Speciale dalfornoromano

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L'arte della degustazione


L A DEGUSTAZIONE(rigorosamente personale..ndr) è un’arte antica che nel

tempo si è arricchita di tante piccole conoscenze e tanti piccoli segreti, insomma E’ un ‘arte. Ma un'arte che non è privilegio di pochi: ognuno


possiede sufficienti capacità sensoriali per effettuare l'analisi degustativa di un vino, purchè vi sia l'interesse ad imparare le tecniche di base e le nozioni fondamentali relative alla bevanda. OGGI DEFINITA ANALISI SENSORIALE OD ORGANOLETTICA, E’ SICURAMENTE QUALCOSA DI PIU’ DEL SEMPLICE ASSAGGIO DI UN VINO PER RICAVARNE GUSTO, PIACERE ED EMOZIONE! QUALCHE COSIGLIO ESSENZIALE E PERSONALE PER PRATICARE UNA BUONA ANALISI ORGANOLETTICA E SENSORIALE: 1) E’ CONSIGLIABILE ESEGUIRLA QUANDO LE POTENZIALITA’ PERCETTIVE DELL’ORGANISMO UMANO E’ LA MIGLIORE E CIOE’ TRA LE 10 E 12 DEL MATTINO PRIMA CHE LE CAPACITA’ PERCETTIVE SI ABBASSINO PER COLPA DELLO STIMOLO DELLA FAME; 2)E’ NECESSARIO ESSERE IN PERFETTA SALUTE E COMPLETO BENESSERE PSICOFISICO, CIOE’ IN ASSENZA DI STRESS PSICO-FISICO; 3) EVITARE ASSOLUTAMENTE SIGARETTE, ASSUNZIONE DI BEVANDE QUALSIASI SIA CALDE CHE FREDDE ED ASSUNZIONI DI CIBI FORTI E PICCANTI, ALCOOL, CARAMELLE E GOMME DA MASTICARE PER TUTELARE E RENDERE EFFICACI AL MEGLIO I NOSTRI ORGANI ALLA DEGUSTAZIONE!

La degustazione comporta il coordinamento di vari stimoli che, interessando i sensi dell'uomo (la vista, l'olfatto, il gusto e il tatto), danno origine a differenti sensazioni, le quali, giustamente interpretate, consentono di valutare il vino. L'analisi chimica individua chiaramente i vari componenti del vino, ma non può individuare e valutare i loro stimoli sui sensi dell'uomo. La degustazione rappresenta un momento fondamentale nella verifica delle caratteristiche di un vino: permette di


analizzare le varie componenti, valutarle singolarmente e nel loro complesso, evidenziare lati positivi e negativi, effettuare ragionevoli previsioni sulla sua evoluzione. La degustazione si articola in una serie di fasi successive, che inizia con l'analisi delle sensazioni visive e quindi, ordinatamente nel tempo, di quelle olfattive, gustative, gusto-olfattive e tattili; infine si concentra l'attenzione sull'equilibrio delle diverse componenti e sulla presenza di caratteristiche tipiche del vino.

L'aspetto di un vino viene valutato attraverso l' analisi visiva, che è la prima impressione ad essere percepita e permette di prefigurare, fin dall'inizio, certe caratteristiche del vino in esame. La vista, infatti, è un senso rapido, istantaneo, dinamico, che dà una sensazione di realtà, di sicurezza, al contrario delle impressioni dell'olfatto e del gusto, che sono fugaci, progressive, evolutive, incerte e confuse. Le sensazioni visive ci danno informazioni sulla limpidezza , sul colore (tonalità ed intensità), fluidità, scorrevolezza, sviluppo di anidride carbonica, l'importanza dei fenomeni colloidali. La valutazione della limpidezza avviene osservando il vino contenuto nel bicchiere di fronte ad una sorgente luminosa poco intensa, come la fiamma di una candela: interponendo un qualsiasi oggetto tra bicchiere e fonte luminosa, più nitidi sono i contorni dell'oggetto, più il vino risulta limpido.


L a valutazione del colore avviene osservando il vino nel bicchiere sottoposto a illuminazione diretta, su fondo perfettamente bianco, per individuarne la vivacità e la tonalità . Il bicchiere può venire poi sollevato all'altezza degli occhi e quindi abbassato


e rialzato per osservarne le sfumature, l'intensità del colore, l'eventuale presenza di spuma e bollicine. La degustazione prosegue poi con l'indagine olfattiva: facendo roteare il picchiere, il vino si innalza sulle pareti per forza centrifuga, ed aumenta la propria volatilità , quindi l'assaggiatore può rivelare, con l'inspirazione, i vari elementi olfattivi del vino in esame

Si passa successivamente all'esame gustativo: l'assaggiatore porta il bicchiere alle labbra, immette una piccola quantitĂ , 10-15 cc di vino, e lo trattiene nella parte


anteriore del palato; con la punta della lingua lo suddivide in tutte le zone sensibili del palato anteriore, lo diffonde in tutta la bocca per eccitare la sensibilità gustativa e tattile, e infine lo deglutisce facendo attenzione alle sensazione sensoriali e retroolfattive.La degustazione fa passare il liquido nell'esofago, e quindi nello stomaco.

