Gianluca Santoro
— Clare Sans. Realizzare un carattere tra pensiero e progetto —
Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica
Accademia di Belle Arti di Catania Dipartimento di progettazione e arti applicate DASL06— Diploma Accademico di Secondo Livello in Progettazione Artistica per l’impresa corso di Graphic design a.a. 2017/2018 Candidato Gianluca Santoro Relatore Gianni Latino Progetto grafico Gianluca Santoro Nessuna parte di questo elaborato può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’Istituzione. Le immagini utilizzate rispondono alla pratica del fair use (Copyright Act, 17 U.C.S., 107) essendo finalizzate a scopo divulgativo e didattico come da Articolo 70 Legge sulla protezione del diritto d’autore (L. 22 aprile 1941, n.633). Pubblicazione composta in Univers disegnato nel 1957 da Adrian Frutiger. © Copyright 2018 Accademia di Belle Arti di Catania Gianluca Santoro www.abacatania.it
Gianluca Santoro
— Clare Sans Realizzare un carattere tra pensiero e progetto —
— Indice —
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Premessa Parte I — Nascita ed evoluzione della scrittura Le origini La scrittura cuneiforme La scrittura geroglifica La scrittura consonantica
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Parte II — La rivoluzione della stampa L'apparizione della carta in Europa La stampa pretipografica Le origini della stampa tipografica La tecnica di Gutenberg Fust e Schöffer La stampa a Subiaco e a Venezia L'introduzione del corsivo Martin Lutero e la Chiesa di Roma La svolta: Linotype e Monotype L'avvento dell'Offset
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Parte III — L'era tipografica L'apparizione di nuovi caratteri Caslon e Baskerville Da Bodoni a Didot I caratteri tipografici del XX secolo
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Parte IV — Il progresso digitale L'avvento del Desktop Publishing I pionieri della progettazione grafica digitale Le fonderie digitali L'editoria nel XXI secolo Il libro digitale e i suoi formati più comuni
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62 66 68 76
88 94 100 108 110
Parte V — Type Design Anatomia del Carattere Correzioni ottiche Unità di misura Classificazioni dei caratteri Elementi di un carattere Interlinea, spaziatura e crenatura Composizione tipografica
117 118 122 128 130 134 136 138
Parte VI — Clare Sans Maiuscolo Minuscolo Maiuscolo con segni diacritici Minuscolo con segni diacritici Numeri Segni d'interpunzione Segni diacritici
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Bibliografia e Sitografia
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— Premessa —
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Comunicare. Quello che facciamo tutti i giorni è comunicare. Sin dalla preistoria una delle esigenze primarie dell’essere umano è quella di esprimersi con gli altri, e, data questa necessità sono nati diversi metodi per trasmettere delle informazioni. All’inizio tramite il “linguaggio” fatto di suoni e gesti, per passare poi al sistema dei pittogrammi, fino ad arrivare alla nascita dell’alfabeto tramite l’evoluzione della scrittura cuneiforme e dei fonogrammi. Dopo vari secoli, grazie all’invenzione tra il 1452 e il 1455 del procedimento di stampa a caratteri mobili ideato da Johann Gensfleisch Gutenberg, si è passati dalla trascrizione manuale da parte degli amanuensi alla stampa meccanica. Tutto questo creò una rivoluzione nel mondo della stampa che partì da Magonza in Germania fino ad espandersi prima in tutta Europa e poi anche nel resto del Nuovo Mondo. Oggigiorno tutto è stato semplificato tramite l’evoluzione della tecnologia e la nascita di software di Desktop Publishing come PageMaker® (Aldus), QuarkXPress® (Quark) e InDesign® (Adobe) che, grazie alle font digitali (o caratteri tipografici), danno la possibilità di avere una vasta scelta di caratteri da utilizzare e un’anteprima a video in fase di progettazione. Tuttavia, nonostante la facilità di reperire al giorno d’oggi qualsiasi tipo di carattere in formato digitale, è indispensabile che un buon progettista grafico acquisisca pienamente tramite lo studio e l’esperienza la padronanza dell’uso della tipografia per poter produrre una comunicazione visiva efficace. Lo scopo di questa tesi è quello di parlare della nascita e dell’evoluzione della scrittura fino ad arrivare alla progettazione di un carattere sans serif tipografico.
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— Parte I Nascita ed evoluzione della scrittura —
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— È un dato di fatto che una delle più grandi conquiste nella storia dell’umanità è quella della scrittura, essa ha la funzione di tracciare graficamente dei significati che si vogliono trasmettere o fissare per la memoria e/o per la registrazione. La configurazione della forma si ottiene con l'artefatto, elemento grafico voluto che crea quella caratteristica percettiva che l’elemento assume tramite la forma prima pensata e poi realizzata. Questo processo inizialmente è indipendente dalla realizzazione fonetica delle parole in una singola lingua (fase pittografico-ideografica), mentre successivamente costituisce una riproduzione del parlato (fase fonetica). —
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Le origini —
La pratica della scrittura è di antichità così remota, che né scrittori di argomenti sacri e profani possono dare un resoconto soddisfacente delle sue origini.1 L’invenzione della scrittura portò allo splendore della civiltà, rendendo possibile il preservare conoscenze, esperienze e pensieri duramente conquistati. La sua nascita si deve alla specie dell’Homo Sapiens (dal latino uomo sapiente) che, oltre ad aver sviluppato il linguaggio, ovvero la capacità di creare suoni per comunicare, iniziò ad avere l’esigenza di trasporre graficamente le proprie parole pronunciate o il pensiero non detto attraverso l’uso di segni, simboli o immagini e lettere trascritte su una superficie o substrato. Il progresso della scrittura e del linguaggio visibile ha avuto la sua origine con immagini semplici, poiché esiste una stretta e consolidata connessione tra immagine e parola. Entrambi sono modi di comunicare idee e inizialmente le immagini venivano utilizzate come un modo elementare per registrare e trasmettere informazioni. I primi segni umani ritrovati risalgono ai primi anni del passaggio tra il periodo Paleolitico al Neolitico (dal 35000 al 4000 a.C.) eseguiti da Africani ed Europei lasciarono dipinti nelle caverne, incluse le grotte di Lascaux nel sud della Francia e ad Altamira in Spagna. Il nero (l'attuale inchiostro) ottenuto con carbone di legna, mentre una gamma di toni caldi, dai giallo chiari ai rossi/marroni venivano realizzati tramite l’utilizzo di ossidi di ferro insieme ad alcuni grassi. Forse questi pigmenti venivano spalmati nelle pareti tramite le dita o attraverso un 'pennello' fabbricato con alcune piante. Tutto questo non era l’inizio dell’arte come la conosciamo ma piuttosto l’alba della comunicazione visiva, in quanto queste immagini nacquero per la sopravvivenza e per scopi utilitaristici e rituali.
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
Segni geometrici e astratti, tra cui punti, quadrati e altre configurazioni sono mescolati con raffigurazioni di animali in molte pitture rupestri. Gli animali dipinti nelle caverne sono pittogrammi: immagini elementari che richiamano l’attenzione sull’aspetto dell’oggetto reale, più o meno definiti da particolari del disegno stesso. In tutto il mondo, dall’Europa all'America alle isole della Nuova Zelanda, la popolazione preistorica ha lasciato numerose incisioni (dette anche petroglifi o graffiti), che sono segni o semplici figure scavate sulla roccia. Molte incisioni sono dei pittogrammi ed alcune possono essere definite ideogrammi o simboli per idee o concetti rappresentativi. I primi pittogrammi si sono evoluti in due modi: prima rappresentano l’inizio dell’arte pittorica, infatti gli oggetti e gli eventi del mondo venivano registrati con crescente fedeltà ed esattezza con il passare dei secoli; in secondo luogo, costituirono la base della scrittura. Le immagini, a prescindere dal fatto che la forma pittorica fosse conservata, alla fine divennero simboli della lingua parlata. L’artista paleolitico sviluppò una tendenza verso la semplificazione e la stilizzazione. Infatti, le cifre divennero sempre più abbreviate e furono espresse con un numero di linee. Verso la fine del Paleolitico, alcune incisioni e alcuni pittogrammi vennero ridotti al punto di assomigliare quasi alle lettere.2
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— Dipinti nelle grotte di Lascaux, Francia, 15000 a.C. circa. — Dipinti nelle grotte di Altamira, Spagna, 13000 a.C. circa.
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
— Pittogrammi nell'area di San Raphael Swell, Utah, 2000/1000 a.C. circa. — Raffigurazione di alcuni cacciatori, Namibia, 2000 a.C. circa.
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La scrittura cuneiforme —
Inventata nella bassa Mesopotamia dai Sumeri verso il 3500 a.C., la scrittura cuneiforme passò dapprima ai Semiti occidentali di Kiš e Ebla e poi agli Accadi e agli Assiro-Babilonesi e si diffuse all’Elam, all’Armenia, alla Cappadocia, all’Egitto; venne adottata, e a volte trasformata, per trascrivere la lingua di Ugariti, Ittiti, Hurriti, Urartei, Elamiti, Persiani e resistette ancora nei primi secoli d.C. alla diffusione della scrittura aramaica. Dati evidenti problemi di reperibilità di altri materiali, la scelta della tavola d’argilla come supporto per la trascrizione era la soluzione più economica e duratura. Una volta realizzati i tracciati voluti grazie all’uso di uno stilo di canna tagliato a becco, le tavole venivano fatte asciugare sotto il sole cocente o cotte in una fornace. Questo semplice processo ne ha permesso la loro conservazione per migliaia di anni fino ad al nostro tempo.3 Questo sistema di scrittura ha subìto un’evoluzione per diversi secoli. Essa era strutturata su una griglia con divisioni spaziali orizzontali e verticali e, a volte, capitava che lo scriba imbrattasse accidentalmente il testo mentre la sua mano si spostava nella tavola. Intorno al 2800 a.C. gli scribi modificarono il senso di scrittura da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso, seguendo uno schema di righe orizzontali. Tutto ciò ha reso la scrittura più semplice e ha reso i pittogrammi meno letterali di quello che erano. Mentre la forma grafica della scrittura sumera si stava evolvendo, la sua capacità di registrare informazioni si espandeva. Dal primo stadio, quando i simboli che rappresentavano oggetti animati e inanimati, i segni divennero ideogrammi e iniziarono a rappresentare idee astratte. Il simbolo del sole, per esempio, divenne rappresentativo di idee come un 'giorno' e una 'luce'. Quando i primi scribi crearono il loro linguaggio scritto per funzionare allo stesso modo del loro linguaggio parlato, nacque
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
— Lista reale sumerica, incisione su pietra.
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la necessità di visualizzare i suoni parlati che avevano una maggiore difficoltà di rappresentazione. Spesso gli avverbi, le preposizioni e i nomi personali non potevano essere semplificati come pittogrammi. I simboli delle immagini iniziarono a rappresentare i suoni degli oggetti raffigurati al posto degli oggetti stessi. La scrittura cuneiforme divenne un rebus, costituito da immagini e/o pittogrammi che raffiguravano parole e sillabe con lo stesso suono o simile a quello raffigurato. Per scrivere il Sumero si usavano circa 560 segni, alcuni con valore ideografico ed altri con valore fonetico. I giovani selezionati per diventare scribi iniziavano la scuola all’Eduba, ossia la scuola della scrittura su tavola, prima dei dieci anni di età e lavoravano dall’alba fino al tramonto tutti i giorni, con solo sei giorni liberi al mese. Le grandissime opportunità professionali all’interno del sacerdozio nella gestione della proprietà, nella contabilità, nella medicina e nel governo erano riservate solo a questi pochi eletti. L’esplosione di conoscenza resa possibile dalla scrittura era così notevole che fece sì che i mesopotamici organizzarono delle biblioteche che contenevano migliaia di tavole su religione, matematica, storia, legge, medicina e astronomia. Ci fu persino l’inizio di una nuova letteratura come poesia, miti, epopee e leggende che vennero trascritte su tavole d’argilla.4
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
3000 a.C.
2800 a.C.
2500 a.C.
1800 a.C.
600 a.C.
an (dio, cielo)
ki (terra)
lu (uomo)
munus (donna)
kur (montagna, terreno)
geme (schiava)
sag (testa)
ka (bocca)
ninda (pane)
— Evoluzione dei glifi sumeri.
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La scrittura geroglifica —
Uno dei primi documenti che in cui troviamo trascrizioni egiziane è sicuramente la tavola del re N’rmr (Narmer), sovrano egizio ritenuto unificatore del paese, che regnò verso il 3150 a.C. Siamo dinanzi a un’enorme medaglia commemorativa in cui troviamo convenzioni grafiche e schematizzazioni che attestano un simbolismo sociale già molto avanzato e che comporta delle didascalie scritte: dai due lati nella parte superiore della tavola, l’interno di un palazzo reale, due segni, un pesce e uno scalpello da scultore, che hanno entrambi il valore fonetico 'na', ovvero lo schema consonantico del sovrano che viene celebrato. Sembra quindi che gli Egiziani inventarono un sistema di scrittura che utilizzava il fonetismo. Questo includeva dei segni che permettevano di rappresentare le consonanti isolate in gruppi di due o di tre. Tuttavia, preferirono mettere il fonetismo al servizio di un simbolismo grafico, in particolare nei testi storici e religiosi, con i geroglifici. Come i caratteri cuneiformi, i geroglifici possono avere valore di ideogrammi o di fonogrammi. Un esempio che possiamo fare riguarda il dio Sole. L’ideogramma costituito dal disco solare creava dei fraintendimenti, dato che poteva avere anche il significato di giorno ed era dunque polifono. Per risolvere il problema, al disco si aggiunse un gruppo di due fonogrammi, cioè una bocca umana ( = r) e un avambraccio di profilo (= la consonante fricativa laringale ayin), ottenendo lo schema consonantico del nome da pronunciare, di cui si tralascia la terza consonante. Complicato che fosse, avendo 760 segni di cui 220 di uso comune nel Medio Impero, questo schema permetteva agli scribi di evitare qualche ambiguità. La scrittura geroglifica, in linea di massima, si legge da destra verso sinistra, sia nelle colonne verticali che nelle linee orizzontali.
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
— Tavoletta di Narmer, XXXI secolo a.C. circa.
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Le parole non sono separate, ma una linea o una colonna non si interrompe mai a mezza parola. I segni sono distribuiti in moduli e sotto moduli immaginari, ciascuno dei quali può contenere rispettivamente due segni alti o larghi, oppure quattro segni piccoli, o un segno alto o largo e due piccoli. Soffermandoci sulle figure così rappresentate possiamo notare che esse ci offrono un repertorio completo di tutto ciò che si trova nella valle del Nilo: dagli elementi del paesaggio, dagli uomini agli animali, dai prodotti della terra ai manufatti e, beninteso, gli Dei, in un insieme con innumerevoli concordanze e valori simbolici. Le regole di scrittura all’interno dei quadrati esigono certamente che i segni non rispettino tra loro i rapporti tra le proporzioni, quindi per esempio una giraffa avrà le stesse dimensioni di uno scarabeo. Questo per due motivi: si dà importanza al segno in quanto tale senza tenere conto delle dimensioni reali di ciò che è raffigurato; inoltre questo sistema permette a ciascun disegno di essere chiaro e immediatamente comprensibile. Queste regole, tuttavia, venivano applicate con una elasticità tale da poter sorprendere chi è abituato alla rigidità della scrittura fonetica. Lo scriba poteva apportare variazioni a un segno che doveva ripetere più volte al fine di personalizzarlo; poteva anche, per esempio, sottolineare che due personaggi si rivolgevano la parola indirizzando i segni corrispondenti a uno di loro verso quelli che designavano il suo interlocutore. Certamente, la scrittura geroglifica, era solenne. Gli Egiziani utilizzavano scritture più semplici, la ieratica, poi la demotica, in particolare per prendere appunti e note di testi utilitari su papiro. Le accortezze ortografiche citate prima, si sviluppano durante il Periodo Dinastico per moltiplicarsi poi in Epoca Tolemaica, quando un clero colto porta il repertorio dei 760 segni a migliaia.
