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Le attese del basket 16. La terza via tra passato selvaggio e divieto assoluto

Le attese del basket

Il presidente della Federazione italiana pallacanestro, Giovanni Petrucci, guarda con favore all’apertura del Governo in merito alla possibile sospensione temporanea del divieto di pubblicità per le scommesse, e traccia un bilancio drammatico delle conseguenze della pandemia sullo sport ma un altro, assai positivo, sui successi degli azzurri nelle varie gare internazionali

di Anna Maria Rengo

GIOVANNI PETRUCCI

PH. ARCHIVIO FIP/CIAMILLO-CASTORIA Sport tricolore messo a durissima prova dalla pandemia di Covid-19 che da marzo dello scorso anno ha fatto chiudere stadi, palazzetti, piste di atletica. Sport tricolore che aveva già subìto le ripercussioni del divieto di pubblicità e di sponsorizzazione da parte delle società di gioco, entrato in pieno vigore nel 2019 con il conseguente venir meno di importanti fonti di finanziamento soprattutto per le federazioni di quegli sport sui quali più si scommette.

A tracciare un bilancio, ora che la fase più dura della pandemia sembra (finalmente) alle spalle e che si potrebbero aprire nuovi scenari anche sul fronte di una rivisitazione del decreto Dignità, è il presidente della

Federazione italiana pallacanestro, Giovanni Petrucci.

Il mondo del basket italiano come ha vissuto la pandemia e come vive le attuali limitazioni che ancora lo interessano? “Abbiamo vissuto la pandemia con apprensione, preoccupazione, ma anche con attenzione e, mi permetto di dire, con senso di responsabilità. A inizio del marzo 2020 abbiamo sospeso, di comune accordo con le Leghe di Società e con i Comitati Regionali Fip, tutte le attività. Gli scudetti della passata stagione agonistica non sono stati assegnati: non accadeva dalla seconda guerra mondiale. Successivamente abbiamo lavorato, seguendo le indicazioni dell’Autorità di Governo, per la realizzazione dei protocolli per la ripresa progressiva degli allenamenti e dei campionati per tutti i livelli nel rispetto di tutte le norme di prevenzione e sicurezza. Mi scuserà il gioco di parole, ma ci sentiamo limitati dalla limitazioni. Il green pass è lo strumento giusto per consentire l’apertura oltre il 35 percento dei posti disponibili nei palazzetti e stiamo dialogando con le Istituzioni politiche per arrivare almeno al 50 percento subito (come già accade per gli spettacoli teatrali) di cui comunque non siamo contenti. Sarebbe il primo passo però, per arrivare poi, in breve tempo, al 100 percento. E fino a quando non ci si arriverà sarà una sconfitta per tutti, anche per il Governo. Ci piacerebbe se non dialogare, almeno avere spiegazioni dal Comitato tecnico scientifico, ma questi non ci risponde, né si confronta con noi. Lo scorso anno le società sono state bravissime a giocare senza pubblico, ma le difficoltà economiche, dopo 18 mesi, sono molto preoccupanti se non viene riattivata quella linfa vitale che gli spettatori rappresentano per le squadre. Sicuramente a livello economico, ma anche di entusiasmi e di comunità. Seriamente rischiamo la disaffezione del pubblico”.

