Si è conclusa la 53°esima edizione del Vinitaly di Verona, la manifestazione fieristica italiana più grande di sempre e più famosa al mondo. I numeri di questa edizione confermano il trend di crescita del comparto enologico italiano sempre più apprezzato soprattutto al di fuori dei confini nazionali. Cifre da capogiro per l’ultima edizione del Vinitaly: 4.600 gli espositori presenti (+3,1% rispetto all’edizione 2017) provenienti da 36 diversi Paesi (contro i 29 del 2018) e 32 mila i buyer esteri accreditati che quest’anno registrano un aumento del +6%, 100 mila metri quadrati netti espositivi. Al taglio del nastro sono intervenuti Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato della Repubblica italiana, il vicepremier Matteo Salvini, Federico Sboarina, sindaco di Verona, Manuel Scalzotto, presidente della Provincia di Verona, Luca Zaia, presidente della Regione
del Veneto, Phil Hogan, commissario europeo per
l`Agricoltura e lo Sviluppo rurale, Gian Marco Centinaio, ministro edel Poli tiche ag ric le alimentari forestali e del Turi mo, il vicepre m
Ha aperto i lavori Maurizio Danese, presidente di Veronafiere: "Siamo consapevoli di possedere un brand legato al vino tra i più conosciuti al mondo - ha detto -. Per questo Vinitaly intercetta molte risorse tra i 100 milioni di euro di investimenti previsti dal piano industriale". Giovanni Mantovani, direttore generale Veronafiere, sottolinea le novità di questa edizione: "Più innovazione, internazionalità, digitalizzazione. Tutto per affinare ulteriormente la manifestazione come il più efficace strumento di business per gli operatori del settore vitivinicolo". Quest’anno, in collaborazione con ICE Agenzia e con la rete di delegati di Veronafiere in 60 nazioni, è stata ulteriormente potenziata l’attività di incoming
selezionando e invitando top buyer da 50 nazioni di 5 continenti.
Non poteva mancare il premier Giuseppe Conte, giunto nel pomeriggio. Il presidente del Consiglio, accolto con molto calore dai visitatori, ha fatto un ampio giro tra i padiglioni espositivi. "Dal 1967 Vinitaly è una istituzione per il mondo del vino - ha ricordato -. Un appuntamento che sa dialogare con gli operatori professionali ma anche col grande pubblico. Qui c'è passione, c'è economia e ci sono prospettive di crescita grazie all'incremento dell'export".
Contemporaneamente a Vinitaly si svolgono Enolitech, salone internazionale delle tecnologie applicate alla filiera del vino, dell’olio e della birra e Vinitaly Design, dove sono proposti tutti quei prodotti ed accessori che completano l’offerta legata alla promozione del vino e all’esperienza sensoriale. In contemporanea si tiene anche Sol&Agrifood, rassegna internazionale dell’agroalimentare di qualità. Sol&Agrifood sarà inaugurata ufficialmente lunedì 8 aprile alle ore 10.30 dal sottosegretario del Mipaaft, Alessandra Pesce, dopo il talk “Conquistare il consumatore. L’esperienza femminile nel mondo dell’eccellenza agroalimentare italiana” nel quale sarà presentato lo studio Sol&Agrifood-Nomisma sul “profilo del consumatore italiano di prodotti di qualità”.
Passionale come l’amore, tradizionale come il pranzo della domenica, popolare come il calcio. Il vino per gli italiani è molto più di un asset del made in Italy: è un collante tra generazioni che coinvolge quasi 9 cittadini su 10 in tutto lo Stivale. L’indagine Mercato Italia, gli Italiani e il vino realizzata da Vinitaly con l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor e presentata oggi alla Fiera di Verona in apertura della 53ª edizione del salone internazionale dedicato al vino e ai distillati, traccia il profilo dell’approccio al vino e dello stato di salute del mercato interno
del primo Paese produttore al mondo. Si beve meno - il 26% di volumi ridotti rispetto a vent'anni fa - ma lo fanno praticamente tutti e in modo più responsabile: la media è di 2-4 bicchieri a settimana, consumati soprattutto in casa (67%) in particolare dai baby boomers (55-73 anni, al 93%), ma è rilevante la quota di tutte le generazioni, con i millennials (1838 anni) che evidenziano già un tasso di penetrazione pari all’84%. Dato in aumento sia a casa che nel fuori casa. Si beve meno, dunque, ma il mercato del vino tiene e produce un valore al consumo che, secondo l’analisi, è stimato dall’Osservatorio in 14,3 miliardi di euro (dato 2018).
MERCATO INTERNO: VALORE AL CONSUMO DA 14,3 MILIARDI (+2,8% A VALORE) Un mega-vigneto da 650mila ettari, con 406 vini a denominazione, 310mila aziende e soprattutto un valore al consumo del mercato interno che l’Osservatorio Vinitaly – Nomisma Wine Monitor stima nel 2018 in 14,3 miliardi di euro, per un volume di vino venduto pari a 22,9 milioni di ettolitri. Rispetto al 2017 si registra una crescita del 2,8% a valore a fronte di una sostanziale stabilità a volume (-0,4%). Nel confronto tra i top mercati per valore dei consumi, l’Italia si posiziona al 4° posto dopo USA, Francia e Regno Unito. Per il presidente di Veronafiere Spa, Maurizio Danese: “Per la prima volta abbiamo stimato il valore al consumo del
primo mercato al mondo per i nostri produttori. Il dato, che supera i 14 miliardi di euro, la dice lunga su quanto il settore impatti non solo sulla filiera ma anche sui servizi e sull’Horeca”.
