MARIO SALINA Sostanziali apparenze

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MARIO SALINA

SOSTANZIALI APPARENZE

ANDREA BEOLCHI

MARIO SALINA

sostanziali apparenze


ANDREA BEOLCHI



Via Iadonisi, 14 • 82038 Vitulano (BN) • ITALY dal martedì al sabato ore 17.00 - 20.00 e per appuntamento

info: Tel/Fax: 0824.878665 • cell: 338.9565828 www.giamaartstudio.it • info@giamaartstudio.it Direzione: Gianfranco Matarazzo

Testo: Andrea Beolchi

Progetto e grafica: GiaMaArt studio - Vitulano (Bn)

Allestimento: Achille Capobianco

Si ringrazia: Tommaso De Maria Nicola Frattasi Salvatore Iadanza

Si ringrazia altresì: Benedetta Del Buono Roberta Leggiero

in copertina: False libertà, acrilico su tela, cm 18 x 24, 2007

Stampato in Foglianise (Bn) PIESSE Grafica e Stampa Marzo 2007


MARIO SALINA sostanziali apparenze

Andrea Beolchi



Sostanziali apparenze In principio era lo spazio. Spazio della vita domestica e spazio del mito; spazio della storia e spazio del sacro; spazio della individuazione e spazio della comunità (e poi urbs, e civitas). Spazio naturale, anche, su cui l’uomo proietta quel “finalismo disinteressato”, secondo la categoria introdotta da Kant nella Critica del giudizio – finalismo senza la rappresentazione di uno scopo – che è l’elemento genetico del “paesaggio”. Attraverso questi semplici angoli prospettici potremmo osservare l’intera storia dell’uomo, e anzi persino la sua preistoria, che corre sul binario doppio della conquista di un’abilità nel facere (il che però poco lo distingue, nel piano dell’essere, dall’ingegnosità meramente animale: quel che si dice appunto un animale particolarmente evoluto) e la progressiva distillazione di uno spazio proprio, che è autentica creazione del luogo, dell’ubi consistam (dal cerchio sacro all’hortus conclusus alla domus) che non può se non seguire l’istante in cui Diogene posa soddisfatto la sua lanterna: ha finalmente trovato l’uomo. Poi, quello spazio diventerà simbolico e come tale entrerà nella storia secondo le diverse declinazioni di tempi e culture, su su fino a quest’oggi le cui cifre sembrano criptate nell’immagine eterea e virtuale. Potremmo dire che trova il suo simbolo, questa dislocazione in un tempo e uno spazio metaumano, in quel gioco virtuale che è Animal crossing; ogni personaggio vi copre un ruolo, produce cose, si muove, fa affari, si compra e arreda una casa… A proposito, un’amica mi notificava, qualche mese fa, che c’è un architetto giapponese che si è specializzato con successo nell’arredo di quelle case, è diventato uno status symbol, e ci guadagna discretamente; la notizia mi aveva sorpreso a pensare che il gioco è serissimo, e quella è forse l’espressione di un’architettura davvero innovativa, perché, finalmente, è riuscita a spezzare le catene della mera forma, quel “decoro” tanto disprezzato dall’avanguardia novecentesca nei confronti del secolo che l’aveva preceduta, e che pure, estromesso dalla porta, pareva negli ultimi decenni trionfalmente rientrato dalla finestra. Qui l’architettura reinterviene a designare un ubi che qualifica una percezione interiore. Ma, eccoci al dunque: è un luogo che forse non è neppure lecito chiamare parallelo, perché ogni parallelo necessita di altro elemento analogo e individuato accanto a sé: non parallelo, dunque, ma a pieno titolo una delle caleidoscopiche forme possibili della percezione del mondo. Insomma, di nuovo spazio. Quello spazio che prima del taglio del cordone ombelicale, al tempo del primo uomo, gli è ancora così prossimo che si potrebbe dirlo la sua ombra nel mondo, ha raggiunto il crinale dell’abisso: è uno spazio che si alimenta, si “pensa”, da sé. Nulla vieta di azzardare l’ipotesi che potrebbe persino pensare l’uomo.


