Carlo alberto tasca

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L' arte della degustazione


LA DEGUSTAZIONE(rigorosamente personale..ndr) è un’arte antica che nel

tempo si è arricchita di tante piccole conoscenze e tanti piccoli segreti, insomma E’ un ‘arte. Ma un'arte che non è privilegio di pochi: ognuno


possiede sufficienti capacità sensoriali per effettuare l'analisi degustativa di un vino, purchè vi sia l'interesse ad imparare le tecniche di base e le nozioni fondamentali relative alla bevanda. OGGI DEFINITA ANALISI SENSORIALE OD ORGANOLETTICA, E’ SICURAMENTE QUALCOSA DI PIU’ DEL SEMPLICE ASSAGGIO DI UN VINO PER RICAVARNE GUSTO, PIACERE ED EMOZIONE! QUALCHE COSIGLIO ESSENZIALE E PERSONALE PER PRATICARE UNA BUONA ANALISI ORGANOLETTICA E SENSORIALE: 1) E’ CONSIGLIABILE ESEGUIRLA QUANDO LE POTENZIALITA’ PERCETTIVE DELL’ORGANISMO UMANO E’ LA MIGLIORE E CIOE’ TRA LE 10 E 12 DEL MATTINO PRIMA CHE LE CAPACITA’ PERCETTIVE SI ABBASSINO PER COLPA DELLO STIMOLO DELLA FAME; 2)E’ NECESSARIO ESSERE IN PERFETTA SALUTE E COMPLETO BENESSERE PSICO-FISICO, CIOE’ IN ASSENZA DI STRESS PSICO-FISICO; 3) EVITARE ASSOLUTAMENTE SIGARETTE, ASSUNZIONE DI BEVANDE QUALSIASI SIA CALDE CHE FREDDE ED ASSUNZIONI DI CIBI FORTI E PICCANTI, ALCOOL, CARAMELLE E GOMME DA MASTICARE PER TUTELARE E RENDERE EFFICACI AL MEGLIO I NOSTRI ORGANI ALLA DEGUSTAZIONE!

La degustazione comporta il coordinamento di vari stimoli che, interessando i sensi dell'uomo (la vista, l'olfatto, il gusto e il tatto), danno origine a differenti sensazioni, le quali, giustamente interpretate, consentono di valutare il vino. L'analisi chimica individua chiaramente i vari componenti del vino, ma non può individuare e valutare i loro stimoli sui sensi dell'uomo. La degustazione rappresenta un momento fondamentale nella verifica delle caratteristiche di un vino: permette di analizzare le varie componenti, valutarle singolarmente e nel loro complesso, evidenziare lati positivi e negativi, effettuare ragionevoli previsioni sulla sua evoluzione.


La degustazione si articola in una serie di fasi successive, che inizia con l'analisi delle sensazioni visive e quindi, ordinatamente nel tempo, di quelle olfattive, gustative, gusto-olfattive e tattili; infine si concentra l'attenzione sull'equilibrio delle diverse componenti e sulla presenza di caratteristiche tipiche del vino.

L'aspetto di un vino viene valutato attraverso l' analisi visiva, che è la prima impressione ad essere percepita e permette di prefigurare, fin dall'inizio, certe caratteristiche del vino in esame. La vista, infatti, è un senso rapido, istantaneo, dinamico, che dà una sensazione di realtà, di sicurezza, al contrario delle impressioni dell'olfatto e del gusto, che sono fugaci, progressive, evolutive, incerte e confuse. Le sensazioni visive ci danno informazioni sulla limpidezza , sul colore (tonalità ed intensità), fluidità, scorrevolezza, sviluppo di anidride carbonica, l'importanza dei fenomeni colloidali. La valutazione della limpidezza avviene osservando il vino contenuto nel bicchiere di fronte ad una sorgente luminosa poco intensa, come la fiamma di una candela: interponendo un qualsiasi oggetto tra bicchiere e fonte luminosa, più nitidi sono i contorni dell'oggetto, più il vino risulta limpido.


La valutazione del colore avviene osservando il vino nel bicchiere sottoposto a illuminazione diretta, su fondo perfettamente bianco, per individuarne la vivacità e la tonalità . Il bicchiere può venire poi sollevato all'altezza degli occhi e quindi abbassato e rialzato per osservarne le sfumature, l'intensità del colore, l'eventuale presenza di


spuma e bollicine. La degustazione prosegue poi con l'indagine olfattiva: facendo roteare il picchiere, il vino si innalza sulle pareti per forza centrifuga, ed aumenta la propria volatilità , quindi l'assaggiatore può rivelare, con l'inspirazione, i vari elementi olfattivi del vino in esame

Si passa successivamente all'esame gustativo: l'assaggiatore porta il bicchiere alle labbra, immette una piccola quantitĂ , 10-15 cc di vino, e lo trattiene nella parte anteriore del palato; con la punta della lingua lo suddivide in tutte le zone sensibili del palato anteriore, lo diffonde in tutta la bocca per eccitare la sensibilitĂ gustativa e tattile, e infine lo deglutisce facendo attenzione alle sensazione sensoriali e retro-


olfattive.La degustazione fa passare il liquido nell'esofago, e quindi nello stomaco. Superata l'entrata nell'esofago, si ristabilisce il circuito respiratorio. L'aria respirata attraversa la cavità orale, s'impregna dei vapori odorosi del vino ingerito, entra in contatto con la sede dell'olfatto per mezzo delle fosse nasali e stimola i neuroni olfattivi. Si consiglia di deglutire una o due volte una piccolissima quantità di vino nell'intervallo di tempo in cui lo si tiene in bocca (circa dieci secondi). Questo assaggio chiama in causa, come già detto, percezioni olfattive retro-sensoriali non sempre uguali a quelle nasali: infatti la temperatura del vino trattenuto nella cavità orale aumenta, favorendo una maggior liberazione di sostanze volatili. Il degustare è un atto intelligente che richiede attitudine, preparazione, memoria, capacità di decodificare ed interpretare i vari messaggi visivi, olfattivi, gustativi, che giungono al nostro cervello dopo essere stati raccolti dagli organi preposti: un'arte per accedere al meraviglioso mondo del vino. Ma al di là delle tecniche, affidatevi alla vostra spontaneità, fatevi trasportare liberamente dalle mille sensazioni che un vino può trasmettervi... l'importante è che abbiate la calma e la pazienza di accoglierle! La degustazione è il momento nel quale è possibile identificare le principali caratteristiche di un vino, attraverso l’attenta analisi delle sue proprietà organolettiche. L’analisi organolettica di un vino si articola in tre fasi distinte:

Esame visivo; Esame olfattivo; Esame gustativo; -Durante l’esame visivo si valutano caratteristiche quali la limpidezza, il colore, la fluidità e l’eventuale effervescenza.

-Durante l’esame olfattivo si procede al riconoscimento dei profumi e della loro intensità e persistenza.


Durante l’esame gustativo si analizzano le sensazioni soporifere, le sensazioni tattili e gli aromi del vino.


