Lo Hobbit Edizione da Collezione

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capitolo 2

MONTONE ARROSTO

B

ilbo balzò su e, messosi la vestaglia, andò in sala da pranzo. Non vi trovò nessuno, ma erano ben visibili i segni di una colazione abbondante e frettolosa. Nella stanza c’era un disordine spaventoso, e in cucina pile di stoviglie da lavare. Sembrava che fossero state adoperate quasi tutte le pentole e le casseruole che possedeva. I piatti da lavare erano così malinconicamente reali, che Bilbo fu costretto a convincersi che la riunione della notte precedente non aveva fatto parte dei suoi incubi, come sperava vagamente. Ma si sentì proprio sollevato pensando che, dopo tutto, se ne erano andati senza di lui, e senza darsi disturbo di svegliarlo (‘ma senza neppure dire grazie’, pensò); eppure non riusciva a fare a meno di provare una certa delusione. Questa sensazione lo sorprese. ‘Non essere sciocco, Bilbo Baggins!’ si disse. ‘Pensare ai draghi e a tutte quelle bizzarre assurdità all’età tua!’ Così si mise un grembiule, accese i fornelli, scaldò l’acqua e lavò i piatti. Poi si fece una bella colazioncina in cucina prima di avviarsi verso la sala da pranzo. A questo punto il sole splendeva e la porta d’ingresso era aperta, facendo entrare una tiepida brezza primaverile. Bilbo cominciò a fischiettare forte e a dimenticare quanto era accaduto la notte precedente. Stava, infatti, per mettersi davanti a una seconda bella colazioncina, in sala da pranzo, accanto alla finestra aperta, quando entrò Gandalf. “Vecchio mio,” gli disse, “ma quando ti decidi a venire? E la partenza di buon’ora dov’è finita? Eccoti qui a fare colazione, o

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