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
Gli Egiziani credevano che le immagini con cui si poteva trascrivere un testo potessero mostrare delle verità superiori costituendo un metalinguaggio suscettibile, così da rivelarne l’ideologia interna. Questo perché per loro la parola e l’immagine erano legate all’essere che riproducevano o designavano.5 La cristianizzazione dell’Egitto, quasi completa nel IV secolo, segnò l’abbandono delle scritture egiziane che non vennero tramandate dal clero egiziano ai cristiani. Solo nei primi decenni dell’Ottocento si riprese lo studio della scrittura geroglifica e si poté ricominciare a leggerli.6
— Dettaglio del papiro di Ani, 1420 a.C. circa.
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La scrittura consonantica —
Le origini della scrittura consonantica sono tutt’ora avvolte nel mistero. Già nell’antichità classica venivano indicati più inventori: i Fenici, gli Egiziani, addirittura figure mitiche come Orfeo o Lino. Nell’era moderna spesso si ipotizza l’origine egiziana nella scrittura fenicia, vista la somiglianza di alcuni elementi fenici e alcuni egiziani. Ma ci sono anche altre ipotesi: per Arthur Evans (1851– 1941), archeologo inglese e scopritore di Cnosso e della civiltà minoico egea, l’origine era cretese; per Alan Gardiner (1879–1963) e Kurt Sethe (1869–1934), entrambi egittologi, l’origine era protosinaitica; Maurice Dunand (1898–1987), archeologo francese, invece considerava come capostipiti le forme rappresentate dalle iscrizioni pseudo geroglifiche di Biblo. Tutte queste ipotesi però sono insoddisfacenti; teorie più recenti tendono infatti a ricostruire, anche qui senza prove certe, una trafila egiziano-protosinaitico-protocananaico-fenicio; inoltre, la scoperta nel 2007 dell’ostracon di Izbet Sartah, piccolo sito dell’età del ferro nella foresta israeliana di Rosh HaAyin, mostra che la protocananaica era ancora in uso nel XII e XI secolo accanto alla fenicia, e dunque non ne costituisce uno stato precedente. Il problema è quindi che allo stato attuale un’ipotesi ne vale un’altra. Nel II millennio accanto al cuneiforme babilonese erano impiegate nel paese di Canaan altre due varietà che, molto probabilmente, erano influenzate dal sistema egiziano nella forma dei segni, ma tutt’ora indecifrate malgrado i tantissimi tentativi: – la pseudo geroglifica, composta da 114 elementi, nata a Biblo e mai diffusasi altrove, scoperta nel 1929; – la protosinaitica, composta da circa 35 elementi, nata in Palestina e usata anche nelle miniere del Sinai, che è stata sin dall’inizio interpretata come una scrittura consonantica.
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
' aleph
L lamedh
B beth
M mem
G gimel
N nun
D daleth
S samekh
H he
' ayin
W waw
P pe
Z zayin
C sade
h heth
Q qoph
T teth
R res
Y yodh
Š sin
K kaph
T taw
— Alfabeto fenicio composto da 22 glifi.
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Una tipologia più tarda ma che si ricollega in qualche modo alla protosinaitica è la protocananaica, attestata da pochissime iscrizioni e dall’alfabetario di Izbet Sartah, un ostracon con ben 34 segni diversi, databile tra il 1200 il 1000 a.C. La più antica delle scrittura consonantiche è sicuramente quella attestata nel XIV secolo a Ugarit, odierna Ras Shamra, in Siria, di tipo cuneiforme e di remota origine mesopotamica; questa scrittura sfrutta solo l’elemento grafico del cuneo, senza i complicati segni mesopotamici. Il sistema, semplificato nel numero totale dei segni, iniziò a diffondersi dal XIII secolo nel paese fenicio; successivamente, all’inizio dell’età del ferro venne completamente abbandonato. Nel 1949 venne ritrovato il primo di una serie di alfabetari ugaritici che attestano l’ordine delle lettere. Considerato che l’ordine era identico a quello fenicio (ma con otto segni in più e con il segno del samek in fondo), si pone il problema dei rapporti tra i due sistemi. Cronologicamente, l’ugaritico è più antico; come caratteristiche l’uno potrebbe essere l’altro, ma c’è poca distanza di tempo per accertare una filiazione. Ambedue i sistemi potrebbero essersi ispirati al fenicio, modificandone i segni nella direzione della scrittura cuneiforme, già comunemente usata a Ugarit per l’accadico. A Biblo, nel XIV secolo (età del Tardo Bronzo), prende forma la scrittura fenicia. La datazione esatta è incerta, in quanto è legata a quella del sarcofago di Ahiram (X secolo a.C.), imperatore di Biblo, che ne costituisce il termine ante quem, e questa sembrerebbe da collocare al XIII secolo. La scrittura fenicia è alla base di un gran numero di varietà: l’ebraica, l’aramaica, l’ammonitica, la greca. La fortuna della scrittura greca (da cui derivarono l’etrusca, la latina e più tardi la cirillica)
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
fu straordinaria; ma in generale anche la diffusione della scrittura aramaica segnò notevolmente la storia della scrittura. Dalla aramaica alla corsiva delle cancellerie dell’impero achemenide si svilupparono a partire dal III secolo, la giudaica o ebraica quadrata, la nabatea dal II secolo, la palmirena dal I secolo, la nord-siriaca, la nord mesopotamica, la sud mesopotamica, la medioiraniche. La scrittura consonantica sud-semitica, pur essendo fortemente paragonabile alla scritture nord-semitiche non ne deriva in modo diretto: sono diversi i simboli grafici e in qualche particolare è diverso l’ordine. L’area di origine di questo sistema sembra da cercare nella Mesopotamia, anche se si può pensare ad un’influenza dalla tradizione fenicia. Una prova di influenza mesopotamica si può vedere, in modo negativo, nel fatto che la scrittura proto-araba cessa di essere unitaria e si scinde in dedanita, thamudena e sud-arabica a cavallo tra il VI e il V secolo, appunto alla fine dell’impero neobabilonese.7
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— Nascita ed evoluzione della scrittura —
NOTE 1. T. Astle, The origin and progress of writing, Londra, 1784, p. 1. 2. Cfr. P.B. Meggs, P.A.W. Purvis, Meggs' History of Graphic Design, John Wiley & Sons Inc,
Hoboken, 2012, pp. 6-8.
3. Cfr. G.R. Cardona, Antropologia della scrittura, Loescher, Torino, 2003, p. 70. 4. Cfr. P.B. Meggs, P.A.W. Purvis, Meggs' History of Graphic Design, John Wiley & Sons Inc,
Hoboken, 2012, pp. 9-11.
5. Cfr. H.J. Martin, Storia e potere della scrittura, Laterza, Bari, 2009, pp. 19-21. 6. Cfr. G.R. Cardona, Antropologia della scrittura, Loescher, Torino, 2003, pp. 74-75. 7. Ivi, pp. 75-79.
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— Parte II La rivoluzione della stampa —
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— Nell’antichità classica la riproduzione di testi e illustrazioni era affidata agli amanuensi, ovvero quelle figure che avevano il compito di ricopiare interi manoscritti per conto di privati o per il pubblico. Seppur questo era l’unico metodo per la diffusione della conoscenza, il processo di lavoro era lento e laborioso, tant'è vero che il valore di un libro era molto alto. Con la comparsa della carta in Europa dall’oriente per mano degli Arabi e con l’avvento della tecnica per la riproduzione in serie di testi mediante caratteri mobili, l’intero ciclo di produzione e di diffusione del sapere venne completamente stravolto. —
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L'apparizione della carta in Europa —
Già nel Duecento, la nascita delle Università portò all’esigenza di avere a disposizione un numero maggiore di manoscritti, ma purtroppo la prima fase letteraria spingeva soltanto a piccoli perfezionamenti marginali come l’adozione di abbreviazioni e l’organizzazione del sistema della pecia, che velocizzava il lavoro dei copisti i quali potevano così tenere impegnato soltanto un fascicolo per volta dei preziosi volumi da riprodurre.1 Fu nel XII secolo che grazie agli Arabi, appresi i metodi di realizzazione dalla Cina, apparve la carta in Europa nei territori da loro occupati (Sicilia e Spagna). Gli arabi ne migliorarono la tecnica di fabbricazione usando altre materie prime come cotone (sconosciuto ai cinesi) e stracci di lino in sostituzione alle fibre di gelso.2 In un primo momento, si utilizzò la carta come sostituta valida della più comune pergamena, in alcuni casi venne usata per documenti che non erano destinati a durare (es: epistole e brutte copie), o anche per preparare la minuta di un testo che successivamente veniva ricopiato. Spesso la nuova materia veniva impiegata nelle cancellerie, ma la preoccupazione di veder disfarsi quella sostanza ancora poco conosciuta e dall’aspetto fragile portò i sovrani a proibirne l’uso per la redazione di documenti, come per esempio fecero l’imperatore Ruggero II di Sicilia (1095–1154) nel 1145 e l’imperatore Federico II di Svevia (1194–1250) nel 1231. Malgrado le proibizioni, la carta prende terreno. In Italia sorgono i primi centri di produzione; agli inizi del Trecento troviamo numerosi cartai che si radunano attorno a Fabriano, dove vennero messe a punto due grandi innovazioni che imposero la carta fabrianese come modello di eccellenza per molto tempo. La prima innovazione era di ordine tecnico: i cartai di Fabriano ispirandosi agli Arabi, che utilizzavano i molini per sminuzzare
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— La rivoluzione della stampa —
— Diffusione della carta dall'Oriente all'Occidente. — Lavorazione della carta in una cartiera a Fabriano.
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e triturare gli stracci, evolvono questo procedimento con l’utilizzo di una pila di magli che migliorava la resa diminuendo di conseguenza il prezzo della fabbricazione, ottenendo una carta di qualità superiore; il secondo punto a favore era dato dalla diffusione della coltivazione della canapa e del lino sul finire del Medioevo e la sostituzione dell’utilizzo del cotone alla lana per la biancheria personale, che resero più abbondanti gli stracci proprio quando la carta aveva una richiesta maggiore. Dalla seconda metà del XIV secolo i cartai a Fabriano iniziarono ad essere numerosi, questo portò molti a scegliere di trasferirsi in altre città e ad aprire nuovi centri per la produzione della carta; vanno a stabilirsi a Voltri, a Padova, a Treviso, e a Genova. Successivamente nascono altri due grossi centri, uno in Liguria nei pressi di Genova e l’altro nella Repubblica di Venezia intorno al lago di Garda. Nel frattempo mercanti italiani, soprattutto lombardi, si prendono carico di diffondere la nuova merce non solo in Italia ma in tutta Europa. A partire da questo momento, la carta inizia un po’ dappertutto a sostituire la pergamena. Infatti troviamo testimonianze dell’utilizzo di essa in Francia, Svizzera, Paesi Bassi e Germania del Nord. Da questa enorme diffusione possiamo capire che l’enorme esigenza della carta porta all'inevitabile fabbricazione fuori dall’Italia. Difatti molti mercanti italiani si stabilirono all’estero senza esitare per fronteggiare la richiesta della diffusione della conoscenza del proprio mestiere. Nel XIV secolo appaiono le prime cartiere vicino Troyes, a Corbeil, Essonne e Saint-Cloud. Grazie a questi nuovi centri, la Francia verso la seconda metà del XV secolo soddisfa la richiesta di carta dell’intero Paese, e i mercanti di Châlons-en-Champagne a loro volta a diventano esportatori per le cartiere francesi.3
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— La rivoluzione della stampa —
— Carta Fabriano marchiata nella filigrana.
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La stampa pretipografica —
Le origini della stampa pretipografica sono avvolte nel mistero. Dopo che le Crociate aprirono l’Europa all’influenza orientale, la stampa a rilievo (Xilografia) arrivò sulla carta che era a quei tempi stata usata solo per la stampa su tessuti. Le carte da gioco e le stampe di immagini religiose furono le prime manifestazioni della nuova tecnica. Nonostante il clero Zelante avesse denunciato e dichiarato fuorilegge il gioco di carte, esso era diventato molto popolare. In tutta Europa la classe lavoratrice si riuniva nelle taverne e ai margini della strada per poter giocare con carte stampate. Il gioco di carte fu il primo mezzo a muoversi in una cultura analfabeta, e fu testimone dell’abilità democratizzante della stampa: i giochi dei re potevano ora diventare i giochi dei contadini e degli artigiani. Le prime stampe europee con la funzione di divulgazione culturale erano stampe devozionali di santi, e variavano il loro formato dai 10 cm di altezza (per essere tenute in una mano sola) fino ad arrivare a formati più grandi come 25 o 35 cm di altezza. I testi e le immagini erano incisi a rilievo su un unico blocco di legno. Molte stampe erano colorate a mano e, a causa del loro stile lineare di base, erano probabilmente destinate ad essere alternative meno costose rispetto ai dipinti. Queste prime stampe singole si sono evolute in interi libri illustrati con temi religiosi. Ideati con uno stile illustrativo, con gli elementi visivi predominanti come nei fumetti contemporanei, i libri servivano ad istruire la popolazione analfabeta. Questa forma ovviamente diminuì man mano che l’alfabetizzazione aumentava. Uno degli esempi più famosi che possiamo citare è la Biblia Pauperum (espressione latina che significa Bibbia dei poveri) che era un compendio di eventi della vita di Gesù Cristo, inclusa una raffigurazione della crocifissione.
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— La rivoluzione della stampa —
La maggior parte dei libri tabellari (così venivano definiti i libri stampati con la tecnica della Xilografia), erano composti dalle 30 alle 50 pagine. Alcune stampe erano colorate a mano mentre altre volte venivano usati degli stencil che venivano applicati per colorare delle aree piatte. Inoltre per alcune stampe del XV secolo, venivano utilizzati materiali come la gomma cosparsa di orpelli (minuscoli frammenti scintillanti di metallo), di incrostazioni (minuscoli cristalli di quarzo colorati) o di floccatura (lana in polvere). Questi materiali furono usati principalmente per conferire luminosità e una vibrante qualità tattile all’immagine.4
— Carta da gioco quattrocentesca, xilografia.