Superata l'entrata nell'esofago, si ristabilisce il circuito respiratorio. L'aria respirata attraversa la cavità orale, s'impregna dei vapori odorosi del vino ingerito, entra in contatto con la sede dell'olfatto per mezzo delle fosse nasali e stimola i neuroni olfattivi. Si consiglia di deglutire una o due volte una piccolissima quantità di vino nell'intervallo di tempo in cui lo si tiene in bocca (circa dieci secondi). Questo assaggio chiama in causa, come già detto, percezioni olfattive retro-sensoriali non sempre uguali a quelle nasali: infatti la temperatura del vino trattenuto nella cavità orale aumenta, favorendo una maggior liberazione di sostanze volatili. Il degustare è un atto intelligente che richiede attitudine, preparazione, memoria, capacità di decodificare ed interpretare i vari messaggi visivi, olfattivi, gustativi, che giungono al nostro cervello dopo essere stati raccolti dagli organi preposti: un'arte per accedere al meraviglioso mondo del vino. Ma al di là delle tecniche, affidatevi alla vostra spontaneità, fatevi trasportare liberamente dalle mille sensazioni che un vino può trasmettervi... l'importante è che abbiate la calma e la pazienza di accoglierle! La degustazione è il momento nel quale è possibile identificare le principali caratteristiche di un vino, attraverso l’attenta analisi delle sue proprietà organolettiche. L’analisi organolettica di un vino si articola in tre fasi distinte: Esame visivo; Esame olfattivo; Esame gustativo; -Durante l’esame visivo si valutano caratteristiche quali la limpidezza, il colore, la fluidità e l’eventuale effervescenza.


-Durante l’esame olfattivo si procede al riconoscimento dei profumi e della loro intensità e persistenza.

-Durante l’esame gustativo si analizzano le sensazioni soporifere, le sensazioni tattili e gli aromi del vino.



ESAME VISIVO

LA LIMPIDEZZA La prima caratteristica da valutare nella fase dell’esame visivo è la limpidezza del vino. Dovremo cioè assicurarci che il bicchiere che abbiamo di fronte non presenti particelle in sospensione che creino quella sgradevole opacità. Per definire tale caratteristica si prende il bicchiere e lo si pone in controluce. Se non presenta particelle in sospensione si definisce limpido, se presenta particelle in sospensione si definisce opaco. Attualmente è piuttosto difficile imbattersi in un vino opaco, a meno che non si tratti di un vino “casalingo”. IL COLORE Con il bicchiere inclinato si scruta il vino per identificarne il colore, la tonalità e le eventuali sfumature, tutte caratteristiche importanti per farci un’idea abbastanza precisa del vino che ci prepariamo a degustare. I colori dei vini bianchi sono: giallo verdolino: o giallo molto tenue, è il colore tipico dei vini molto giovani. giallo paglierino: indica un vino piuttosto giovane. giallo dorato: caratteristico nei vini equilibrati, spesso ottenuti da uve sovramature.


giallo ambrato: indica un vino morbido, ottenuto grazie a tecniche che consentono la produzione di vini passiti o liquorosi. I colori dei vini rossi sono: rosso porpora: vino molto giovane, caratterizzato da una spiccata acidità. rosso rubino: vino giovane ed equilibrato. rosso granato: vino morbido, in grado di sopportare ancora qualche anno di invecchiamento. rosso aranciato: tipico dei grandi vini rossi sottoposti a lunghi periodi di affinamento. FLUIDITÀ

L’esame che riguarda la fluidità mira a mettere in evidenza la consistenza del vino. Questa è determinata dalla maggiore o minore presenza di tutte le caratteristiche che compongono il vino, ma soprattutto degli alcooli. Uno degli elementi che ci consente con un colpo d’occhio di verificarne la presenza sono gli archetti, le lacrime che si formano quando il vino ricade nel bicchiere scendendo lungo le pareti. Se gli archetti sono molto fitti si è di fronte ad un vino di maggior consistenza, se sono meno fitti generalmente ci si trova di fronte ad un vino di minore struttura. In base a questa caratteristica un vino può essere definito: poco consistente: è un vino che scende nel bicchiere in modo leggero, tipico di una struttura poco consolidata.


consistente: il vino scende nel bicchiere in modo poco scorrevole, descrivendo archetti fitti e regolari. E’ tipico dei vini morbidi. viscoso: si definisce così un vino che scende pesantemente nel bicchiere, quasi fosse una sostanza sciropposa. E’ una caratteristica presente nei vini da dessert, nei vini passiti e nei vini attaccati dalla cosiddetta muffa nobile. L’ESAME OLFATTIVO

L’esame olfattivo, oltre a rivelarci la presenza di eventuali difetti (come il sentore di tappo, o di altre muffe), ci mostra le potenzialità aromatiche del vino. I primi due aspetti che devono essere vagliati sono l’intensità e la persistenza dei profumi. intensità: misura complessivamente la “potenza” con la quale l’insieme dei profumi e degli aromi giungono contemporaneamente dal bicchiere al naso. persistenza: misura la sequenza dei profumi e degli aromi e la loro durata nel tempo. Prima di annusare il vino è necessario ruotare leggermente il bicchiere per creare quel vortice che consente agli aromi e ai profumi di liberarsi più facilmente. Una volta valutati questi due aspetti, si passa all’aspetto più celebre e di ogni degustazione, quello dei riconoscimenti. Le descrizioni dei sentori è passata nell’immaginario collettivo come il momento principale della degustazione. Anche se tale convinzione è ovviamente errata possiede indubbiamente un certo fascino. Molte sono le definizioni attribuibili ad un vino, cosicché i molti profumi sono stati raggruppati in grandi famiglie aromatiche. Ecco le principali:


Floreale: Presente nei vini sottoforma di una nota di fiori che possono spaziare dal biancospino al gelsomino, dai fiori d’acacia alla rosa, dalla ginestra ai fiori di campo. A seconda dei sentori può rimandare a vini bianchi giovani o vini rossi più affinati. Fruttato: E’ il profumo della frutta fresca, che può essere a polpa bianca o a polpa rossa, di frutta secca, matura o esotica, in base alla tipologia o all’affinamento. Franco: E’ il sentore dei vini che svelano immediatamente origine e provenienza con un profumo netto e inconfondibile. Erbaceo: Famiglia di profumi che comprende, fra gli altri, quello dell’erba appena tagliata, di vegetali verdi come il peperone e la foglia di pomodoro. Denotano in modo piuttosto caratteristico vitigni come il Cabernet franc e il Sauvignon blanc. Speziato: Presente soprattutto nei vini bianchi e rossi affinati nelle botti di legno. Rimanda a sentori di spezie varie. Ampio: E’ una classificazione olfattiva ulteriore, propria dei vini che presentano un bouquet di sentori che abbracciano più famiglie di profumi, tipico dei grandi vini di eccellente struttura. L’ESAME GUSTATIVO