LA LIMPIDEZZA La prima caratteristica da valutare nella fase dell’esame visivo è la limpidezza del vino. Dovremo cioè assicurarci che il bicchiere che abbiamo di fronte non presenti particelle in sospensione che creino quella sgradevole opacità. Per definire tale caratteristica si prende il bicchiere e lo si pone in controluce. Se non presenta particelle in sospensione si definisce limpido, se presenta particelle in sospensione si definisce opaco. Attualmente è piuttosto difficile imbattersi in un vino opaco, a meno che non si tratti di un vino “casalingo”. IL COLORE Con il bicchiere inclinato si scruta il vino per identificarne il colore, la tonalità e le eventuali sfumature, tutte caratteristiche importanti per farci un’idea abbastanza precisa del vino che ci prepariamo a degustare. I colori dei vini bianchi sono: giallo verdolino: o giallo molto tenue, è il colore tipico dei vini molto giovani. giallo paglierino: indica un vino piuttosto giovane. giallo dorato: caratteristico nei vini equilibrati, spesso ottenuti da uve sovramature. giallo ambrato: indica un vino morbido, ottenuto grazie a tecniche che consentono la produzione di vini passiti o liquorosi. I colori dei vini rossi sono:


rosso porpora: vino molto giovane, caratterizzato da una spiccata acidità. rosso rubino: vino giovane ed equilibrato. rosso granato: vino morbido, in grado di sopportare ancora qualche anno di invecchiamento. rosso aranciato: tipico dei grandi vini rossi sottoposti a lunghi periodi di affinamento. FLUIDITÀ

L’esame che riguarda la fluidità mira a mettere in evidenza la consistenza del vino. Questa è determinata dalla maggiore o minore presenza di tutte le caratteristiche che compongono il vino, ma soprattutto degli alcooli. Uno degli elementi che ci consente con un colpo d’occhio di verificarne la presenza sono gli archetti, le lacrime che si formano quando il vino ricade nel bicchiere scendendo lungo le pareti. Se gli archetti sono molto fitti si è di fronte ad un vino di maggior consistenza, se sono meno fitti generalmente ci si trova di fronte ad un vino di minore struttura. In base a questa caratteristica un vino può essere definito: poco consistente: è un vino che scende nel bicchiere in modo leggero, tipico di una struttura poco consolidata. consistente: il vino scende nel bicchiere in modo poco scorrevole, descrivendo archetti fitti e regolari. E’ tipico dei vini morbidi.


viscoso: si definisce così un vino che scende pesantemente nel bicchiere, quasi fosse una sostanza sciropposa. E’ una caratteristica presente nei vini da dessert, nei vini passiti e nei vini attaccati dalla cosiddetta muffa nobile. L’ESAME OLFATTIVO

L’esame olfattivo, oltre a rivelarci la presenza di eventuali difetti (come il sentore di tappo, o di altre muffe), ci mostra le potenzialità aromatiche del vino. I primi due aspetti che devono essere vagliati sono l’intensità e la persistenza dei profumi. intensità: misura complessivamente la “potenza” con la quale l’insieme dei profumi e degli aromi giungono contemporaneamente dal bicchiere al naso. persistenza: misura la sequenza dei profumi e degli aromi e la loro durata nel tempo. Prima di annusare il vino è necessario ruotare leggermente il bicchiere per creare quel vortice che consente agli aromi e ai profumi di liberarsi più facilmente. Una volta valutati questi due aspetti, si passa all’aspetto più celebre e di ogni degustazione, quello dei riconoscimenti. Le descrizioni dei sentori è passata nell’immaginario collettivo come il momento principale della degustazione. Anche se tale convinzione è ovviamente errata possiede indubbiamente un certo fascino. Molte sono le definizioni attribuibili ad un vino, cosicché i molti profumi sono stati raggruppati in grandi famiglie aromatiche. Ecco le principali: Floreale: Presente nei vini sottoforma di una nota di fiori che possono spaziare dal biancospino al gelsomino, dai fiori d’acacia alla rosa, dalla ginestra ai fiori di campo. A seconda dei sentori può rimandare a vini bianchi giovani o vini rossi più affinati.


Fruttato: E’ il profumo della frutta fresca, che può essere a polpa bianca o a polpa rossa, di frutta secca, matura o esotica, in base alla tipologia o all’affinamento. Franco: E’ il sentore dei vini che svelano immediatamente origine e provenienza con un profumo netto e inconfondibile. Erbaceo: Famiglia di profumi che comprende, fra gli altri, quello dell’erba appena tagliata, di vegetali verdi come il peperone e la foglia di pomodoro. Denotano in modo piuttosto caratteristico vitigni come il Cabernet franc e il Sauvignon blanc. Speziato: Presente soprattutto nei vini bianchi e rossi affinati nelle botti di legno. Rimanda a sentori di spezie varie. Ampio: E’ una classificazione olfattiva ulteriore, propria dei vini che presentano un bouquet di sentori che abbracciano più famiglie di profumi, tipico dei grandi vini di eccellente struttura. L’ESAME GUSTATIVO

E’ la parte più delicata della degustazione, durante la quale il vino entra fisicamente in contatto con il cavo orale. Si può quindi procedere alla descrizione dei tre aspetti che la riguardano, l’esame delle sensazioni saporifere, tattili e retronasali. SENSAZIONI SAPORIFERE Riguardano le primissime percezioni, quali i riconoscimenti essenziali del tipo dolce, amaro, salato e acido. La maggiore o minore dolcezza è dovuta alla presenza degli zuccheri e si avverte in bocca come una piacevole sensazione vellutata e gradevole, mentre l’acidità provoca un aumento della salivazione. La sapidità invece si esprime attraverso la percezione della salinità, soprattutto sul dorso della lingua, mentre una leggera sensazione amarognola, determinata in particolare dai tannini, si manifesta


nella parte posteriore della bocca.

SENSAZIONI TATTILI Le sensazioni tattili riguardano aspetti ben precisi tramite le quali si valutano aspetti come l’alcolicità di un vino, l’astringenza e la consistenza di un vino. ALCOLICITÀ Per determinare l’alcolicità di un vino si può far riferimento alla sensazione pseudocalorica, quella che si avverte non appena si introduce il vino all’interno del cavo orale. Si manifesta con un apparente aumento della temperatura, sia in bocca che ad esempio sulle gote e i lobi delle orecchie. Maggiore sarà questa sensazione, maggiore sarà la componente alcoolica nel vino. ASTRINGENZA Si manifesta con una improvvisa secchezza del cavo orale e delle mucose, dovuta ad una diminuzione della produzione salivare, rivelatrice della presenza dei tannini, componente importantissima soprattutto nei vini rossi. CONSISTENZA Questa sensazione riguarda la percezione della “solidità” del vino, che si manifesta con una maggiore o minore fluidità del vino al contatto con il cavo orale. Una maggiore consistenza denota un vino dalla buona o ottima struttura.



ABBINAMENTO CIBO-VINO Esaltare un piatto con il vino giusto Abbinare un vino a una pietanza non è sempre così facile. Devi conoscere bene i vini in generale, e quelli che hai a disposizione nel tuo ristorante. Oltretutto, per via degli alti costi di ricarico, il vino incide parecchio nello scontrino che i tuoi ospiti dovranno pagare alla cassa; motivo per il quale molti rinunciano a prenderlo. In questo articolo trovi alcuni consigli utili per scegliere dei vini economici, su cui ricaricare meno, e che si possono abbinare a diverse tipologie di pietanze.