Il passo, del resto, era nelle cose. Era nei cromosomi della postmodernità, dove lo spazio è spazio soltanto, e non immagine del tempo, quello che fu chiamato metaspazio. O meglio, secondo l’indimenticata lezione di Rosario Assunto, spazio che si identifica in una sola immagine del tempo, quella finita della temporalità di cui rendono testimonianza le geometrie solide del cemento, del vetro, del metallo messi insieme dall’architettura industrializzata, da questo surrogato di arte, il cui unico tempo sta tra il terminus a quo della lottizzazione urbanizzatrice e il terminus ad quem della scadenza. Quel terminus ad quem che darà nuovo lavoro alle imprese, ai cementifici, alle fabbriche di mattoni, di vetri, di profilati metallici, e fornirà nuove commesse agli architetti-designers della civiltà tecnologica; i quali si adopereranno a sostituire quei blocchi di materiale prodotti industrialmente, e tenuti insieme da elementi fabbricati anch’essi in serie, con altri blocchi di altri materiali e altri elementi di nuova non meno standardizzata produzione. Così, fino a un ulteriore terminus ad quem; e poi, nuova, non meno standardizzata costruzione fino alla prossima scadenza, ancora e sempre da una scadenza all’altra, decennio dopo decennio. Inesauribile noia di fare e disfare, e poi fare di nuovo, nel mondo totalmente urbanizzato e industrializzato dove i rapporti di tipo metropolitano, di cui la letteratura progressista si fece a suo tempo apologeta, avranno dato alla città dell’uomo la figura esatta dei nidi della termite: insetto, come è noto, il cui lavoro consiste nel distruggere, anzi nel consumare; entro una ferrea organizzazione, che non distingue un individuo dall’altro, una generazione dalla precedente e da quella successiva. La termite è, infatti, l’archetipo a immagine e somiglianza del quale l’homo faber, adulto e demitizzante, ha voluto modellarsi, da quando la sua cultura ha anatemizzato l’idea dell’infinito, respingendo ogni durata; e nell’ebbrezza di una successione nella quale il finito celebra l’apoteosi della propria mortalità, ha condannato come gravissima colpa l’individualità diversa, la diversità dei luoghi e dei tempi. Ha condannato l’individualità diversa; e ha opinato essere reato meritevole di condanna infamante la contemplazione. Che c’entra tutto questo con Salina? Non è un discorso – mi si passi lo scherzo apparente – “fuori luogo”? No, non lo è. Il primo motivo è, diciamo così, di superficie. Questi strani pensieri mi giungono infatti, come un’eco lontana, proprio dal titolo di una delle tele con cui Salina affronta questa mostra spinosa, come spinosa è la pittura che scuote dal torpore di una storia “agglutinata all’oggi” (splendida, spinosissima immagine di Eugenio Montale). Ce lo dicevamo con Mario salendo i gradini che portano al suo studio attuale (sembra che Salina abbia la predilezione, per me faticosissima, degli studi messi nei luoghi alti: prima quello milanese che quando ci arrivavo col fiato corto mi sentivo come se entrassi nel nido dell’aquila; adesso questo elevato, anche se più modestamente, sulla pianura lombarda; ho l’impressione che se abitasse un deserto, ci


pianterebbe un menhir, per lavorarci sopra aggrappato nello spazio esiguo di uno stilita, e capisco che non è per caso: la sua pittura è un osservatorio che necessita di posizione elevata quel tanto che serve per distinguere, insieme alle trame, il disegno intero del tessuto dentro cui scorre la vita). Dall’ombra, uscivano fuori uno a uno questi quadri neonati, e fra essi, appunto, Spazio plumbeo. Strano titolo, strano quadro. Strano perché di plumbeo, questa tela, non parrebbe aver nulla; strano spazio, che non sai se stia per trapassare nella figura di primo piano, per eroderla e inghiottirla lentamente dentro di sé, quasi per ineluttabile osmosi, o se al contrario questa non si stia a poco a poco materializzando fuori da quella forma, liberandosi di quel surplus di materia sorda come un prigione michelangiolesco. Non sono particolarmente amante della vita tranquilla, però ammetto che quel quadro mi è parso sfrontato, forse come sfrontato è Narciso con la sua arrogante bellezza: pericolosa per sé, certo, ma soprattutto per l’universo, che deve aver sospirato di sollievo quando il giovane precipitò nella sua liquida tomba. È vero, ha ragione, Salina: plumbeo, ancorché ammantato di cromatica levitas, è questo non-luogo in cui l’apparenza ha usurpato il luogo alla memoria, e dove l’immagine che matura ha il tempo della sua stessa impalpabilità, dove il tutto e il nulla spengono la loro sostanza nell’evento istantaneo, dove “l’eterno presente giganteggia”. Dove Eric e Alex consumano la loro assurda “visione prospettica” della vita, nel celebre film di Gus van Sant (Elephant), alla pari del trio anoressico BritannyJordan-Nichole: azioni, amori, pensieri “in nessun luogo”, dunque realmente inconsistenti e in fondo non precisamente misurabili («Mai ho avuto un giorno così brutto e così bello», dice Alex movendosi negli spazi della scuola con la formidabile determinazione di un terminator virtuale), anche se alla fine il prodotto è una strage. Già: quale spazio? Ecco, questa è stata la miccia. Il resto sgorga da sé, e credo sia giusto lasciare che ciascuno possa godersi in pace la sua contemplazione, e farci i conti a tu per tu. Perché queste tele di Salina sono, ciascuna di esse lo è, centri gravitazionali intorno ai quali si ricostituisce (lentamente, e dolorosamente anche) un’unità che sentiamo perduta (del resto già Pierre Reverdy diceva: «L’uomo non si accontenta di ciò che ha, aspira a ciò di cui è privo. In arte il godimento estetico deriva da questa privazione della realtà di cui l’opera è soltanto un riflesso»). Forse, come si faceva con gli specchi nell’antica Persia, bisognerebbe tenerle coperte da un velo, perché guardate distrattamente non ci rubino l’anima per trascinarla al fondo di questa pittura, dove sommessamente riprendere carne e spazio. Come avviene in Saperi fittizi, dove l’anima di un presente dalle apparenze effimere e giocose si risostanzia nella forma della statuaria sacralità di un’atavica mater. Andrea Beolchi