E’ la parte più delicata della degustazione, durante la quale il vino entra fisicamente in contatto con il cavo orale. Si può quindi procedere alla descrizione dei tre aspetti che la riguardano, l’esame delle sensazioni saporifere, tattili e retronasali. SENSAZIONI SAPORIFERE Riguardano le primissime percezioni, quali i riconoscimenti essenziali del tipo dolce, amaro, salato e acido. La maggiore o minore dolcezza è dovuta alla presenza degli zuccheri e si avverte in bocca come una piacevole sensazione vellutata e gradevole,


mentre l’acidità provoca un aumento della salivazione. La sapidità invece si esprime attraverso la percezione della salinità, soprattutto sul dorso della lingua, mentre una leggera sensazione amarognola, determinata in particolare dai tannini, si manifesta nella parte posteriore della bocca.

SENSAZIONI TATTILI Le sensazioni tattili riguardano aspetti ben precisi tramite le quali si valutano aspetti come l’alcolicità di un vino, l’astringenza e la consistenza di un vino. ALCOLICITÀ Per determinare l’alcolicità di un vino si può far riferimento alla sensazione pseudocalorica, quella che si avverte non appena si introduce il vino all’interno del cavo orale. Si manifesta con un apparente aumento della temperatura, sia in bocca che ad esempio sulle gote e i lobi delle orecchie. Maggiore sarà questa sensazione, maggiore sarà la componente alcoolica nel vino. ASTRINGENZA Si manifesta con una improvvisa secchezza del cavo orale e delle mucose, dovuta ad una diminuzione della produzione salivare, rivelatrice della presenza dei tannini, componente importantissima soprattutto nei vini rossi. CONSISTENZA


Questa sensazione riguarda la percezione della “solidità” del vino, che si manifesta con una maggiore o minore fluidità del vino al contatto con il cavo orale. Una maggiore consistenza denota un vino dalla buona o ottima struttura.



ABBINAMENTO CIBO-VINO Esaltare un piatto con il vino giusto Abbinare un vino a una pietanza non è sempre così facile. Devi conoscere bene i vini in generale, e quelli che hai a disposizione nel tuo ristorante. Oltretutto, per via degli alti costi di ricarico, il vino incide parecchio nello scontrino che i tuoi ospiti dovranno pagare alla cassa; motivo per il quale molti rinunciano a prenderlo. In questo articolo trovi alcuni consigli utili per scegliere dei vini economici, su cui ricaricare meno, e che si possono abbinare a diverse tipologie di pietanze.

L’eterna ricerca del sapore perfetto ricade, anche e soprattutto, sulla scelta del vino da abbinare. Esistono tre scuole di pensiero: inglese, francese e italiana. Ognuna di esse traccia delle linee guida, da seguire e rispettare, per non rovinare l’esperienza gastronomica, servendo un vino poco adatto al piatto presentato. Data la natura dell’argomento trattato, quindi, è meglio creare uno schema, così da renderti più semplice la consultazione. Ti avviso, avrai molto da leggere. Ecco, in sintesi cosa troverai in questa presentazione: -le tre scuole


-primi piatti a base di carne -primi piatti a base di pesce -secondi a base di carne -secondi a base di pesce -dessert -abbinamenti impossibili Analizziamo, nel dettaglio, ogni singolo punto. Le tre scuole di pensiero

Come vi ho accennato nel paragrafo precedente, quando si parla del binomio cibo-vino, non è possibile non menzionare tre distinte scuole di pensiero. Tra teorie e tecniche per l’abbinamento perfetto, inglesi, francesi e italiani hanno creato un vero e proprio manuale per districarsi tra vino e ricette. La scuola inglese è la meno rigida. Si basa, infatti, sui gusti personali. La parola d’ordine è: soggettività. Vuoi abbinare un brasato di manzo a uno Chardonnay? Libero di farlo. Anche se i puristi storcerebbero il naso. La scuola francese, invece, segue un decalogo molto rigido.


I vini bianchi liquorosi non possono essere abbinati né alla selvaggina né alle carni rosse I vini rossi non possono essere abbinati né ai pesci né ai crostacei né ai molluschi I vini rossi devono essere serviti, sempre, dopo i bianchi I vini robusti devono essere serviti, sempre, dopo i vini leggeri I vini a temperatura ambiente devono essere serviti, sempre, dopo i vini freschi (o da frigo) I vini vanno serviti seguendo una gradazione alcolica crescente Ogni piatto necessita di un vino diverso I vini devono seguire la stagionalità Tra un bicchiere di vino e l’altro, bisogna resettare il gusto con un sorso d’acqua Mai servire un solo vino in un pasto Infine, veniamo a quello che forse ti interessa maggiormente: la scuola italiana. Noi italiani con il vino non scherziamo; del resto fin dai tempi degli antichi romani ci dilettiamo con il nettare preferito da Bacco. La nostra scuola, infatti, prevede diversi approcci, valutando – caso per caso – l’abbinamento migliore. Nello specifico, troviamo: l’abbinamento per tradizione l’abbinamento stagionale l’abbinamento psicologico l’abbinamento per concordanza o contrapposizione L’abbinamento per tradizione segue la territorialità degli ingredienti, delle ricette e dei vini tipici di una determinata zona. Allo stesso modo, l’abbinamento stagionale tiene conto dell’andamento delle stagioni, del clima, e della disponibilità dei prodotti (ad esempio, un vino come il moscato bianco, prettamente estivo, non sarà mai servito con un piatto di fagioli con le cotiche).