L’eterna ricerca del sapore perfetto ricade, anche e soprattutto, sulla scelta del vino da abbinare. Esistono tre scuole di pensiero: inglese, francese e italiana. Ognuna di esse traccia delle linee guida, da seguire e rispettare, per non rovinare l’esperienza gastronomica, servendo un vino poco adatto al piatto presentato. Data la natura dell’argomento trattato, quindi, è meglio creare uno schema, così da renderti più semplice la consultazione. Ti avviso, avrai molto da leggere. Ecco, in sintesi cosa troverai in questa presentazione: -le tre scuole -primi piatti a base di carne


-primi piatti a base di pesce -secondi a base di carne -secondi a base di pesce -dessert -abbinamenti impossibili Analizziamo, nel dettaglio, ogni singolo punto. Le tre scuole di pensiero

Come vi ho accennato nel paragrafo precedente, quando si parla del binomio cibovino, non è possibile non menzionare tre distinte scuole di pensiero. Tra teorie e tecniche per l’abbinamento perfetto, inglesi, francesi e italiani hanno creato un vero e proprio manuale per districarsi tra vino e ricette. La scuola inglese è la meno rigida. Si basa, infatti, sui gusti personali. La parola d’ordine è: soggettività. Vuoi abbinare un brasato di manzo a uno Chardonnay? Libero di farlo. Anche se i puristi storcerebbero il naso. La scuola francese, invece, segue un decalogo molto rigido. I vini bianchi liquorosi non possono essere abbinati né alla selvaggina né alle carni rosse I vini rossi non possono essere abbinati né ai pesci né ai crostacei né ai molluschi I vini rossi devono essere serviti, sempre, dopo i bianchi I vini


robusti devono essere serviti, sempre, dopo i vini leggeri I vini a temperatura ambiente devono essere serviti, sempre, dopo i vini freschi (o da frigo) I vini vanno serviti seguendo una gradazione alcolica crescente Ogni piatto necessita di un vino diverso I vini devono seguire la stagionalità Tra un bicchiere di vino e l’altro, bisogna resettare il gusto con un sorso d’acqua Mai servire un solo vino in un pasto Infine, veniamo a quello che forse ti interessa maggiormente: la scuola italiana.

Noi italiani con il vino non scherziamo; del resto fin dai tempi degli antichi romani ci dilettiamo con il nettare preferito da Bacco. La nostra scuola, infatti, prevede diversi approcci, valutando – caso per caso – l’abbinamento migliore. Nello specifico, troviamo: l’abbinamento per tradizione l’abbinamento stagionale l’abbinamento psicologico


l’abbinamento per concordanza o contrapposizione L’abbinamento per tradizione segue la territorialità degli ingredienti, delle ricette e dei vini tipici di una determinata zona. Allo stesso modo, l’abbinamento stagionale tiene conto dell’andamento delle stagioni, del clima, e della disponibilità dei prodotti (ad esempio, un vino come il moscato bianco, prettamente estivo, non sarà mai servito con un piatto di fagioli con le cotiche). L’abbinamento psicologico, invece, si basa, esclusivamente, sul momento del consumo. Mi spiego meglio: a capodanno, qualsiasi sia la portata, cosa berrai per festeggiare? Spumante o champagne, che domande. Infine, veniamo al nocciolo duro, l’approccio usato dal metodo Mercadini. Un metodo che punta ad armonizzare cibo e vino, in una singola entità. Detto così suona poco chiaro, me ne rendo conto. Provo a chiarirti le idee con un grafico.

Ad ogni scheda, formata da cerchi concentrici, viene assegnato un valore da 1 a 10, in base alle caratteristiche del vino e del cibo percepite durante la degustazione. Dolce, salato, acido e amaro sono i quattro sapori principali, a cui vengono sommate le sensazioni legate al cibo e al vino. Grassezza, sapidità, untuosità, ma


anche profumo, morbidezza, aroma e tannicità. Tutti indici per valutare al meglio l’abbinamento adatto. Adesso direi che è giunto il momento di stappare qualche bottiglia e assaporare un paio di piatti niente male. Menu di carne: quali vini abbinare?

Senza troppi indugi, ecco un paio di accostamenti per stupire e deliziare i tuoi clienti. Per i primi a base di carne, quali cannelloni ripieni, lasagne, ragù alla bolognese, salsiccia e pancetta puoi consigliare un ottimo Chianti classico. Un prezzo da combattimento e un gusto unico; sapido, asciutto e tannico al punto giusto. Puoi optare, anche, per un Barbera D’Alba o un Sangiovese di Romagna. Due ottimi vini DOC, entrambi rossi e con un ottimo rapporto qualità prezzo. Per i secondi di carne, se scegli un piatto più strutturato – come ad esempio un agnello al mirto (o altre ricette con l’agnello) – scegli come partner ideale un rosso di Montalcino. Rispetto al Brunello costa meno ed è altrettanto buono. Il Sagrantino di Montefalco, invece, è perfetto per accompagnare un arrosto di


carne, o della selvaggina. Inoltre, si sposa perfettamente con un bel tagliere di formaggi stagionati, grazie al suo sapore asciutto e ricco di tannino. Menu di pesce: quali vini scegliere?

Se i tuoi clienti prediligono il pesce, devi sapere, anche in questo caso, cosa consigliare per esaltare le tue capesante gratinate, o la tua zuppa di pescato del giorno. Ecco, cogliendo la palla al balzo, ti suggerisco due abbinamenti: Per molluschi e crostacei, un vino che eccelle è sicuramente il Riesling; capace di esaltare con il suo gusto secco e fruttato. Un altro vino vincente e delizioso è il Carricante, un grande vitigno dell’Etna di grande personalità e adatto a tutti i primi di pesce (purché senza pomodoro). Per il secondo, invece, vi consiglio due vini rosati. Il Bardolino Chiaretto e il Cinque Terre. Il primo più adatto al sushi e alla cucina giapponese, il secondo perfetto per qualsiasi secondo a base di pesce: dalla zuppa al “cappon magro” genovese. Un vino dolce per dessert e qui iniziano i drammi. Sbagliare il vino da servire durante il dessert può rovinare l’intero banchetto. Anche perché esistono dei dolci che non vanno molto d’accordo con il vino


A d esempio, sai qual è il vino da abbinare a una buona fetta di tiramisù? L’acqua. Viceversa, vuoi sapere un vino da accompagnare a un dessert? Alto Adige Moscato Rosa. Nessun dolce o prodotto di pasticceria in generale è inadatto a questo vino, dal sapore dolce e delicato. Anche il Passito di Pantelleria è un eccellente vino da abbinare al dessert, meglio se alta pasticceria, così come il Grechetto. Gli abbinamenti impossibili: Ti sembrerà strano, ma esistono delle pietanze, dolci per lo più, a cui non è possibile affiancare nessun vino. Ecco un rapido elenco: cioccolato; frutta fresca; finocchi e carciofi crudi. -torte con liquore e crema -sottaceti (l’aceto si scontra con il sapore del vino) -gelato (troppo freddo). Con queste pietanze, meglio evitare il contatto con alcun tipo di vino. Conclusioni Il tuo viaggio virtuale “strettamente” personale tra vitigni e cantine volge al termine. Se hai letto fin qui, permettimi di offrirti seppur virtualmente – un bel bicchiere di bollicine………….. CIN….CIN!




S I C I L I A - I TA L I A


Tasca d'Almerita La Stella del Vino Siciliano Parlare di Tasca D’Almerita nel mondo del vino siciliano è come parlare di sacralità ! Sapevo che era una delle grandi cantine della Sicilia con un lungo e nobile passato e famiglia dietro di essa.