Risaie, acrilico su tela, cm 70 x 120, 2006



Il botanico, acrilico su tela, cm 70 x 120, 2006


Irriverenza, acrilico su tela, cm 70 x 120, 2006


Sosta forzata, acrilico su tela, cm 70 x 120, 2006


Cammino luminoso, acrilico su tela, cm 70 x 120, 2006


Pausa del mezzo dĂŹ, acrilico su tela, cm 70 x 50, 2006


Repentini spostamenti, acrilico su tela, cm 60 x 70, 2007


Spazio plumbeo, acrilico su tela, cm 50 x 70, 2007


Malga movimentata, acrilico su tela, cm 50 x 70, 2006


Nessuna privazione, acrilico su tela, cm 24 x 30, 2007


FragilitĂ , acrilico su tela, cm 24 x 30, 2007


Sali-scendi, acrilico su tela, cm 100 x 124, 2006



Barbara, acrilico su tela, cm 60 x 70, 2007


Delicati particolari, acrilico su tela, cm 60 x 70, 2007


Apnea, acrilico su tela, cm 100 x 70, 2006


Porto del sud, acrilico su tela, cm 100 x 70, 2006


Progetti estivi, acrilico su tela, cm 80 x 100, 2007


Lupo di mare, acrilico su tela, cm 80 x 100, 2006


Cineserie, acrilico su tela, cm 50 x 70, 2007


Saperi ďŹ ttizi, acrilico su tela, cm 70 x 100, 2007


Canicola, acrilico su tela, cm 24 x 30, 2007

Ricordi e passioni, acrilico su tela, cm 24 x 30, 2007


Lettere e posture, acrilico su tela, cm 30 x 24, 2007


Constatazioni quotidiane, acrilico su tela, cm 24 x 30, 2007


Passioni irrinunciabili, acrilico su tela, cm 18 x 24, 2007


Correlazioni automatiche, acrilico su tela, cm 24 x 30, 2007


Percorsi di misura, acrilico su tela, cm 80 x 100, 2007


Differenze superďŹ ciali, acrilico su tela, cm 24 x 30, 2007


Centro campo, acrilico su tela, cm 80 x 100, 2006


MARIO SALINA nato nel 1963 a Mozzanica (Bg). Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Milano. Vive e lavora a Mozzanica (Bg).

MOSTRE PERSONALI 2007 2003 2001 1998 1992 1991 1990 1989

“Sostanziali apparenze”, GiaMaArt studio, Vitulano (Bn). Cappelletti, Arte Contemporanea, Milano. “Ritratti” Francesco Girondini Arte Contemporanea, Verona. Mario Salina, Centro Art’s Events, Torrecuso (Bn). Monopoli Arte Contemporanea, Pavia. Rasponi Arte Contemporanea, Ravenna. “Lucidi Metalli” Fuxia Art Verona. Studio Bassanese, Trieste. Studio d’Arte Cannaviello, Milano.