L’abbinamento psicologico, invece, si basa, esclusivamente, sul momento del consumo. Mi spiego meglio: a capodanno, qualsiasi sia la portata, cosa berrai per festeggiare? Spumante o champagne, che domande. Infine, veniamo al nocciolo duro, l’approccio usato dal metodo Mercadini. Un metodo che punta ad armonizzare cibo e vino, in una singola entità. Detto così suona poco chiaro, me ne rendo conto. Provo a chiarirti le idee con un grafico.

Ad ogni scheda, formata da cerchi concentrici, viene assegnato un valore da 1 a 10, in base alle caratteristiche del vino e del cibo percepite durante la degustazione. Dolce, salato, acido e amaro sono i quattro sapori principali, a cui vengono sommate le sensazioni legate al cibo e al vino. Grassezza, sapidità, untuosità, ma anche profumo, morbidezza, aroma e tannicità. Tutti indici per valutare al meglio l’abbinamento adatto. Adesso direi che è giunto il momento di stappare qualche bottiglia e assaporare un paio di piatti niente male. Menu di carne: quali vini abbinare?


Senza troppi indugi, ecco un paio di accostamenti per stupire e deliziare i tuoi clienti. Per i primi a base di carne, quali cannelloni ripieni, lasagne, ragù alla bolognese, salsiccia e pancetta puoi consigliare un ottimo Chianti classico. Un prezzo da combattimento e un gusto unico; sapido, asciutto e tannico al punto giusto. Puoi optare, anche, per un Barbera D’Alba o un Sangiovese di Romagna. Due ottimi vini DOC, entrambi rossi e con un ottimo rapporto qualità prezzo. Per i secondi di carne, se scegli un piatto più strutturato – come ad esempio un agnello al mirto (o altre ricette con l’agnello) – scegli come partner ideale un rosso di Montalcino. Rispetto al Brunello costa meno ed è altrettanto buono. Il Sagrantino di Montefalco, invece, è perfetto per accompagnare un arrosto di carne, o della selvaggina. Inoltre, si sposa perfettamente con un bel tagliere di formaggi stagionati, grazie al suo sapore asciutto e ricco di tannino. Menu di pesce: quali vini scegliere?


Se i tuoi clienti prediligono il pesce, devi sapere, anche in questo caso, cosa consigliare per esaltare le tue capesante gratinate, o la tua zuppa di pescato del giorno. Ecco, cogliendo la palla al balzo, ti suggerisco due abbinamenti: Per molluschi e crostacei, un vino che eccelle è sicuramente il Riesling; capace di esaltare con il suo gusto secco e fruttato. Un altro vino vincente e delizioso è il Carricante, un grande vitigno dell’Etna di grande personalità e adatto a tutti i primi di pesce (purché senza pomodoro). Per il secondo, invece, vi consiglio due vini rosati. Il Bardolino Chiaretto e il Cinque Terre. Il primo più adatto al sushi e alla cucina giapponese, il secondo perfetto per qualsiasi secondo a base di pesce: dalla zuppa al “cappon magro” genovese. Un vino dolce per dessert e qui iniziano i drammi. Sbagliare il vino da servire durante il dessert può rovinare l’intero banchetto. Anche perché esistono dei dolci che non vanno molto d’accordo con il vino


Ad esempio, sai qual è il vino da abbinare a una buona fetta di tiramisù? L’acqua. Viceversa, vuoi sapere un vino da accompagnare a un dessert? Alto Adige Moscato Rosa. Nessun dolce o prodotto di pasticceria in generale è inadatto a questo vino, dal sapore dolce e delicato. Anche il Passito di Pantelleria è un eccellente vino da abbinare al dessert, meglio se alta pasticceria, così come il Grechetto. Gli abbinamenti impossibili Ti sembrerà strano, ma esistono delle pietanze, dolci per lo più, a cui non è possibile affiancare nessun vino. Ecco un rapido elenco: -------cioccolato -frutta fresca e macedonia -finocchi e carciofi crudi -torte con liquore e crema -sottaceti (l’aceto si scontra con il sapore del vino) -gelato (troppo freddo) Con queste pietanze, meglio evitare il contatto con alcun tipo di vino.


Conclusioni Il tuo viaggio virtuale “strettamente” personale tra vitigni e cantine volge al termine. Se hai letto fin qui, permettimi di offrirti seppur virtualmente – un bel bicchiere di bollicine………….. CIN…CIN!


Se il vino potesse parlare racconterebbe la storia di chi lo coltiva con passione, dedizione spesso con rinunce o decisioni sofferte. Racconterebbe delle ansie di chi è costretto a scendere a patti con inverni rigidi, gelate primaverili ed estati siccitose. Se


ogni bottiglia di vino potesse raccontare la sua storia, alla fine anche noi lo

gusteremmo con un’attenzione maggiore, dedicandogli ogni singola volta il giusto tempo per assaporarne le intensità del racconto che ogni vendemmia ed ogni cambiamento, lascia dietro di se, come una traccia scolpita all’interno di ogni calice. Romano Dal Forno nasce nel 1957 a Capovilla, a pochi chilometri da Illasi. Proprio in questo ambiente, dove il vino più che un prodotto è una filosofia di vita, la famiglia si prende cura dei propri vigneti da ormai quattro generazioni. La svolta per la sua vita e per il suo lavoro avvenne a 22 anni, quando conobbe Giuseppe Quintarelli, che divenne per lui una guida illuminante: gli aprì gli occhi a un nuovo modo di produrre vino e di impiantare vigneti, facendogli avvertire l’importanza di puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità. I primi tempi furono caratterizzati da non poche difficoltà, ma l'unione della famiglia e il contributo dei figli di Romano, Marco, Luca e Michele, hanno portato la cantina a diventare in breve tempo un punto di riferimento assoluto nella compagine mondiale del vino. Da anni, grazie all'impegno di tutta la famiglia, l'azienda ha raggiunto standard difficilmente eguagliabili, nel perseverante intento di offrire


