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Il valore della qualità
La certificazione di un prodotto o di un processo, anche nel settore del gioco, assume un nuovo e ancor più pregnante significato a seguito della pandemia
di Anna Maria Rengo
fa presto a dire “qualità”, che nell’attuale contesto produttivo e organizzativo italiano va di pari passo con “certificazione”. A fare il punto con Gioco News della valenza e del significato di questi due termini, in un contesto generale e poi focalizzato anche sul settore del gioco, è il professore Carlo Ingrao, docente all’Università degli Studi di Foggia di varie materie, tra cui Qualità e certificazioni dei prodotti e servizi turistici. “Il concetto di qualità è spesso associato a quello di valore, formando così l’espressione ‘qualità come valore’, che ha come obiettivo quello di individuare le esigenze dei consumatori e capire come soddisfarle traducendole in specifiche tecniche. A tal proposito, è importante ricordare che la Uni En 28402:1992 descrive la qualità come ‘l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse od implicite’. È chiaro che la qualità deve essere verificata e quindi certificata, per poter essere comunicata e per rafforzare l’immagine e la competitività aziendale sul mercato. Ecco che entra in gioco il concetto di certificazione, che viene definita come ‘l’attività che trova soluzioni ottimali a problemi che si ripetono, nel campo della scienza, della tecnica e dell’economia,
Si tendendo così ad ottenere il grado ottimale di ordine, in un dato contesto’. La certificazione di qualità non è altro che l’attestazione rilasciata da un ente preposto accreditato, generalmente detto ‘ente di certificazione’ a un’organizzazione, pubblica o privata che sia, che soddisfi un insieme di norme a validità internazionale”. Quali sono i principali obiettivi che devono essere assicurati attraverso un percorso di certificazione di un prodotto o processo? “Gli obiettivi principali sono i seguenti: conseguire e mantenere la qualità dei propri prodotti e ricercarne il continuo miglioramento in relazione ai requisiti per la qualità; migliorare la qualità del proprio modo di operare così da soddisfare in modo continuativo le esigenze espresse ed implicite dei clienti e delle altre parti interessate; far sì che l’alta direzione, nonché tutti gli altri dipendenti acquistino confidenza sulla loro capacità di soddisfare i requisiti per la qualità e di attuare strategie di miglioramento continuo, affinché quei requisiti siano mantenuti attivi; dare confidenza ai consumatori, ai clienti e alle altre parti interessate sulla capacità presente e futura dell’organizzare di conseguire i requisiti per la qualità nella produzione del prodotto o servizio fornito”. Quali sono invece i benefici, anche in termini di competitività e di mercato?
“I vantaggi della certificazione possono essere così riassunti in via generale: apertura a nuovi mercati nei quali essa è un requisito indispensabile come nel caso di esportazioni di prodotti in paesi nei quali la certificazione è consolidata; verifica e attestazione della validità del Sistema Qualità aziendale da parte di un Ente terzo; riduzione/esclusione di certificazioni (e valutazioni) multiple di parte seconda, cioè quelle che ogni cliente (soprattutto di grandi dimensioni) esegue/eseguiva con propri accertamenti; ritorno positivo in termini di immagine aziendale sia in termini di credibilità che di coerenza delle politiche aziendali; stimolo ad operare al meglio secondo quanto previsto dal Manuale della Qualità, spingendo ad una più costante attività di controllo e di miglioramento continuo del Sistema Qualità; diffusione della cultura e degli strumenti base della Qualità a livello del sistema economico nazionale e/o sovranazionale; miglioramento dell’efficienza aziendale dovuta ad una revisione dei processi aziendali ed a una loro razionalizzazione; ridimensionamento delle responsabilità legali di prodotto difettoso”. E quali sono le tappe imprescindibili che un’azienda deve compiere per giungere alla certificazione di qualità? “Innanzitutto, è importante sottolineare che le aziende che intendono intraprendere un percorso di implementazione del Sistema di Gestione della Qualità (Sgq), di cui richiederne la certificazione, deve dotarsi di un responsabile di Sgq, interno o esterno, o di un consulente che sia responsabile della qualità aziendale. A quel punto, deve redigere il manuale secondo i dieci punti previsti dalla norma Iso 9001:2015, secondo l’‘High Level of Structure’, che prevede la suddivisione del suddetto manuale nei seguenti punti: scopo e campo di applicazione; riferimenti normativi; termini e definizioni; contesto dell’organizzazione; leadership; pianificazione per il Sgq; supporto; attività operative; valutazione delle prestazioni; miglioramento. Successivamente, compirà tutta una serie di attività di miglioramento e autocontrollo, in quest’ultimo caso attraverso audit interni, per poi procedere ad un audit da parte terza, ossia audit esterni in azienda dall’ente di certificazione con cadenza regolare concordata”. Lei ritiene che la pandemia abbia mutato le esigenze di “qualità” che si richiedono a un’azienda? “A seguito della pandemia del Covid-19 sono accadute importanti modifiche nella scelta dei prodotti da parte dei consumatori, particolarmente nelle filiere agroalimentari; la qualità può e deve rappresentare la variabile distintiva delle eccellenze. Qualità che però deve essere ottenuta attraverso misure che aumentino la sostenibilità ambientale, economica e sociale in un approccio integrato, come quelle legate alla circolarità dei cicli produttivi in un contesto di economia circolare. Grazie alla certificazione si ha una sicurezza maggiore a vantaggio dei consumatori, ma anche delle imprese produttrici che vedono il loro lavoro tutelato. Il miglioramento della qualità dei prodotti risponde alla esigenza di orientare maggiormente le produzioni agricole al mercato, caratterizzato da una domanda sempre più segmentata e attenta alle caratteristiche qualitative dei prodotti agroalimentari”. Lei si occupa in particolare di sostenibilità in campo ambientale. Prendendo proprio a riferimento il concetto di sostenibilità, non solo ambientale, che valenza esso assume nella società contemporanea? “Siamo ben consapevoli ormai che la società moderna è chiamata ad affrontare diverse sfide, molte delle quali sono inderogabili: la sostenibilità è una di queste. Una società si può ritenere sostenibile quando vive in simbiosi con l’ambiente e le persone, rispetta tutti gli esseri viventi, non utilizza più risorse di quelle che riesce a produrre, e non genera più rifiuti ed emissioni di quelle che essa riesce ad assorbire. La sostenibilità rappresenta, infatti, quel processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali sono in sintonia tra loro e valorizzano il potenziale attuale e futuro per far fronte ai bisogni e alle aspirazioni dell’uomo. Ecco che la sostenibilità diventa il principio guida dello sviluppo sostenibile, che Gro Harlem Brundtland nel Rapporto Brundtland intitolato ‘Our Common Future’ del 1987 ha definito come quella forma di sviluppo “in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza intaccare la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Si comprende quindi l’importanza di tutelare le risorse del pianeta in quanto queste sono sì fondamentali per l’esistenza umana ma sono anche limitate e quindi vanno utilizzate proprio con la consapevolezza di quel limite, per preservarne qualità e accessibilità per le generazioni future. Da qui l’importanza, riconosciuta anche dall’Unione Europea, dell’economia circolare che attraverso la condivisione, la riparazione, il riutilizzo, e la rimanifattura, noti come ‘resource loops’, rallenta e chiude i cicli del consumo delle risorse, rendendo i processi produttivi sostenibili. Sostenibilità che si può ritenere integrata soltanto quando le sue tre dimensioni, quella ambientale, quella economica, e quella sociale sono soddisfatte, come a formare un triangolo: solo quando tutte e tre quelle componenti sono soddisfatte si può parlare di processi e cicli di vita Sostenibili, con la ‘S’ maiuscola. Se vogliamo entrare nel merito delle tre componenti, spesso anche chiamate ‘dimensioni’, della sostenibilità, possiamo affermare che lo sviluppo può solo essere considerato sostenibile dal punto di vista ambientale, se la protezione dell’ecosfera è assicurata nel lungo periodo. Ciò sta a significare che la capacità di assorbimento dei sistemi naturali delle influenze antropiche deve essere gestita, le risorse rinnovabili dovrebbero essere usate in modo sostenibile e l’uso delle risorse non rinnovabili deve essere minimizzato. La sostenibilità ambientale richiede la presa di coscienza delle finite risorse naturali, della debolezza dell’ambiente e dell’influsso che hanno su di esso le attività e le de- >
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cisioni umane. La sostenibilità economica richiede la comprensione dei limiti e delle potenzialità della crescita economica e la conoscenza del loro impatto sulla società e sull’ambiente. È necessario generare in modo duraturo reddito e lavoro per il mantenimento della popolazione, attraverso l’uso razionale ed efficiente delle risorse e diminuendo l’utilizzo di quelle non rinnovabili. Il presupposto per la sostenibilità economica è uno sviluppo economico costante e stabile, compresi i livelli elevati di occupazione, i tassi di inflazione bassa e un equilibrio nel commercio estero. Infine, la sostenibilità sociale si focalizza sugli aspetti di distribuzione, in particolar modo su una distribuzione giusta delle possibilità di sviluppo nei termini inter ed intra-generazionale. La sostenibilità sociale richiede di concepire il ruolo delle istituzioni nel cambiamento e nello sviluppo di sistemi democratici. Bisogna garantire pari condizioni di accesso alle opportunità (sicurezza, salute, istruzione, socialità, e tempo libero) equamente distribuite tra strati sociali, età, generi e tra le generazioni presenti e quelle future”. Cosa consiglierebbe a un’azienda che volesse intraprendere un percorso di certificazione? “Innanzitutto è necessario che qualsiasi organizzazione pubblica o privata che decide di intraprendere un percorso simile acquisisca