MOSTRE COLLETTIVE 2004 2003

2002 2000

1998

1995 1994 1993 1992 1991

“Metamorfosi” le ambiguità della visione, a cura di Alessandro Riva, XXXVII Premio Vasto d’Arte Contemporanea, Palazzo d’Alvalos, Vasto (Ch). “Innesti Contemporanei” Arte in salotto, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano. “Anatomie del Futuro”, a cura di Lorenzo Canova, XIV Premio Camposauro, Ex Carcere, Vitulano (Bn). “Occhio”, a cura di Lorenzo Canova, ex Macello, Benevento. “Premio Paolo Parati” (II premio), Vittuone (Mi). “Start-Up”, Assessorato alla Cultura, Comune di Cologne (Bs). “Aula Rossa”, Mostra interattiva, Polo didattico e ricerca, Università Crema (Mi). “Misure Uniche”, Collezione Fiocchi, Palazzo Ducale di Revere (Mn). “Premio Morlotti” (II Premio ex aequo), Comune di Imbersago (Lc). “Premio Donato Frisia” (II Premio ex aequo), Comune di Merate (Mi). “La Zattera della Medusa”, Medusa Arte e Cultura, Milano. “Confronto” Marco Neri, Mario Salina, Rasponi Arte, Ravenna. “Premio Imaginaria”, Palazzo della Rinascente, Milano. “Premio S. Carlo Borromeo”, Palazzo della Permanente, Milano. “Ottovolante”, Galleria d’Arte Contemporanea, Bergamo. “Fiar International Prize Art Under 30”, Palazzo della Permanente, Milano. “Magico Primario”, L’Arte di Fine Secolo, una revisione a cura di Flavio Caroli, Cento (Fe).


1990 1989 1988 1987

“Ipotesi Arte Giovane”, Italia 90, Nunzio, Pizzi Cannella, Ragalzi, Salina, Junge kunst aus Rom, Turin und Mailand Mathildenhohe, Darmstart, testo di E. Pontiggia, Flash Art Milano. “Prime Visioni”, Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea, Art Frankfurt. Galleria delle Ore, Milano. Centro S. Fedele, Milano.

BIBLIOGRAFIA - “Sostanziali apparenze” testo critico in catalogo di Andrea Beolchi, GiaMaArt studio, Vitulano (Bn). - “Metamorfosi” (le ambiguità della visione) di Alessandro Riva testo critico catalogo mostra XXXVII Premio Vasto d’arte Contemporanea, luglio 2004. - “Occhio” di Lorenzo Canova testo critico catalogo mostra,ex macello Benevento dicembre 2003. - “Grottesco selvaggio quotidiano” di Lorenzo Canova testo critico catalogo mostra, XIV Premio d’arte Camposauro (Bn) luglio 2003. - “Mario Salina” di Andrea Beolchi in “Studi cattolici” luglio /agosto 2003. - “La pittura stralunata di Mario Salina” di Alessandro Riva in “Arte” Giugno 2003. - “Il cantastorie della contemporaneita” di Alessandro Riva testo critico catalogo mostra, Galleria Cappelletti Milano 2003. - “Mario Salina ovvero la forza della vita nei colori” di Enza Nunziato, Il Sannio Quotidiano, 26 ottobre 2001. - “Mario Salina e il mantra della pittura” testo critico catalogo mostra, Galleria Art’s Events, Torrecuso (Bn). - “Accorpi” di Albero Mori, testo critico catalogo mostra, Verona: Girondini Arte Contemporanea 2001. - “Salina, i volti pretesto per dipingere la pittura” di Luigi Meneghelli “L’Arena”, 2001. - “Mario Salina, ricordi intuizioni e nostalgie nell’aria di Lombardia” di Alessandro Riva in “Arte” 1998. - “L’occhio marginale” di Andrea Beolchi, testo critico catalogo mostra, Galleria Monopoli Pavia. - “Nuova scena” Artisti italiani degli anni novanta, di Luca Beatrice e Cristina Perrella, Mondadori ed. Milano, 1994. - “Pittura per Mario Salina” di M. L. Frisa, testo critico catalogo mostra, Rasponi Arte Ravenna, 1992. - “Fair international prize” Elena Pontiggia, presentazione catalogo artisti milanesi, Palazzo della Permanente di Milano, 1992. - “Magico primario” Flavio Caroli, testo critico catalogo mostra Galleria D’Arte Moderna di Cento, 1991. - “Il pittore con la sedia” di A. B. Finocchiaro, Bergamo Oggi, 6 gennaio 1991. - “Lucidi metalli” di Gian Piero Vincenzo, testo critico catalogo mostra, Verona Fuxia Alternative, 1991. - “Arte giovane” di Grazia Quadroni in Flash Art, 1990. - “Junge Kunst aus Rom, Tourin, und Mailand” Mathildenhohe, Darmstadt, 1990. - “La natura e l’artificio” di Elena Pontiggia, testo critico, catalogo mostra. - “Giovani artisti con la valigia” di Atonia Abbattista Finocchiaro, Bergamo Oggi, 16 dicembre 1990. - “Nuova pittura” di Maurizio Cecchetti, Avvenire, 5 dicembre 1989. - “Alla ricerca dei miti” di Giovanni Testori, Il Corriere della Sera 12 novembre 1989.



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