Tasca d'Almerita è la sua 8a generazione della loro storia. Hanno cinque immobili e circa 600 ettari di viti in Sicilia. Sono esportati in tutto il mondo e vengono esportati con grande riconoscimento negli Stati Uniti. Hanno anche due località incredibili e un impegno serio per la sostenibilità. Le proprietà sono Capofaro sull'isola Eoliana Salina, Tascante sull'Etna, Sallier de la Tour a Monreale, joint venture, con la


Fondazione Whitaker su Mozia e la proprietà Regaleali che ora si estende su oltre 500 ettari nel cuore della Sicilia. Hanno anche Villa Tasca (ex Villa Camastra) a Palermo.

Di tutti i vini uno vino che preferisco e che si distingue per carattere e personalità è Almerita Extra brut. È composto da 100% di Chardonnay e ha la designazione Contea di Sclafani DOC e proviene dalla Regaleali Estate. Rimane sulle sue fecce per 36 mesi. Ha ricchi sapori di mela con una grande mandorla e frutti esotici. Negli anni ‘80 Tasca è stata la prima azienda ha portare Chardonnay in Sicilia. Un altro vino Tasca molto apprezzato apprezzato è il loro Regaleali Rose fatto dal 100% Nerello Mascalese. Sono rimasto sorpreso dalla sua freschezza ma poi mi sono ricordato che la tenuta si trova a 400900 sopra il livello del mare e quindi l'uva si riposa dal caldo del caldo sole siciliano. Tasca non è solo all'avanguardia della sostenibilità, ma cerca anche di produrre vini senza solfiti. Ho provato una versione del loro


vino Antisa che è stato fatto senza solfiti nel 2015. Antisa significa "aspettare". Ha avuto un'ottima acidità, anche grazie all'altitudine a Regaleali.

Catarratto bianco è un uva ampiamente coltivata sull'isola di Sicilia. Ci sono due tipi molto comuni di Catarratto: bianco comune e bianco lucido. Antisa è realizzata con il bianco comune. Il vino era anche sotto tappo a vite che era interessante. Tasca prova tutto quello che sembra. Nozze d'oro è un altro famoso vino Tasca. Questo è fatto dal 72% di Inzolia e dal 28% di Sauvignon Tasca, questo clone di Sauvignon è in crescita a Regaleali dalla prima guerra mondiale. E’ morbido, fruttato e si presenta alla beva come un grande Sauvignon.


Dei loro vini dell’Etna sono stato particolarmente colpito da una versione di Nerello Mascalese da Etna, conosciuta come Il Tascante. Ha profondità e strati di sapori sfumati come un grande Pinot Noir, fine ed elegante con sfumature vellutate!

Tasca è alla guida di un gruppo di cantine che lavora su un progetto chiamato SOStain che è coinvolto nella protezione dell'ambiente. La missione del progetto è quella di promuovere l'agricoltura sostenibile. Tasca è convinto che la responsabilità di ciascun produttore è quella di produrre grandi vini e proteggere la terra e la flora e la fauna locali. Hanno anche creato un gruppo mini-agricolo chiamato Naturaintasca che coinvolge un gruppo di agricoltori locali che lavorano con prodotti tipici siciliani. Alberto Tasca ha affermato la seguente linea: "Non abbiamo ricevuto il dono delle nostre terre dai nostri padri ma come prestito dai nostri figli! Non abbiamo ricevuto la terra in eredita dei nostri padri ma in prestito dai nostri figli.


Altri vini che rappresentano il brand Tasca sono la Riserva del Conte, la Contea di Sclafani DOC, prodotta dal 67% di Perricone e dal 33% da Nero d'Avola. Le uve vengono vinificate insieme al lievito ambientale. Il vino quindi invecchia in botti di legno da 500 litri realizzati in legno di castagno per 26 mesi.

Il colore rosso rubino a colori con aromi di terra, frutta, tabacco, il vino al palato si rende corposo con sapori di quercia, cioccolato e vaniglia. Aveva dolci tannini maturi e una vellutata sensazione di bocca.


Il Rosso del Conte è la loro nave ammiraglia "SuperTasca". Il conte Giuseppe ha piantato i vigneti di Perricone e Nero d'Avola nel 1954 con il desiderio di creare un vino per i rivali vini francesi per la loro eleganza e la loro longevità. La vera espressione della loro famiglia e del loro terroir. Spende 18 mesi nel 100% di rovere francese (Allier & Tronçais) 225 litri di barili e 6 mesi in bottiglia prima di essere rilasciati. Secondo il loro sito esaustivo, è costituito da una selezione di migliori uve di Nero d'Avola (63%) e di altre gocce rosse tra quelle autorizzate dal DOC (37%).


Ivo Basile è il grande esperto del marketing Tasca

Gli ultimi vini da menzionare sono dalla loro incredibile tenuta Capofaro su Salina. La loro sorprendente Malvasia è sempre la perfetta fine a queste squisite degustazioni. Uno è più dolce, Malvasia Capofaro e l'altra Didyme che mi è stato detto significa gemelli, ma è anche il nome antico per Salina secca con grande acidità.Tasca fa anche interessanti vini con Cabernet Sauvignon, Grillo, Grecanico e


Syrah con espressioni mediterranee di fine personalitĂ ed espressione.



Alberto Tasca d'Almerita

The Family Alberto Tasca Una conversazione che ripercorre la storia lunghissima di una famiglia nel mondo del vino. Ma nello scorrere delle parole emerge la forza di una idea che ha accompagnato questo percorso. Ogni generazione ha fatto tesoro della esperienza della precedente e ha cercato di proseguire migliorando e arricchendo fin dove possibile il metodo e il risultato del lavoro in azienda. Alberto Tasca d’Almerita mostra un ben giustificato orgoglio nel raccontare l’avventura della sua famiglia nello svolgersi del tempo. Molte cose sono cambiate in quasi due secoli, ma rimane ben radicato l’approccio della famiglia al vino, a cosa deve essere, a cosa deve saper esprimere questo prodotto della natura e dell’uomo.



Alberto si racconta questa lunga ed affascinante avventura. L’azienda è stata comprata dalla mia famiglia nel 1830, da una famiglia spagnola, all’epoca gli spagnoli erano i grandi proprietari terrieri. La proprietà occupava 1200 ettari. Le colture erano prevalentemente a grano e terreni a pascolo. All’interno dei recinti a muro delle masserie si coltivava tutta l’agricoltura di pregio, tra cui le vite. E’ stata una famiglia di grandi appassionati di agricoltura, per cui si è sempre reinvestito in questa terra. La famiglia possedeva nel contempo altri feudi in Sicilia, molti dei quali erano sparsi lungo le coste con indubbi vantaggi per la parte del commercio. Man mano nel tempo, si vendettero i feudi lungo le coste per investire in quella che per loro, ma anche per tutte le generazioni a seguire, fu definita la terra più rigogliosa, ricca, migliore sotto tutti i punti di vista e quindi anche di quello agricolo. E parliamo di Regaleali, che si trova al centro della Sicilia, in zona collinare con un’altitudine abbastanza elevata, con grandissime escursioni termiche fondamentali per produrre vini, con grandi concentrazioni e sapori, e anche eleganza. Paradossalmente il primo vino etichettato non fu fatto a Regaleali, ma fu fatto nella tenuta che abbiamo a Palermo, allora in periferia di


Palermo, oggi inglobata nel centro fra Monreale e Palermo, si chiama Villa Tasca. A Regaleali si produceva vino, ma sempre per il consumo locale, quindi vini sfusi, oli sfusi. Il primo vino etichettato di Regaleali è il Villa Camastra nel 1880.