un livello di maturità ‘ottimizzante’ nella gestione dei processi aziendali. Un livello in cui l’azienda è in grado, nel senso che ha tutta le risorse, le competenze, le attrezzature, e le strutture necessarie per condurre l’analisi delle cause e delle conseguenze dei problemi per individuare i miglioramenti già in un’ottica preventiva, e per attuare i principi di gestione e controllo totale della qualità integrata. Livello di maturità ottimizzante vuol dire essenzialmente tre aspetti chiave che si chiariscono da soli: disponibilità e gestione di dati quantitativi per gli investimenti di capitale, automazione, e miglioramento. Così facendo, l’azienda ha tutte ‘le carte in regola’…ha una capacità di azione, gestione, e controllo che gli permette di affrontare l’implementazione e certificazione di un ipotetico Sgq che, già di per sé, richiede tempo, energie, e risorse. Quindi, quello che posso permettermi di consigliare ad un’azienda è credere veramente all’importanza di questi strumenti non soltanto per un proprio beneficio ma anche per il beneficio e la soddisfazione dei clienti, dei consumatori, e tutti le altre parti che sono direttamente e indirettamente interessate dall’azienda. È chiaro che soddisfazione dei clienti vuol dire per l’azienda aumento della sua competitività e incremento del fatturato a favore di investimenti interni che essa stessa può mettere in atto per adottare soluzioni di miglioramento continuo e mantenere così attivo il Sgq. Infine, un altro consiglio che sento di voler dare, perché so quanto questo influisca sul successo del percorso di cui alla sua domanda, va all’alta direzione e riguarda l’importanza di coinvolgere tutto il personale che lavora per e per conto dell’azienda, educandoli e sensibilizzandoli a questi strumenti di certificazione aziendali attraverso la consapevolezza della loro importanza per il miglioramento della qualità dei processi e dei prodotti, e quindi dell’immagine e della competitività dell’azienda stessa. È importante che ogni impiegato aziendale si senta parte di un progetto virtuoso, quale è l’implementazione del Sgq e sappia che il suo lavoro, i suoi comportamenti e sforzi fanno la differenza per la riuscita di quel progetto”. Ritiene importante che anche i prodotti del settore del gioco con vincita in denaro siano certificati? “Uno degli strumenti possibili a tale scopo potrebbe essere garantita dalla tecnologia ‘blockchain’. La tecnologia delle Blockchain, inizialmente sviluppata per la creazione delle cripto-valute, ha aperto l’era dell’Internet delle transazioni, consentendo di tracciare tutte le operazioni di qualsiasi natura con un registro distribuito e non hackerabile, eliminando la figura dell’intermediario con automatismi per la validazione sicura delle transazioni. L’unione di tale strumento tecnologico con il tracciamento dei prodotti agroalimentari rappresenta un “ottimo paretiano” per lo scambio e la certificazione dei prodotti Made in Italy. La tecnologia Blockchain, quindi, è stata introdotta per una valutazione sulla convenienza riguardo la tracciabilità indistruttibile e immodificabile delle transazioni tra soggetti. Rappresenta oggi un’opportunità per lo sviluppo di una nuova economia sia a livello nazionale che locale – mi riferisco alla mia Regione, la Sicilia - incidendo in maniera determinante su settori fondamentali, quali la tutela della salute del consumatore, il contrasto alla contraffazione alimentare, la promozione degli imprenditori virtuosi ed onesti, la promozione della trasparenza e la tracciabilità dei prodotti di eccellenza e delle vincite al gioco. La crescente richiesta del mercato per garanzie di sicurezza, trasparenza e tracciabilità può essere ben soddisfatta con l’adozione di questa tecnologia, generando fiducia sulla certezza delle transazioni”.
LUI CHI È?!?
Carlo Ingrao ha conseguito la laurea quinquennale in ‘Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio’ presso l’Università degli studi di Catania dove, qualche anno dopo, ha conseguito il dottorato di ricerca in ‘Ingegneria Geotecnica’. Abilitato alle funzioni di professore di II fascia in ‘Scienze Merceologiche’, nel febbraio 2020 ha conseguito un secondo dottorato di ricerca in ‘Infrastrutture Civili per il Territorio’ presso la Facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Università Kore di Enna. Sin dai tempi del suo primo dottorato, è attivo in ambito di ricerca su temi legati alla sostenibilità, all’economia circolare, e all’Analisi del Ciclo di Vita. Attualmente è in servizio presso il Dipartimento di Economia dell’Università degli studi di Foggia in qualità di ricercatore t.d. in ‘Scienze Merceologiche’. Qui tiene diversi insegnamenti, tra cui quello di “Qualità e certificazioni dei prodotti e servizi turistici” e “Laboratorio di Educazione Ambientale”, e svolge attività di ricerca su tematiche coerenti con le ‘Scienze merceologiche’. Nell’ambito di queste tematiche, è autore di numerose pubblicazioni su riviste di settore, capitoli di libri e atti di convegni, e ha tenuto numerosi seminari e relazioni in conferenze nazionali ed internazionali.
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