TRADIZIONE ELEGANZA E CULTURA, TRA VECCHIE E NUOVE PREFERENZE Per la maggior parte degli intervistati il vino è tradizione, eleganza e cultura, al contrario dei superalcolici, associati a divertimento e monotonia, o della birra, dove prevale il matching con amicizia e quotidianità. “Per gli italiani il vino va oltre lo status symbol – commenta il direttore generale di Veronafiere Spa,Giovanni Mantovani –, rappresentando un tassello fondamentale della cultura tricolore, al contrario di altri Paesi consumatori. E Vinitaly è un brand riconosciuto come bandiera: tre italiani su quattro conoscono infatti la nostra manifestazione, dato che sale al Nord, per l’81%, e tra gli italiani con un alto livello di scolarità e reddito. Una notorietà del brand non fine a se stessa –
continua il dg – perché Vinitaly ha l’obiettivo di parlare attraverso tutti i canali possibili, per creare un rapporto sempre più coeso tra il mondo dei produttori e quello dei consumatori. In questi anni abbiamo investito quasi cinque milioni di euro nello sviluppo digital e la nostra sarà la prima manifestazione che userà queste potenzialità”.
E se è vero che il vino rosso rimane il favorito in tavola, lungo la Penisola cambiano le preferenze sulla base di vecchie e nuove abitudini al consumo e della vocazione delle diverse aree vitate. Chi beve vino rosso lo fa nella metà dei casi almeno 2-3 volte la settimana mentre per le altre tipologie il consumo è più episodico, in particolare nel fuori casa. Nelle città metropolitane, dove il tasso di penetrazione è uguale o leggermente superiore alla media italiana (91% a Napoli contro 88% in Italia) e si abbassa l’età media dei consumatori, Roma beve molto più vino bianco rispetto alla media italiana (25% vs 18%) mentre a Napoli i rossi dominano nelle preferenze e a Milano lo sparkling presenta punte di consumo ben superiori alla media, come pure i rosati nei capoluoghi meneghino e partenopeo.
Un rapporto edonistico – quello tra gli italiani e il vino – fatto di soddisfazione dei sensi più che di conoscenza, con solo un quarto dei consumatori che si dice in grado di riconoscere ciò che sta bevendo. Quota quella degli ‘esperti’ che sale nei maschi (33% contro il 18% delle donne), nel Nord-Ovest (31%) e in maniera direttamente proporzionale al reddito (45%) e alla scolarità (laureati al 39%). Tra i criteri di scelta, il territorio di produzione la spunta su denominazione e vitigno. Assieme sommano il 61% delle risposte e si rivelano molto più importanti di prezzo, brand aziendale, consigli di sommelier e caratteristiche green. Tra i ‘saranno famosi’ nei prossimi 2-3 anni, i consumatori indicano invece gli autoctoni (28%), i biologici (19%), i vini veneti, piemontesi, toscani, pugliesi e siciliani e quelli leggeri, facili da bere e da mixare. Vino nel bicchiere ma anche in campagna, con il 23% degli italiani che hanno fatto una vacanza/escursione in un territorio del vino e solo il 18% che esclude questa possibilità in futuro. Tra le mete più ambite, stravince la Toscana con il Chianti e Siena, poi Piemonte (Langhe e Asti) e il Veneto.
FENOMENO SPRITZ E VINI MIXATI Su tutta la Penisola si fa largo lo spritz che è il re del fuori casa (e dell’aperitivo) e ormai un vero e proprio rito di iniziazione al vino per i palati più giovani. Una svolta pop che allo stesso tempo può essere interpretata come un primo approccio culturale verso un prodotto bandiera.
REGIONI: NORD IN TESTA PER CONSUMI E CONOSCENZA “L’indagine realizzata sul consumatore italiano di vino – ha detto il responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini –, è stata declinata in profondità per aree, regioni e grandi città, un dettaglio necessario per capire a fondo le tendenze che si stanno delineando nel mercato nazionale. Un
mercato che non va trascurato, non solo per il valore che esprime ma per il fatto che la brand reputation dei nostri
produttori e dei nostri vini – da far poi valere sui mercati esteri – si costruisce innanzitutto in Italia”. Il quadro indagato dall’Osservatorio
Vinitaly-Nomisma Wine Monitor – che ha
realizzato anche focus su 6 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana, Campania e Sicilia) e 3 città (Roma,
Milano e Napoli) – rende un’Italia del vino abbastanza uniforme nelle
abitudini al consumo, con una lieve prevalenza al Nord, dove anche si concentra una maggior conoscenza del prodotto. Vola, in particolare in Lombardia e Veneto, il
consumo di spritz (attorno al 40% nel fuori casa) e più in generale dei vini mixati nelle grandi città, dove è maggiore anche la propensione alla vacanza enoturistica, in particolare a Milano (36%). Il rosso, primo tra i consumi, domina al Sud, in Piemonte e in Toscana, mentre in Veneto è altissima l’incidenza degli sparkling. Più marcate le differenze sulla conoscenza dei grandi vitigni: chiamati a indicare la provenienza regionale di Amarone della Valpolicella, Brunello di Montalcino e Franciacorta, solo 1 italiano su 4 risponde correttamente, in una geografia delle risposte che premia i veneti (38% di risposte senza errori), seguiti da Lombardia (34%), mentre fanalini di coda sono la Sicilia e la Campania, dove la soglia si abbassa a circa 1/5 dei rispondenti.