La famiglia ha dedicato tutte le sue energie alla agricoltura. L’amore per la terra della mia famiglia è ampiamente documentata, su tutti i testi di agricoltura sono citati i miei bisnonni, genitori del bisnonno, e tanti altri per aver innovato qualcosa in agricoltura. Il primo lago artificiale collinare è stato costruito a Regaleali. Questo tipo di dna si è trasmesso per sempre, per cui chi subentrava nella gestione dell’azienda agricola non voleva essere da meno di chi l’aveva preceduto e quindi cercava di sperimentare cose nuove con una ricerca continua dell’eccellenza.


Quindi una cultura di famiglia che è nata e si è consolidata e che poi è stata tramandata di generazione in generazione. Sì, quasi come un gioco. Io mi ricordo che quando ero a tavola con i miei nonni si mangiava dando i voti al cibo con tutti i commenti sulla qualità organolettica, vino compreso. Dopo i due vini etichettati che mi ricordavi, avete continuato a vendere il vino esclusivamente sfuso?

Sì fino al dopoguerra come quasi tutte le aziende vitivinicole. Regaleali durante le due guerre era un feudo dove la nostra famiglia viveva con i suoi contadini in queste masserie che erano totalmente autosufficienti. Si produceva l’olio, il pane, le salse, il miele, il vino e si



viveva così. Era un mondo abitato e vissuto in funzione della produzione agricola. Una cosa fantastica guardandola con gli occhi di oggi! Sì, incredibile. Poi devo dire che in tutto questo mio nonno fu bravissimo nel recuperare tutti i testi, le documentazioni fotografiche, quadri, di quella stagione della vita. Lui scriveva il diario tutti i giorni. È come rivivere giorno per giorno l’avventura della famiglia Certo, poi trovi dei luoghi comuni, dei nessi, delle contrapposizioni, è molto appassionante.

Quando avviene la vera svolta nella produzione aziendale. A fine anni ’50, inizio anni ’60 quando si rimette in piedi la cantina per produrre vini da lungo affinamento, da poter imbottigliare e mettere sul mercato. Si inizia con tre vini, come era tipico nella realtà italiana dell’epoca: un bianco, un rosso ed un rosato.


Avete fatto anche interventi in vigna? La fortuna della mia famiglia era la possibilità economica del poter viaggiare, muoversi. All’epoca la Francia era il punto di riferimento della viticoltura, lì si acquisivano tutte le tecniche di coltivazione. Furono immessi i primi impianti a spalliera, iniziarono le prime rese basse in Sicilia. Ci troviamo in una zona non particolarmente calda, ma molto alta, con grandi escursioni termiche e questo ci ha favorito per gli affinamenti, a differenza di altre parti della Sicilia.

E’ stata una grande intuizione questa di posizionare l’azienda in una località che consente di avere una temperatura ideale in una regione altrimenti molto calda. Sì, ed ancora valida per altro. Perché il grande valore aggiunto di Regaleali è la posizione in cui si trova. Per noi oggi spostarci è molto semplice. Tutto questo invece è stato fatto in tempi in cui ci volevano giorni per arrivare, ai quei tempi poteva sembrare una scelta anche antieconomica. Ma fu dettata da un altro obiettivo, quello di orientare la produzione all’eccellenza.



Mi dicevi che siete partiti con queste tre tipologie: rosso, bianco e rosato Da lì in poi si continua a viaggiare. I vini iniziano ad avere un grande successo nazionale, internazionale, regionale ovunque. Ci si confronta ancora con la Francia, all’epoca nel 1970, mio nonno mi ricordo disse “loro fanno questo vino, io in Sicilia voglio fare il vino più buono del mondo”. Nasce così il Rosso del Conte. “Io sono il conte, il vino è il mio e quindi lo chiamo così.” Motivò così la scelta del nome.

Questo vino segna il cambiamento .. Con questo vino iniziano i lunghi affinamenti in legno. I vini non vengono più prodotti e venduti, ma vengono messi in botti di legno. Le uve vengono dai vigneti migliori della tenuta, le rese vengono abbassate, i grappoli sono selezionati con grande attenzione. Cosa succede dopo Da allora ogni vino nasce più o meno con questo nuovo approccio. Negli anni ’80 arriviamo al Nozze d’oro. Mio nonno e mia nonna festeggiavano i 50 anni di matrimonio e cosa fare? Gli dedichiamo un vino. Prendiamo i migliori vigneti a bacca bianca e facciamo un vino d’affinamento bianco, non barriccato, perché all’epoca le varietà che avevamo non lo sostenevano neanche, però con capacità di


invecchiamento. Anche questa era una idea ardita, solo l’Alsazia faceva i vini così. Con uve con una bella acidità probabilmente? Sì, i vitigni hanno un’altitudine maggiore con raccolti più verdi, buona acidità, buone concentrazioni, rese sempre più basse e si crea il Nozze d’oro, un vino realizzato soltanto per la ricorrenza. Ma piacque talmente tanto che è entrato nella produzione. C’è un altro momento importante di cambiamento prima di arrivare ad oggi Sì, quello in cui mio padre riflette su una possibilità, quella di introdurre nel territorio siciliano le due varietà più famose del mondo, piantarle a Regaleali e confrontare i risultati con quelli delle altre produzioni mondiali con gli stessi vitigni. Negli anni ’80 lo Chardonnay ed il Cabernet Sauvignon vengono



impiantati in Sicilia, pur non essendo ancora concepiti dal disciplinare dei vitigni siciliani autorizzati.


Un tentativo proprio unico in quel momento Proprio fuori legge. Si producono questi due vini e prendiamo medaglie d’oro a Bordeaux. Nel 1991, quindi dopo qualche anno l’uscita di questi vini, accade una cosa rarissima per Regaleali, un attacco di botrytis cinerea. Tutti con le mani nei capelli. Cosa fare? Si producono ugualmente queste bottiglie con uva botritizzata. Ti dico soltanto che noi le vendemmo a 9.000 lire e le ultime della cantina sono state battute a 1.500 euro.

L’uva attaccata quale era, lo Chardonnay? Sì. Quindi si crea questo Chardonnay botritizzato con un’etichetta no market oriented, quindi stupenda perché c’era tutta la descrizione dietro di cosa era successo. Ancora oggi è un vino incredibile. Siamo arrivati all’ultima generazione a questo punto. La famiglia fino al 2001 aveva sempre e solo prodotto vini, ma non si era mai occupata della parte commerciale. Questa diventa ad un certo punto strategica anche per far riconoscere la qualità dei vini, avere un


f


eed-back con tutti i paesi interessati, avere consapevolezza di come il gusto cambia in tutto il mondo. Quindi nel 2001 abbiamo iniziato a distribuire vini direttamente, una bella impresa per una azienda che vendeva 3 milioni di bottiglie prendere in mano di colpo tutta la situazione. Siamo stati tre anni senza prendere decisioni definitive per tentare di capire al meglio possibile chi siamo e come siamo percepiti.

E poi come raccontarvi? Esatto. Vediamo che differenza c’è tra chi siamo e come siamo conosciuti e vediamo come dobbiamo raccontare chi siamo, perché le carte in regola ci sono tutte. Dopo tre anni da questo passo abbiamo come prima cosa levato dei vini dal mercato. Una decisione complicata? Sì, però coerente con il progetto. Quando i progetti hanno sotto tutti i punti di vista una loro coerenza, diventano più semplici da realizzare, anche se azzardati.



