospita il porticciolo turistico di Porto Conte Marina, formato con una serie di pontili galleggianti ancorati al fondo. Il molo può ospitare fino a 160 imbarcazioni della lunghezza massima di 18 metri. In banchina si trovano acqua, carburanti ed energia elettrica; sono inoltre disponibili servizi igienici, docce, lavanderia, e sono assicurati ilo ritiro rifiuti e servizio di guardiania, gru, cantiere per le riparazioni. Superata la Punta del Giglio, si giunge nella spiaggia del lido di Alghero. Nel suo porto sono possibili il rifornimento di acqua e carburanti; è presente un’officina meccanica, una gru fissa, uno scalo d’alaggio per piccole imbarcazioni e sono possibili le riparazioni a piccoli scafi. Grazie alla sua vicinanza alla città, offre la possibilità di raggiungere gli empori per la nautica e centri commerciali. Proseguendo la navigazione nel mare della Sardegna centro-occidentale, oltrepassato il Promontorio di Capo Marargiu, si arriva in prossimità della cittadina di Bosa, che dispone dell’unico porto fluviale dell’Isola, visto che il

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C

andu custu patrimóniu de cultura e morali est cumpliu, est prontu a dh’arregolli, a dhu fai própriu e a dhu portai a su puntu prus artu de dignidadi istórica, sa cultura nuràgica, chi pigat su nòmini de is nuraxis. Est custu su tempus de sa segunda natzioni sarda, chi durat milla annus, de su 1500 a su 500 ainnantis de C. E no naraus de s’influéntzia de custa cultura ancora in su períudu de s’istória coloniali e in sa resisténtzia sarda fintzas a oi. In is tempus de is nuraxis, mancai sigat sa divisioni política e amministrativa in partis de sa Sardigna, s’istrutura culturali torrat a èssiri omogènea, in su sentidu de sa natzioni. In dógnia logu bestiàmini e laurera; in certus logus si produit in s’indústria de is mineralis chi si agatant in cantidadi. Sa religioni, in costúminis, is régulas, is modu de bivi personali est in sociedadi, sa língua e is caràteris de su corpus e de su sentidu funti comunus in totu s’ísula e faint logu a un’àtera unidadi de menti e de coru.

LE RADICI MEDITERRANEE DELLA CULTURA SARDA

Is figureddas de brunzu

e su mari ispantosu di Giovanni Lilliu

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Nascit insaras e pigat poderi una aristocratzia chi tenit su fundamentu in sa religioni, in d’una forma de autodisciplina e in d’una sociedadi organizada aundi est capu unu soberanu: rei, predi, cumandanti militari e giugi in su própriu tempus e totu in d’unu. Si format un’istadu sardu autónomu, indipendenti e líbberu. Est su tempus de s’istória sarda fata de is Sardus, chi tenint cuscéntzia de s’importàntzia de issus etotu in su movimentu de su Mediterràneu. Est insaras chi sa Sardigna pigat sa figura política de polis, in cantu connoscit un’ordinamentu giurídicu própriu, tenit citadis, tocat casi una rivolutzioni in sa sociedadi e in s’economia, e custu asuba de totu in su séculu VIII ainnantis de C. Su sinnu prus artu de custa cultura nuràgica funt is nuraxis: turris a forma de conu, cun d’unu o prus aposentus abbovidaus, a tholos comenti narant is Grecus antigus chi ant chistionau de custus fàbbricus poderosus comenti e de cosa insoru. Si ndi contant prus de setimila, presentis in totu su territóriu. Certus funt castedhus, fatus cun tanti arti militari e bellesa architetónica chi si podint pònniri intra is maravíglias de su mundu passau. Est interessanti a biri comenti e cantu custas turris, fatas cun perda manna a muru bullu, assimbillant a is turris de sa Córsica e a is “talaiots” de is Balearis, mancai is monumentus de custas úrtimas ísulas non tengant sa mannària chi mustrant is nuraxis sardus. Si bit cun craresa in custus fàbbricus s’altesa de ispíritu e s’inginnu mediterràneu e su parentau de forma e de ambienti de su nur (custa arrexini est difúndia in totu su mundu sardu-corsu e baleàricu, e nure est su nòmini antigu de Menorca). Is sepulturas de su tempus, chi si nant tumbas de gigantis e chi benint de un’antiga forma ocidentali (dolmen, allèe couverte), funti monumentalis comenti a is nuraxis, po sa mannària e po s’istrutura a perdas mannas chentza de cimentu. De pranta a retàngulu chi acabbat in tundu de una parti, de s’atera sa tumba fait biri una pratza a mesu circu chi serbiat