MERCATO INTERNO: VALORE AL CONSUMO DA 14,3 MILIARDI (+2,8% A VALORE)
Un mega-vigneto da 650mila ettari, con 406 vini a denominazione, 310mila aziende e soprattutto un valore al consumo del mercato interno che l’Osservatorio Vinitaly –
Nomisma Wine Monitor stima nel 2018 in 14,3 miliardi di euro, per un volume di vino venduto pari a 22,9 milioni di ettolitri. Rispetto al 2017 si registra una crescita del 2,8% a valore a fronte di una sostanziale
stabilità a volume (-0,4%). Nel confronto tra i top mercati per valore dei consumi, l’Italia si posiziona al 4° posto dopo USA, Francia e Regno Unito. Per il presidente di Veronafiere Spa, Maurizio Danese: “Per la prima volta abbiamo stimato il valore al consumo del primo mercato al mondo per i nostri produttori. Il dato, che supera i 14 miliardi di euro, la dice lunga su quanto il settore impatti non solo sulla filiera ma anche sui servizi e sull’Horeca”.
TRADIZIONE ELEGANZA E CULTURA, TRA VECCHIE E NUOVE PREFERENZE Per la maggior parte degli intervistati il vino è tradizione, eleganza e cultura, al contrario dei superalcolici, associati a divertimento e monotonia, o della birra, dove prevale il matching con amicizia e quotidianità. “Per gli italiani il vino va oltre lo status symbol – commenta il direttore generale di Veronafiere Spa, Giovanni Mantovani , rappresentando un tassello fondamentale della cultura
tricolore, al contrario di altri Paesi consumatori. E Vinitaly è un brand
riconosciuto come bandiera: tre italiani su quattro
conoscono infatti la nostra manifestazione, dato che sale al Nord, per l’81%, e tra gli italiani con un alto livello di scolarità e reddito. Una notorietà del brand non fine a se stessa – continua il dg – perché Vinitaly ha l’obiettivo di parlare attraverso tutti i canali possibili, per creare un rapporto sempre più coeso tra il mondo dei produttori e quello dei consumatori. In questi anni abbiamo investito quasi cinque milioni di euro nello sviluppo digital e la nostra sarà la prima manifestazione che userà queste potenzialità”. E se è vero che il vino rosso rimane il favorito in tavola, lungo la Penisola cambiano le preferenze sulla base di vecchie e nuove abitudini al consumo e della vocazione delle diverse aree vitate. Chi beve vino rosso lo fa nella metà dei casi almeno 2-3 volte la settimana mentre per le altre tipologie il consumo è più episodico, in particolare nel fuori casa. Nelle città metropolitane, dove il tasso di penetrazione è uguale o leggermente superiore alla media italiana (91% a Napoli contro 88% in Italia) e si abbassa l’età media dei consumatori, Roma beve molto più vino bianco rispetto alla media italiana (25% vs 18%) mentre a Napoli i rossi dominano
nelle preferenze e a Milano lo sparkling presenta punte di consumo ben superiori alla media, come pure i rosati nei capoluoghi meneghino e partenopeo.
Un rapporto edonistico – quello tra gli italiani e il vino – fatto di soddisfazione dei sensi più che di conoscenza, con solo un quarto dei consumatori che si dice in grado di riconoscere ciò che sta bevendo. Quota quella degli ‘esperti’ che sale nei maschi (33% contro il 18% delle donne), nel Nord-Ovest (31%) e in maniera direttamente proporzionale al reddito (45%) e alla
scolaritĂ (laureati al 39%). Tra i criteri di scelta, il territorio di produzione la spunta su denominazione e vitigno. Assieme sommano il 61% delle risposte e si rivelano molto piĂš importanti di prezzo, brand aziendale, consigli di sommelier e caratteristiche green. Tra i ‘saranno famosi’ nei prossimi 2-3 anni, i consumatori indicano invece gli autoctoni
(28%), i biologici (19%), i vini veneti, piemontesi, toscani, pugliesi e siciliani e quelli leggeri, facili da bere e da mixare. Vino nel bicchiere ma anche in campagna, con il 23% degli italiani che hanno fatto una vacanza/escursione in un territorio del vino e solo il 18% che esclude questa possibilità in futuro. Tra le mete più ambite, stravince la Toscana con il Chianti e Siena, poi Piemonte (Langhe e Asti) e il Veneto.
Business in fiera, wine lover in città La formula di Vinitaly, "Business in fiera, wine lover in città", anche nel 2019 registra il gradimento delle aziende, soprattutto alla luce della riorganizzazione dei padiglioni F e 8. Il progetto di separare la parte business da quella destinata al consumatore finale, in corso già da qualche anno, ha portato la rassegna a gestire una graduale diminuzione del numero dei wine lover, per i quali è stato potenziato il fuori
salone Vinitaly and the City.
Le novità: Organic Hall e Vinitaly Design Tra le principali novità di quest’anno, le masterclass dedicate ai vini artigianali, il nuovo salone Vinitaly Design e l'Organic Hall. In un contesto in cui i mercati sono sempre più attenti alla trasparenza, ai temi ambientali ed etici, aumentano le
etichette di vini biologici anche nella directory di Vinitaly: quasi 3.300 su 18 mila etichette presenti sono vini biodinamici o realizzati con tecniche di agricoltura biologica. Per questo motivo è stato creato un nuovo spazio, l’Organic Hall, dedicato ai vini biologici prodotti secondo la normativa europea, che a sua volta accoglie il VinitalyBio, organizzato in collaborazione con Federbio e la collettiva dell’associazione Vi.Te, che da sette anni collabora con Veronafiere per rappresentare i vini artigianali.L’incremento della superficie in fiera è finalizzato ad aumentare la visibilità delle aziende che hanno puntato di più sulla sostenibilità delle produzioni e, nel caso dei vini artigianali, ad accrescere la consapevolezza dei buyer rispetto a queste tipologie di prodotti. La nuova ubicazione di VinitalyBio e dei produttori artigianali ha liberato spazio per nuove aziende nella collettiva dei
vignaioli indipendenti di Fivi, in costante crescita anno su anno.
