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Darina / Daria
Diminutivo di Daria, nome di origine persiana che deriva dal nome tradizionale della dinastia dei re Achemenedi, Darayavaush. Successivamente assume la forma greca di Dareios e il suo significato è “che mantiene il bene, che ha in sé il bene”. Tra 1880 e 2019 sono nate con il nome Darina 6.069, nell’ultimo anno 79 nascite. In Italia, negli anni settanta godeva di buona diffusione su tutto il territorio nazionale, con circa novemila occorrenze; le rare forme diminutive erano proprie del Nord. Il nome è particolarmente usato nei paesi slavi, in particolare in Cecoslovacchia, dove si è in parte confuso con Dorotea; in Slovenia e Croazia è usato anche il diminutivo Darinka, che in parte rappresenta anche un derivato dal termine slavo dar (“dono”). È attestato, a partire dal Settecento, anche nei paesi anglofoni, dove però non è mai diventato molto comune. L’onomastico si può festeggiare in memoria di più sante, alle date seguenti: 17 giugno, santa Daria, martire a Venafro con il marito Nicandro sotto Massimiano; 19 luglio, santa Daria, martire a Costantinopoli; 21 ottobre (o 31 marzo), santa Daria, madre di sant’Orsola; 25 ottobre, santa Daria, martire a Roma con il marito Crisante; 25 ottobre, santa Daria, martire nel Connaught. Due le martiri della guerra civile spagnola: Daría Campillo Paniagua C.C.V., 24 novembre, e Daria Andiarena Sagaseta S.de.M., 7 dicembre. Tra i personaggi famosi, Daria Bertolani Marchetti, botanica e accademica italiana; Daria Bignardi, giornalista, conduttrice televisiva e scrittrice italiana; Daria de Pretis, giurista italiana; Daria Galateria, scrittrice e traduttrice italiana; Daria Guidetti, astrofisica e divulgatrice scientifica italiana; Daria Halprin, attrice, danzatrice statunitense; Daria Kinzer, cantante croata; Daria Menicanti, poetessa, insegnante e traduttrice italiana; Daria Nicolodi, attrice e sceneggiatrice italiana; Daria Strokous, modella russa; Daria Werbowy, modella polacca naturalizzata canadese; Daria Zawiałow, cantante polacca.
Bruno
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... in ricordo di mio cugino Bruno è un raggio di sole in una notte di bufera urlante acquieta, placa, seduce.
Tramestio lesto riporta ai piedi di un monte sguardo solleva veli lacrime salse inzuppano guanciale. Mestizia fonda quella che sento vedo ed odoro interrogazione sagace che non ammette repliche. Ricordi d’ infanzia alle labbra fanno capolino rivedono volti sorridenti gesti affettuosi braccia protese. La fede insegna ad avere fede per incedere fra sentieri tortuosi valli in ombra.
Anche per te un grazie per l’umiltà con cui hai dipinto la vita per l’ allegria schietta e spontanea per l’amore generoso che hai donato per le braccia di padre con cui hai sorretto Vincenzo per la tenacia che hai sempre dimostrato. Dalle volte celesti sui tuoi cari veglia amorevole proteggi e conduci mai abbandona il nostro passo.
Notte fonda ingoia istanti fa nascere sogni accenna sfumature.
Me ne stavo appartato in un locale al tavolo con qualche adulto e un altro amichetto forse. Stavamo composti e silenziosi circondati da altre tavolate di persone che altrettanto ordinatamente attendevano in quel ristorante o probabilmente pizzeria. Non che ci fossi stato tante volte, avrò avuto del resto, 6 o 7 anni.
I miei nonni avevano un’osteria e spesso sgattaiolavo nel cinema giusto al di là della strada. Questo solo per indicare che, anche se bimbo, stavo in mezzo alla gente e ne conoscevo, o meglio, ne osservavo i comportamenti.
