Asc | Progetto pilota per l'autorecupero di case Ater situate nel Comune di Venezia

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PROGETTO PILOTA PER L'AUTORECUPERO DI CASE ATER SITUATE NEL COMUNE DI VENEZIA

PREMESSA Da molto tempo la città di Venezia vive una situazione di emergenza abitativa che, come avviene in altre aree del Paese, si presenta con una duplice caratteristica. Da un lato colpisce in maniera particolarmente grave tutta una serie di nuovi soggetti emersi come conseguenza di una crisi economica e sociale che negli ultimi anni si è fatta sempre più pesante e che ha modificato in maniera profonda il tessuto sociale cittadino: disoccupati, lavoratori precari giovani e non, famiglie monoparentali, studenti fuori sede, lavoratori migranti e richiedenti asilo, nuove forme di povertà. La possibilità per queste categorie di persone di trovare un'abitazione dignitosa e a prezzi accessibili nel mercato degli affitti o di rientrare nelle graduatorie dell'edilizia residenziale pubblica, proprio a causa delle caratteristiche del loro reddito o dell'assenza dello stesso, sono remote. Tali difficoltà rappresentano spesso un ostacolo ad una piena e sostanziale inclusione sociale. Dall'altro lato, l'emergenza abitativa si presenta sotto la forma di un diffuso patrimonio edilizio architettonicamente degradato, collocato in aree urbane più o meno periferiche. Al degrado architettonico si accompagna il depauperamento sociale che produce il modello di sviluppo predominante: l'esclusiva valorizzazione della città operata dal turismo industriale, lo sfruttamento del territorio a danno dei delicati equilibri ambientali che sottrae spazio vitale alla cittadinanza.

IL QUADRO ATTUALE La città vive una situazione di emergenza abitativa che nell'ultimo anno è stata ulteriormente aggravata dall'approvazione del decreto legge Renzi-Lupi n.47 del 28 marzo, il cosidetto Piano Casa, che ha dichiarato guerra aperta agli occupanti senza titolo. Inoltre nello stesso decreto non sono previste a nostro avviso soluzioni che si possono definire concrete alla problematica abitativa: i fondi stanziati per i contributi all'affitto e per morosità incolpevole non sono sufficienti a risolvere un aumento esponenziale e vertiginoso delle richieste di aiuto; allo stesso modo i fondi stanziati per il recupero dell'edilizia pubblica non coprono minimamente i costi di decenni di incuria e abbandono degli immobili né sono sufficienti a coprire la totalità degli alloggi sfitti; i fondi previsti a sostegno dell'acquisto di immobili da parte degli inquilini appaiono irrisori in un contesto sociale in cui gli stessi per la maggior parte dei casi non riescono neanche ad affrontare le spese di affittto; inoltre una poco chiara possibilità di convertire alloggi privati in edilizia sociale rischia di diventare un ennesimo incentivo alla cementificazione e alla speculazione edilizia privata. Il diritto alla casa è messo in discussione soprattutto dall'art.5 che prevede la decadenza (con effetto retroattivo) della residenza e degli allacciamenti delle utenze (acqua, luce e gas) per gli occupanti; il decreto colpisce non solo le occupazioni che si sono concretizzate nel passato ma anche quelle situazioni di “nuovo disagio” che maturano uno sfratto esecutivo per morosità. Fin dall'applicazione, questo decreto ha


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