Vinitaly Design, invece, rappresenta la sintesi di un’importante razionalizzazione che ha interessato Enolitech, sempre nel padiglione F. Dalla vigna alla cantina, dal campo al frantoio passando dalla birrificazione, è questa la suggestione di questa parte espositiva.
Al suo interno sono proposti tutti quei prodotti e accessori che completano l’offerta legata alla promozione del vino, dall’esperienza sensoriale e all’accoglienza: oggettistica per la degustazione e il servizio, arredi, packaging. La nuova iniziativa permette di mantenere all’interno di Enolitech unicamente le tecnologie e le attrezzature per la produzione di vino, olio di oliva e birra. Qui è possibile trovare le migliori soluzioni hi tech e digital per la vitivinicoltura, l’olivicoltura e la produzione di birra. Spazio soprattutto alla sostenibilità, con attrezzature e strumenti green per rispondere a esigenze di filiera sempre più a basso impatto ambientale.
Il vino parla asiatico, il futuro è tricolore?
Secondo un
recente studio, a cura dell'Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, il vino parla sempre più asiatico, in un mercato con cui dialogano in particolare i francesi e il
‘nuovo’ mondo produttivo, Australia e Cile soprattutto, che in alcuni
paesi beneficiano di una politica dei dazi favorevole. Dallo studio emerge come l’Italia, a fronte di una tenuta in terreno positivo del sistema vino made in Italy a livello mondiale (+3,3% nel 2018 sull’anno precedente), abbia ancora una presenza marginale in Asia Orientale rispetto alle sue potenzialità.
Ad ogni modo, il Belpaese, secondo l’analisi dell’Osservatorio, è certamente cresciuto nelle vendite, ma meno dei suoi concorrenti: in Cina in 5 anni l’incremento italiano ha sfiorato l’80% mentre le importazioni da mondo hanno segnato un +106%; in Giappone – il mercato più tricolore in Asia – dove l'Italia non ha fatto meglio di
un +3,4%, contro una domanda del Sol Levante cresciuta di quasi il 30%. Il futuro si annuncia comunque interessante per l’Italia, con un tasso annuo di crescita stimato nei prossimi 5 anni che si prevede essere superiore ai consumi dell’area: fino all’8% in Cina, dall’1% al 2,5% in Giappone.
Produttori, importatori, ristoratori, tecnici, giornalisti e opinion leader hanno dato vita ad un evento seguitissimo tanto su “media tradizionali” quanto sui social network. Fra i trend del settore, il più evidente da segnalare è il boom del vino biologico capace, nel 2018, di registrare un incremento nelle vendite del 45% rispetto al 2016. Il vino è diventato un vero e proprio simbolo della qualità italiana nel mondo e come ha rimarcato Luca Zaia, presidente della regione Veneto, “non è un caso che
la più grande e bella fiera del vino sia in Italia e in Veneto”, visto che l’Italia è il primo produttore al mondo ed il Veneto è il primo produttore d’Italia.
L’Italia è anche uno dei primi esportatori al mondo delle proprie eccellenze enologiche: 1/5 del totale dell’export globale di vino proviene dal Belpaese, per un valore complessivo di 6 miliardi di euro. A confermare le prestazioni da record dell’export del settore un’indagine condotta da Coldiretti, basata sui dati del commercio estero relativi al mese di gennaio 2018 e resa nota proprio in occasione della giornata
conclusiva del Vinitaly, dalla quale emerge l’incremento del 13% dell’export di vini Made in Italy, rispetto a gennaio 2018. In assoluto comunque il settore è in salute e nel 2018 ha prodotto un turn over di circa 11,3 miliardi di euro, in aumento del 2,7% rispetto al 2016.
A trainare questa crescita sono ancora una volta gli spumanti italiani (+26%) che stanno raccogliendo un apprezzamento incredibile in giro per il mondo e che rappresentano oltre il 20% sul totale dell’export di vini italiani (1,36 miliardi di euro).Negli ultimi dieci anni infatti, come attestano i dati della ricerca “Il futuro del mercato. I mercati del futuro” di Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, nel mondo si è registrata un’incredibile impennata (+240%) nel consumo di vini sparkling, a fronte di un sostanzioso incremento dei vini fermi, che si è però fermato ad un più modesto +50%. Le previsioni per l’anno in corso sono altrettanto positive tanto che è una crescita delle vendite di vino all’estero del 3,4%.
La parte del leone dovrebbe essere giocata ancora una volta dalle “bollicine” (+10%) con il prosecco protagonista indiscusso perché capace di conquistare moltissimi mercati per la sua versatilità e per il forte appeal esercitato sui millennials e sul mondo femminile.
Tutto ciò mentre nel mondo si assiste a una crescita generalizzata del consumo di vino: negli ultimi 15 anni infatti si è passati da 228 a 242 milioni di ettolitri con un incremento complessivo del 6,1%.Fra i Paesi che hanno registrato gli andamenti più interessanti spiccano gli Stati Uniti (+18% a gennaio 2018) che oggi rappresentano il primo mercato mondiale per consumi e mostrano significative previsioni di crescita di circa il 6% nei prossimi cinque anni, rispetto ad un tasso medio globale che dovrebbe fermarsi al +2%. A seguire si evidenziano le performance di Cina (+16%), Francia (+14%), Germania (+12%) e Russia (+9%), che dovrebbero addirittura incrementare questo trend di crescita nel prossimo quinquennio se è vero che, come sostiene la ricerca di Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, saranno Cina
(+38,5%), Russia (+27,5%), Usa (+22%) e Giappone (+10%) a registrare gli incrementi più interessanti nell’acquisto di vino italiano. Tra questi mercati, particolarmente degno di nota è quello cinese, che dai primi anni 2000 ad oggi ha più che raddoppiato i propri consumi di vino, con grande
potenziale di crescita. Proprio verso il colosso asiatico sarebbe
opportuno che gli esportatori di vino italiani concentrassero la loro attenzione, cosĂŹ come fanno alcuni dei nostri competitor, in particolare gli australiani ed i francesi, che sono giĂ molto piĂš presenti e strutturati.
