pigmento un'esperienza didattica sulla sintesi dei colori

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pigmento un’esperienza didattica sulla sintesi dei colori

studente

Giuseppe Burdo

UniversitĂ IUAV di Venezia FacoltĂ di Design e Arti Corso di laurea specialistica in comunicazioni visive e multimediali

relatore Davide Rocchesso correlatore Gillian Crampton Smith



pigmento un’esperienza didattica sulla sintesi dei colori

studente

Giuseppe Burdo

UniversitĂ IUAV di Venezia FacoltĂ di Design e Arti Corso di laurea specialistica in comunicazioni visive e multimediali

relatore Davide Rocchesso correlatore Gillian Crampton Smith


Testo

titoli corpo note figure

Geometric 415 Scala Officina Helvetica

Carta

patinata opaca 135 gr. brossura fresata

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atena.net

variabile 10/14 pt 8/9.6 pt 7/9 pt




ai versi in sale, ai frantumi in specchi


Abstract

ITALIANO Pigmento è un progetto con finalità didattiche e al contempo ludiche sulla sintesi sottrattiva dei colori. I destinatari previsti sono bambini di una fascia d’età compresa tra i cinque e gli undici anni, mentre il contesto è museale o laboratoriale. Da pochi decenni si sperimenta un approccio chiamato “learning through the arts”, il cui obiettivo è di insegnare tramite alcune modalità artistiche tutte le altre discipline, scienze comprese. In questo terreno non ancora ben esplorato, si inserisce il progetto pigmento con la tematica del colore. A causa della complessità interdisciplinare, il tema è affrontato da molti campi di ricerca, apparentemente separati. Questo si ripercuote anche nell’insegnamento ai più piccoli, dove la priorità viene data alle qualità visive piuttosto che a un pensiero capace di connettere, anche in superficie, molti campi del sapere. Il gioco di tipo manuale è solitamente slegato dall’arbitrarietà del linguaggio, potente e versatile ma a volte impegnativo per i più piccoli. A questo proposito l’interfaccia di pigmento è fisica, sotto forma di tavolo. E’ possibile accedere a tutte le funzionalità tramite la sola manipolazione di granelli, e per l’affinità con il pigmento è stato scelto il sale, videoproiettato di colore. La ricerca è organizzata in cinque parti, e rappresentano i passaggi interdisciplinari del percorso. Dopo un’introduzione su alcuni dei metodi didattici fortemente innovativi, si danno dei cenni del colore da tre punti di vista: scienza, arte e informatica. In seguito vengono ducumentati tutti i rilevanti passaggi progettuali per arrivare alla “forma” definitiva. Segue la progettazione del colore e il confronto di alcune tecniche di colorazione, considerando fattualità tecnica e rispondenza ai criteri progettuali. Da qui ne deriva un importante risultato scientifico, ovvero la possibilità di verificare la colorazione apparente o reale a seconda delle caratteristiche fisiche del sale. La progettazione dell’interazione si avvale del contributo informatico, capace di svincolare la materia “sale” dalle sue apparenze, e aprire una serie di possibilità. Esplorare la sintesi sottrattiva tramite la luce vuole essere un ulteriore stimolo ad approfondire il tema del colore, e la sua non estraneità dalle fonti luminose.