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La origini della stampa tipografica —
L’invenzione della stampa (non ebbe luogo, come spesso rivendicato, in Germania intorno il 1450), ma in Cina intorno al 1040 d.C. grazie ad un ingegnere che si chiamava Bì Sheng (990–1051). I testi più antichi sopravvissuti al tempo sono opere stampate in Asia che risalgono al XII secolo, ma il procedimento di composizione a mano per la stampa è chiaramente documentato già nell’XI secolo nelle cronache di Shen Kuò (1031–1095), Mèngxi Bitain. La nuova tecnica di stampa raggiunse la Corea nel XIII secolo e da lì l’Europa prima della metà del XV secolo. Purtroppo a causa del numero eccessivo di caratteri richiesti dalla scrittura cinese, la composizione tipografica ebbe la sua grande fioritura in Europa, che aveva la fortuna di possedere un numero assai ridotto di caratteri. Le correzioni venivano fatte togliendo via la parte di matrice che conteneva l’errore ed inserendo al suo posto il nuovo tassello di legno. Si tratta della stessa tecnica usata per le illustrazioni xilografiche che abbiamo discusso precedentemente.5 Ad ogni modo, tra il 1445 e il 1450 le ricerche stanno per avere un’enorme successo che cambierà il modo di stampare grazie all’invenzione che, messa a punto in modo definitivo, verrà applicata sul piano industriale e si diffonderà in Europa. Magonza in Germania, fu senza ombra di dubbio la città in cui questa prima industria si sviluppò grazie a tre nomi: Johann Gensfleisch Gutenberg (1394–1468), l’uomo del processo di Strasburgo, Johannes Fust (1400–1466), ricco borghese, e Peter Schöffer (1425–1503), ex studente dell’Università di Parigi che prima di diventare un esperto stampatore fu calligrafo e copista.6 Gutenberg, terzo figlio del ricco nobile Friele Gensfleisch (1368-1419), era un apprendista orafo che sviluppò le sue abilità nella lavorazione dei metalli e nell’incisione, tecniche necessarie per la creazione dei caratteri. Nel Settembre del 1428 fu esiliato
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— Johann Gensfleisch Gutenberg, incisione.
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da Magonza per il suo ruolo di leader nella lotta di potere tra i nobili terrieri e i borghesi delle corporazioni commerciali. Trasferitosi a Strasburgo divenne un bravissimo incisore di gemme e migliorò la sua maestri nella lavorazione dei metalli. All’inizio del 1438 fece un accordo contrattuale con i cittadini di Strasburgo Andreas Dritzehn, che aveva ricevuto lezioni sulla pulitura delle gemme preziose da Gutenberg stesso, e Andreas Heilmann, proprietario di una cartiera. L’accordo prevedeva l’insegnamento dei vari processi per produrre degli specchi da vendere in una fiera d’Aix-la-Chapelle l’anno seguente. Ai tempi gli specchi erano difficili da riprodurre per via dell’uso di piombo fuso versato sopra il vetro che conferiva una superficie riflettente nel momento in cui si raffreddava; la difficoltà era impedire che il vetro si spezzasse a causa del calore. Quando la fiera fu posticipata al 1440, Gutenberg fece un nuovo contratto quinquennale per insegnare a Dritzhen e Heilmann un altro processo segreto, una ‘nuova arte’ per la quale serviva un torchio, dei 'pezzi' che vengono intagliati o fusi, di forme di piombo. Quindi possiamo dedurre che quando Gutenberg allungò il contratto fosse molto avanti con le sue ricerche. Nel Dicembre del 1438 Dritzhen morì, ed i suoi fratelli Georg e Klaus portarono a processo Gutenberg per aver rifiutato la proposta di successione nell’accordo del fratello Andreas o di un rimborso economico in quanto eredi. Il 12 Dicembre 1439, la corte di Strasburgo diede ragione a Gutenberg ma lo obbligò a pagare 100 fiorini agli eredi in quanto era previsto dal contratto in causa di morte di Andreas.7 Nel 1448 ritorna a Magonza dove aveva ottenuto da un parente un prestito di 150 fiorini, cifra che si rilevò insufficiente e che lo portò due anni più tardi alla ricerca di un nuovo sup-
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porto finanziario. Questa volta ricevette 800 fiorini da Johannes Fust; prestito garantito dall’ipoteca su tutte le sue proprietà, compresa l’attrezzatura. Dopo un ulteriore prestito, l’ipoteca fu preclusa dal diritto di riscatto. Nel 1455 i vari prestiti e interessi raggiunsero un debito di circa 2000 fiorini, una somma che Gutenberg non poteva pagare e che portò la confisca dei suoi libri e di tutti i suoi utensili che andarono a Fust per sanare il debito. Scherzo del destino fu che, il suo capolavoro, ovvero la Bibbia a 42 linee, apparve da lì a poco.8
— B42 Stephan Füssel in The Gutenberg Bible, Taschen, 2018.
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La tecnica di Gutenberg —
La chiave dell’invenzione di Gutenberg erano i caratteri mobili, usati per stampare lettere singole. Ogni carattere doveva essere parallelo in ogni direzione ed esattamente della stessa misura in altezza. Il processo di Gutenberg prevedeva due passaggi di stampa e consentiva di ottenere volumi di testo con tolleranze minime. Il carattere richiedeva un metallo morbido così da poter essere fuso ma abbastanza resistente per poter resistere a migliaia di impressioni, quindi resistente nel suo stato solido dopo il raffreddamento. Data la sua esperienza nella lavorazione dei metalli, Gutenberg sapeva benissimo che l’antimonio bianco argentato si espande in fase di raffreddamento, al contrario di altri metalli che si contraggono. Sviluppò una lega unica con l’80% di piombo, il 5% di stagno ed il 15% di antimonio per mantenere una massa costante durante la fase di produzione. Dopo la creazione, ogni singolo carattere veniva custodito in appositi scompartimenti di una cassettiera dove venivano prelevati lettera per lettera all’occorrenza, per poi essere di nuovo ricollocati alla fine della stampa. La stampa con la tecnica xilografica utilizzava un inchiostro sottile e acquoso, ottimo per la stampa con i blocchi di legno ma non funzionale per i caratteri ideati da Gutenberg. Per questo motivo dovette ideare un inchiostro apposito con l’unione di carbone nero sminuzzato e olio bollito, che produceva una miscela densa e viscosa che poteva essere utilizzata senza problemi. Era necessaria una pressa robusta in grado di esercitare una pressione sufficiente sull’inchiostro, depositato sui caratteri tramite un tampone, per poter essere impresso bene sulla carta. Svariati prototipi di presse esistevano per produrre vino, formaggio e carta da imballaggio, e Gutenberg ispirato da questi creò una pressa, basata su una grande vite, che sollevava o abbassava
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il piano di stampa. Questa macchina permise una precisione e una velocità straordinaria rispetto allo sfregamento fatto a mano utilizzato in Asia orientale seguendo la tecnica ideata da Bì Sheng. Successivamente vennero apportate delle ulteriori modifiche per poter proteggere i margini e le aree non stampate della carta modificando la vite per ridurre l’energia necessaria alla stampa.9
— Stampatore alle prese con un torchio tipografico.
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Fust e Schöffer —
Nel 1455 Johannes Fust dopo aver citato in giudizio Gutenberg ottenne i suoi libri e i suoi utensili. Inoltre, prese possesso di tutti i lavori in corso, tra cui la famosa Bibbia a 42 linee che sarebbe stata pronta da lì a poco tempo. Fust, stipulò immediatamente un accordo per diventare socio con l’abile assistente di Gutenberg, Peter Schöffer, grande commerciante di manoscritti, calligrafo e copista che ha probabilmente avuto un ruolo importante nello sviluppo e nella progettazione della Bibbia a 42 linee. Con Fust come manager e Schöffer incaricato della stampa, l’azienda divenne la più importante al mondo nella stampa, creando una dinastia di centinaia di stampatori, editori e librai. Successivamente Schöffer sposò la figlia di Fust, Christina, intorno il 1467. La prima impresa della nuova partnership fu il completamento della Bibbia a 42 Linee. Composta da 1286 pagine divise in due volumi, circa 2500 caratteri per pagina ed uno studio rigoroso sul layout attraverso l’uso di proporzioni auree, la Bibbia a 42 linee progettata da Gutenberg è uno dei capolavori della modernità rinascimentale che ha segnato profondamente la storia dell'umanità, creando un meccanismo editoriale ancora attivo ai giorni nostri. Le vendite della Bibbia a 42 linee andavano molto bene e Fust viaggiava molto per distribuirle. La Bibbia non presentava nessun titolo, nessun numero di pagina, né altre innovazioni per poterla distinguere dai manoscritti fatti a mano. In un racconto popolare si dice che Fust, andando a Parigi aveva con sé così tante copie della Bibbia che i francesi osservandola e vedendo l’alto numero pensarono che fosse coinvolta la stregoneria. Pertanto, per evitare accuse e condanne, fu costretto a rilevare il suo segreto. Il 14 Agosto 1457, Fust e Schöffer pubblicarono un magnifico Salterio in latino formato 30,5x43,2 cm.
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Le pagine presentavano grandi iniziali rosse e blu che venivano stampate da blocchi di metallo divisi in due, inchiostrati separatamente, rimontati e stampati insieme il testo in un’unica pressione con il torchio. Queste iniziali decorate a due colori rappresentavano una grande innovazione; la loro eleganza tipografica competeva con le più belle pagine fatte a mano. Il Salterio in latino inoltre fu il primo libro a riportare il marchio, la data di pubblicazione ed il colophon. Altre importanti opere prodotte da Fust e Schöffer furono una Bibbia latina (1462) e un’edizione di De officiis (1465) di Cicerone, che fu la prima stampa di un classico dell’antichità. La stampa tipografica stimolò molto l’interesse per la cultura greca e romana. L’epoca medievale iniziò la diffusione della conoscenza attraverso la parola stampata che era diventata un catalizzatore del mondo moderno. Durante un viaggio a Parigi nel 1466 per vendere dei libri, Johannes Fust morì, con molta probabilità di peste. Schöffer, e il suo nuovo socio, Conrad Henkis, che sposò la vedova di Fust, continuarono l’attività tipografica di grande successo producendo giornali, libri ed opuscoli. Mentre Fust e Schöffer vendevano Bibbie a Parigi e stampavano il Salterio, Gutenberg andò in bancarotta nel 1458 a causa di un prestito del 1442. Sebbene avesse superato i sessant’anni di vita, perfezionò le sue tecniche e continuò le proprie ricerche.10
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La stampa a Subiaco e a Venezia —
Intorno il 1456 scesero in Italia due signori tedeschi, Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz. Appresa l’arte della tipografia, si insediarono nel monastero benedettino di Santa Scolastica a Subiaco, dove realizzarono la prima tipografia italiana e dove crearono una piccola scuola di tipografia per i monaci che si trovavano in convento. A Subiaco fu stampato il primo libro italiano, un Donatus pro puerulis, che trattava la grammatica latina per giovani; furono inoltre pubblicati con la tiratura di 275 copie, un volume di opere di Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio, finito di stampare il 29 Ottobre del 1465, il De Oratore di Cicerone, il De Civitate Dei di Sant’Agostino. Che la prima tipografia italiana fosse stata creata all’interno di un monastero non deve sembrare molto inusuale, dato che i monasteri benedettini e cistercensi erano le principali fucine di miniaturisti e copisti, che poi diventarono celebri biblioteche con preziose raccolte e volumi. I monasteri benedettini, disseminati tra Italia e Francia, avevano delle regole ben precise basate su un’organizzazione in totale autosufficienza. Il monastero era una cittadella autonoma, in cui si produceva tutto l’occorrente per la vita della comunità. Infatti non c’era nessuna dipendenza dal mondo esterno e gli abitanti avevano tanta dedizione al lavoro, manuale e intellettuale. Le biblioteche, già ricche di preziose raccolte e volumi, tutti ordinati e catalogati, diventarono presto altrettanto ricche dei primi incunaboli, ovvero quei volumi realizzati dalle origini della tipografia fino al XV secolo. La ragione fondamentale che con buona probabilità determinò Sweynheym e Pannartz a scegliere Subiaco per l’apertura della tipografia, sta forse nel fatto che il monastero contava in quegli anni una predominanza di monaci tedeschi e fiamminghi.
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I due monaci tedeschi tentarono successivamente di avventurarsi in una nuova impresa trasferendosi a Roma dove aprirono una nuova officina tipografica. Purtroppo le opere realizzate si dimostrarono invendibili e l’impresa dovette chiudere: erano ancora tipografi e non editori.11 Il primo vero editore lo troviamo poco dopo a Venezia: Aldo Manuzio (1449–1515), nacque a Bassiano e studiò tra Roma e a Ferrara. Grazie a questi studi, che comprendevano il greco, concepì l’uso della stampa per un recupero della saggezza classica. Nel 1494 fondò a Venezia la Stamperia Aldina e nel 1502 adottò il suo celebre marchio di stampa: il delfino e l’ancora, antico simbolo romano che nel detto popolare significa 'festina lente' (in fretta adagio), per identificare le proprie opere. Manuzio invitò negli anni tanti studiosi di greco a dimorare in casa sua, dove la preparazione dei manoscritti, la redazione delle nuove opere e la rilettura delle bozze si alternavano senza sosta. Inoltre, assunse al suo servizio Francesco Griffo (1450–1518), grande maestro punzonista di Bologna, per incidere i suoi caratteri romani e greci, e per incidere il primo corsivo (chiamato Corsivo Aldino) della storia della tipografia. Il primo tipo realizzato fu usato nel De Aetna di Pietro Bembo (1470–1547), pubblicato da Manuzio nel 1495, mentre il corsivo venne utilizzato nel 1501 per stampare i poemi di Virgilio (70 a.C.–19 a.C.).12
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L'introduzione del corsivo —
Il corsivo è quella corrente, che si contrappose a quella calligrafica. In tipografia si distingue per l’occhio del carattere inclinato verso destra. Ne esistono diversi tipi (corsivo cancelleresco, bastardo, inglese, americano, etc.), tutti derivati dal Corsivo Aldino (o italic), introdotto nel 1501. Generalmente ci si serve del corsivo per fare presente al lettore che un termine o una frase si staccano in qualche modo dal testo, in modo da dare enfasi e importanza. Per questo motivo viene impiegato per i titoli, ma soprattutto per le parole straniere o per le parti di un discorso che si vuole evidenziare. Quindi, da un punto di vista prettamente tecnico potremmo dire che si tratta di una funzione esplicativa che si traduce in forza comunicativa. Tuttavia, non è possibile stabilire una regola universale per l’impiego del corsivo e si deve tenere in conto ogni singolo progetto in cui esso è necessario.13
— Francesco Griffo, parte dello specimen del Corsivo Aldino, 1501. — Aldo Manuzio, marca editoriale, 1499.
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— Plinio Caio, Epistularum libri, Aldo Manuzio, Venezia, 1508.