Fra gli altri mercati a maggior potenziale di sviluppo si segnalano Giappone e Sudamerica, aree in cui però c’è da battere la forte concorrenza dei vini cileni ed australiani che si sono conquistati importanti fette di mercato anche grazie ad alcuni accordi di libero scambio già in vigore.
Anche gli investimenti sul marketing non vanno sottovalutati poichÊ conquistare nuovi consumatori è di fondamentale importanza. In quest’ottica si inserisce il video della
campagna istituzionale di promozione del vino italiano
all’estero “Italian Wine – Taste the Passion” realizzata da Ice in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico e quello delle Politiche Agricole e presentata proprio qualche settimana prima del Vinitaly, che associa il nostro vino ad esperienze culturali, territoriali e di lifestyle espressive dell’ eccellenza e unicità italiane. Un problema non indifferente, inoltre, che le aziende italiane incontrano quando affrontano i mercati esteri è legato alle loro dimensioni ridotte che le rendono meno competitive nell’arena internazionale: spesso si parla infatti di piccole e medie imprese, se non addirittura di micro aziende. Sarebbe perciò il caso di cogliere il suggerimento del presidente di
Veronafiere, Maurizio Danese, il quale ha sostenuto che:
“Oggi per sopperire al nanismo delle nostre imprese e per penetrare nei mercati più lontani da noi sul piano delle affinità culturali serve un brand ombrello e una struttura qualificata in grado di accompagnare nel mondo non le singole aziende ma tutto il made in Italy enologico con modalità aggregative”.
Verona si trasforma in capitale del vino per 4 giorni e ospita degustazioni tematiche di vini italiani e stranieri e convegni che affrontano le principali questioni legate al mercato, con analisi specifiche condotte dall’Osservatorio di Vinitaly Studi & Ricerche. Oltre alle aree espositive dedicate ai produttori di vino, il salone si compone di workshop, buyers club ed esposizioni speciali per promuovere il Made in Italy e far conoscere le aziende emergenti. Nel contesto di Vinitaly inoltre, si organizzano numerosi concorsi e premi internazionali, tra i piÚ famosi il concorso enologico
“L’Internazionale”, e il Premio Internazionale Vinitaly.
Insomma potremmo definirlo l’appuntamento principe del vino da 50 anni a questa parte. Un evento enorme, in un giorno riesci a visitare al massimo il 20% dell’intera manifestazione. E in più, puoi trovarci di tutto. Dagli operatori che espongono il proprio prodotto, ai manager in cerca di carpire qualche segreto, ai bevitori appassionati, quelli che trovano il loro El Dorado in un evento come questo. Quello che però è certo, è che Vinitaly va visitato almeno una volta nella vita. Il vino italiano è una delle più grandi eccellenze del paese, un’eccellenza che continua a godere
di
una
considerazione
altissima
in
tutto
il
mondo.
Per darvi un’idea più concreta della portata di Vinitaly, voglio fornirvi qualche dato. 128 mila visitatori provenienti da 143 nazioni hanno preso parte ai vari appuntamenti, con operatori esteri in crescita rispetto al 2017 da USA (+11%), Cina (+34%), Nord Europa – Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca (+17%), Paesi Bassi (+15%), Polonia (+27%) e triplicati da Israele; 4.380 aziende espositrici (130 in più dello scorso anno) in rappresentanza di 36 paesi; 15.100 vini proposti tramite l’innovativo strumento della Vinitaly Directory online, in lingua italiana, inglese e cinese per favorire contatti commerciali tutto l’anno. Mentre la top ten delle presenze assolute sul totale vede primi i buyer da USA seguiti da quelli provenienti da Germania, Regno Unito, Cina, Francia, Nord Europa (Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca), Canada, Russia, Giappone,
Paesi Bassi insieme al Belgio. A Veronafiere per quattro giorni presenti oltre 4.380 aziende espositrici (130 in più dello scorso anno) da 36 paesi. Soddisfacenti anche i dati del fuori salone Vinitaly and the City che ha attirato quasi 60 mila appassionati e wine lover, dando così la possibilità agli operatori di diversificare la loro offerta e di attirare i visitatori anche nel cuore di Verona, facendone ammirare l’inestimabile bellezza.
Insomma, risultati importanti e in continua crescita, fa piacere. Sono un grande appassionato di vini e di enogastronomia e ogni anno riesco a prendermi un po’ di tempo per fare un salto al Vinitaly. Anche quest’anno ho incontrato molte aziende. L’entusiasmo e l’originalità non mancano mai, per i vari produttori il Vinitaly rappresenta una vetrina a dir poco fondamentale. Tra quelle che mi hanno colpito maggiormente (non solo per la qualità dei vini ma anche per tutti i mini eventi collegati organizzati) ce ne sono 3 di cui voglio assolutamente parlarvi. La prima è il Consorzio del Prosecco Doc, ormai un veterano del Vinitaly. Nell’Area H del Salone l’azienda ha sfoggiato un calendario ricco di incontri e conferenze, ai quali si sono alternate durante tutte le giornate degustazioni e masterclass rivolte a sommelier, enologi, buyer e giornalisti di respiro internazionale nonchè imperdibili showcooking
condotti da rinomati chef con protagonista il Prosecco Doc in pairing con eccellenze del calibro di Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Gorgonzola, Prosciutto di San Daniele, Monte Veronese, tutti rigorosamente DOP
Il vino italiano punta al suo gioco negli Stati Uniti. Al Vinitaly, l'agenzia commerciale del paese annuncia piani per una spinta di marketing da 25 milioni di dollari. Quest'anno Vinitaly ha puntato i riflettori sugli Stati Uniti, il più grande mercato di esportazione per i vini italiani. Il 2018 Vinitaly International Award è stato presentato a Gina Gallo di California, E & J Gallo. L'azienda è tra i maggiori produttori di vino d'America e importa anche una serie di prestigiose cantine italiane attraverso la sua divisione Lux. "La mia famiglia ha radici profonde in Italia", ha detto Gallo a una folla di 400 persone alla cena di gala di Vinitaly. "Siamo orgogliosi e onorati di far parte della comunità vinicola di questo paese". La comunità italiana l'ha abbracciata a sua volta; la cena, giustamente intitolata "Work in Progress", ha esemplificato l'industria vinicola del paese, che continua ad innovare anche se onora le sue ricche tradizioni, accogliendo gli estranei mentre cresce in tutto il mondo.