emozioni e piaceri unici a chiunque beva un prodotto Dal Forno. Una cantina che racconta un territorio e le sue tradizione: un punto di riferimento assoluto. ROMANO DAL FORNO E L’ARTE DI CREARE VINO Molto spesso si sente parlare del “fare vino” ma a mio avviso il verbo esatto più che “fare” è “creare”. Il vino è un’opera concessa solo agli uomini e come tale spetta a loro la capacità di renderla un capolavoro o una semplice abitudine. Visitare l’azienda agricola Romano Dal Forno è come entrare in una delle più sacre cattedrali enologiche, dove la visita diventa un arricchimento personale e non un semplice sfizio di curiosità.



Romano Dal Forno è un’istituzione della Valpolicella ed il suo Amarone è conosciuto in tutto il mondo, la riprova è che un italiano a casa sua è quasi straniero… non certo per l’accoglienza, ma perchè da italiano ti ritrovi molto probabilmente il solo, insieme al padrone di casa, a parlare la tua lingua e per il resto nord europei, giapponesi, cinesi, spagnoli, brasiliani… paiono quasi essere più a loro agio lì che in qualunque altro posto. La cantina si trova appena poco distante dal centro di Illasi (Vr), proprio sulla strada provinciale. Non aspettatevi indicazioni o cartelli di alcun tipo perchè capirete di essere arrivati solo una volta aver superato il cancello d’ingresso. Questo fa capire come non hanno bisogno di indicazioni per essere trovati e se siete lì solo per curiosare senza un vero interesse. E come biasimarli, non va disturbato il “Maestro” dell’Amarone. E’ quasi strano scoprire che l’azienda nasce solo nel 1983 in una cantina che stava nell’interrato dell’abitazione della famiglia Dal Forno. Nel 1991 inizia la costruzione di una nuova struttura, enorme, magnifica.


Oggi l’azienda ha una superficie di 25 ettari vitati dai quali vengono prodotte 60.000 bottiglie. .. veramente poche in proporzione alla superficie coltivata. Per fare qualità non si può certo puntare sulle massime rese, e qui di qualità è una filosofia di vita. All’interno della cantina tecnologie di ultima generazione. La sala di vinificazione è interamente computerizzata e da un pannello touch screen si può gestire e controllare l’intero processo. Tini di diverse forme e misure adornano infine la stanza ampia e moderna. Le sale di appassimento con enormi ventilatori che si spostano su tutta la superficie della stanza, finestre automatizzate che si aprono e si chiudono a seconda della temperatura e umidità esterna/interna.


Gli investimenti non sono certo lasciati al caso e nemmeno nelle cantine interrate, qui si trovano le barrique per l’affinamento dei vini che vengono cambiate ad ogni annata. Prelevato il campione dalla barrique, questa viene ogni volta rabboccata con del vino e completata con dell’anidride carbonica che spinge all’esterno l’ossigeno così da impedire l’ossidazione del prezioso nettare.

Termine azzeccato perché l’Amarone di Romano dal Forno è sicuramente il più costoso che si trovi in commercio a sicuramente ne vale tutto! Nella produzione l’azienda contempla solamente tre prodotti: Amarone, Valpolicella e Recioto, quest’ultimo prodotto solo in rare eccezioni(…ho vissuto personalmente la delusione ma ho la parola di Marco che la prox produzione sarà delizia per le nostre degustazioni…ndr!) E’ forse questo il segreto per essere molto più che viticoltori e diventare un mito? Sicuramente è uno dei fattori base e non posso far altro che complimentarmi con la famiglia Dal Forno, perché è certamente questo un caso esemplare dove le capacità


individuali uniti al coraggio portano al successo…! è l’Italia che personalmente stimo, fatto di dedizione, rinunce e passione!

Questa

Data la filosofia di famiglia, bisogna credere che Dal forno riesca continuamente a proporre vini eccezionali, di notevole struttura tannica e dalla equilibrata acidità, di una morbidezza davvero superlativa. Eppure è proprio così, vendemmia dopo vendemmia. Fondata nel 1957, oggi la cantina Dal Forno Romano è considerata a livello nazionale il produttore numero uno di Amarone. Mentore di Romano fu Giuseppe Quintarelli, altro esimio produttore di Amarone della zona.


I vini della Cantina Dal Forno sono di qualità assoluta, la cura maniacale fanno si che il suo Amarone della Valpolicella sia sempre tra i primi assoluti.

Rispetto al Valpolicella, l’Amarone differisce dal periodo di appassimento che è doppio rispetto al Valpolicella e che le vigne abbiano almeno dieci anni di vita. Tecniche computerizzate in cantina per la fermentazione alcolica, raccolta a mano con scarto dei singoli acini non perfetti, uniti a 36 mesi di barrique e 24 mesi di bottiglia completano il quadro di un vino da sogno che qui trovi al miglior prezzo. Da segnalare come il prodotto di punta massima dell’azienda è il vigna Serè, vino di limitata produzione, è un vero e proprio concentrato di frutta e densità, il famoso Recioto.


Quando volere è potere e la filosofia del migliorare continuamente ogni minimo dettaglio porta ad essere i numeri uno.