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Martin Lutero e la Chiesa di Roma —
Tra i primi a cogliere e a sfruttare la potenza della stampa troviamo Martin Lutero (1483–1546), teologo tedesco, famoso anche per essere l’iniziatore della riforma protestante. Comprendendo l’importanza dell’invenzione di Gutenberg, Lutero aprii una tipografia a Wittenberg con il preciso scopo di impiegare questa nuova arma per la sua battaglia religiosa con l’aiuto del tipografo Johann Rhau-Grunenberg (?–1522) che si trovava già a Wittenberg dal 1508. Tra il 1517 e il 1521 stampa oltre 800 edizioni di un centinaio di sue opere, sia in latino che in lingua volgare; si calcola che abbia distribuito oltre 300.000 copie in mezza Europa. Pubblicate prima a Lipsia, poi a Norimberga e dopo a Basilea, già alla fine del 1517, poi tradotte e pubblicate in lingua tedesca, le sue famose 95 tesi si diffondono in tutta la Germania. Il luteranesimo fu davvero una rivoluzione che difficilmente si sarebbe potuta compiere senza la stampa come mezzo di comunicazione. Per la prima volta nella storia, un pubblico di lettori poteva acquistare, discutere e di conseguenza giudicare le validità delle idee rivoluzionare di Lutero, con un immediato approccio, diretto e uguale per tutti.14 La reazione cattolica non si fece attendere. Da un lato con la stampa e la divulgazione di opere che avevano l’obiettivo di diffondere la tesi della Controriforma, dall’altro preparando elenchi di libri proibiti, che i tipografi – ritenuti responsabili di ciò che stampavano – non potevano pubblicare, rischiando sanzioni della Santa Sede e dell’Inquisizione, non ottenendo invece l’imprimatur (letteralmente, «si stampi») dal vescovo della diocesi.15
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— Ferdinand Pauwels, Senza titolo, Martin Lutero illustra le sue 95 tesi appena affisse, 1872. — Dettaglio di un imprimatur risalente al 1928.
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La svolta: Linotype e Monotype —
Il modo con cui si procede alla creazione dei caratteri e la cura della stampa diventa sempre più raffinato, ma la tecnologia rimane per secoli essenzialmente la stessa: produzione di caratteri mobili con piombo fuso e stampa tramite l’uso di un torchio tipografico. Inoltre, pur essendoci stati molti progressi, la riproduzione delle immagini continuava a basarsi sulla tecnica dell’acquaforte inventata, sembra, da Albrecht Dürer (1471–1528). Si trattava di eseguire un disegno a rovescio con una punta d’acciaio su uno strato di vernice resinosa cosparsa su una lastra di rame (o di zinco), poi trattata con una miscela di acido nitrico, acido solforico e acido cloridrico diluiti in acqua, che passando nei tracciati del disegno incideva la lastra più profondamente: il risultato era una immagine rovesciata sulla lastra che ridiventata dritta per la stampa. Insomma, ci furono utilissimi progressi, ma la tecnologia rimaneva sostanzialmente quella di Gutenberg. Tuttavia, l’utilizzo di caratteri mobili inizierà pian piano a mostrare alcuni svantaggi. Se per esempio non si hanno più a disposizione la r e la e, o si fondono altri caratteri in maniera frettolosa, o si stampa il materiale già pronto e si rifondono le pagine di piombo già composte e stampate. Infatti, quando una tipografia presentava parecchie commissioni in preparazione, il problema diventava davvero pesante e rischiava di bloccare il processo di lavoro in modo frequente. Di certo, sembrò un grande passo in avanti la creazione e l’uso del torchio quasi interamente metallico ideato da Lord Charles Stanhope (1753–1816) a Londra nel 1795, e ancora sembrò più grande l’incredibile torchio meccanico creato da Friedrich Gottlob Koenig (1774–1833) commissionato dal direttore del «Times» John Walter (1776–1847). Torchio che vantava di poter stampare fino a 1.100 fogli all’ora!
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— La rivoluzione della stampa —
Tra il 1884 e il 1886, un americano di origine tedesca, Ottmar Mergenthaler (1854–1899), inventa a New York la prima compositrice a caldo, la Linotype. Si tratta di una macchina dotata di una tastiera larga, dove sono presenti tutti i caratteri, i segni diacritici, i numeri, i segni di interpunzione etc. Per ogni tasto battuto, da un magazzino che ha la forma di un largo e piatto imbuto, scende una lamella di rame con il carattere in negativo inciso sul bordo inferiore che va a depositarsi su un contenitore posto di fronte al linotipista. Quando la riga di lamelle è completa, un tasto fa precipitare altre lamelle a forma di cuneo che sovrapponendosi con quelle dei caratteri giustificano la riga. A questo punto, la riga giustificata viene afferrata da una morsa che la trasporta in un alloggio chiuso, posto a lato della linotype, dove da un recipiente che contiene la lega di piombo fuso scende una piccola colata che si coagula e raffredda rapidamente, in una riga di piombo con i caratteri in rilievo. Terminata tale operazione, la morsa riprende la riga di lamelle e le riporta in cima al magazzino, dove ognuno ritrova il proprio posto pronta a essere riutilizzata subito. Il tempo di composizione di una riga si riduce ad un minuto o poco più, e quindi comporre in piombo un’intera pagina di testo è questione di poco tempo. Certamente, un errore anche minimo, che sia un refuso o anche semplicemente un doppio spazio, comporta la ricomposizione dell’intera riga. Ma sono piccolezze rispetto al risparmio complessivo dei tempi di composizione. Sempre negli Stati Uniti, Tolbert Lanston (1844–1913), inventa nel 1887 un’altra macchina compositrice che verrà però distribuita solo nel 1892, la Monotype. Si tratta di una macchina divisa in due: la compositrice e la fonditrice. La compositrice, ha una tastiera molto grande, con 276 tasti, che corrispondono ad altret-
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tanti caratteri, segni diacritici, numeri, segni di interpunzione che compongono un set di completo di carattere. Premendo ognuno dei tasti, la macchina perfora in un punto esatto un grosso rullo di carta che scorre davanti l’operatore. Una volta completata la perforazione, e quindi la composizione del testo, il rullo viene condotto nella fonditrice, che 'legge' le perforazioni del nastro mediante un getto di aria compressa. Ad ogni 'lettura' di ogni singolo forellino, la macchina sposta e posiziona una piastrina che incide, in negativo, tutti i caratteri e i segni corrispondenti a quelli della tastiera. Dopodiché, un getto di piombo fuso viene spinto con forza da un pistoncino contro il carattere in negativo della piastrina, che si coagula rapidamente raffreddandosi, formando in pochi minuti un parallelepipedo di piombo con il carattere in rilievo su una delle estremità, cioè un carattere mobile. Le velocità è impressionante: con la monotype si riesce ad arrivare fino a 9.000 caratteri l’ora. Le correzioni, se non di grave entità, vanno fatte al banco, con i caratteri mobili che vengono estratti e sostituiti con delle pinzette. In caso invece di grossi interventi, bisogna ribattere l’intero testo, scalandolo successivamente tutti i caratteri fino a trovare il pareggio in qualche spazio bianco. La monotype seppur formidabile, verrà destinata alle tipologie più sofisticate di testi, laddove si impone un’altissima accuratezza di composizione e l’eliminazione totale di refusi, mentre raro è l’intervento di riscrittura, di aggiunte, ripensamenti del testo.16
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— Ottmar Mergenthaler, Compositrice Linotype, 1884.
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L'avvento dell'Offset —
Dopo pochi anni dell’avvento della Linotype e della Monotype, nel 1904, abbiamo una nuova scoperta, che non riguarda la composizione ma la stampa. Sembra che il merito sia di un operaio americano di origine russa, Ira Washington Rubel (1860–1908) che si era stabilito nel New Jersey. Fino ad allora, la stampa era determinata dal contatto diretto fra il piombo, opportunamente ricoperto d’inchiostro ed il foglio di carta. La macchina a stampa Offset invece, utilizza un intermediario rullo di caucciù sul quale è stato inciso, utilizzando una 'matrice', il foglio da stampare. L’uso del caucciù ha due vantaggi principali: la possibilità di ridurre i tempi di stampa, perché i fogli passano l’uno dopo l’altro fra il caucciù e un rullo di pressione; la possibilità di trattare testo ed immagini nello stesso momento, evitando lunghe e laboriose procedure di preparazione dei cliché di metallo da impaginare sul piano di stampa insieme alle righe di testo. Il problema era quello di trasferire testo ed immagini in una matrice che, inchiostrata, trasferisse a sua volta il tutto su un rullo di caucciù. Si trovò la soluzione stampando delle veline di carta trasparente, che disposte su una lastra di rame o di zinco ricoperta di gelatina fotosensibile, permettono di ricavare la matrice tramite l’esposizione ad una sorgente luminosa. Ovviamente, il metodo per le immagini è analogo; una macchina fotografica, tramite alcuni filtri, isola e riproduce i vari colori presenti nell’immagine. Dopo che anche le immagini, come il testo, vengono impresse nelle veline, queste si assemblano disponendole su un grande supporto trasparente chiamato astralon – che ha una serie di crocette o di registri per consentire l’allineamento – con del nastro adesivo. Infine, la segnatura assemblata sull’astralon
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si adagia sulla lastra emulsionata, si espone il tutto alla luce, si fissa la lastra impressionata e si va in macchina. Nel secondo dopoguerra, per le immagini a colori, si presenta un nuovo intermediario, il fotolito: una pellicola già positiva dove lo scanner analogico riproduce tutti i punti di qualsiasi colore presente nell’immagine originale. Normalmente bastano i quattro colori fondamentali della quadricromia (Ciano, Magenta, Giallo e Nero), ma con uno scanner professionale si possono ottenere pentacromie, esacromie etc. Dalla pellicola di ogni singolo colore, chiamata selezione, si ricava prima una prova fotografica (cromalin), dell’insieme delle pellicole, e cioè l’immagine policroma. All’inizio, la macchina offset disponeva di un solo gruppo di stampa (castello). Dopo anni furono create delle macchine offset con più castelli, uno per colore, con due castelli successivi utilizzati per una sola facciata, oppure utilizzati uno per la bianca e uno per la volta del foglio, oppure quattro castelli, o tutti e quattro per la bianca o per la volta, oppure due per la bianca e due per la volta. La velocità con cui scorre la bobina di carta è tale che, per far asciugare rapidamente un colore stampato, prima che passi nel successivo gruppo di stampa, bisogna usare vari accorgimenti come i raggi infrarossi. C’è da aggiungere però che nell’arco degli anni ci sono stati enormi progressi anche nella composizione chimica degli inchiostri, rendendoli tali da asciugarsi più rapidamente, quasi all’istante.17
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— La rivoluzione della stampa —
NOTE 1. Cfr. L. Febvre, H.J. Martin, La nascita del libro, Laterza, Bari, 2011, p. 11. 2. Cfr. C. De Maria, R. Fedriga, Il paratesto, Sylvestre Bonnard, Milano, 2003, p. 46. 3. Cfr. L. Febvre, H.J. Martin, La nascita del libro, Laterza, Bari, 2011, pp. 13-16. 4. Cfr. P.B. Meggs, P.A.W. Purvis, Meggs' History of Graphic Design, John Wiley & Sons Inc,
Hoboken, 2012, pp. 69-72.
5. Cfr. R. Bringhurst, Gli elementi dello stile tipografico, Sylvestre Bonnard, Milano, 2001, p. 125. 6. Cfr. L. Febvre, H.J. Martin, La nascita del libro, Laterza, Bari, 2011, p. 51. 7. Cfr. P.B. Meggs, P.A.W. Purvis, Meggs' History of Graphic Design, John Wiley & Sons Inc,
Hoboken, 2012, p. 72.
8. Cfr. W. Chappell, R. Bringhurst, Breve storia della parola stampata, Sylvestre Bonnard, Milano,
2004, p. 76.
9. Cfr. P.B. Meggs, P.A.W. Purvis, Meggs' History of Graphic Design, John Wiley & Sons Inc,
Hoboken, 2012, pp.72-73.
10. Ivi, pp. 75-77. 11. Cfr. E. Mistretta, L'editoria - Un'industria dell'artigianato, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 125-126. 12. Cfr. W. Chappell, R. Bringhurst, Breve storia della parola stampata, Sylvestre Bonnard, Milano,
2004, pp. 103-105.
13. Cfr. C. De Maria, R. Fedriga, Il paratesto, Sylvestre Bonnard, Milano, 2003, pp. 77-78. 14. Cfr. E. Mistretta, L'editoria - Un'industria dell'artigianato, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 128-129. 15. Cfr. O. Ponte Di Pino Oliviero, I mestieri del libro, TEA, Milano, 2012, p. 21. 16. Cfr. E. Mistretta, L'editoria - Un'industria dell'artigianato, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 131-134. 17. Ivi, pp. 135-138.
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— Parte III L'era tipografica —
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— Dopo il consolidamento del processo di stampa, l’evoluzione della grafica, e più in generale della comunicazione scritta, ha subìto una sostanziale metamorfosi. Il disegno di nuovi caratteri fu un processo rafforzato nelle sue tradizioni ma ripetutamente rivoluzionato e messo in discussione da una serie di cambiamenti. Grandi stampatori e tipografi hanno avuto un ruolo importante, occupandosi attivamente della creazione di nuovi caratteri ma anche dell’ideazione di nuovi sistemi di composizione di layout e dei criteri di leggibilità. La sperimentazione e l’aggiunta di modelli tradizionali si intrecciarono e crearono nuove metodologie che oggi coinvolgono la preparazione e la realizzazione di un progetto tipografico. —
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L'apparizione di nuovi caratteri —
I libri stampati tra il 1450 e il 1480 erano difficili da distinguere dall’aspetto esterno, poiché gli stampatori continuavano a ricorrere a tutti quei caratteri con cui potevano ottenere una somiglianza dei manoscritti, per quanto fosse possibile. La resa tipografica dei libri richiedeva un’obbedienza alla tradizione. Questa richiesta non era dovuta allo scopo di ingannare le persone, ma era una semplice scelta dovuta agli atteggiamenti dei consumatori. Dopo circa cinquant’anni dalla morte di Gutenberg, i caratteri si divisero in due correnti: da una parte troviamo l’Antiqua nella serie tonda e corsiva, dall’altra il gotico nella serie Fraktur e Schwabacher. La serie tonda fu incisa a Strasburgo per la prima volta nel 1467 e venne perfezionata a Venezia nel 1470 dal francese Nicolas Jenson (1420–1480). La serie corsiva invece aveva origine dalla scrittura umanistica corsiva, rielaborata dai bisogni tipografici di Francesco Griffo, e alla scrittura della cancelleria papale, adattata dal calligrafo Ludovico Vicentino degli Arrighi (1475–1527) e dallo stampatore Antonio Blado (1490–1567).1 A partire dal secondo quarto del XVI secolo, la Francia aveva superato l’Italia come epicentro nel settore della stampa. A Parigi i libri venivano realizzati secondo gli standard più alti, accompagnati da una raffinatezza senza precedenti nel processo di stampa. Nel 1530 venne inciso uno dei caratteri più significativi ed eleganti per l’industria tipografica francese, il Garamond. Disegnato da Claude Garamond (1480–1561), il quale aveva appreso l’arte della creazione di caratteri da Antoine Augereau (1485– 1534), venne realizzato prendendo ispirazione dalle lettere del carattere Bembo disegnato da Francesco Griffo nel 1495.2 Nel 1692 il re francese Luigi XIV (1638–1715), che aveva un forte interesse per la stampa, ordinò la creazione di un nuovo carattere tipografico per l’Imprimerie Royale, l’ufficio stampa reale
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— L'era tipografica —
istituito nel 1640. Per disegnare il tondo e il corsivo del Romain du Roi (così fu chiamato), venne utilizzata una griglia formata da 2304 moduli per ottenere un’armonia matematica. Tuttavia, nella fase di realizzazione, alcune modifiche finali vennero fatte ad occhio nudo. Grazie alla comparsa di questo Romain du Roi, nacque la categoria dei caratteri romani transizionali, che si contrappose alle caratteristiche calligrafiche tradizionali dai tratti regolari nei pesi e nelle grazie.3
— Médailles sur le principaux événements du règne de Louis le Grand, Imprimerie Royale, Parigi, 1702. Frontespizio.