Gli americani pensano alla qualità e alla bellezza quando bevono italiano, ma pensano al lusso? Gli amanti del vino americani non hanno bisogno di sentirsi dire che l'Italia produce alcuni dei grandi vini del mondo. Ma i viticoltori italiani credono di poter migliorare le vendite nel più grande mercato vinicolo del mondo e hanno lanciato un'aggressiva spinta di marketing. È un disco ambizioso volto ad elevare l'immagine del vino italiano con i consumatori e i professionisti del vino statunitensi. "È la più grande campagna promozionale che abbiamo mai fatto", ha dichiarato Maurizio Forte, direttore della sede di New York dell'agenzia di commercio italiana. "La maggior parte dei consumatori americani considera il vino italiano casual, il vino quotidiano, ma l'Italia è molto più di questo", ha dichiarato Forte a Wine Spectator alla
fiera annuale del vino Vinitaly a Verona questa settimana.
L'Italia è già la principale fonte di vini importati negli Stati Uniti, inviando 37,9 milioni di casi in America nel 2016, rispetto ai 15,3 milioni della Francia, secondo Impact Databank , una pubblicazione sorella di Wine Spectator . Ma i viticoltori italiani vogliono competere di più con i francesi nella fascia alta del mercato del vino. A tal fine, l'associazione di categoria prevede di spendere 25 milioni di dollari in tre anni per una campagna denominata "Wine-Taste the Passion", che comprende pubblicità, promozioni e formazione per i professionisti del settore enogastronomico. Alla cerimonia di apertura di Vinitaly, gli organizzatori hanno annunciato un'indagine sui consumatori americani da parte di Wine Monitor Nomisma che si concentrava sull'immagine dei vini italiani rispetto ai vini francesi. Il sondaggio ha rilevato che la stragrande maggioranza dei consumatori americani considera la qualità dei vini francesi e italiani alla pari. Tuttavia, la maggior parte percepisce i due
in modo molto diverso: associano il vino italiano alla "tradizione" e alla "convivialità" e ai vini francesi con "esclusività" ed "eleganza".
"In termini di qualità, il nostro vino è allo stesso livello della Francia", ha affermato Forte. "Sfortunatamente, il prezzo medio è metà". Gran parte di questa differenza, ha detto Forte, ha a che fare con il divario tra i prezzi delle sei-a-uno tra le due categorie dominanti di vini spumanti - Champagne e Prosecco. Ma il divario ha anche a che fare con la mancanza di comprensione del vino italiano e delle sue denominazioni. "Vogliamo iniziare a rivendicare il nostro posto nella fascia più alta del mercato", ha affermato. L'agenzia commerciale sponsorizzata dal governo italiano sta iniziando a spingersi nei cinque stati già responsabili di quasi i due terzi delle importazioni italiane di vino: New York, California, Texas, Illinois e Florida. Alla fine si espanderà. Il vino rappresenta in realtà una piccola percentuale - circa il 3,5% delle 50 miliardi di esportazioni italiane negli Stati Uniti - dalla moda alle macchine industriali, dalle moto al cibo, ha detto Forte. Ma
l'agenzia dedica il 30 percento del budget promozionale al vino per una semplice ragione: "Perché il vino è un prodotto iconico. È qualcosa che può portarti nel giro della cultura italiana ".
ARCHITETTURA DI UN'AZIENDA DI ECCELLENZA Quanto parliamo di vino quella di Flora Mondello, della Gaglio Vignaioli è un rally che corre nel mondo del vino siciliano che parte fin dal 1910 iniziata a Oliveri con spirito di leggerezza e quel tocco, tutto femminile, di chi non si prende sul serio. Nonna Nina e mamma Maria Teresa, gli danno passione e volontà a tramandare con determinazione e orgoglio il valore delle sue radici siciliane. Personalità forte e determinata quella che si nasconde dietro lo sguardo ed il fascino di Flora Mondello. Occhi grandi neri, fisico mediterraneo e un largo sorriso. Nata a Patti, ha 33 anni, ha una laurea in architettura in tasca ed è anche mamma di Giulia, bellissima figlia adolescente. A 23 anni Flora ha deciso che il suo futuro non aveva bisogno di andarselo a cercare lontano, perché lo aveva già sotto ai piedi. Aveva capito che il suo futuro era nella sua terra: 50 ettari di terreno tra vigneti, uliveti e frutteti nell'agro di Oliveri, in provincia di Messina, dove il nonno Francesco Gaglio, veterinario con la vis da imprenditore agricolo, coltivava patate che vendeva con successo ai tedeschi, ed allevava galline per l’aviocultura. A Flora, unica nipote dell'unica figlia Maria Teresa, la nonna dedicò l'azienda con un nome da fiaba “La Flora”.