ENGLISH Pigmento is a project with educational and leisure purposes about the subtractive colour synthesis. This wants to be a location based project, especially for museums and creative laboratories. For already a few decades there has been an approach called “Learning through the Arts�. The goal is to teach any subject from arts, even science. This has showed an increasing of results and pleasure in the same time. In this potential field, the aim of pigmento is to design a learning experience for kids between the ages five and eleven years. Because of the interdisciplinary complexity, the topic is being studied from the point of view of many fields of reseach. The topic seems to be different for each subject, and the same happens in education. In fact, it is common to allow kids to think only about the aesthetic qualities. The hands-on approach of the project powerfully conveys the scientific message without the use of books. For this reason, it has been designed on a physical interface, which takes shape as a round table. The only things to touch are coarse grains of salt, illuminated by the videoprojecter below. So the first part wants to give the essential basics on colour science and the story of colour. For example, the pigments, which are the materials to make the colour possible, may affect the methods and the final resutls. After two introducing chapters, the prokect based research is followed by three main design area. One is based on all the physical aspects of the game; then on the interaction between the user and the system, and among the users themselves. The third main area is abut the color design, and how the several filling techniques work. The aim is to study which technique suits better between the apparent and real colour synthesis. The significant result is achieved from a scientific point of view, between the apparent and real colour filling. Based on prototyping reasons, the interaction design provides a computer vision programming approach. Potentially the salt will be able to look like colour, and to be open up for new experiences, even with the same materials and tools. Playing with the subtractive synthesis through the light, aims to bridge the gap between color and light, and to show how they are linked.


Indice

I

Elenco delle foto

III

Elenco delle illustrazioni

V

Introduzione

VIII

Capitolo 1 - Imparare giocando

1

1.1 Introduzione 1.2 Imparare al museo 1.3 Imparare con l’arte, più che di arte

3 4 6

Capitolo 2 - Il colore

11

2.1 Il colore nelle discipline scientifiche 2.1.1 Il contesto 2.1.2 Dalla luce al colore 2.2 Il colore nell’arte 2.2.1 Il colore: come si ottiene 2.2.2 pigmenti naturali minerali e vegetali 2.2.3 I pigmenti di sintesi 2.3 Il colore nella tecnologia 2.3.1 La tricromia 2.3.2 Tradurre per riprodurre 2.3.3 Utilities di conversione

13

Capitolo 3 - Design Process

29

3.1 L’esperienza didattico-ludica 3.2 La scelta dell’interfaccia 3.3 Il materiale 3.4 Il materiale granulare bianco 3.5 Il tavolo interattivo 3.6 La forma circolare 3.7 Scenari 3.7.1 I tre colori 3.7.2 I cinque colori 3.7.3 Le proporzioni differenti 3.7.4 La divisione 3.7.5 Qualsiasi combinazione

31 32 36 38 40 42 44

14 16 18 20 22 24 26

46 48 50 52


Capitolo 4 - Tecniche di colorazione

55

4.1 Colorito e colorato 4.2 Colorante e colore 4.3 Progettazione del colore 4.3.1 Texture e moduli 4.3.2 Granelli di colore

57 58 60

Capitolo 5 - Prototipazione

65

5.1 Le fasi di prototipazione 5.2 Le dimensioni 5.3 I materiali 5.3.1 La copertura 5.3.2. Lo scheletro 5.3.3 Il piano 5.3.4 Il bordo 5.4 Il calcolo delle aree 5.4.1 Area centrale e laterale 5.4.2 La suddivisione dei colori 5.5 Il setup tecnico 5.5.1 funzionamento generico 5.5.2 Il threshold 5.5.3 Illuminazione a led 5.5.4 Prime problematiche 5.5.5 L’uso di specchi 5.5.6 Il doppio threshold 5.5.7 da 3D a 2D 5.6 Approccio di programmazione 5.6.1 Colorazione laterale 5.6.2 Colorazione singola 5.6.3 Colorazione centrale