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— Romain du Roi, costruzione del maiuscolo.
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— L'era tipografica —
— Romain du Roi, costruzione del minuscolo.
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Caslon e Baskerville —
Per oltre due secoli e mezzo dopo l’invenzione dei caratteri mobili, l’Inghilterra osservava il continente per ottenere una posizione di leadership nella tipografia. Le idee di tipografia e di progettazione furono importate dall’Olanda dal genio di William Caslon (1692–1766). Dopo l’apprendistato presso un incisore londinese, Caslon aprii una sua bottega dove si occupava di decorazioni con argento e oro e creava timbri per i rilegatori del luogo. Lo stampatore William Bowyer (1663–1737) incoraggiò Caslon a riprendere la progettazione di caratteri e la sua incisione, cosa che fece nel 1720 con un successo quasi immediato. La sua prima commissione fu un carattere arabo per la SPCK (Società per la promozione della conoscenza cristiana). Dopo questo primo lavoro, venne alla luce nel 1725 il Caslon, carattere che venne utilizzato per i successivi sessant’anni per quasi tutte le stampe inglesi in Inghilterra e nei paesi da essa colonizzati. La sua popolarità fu dovuta all’eccezionale leggibilità, risultato dei suoi tratti spessi e sottili che facilitavano gli occhi in fase di lettura. John Baskerville (1706–1775), originario del Worcestershire, sin da ragazzo ammirava la bellezza delle lettere. Trasferitosi a Birmingham da giovane si affermò come maestro nella scrittura e nell’incisione su pietra. Intorno al 1751, all’età di quarantaquattro anni, tornò al suo primo amore, l’arte delle lettere e, successivamente iniziò a sperimentare con la stampa. Data la sua vena artistica, controllava tutti gli aspetti della progettazione e della produzione di libri, cercando con il tempo di perfezionare la sua tecnica per raggiungere gli obiettivi che si era prefissato. Il carattere Baskerville, che porta il suo nome, possedeva una nuova eleganza e leggerezza. Rispetto ai caratteri precedenti, il Baskerville era più largo, con un contrasto tra lo spessore e il
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— L'era tipografica —
tratto che man mano aumentava. L’impiego dei tratti nei Serif è nuovo: iniziano larghi e finiscono con punti raffinati. Come progettista editoriale, in un periodo in cui i libri erano prettamente pieni di illustrazioni, con ornamenti floreali ed iniziali colorate, Baskerville optò per un libro puramente tipografico utilizzando ampi margini e una concezione liberale dello spazio. Era così dedito alla riuscita del suo lavoro che, per garantire un’elegante purezza nella sua produzione, rifiutò per diverse volte alcune commissioni di stampa. Successivamente, il suo carattere e la progettazione dei suoi libri, divennero importanti influenze per l’italiano Giambattista Bodoni (1740–1813) e per la famiglia Didot.4
— William Caslon, A Specimen, 1734.
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Da Bodoni a Didot —
Nato a Saluzzo, Giambattista Bodoni, fu uno dei più prolifici tipografi e disegnatori di caratteri. Da giovane, andò a Roma e fece l’apprendista presso la tipografia Propaganda Fide, stamperia cattolica che produceva materiali per le missioni religiose in lingue native da poter usare in tutto il mondo. Bodoni imparò le tecniche di punzonista, ma il suo interesse nel vivere a Roma si spense quando il suo mentore e direttore di Propaganda Fide, Costantino Ruggeri, si suicidò. Poco dopo, Bodoni lasciò Propaganda Fide con l’intento di andare in Inghilterra e forse lavorare con Baskerville. Prima della partenza, venne convocato dal duca Ferdinando I (1751–1802), il quale gli chiese di prendere in mano la Stamperia Reale. Bodoni accettò l’offerta e divenne lo stampatore privato della corte. La qualità della progettazione e della stampa di Bodoni, anche se a volte mancavano collaboratori e correttori di bozze, contribuì alla sua crescente reputazione internazionale. Nel 1790 il Vaticano invitò Bodoni a Roma per stampare dei classici, ma il duca Ferdinando I per non perderlo gli promise l’ampliamento delle strutture, maggiore indipendenza e il privilegio di poter stampare per altri clienti. Il termine moderno, che definisce una nuova categoria del carattere Romano, fu usato per la prima volta da Pierre Simon Fournier (1712–1768) (conosciuto come Fournier le Jeune) nel suo Manuel typographique per descrivere le influenze che Bodoni ebbe nel suo lavoro, ovvero le lettere del Romain du Roi e i caratteri e i layout delle pagine di John Baskerville. Intorno al 1790, Bodoni ridisegnò le lettere romane per dare a loro un aspetto più matematico, geometrico e meccanico. Reinventò i Serif progettandoli con linee sottili che formavano angoli retti con i tratti verticali, eliminando l’andamento del tratto in stile romano antico. I tratti sottili delle sue lettere erano
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— Riproduzione della prima pubblicazione con il carattere Bodoni, 1925. — Frontespizio e maiuscole del Manuale Tipografico di Giambattista Bodoni, 1818.
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tagliati allo stesso modo dei pesi più sottili, creando una nitidezza e un contrasto mai visto precedentemente. Nei layout delle pagine di Bodoni, i bordi e gli ornamenti delle opere, che fino ad allora avevano portato alla fama internazionale la Stamperia Reale, furono messi da parte per un’economia di forma ed efficienza di funzionalità. Dopo la sua morte, la sua vedova, Margherita dall’Aglio (1758–1841), e il suo caporeparto, Luigi Orsi, pubblicarono il Manuale tipografico in due volumi nel 1818. Questo manuale aveva lo scopo di celebrare il genio di Bodoni come pietra miliare nella storia della comunicazione visiva. Una dinastia familiare di tipografi, editori, produttori di carta e disegnatori di caratteri ebbe origine nel 1713 quando François Didot (1689–1757) fondò a Parigi una tipografia. La costante sperimentazione della fonderie di caratteri Didot, ha portato allo stile maigre (magro) e gras (grasso). I caratteri del 1775 di François-Ambroise Didot (1730–1804), possedevano una classe leggera, geometrica, simile ai caratteri disegnati da Bodoni che si sono evoluti sotto l’influenza di Baskerville. Intorno al 1785 François-Ambroise, si rese conto che la scala di Fournier era soggetta a piccoli errori quando avveniva il restringimento dato dalla carta inumidita dopo la stampa, per questo motivo ne rivisitò la misurazione tipografica e creò un sistema di punti, tutt’ora utilizzato, dove 1pt (punto tipografico) equivale a 0,376 mm. Il sistema Didot (o Punto Didot) fu adottato in Germania, e fu revisionato nel 1789 da Hermann Berthold (1831–1904) per lavorare con il sistema metrico. Nel 1886 il sistema Didot, venne rivisto nuovamente per adattarsi al pollice inglese, e fu adottato come misura standard da parte di molte fonderie americane.
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François-Ambroise ebbe due figli: Pierre Didot (1761–1853), che si occupò dell’ufficio stampa del padre e Firmin Didot (1764–1836), succeduto a suo padre come capo della fonderia Didot. Bodoni e i membri della famiglia Didot erano rivali e spiriti affini. I paragoni che vennero fatti tra di loro erano inevitabili a causa delle condivisioni delle stesse influenze e dello stesso ambiente culturale. La loro influenza era così reciproca che sia i Bodoni che i membri della famiglia Didot tentarono di spingere lo stile moderno, migliorando l’estetica del contrasto, la costruzione matematica e la raffinatezza.5
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— William Caslon, ritratto.
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— John Baskerville, ritratto.
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— Giambattista Bodoni, ritratto.
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— Firmin Didot, ritratto.
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I caratteri tipografici del XX secolo —
Con l’avvenire dei principi della Die Neue Typographie (La Nuova Tipografia), ovvero lo studio di un impaginazione con criteri moderni dove deve prevalere l’uso della fotografia, dell’impaginazione asimmetrica e dinamica e dei caratteri lineari al posto dei gotici o dei graziati, la creazione di nuovi caratteri Sans Serif ebbe un forte e vivace incremento. Prima degli anni ’20 del XX secolo, possiamo considerare rilevante il carattere sans serif disegnato da Edward Johnston (1872–1944) per la metropolitana di Londra, meglio conosciuta come London Underground, il Johnston's Railway Type. Questo tipo ispirò la famiglia del carattere Gill Sans progettata da Eric Gill (1882–1940), ex studente di Edward Johnston. Figura molto complessa e colorita, Eric Gill era molto diverso rispetto ai precedenti personaggi storici della tipografia. Le attività che svolgeva erano molte e comprendevano scultura su pietra, incisioni su monumenti, incisioni su legno, progettazione editoriale, disegno di caratteri tipografici e vaste scritture. La conversione al cattolicesimo nel 1913 intensificò la sua convinzione che il lavoro avesse un valore spirituale e che l’artista e l’artigiano avessero un bisogno umano intrinseco di bellezza. Intorno al 1925, nonostante le sue precedenti polemiche contro la lavorazione con l’utilizzo di macchine, fu persuaso da Stanley Morison (1889–1967) della Monotype Corporation ad accettare la sfida sulla creazione di un carattere tipografico. Il suo primo carattere, il Perpetua, è un romano antico ispirato all’iscrizione nelle colonne traiane, con alcuni accorgimenti formali dettati da esigenze tipografiche e di stampa. L’ispirazione verso alcune forme e influenze storiche, dalle capitali traiane fino ad arrivare a Baskerville e Caslon, mise Gill nella posizione di esser visto come uno storicista, ma per fortuna la sua visione e le sue opi-
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nioni gli permisero di trascendere a queste influenze in gran parte del suo lavoro, come possiamo vedere nella progettazione editoriale per The Four Gospels (I quattro vangeli) in cui illustrazioni e testo creano una dinamicità estremamente moderna. Nel suo saggio Essay on typography (Sulla tipografia), Gill valorizza il concetto di composizione a bandiera, sostenendo che una 'irregolarità' delle righe di testo crea una maggiore leggibilità rispetto ad una più classica composizione a blocco. A partire dall’Universal Type di Herbert Bayer (1900–1985) e dal carattere Erbar di Jakob Erbar (1878–1935), molti furono i caratteri sans serif costruiti geometricamente durante gli anni ’20 del XX secolo. Il Futura, progettato tra il 1927 e il 1928 da Paul Renner (1878–1956) per la fonderia tedesca Bauer, aveva quindici pesi di cui quattro corsivi, divenne la famiglia geometrica sans serif più impiegata. Come insegnante e progettista, Renner combatté instancabilmente per affermare il suo pensiero, secondo cui i progettisti non dovevano tramandare la loro eredità alle nuove generazioni ma, piuttosto, dovevano essere le nuove generazioni a tentare di creare una forma contemporanea col proprio tempo storico. Stanley Morison, consulente tipografico della British Monotype Corporation e della Cambridge University Press, supervisionò nel 1931 la progettazione di un importante carattere per il quotidiano britannico Times di Londra, il Times New Roman. Introdotto nell’edizione del 3 Ottobre 1932, il Times New Roman, carattere dai brevi tratti ascendenti e discendenti, cambiò radicalmente l’aspetto tipografico dell’impaginato ottenendo un grande successo da parte dei lettori che ne elogiarono la leggibilità e la chiarezza. Successivamente negli anni ’50, grazie alle influenze date della International Typographic Style, ci fu un favore ai disegni
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tipografici ispirati al carattere Akzidenz Grotesk di Hermann Berthold, piuttosto che ai caratteri sans serif costruiti in modo matematico. Nel 1954 una giovane designer svizzero che lavorava a Parigi, Adrian Frutiger (1928–2015), iniziò la progettazione di una famiglia di un carattere tipografico per la fonderia Deberny & Peignot che comprendeva ventuno pesi differenti, l’Univers. Nel 1957, completata l’intera famiglia, pubblicò anche la tavola sinottica di classificazione delle varianti, con dei numeri per definire i pesi. Il grande numero di varianti, portò la fonderia Deberny & Peignot ad investire oltre duecentomila ore tra incisione a macchina, ritocco e punzonatura finale per creare circa trentacinquemila matrici per avere l’intera gamma di dimensioni. A metà degli anni ’50, Eduard Hoffmann (1892–1980) direttore della Fonderia Haas, decise di creare una variante dell’Akzidenz Grotesk di Berthold. Hoffmann collaborò insieme a Max Miedinger (1910–1980) per la realizzazione del loro nuovo sans serif che venne rilasciato nel 1957 con il nome Neue Haas Grotesk, successivamente cambiato in Helvetica. Le forme ben definite dell’Helvetica e il ritmo eccellente ne hanno fatto il carattere tipografico più impiegato a livello internazionale tra gli anni ’60 e ’70.6
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— Adrian Frutiger, Tavola sinottica, 1957.
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— Edward Johnston, Johnston Sans, 1916. — Applicazione del Johnston Sans sul marchio della London Underground, 1918.
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— Josef Albers, Kombinations-Schrift, 1923. — Herbert Bayer, Universal Type, 1925.
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— Paul Renner, Futura, 1927.
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— Eric Gill, Gill Sans, 1928.
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— L'era tipografica —
NOTE 1. Cfr. H. Steinberg Siegfried, Cinque secoli di stampa, Einaudi, Torino, 1962, pp. 27-31. 2. Cfr. P. McNeil, The Visual History of Type, Londra, 2017, p. 49. 3. Cfr. R. Jubert, Typography And Graphic Design: From Antiquity to the Present, Groupe
Flammarion, Parigi, 2006, p. 122.
4. Ivi, pp. 134-136. 5. Cfr. P.B. Meggs, P.A.W. Purvis, Meggs' History of Graphic Design, John Wiley & Sons Inc,
Hoboken, 2012, pp. 131-135.