Storia di Romano Dal Forno il Re della Valpolicella La Val d'Illasi, una zona a est di Verona, comunicante nella parte orientale con le doc Soave e Lessini Durello, non fa parte dell'area cosiddetta "classica" dell'Amarone, che comprende località come Negrar, Fumane e Novare. Romano Dal Forno, nato nel 1957 a Capovilla, a pochi chilometri da Illasi, è cresciuto a stretto contatto con il mondo agricolo; la sua famiglia produceva vino già da tre generazioni. A quel tempo lavorare in vigna significava enorme fatica e poche soddisfazioni, le uve venivano conferite alla cooperativa ed il ricavato era appena sufficiente al fabbisogno familiare. Dopo un periodo molto combattuto e incerto, all'età di 22 anni conobbe Giuseppe Quintarelli che lo sbalordì con i suoi vini. Fu per lui una rivelazione, una spinta vitale, capì che quella era la sua strada. Ma i problemi da affrontare erano immensi, i pochi ettari di vigneto di proprietà erano stati sfruttati per anni perché potessero produrre più uva possibile e capiva che con un sistema del genere non avrebbe mai potuto fare vini importanti. Inoltre Quintarelli era convinto che la Valle d'Illasi fosse buona solo per coltivare mais.


M arco Dal Forno…… Ma Romano volle tentare, la sfida era troppo avvincente; cominciò a lavorare, aiutato dalla moglie, la sua unica esperienza era quella fatta direttamente in vigna, non era un enologo, né un agronomo o un tecnico e i suoi colloqui con il maestro, pur se illuminanti, non potevano essere sufficienti ad indirizzarlo con precisione sulle scelte giuste. I primi anni furono molto difficili, dapprima tentò di ridurre drasticamente la produzione d'uva per pianta, ma ottenne l'effetto di avere grappoli dagli acini enormi e gonfi, annacquati. Successivamente si rese conto che le piante, essendo abituate da anni alla sovraproduzione non potevano di punto in bianco interrompere l'iperlavoro


a cui erano abituate, bisognava fare le cose per gradi, con estrema pazienza. Nel frattempo frequentò la Scuola Agraria e col passare degli anni cominciò a comprendere come andava trattato il vigneto; comprese che la pratica dell'appassimento delle uve, fino ad allora utilizzata da tutti i vignaioli a fini correttivi, era invece elemento fondamentale per produrre vini importanti e caratteristici di quel territorio. Mano a mano aumentò la fittezza d'impianto, era

L uca dal Forno‌.



chiaro che si doveva arrivare a grandi concentrazioni estrattive.

La prima annata significativa fu la '83 che gli permise di iniziare a farsi conoscere. Per molti anni produsse i suoi vini in modo artigianale, senza attrezzature adeguate, finchÊ, nel '90, decise di rischiare il grande passo: rinnovare completamente la cantina. Il fatturato ammontava a soli 70 milioni e l'investimento per i nuovi macchinari richiedeva 1 miliardo e 300 milioni. Il rischio era enorme, ma Romano sapeva che valeva la pena tentare. Era l'unico modo per fare un concreto passo in avanti. L'appassimento delle uve è una fase molto delicata, se non ci sono le strutture adatte, si rischia di perdere l'intera produzione. Nel '95, ai 12 ettari vitati di proprietà , si aggiunsero 8 ettari del cognato e, nel 2000, altri 5 di un cugino, che gli consentirono di lavorare intensamente nella sperimentazione. La fittezza d'impianto era arrivata, in alcuni casi, fino a 11.000 ceppi per ettaro. L'obiettivo nei prossimi 5 anni è quello di avere una fittezza media di 11-13.000 piante per ettaro che garantiscano una produzione annua di 40.000 bottiglie di Valpolicella e 15-20.000 di Amarone.


A Romano Dal Forno vanno molti meriti: la scelta di eliminare la Molinara dall'uvaggio dell'Amarone, un vitigno che ha dimostrato di avere chiari limiti; la riscoperta dell'Oseleta, impiantata nel '91, sulla quale ha potuto effettuare molte sperimentazioni e che oggi fa parte in modo determinante delle uve che confluiscono nell'Amarone; la radicale trasformazione del Valpolicella, un vino che fino a qualche


anno fa veniva considerato adatto alla pizza dagli stessi addetti ai lavori e che, grazie ai suoi sforzi, è diventato complesso, morbido, ampio, paragonabile per struttura e finezza ad un Brunello, ma con in piÚ un colore vivissimo, fino ad ora impensabile. Ne abbiamo provato due versioni: la '95 (14.5°) che presenta all'olfatto una notevole concentrazione aromatica, con note marcate di ciliegia e vaniglia, sottobosco e spezie dolci; in bocca esprime già piena morbidezza ed armonia, il frutto è sontuoso, avvolgente e la persistenza lunga e senza amaritudini.