Quali sono state le ricadute economiche della pandemia sul mondo del basket e che cosa chiedete al riguardo? “La Federazione tra la passata stagione agonistica e quella in corso ha sospeso tasse di gare e di tesseramento e assegnato contribuiti per la cifra di 13,7 milioni di euro. Una cifra importante per dare fiducia e respiro ai nostri tesserati. Abbiamo perso circa 75mila tesserati tra minibasket e giovanili: il che ha significato meno entrate per le società e i centri minibasket. Le Leghe hanno lanciato il grido di allarme che, mancando il pubblico, gli investitori si stiano ritirando e che abbiano perso una quota mercato di circa il 30percento per la serie A e addirittura del 45 percento fra serie A2 e B: siamo vicini ai 100 milioni di euro in meno considerando anche il basket femminile. Non si tratta solo di dare esposizione televisiva alle partite (che non è mai mancata). Gli spettatori al campo creano le occasioni per gli sponsor per un marketing di prossimità molto più importante ed efficace. Come ho detto qualche giorno fa, e non per citarmi, chiediamo alla politica di non fermarsi ai bei discorsi e ai complimenti, come quelli che abbiamo ricevuto un po’ tutti ai Giochi Olimpici e Paralimpici ed anche dopo, ma di agire e di prendere decisioni a favore dello sport, ascoltando chi lo sport lo fa ogni giorno. Di certo ci aspettiamo un intervento diretto e a più livelli, chiamateli ristori se preferite, e soprattutto che venga ridata la centralità al Coni, come è sempre stato, fino alla sciagurata riforma del 2018”. Che bilancio trae dei risultati italiani alle Olimpiadi 2020 di Tokyo e alla luce di ciò quanto è importante sostenere e promuovere lo sport nel nostro Paese? In che modo lo si può e deve fare? “È un bilancio molto più che positivo. Lo affermo senza alcuna presunzione. La presenza di due squadre Nazionali, nel 5c5 maschile e nel 3x3 femminile, è stata molto importante, sia dal punto di vista tecnico, sia da quello della promozione della nostra pallacanestro. È stato molto emozionante. Entrambe le squadre si sono qualificate nell’ultima gara disponibile e contro la squadra di casa che ospitava la sede della Qualificazione: le ragazze in Ungheria, a Debrecen, contro le magiare e i ragazzi contro la Serbia a Belgrado. Due vittorie storiche contro squadre più che blasonate. Il destino comune è continuato anche dopo: entrambe le squadre sono state eliminate ai Quarti, ma la magia e l’importanza dei Giochi Olimpici ha superato, per quanto importante, il risultato tecnico. La nostra pallacanestro ha avuto una nuova ed importante promozione. Al di là dei maggiori spazi che ci hanno concesso i media e la conseguente diffusione presso tutte quelle persone che non seguono normalmente il basket, i giovani si sono identificati nei giocatori della Nazionale. I ragazzi e le ragazze, al campetto, hanno cominciato a volere imitare le gesta di Mannion, Pajo-

la, Fontecchio, Melli, oltre che di Gallinari. Insomma il valore della pallacanestro italiana è stata riconosciuta a tutti i livelli e da tutte le generazioni. Mai come dopo i Giochi Olimpici e i Giochi Paralimpici di questa estate l’Italia si è identificata con tutto lo sport e non solo con il calcio. Non solo gli Italiani si sono sentiti campioni d’Europa con la Nazionale di Roberto Mancini e del presidente Gabriele Gravina, ma anche campioni olimpici nei 100 metri con Marcell Jacobs, nel salto in alto con Gianmarco Tamberi, nel pugilato con Irma Testa così come medaglia d’oro nel fioretto paralimpico con Bebe Vio. Al Governo il compito di non disperdere queste energie positive lavorando in sinergia con il Coni e le Federazioni”. Nel 2018, durante il primo governo Conte a guida Lega-Movimento 5 Stelle, è stato introdotto il divieto di pubblicità e sponsorizzazione da parte degli operatori di gioco. Come questa misura ha avuto impatto sulla vostra Federazione? Pensate sarebbe opportuno rivederla? “È un argomento delicato che mi sembra stia per avere una sua conclusione. Alcune settimane fa il presidente Coni Giovanni Malagò ha buttato il primo sasso nello stagno affermando che la disposizione contenuta nel decreto Dignità ‘è figlia di un contesto di demagogia che ha penalizzato tutto lo sport, non solo il calcio’. Il sottosegretario di Stato alla presidenza del consiglio dei ministri con delega allo Sport Valentina Vezzali lo scorso 14 settembre nel salone d’Onore del Coni ha testimoniato che il problema è all’attenzione del Governo che sta valutando una sospensione, almeno temporanea, del divieto di pubblicità sulle scommesse sportive. Io aggiungo che se le scommesse sono raccolte da società legalmente riconosciute, perché per queste società la pubblicità non dovrebbe essere permessa?”. Tra i problemi dello sport di tutto il mondo c’è quello di match fixing. Quanto è sentito per voi questo problema? Come lo state affrontando e cosa chiedete al riguardo? “Lo condanniamo decisamente e siamo sempre vigili per prevenirlo”. PH. ARCHIVIO FIP/CIAMILLO-CASTORIA