6. Ivi, pp. 339-341.
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— Parte IV Il progresso digitale —
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— Durante l’ultimo quarto del XX secolo e il primo decennio del XXI secolo, la tecnologia elettronica e l’informatica hanno subìto un’evoluzione con un ritmo straordinario, trasformando molte delle attività umane. La progettazione grafica è stata irrevocabilmente modificata dagli hardware, dai software digitali e dalla nascita di Internet. Molti anni prima, grazie alla rivoluzione industriale, si iniziò a suddividere il processo di comunicazione grafica e di stampa in una serie di passaggi specializzati. C’era chi si occupava della creazione dei layout, chi degli strumenti di composizione tipografica, chi sviluppava i negativi fotografici, chi preparava le lastre e chi gestiva le macchine di stampa. Negli anni ’90, la tecnologia consentì di impiegare una singola persona per più passaggi grazie all’utilizzo di un Computer Desktop. A questo si aggiunse il rapido sviluppo di Internet che trasformò il modo in cui le persone comunicavano e accedevano alle informazioni, generando una rivoluzione che arriva fino ai giorni nostri con l’uso dei nuovi dispositivi digitali per la fruizione di libri, periodici, quotidiani e magazine in formato digitale. —
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L'avvento del Desktop Publishing —
La rivoluzione digitale è arrivata sul desktop dei singoli progettisti grafici grazie allo sviluppo di hardware e software dedicati economici ma potenti, creati principalmente da tre società nel corso degli anni ’80: la Apple Computer che sviluppò il computer Macintosh; la Adobe Systems che inventò il linguaggio di programmazione PostScript e la Aldus che creò PageMaker, uno dei primi software che utilizzava il PostScript per progettare i layout delle pagine sullo schermo di un computer. L’introduzione nel 1983 di Apple Computer del Macintosh di prima generazione, basato sul modello 'Apple Lisa', predisse una rivoluzione grafica. Il Macintosh visualizzava, infatti, la grafica bitmap; cioè, presentava a video informazioni come punti denominati pixel, con 72 punti pixel per pollice (DPI) su uno schermo in bianco e nero. L’interfaccia con l’utente veniva gestita da un dispositivo esterno, chiamato mouse, il cui movimento controllava un puntatore sullo schermo. Posizionando il puntatore su un’icona nel desktop e facendo clic su un pulsante del mouse, l’utente era in grado di controllare il computer in modo intuitivo e si poteva concentrare molto di più sul lavoro creativo piuttosto che sul funzionamento del dispositivo. Il primo mouse, una piccola scatola di legno su ruote d’acciaio, fu inventato dallo scienziato Douglas C. Engelbart (1925– 2013) negli anni ’60 presso l’Augmentation Research Center del governo federale. Il mouse, che nel brevetto venne definito un 'indicatore di posizione x-y per un sistema di visualizzazione', rese i computer più accessibili attraverso processi intuitivi e migliorò l’utilizzo del computer a migliaia di persone, dai contabili agli scrittori, dagli artisti ai progettisti. Apple ha rilasciato nel corso degli anni software di videoscrittura, disegno e progettazione in tutto il mondo. I primi carat-
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— Il progresso digitale —
— Apple Lisa, 1983. — Douglas C. Engelbart, Mouse, 1967.
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teri bitmap sono stati progettati da Susan Kare (1954), quindi dal dipartimento di progettazione di Apple Computer. In questi primi caratteri il design delle lettere è stato ottenuto dalla matrice di punti. La lingua di descrizione della pagina PostScript di Adobe Systems permise alle stampanti di stampare testo, immagini ed elementi grafici e di determinarne il posizionamento sulla pagina. I font PostScript non sono semplicemente costituiti da punti bitmap; piuttosto sono memorizzati come comandi e dati grafici. I caratteri vengono generati come contorni e vengono successivamente convertiti in forme. Le linee curve di queste forme sono formate da curve di Bézier: queste curve prendono il nome dal matematico francese Pierre Bézier (1910–1999), che le ha inventate definendo quattro punti di controllo. Le curve di Bézier possono creare forme complesse con estremità smussate, rendendole particolarmente utili per la creazione di forme per caratteri ed elementi grafici. Nel 1985, Apple Computer presentò la sua prima stampante laser, che aveva un output di 300 dpi di font PostScript, dimostrando di poter eseguire molte copie di stampa. Una controversia sulla qualità di risoluzione che si concluse dopo l’arrivo di stampanti laser a 600 dpi ad alta risoluzione e a computer per la fotocomposizione, come Linotron, in grado di produrre un output a 1270 o 2540 Dpi. I software di Desktop Publishing creati grazie al PostScript, hanno consentito la progettazione di intere impaginazioni a video. Nel 1984, un trentaseienne redattore di giornali, Paul Brainerd (1947) creò una società chiamata Aldus (in onore ad Aldo Manuzio) per sviluppare software che consentissero di produrre giornali in modo più efficiente. Nel Luglio 1985, Aldus introdusse il software PageMaker per il computer Macintosh.
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— Susan Kare, font digitali create da per Apple Computer, 1984.
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PageMaker poteva editare la grandezza del carattere, la scelta del font e le dimensioni della colonna. Integrò la tipografia con altri elementi, come immagini scansionate, righe, titoli etc. Tutto questo permise all’utente di creare elementi sullo schermo di un computer e di posizionarli sulla pagina in modo simile ai modi in cui tradizionalmente gli elementi vengono preparati ed incollati in posizione per la stampa offset. Da questo nuovo metodo di realizzare artefatti grafici, Brainerd coniò il termine Desktop Publishing. Il Desktop Publishing consentì un notevole risparmio di tempo e denaro nella preparazione di elaborati grafici per la stampa. Le procedure di creazione dei layout, di composizione, di elaborazioni delle immagini, furono tutti combinati in un processo elettronico senza interruzioni. I precedenti hardware digitali includevano sistemi di composizione digitale, potenti processori di immagini elettroniche come i sistemi Scitex, che scansionavano elettronicamente le immagini e consentivano l’editing completo, e Quantel Video and Graphic Paintboxes, che permetteva un controllo preciso del colore e consentiva la sovrapposizione, la combinazione e l’alterazione delle immagini. LightSpeed era un sofisticato software di impaginazione iniziale. Tutti questi sistemi erano molto costosi ed erano disponibili solo per alcuni progettisti in via esclusivamente sperimentale. Questo era il contrario del pensiero dei computer e dei software della Apple Computer che, puntarono sulla ampia accessibilità sia ai progettisti grafici che agli utenti più inesperti. Nel 1990, il computer Macintosh II, dal design e software migliorato, stimolò una rivoluzione tecnologica e creativa nel design grafico come avvenne per mano di Gutenberg nel caso della stampa a caratteri mobili. Un’esplosione senza precedenti
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dell’educazione alla progettazione e all’attività professionale generò un vasto numero di professionisti con una formazione specializzata. Infatti, il numero di singoli designer freelance e di aziende pubblicitarie aumentarono in modo esponenziale. D’altro canto, purtroppo, la tecnologia digitale permise anche ai non professionisti e con una formazione marginale di entrare nel campo della progettazione grafica.1
— Schermata iniziale di Aldus Pagemaker 1.00, 1985.
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I pionieri della progettazione grafica digitale —
Fornendo ai progettisti nuovi processi e capacità, le nuove tecnologie spesso consentivano a loro di creare immagini e forme che prima potevano ottenere con varie difficoltà. Mentre molti progettisti inizialmente rifiutarono la tecnologia digitale, molti altri la adottarono sin da subito così da poter ampliare la natura stessa del processo di progettazione grafica. L’utilizzo di un computer come strumento di progettazione permise di creare e correggere errori. Colori, texture, immagini e tipografia potevano essere allungati, resi trasparenti, ordinati in livelli e combinati in modi senza precedenti. Tra i pionieri che hanno abbracciato la nuova tecnologia e ne hanno esplorato il potenziale creativo troviamo: la designer di Los Angeles, April Greiman (1948), il designer/editor della rivista 'Emigre', Rudy VanderLans (1955) e la type designer Zuzana Licko (1961). Greiman esplorò ed analizzò le proprietà visive dei caratteri bitmap, la gestione dei livelli, la sovrapposizione delle informazioni sullo schermo del computer e le forme rese possibili dalla nuova tecnologia. Nel suo primo progetto grafico, creato tramite l’uso di un Macintosh, la font bitmap e le texture generate al computer sono state pensate per una grande dimensione, stampate ed infine 'incollate' attraverso una composizione graficamente non convenzionale. Quando le fu chiesto di progettare un numero della rivista Design Quarterly per il Walker Art Center di Minneapolis, Greiman realizzò una rivista a fogli singoli con un collage digitale della misura di 61x183 cm eseguito interamente sul computer Macintosh. Ha acquisito le immagini da un video digitalizzandole, sovrapponendole successivamente nello spazio e integrando, in una seconda fase, parole in un singolo file nel computer.
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— April Greiman, immagine grafica per il numero 133 della rivista Design Quarterly, 1987. — April Greiman, poster per l'Istituto d'Arte Contemporanea di Los Angeles, 1986.
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Nel 1984, VanderLans iniziò a editare, progettare e pubblicare una rivista chiamata Emigre. Insieme a lui c’erano due amici olandesi che aveva conosciuto alla Royal Academy of Fine Arts di Hague e che all’epoca vivevano anche a San Francisco. Con la creazione e la pubblicazione di Emigre, inizialmente intendevano presentare le loro opere inedite accanto ai lavori creativi degli altri. Il nome della rivista fu scelto perché i suoi fondatori ritenevano che l’esposizione a varie culture, oltre a vivere in diversi ambienti culturali, aveva avuto un impatto significativo sul lavoro creativo. VanderLans utilizzò un carattere che ricordava una macchina da scrivere per il primo numero e il carattere della Apple per i numeri successivi. Una rivista con una tiratura di settemila copie divenne così una grande possibilità per sperimentare e abbracciare le infinite applicazioni della tecnologia informatica per rinvigorire e ridefinire la progettazione grafica. L’approccio sperimentale di Emigre aiutò a definire e a dimostrare le capacità della nuova tecnologia, sia nella progettazione editoriale, sia nel presentare un lavoro che era considerato troppo d’avanguardia per altre pubblicazioni di design. Nel 1987, VanderLans lasciò il suo lavoro nella progettazione di giornali e formò un’associazione, chiamata Emigre Graphics, con la designer Zuzana Licko, il cui background formativo comprendeva corsi di programmazione per computer. Insoddisfatta del numero limitato di caratteri disponibili nel primo Macintosh, Licko utilizzò un software chiamato FontEditor per creare nuovi caratteri digitali. I suoi primi caratteri furono inizialmente progettati per la tecnologia a bassa risoluzione e successivamente convertiti e declinati in versioni ad alta risoluzione per ottenere una stampa migliore. Tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo, molti corsi formativi alle scuole d’arte e alle Università diventarono impor-
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— I primi due numeri della rivista Emigre, 1984-1985. — Zuzana Licko, font digitali.
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tanti centri di ridefinizione della progettazione grafica attraverso studi teorici e la sperimentazione della tecnologia informatica. Alla Cranbrook Academy of Art del Michigan, la designer Katherine McCoy (1945), coordinò il dipartimento di design con il marito, product designer Michael McCoy (1944), dal 1971 al 1995, e divenne un magnete per le persone che erano interessate a spingersi ai confini del design. Da allora la Cranbrook, ha continuato a enfatizzare la sperimentazione rifiutando una filosofia o una metodologia uniforme. La facoltà credeva fortemente che gli studenti dovevano trovare le proprie strade attraverso le interazioni con altri studenti impegnati nelle stesse ricerche. Durante i ventiquattro anni trascorsi da McCoy alla Cranbrook, il programma si è evoluto da un approccio sistematico e razionale del problem solving influenzato dall’International Typographic Style, ad un approccio che metteva in discussione i limiti espressivi di questo stile. Nel 1989, McCoy progettò un poster che sfidava le norme sui materiali di reclutamento del college e dimostrò una nuova e innovativa complessità di forma e significato. Allontanandosi dalle nozioni prevalenti di comunicazioni semplici e riduttive, McCoy, sovrappose diversi livelli di messaggi visivi e verbali, chiedendo al pubblico di decifrarli. Edward Fella (1938), un grafico di Detroit con cui McCoy lavorò nello studio “Designers & Partners” prima della sua nomina a Cranbrook, fu una delle maggiori forze all’interno del programma. Dopo aver prestato servizio come critico ospite a Cranbrook per molti anni, Fella frequentò il corso di specializzazione dell’accademia dal 1985 al 1987 per poi accettare una posizione di insegnante in California. Con le basi consolidate del design americano e della prima tipografia modernista, il lavoro sperimentale di Fella diventò grande fonte di ispirazione per una
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— Il progresso digitale —
generazione di designer. Dal 1983 al 1991, Fella contribuì alla grafica della Detroit Focus Gallery producendo flyer dove la tipografia e il lettering sfidavano il lettore nello stesso modo in cui l’arte moderna contemporanea nella galleria sfidava il fruitore. Verso la metà degli anni ’90, la complessità della forma, le preoccupazioni teoriche e le manipolazioni informatiche trovate nel lavoro dai primi pionieri, aprirono la strada all’uso moderno del computer per le comunicazioni grafiche.2
— Katherine McCoy, Poster per il corso di Design della Cranbrook Academy of Art, 1989.