Avevo dei vini che erano frutto di richieste commerciali del vecchio distributore, rappresentavano circa il 10% della produzione, ma non rispecchiavano la filosofia aziendale. Abbiamo tolto queste bottiglie dal mercato ed abbiamo recuperato le vendite incrementandole. Quindi questa è stata l’innovazione dell’ultima generazione? Sì, ma non solo. Un’altra cosa importante è stata fatta, quella di andare a investire fuori da Regaleali, a Capofaro. Perché Capofaro? La Sicilia è famosa anche per i vini dolci, ne produciamo anche uno a Regaleali che è stato dedicato alle nozze di diamante dei miei nonni. La Malvasia delle Lipari sembrava aver perso un pò nel confronto con il Passito di Pantelleria. Andiamo a Capofaro nell’isola di Salina, dove mio nonno aveva vissuto a lungo, con mia moglie a vedere una tenuta e ci siamo innamorati a prima vista. L’abbiamo comprata! Dentro la tenuta c’erano degli immobili che all’inizio volevamo vendere, ma poi abbiamo pensato di trasformarli in un Resort e così è nato il Capofaro Malvasia, il primo Resort che c’è nelle isole Eolie e da quest’anno è diventato il primo 5 stelle delle isole Eolie. Ventiquattro camere immerse nel vigneto a picco sul mare, con di fronte Stromboli e Panarea, un vecchio faro confinante con la tenuta, alba e tramonto a mare perché è un promontorio. E poi delle vigne fantastiche, che ci danno un vino che è eccezionale. Il vino passito ricavato dalle uve Malvasia, da sempre rinomato in tutto il mondo, è oggi parte della cantina Tasca d’Almerita. TASCA D’ALMERITA Tenuta di Regaleali Contrada Regaleali – Scafani Bagni (PA) Tel. 092 1544011 www.tascadalmerita.it info@tascadalmerita.it

LA STORIA

La storia dell’azienda inizia nel 1830 quando i fratelli Don Lucio e Don Carmelo Mastrogiovanni Tasca acquistarono l’ex feudo Regaleali, circa 1200 ettari nelle campagne di Sclafani, al confine della provincia di Palermo con quella di Caltanissetta. L’intera



proprietà fu diretta dal Barone di Regaleali, Lucio Tasca che impresse uno sviluppo decisivo, con il suo esempio, all’intera industria agraria siciliana. Era un grande imprenditore, scrive, di lui il Prof. A. Scifò: “Era stato don Lucio Tasca, Barone di Regaleali, a spingere il sistema della masseria a latifondo verso un vero progresso agricolo in Sicilia”.


L’erede e nipote omonimo, Lucio Tasca, primo Conte d’Almerita, si appassionò subito alla conduzione dell’impresa agricola. Sugli “Annali dell’Agricoltura Siciliana” (1854/56), l’azienda di Regaleali viene ampiamente descritta da tecnici agrari tra i più famosi ed autorevoli del tempo, quali Nicolò Turrisi Colonna ed il professor Giuseppe Insegna, e citata come fattoria modello da additare ad esempio per tutta la Sicilia. Ancora il Prof. A. Scifò: “Il giovane Lucio Tasca Conte d’Almerita, oltre alla fortuna, aveva ereditato il talento ad occuparsi, a pubblica utilità di una vasta impresa rurale” ed il Turrisi Colonna si augurava che ciò valesse da esempio alla classe dei grandi proprietari facendo loro prendere il gusto per la vita rurale, così come è avvenuto per i proprietari inglesi che tanto avevano influito sul progresso agrario, economico e civile del loro Paese, i c.d. Land Lords.

Già da allora i vini di Regaleali erano rinomati. Nei menù della Contessa d’Almerita, nata dai Principi di Trabia e di Butera, dama molto in vista dell’alta società d’Europa dell’epoca (1840 - 1890), si legge “Regaleali Bianco e Regaleali Rosso” accanto ai nomi dei migliori vini di Francia e di Germania. Nel 1871 all’Esposizione di Siracusa veniva assegnata una Medaglia d’Onore al Vino di Regaleali. Il Conte d’Almerita moriva nel 1892. Suo successore a Regaleali fu il figlio secondogenito Giuseppe Tasca Lanza, Deputato


al Parlamento, Senatore del Regno e due volte Sindaco di Palermo. Nel 1922 il Conte Lucio Tasca Bordonaro iniziava con grande amore e competenza la direzione dell’azienda facendo rivivere i fasti dell’epoca del suo omonimo nonno. La superficie dei vigneti venne da lui triplicata, le cantine ingrandite in proporzione. L’unico figlio, il Conte Giuseppe Tasca d’Almerita, ereditò tutta la terra e l’amore per essa. Nel frattempo però l’entrata in vigore della riforma agraria causò l’esproprio di parte dei 1.200 ettari originari, portandoli a circa 500 ettari. A partire dal 1957 il Conte Giuseppe Tasca, coadiuvato dalla moglie Baronessa Franca Cammarata, assunse l’intera responsabilità della conduzione aziendale, dedicandosi interamente all’azienda, puntando deciso verso la vigna ed il vino ed apportando notevoli innovazioni vitivinicole. Il Conte Giuseppe ha avuto quattro figli: Anna, Costanza, Rosemarie e Lucio, che oggi presiede l’azienda Tasca d’Almerita.

Tra le realizzazioni del Conte Giuseppe - come già il padre insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro - l’introduzione dell’allevamento a spalliera, mai usato nella zona per le uve da mosto e nei primi anni sessanta, il rinnovo dei locali di cantina e delle relative attrezzature. Queste innovazioni portarono la capacità complessiva a 60.000 ettolitri, inoltre egli acquistò numerose botti in legno di castagno da 50 a 60 ettolitri ciascuna, oggi sostituite da botti e barili in rovere francese.



L’AZIENDA Una famiglia, un’impresa, un successo internazionale. Tasca d’Almerita è da oltre centocinquant’anni una florida azienda apprezzata in tutto il mondo e pluripremiata per i suoi vini. Dal cuore della Sicilia, da quell’oasi ecologica di oltre cinquecento ettari che è la Tenuta di Regaleali, l’Azienda oggi produce quattro vini bianchi (Regaleali, Leone d’Almerita, Nozze d’Oro e Chardonnay), sei vini rossi (Regaleali Nero d’Avola, Lamùri, Cygnus, Camastra, Rosso del Conte, Cabernet Sauvignon), un rosato (Regaleali Le Rose), uno spumante metodo classico (Almerita) e un vino dolce (Diamante d’Almerita). Il 40% della produzione è esportato all’estero, in particolare in Germania e negli Stati Uniti. Nei vigneti continua la sperimentazione - una delle attività che contraddistinguono l’azienda Tasca d’Almerita sin dalla sua nascita - attualmente di oltre 40 varietà da tutto il mondo (vitigni italiani, greci, spagnoli e francesi) in collaborazione con Enti di ricerca ed Istituti Universitari e con la consulenza di esperti dell’Università di Milano. Con l’ultima vendemmia è entrata in funzione la nuova modernissima cantina ristrutturata per una sempre più alta qualità delle lavorazioni e dei prodotti.


VILLA TASCA Alte e snelle palme conducono ad una delle più suggestive ville di Sicilia. Villa Tasca o Camastra, collocata tra il cuore storico della città ed i giardini della Conca d’Oro. Costruita nel Cinquecento, ed appartenuta a Giuseppe Lanza, duca di Camastra, nel 1860 entrò in possesso della famiglia Tasca attraverso la giovane Beatrice Lanza di Trabia e di Butera, che la portò come Sua dote in sposa a Lucio Tasca d’Almerita.