La terza via tra passato selvaggio e divieto assoluto

Moreno Marasco, presidente dell’associazione dei concessionari di gioco online legale d’Italia, Logico, fa il bilancio dell’impatto del decreto Dignità a due anni dall’entrata in vigore delle disposizioni

di Cesare Antonini

MORENO MARASCO “Il principio per il quale la pubblicità è l’anima del commercio, nel settore del gioco online raggiunge la sua massima applicazione: se non possono promuoversi, gli operatori online hanno difficoltà a contrastare l’offerta degli operatori del mercato illegale, vivacissimo in era Covid la difficoltà è ancora maggiore se si pensa ai nuovi aggiudicatari dell’ultima gara per il gioco online, per i quali il divieto di pubblicità significa non riuscire a farsi conoscere. Non si può quindi parlare di nuovo equilibrio. Certamente, le aziende concessionarie hanno cercato di trovare contromisure adeguando i propri modelli di business, nel rispetto delle norme”. È il bilancio di Moreno Marasco, presidente di Logico, dopo due anni dalla piena entrata in vigore del decreto Dignità in materia di divieto di sponsorizzazione e pubblicità del gioco. Con lui cercheremo di capire se le aziende del settore hanno trovato un nuovo equilibrio e come cercare di correggere un provvedimento che pare abbia disatteso tutte le aspettative che aveva generato. Il termine “resilienza” è abusato per i massimi ma il settore del gioco legale ha dovuto fare un lavoro pazzesco per cambiare e adattare le loro strategie di acquisizione, marketing e comunicazione. Com’è andata? “Dovendo rinunciare a promuovere l’attività e il prodotto, hanno dovuto concentrarsi sul riposizionare i propri brand e raccontare storie differenti, per mantenerli vivi. Si parla di sport, di eventi, di statistiche. Come sempre c’è chi eccelle e chi fa da ‘follower’, ma è evidente che l’aumento dell’illegalità lamentato dall’Agenzia sia in gran parte dovuto anche alla mancata visibilità e all’impossibilità per i concessionari di rimanere competitivi nel pubblicizzare i propri marchi o servizi”. Un provvedimento che poteva anche cancellare un settore intero. Per tutte le aziende si è trattato di un vero percorso ad ostacoli tra Adv, social e campagne di qualsiasi tipo: quali sono stati gli aspetti più difficili da affrontare per rientrare nel perimetro strettissimo e rigidissimo che ha disegnato la legge in questione? “Le disposizioni di divieto non sono state adottate sulla base di una ricerca scientifica e appaiono perciò non coerenti e sproporzionate rispetto all’obiettivo. Peraltro, i limiti applicativi del divieto sono evidenti. La prevenzione ed il contrasto al gioco patologico possono essere raggiunti efficacemente con una regolamentazione seria e non con il divieto di pubblicità”.