Non avevo mai visto nulla che andasse oltre la normalità, anche perché ero benvoluto, coccolato e sorvegliato. Erano sempre risate, chiacchiere e discussioni nella più esemplare delle normalità. E forse, tornando velocemente a quel locale, ricordo che tutti posarono l’orecchio sull’esterno del cortile, del parcheggio dove si sentì chiaramente lo stridere di una frenata di un’auto in arrivo: le gomme, i pneumatici sull’asfalto. Questo creò un clima d’attesa in tutti noi all’interno; lo vedevo sul volto di tutti coloro che occupavano la sala. Poi lo sbattere violento di una portiera generò il silenzio: gli sguardi di tutti fissavano l’entrata.... Comparve un solo uomo con una maglia e una giacca aperta, vestito leggero... considerando il freddo. Non degnò nessuno di uno sguardo e al cameriere o padrone che gli si fece incontro indicò freddamente e con distacco glaciale un tavolo vicino alla finestra, come dire: dammi quel dannato tavolo. Tre passi, lo raggiunse e togliendosela mentre lo raggiungeva gettò la giacca sulla sedia. Poi, senza dire una parola, accese una sigaretta. La nuvola azzurra del fumo mi riporta ancora a quel giorno. Non ricordo ne i tratti del volto ne alcunché. Solo il suo atteggiamento anomalo e fuori dalle righe. Certo, avevo 7-8 anni ma anche oggi, come allora, mi viene da chiedermi; ma chi era? Chi eri? Un uomo arrabbiato, deluso, forse solo un maleducato e strafottente o, forse, oggi come allora, un uomo diverso e non ordinario, in una conformità allargata in un conformismo che oggi è lo stesso, seppure all’opposto come allora? Chissà chi eri e cosa pensavi... Forse assolutamente niente, al di sopra di tutti e anche del tutto.
Enrico Savoldi
Ed Poesia
“E LI CHIAMANO CANI”
E li chiamano cani, ste piccole creature, piene di vita, creature perfette. Sembra che Dio li abbia mandati proprio per far riflettere l’uomo, umili all’infinito. Che grande prodigio, fedeli sin all’ultimo respiro, vivono poco proprio per quello, per far capire che l’animo va protetto, non se ne può fare a meno, certi sono eroi senza gloria, e quando se ne vanno, il tempo si ferma, rimane il vuoto e la mancanza.
E li chiamano cani, compagni che nella vita lasciano l’impronta. Se non ci fossero bisognerebbe inventarli, sono angeli a quattro zampe, non chiedono nulla, solo una ciotola, ma in compenso ti rubano l’anima
Ad ascoltarlo, l’umore cambia più o meno sottilmente diverse volte nell’arco di ventiquattr’ore. Sfumature o colori marcati attraversano le ore della giornata, si intrecciano, fluiscono. Li lascio fare. Ovviamente con quelli buoni si sta bene. Ho capito, invece, che il modo migliore -e anche più veloce- per superare gli umori grigi è lasciare che stiano con me, accettare la loro presenza come compagni che mi camminano a fianco, finché non se ne vanno. Perché spesso, impercettibilmente come sono venuti, impercettibilmente se ne vanno.Il sottobosco degli umori è ricco e variegato. A volte è appena percettibile, e ci vogliono silenzio e calma per comprendere di quali forme è fatto in quel momento. Spesso ho l’impressione che quegli stati d’animo abbiano solo bisogno di essere riconosciuti e accettati, come qualunque essere umano vorrebbe per se stesso, e una volta che sono stati accolti, se ne vanno tranquilli, messaggeri che hanno compiuto il loro compito e che possono tornare alla loro vita.Altrimenti, come individui non amati, si ostinano a reiterare il loro messaggio, non se ne vanno, chiedono attenzione, puntano i piedi. Rimangono lì, cocciuti, arrabbiati.Meglio amarli, se possibile. O perlomeno accoglierli riconoscendo la loro dignità d’esistenza.Tutto scorre.
Sguardiepercorsi
Orizzonti
Viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma non tutti abbiamo il medesimo orizzonte.
Konrad Adenauer
Qualche giorno fa ho riletto un post e ho pensato a queste parole…Sotto il cielo della malattia, gli orizzonti individuali sono davvero molto diversi. La condivisione di questa signora testimonia un modo possibile di percorrere una strada difficile, apre un orizzonte che allevia un po’ l’angoscia. Certo, non è possibile sapere quale potrà essere la nostra reazione a un duro colpo della vita e non penso solo alle malattie, ma ai tanti eventi dolorosi e pesanti che nell’arco di una vita prima o poi incontriamo.
Saremo forti abbastanza per reggere all’urto?
Sapremo affrontarli senza venirne distrutti?
Le esperienze vissute, le riflessioni fatte, ciò che
Pensieri E Parole
avremo maturato, le risorse che avremo coltivato, ci sosterranno? Non possiamo saperlo in astratto, lo scopriamo vivendo, calati nelle situazioni concrete.
Possiamo costruire la nostra casa su basi solide e con materiali di buona qualità, possiamo coltivare il nostro giardino: credo sia molto.
Penso alle tante storie che ho ascoltato, a quante durissime prove la vita può farti incontrare, e non vedo altra via che aggiungere vita ai giorni, come diceva la Levi Montalcini.
Così, ora depongo per un po’ le storie altrui, e mi fermo. Sono in vacanza: coltiverò il mio giardino con calma. Ho libri che mi aspettano, luoghi da visitare, amici con cui stare.
Rallento, e ci vuole tempo anche per questo. Ma ora ce l’ho, e lo accolgo con gratitudine. sguardiepercorsi