Venne concepita come residenza estiva alla periferia della città di Palermo. Ai disegni del Giganti vanno attribuiti il prospetto neoclassico con l’ampio scalone a doppia rampa, gran parte della recinzione e la sistemazione degli interni con decorazione dei soffitti e delle pareti a paesaggi classici; rovine e statue sono ad opera del pittore Benedetto Codardi. I magnifici pavimenti di maiolica, datati 1777, sono firmati dall’artista Attanasio. Lo storico giardino è caratterizzato da piante esotiche: palme, acacie giganti, ficus magnolides, un vero museo botanico. Nel novembre del 1881 passeggiando in questo paradiso, Richard Wagner si ispirò e compose il terzo atto del suo ultimo capolavoro, il “Parsifal”. In Sicilia per ragioni di salute con sua moglie Cosima, affascinato dalla


Jacqueline Kennedy e Lucio Tasca, a Palermo, a Villa Tasca

bellezza del luogo ed orgoglioso della sua amicizia con il Conte Tasca d’Almerita, divenne presto gradito ospite di Camastra. Grazie alla dedizione della famiglia negli anni la Villa è rimasta una dei pochi giardini che circondano Palermo, arricchita e più bella che mai. Quando, durante la seconda metà del secolo scorso, le viti di tutta Europa furono assalite dalla filossera, a Villa Tasca fu creato un vivaio e impiantato un vigneto. S’iniziò così a produrre il primo vino riscotendo gran successo anche all’estero: nei menu più aristocratici di “fin siecle” a fianco dei grandi vini d’Europa, figurava spesso il Camastra, che sino al 1950 era ancora nella wine list dell’Hotel Plaza di New York. L’avanzare della città strinse d’assedio gli spazi agricoli intorno a Villa Tasca, da qui la scelta di trasferire la produzione di vino nella Tenuta di Regaleali.


LA TENUTA DI REGALEALI Inserita in un contesto paesaggistico di rara bellezza, ad un’altezza media compresa tra i 450 ed i 700 metri al di sopra del livello del mare, la Tenuta di Regaleali gode naturalmente di un microclima vocato alla viticoltura, che viene qui praticata fin dal 1.100. L’insistere di temperature atte alla perfetta maturazione dei frutti, e la fondamentale escursione termica giorno-notte di oltre 15° C., consentono la salvaguardia del patrimonio aromatico delle uve. Il terreno di proprietà, oltre 500 ettari di cui 400 coltivati a vigneto, di differente composizione geologica, rappresenta un patrimonio di grande versatilità rendendo possibile la selezione della varietà ideale di uva da porre a dimora in funzione delle caratteristiche di ciascun suolo. Ai vigneti si alternano alberi di mandorle, distese di grano, avena, uliveti vecchi e nuovi; e le pecore, antico “diserbante” naturale permettono la produzione di ottime ricotte e formaggi, guarniti con un prelibato miele di rosmarino o con marmellate fatte in casa. Piante di ginestra, rosmarino ed eucaliptus crescono attorno le riserve di acqua piovana che durante il periodo invernale sono affollate da anatre selvatiche e da aironi grigi. La caccia è bandita, e non è difficile dopo il tramonto incontrare istrici, lepri, conigli selvatici e porcospini. www.tenutadiregaleali.it I VIGNETI L’estensione globale dei terreni vitati si aggira oggi intorno ai 400 ettari, compresi fra i 450 ed i 750 m. s.l.m, di cui 180 coltivati a uve


a bacca bianca ed i restanti a bacca nera. Il suolo è di medio impasto tendente all’argilloso, calcareo e ricco di potassio. I sesti d’impianto sono svariati: la distanza tra i filari è compresa fra 2,60 e 2,40 metri, mentre sulla fila le piante distano fra 0,70 e 1,50 metri. Il 95% degli impianti viene allevato a spalliera con una potatura a Guyot (singolo o doppio) o a cordone speronato. Il restante 5% comprende 12 ettari allevati ad alberello. L’età delle vigne varia da 1 a 40 anni, dato che ogni anno vengono impiantate nuove viti. Il vigneto più antico, detto “San Lucio”, risale al 1959. Ogni singolo ettaro viene seguito con cure meticolose lungo tutto il corso dell’anno. Si comincia a gennaio con le prime potature, a maggio viene effettuato un sovescio di favino in almeno 30-40 ettari l’anno; i suoli sono poi oggetto di regolari concimazioni di mantenimento. In primavera si fa la seconda potatura, detta potatura verde e le viti vengono irrorate con “poltiglia bordolese”, un composto di zolfo e solfato di rame, per evitare le aggressioni di parassiti. Durante il mese di luglio si cerca di aiutare la pianta a mantenere il suo equilibrio vegeto-produttivo, con il diradamento dei grappoli.


GLI OLIVETI Dal 1830 gli ospiti dei Conti Tasca d’Almerita apprezzano l’olio prodotto nella Tenuta di Regaleali, l’azienda agricola di famiglia situata nel cuore della Sicilia e sin dall’Ottocento considerata un modello da prendere ad esempio, dove le esigenze dell’agricoltura moderna sono soddisfatte con metodi rigorosamente rispettosi dell’ambiente. Tradizione che la famiglia Tasca d’Almerita ha continuato ad alimentare con continui investimenti per la qualità. A Regaleali gli alberi di olivo contornano i filari di vigne, tra pascoli di grano e alberi di mandorle. Nulla è casuale: l’alternare diverse colture è un metodo naturale per interrompere la diffusione di eventuali parassiti. Più di trecento pecore pascolano nei prati in modo da contenere la crescita delle erbe selvatiche, contribuendo a mantenere pulita la tenuta in modo ecologico. Sono solo due esempi dell’organizzazione agricola di Regaleali, un ambiente – ed un’impresa - bella e sana, dove una parte della famiglia Tasca d’Almerita continua a vivere con i suoi bambini e dove la qualità della vita e della produzione sono considerati obiettivi inscindibili. L’olio ‘Regaleali’ è ottenuto soltanto da olive prodotte nella Tenuta, provenienti da circa 3.500 alberi di olivo che si possono sostanzialmente dividere in tre tipologie: alla prima appartengono circa 1.600 alberi secolari di diverse varietà autoctone (ogliara, giarraffa, rizza, piricuddara e biancolilla) delle quali molte oggi sono in disuso; la seconda è invece costituita da un giovane oliveto di dieci ettari con un età media di otto anni, composto di sole varietà autoctone, di cui il 90% biancolilla ed il restante 10% nocellara; infine la terza tipologia è rappresentata da un oliveto sperimentale con quattro varietà tra le più diffuse in Italia: frantoia, leccino, moraiolo e coratina. Dai nostri oliveti nasce un olio fragrante ed equilibrato, ricco di sapori esaltati dal particolare microclima di Regaleali: un ambiente ed un’impresa belli e sani. LA CANTINA Il corpo storico delle cantine di Regaleali fa parte dell’edificio principale di Case Grandi. Questi locali erano in passato adibiti a stalle usate per l’allevamento di vacche: Regaleali è stato infatti anche un centro di selezione e ricerca di razza. Gli stessi locali contengono oggi diversi vasi vinari: le antiche vasche a parete, in cemento rivestite di resine, che hanno complessivamente una capacità di circa 12.000 ettolitri; le classiche


vasche in acciaio inox per la fermentazione termocontrollata, per una capacità di circa 15.000 ettolitri; una tinaia di botti di Slavonia, Allier e Troçais, di 3.000-6.000 litri, per una capacità di 2.000 ettolitri.