A suo modo di vedere, il decreto Dignità ha raggiunto le sue finalità, per quanto attiene la tutela del giocatore e del consumatore? È stata abolita la ludopatia, tanto per ricordare le dichiarazioni trionfalistiche dei promotori del decreto? “A noi risulta che il nemico dichiarato del legislatore, ossia la ludopatia, goda di ottima salute, e rimane un nemico effettivo della società e degli operatori legali, che pagano le conseguenze di un mercato sempre più in mano all’illegalità. Senza gli strumenti di tutela che sono stati faticosamente creati e applicati dagli operatori legali, le persone che vogliono divertirsi finiscono per rovinarsi su piattaforme pirata. In base a stime Ipsos, nel 2020 per ogni 10 giocatori online nel circuito legale, ce ne sono stati almeno 7 in mano all’illegalità. Paradossalmente, per ‘quello’ Stato il nemico vero dello Stato eravamo e siamo noi, in quanto visibili. Si è preferito agire all’insegna del detto “occhio non vede, cuore non duole”. Lo dimostra non soltanto il decreto Dignità, ma anche la incresciosa vicenda delle presunte decadenze delle concessioni per il gioco a distanza, che ormai ha accumulato una trentina di contenziosi davanti al giudice amministrativo. E come dimenticare il prelievo per il fondo Salvasport, un’estorsione persino superflua, a fronte dei miliardi piovuti dal recovery fund”. Quali sono stati i danni collaterali che il decreto Dignità non aveva calcolato e che non erano stati previsti dal legislatore stesso? “Chi non rispetta le norme, in questo contesto distorto e distopico, paradossalmente ha la meglio e conquista progressivamente fette di mercato - segnala Marasco - è purtroppo molto semplice: gli investimenti pubblicitari dei concessionari eclissavano gli operatori illegali, che da oltre due anni hanno invece avuto la possibilità di emergere e prosperare maggiormente nel contesto attuale, anche beneficiando delle chiusure di cui il gioco fisico è stato destinatario nei lunghi mesi di lockdown per il contenimento della pandemia da Covid-19”. Oltre ai problemi riscontrati in Italia e nel nostro mercato le disposizioni sulla pubblicità hanno “contagiato” molti paesi in Europa. Ci sono altri esempi di divieto così totale? Altri governi hanno adottato forme più “leggere”, cosa ne pensa? “Certamente è molto più facile vietare che legiferare, a maggior ragione quando si tratta di un tema complesso come il gioco. Fortunatamente sono pochi gli Stati ad aver scelto il divieto totale dell’Italia e, ancor prima, della Bulgaria. Condividiamo l’importanza di intervenire sul tema e sosteniamo la scelta di diversi altri Stati che hanno/stanno adeguando le loro regolamentazioni, anche sulla base di processi consultivi con gli operatori”. Nel Governo Draghi si è parlato più volte, seppur in maniera scoordinata e poco organica, di rivedere la normativa e modificarne alcune parti alleggerendo, se possibile, i divieti più rigidi. Anche perché gli effetti su alcuni settori sono stati devastanti. È possibile? “Occorre rimettere le persone, i giocatori, al centro del dibattito. Non demonizzarli o trattarli alla stregua di tossicodipendenti, solo perché alla ricerca di uno svago o di un brivido d’adrenalina. I concessionari sono pronti in qualsiasi momento a collaborare a una regolamentazione della pubblicità che si innesti nel contesto europeo. Siamo i primi a non voler tornare indietro alle condizioni che hanno contribuito a mal disporre l’opinione pubblica verso il gioco pubblico. Vale la pena ricordare come i concessionari aderenti all’Associazione Logico avessero già adottato, prima del divieto, un codice di autodisciplina pubblicitaria. L’Associazione aveva anche promosso una campagna di ‘pubblicità sociale’, ‘il gioco è bello finché è un gioco’ per sensibilizzare il pubblico in merito alle importanti ed efficaci tutele presenti nel gioco online legale. Se, prima del decreto Dignità, non andava bene, dopo è andata ancora peggio. Ci vuole una terza soluzione, che andrebbe percorsa in modo bilanciato, garantendo nel contempo un contrasto efficace al gioco minorile e al gioco patologico, in un contesto di gioco legale attrattivo e sicuro, offerto dai concessionari per conto dello Stato”.

BRIGID SIMMONDS

INTANTO IN UK VIA IL GIOCO DALLE MAGLIE DELLA PREMIER LEAGUE

Anche nel Regno Unito è in atto un percorso a tappe graduale (più del Dignità) per moderare o vietare la promozione del gioco d’azzardo legale. Così nella prossima revisione del Gambling Act del Regno Unito, alle società di scommesse e gioco d’azzardo sarà vietato apparire sul davanti delle magliette da calcio. E sarà una delle prime modifiche di restrizioni più allargate che potrebbero vietare anche le pubblicità allo stadio e in tv. Premier League sì, ma è meno probabile che il divieto venga implementato nelle leghe inferiori, dato il significativo impatto finanziario che avrebbe sulle squadre Efl. Brigid Simmonds, presidente del Betting and Gaming Council, sottolinea però che “l’industria del gioco d’azzardo non può essere ritenuta esclusivamente responsabile del gioco d’azzardo problematico e i rischi che derivano dalle scommesse”. Tutto questo nonostante l’impegno delle società di gioco per combattere le distorsioni del settore: “Come industria abbiamo appena annunciato che spenderemo altri 100 milioni di sterline entro il 2024 per finanziare la linea di assistenza nazionale, per finanziare le scommesse e per finanziare i 10 milioni che abbiamo appena investito nell’istruzione attraverso i programmi Ygam e GamCare e ovviamente il Dipartimento dell’Istruzione”, conclude.

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