Il Valpolicella '97 (14.5°) mostra una struttura più imponente, l'annata eccezionale ne ha marcato i tratti crudi, di estrema gioventù; il colore si presenta di un bel rubino fitto e scuro, con chiare venature purpuree, il naso è ancora sigillato, lascia però intravedere grandi possibilità evolutive, ora è un po' dominato da note verdi e dalla presenza del legno, ma col tempo offrirà una maggiore complessità e longevità della versione '95; una volta assaporato si mostra in tutta la sua stoffa ed eleganza, ricchezza di polpa, sapidità e tannini appena acerbi ma finissimi. Un buon affinamento in bottiglia per qualche anno gli consentirà di esprimere appieno le sue grandi qualità. Due grandi vini, un tempo impensabili. Pensate all'imperversare negli ultimi venti anni dei vini da tavola, che si sono prepotentemente sostituiti alle doc, per una scelta produttiva mirata ad una maggiore libertà di movimento che, se da una parte ha ottenuto il risultato di guadagnare grosse fette di mercato, soprattutto all'estero, dall'altra non ha permesso una giusta rivalutazione del territorio e di quei vitigni che sono patrimonio storico inespresso e quasi sconosciuto, strada che invece ha coraggiosamente intrapreso Romano Dal Forno, proprio con il Valpolicella, riuscendo, pur mantenendosi all'interno dei regolamenti del disciplinare, a dargli nuova linfa e vigoria. Un altro merito che gli va riconosciuto è l'aver creduto nel Recioto, vino rosso dolce, quasi dimenticato ed unico esempio di incredibile valore in questa rara tipologia. Assaggiando la versione '88, non più in vendita, si rimane sbalorditi dall'estrema giovinezza, riconoscibile nei sentori tipici dell'uva appena vinificata che mano a mano virano verso la china; in bocca è semplicemente magnifico, irresistibile, complesso e di persistenza infinita. Ed il suo Amarone rappresenta un connubio perfetto fra tradizione e innovazione; il passaggio in barriques nuove per 25 mesi non lo intacca minimamente, tanto è ricco, grasso, potente, eppure mai stucchevole, semmai appagante. Ogni nuova annata ha in sé caratteristiche di grande personalità, ma soprattutto lascia trasparire perfettamente


la mano del produttore, ora saggia ed esperta, consapevole e rispettosa, matura e profonda. L'Amarone '96, ultima annata prodotta, ha un estratto che non ha confronti con nessun altro vino in circolazione (circa 45 g/l) ed una potenza alcolica di oltre 17,5 gradi. Con queste misure ci si aspetterebbe un vino esagerato, stancante, troppo mastodontico, ed invece stupisce per la perfetta fusione di ogni suo elemento, al punto da nasconderne la pungenza alcolica al naso.

Michele dal Forno‌ E' un vino giovanissimo eppure già godibilissimo, con una possibilità evolutiva incredibile, forse come pochi altri grandi rossi italiani. La qualità dei vini di Dal


F orno costringe a ridimensionare le valutazioni che solitamente si è abituati ad attribuire agli altri vini, per evitare di andare fuori scala. Il prezzo è ovviamente molto elevato, ma giustificatissimo; basti pensare che da 100 chili d'uva si ottengono


15 litri di Amarone. Ma dei vini di Dal Forno non si può parlare, non ci sono parole sufficienti a rendergli giustizia. Quello che possiamo dire è che raramente ci è capitato di provare emozioni così incontenibili nel degustare un vino, come quelle che ci ha dato l'Amarone di Dal Forno. Oggi vi suggeriamo di provare (se lo riuscite a trovare e avete voglia di spendere ben oltre le 200.000 lire) l'Amarone '94 (16.5°), annata meno opulenta ma di straordinario equilibrio, che vi catturerà con i suoi profumi di frutta secca (fico, dattero), di goudron e liquirizia. Una volta deglutito, scoprirete cos'è una persistenza infinita, sentirete perfettamente ripassare nella retro-olfattiva il frutto grasso, quasi zuccherino e i toni di catrame, e coglierete proprio nel finale, quando l'alcol e la dolcezza tenderanno a scemare, quelle note sapide e minerali che sono caratteristica dei grandi vini e di quei luoghi, come la Valle d'Illasi, dove il terreno è ricco di fossili, argilla, sabbia, tracce evidenti lasciate dal mare in tempi preistorici. Il sogno di Dal Forno: la perfezione assoluta che fa il vino eterno. Tutto in cantina a Illasi è studiato nei minimi particolari in un mix perfetto di tradizione, tecnologia e precisione maniacale.

La parola chiave, quella attorno alla quale ruota tutto è: perfezione. Assoluta, senza tempo, in una costante tensione ideale che sembra non avere mai fine. Un po' come la sua cantina, una sorta di Sagrada Familia, ma in val d'Illasi.


Q uesto è Romano dal Forno da Lodoletta, 56 anni e un sogno impegnativo: imbottigliare un vino perfetto, che gli sopravviva, cosÏ quando i figli Luca (enologo), Michele (commerciale estero) e Marco (perito agrario) stapperanno un "suo" Valpolicella Superiore o un Amarone, berranno un signor Valpolicella o Amarone,


anzi il migliore.

N on ci soffermeremo su come è nata la favola Dal Forno, sul giovane Romano folgorato sulla vigna di Giuseppe Quintarelli, sugli esperimenti, le delusioni, gli anni trascorsi sui banchi d'agraria. Ci basterà partire da quel febbraio 1990 che segna lo


spartiacque, l'inizio della costruzione della Grande Muraglia d'Illasi, un cantiere ancora aperto, sul piano concettuale e anche edilizio. In quell'anno Romano concepisce l'idea della cantina, a quei tempi l'azienda era fuori con le prime bottiglie e fatturava 70 milioni di lire l'anno. Il progetto partito per costare 300 milioni di lire schizza quasi subito a 1 miliardo e 300, una pazzia per una azienda appena nata e di quelle proporzioni. Una pazzia per la stessa storia della famiglia Dal Forno, che debiti non ne aveva mai fatti: "Devo dire che ho fatto più di qualche notte insonne ammette Romano al solo pensiero di poter fallire, di deludere mio padre e qualche notte l'ho fatta passare insonne anche a mia moglie Loretta". Nel 1995 Dal Forno si improvvisa anche trader internazionale e converte il debito della cantina in yen: compera la valuta del Sol Levante a 14.60 e la vede salire sino a 21.50, una speculazione a prova d'infarto, ma i nervi reggono e quando si tratta di rimborsare le rate la moneta giapponese crolla a 11 e la famiglia Dal Forno tira un sospiro di sollievo.