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Le fonderie digitali —
Il passaggio alla tecnologia digitale ha reso possibile nuovi modi per progettare un carattere tipografico. L’impiego di una terminologia che deriva dalla tipografia classica – font, fonderie, incisione – può sembrare non appropriata e nostalgica, ma fa capire che da questo punto di vista, alcuni fasi di progettazione di caratteri digitali non sono differenti da quelle in cui un punzonista operava nel periodo precedente per quanto riguarda la produzione di caratteri e alla meccanizzazione del processo di stampa. Dietro lo sviluppo dei primi software per la digitalizzazione dei caratteri ci furono due importanti centri di ricerca: il primo era l’Università di Stanford, dove nacque il progetto Metafont di Donald Knuth (1938), che insisteva sull’ipotesi che le forme dei caratteri potessero essere disegnate tramite dei semplici forme piene e non attraverso linee di contorno; il secondo era quello del gruppo coordinato da Peter Karow (1940) presso la società URW (Unternehmensberatung Rubow Weber) di Amburgo, che negli anni ’70 sviluppò un software molto adatto all’uso nelle case editrici: Ikarus. Come spesso accade negli sviluppi della tipografia, in questi due progetti furono coinvolti dei designer per portare la giusta sensibilità e consapevolezza dentro dei processi in cui le decisioni dovevano essere prese sulla base di uno standard. Nel 1990 l’URW fece uscire una versione di Ikarus per il Macintosh che sostituì Fontographer, il software che fino ad allora aveva rappresentato lo standard per eccellenza per il disegno e la progettazione digitale dei caratteri. Oggi, con l’ampliamento del mercato troviamo in commercio vari Software e Plugin sia per Macintosh che per Windows (es: Fontself, TypeTool, Fontlab Studio, Glyphs, Robofont, FontForge, etc.). Fra le nuove aziende digitali, l’Adobe Systems apparve da subito molto all’avanguardia. Fondata nel 1983, riuscì ad intro-
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dursi e ad aggiornarsi velocemente nel campo della tipografia. Gli opuscoli che accompagnavano i floppy disk dei nuovi caratteri Adobe meritavano un posto sugli scaffali di una libreria piuttosto che su un mobile di un ufficio. All’interno venivano mostrati gli interi specimen dei caratteri, esempi di utilizzo e alcuni apparati bibliografici. I primi caratteri di Adobe erano frutto del lavoro di due grandi progettisti interni, Carol Twombly (1959) e Robert Slimbach (1956), che appartengono alla prima generazione di progettisti tipografici digitali. Twombly si era laureata a Stanford, mentre Slimbach imparò a disegnare dei caratteri sul campo, mentre lavorava per l’azienda Autologic. Fra i loro colleghi, furono i soli ad avere il privilegio di poter dedicare il tempo unicamente alla progettazione di caratteri tipografici. Se Adobe Systems, fu di certo la più rapida ad affermarsi, Bitstream, fondata ne 1981 a Cambridge, si concentrava esclusivamente sui caratteri digitali. Due dei membri fondatori, Matthew Carter (1937) e Mike Parker (1929–2014), data la loro origine inglese poterono approfondire le radici della tradizione tipografica europea. Quindi, mentre Adobe doveva imparare da zero la cultura tipografica attraverso dei consulenti esterni, Bitstream non aveva questi problemi ma bensì dei vantaggi. Nel 1987 sia Bitstream che Adobe Systems pubblicarono sul mercato dei caratteri, rispettivamente il Charter progettato da Matthew Carter e lo Stone progettato da Sumner Stone (1945). Ambedue i caratteri erano dei progetti originali privi di riferimenti a specifici modelli storici. Tra le due aziende al giorno d’oggi solo Adobe è rimasta nella scena della tipografia, dato che la Bitstream è stata acquistata definitivamente dalla Monotype il 19 Marzo 2012 insieme al suo famoso sito per la distribuzione di font digitali, MyFonts.3
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Un’altra società che si sviluppò velocemente nel primo periodo dei caratteri digitali fu la FontShop, fondata dal britannico Neville Brody (1957) e dal tedesco Erik Spiekermann (1947) nel 1990. La Monotype, agli inizi degli anni ’90, fece dei contratti di licenza di caratteri digitali sia con Apple Computer che con Microsoft, pubblicando successivamente dei CD-Rom con all’interno le collezioni complete delle famiglie classiche, oltre quelli presenti nella biblioteca di caratteri della Adobe. In questo modo la Adobe Type Library divenne una delle più importanti distributrici di caratteri digitali. Nel 2002 venne pubblicato il volume Italic 1.0. Il disegno di caratteri contemporaneo in Italia a cura di Paola Lenarduzzi, Mario Piazza e Silvia Sfligiotti, che illustra il lavoro sperimentale di venticinque giovani grafici italiani nel settore del Type Design, nel quale è protagonista una continua ricerca di equilibri tra l’innovazione formale delle tipografia e i criteri di leggibilità del testo. Se vogliamo guardare oltre gli aspetti tecnologici, come i software che permettono la trasposizione di caratteri in fonts digitali, si deve tener conto delle problematiche della sfera psicologica della percezione visiva. Nel panorama internazionale del Type Design, la problematica della leggibilità, o comunque di errori ottici, affiora in modo indiscutibile. Alcune ricerche francesi, condotte dall’istituto Scriptorium di Tolosa, dall’Atelier National de la Recherche Typographique dell’Ecole Nationale des Art Décoratifs e dall’Atelier de Création typographique di Saint-Étienne, si sono orientate sul ridisegno dei caratteri classici per cercare di migliorarne la leggibilità e la visibilità, che è l’equazione su cui si è basato tutto il Type Design moderno. A partire dal 1997 Adobe Systems e Microsoft iniziarono a promuovere nei loro siti Internet una serie di caratteri digitali destinati a migliorare il design tipografico.4
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— Il progresso digitale —
La formazione dei Type Designer non aveva fondamenti matematici, né tantomeno informatici. I progettisti erano quasi prevalentemente disegnatori che non si trovavano a proprio agio con il sistema parametrico. Oltre al singolo caso dello Stanford Digital Type Program, uno dei primi corsi di didattica strutturata sul Type Design, non vi era nient’altro all’epoca. Nel 1999 Donald Knuth, descrisse Digital Typography, corso tenuto da Charles Bigelow, Richard Southall e da lui stesso, un interessante insegnamento che fornisce attraverso l’uso di Metafont quella corretta focalizzazione sull’elaborazione del disegno e nella valutazione delle forme. La lentezza con cui le istituzioni europee si sono mosse per attivare dei corsi mirati di Type Design è indicativa dall’estremo ritardo con cui è arrivata la risposta universitaria/accademica rispetto all’evoluzione della professione. In poche parole, si è iniziato ad insegnare in maniera strutturata e istituzionale il disegno di caratteri digitali quando la disciplina era giunta ad una completa maturazione da almeno un decennio.5 In Italia dobbiamo aspettare fino al 2007 per avere un corso di alta formazione in Type Design. Ideato da Giancarlo Iliprandi (1925–2016) ed organizzato da POLI.design, Consorzio del Politecnico di Milano con la collaborazione del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, il corso si articola in lezioni frontali, fasi di progettazione e seminari. In particolare si apprende la teoria sulla tipografia tradizionale e contemporanea e avviene l’apprendimento del software FontLab per arrivare all’obiettivo di costruire in modo corretto e autonomo un segno alfabetico digitale.6
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— Adrian Frutiger, fotografia.
104
— Il progresso digitale —
— Matthew Carter, fotografia.
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— Erik Spiekermann, fotografia.
106
— Il progresso digitale —
— Neville Brody, fotografia.
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L'editoria nel XXI secolo —
Nell’ultimo ventennio il raggio d’azione dell’industria editoriale si è molto ampliato. Oggi, grazie alla crescita dei prodotti delle nuove tecnologie digitali, non si possono più trascurare i fenomeni come l’editoria audiovisiva, multimediale e web. Si può facilmente affermare che quello dell’editoria sia stato uno dei settori più influenzato dalla numerose trasformazioni culturali, sociali ed economiche, introdotte dal rapido ed esteso sviluppo dei nuovi media digitali, nonché dal loro uso sempre crescente da parte dei consumatori. La maggiore fruibilità e diffusione di nuovi strumenti multimediali, sia fissi che mobili, la maggiore coperture della banda larghe e delle connessioni mobili e wireless, contribuisce alla crescita del mercato dell’editoria digitale, che veicola oltre ai contenuti scritti anche contenuti musicali e filmici. Sempre più utenti dispongono di dispositivi mobili, dai tablet agli smartphone, che consentono di visualizzare e fruire in tempo reale gratuitamente o con un semplice abbonamento, quotidiani, e-book, magazine, mappe interattive, file musicali o video. I dispositivi di nuova generazione, inoltre, hanno il vantaggio di essere interattivi e ottimamente interfacciabili con un numero sempre maggiore di device, sia fissi che mobili, offrendo la possibilità di condividere i contenuti su più piattaforme e nello stesso momento coinvolgere altri utenti se lo si desidera. Quindi, l’editoria digitale, diventa anche una modalità virtuale di intrattenimento condiviso da gruppi di persone che hanno gli stessi interessi, analoghe passioni e abitudini quotidiane. Specialmente nelle declinazioni che riguardano contenuti musicali o filmici, l’editoria digitale, contribuisce in larga misura a sviluppare il concetto di community e, quindi, a veicolare opinioni su interessi in comune o prodotti. L’utente di contenuti digitali ha così la possibilità di fruire di molteplici funzioni introdotte dalle
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— Il progresso digitale —
nuove tecnologie, dalla fotografia ai video, dalla registrazione vocale alla memorizzazione di dati, dall’accesso alla rete, alla gestione delle email etc. Insomma, da una tradizionale concezione dell’editoria, intesa come serie di attività legate alla progettazione di prodotti fondamentalmente cartacei (libri, periodici, quotidiani), si è passati ad avere oggi una visione più ampia, che comprende sia un insieme di prodotti nuovi (e-magazines, notiziari online etc.), sia un numero in aumento di fenomeni ibridi (audio-visivi, prodotti multimediali etc.).7
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Il libro digitale e i suoi formati più comuni —
Al giorno d’oggi, si parla molto di libri digitali (o di e-book). Tuttavia, spesso accade che la diffusione di questi nuovi termini non venga facilmente recepita. Un buon punto di partenza potrebbe essere il confronto tra il libro tradizionale, ovvero quello cartaceo e quello digitale. La prima diversità è data ovviamente dal prodotto finito. Nel caso dell’editoria tradizionale, il progettista in linea di massima è in grado di controllare, attraverso una serie di passaggi, tutte le caratteristiche del prodotto che sarà effettivamente fruito dagli utenti, anche nel caso di prodotti molto complessi stampati all’estero. Infatti, un buon progettista, accompagnato da un bravo editore, è in grado di predire la resa tipografica dell’artefatto comunicativo. L’industria editoriale digitale, invece, presenta varie difficoltà. Queste provengono dal prodotto finale, che è fondamentalmente un file, o un insieme di file. L’utente non può vedere direttamente il contenuto e deve affidarsi ad un computer o ad un dispositivo (tablet, smartphone etc.). Se tutti i dispositivi fossero uguali, il problema sarebbe ridotto, ma nella realtà, i dispositivi sono molto diversi tra di loro: alcuni sono da tavolo, altri portatili; alcuni hanno schermi piccoli, altri hanno schermi molto grandi; alcuni hanno collegamenti veloci in rete, altri no, etc. L’industria editoriale ha cercato di gestire in diversi modi queste difficoltà. Una delle strategie più semplici attuata è stata quella di creare formati di file che dessero dei vincoli ai computer degli utenti: parliamo dei file PDF (Portable Document Format) e dei formati simili. Un’altra strada intrapresa è stata quella di utilizzare dispositivi identici, o simili: per esempio, i tablet iPad della Apple, in cui tutti gli esemplari di una generazione presentano le stesse caratteristiche di interfaccia cercando di eliminare le difficoltà agli utenti o quanto meno di ridurle.
110
— Il progresso digitale —
Un’ulteriore soluzione è stata creata negli ultimi anni, grazie ai formati ePub e alla possibilità di generare layout sia fissi che responsive. Quando si parla di impaginazione fissa, quasi sicuramente uno dei formati più importanti nel settore dell’editoria digitale è il PDF. La caratteristica di questo file è il collegamento al concetto di pagina. Oggigiorno il formato PDF è sicuramente uno dei principali standard per la trasmissione di documenti, infatti è molto usato nel mondo del lavoro. Moduli, regolamenti, documentazione tecnica e così via sono distribuiti, quasi sempre via Internet, in questo formato che rappresenta un punto di riferimento fondamentale per l’editoria digitale. Il formato PDF è stato creato dalla Adobe Systems nel 1993 per risolvere una serie di difficoltà legate al trasferimento di file impaginati tra computer differenti, spesso dotati di sistemi operativi diversi. La soluzione individuata per risolvere tale problema era molto semplice: ogni file PDF contiene delle informazioni sul modo in cui il file deve essere visualizzato. Oltre al testo, il PDF include (o può includere) le font utilizzate, gli elementi grafici e le informazioni sulla schematizzazione dei contenuti. Contiene quindi le varie indicazioni su come il contenuto deve essere visualizzato nel contenitore (in questo caso il PDF). Il sistema originale si basava sul linguaggio PostScript, usato all’interno dei computer per trasformare i documenti digitali in istruzioni da inviare alle stampanti. Inizialmente, il formato PDF poteva essere scritto solo da programmi dedicati (Acrobat Distiller). Ancora più radicale era la sua lettura, infatti poteva essere aperto solo da un programma dedicato: Acrobat Reader, distribuito gratuitamente dalla Adobe. Dal 2008 il PDF è diventato uno standard ISO (ISO 3200-1), ovvero un formato aperto, quindi liberamente utilizzabile, senza pagare i diritti di creazione non solo del file, ma anche di programmi in grado di leggere e sovrascrivere il file.
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Oggi il PDF è parte fondamentale nelle pratiche editoriali e di stampa, per esempio, ormai è una normalità che gli autori di un libro destinato per la stampa consegnano il proprio testo all’editore in formati digitali, ed è normale che ricevano indietro le bozze per la correzione, prima del visto si stampi, in formato PDF. Quando parliamo di impaginazione responsive, parliamo di una produzione digitale di libri che vengono generati nel formato ePub. Una delle sue caratteristiche, è quella di non avere i numeri di pagina dato che non hanno ragione di esistere. Infatti, a seconda della grandezza del carattere che viene scelta dall’utente in fase di lettura, le pagine possono essere di più o di meno. Il formato ePub è il più comune per l’editoria digitale al giorno d’oggi. Nato nel 2007 come formato ufficiale dell’International Digital Publishing Forum (IDPF), l’ePub sostituisce il vecchio formato Open eBook creato nel 1999. Dal punto di vista progettuale, è un formato che codifica il testo in buona parte in XHTML e archivia molte delle sue informazioni in XML. Ovviamente c’è da specificare che non è necessario conoscere questi linguaggi perché tramite software di Digital Publishing, come Adobe InDesign, possiamo generare un file ePub corretto. Come nel caso del PDF, le caratteristiche che sono punti di debolezza in una situazione, possono essere punti di forza in un’altra. Il formato ePub è ritenuto poco adatto alla codifica di impaginazioni molto complesse, a cominciare da una limitata specifica per le tabelle. In compenso, la sua semplicità lo rende ideale nei casi in cui non sia possibile prevedere quale dispositivo di visualizzazione l’utente userà. Non essendo basati su una dimensione fissa, i contenuti di un file ePub possono essere facilmente adattati allo schermo piccolo di uno smartphone o allo schermo più grande di un computer. In più, come accennato
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— Il progresso digitale —
prima, le dimensioni dei caratteri possono essere modificate secondo le proprie necessità. Queste caratteristiche rendono l’ePub molto più flessibile rispetto il PDF (e ad altre alternative); contribuiscono inoltre a rendere il formato adatto a situazioni in cui sia importante l’accessibilità. Le ultime versioni del formato sono state dotate di molte funzionalità aggiuntive dal punto di vista tipografico. La versione ePub 3.0, presentata nel Febbraio 2011, si basa infatti su quattro diverse specifiche: • ePub Publications 3.0, definisce gli aspetti semantici della singola pubblicazione e la conformità dei requisiti di file ePub; • ePub Content Documents 3.0, definisce i profili di XHTML, SVG e CSS utilizzabili in queste pubblicazioni; • ePub Open Container Format (OCF), definisce un formato e un modello di elaborazione per includere materiali diversi in un unico file zip (ePub Container); • ePub Media Overlays 3.0, non presente nella versioni precedenti del file ePub, definisce formati e modelli di elaborazione per la sincronizzazione di testo e audio.8
113
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— Il progresso digitale —
NOTE 1. Cfr. P.B. Meggs, P.A.W. Purvis, Meggs' History of Graphic Design, John Wiley & Sons Inc,
Hoboken, 2012, pp. 531-532.
2. Ivi, pp. 533-535. 3. Cfr. R. Kinross, The digital wave «Eye Magazine», n. 7, Vol. 2, Londra, 1992, pp. 26-39. 4. Cfr. D. Baroni, M. Vitta, Storia del design grafico, Longanesi, Milano, 2003, pp. 312-313. 5. Cfr. R. Kinross, The digital wave «Eye Magazine», n. 7, Vol. 2, Londra, 1992, pp. 26-39. 6. Cfr. www.polidesign.net/type 7. Cfr. E. Carmi, E. Israela Wegher, Branding D.O. Progettare una marca. Una visione Design Oriented, Fausto Lupetti Editore, Bologna, 2017, pp. 119-120. 8. Cfr. M.T. Lupia, M. Tavosanis, V. Gerbasi, Editoria digitale, UTET Università, Torino, 2011, pp. 8, 28-32.
