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Disagio psichico, un’emergenza in crescita

A fianco: attività ludico-sociali presso le comunità di Domus Coop Sotto: Monia Fantuzzi, psicologa e responsabile della Casa S. Francesco

Disagio psichico giovanile: un’emergenza in crescita

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I mutamenti del fenomeno, che interessano sempre più le giovani generazioni, richiedono un nuovo approccio che, a fianco di specifiche terapie mediche, abbraccino tutti gli aspetti relazionali. Monia Fantuzzi (Domus Coop) racconta le tipologie di intervento sui minori svolte in comunià e insieme ai loro famigliari

l disagio psichico, dai dati in possesso della cooperativa Domus Coop, presenta un mutamento rispetto al passato: se prima le patologie erano controllabili con terapie specifiche, oggi si registra una crescita di persone verso le quali è necessario un approccio relazionale completo, dove non si agisce solo sul sintomo, ma sulla creazione di condizioni ambientali e di “contenitori” dove le persone possano assumere comportamenti funzionali. Questo tipo di disagio interessa anche i giovani, a cui Domus Coop offre risposte tramite l’accoglienza presso Casa San Francesco, comunità educativa integrata maschile, che ospita bambini e ragazzi fino alla maggiore età”. “Il nostro intervento - spiega Monia Fantuzzi, psicologa e responsabile della Casa - mira a creare innanzitutto una consapevolezza della fragilità delle persone che accogliamo, condizione necessaria per costruire insieme la relazione con se stessi e con gli altri: I

cerchiamo di realizzare tutto ciò in un ambiente sereno e stimolante per accompagnarli verso comportamenti adattivi. L’aspetto relativo all’ambiente di vita è molto importante, in quanto molti dei ragazzi provengono da situazioni famigliari di disagio, che possono, in certi casi, non aver favorito un loro sviluppo armonico. In quest’ottica è fondamentale il lavoro che viene svolto, parallelamente

al ragazzo, con la famiglia, al fine di creare le condizioni per una relazione più funzionale con il proprio figlio”. Si tratta di un processo lungo che deve partire da un presupposto chiaro: gli operatori devono conquistarsi la fiducia della famiglia che, a sua volta, deve fidarsi e affidare loro pienamente la cura del figlio. Se scocca questa scintilla è possibile avviare un percorso. “In effetti è proprio così - continua Monia - all’inizio, pur in situazioni disgregate, noi cerchiamo di vedere nei genitori tutte le positività residue e di valorizzarle, mostrando loro i bisogni dei figli e stimolando risposte in termini di riattivazione di una relazione educativa positiva. I contatti fra ragazzi e famiglie vengono dapprima filtrati (telefonate in viva voce o incontri mediati) e, successivamente ampliati quando le condizioni lo permettono (incontri liberi) e le finalità del progetto vanno in questa direzione (week end a casa o vacanze). Ma, ripeto, alla base di tutto, c’è la fiducia: quando la percepiamo nei genitori, il terreno diventa più fertile, per la crescita dei loro figli e per la relazione fra genitori e figli, ben coscienti che il nostro compito non è quello di sostituirli, ma di affiancarli nel loro ruolo educativo, supportandoli laddove presentano maggiori fragilità”.

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