L e vendite fortunatamente vanno bene da subito, dal Forno è forse l'unica realtà in Italia e una delle poche al mondo che vende soltanto con pagamento anticipato all'estero e alla consegna in Italia. La parola insoluto non rientra nel vocabolario di Romano, che nel 1997 stappa un magnum d'Amarone per brindare al saldo di tutti i debiti contratti con la banca. Quella che per tutti poteva essere la conclusione di un sogno, per Romano è solo l'inizio del progetto. Nel 2001 iniziano gli scavi della seconda parte della cantina e le peripezie di banca in banca per recuperare i soldi: il preventivo stavolta è di 2 miliardi e 700 milioni di lire, ma allo stato dell'arte, fattura più, fattura meno, ha


preso la strada dell'investimento precedente. Questo però per Romano Dal Forno non è un problema, anzi è l'essenza stessa della vita, un percorso alla ricerca della perfezione, da lasciare in eredità ai figli. E la perfezione passa anche attraverso la scelta dei marmi migliori, quelli spessi 30 centimetri, delle porte in legno massiccio stile castello medioevale, delle cisterne di ultima generazione (le ha cambiate tre volte dal cemento all'acciaio normale (1998), sino alle vasche in acciaio di ultima generazione idonee a lavorare sottovuoto nel 2008), della tecnologia più all'avanguardia, dell'allevamento in vigna più estremo e della pulizia in cantina più chirurgica. Niente può essere lasciato al caso, se l'obiettivo è l'immortalità. "La nostra ossessione è raggiungere la massima conservabilità del frutto spiega Dal Forno pur attraverso uve passite, ma utilizzando tecniche che favoriscano la massima protezione dall'ossidazione (anidride carbonica e azoto) allungando così la vita del vino. Tutto il processo è controllato, sino alla barrique, anche in quelle immettiamo dell'anidride carbonica al momento del rabbocco". Il regno della tecnologia è anche nella zona dell'appassimento delle uve, dove i grappoli riposano in cassettine attraversate da ventilatori semoventi, governati da un computer che raccoglie i dati da alcune sonde. Se l'umidità cala troppo i ventilatori si spengono, viceversa aumentano la portata d'aria. Le finestre hanno un agestione automatizzata governata da più stazioni meteoriche che aprono e chiudono a seconda dei parametri prestabiliti.

Il risultato finale è emozionante: 50 mila bottiglie, più o meno divise tra Valpolicella Superiore e Amarone, in grado di regalare momenti unici per intensità e complessità degustative. I vini di Romano Dal Forno hanno un marchio di fabbrica unico, con un


filo conduttore impressionante per quanto riguarda la loro longevità. Anche le annate più vecchie mantengono, pur nella loro evoluzione, colori e sentori primari, con una freschezza e un richiamo al frutto che non hanno eguali. Romano in realtà imbottiglia anche un terzo vino, il Recioto, in pochissime bottiglie, e soltanto nelle annate eccezionali, sei su 30 finora. Il mercato non ha valorizzato questa tipologia, ma Dal Forno non ha mai smesso di credere in questo vino millenario dal fascino antico, il padre storico dell'attuale Amarone.

T utte le bottiglie alla fine del processo produttivo finiscono nel profondo della cantina a riposare, quest'anno è in vendita l'annata 2007 (il vino riposa tre anni in barrique e tre in bottiglia minimo) ma molte bottiglie Dal Forno le tiene a riposo per le evoluzioni future dei vini e per questo ha realizzato una cantina su tre livelli, profonda 14 metri a sud, per riparsi dal maggior caldo e 11 a nord, così la temperatura rimane veramente costante. Tutto questo sforzo immenso ha contribuito a creare il mito Dal Forno nel mondo, un mito che l'ha portato ad essere uno dei pochissimi vini italiani battuti alle aste internazionali di Christie's e questo gli ha permesso di tenere bene, nonostante la crisi. Nessun calo di fatturato, nonostante la totale assenza dalle fiere nazionali e internazionali: "Per scelta non abbiamo mai girato il mondo ammette non per superbia, ma perché i figli non sono mai stati appassionati di prendere aerei e visitare gli Stati, ora il più giovane, Marco, sta studiando inglese e qualche trasferta se l'ha farà è giusto anche valorizzare chi vende i nostri vini in giro per il mondo. Già perché una cosa la crisi l'ha cambiata, prima il 55% del prodotto lo vendevamo in Italia, ora l'85% se ne va all'estero. Con i miei figli la scelta sin da subito è stata quella di farli crescere in vigna, sin da piccoli ricordo che li facevo dormire qualche volta d'estate con un materassino tra i filari".


Il mercato per eccellenza resta l'America (dove per inciso Romano è andato un paio di volte in tutta la sua vita), ma anche l'est asiatico sta iniziando a macinare bene: "I cinesi sono strani - sorride Dal Forno la prima volta che ho ricevuto una visita è stato nel 2010, con alcuni si lavora con regolarità, poi si verificano casi di ordini molto importanti fatti una volta, un modo un po' spot di concepire il mercato". Chiedere a un padre a quale figlio vuole più bene è sempre una domanda delicata, che spesso non trova risposta, Dal Forno però non si sottrae, ci pensa qualche secondo e poi tira un segno su un foglio che sa di definitivo: "Sicuramente il 2002 (il primo nato al 100% da appassimento) ha dato un Valpolicella super, il 2004 frutto croccante di una pienezza interminabile, il 2011 sorprenderà tutti, ma la vera attesa sarà il 2013, da tempo non avevo sensazioni come quest'anno".

Contatti: Località Lodoletta, 1 Tel: 045 783 49 23

Cap.37031

www.dalfornoromano.it

Cellore d’Illasi

-

Verona – Italy

e-mail: info@dalfornoromano.it


WINE AROMATIC

VALPOLICELLA SUPERIORE

AMARONE DELLA VALPOLICELLA

RECIOTO VIGNA SERE’


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