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— Parte V Type Design —
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— La creazione di un carattere tipografico è uno dei compiti più impegnativi nella progettazione grafica. Ogni glifo disegnato deve essere coerente con il resto dello specimen (insieme dei glifi) e, inoltre, non deve avere problemi di versatilità nel caso in cui venga usato in dimensioni sia piccole che grandi. La fase di progettazione, richiede delle necessarie correzioni ottiche che risolvono i problemi di percezione visiva al fine di migliorare la leggibilità. Tutto questo, viene eseguito dal Disegnatore di caratteri (o Type Designer), figura professionista molto rispettata nel settore della comunicazione visiva. Affinché un carattere venga ben progettato, è necessario che il disegnatore di caratteri conosca tutti gli aspetti che compongono la tipografia. —
«La tipografia deve essere bella come una foresta, non come la giungla dei palazzi. Dando la distanza tra gli alberi, la stanza può respirare permettendo la vita.» Adrian Frutiger
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Anatomia del carattere —
spalla superiore
maiuscola accentutata 1
ascendente
2
4
5
altezza minuscolo
corpo
altezza maiuscolo 8
6
3
spalla
9
discendente
linea base
7
10 13 15 11
14
16
17
18
12
1 — Maiuscola ascendente 2 — Occhio 3 — Asta terminale con grazia 4 — Tratto ascendente 5 — Occhiello 6 — Orecchio 7 — Tratto discendente 8 — Cravatta 9 — Braccio
— Anatomia alfabeto Latino.
118
10 — Apice 11 — Barra 12 — Vertice 13 — Asta verticale 14 — Asta orizzontale 15 — Asta primaria e secondaria 16 — Gamba 17 — Spina 18 — Coda
— Type Design —
1
ascendente
8
5
corpo
9
4
altezza del segno
10
7
6 2
linea base
discendente
3
11
14 12
1 — Bandiera 2 — Terminale 3 — Radice 4 — Trattino ebraico 5 — Tetto 6 — Gamba Nitzan 7 — Spilla 8 — Corno 9 — Braccio 10 — Spina dorsale
15
13
16
18 17
11 — Lingua 12 — Passo 13 — Coda 14 — Gamba 15 — Occhiello 16 — Arco 17 — Becco 18 — Proboscide
— Anatomia alfabeto Ebraico.
119
7
ionosfera 1 altezza del
2
5
3 5 4
mantello
1 — Connessione 2 — Cuspide 3 — Supporto 4 — Arnia 5 — Contro spazio 6 — Uncino 7 — Tratto ascendente 8 — Tratto discendente 9 — Naso
— Anatomia alfabeto Devanagari.
120
corpo
5 6 9 8
linea base
— Type Design —
corpo
1
ascendente altezza grafia
discendente
5 2
4
6 linea base
3
1 — Asta ascendente 2 — Connessione 3 — Punto 4 — Occhiello 5 — Collo 6 — Dente
— Anatomia alfabeto Arabo.
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Correzioni ottiche —
122
— Type Design —
123
124
— Type Design —
125
126
— Type Design —
127
Unità di misura —
Sistema Didot
Sistema Pica
mm
Punti Didot 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 24 36 48 60 72
0,376 0,752 1,128 1,504 1,880 2,256 2,632 3,008 3,384 3,760 4,136 4,512 9,025 13,538 18,051 22,563 27,076
Punti Pica 1,066 2,132 3,198 4,264 5,331 6,397 7,463 8,529 9,596 10,662 11,728 12,794 25,589 38,384 51,179 63,974 76,769
Punto Didot x 1,0662461 = Punto Pica Punto Didot x 0,376065 = mm Cicero x 4,51278 = mm Cicero x 1,0662461 = Pica
— Tabelle di conversione Didot/Pica, Pica/Didot.
128
mm
Punti Pica 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 24 36 48 60 72
0,352 0,705 1,058 1,410 1,763 2,116 2,468 2,821 3,174 3,527 3,879 4,232 8,464 12,697 16,929 21,162 25,394
Punti Didot 0,937 1,875 2,813 3,751 4,689 5,627 6,565 7,502 8,440 9,378 10,316 11,254 22,508 33,763 45,017 56,272 67,526
Punto Pica x 0,9378697 = Punto Didot Punto Pica x 0,352700 = mm Pica x 4,2324 = mm Pica x 0,9378697 = Cicero
— Type Design —
6 punti
8 punti
10 punti
12 punti
14 punti
24 punti
36 punti
48 punti
60 punti
72 punti — Rappresentazione in diversi corpi del carattere Univers.
129
Classificazioni dei caratteri —
Francis Thibaudeau, classificazione dei caratteri, 1924.
130
— Type Design —
Derivano dai primi caratteri umanistici del XV secolo. Da Garamond e Aldo Manuzio. Il disegno si ispira ai caratteri rinascimentali. Derivano dai caratteri disegnati tra il XVII il XVIII secolo. Disegnati sui modelli dei caratteri dei Didot e del Bodoni.
Con i tratti terminali (grazie) squadrati.
Senza tratti terminali.
Derivano dalle incisioni lapidarie e xilografiche.
Scritture, delle cancelleresche alle attuali.
Disegno del carattere nel quale si nota l'intervento manuale.
Gotici in tutte le varianti.
Maximilien Vox classificazione dei caratteri, 1954.
131
Lapidari
Scritti
Medievali
Ornati
Veneziani
Egiziani
Transizionali
Lineari
Bodoniani
Fantasie
Aldo Novarese, classificazione dei caratteri, 1956.
132
— Type Design —
Conveniente Sconveniente Aldo Novarese, schema degli accostamenti, 1956.
133
Elementi di un carattere —
Maiuscolo
A B C D E F G H I J K L M N O P Q R ST UVW XY Z Minuscolo
abcdefghijklmnopqrstuvwxyz Maiuscoletto A B C D E F G H I J K L M N O P Q R ST UVW XY Z
Segni di interpunzione
? ! # & " ' ( ) , - – _ . / : ; ) [ ] { } \ « »< > ´ …• Segni diacritici
Accento grave
Accento acuto
Accento circonflesso
Caron
Tilde
Circoletto
Macron
Accento breve
Ogonek
Cediglia
134
Dieresi
— Type Design —
Numeri
0123456789 Cifre Old Style
Numeri esponenti e deponenti 0123456789
N 0123456789
Frazioni
½¼¾ Legature
ff fi fj fl ffi ffj ffl Th ff fi fj fl ffi ffj ffl Th
135
Interlinea, spaziatura e crenatura â&#x20AC;&#x201D;
Interlinea InterlineaBearum, is archilibus id quo berumenia nonet ventendamet fugia quae officimaxima volor rehenti onsectate qui que oditas evenienimpe omnist vernatus dolupit pelesti siminus as int iligent, cor aut re quibus, ant utem imilluptae. Ut exerum que ventum eiciet volorum quatem quia quis dolo molestiae cus dolor rem aut eaquamet ex eum myv qui sum soloribus ut atur, od et ius. Volecte nimincto cullis del et estia cusam fask nonsequias pe debitat urione solup Ture elessint landand erspita tiorepedis doluptas porem ullest, occus dolorum lacepelia velenda que comnimincto ipsamenis et ministri nem et id estiaescipsa dit eria sime litatem paracetamolo peliber greenday que erestiat optam bja dolum md qui tc jw remposa saperchit et asitae pra volum endisVent, quo bea sequatur? Ulpa duciet.
Spaziatura InterlineaBearum, is archilibus id quo berumenia nonet ventendamet fugia quae officimaxima volor rehenti onsectate qui que oditas evenienimpe omnist vernatus dolupit pelesti siminus as int iligent, cor aut re quibus, ant utem imilluptae. Ut exerum que ventum eiciet volorum quatem quia quis dolo molestiae cus dolor rem aut eaquamet ex eum myv qui sum soloribus ut atur, od et ius. Volecte nimincto cullis del et estia cusam fask nonsequias pe debitat urione solup Ture elessint landand erspita tiorepedis doluptas porem ullest, occus dolorum lacepelia velenda que comnimincto ipsamenis et ministri nem et id estiaescipsa dit eria sime litatem paracetamolo peliber greenday que erestiat optam bja dolum md qui tc jw remposa saperchit et asitae pra volum endisVent, quo bea sequatur? Ulpa duciet explibus quos ipsunt,Aximo tore volorem int asperfe rferum lam hita quia voluptatu. Loria sitiur? Quis antota am aut molor mi, sum dolorepedi resciundam, que si rectp
136
â&#x20AC;&#x201D; Type Design â&#x20AC;&#x201D;
Crenatura
Univers Univers Univers Univers Univers Univers Univers
0
- 10
- 50
- 75
- 100
- 125
- 200
137
Composizione tipografica â&#x20AC;&#x201D;
Fic temquibus. Cumenistis utecturis es repedi vendene ctiunt parum del ipsaeculpa vel et faces eos inciendae parum volecabor sequamus.Imet officti beaquid igendisci corisci doluptati nos unt laboreptas et velitam nonsedia et is expliat qui aut landict aestium nobist aut mossequ aersperro beaqui ratquas dollupt atiumquam, uspore vent e
Composizione a sinistra
Fic temquibus. Cumenistis utecturis es repedi vendene ctiunt parum del ipsaeculpa vel et faces eos inciendae parum volecabor sequamus.Imet officti beaquid igendisci corisci doluptati nos unt laboreptas et velitam nonsedia et is expliat qui aut landict aestium nobist aut mossequ aersperro beaqui ratquas dollupt atiumquam, uspore vent e
Composizione a destra
Fic temquibus. Cumenistis utecturis es repedi vendene ctiunt parum del ipsaeculpa vel et faces eos inciendae parum volecabor sequamus.Imet officti beaquid igendisci corisci doluptati nos unt laboreptas et velitam nonsedia et is expliat qui aut landict aestium nobist aut mossequ aersperro beaqui ratquas dollupt atiumquam, uspore vent e
Composizione a blocco
138
â&#x20AC;&#x201D; Type Design â&#x20AC;&#x201D;
Fic temquibus. Cumenistis utecturis es repedi vendene ctiunt parum del ipsaeculpa vel et faces eos inciendae parum volecabor sequamus.Imet officti beaquid igendisci corisci doluptati nos unt laboreptas et velitam nonsedia et is expliat qui aut landict aestium nobist aut mossequ aersperro beaqui ratquas dollupt atiumquam, uspore vent e Fic temquibus. Cumenistis utecturis es repedi vendene ctiunt parum del ipsaeculpa vel et faces eos inciendae parum volecabor sequamus.Imet officti beaquid igendisci corisci doluptati nos unt laboreptas et velitam nonsedia et is expliat qui aut e
Composizione lapidaria
Composizione sagomata
Composizione a finalino
139
140
— Type Design —
141
— Parte VI Clare Sans —
142
Clare Sans Maiuscolo 26 glifi
Maiuscolo con segni diacritici 61 glifi
Minuscolo 26 glifi
Minuscolo con segni diacritici 59 glifi
Numeri 14 glifi
Segni di interpunzione 41 glifi
Legature 6 glifi
Altro 14 glifi
Specimen completo 258 glifi
143
Clare Sans â&#x20AC;&#x201D; Costruzione specimen
144
— Clare Sans —
145
146
— Clare Sans —
147
148
— Clare Sans —
149
150
— Clare Sans —
151
152
— Clare Sans —
153
154
— Clare Sans —
155
156
— Clare Sans —
157
158
— Clare Sans —
159
160
— Clare Sans —
161
162
— Clare Sans —
163
164
— Clare Sans —
165
166
— Clare Sans —
167
168
— Clare Sans —
169
170
— Clare Sans —
171
172
— Clare Sans —
173
174
— Clare Sans —
175
Il bitter campari che scavava nel vermouth rosso. E poi fu il seltz. Già, questo è Dio. Il bitter campari che scavava nel vermouth rosso. E poi fu il seltz. Già, questo è Dio. Il bitter campari che scavava nel vermouth rosso. E poi fu il seltz. Già, questo è Dio.
176
— Clare Sans —
In quel buio profondo la draghessa sforzò gli occhi ma non potè vedere nulla. In quel buio profondo la draghessa sforzò gli occhi ma non potè vedere nulla. In quel buio profondo la draghessa sforzò gli occhi ma non potè vedere nulla.
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Pack my box with five dozen liquor jugs. Pack my box with five dozen liquor jugs. Pack my box with five dozen liquor jugs. 178
— Clare Sans —
The quick brown fox jumps over the lazy dog. The quick brown fox jumps over the lazy dog. The quick brown fox jumps over the lazy dog. 179
Portez au juge cinq bols de vos fameux whisky.
180
— Clare Sans —
Grimpez quand ce whisky flatte vos bijoux.
181
Vom Ödipuskomplex maßlos gequält, übt Wilfried zyklisches Jodeln.
182
— Clare Sans —
Zwölf laxe Typen qualmen verdächtig süße Objekte.
183
184
— Clare Sans —
185
— Bibliografia e Sitografia —
186
Astle Thomas, The origin and progress of writing, Londra, 1784. Baroni Daniele, Vitta Maurizio, Storia del design grafico, Longanesi, Milano, 2003. Bringhurst Robert, Gli elementi dello stile tipografico, Sylvestre Bonnard, Milano, 2001. Cardona Giorgio Raimondo, Antropologia della scrittura, Loescher, Torino, 2003. Carmi Elio, Israela Wegher Elena, Branding D.O. Progettare una marca. Una visione Design Oriented, Fausto Lupetti Editore, Bologna, 2017. Cheng Karen, Designing Type, Yale University Press, New Haven, 2005. Chappell Warren, Bringhurst Robert, Breve storia della parola stampata, Sylvestre Bonnard, Milano, 2004. De Maria Cristina, Fedriga Riccardo, Il paratesto, Sylvestre Bonnard, Milano, 2003. Febvre Lucien, Martin Henri-Jean, La nascita del libro, Laterza, Bari, 2011. Füssel Stephan, The Gutenberg Bible, Taschen, 2018. Jubert Roxanne, Typography And Graphic Design: From Antiquity to the Present, Groupe Flammarion, Parigi, 2006. Kinross Robert, The digital wave «Eye Magazine», n. 7, Vol. 2, Londra, 1992. Lupia Maria Teresa, Tavosanis Mirko, Gerbasi Vincenzo, Editoria digitale, UTET Università, Torino, 2011. Martin Henri-Jean, Storia e potere della scrittura, Laterza, Bari, 2009. McNeil Paul, The Visual History of Type, Londra, 2017. Meggs Philip Baxter, Purvis Philip Alston Willcox, Meggs’ History of Graphic Design, John Wiley & Sons Inc, Hoboken, 2012. Mistretta Enrico, L’editoria - Un’industria dell’artigianato, Il Mulino, Bologna, 2006. Ponte di Pino Oliviero, I mestieri del libro, TEA, Milano, 2012. Rossi Fabrizio M., Il nuovo caratteri e comunicazione visiva. Introduzione allo studio della tipografia, IkonaLíber, Roma, 2017. Steinberg Siegfried Henry, Cinque secoli di stampa, Einaudi, Torino, 1962. www.polidesign.net/type www.fontself.com/
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Finito di stampare nel mese di Settembre 2018 presso Arti Grafiche Leonardi, Catania.
La tipografia deve essere bella come una foresta, non come la giungla dei palazzi. Dando la distanza tra gli alberi, la stanza può respirare permettendo la vita. Adrian Frutiger