po is ofertas a is mortus chi poniant, totus impari e in medas, aintru de sa fossa in su fàbbricu. In certus casus acanta de sa tumba figurant perdas trabballadas (bètilus), cun sinnus de ogus, de titas o fatas in forma de membru, chi dimustrant sa continuidadi materna mediterrànea. Est de nai chi sa tumba de is gigantis si assimbillat prus acanta sa nau o naveta de Menorca. Àteras cosas de fai mercai funt is templus de forma diversa, a megaron, a sa moda greca prus antiga, de pranta prelongada: e, cussus in cantidadi, fatus a putzu cun d’una lollixedda ananti. Candu custus edifítzius faint parti de unu santuàriu, si cumprendit s’importantzia politica e sociali chi ndi resultat: centrus de festa religiosa e de mercau, innui badhant e cantant in coru e si afiotant is comunidadis chi de dógnia parti arribbant a is logus de cultu, su prus a pei, cun donus de dógnia arratza po is divinidadis. Fiat própriu in custus logus chi si podiat intendi e manifestai s’iden Poita in custas immàginis de su períudu aristocràticu de s’edadi de is nuraxis, nosu bideus chentza duda sa realidadi de una Sardigna chi non est subbordinanda a nisciunu o integrada a i poténztzias de foras. Antzis resultat una terra chi isfidat de pari

a pari is àteras de su Mediterràneu, fintzas is prus mannas, comenti sa greca e is orientalis, cun d’una fortza de vida cosa sua chi ponit in èssiri s’identidadi e sa diversidadi de sa natzioni protosarda. Ma própriu candu s’ísula fiat a su puntu màssimu de progressu, cumentzat s’iscóntriu comenti e una necessidadi istórica. Is Sardus depint gherrai casi po unu séculu po difèndiri sa libbertadi insoru e s’indipendéntzia de sa terra insoru de su colonialismu e de s’imperialismu de is Fenícius e de is Cartaginesus. A sa fini, bintus, pigant su camminu tristu de is montis innui benint inserraus comenti e in d’una riserva indiana. Insaras su natzionalismu de istadu (un’istadu furisteri) nci dh’iat fata apitzus de s’etnia sarda. S’istória sarda, fata de is Sardus cun d’unu traballu de séculus, andat totu

Bronzetto nuragico raffigurante un antico guerriero

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In alto: Il nuraghe “Su Nuraxi”di Barumini. Al centro: Dorgali “Nuraxi Mannu” Sotto: tomba di Giganti “S’Ena e Thomes” Archivio Gia Comunicazione

a s’arrovèsciu, benit fata innói de is opressoris: is furuncus chi benint de su mari (aici narat unu díciu sardu antigu). Sa Sardigna benit truncada in duus: una est cussa de su domíniu e de is intregaus a su poderi de su colonialismu imperialísticu, s’àtera abarrat a is resistentis chi abetant de torrai a fai, candu at a bènniri su tempus, sa natzioni sarda. Poita custa natzioni, cuada in s’ispíritu, in sa traditzioni e in sa cuscéntzia política de sa genti de monti arrebbella a totu is meris, fiat e est comenti e unu iceberg chi, de tanti in tanti, si fait a biri, candu si fait unu buidu de poderi de is imperialistas furisteris agiudaus de is Sardus chi ant bociu sa mamma. A sa Sardigna ndi dh’ant bogada de su paradisu e dh’ant fata intrai, comenti e àteras natzionis aciuvadas, in s’istória de su mudori. Però issa tenit in coru tanti arràbiu po torrai a sa frontera de su paradisu, in d’unu movimentu revolutzioneri de pópulu o de classi. A pagu a pagu, s’istória de is catacumbas, cussa chi nant s’istória “inferiori”, s’istória de is isfrutaus, de is bogaus de fund’e arréxini, de cussus lassaus in s’oru, de is diversus, est essida de s’umbra e càstiat faci a un’istedhu chi parit de bonu destinu. Unu filu chi non si bit, ma forti, istringit in d’una solidariedadi noa pópulus e personas chi po tanti tempus no dhis ant permítiu de èssiri e dhis ant negau su deretu naturali de èssiri de diversu sentimuntu, cussu chi est sa libbertadi auténtica. Luegus, però, is bintus ant a èssiri is bincidoris in s’utopia de is ugualis, in s’utopia libbertària, si dhu cuncedit s’istória e sa trascendéntzia.

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