Vanagloria

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Vino, Orgoglio&Vanagloria Il nuovo “Contagio” di oggi "Si è innalzata a virtù la moderazione per limitare l'ambizione dei grandi uomini, e per consolare i mediocri della loro scarsa fortuna e dei loro scarsi meriti". Francois de la Rochefoucauld (1665)

Nella nostra società dell’immagine e dell’apparire viene esaltato dal peso del nostro Io nella relazione con gli altri: come vogliamo essere visti e quale idea abbiamo di noi stessi? La tradizione spirituale cristiana ne parla facendo riferimento a due pensieri malvagi, due patologie


dello spirito: l’orgoglio e la vanagloria. Sono malattie interiori molto insidiose e presenti. La vanagloria è come un’edera, attaccata a ogni nostra azione: tutto ciò che si fa, lo si fa per farsi vedere, per ostentazione. Essa spinge a dare più importanza al fare e all’apparire che all’essere. Fa dipendere il senso della propria vita dall’applauso altrui. Il Vino oggi è al centro del mondo da molti visto come un bene di lusso, rappresentato come un bambino che esige tutti gli sguardi su di sé. Il passo successivo è l’orgoglio di chi mette tutta l'attenzione e l'immagine creata sul vino solo in sè stesso e si autostima fino all’idolatria, credendosi il creatore in terra! Questo diviene arroganza e superbia nel non riconoscere nei confronti di chi dopo anni e anni di passione, sacrifici, amore e umiltà ha portato questa bevanda nell'olimpo del bere supremo, mai senza dimenticare che è una bevanda terrena che la madre terra fin da quanto ne siamo a conoscenza ci regala per il piacere del palato e l'uomo da qualche tempo lo trasforma come uso e arma di idolatria propria! Il miracolo del vino consiste nel rendere l’uomo ciò che non dovrebbe mai cessare di essere: amico dell’uomo. Ernst Engel (1821 – 1896) Sono atteggiamenti che da qualche tempo riscontro soprattutto in quelle aziende che fino a ieri all'ombra dei cipressi, e solo perché hanno vinto qualche patacca di riconoscimenti qua e là nei numerosissimi concorsi nazionale e internazionali in tutto il globo, di cui conosco e ne posso dire, a mio modesto parere e nella maggior parte inutili e fini a sè stessi, creano questi atteggiamenti di "vanagloria" che si esternano nella vita privata e pubblica. Addirittura questi sembrano essere incoraggiati e premiati. Fiumi di parole scorrono nel mondo del vino per sottolineare l'umiltà sacrale del produttore o di chi rappresenta l'azienda per identificare e affiancare il tutto allo Spirito diVino in terra, ma


questo sta diventando un peccato capitale e far risplendere il propio IO! Oggi, riscontro uomini che rappresentano aziende che non avendo alle spalle una grande ed importante tradizione, si vestono di superbia e di gloria negando quella semplice richiesta di a chi con grande umiltà lavora col cuore e passione e contribuisce a “SANTIFICARE” il nostro nettare! Tanto per fare qualche esempio, l’avaro del vino non dirà mai a se stesso che risparmia perché è attaccato malamente ai soldi, ma giustificherà il suo agire (a sé e al prossimo…) dicendo che agisce per spirito di parsimonia, per non sperperare quel nettare prodotto dalla madre terra regalati da Dio o di avere un budget aziendale già programmato o esaurito, etc.. Si faccia sempre bene attenzione perché le cose dello spirito necessitano grande discernimento per il quale occorre avere una buona dose di umiltà. Ecco perché la superbia allontana l’uomo

dall’uomo e di conseguenza alla cattiva comunicazione come sacralità e conoscenza del vino! Questo accanimento nel focalizzare al massimo il prodotto e non attenzionare il comunicatore che si adopera nel motivare il winelovers, porta al misero impoverimento della coscienza del produttore o di chi ne rappresenta e ad avventurarsi con rischio fuori dal triangolo Tradizione-Passione-Eccellenza, abusando di questi luoghi comuni e inventandosi con scarso risultato una narrazione (storytelling…ndr.) aziendale! Probabilmente in loro si crea un Corto Circuito Mentale a cui non si rendono conto, ma anche quando si sforzano di mettersi nei panni degli altri, in realtà molti


produttori continuano a rivolgersi a sè stessi, forse nella convinzione che chi beve vino, per il semplice fatto di berlo, ha gusti, necessità e curiosità simili alle loro. La realtà è diversa: un sito web, un'etichetta, uno spot... non devono

necessariamente piacere a chi li ha commissionati e li paga: devono piacere al pubblico cui si rivolgono. A patto di sapere a quale pubblico ci si rivolge, ovviamente, considerazione che ci conduce inevitabilmente alla nonconoscenza dei fruitori finali. Nessuno pensi di essere esente dalla superbia: non pochi tra addetti al lavoro, giornalisti, blogger o critici influencer ne sono immuni, la brama della propria gloria, onore, reputazione ed eccellenza, che fa dimenticare all’uomo la propria condizione creaturale e lo porta a stravolgere tutte le intenzioni dei singoli atti, che vengono sempre finalizzati al proprio io e alla propria eccellenza anziché (come dovrebbero) al bene del vino con l’uomo, senz’altro con ironia ma non senza fondamento. Questo mostro nasce nell’intelletto come distorsione della realtà (pensare di essere chissà chi come ad esempio i famosi critici americani, ndr.) e termina nella volontà (agire in modo autonomo e alieno, con cui inevitabilmente siamo costretti a dover fare i conti quotidianamente nella


piramide

Gianfranco Cinardi

della

gloria!


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