«Se nonno Francesco stava nei campi - ricorda Flora- era nonna Nina quella che assegnava i ruoli e li faceva rispettare. Negli anni, quando ho dovuto rimboccarmi le maniche e mettere a sistema la mia azienda, l'ho rivalutata». Il matriarcato è nel dna della famiglia e continua ancora oggi in cantina, dove l'enologa Stefania Lena dà eleganza e personalità a vini che sono l'espressione autentica del territorio. All'ombra di Tindari, di fronte alle Isole Eolie, la Gaglio Vignaioli dal 1910 continua con determinazione e orgoglio a tramandare il valore delle proprie radici «perchè - sintetizza la numero uno dell'azienda - noi siamo la nostra storia». Un'avventura nel mondo del vino, quella di Maria Teresa e di Flora, iniziata con spirito goliardico e quel tocco, tutto femminile, di non prendersi troppo sul serio. Anzi, per dirla con le parole di Vasco Rossi “è tutto un equilibrio sopra la follia”. «Quando decidemmo di vendere il nostro primo vino - ricorda Flora -, caricammo alcuni cartoni nella Bmw di mia madre e partimmo alla volta della Germania dove si teneva una fiera. Il risultato ci lasciò senza parole: ritornammo a casa con zero cartoni, i soldi per lo shopping e la consapevolezza che il nostro vino era piaciuto». La strada era in salita per Flora, che decise comunque di fare impresa in un territorio difficile.
Se la mancanza di infrastutture e la lentezza della burocrazia triplicano gli sforzi di chi, nonostante tutto, decide d'investire, è il contesto sociale con i suoi pregiudizi lancinanti a ferire . «All'inizio mi guardavano con sospetto e sufficienza. "Ma cosa deve fare questa ragazzina, dicevano in paese, ancora qualche mese e mollerà" racconta con una punta di dolore -. Ed invece sono ancora qui, a lottare, per la mia famiglia, la mia azienda, la mia terra. La mia vita». Si volta indietro, Flora, oggi donna Flora. «Io ero la bambina che correva libera per queste terre con mio nonno. Le conosco palmo a palmo. Così come conosco le vite di intere generazioni di persone che hanno lavorato e continuano lavorare qui. Purtroppo - dice scuotendo la testa- ho un pregio, che è anche il mio peggior difetto: il senso di responsabilità». E certo non è un caso se ha scelto di dare ai suoi vini i nomi delle eroine dell'antica Tyndaris. Vini che in questi anni le sono valsi riconoscimenti importanti: nel 2013 la Medaglia d'Oro dalla Maison des Artistes all'Università La Sapienza di Roma per “aver saputo coniugare all'aspetto commerciale quello della continuità e di aver esportato nel mondo- si legge nella motivazione del premio- i valori e le immagini della propria terra” e l'anno successivo, al Vinitaly, si è aggiudicata la Gran Medaglia di Cangrande ai Benemeriti della Viticoltura. «Ho dedicato a questa attività i miei anni migliori - continua Flora- però, anche se a volte mi viene voglia di mollare, le soddisfazioni non mancano».
Il suo “Don Tindaro”, un gran cru di Nero d'Avola in purezza , vino di punta dell'azienda, è conosciuto dall'Europa al Giappone, ma il vino che ha segnato la svolta è “Esdra”, il pluripremiato Mamertino D.O.C.. «Una produzione contenuta ma di alta qualità, perchè la prima selezione parte già dalla vigna - spiega Flora Mondello -. Solo le uve migliori vengono raccolte per produrre quei vini di cui siamo fiere. Noi siamo una piccola azienda e possiamo essere notate solo se caratterizziamo il nostro prodotto, se gli conferiamo quell'unicità che lo rende distinguibile ed irripetibile». Fedele al brand, Flora ha reimpiantato nella sua azienda un vitigno autoctono raro, il Nocera, tra le novità al prossimo Vinitaly. Instancabile e dinamica, Flora fa lo slalom tra gli impegni di madre e quelli di imprenditrice: si divide tra i turisti e i buyer che la vengono a trovare in azienda, dove ha anche realizzato un wine store con le specialità dei Nebrodi, e le bizze adolescenziali di Giulia, che le ha già preannunciato che da grande farà il magistrato. «Ho sentito una fitta al cuore - ci confida Flora -. Il solo pensiero che questa nostra attività di famiglia non possa continuare, mi provoca dolore, ma poi chissà. Intanto si continua a lavorare». Si lavora a Gaglio Vignaioli dal 1910, si lavora anche mentre si chiacchiera, e quando parliamo della nuova cantina costruita nel 2013, gli occhi di Flora si illuminano di fierezza:
ÂŤE' sorta
proprio su quel campo di patate che ha fatto la fortuna di mio nonno e della gente di Oliveri. Ci sono episodi che ci segnano per la vita - racconta -, ricordo che avevo tredici anni quando nonno Francesco ricevette una telefonata. Di corsa, ci precipitammo a Scala di Patti, nella casa di famiglia. Avevano tentato di bruciarla, ma non ci riuscirono. Credo fu allora che presi la decisione di rimanere quiÂť.
A Tindari nel territorio di Messina in Sicilia, nascono vini molto interessanti, potenti e dalla grande longevità , destinato a diventare famoso e icona di un’Isola che produce senza dimenticare tutto il tessuto economico e territoriale di cui fa parte. Stiamo parlando del Mamertino,
un vino che ha alle spalle una storia millenaria. Oggi è un vino a Doc, certamente ben diverso da quello a cui Plinio il Vecchio assegnò il quarto posto nella sua classifica dei 195 vini migliori dell’’Impero Romano. Perfino Giulio Cesare lo annoverava fra i suoi preferiti, tanto che, secondo la tradizione, scelse proprio il Mamertino per brindare al suo terzo consolato.