La cantina è stata recentemente rinnovata con l’applicazione della tecnologia più avanzata per ottenere una sempre maggiore qualità alla produzione Tasca d’Almerita. Per una lavorazione distinta delle uve sono adesso disponibili in tutto 150 vasche con una capacità complessiva di 60.000 ettolitri. Si garantisce così, utilizzando le nuove vasche più piccole, una maggiore selezione, potendo lavorare allo stesso tempo, ma in modo separato varietà diverse. La presenza di tre linee distinte di lavorazione - una stabile per il rosso, due per i bianchi oppure il rosato - consentono di vendemmiare nel momento ritenuto più opportuno senza dovere attendere che la cantina si liberi da una diversa lavorazione in atto. Sono state installate inoltre presse che lavorano con straordinaria morbidezza effettuando la spremitura con una pressione di sole 0,2 atmosfere. Poco lontano dalle cantine si trova la bottaia per l’affinamento dei vini rossi, un ambiente termocondizionato, costruita nel 1990 e contenente barili da 350 litri in rovere francese, con una capacità complessiva di 600 ettolitri.


Vicino a questa bottaia vi sono alcune macchine utilizzate per la svinatura e per la pigiatura; una pressa a polmone per la svinatura dei vini rossi, le innovative presse a polmone per la pressatura: queste ultime, in particolare, effettuano una spremitura soffice e delicata, preservando così il patrimonio gusto-aromatico originario. Le barriques da 350 litri in rovere francese destinate all’affinamento dei vini bianchi sono invece ospitate nell’ex granaio di Case Grandi. Non lontano sorge un grande capannone che contiene una moderna linea d’imbottigliamento, in grado di confezionare fino a 3.400 bottiglie all’ora. I prodotti semilavorati e finiti sono immagazzinati presso un capiente locale sotterraneo, termocondizionato. Il controllo della temperatura sia in fase di fermentazione che in fase di affinamento, rappresenta un fattore decisivo per ottenere un’alta qualità del prodotto, salvaguardando l’integrità dei vini dall’azione negativa delle alte temperature. La struttura è, inoltre, dotata di un efficiente laboratorio per il costante controllo della qualità dei vini. CAPOFARO MALVASIA & RESORT L’Arcipelago delle Eolie, situato di fronte alla costa nord-est della Sicilia, è formato da una catena di sette isole sorte dal mare blu profondo, quasi viola.


“Un vino mare scuro” come disse Omero. E fu tra queste isole che gli uomini di Ulisse aprirono la borsa data loro da Eolo scatenando i venti.

Salina, la più verde delle isole, è l’antica Didyme, dal Greco “gemelli”, per i suoi due rilievi che ne caratterizzano l’inconfondibile profilo. L’isola, riserva naturale dal 1981 ed oggi patrimonio dell’UNESCO, è rimasta nel tempo fedele alla locale e tradizionale architettura. Le case sono dipinte di bianco, talvolta ornate di pesca e blu, i tetti sono piatti con portico o veranda, solitamente utilizzati come stanza da pranzo, soggiorno all’aria aperta. Spessi pilastri supportano le volte lignee; buganvillee crescono selvagge in cima; trecce di aglio e cipolle, grappoli di pomodori locali color ciliegia pendono dai tetti. Capofaro Malvasia & Resort è la sintesi di tutto questo: le case sono distribuite tra i vigneti e al tramonto Panarea e Stromboli si tingono di rosa.


Vacanza con noi vuol dire natura, mare pulito e trasparente, sentieri da esplorare tra le montagne che si tuffano in mare, verdi di macchia mediterranea e castagni. Il clima è dolce e ventilato. Il cibo è un trionfo di aromi e di sapori in cui gli ingredienti genuini giocano un ruolo fondamentale e poi le granite di frutta locale e la Malvasia delle Lipari. L’origine del nome Malvasia è quasi sicuramente derivato dalla città greca della Morea, oggi Peloponneso, “il porto che ha solo un’entrata”. È un vino dolce prodotto con la tecnica dell’appassimento delle uve sui graticci di canna, torchiando gli acini direttamente, che raggiunge i 14 gradi. Il vino passito ricavato dalle uve Malvasia, da sempre rinomato in tutto il mondo, è oggi parte della cantina Tasca d’Almerita. www.capofaro.it






Appunti di degustazione. Etna: le vigne del vulcano, modello per l’Isola È lui a dettare il tempo. Un tempo lento, quello della natura, dell’agricoltura e della vite. Qui i tempi e i ritmi – attraverso il fumo che ne costituisce il costante respiro – è il vulcano a scandirli. ’A Muntagna, come si chiama da queste parti. E la rinascita vitivinicola dell’Etna è un continuo confronto col passato: dai vitigni alle vigne.

In secoli di storia il lavoro naturale dell’Etna ha creato un ambiente unico nel suo genere per il paesaggio e per la viticoltura. A partire dalle altitudini – visto che qui la vite cresce anche oltre i mille metri d’altezza – passando per i suoli e i sottosuoli adatti alla coltivazione di alcune grandi varietà e fino ad arrivare al microclima, particolare, diverso dal resto della Sicilia, con forti escursioni termiche: tutti elementi fondamentali per la crescita dell’uva che si trasformerà in vino. E non a caso si parla, per le vigne dell’Etna, di isola nell’Isola. La Doc Etna Tutto ciò ha radici antiche ed è regolamentato da un disciplinare, redatto per la prima volta nel 1968 e modificato solo qualche anno fa. Ma per spiegare il senso profondo della Doc Etna, già alla fine degli anni Sessanta, si presero in esame gli scritti di un testo di fine ‘500, la Storia dei Vini d’Italia, dove i vini del vulcano venivano descritti come prodotti “la cui bontà è attribuita alle ceneri


dell’Etna”. Questo – e non solo questo – determina quello che si può definire una grande produzione vitivinicola territoriale. I terreni sono lavici, in alcune zone sassosi, in altri si arriva ad avere sabbia e cenere. Alcuni impianti sono allevati con l’alberello etneo franco di piede, producono naturalmente piccole quantità, ma una qualità d’uva altissima, e arrivano ad avere anche un secolo d’età o più. Le varietà tradizionali sono diverse: il nerello mascalese è il vitigno più importante per i rossi, seguito dal nerello cappuccio che può entrare nell’assemblaggio fino a un massimo del 20%. Per i bianchi l’uva carricante è la più rappresentativa, ma anche il catarratto può essere utilizzato, fino a un massimo del 40% o solo del 20% per la tipologia Etna Bianco Superiore. Il perfetto sviluppo dei vitigni in queste aree è garantito da un clima unico. Ci troviamo nel profondo Sud Italia, ma ad altitudini tra le più alte in Europa per la coltivazione della vite (si arriva a oltre i mille metri d’altezza). Le aree di produzione sono suddivise in contrade. Nel versante Nord sono soprattutto le uve a bacca rossa a dominare le vigne e trovano nei comuni di Castiglione di Sicilia e Randazzo la loro zona d’elezione. I bianchi invece sono più comuni sul versante Est, specie nel comune di Milo, unico areale dove è possibile produrre le tipologia Superiore.




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