67 70 72

Conclusioni

89

Bibliografia ragionata

97

62

73 74 75 76 77 78 80 82 83 84 85 86 87

Appendice

II


Elenco delle foto

1. la didattica 1. logo del programma Learnig through the Arts http://www.ltta.ca/ (10 Gennaio 2011) 2. Un’attività didattica http://www.ltta.ca/lesson_plans.html (10 Gennaio 2011) 3. Prima esposizione del Museo della Scienza http://cache3.asset-cache.net/xc/89858048.jpg (10 Gennaio 2011) 4. modalità push-button, Spectrum Museum, Berlino 5. Abissi fluorescenti, Carnevale dei Ragazzi, Biennale 2011, Venezia 6. Metodo Montessori http://www.rossellagrenci.com (14 Dicembre 2010) 7. Metodo Munari http://files.splinder.com/23a1cdd94e65231f005e6861f601f8ae.jpeg (14 Dicembre 2010) 8. Laboratorio del colore con Roberto Pittarello http://www.robertopittarello.it/Documentazione%20Didattica%20della%20pittura.html (14 Dicembre 2010) 9. Laboratorio didattico Guggengheim Venezia http://www.ascuoladiguggenheim.it/work_list.php (15 Dicembre 2010) 10. Learning though Arts, attività didattiche sul sito web http://www.ltta.ca/student_zone_games.html

2. il colore 1. vista ai raggi visibili e ultravioletti http://www.antikitera.net/news.asp?ID=9627&TAG=Altro&page=4 (11 Dicembre 2011) 2. fragola 3. concerto, Berlino 4. ombre colorate, Exploratorium, San Francisco http://stantran.com/?tag=consumerism (15 Dicembre 2010) 5. luce e filtri colorati, Spektrum Museum, Berlino 6. Fenomeni di contrasto simultaneo, Arielli E. slide di lezione(14 Maggio 2009) 7. Lazurite http://www.minedirect.com/EnlargedPages/FacetCabbingRough/Lazurite/Lazurite-3.html (15 Dicembre 2010) 8. Dai primari ai secondari, Museo Sturm, Bassano Del Grappa 9. utilizzo dei colori, i, Museo Sturm, Bassano Del Grappa 10. pianta dello zafferano http://www.erbe.altervista.org/photo/img1/zafferano.jpg (10 Novembre 2010) 11. sfrioratura http://www.taccuinistorici.it/preview_images/news/1524_0.jpg 12. tostsatura degli stimmi http://www.buttalapasta.it/img/lo-zafferano.jpg (10 Novembre 2010) 13. vasetto di cocciniglia 14. tintoria naturale http://www.scirarindi.org/scirarindi/sites/default/files/images/foto_lana.preview.jpg 15. dipingere con gli elementi naturali http://www.strozzina.org/open_studios/2010/15/08.jpg (20 Novembre 2010) 16. Ripolin, azienda di pigmenti http://www.artnet.com/artists (20 Novembre 2010)

III


17. colori a cera http://www.fiutaprezzi.com (20 Novembre 2010) 18. Orizzonti di dolori, Festival della Scienza 2010, Genova 19. tecnica xilografica http://dbpedia.org/page/Paper_cutter 21 Novembre 2010) 20. tecnica kromograph http://www.utoronto.ca/tolstoy/images/prokudin/00160v.jpg (21 Novembre 2010) 21. tecnica autochrome http://www.economicswithaface.com/images/Mar05/ww1color2.jpg 21 Novembre 2010) 22. l’immagine digitale 23. palette PANTONE http://www.colorgrafico.com/images/pantone%20formula%20guide%20cu%20premium1.JPG 21 Novembre 2010) 24. palette RAL http://www.ralcolour.co.uk/prodimage.php?id=39 21 Novembre 2010) 25. atlante Munsell 26. atlante NCS 27. Conversione colore, Photoshop 28. Applet RGB, University of Rochester,NY 29. Applet HSV, University of Rochester,NY 30. Simulatore colore NCS, www.ncscolour.com 31. Simulatore colore Munsell, www.babelcolor.com

3. Process Design 1. Dipingere con le mani http://www.dowerin.wa.gov.au/residents/kids-facilities/ (8 Gennaio 2011) 2. Giochi di sabbia http://photos2.fotosearch.com/bthumb/BNS/BNS354/bn262086.jpg (8 Gennaio 2011) 3. Pigmento bianco http://www.cityproject.it/wp-content/uploads/2009/07/fig17.jpg (8 Gennaio 2011) 4. Zucchero http://www.investisicuro.com/zucchero-stelle-bangkok-future-recupero/ (9 Gennaio 2011) 5.Le dimensioni del sale http://www.buzzle.com/img/articleImages/389710-11812-3.jpg (9 Gennaio 2011)