Flo ra Mondello con una laurea in architettura, ha tracciato le linee seguendo le orme della tradizione di famiglia, con la produzione di un Mamertino doc pluripremiato. Il suo vino ha conquistato importanti mercati internazionali come quello russo, giapponese, statunitense e quello Europeo Al Vinitaly 2019 l’area produttiva della Doc
Ma mertino porta un messaggio innovativo per la Sicilia: l’unione, la voglia di lavorare per un obiettivo comune. E racconterà, attraverso i vini e l’entusiasmo dei giovani vignaioli, un percorso iniziato a metà marzo di quest’anno, quando in tredici (in tutto i produttori di Mamertino Doc sono diciassette) si sono presentati per costituire l’associazione dei
Produttori del Mamertino. È il primo nucleo da cui poter far sviluppare, un giorno, il Consorzio di Tutela della Denominazione, riconosciuta nel 2004», spiegano le aziende che hanno ad oggi aderito ovvero: Antica Tindari, Barone Ryolo, Bongiovanni Giuseppe, Calderone Antonino, Cambria Vini, Feudo Solaria, Gaglio Vignaioli, Mimmo Paone, Planeta, Principi di Mola, Sapuri Cantina Siciliana, Vasari e Vigna Nica.
Il Consiglio direttivo dell’Associazione Doc Mamertino è composto dal Presidente è composto dal Presidente Flora Mondello(Gaglio Vignaioli), dal vice Presidente Carmelo Grasso(Feudo Solaria), dal tesoriere Simone Paone(Mimmo Paone) e dai consiglieri Ylenia Martino (Antica Tindari) e Maria Genovese(Vigna Nica).
Oggi il tessuto produttivo del Mamertino è prevalentemente rappresentato da piccole aziende di famiglia, con una media di 3 o 4 ettari per azienda. I vigneti coprono un’estensione poco inferiore ai 100 ettari complessivi per poco meno di 100 mila bottiglie. «Sono piccole produzioni - spiega Flora Mondello produttrice e neo-presidente dell’Associazione – che devono essere spinte anche dal sistema ricettivo e dalla ristorazione locale e siciliana, ancora troppo poco coinvolta in questa fase di rinascita e comunicazione dedicata ai vini del Mamertino».
Il Mamertino si può produrre solo nell’areale definito del disciplinare di produzione che è tutto incluso nella provincia di Messina. Sono 34 comuni (Alì, Alì Terme, Barcellona Pozzo di Gotto, Basicò, Castroreale, Condrò, Falcone, Fiumedinisi, Furnari, Gualtieri Sicaminò, Itala, Librizzi, Mazzarrà Sant’Andrea, Meri, Milazzo, Monforte San Giorgio, Montalbano Elicona, Nizza di Sicilia, Oliveri, Pace del Mela, Patti, Roccalumera, Roccavaldina, Rodi Milici, San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela, San Pier Niceto, Scaletta Zanclea, Terme Vigliatore, Torregrotta, Tripi) il cui territorio dalla costa tirrenica risale colline, boschi e rilievi per caratterizzare uno degli habitat viticoli più straordinari e ricchi di biodiversità della Sicilia: i Nebrodi.
« Il Mamertino – continua Flora Mondello – è un piccolo gioiello della nostra storia vitivinicola che, pur venendo da un glorioso e remotissimo passato, può interpretare una modernità enologica davvero interessante e competitiva”.
Sono infatti le condizioni pedoclimatiche specifiche espresse da questi territori e l’interazione di queste con i vitigni impiantati a definire l’identità enologica di un’area così differenziata, per suoli, clima ed esposizione. Un territorio assai mosso nella sua morfologia, aperto sul mare, ma con altezze che raggiungono anche i 500 metri sul livello del mare. Le tipologie ammesse dal disciplinare di produzione, adottato nel 2004 e su cui sono intervenute alcune modifiche, la più recente nel 2014, sono principalmente quattro: Bianco e Bianco Riserva; Rosso e Rosso Riserva; Calabrese o Nero d’Avola e Calabrese o Nero d’Avola Riserva e, infine Grillo – Ansonica o Grillo – Inzolia.
Il disciplinare regola anche le percentuali varietali minime e massime (vedi documento allegato) per ciascuna tipologia prima descritte e che nei vini bianchi e riserva ammette le seguenti varietà: Grillo, Ansonica e Catarratto (normale e Lucido) a cui possono aggiungersi, in percentuali minime, tutte quelle altre varietà ammesse alla coltivazione sul territorio siciliano che, nei bianchi non può superare il 20% e, nei rossi, il 15%. Per i vini rossi e riserva le varietà ammesse sono: Calabrese o Nero d’Avola e Nocera, oltre che tutte le altre varietà a bacca rossa ammesse alla coltivazione nell’isola. La differenza tra bianco e riserva e rosso e riserva si sostanzia in un obbligo di affinamento prima della commercializzazione della durata di due anni a partire dalla vendemmia. Inoltre, sia per i bianchi riserva che per quelli rossi, è previsto un periodo minimo di 6 mesi di maturazione in legno.
Uno dei prossimi obiettivi è la modifica del disciplinare che attualmente mortifica il Nocera, un vitigno autoctono della zona di produzione e che possiede grandi potenzialità. Oggi negli uvaggi dei rossi è prevista la sua presenza obbligatoria per almeno il 10 per cento, ma non può superare il massimo del 40 per cento. Alcuni produttori che già producono Nocera in purezza sono costretti a imbottigliarlo come Doc Sicilia.