4. Tecniche di colorazione 1. Prove di colore

5. Prototipazione 1. Paper prototyping 2. Smoke and mirrors prototype 3. dall’area al blob, OpenCV 4. Primo prototipo 5.la colorazione sul sale

IV


Elenco delle illustrazioni

Capitolo 2 1. mela: tra luce e colore 2. raggi assorbiti e riflessi 3. dispersione di colore 4- Ruota dei colori, Itten 5. Modello HSB 6. Modello CIE Capitolo 3 1. Ottenere i colori derivati 2. Apprendimento e organizzazione del pensiero 3. il fare assieme 4. Le forchette di Munari 5. oggetto colorato e illuminato 6. manipolare un materiale liquido 7. manipolare un materiale solido 8. la progettazione del prototipo, rettangolo 9. la progettazione del prototipo, cerchio 10. suddivisione del piano 11. versione a tre colori primari 12. versione a cinque colori primari 13. scenari Capitolo 4 1. foglia 2. il colorante 3. scenario 4. sale, pixel, minerale 5. colorazione a moduli 6. da texture a modulo 7. colorazione singola 8. le grandezze del sale

V


Capitolo 5 1. La progettazione delle dimensioni 2. la copertura di cartone 3. lo scheletro 4. la suddivisione del piano 5. lo spessore del bordo 6. il calcolo delle aree 7. i movimenti possibili 8. rappresentazione del piano 9. schema di funzionamento 10. input, output schematico 11. il threshold 12. l’utilità dei led 13. tipologia di led 14. i divisori 15. rappresentazione finale 16. angoli di visione 17. copertura di proiettore e webcam 18. il proiettore all’esterno 19. L’utilizzo di specchi 20. La copertura del piano con gli spechi 21. il doppio threshold 22. l’acquisizione 2D del sale 23. l’elaborazione dell’area 24. suddivisione del piano in pixel 25. area dei primari e dei derivati 26. l’angolazione del colore 27. la copertura del piano con calibrazione 28. rapporto tra pixel e centimetri 29. rappresentazione delle dimensioni del sale 30. tecnica di colorazione giustapposta

VI


VII


Introduzione

Progettare un’esperienza didattica significa rispondere prima di tutto al “cosa” si progetta prima del “come”. Il cosa è affontato nella prima parte del percorso di tesi, dove si cerca di acquisire una conoscenza di base su alcuni metodi didattici e sul colore. Il progetto pigmento è affine in particolar modo a due dei metodi didattici extrascolastici. Il primo trae ispirazione dai laboratori munariani. Il fare insieme è uno dei capisaldi di un sapere condiviso, nonchè stimolo di integrazione sociale. Il secondo si rifà al ben più recente programma “Learning through the arts”. Questo si propone di insegnare le basi di ogni disciplina ai ragazzi di scuola primaria. Centinaia di scuole canadesi adottano questo metodo, e i primi risultati ne lasciano stimare la sua diffusione. La seconda metà del “cosa” riguarda l’argomento tematico del progetto: il colore. Il campo di studi è di per sé inesauribile per le discipline coinvolte e gli approcci utilizzati. Affinchè si parli di colore, occorre conoscere il suo rapporto con la luce, e come si genera. Vengono per questo dati alcuni accenni scientifici. Le esperienze didattiche sul colore cominciano spesso con la storia dei pigmenti. Da qui nasce una breve disamina dall’estrazione ai procedimenti di sintesi artificiale. Il colore è anche un’importante qualità nei mezzi di riproduzione. Dopo il cinema e la fotografia, sono coinvolte le discipline informatiche . Il campo è diventato così specializzato da chiamarsi color science. La difficoltà di definizione del colore ha portato a definire dei sistemi di classificazione, e questi variano a seconda dei mezzi e dai materiali utilizzati. Fa da seguito l’oggetto della tesi, ovvero la progettazione dell’interazione. L’arrivo alla “forma” finale si ottiene tramite un’esplorazione di possibilità. Si parla dei

VIII


materiali utilizzati e come si arriva alla scelta del sale.Si considerano gli aspetti lato utente, la funzionalità, e i scenari possibili. Dopo le scelte di progetto, c’è un ipotesi di ricerca sulle tecniche di colorazione. Queste sono principalmente due: il colore mescolato e giustapposto. Nel primo caso il colore derivato finale è uniforme, e nel secondo è costituito da unità di colore primario disposto in maniera giustapposta, senza mai sovrapporsi. Questo secondo caso presenta delle novità a carattere scientifico, perché evidenzia la relazione fra tre sintesi di colori: sottrattiva (l’effetto finale, ottica (l’apparenza uniforme è data da tanti colori diversi), con l’utilizzo di un mezzo inteso per la sintesi additiva, quale è il videoproiettore. Ciò porta alla verifica pratica della peculiarità psicofisica del colore. Tuttavia, a carattere di prototipazione, la tecnica di colorazione più fattibile risulta rispondere al primo metodo. In questa parte di tesi, si cerca di fornire una spiegazione chiara, anche via illustrazioni, sulle scelte tecniche. Viene infine proposto un approccio di programmazione, e i primi risultati. Nonostante l’argomento risulti talvolta complesso, il tentativo proposto è di fornire tutti gli elementi atti a definire le scelte di progetto. Viene creato un prototipo ad alta fedeltà e dai pochi dettagli, per verificare il percorso di progettazione. L’intento finale è di mettere alla prova il prototipo finale con la giusta fascia d’età dei destinatari.

IX




Capitolo 1

Imparare giocando

una breve disamina sugli approcci didattici complementari all’istruzione classica: dal museo al laboratorio, dal metodo montessori al munariano, fino al programma “Learning through the arts�

Museo Sturm Bassano Del Grappa foto autorizzata



1.1 Introduzione

L’acquisizione di conoscenza è generalmente una delle attività più intense nelle prime fasce d’età. A seconda di tutti i fattori geopolitici del caso, spesso nascono delle esigenze che portano a formulare nuove possibilità formative. Tendenzialmente, lo scopo è di fornire agli studenti un sapere, e talvolta anche un saper fare, adatto ai tempi correnti.

1. logo LTTA

Le istituzioni scolastiche sempre più spesso condividono parte del lavoro con enti privati e pubblici, permettendo agli studenti di partecipare ad attività extra-formative, anche all’interno degli orari consueti. I metodi collaborativi basati sul fare hanno permesso di ottenere dei risultati estremamente incoraggianti, sia sul rendimento scolastico che a livello sociale1. Una delle ultime tendenze è di favorire l’apprendimento di una disciplina tramite nozioni e metodi apparentemente inconciliabili. Segue una breve disamina su alcuni dei metodi che portano a ri-progettazione la didattica sia nei contesti scolastici che altrove.

2. screenshot attività didattica LTTA

1

Elster. A, Imparare la matematica attraverso l’arte, p. 175

3


1.2 Imparare al museo

L’esperienza formativa è divenuta sempre più variegata e propositiva negli ultimi decenni. Al di là del sistema scolastico, più rigoroso e suddiviso in fasce di età, ci sono altri approcci didattici informali come avviene nei musei. Sono solitamente scientifici, e negli ultimi anni la tendenza dilaga anche tra i musei d’arte e di ogni altro genere. Tuttavia il Museo della Scienza non è nato come lo si conosce oggi. Inizialmente era un luogo di deposito di macchinari o modelli industriali, non più utilizzati perché obsoleti. Nasce così il Science Museum di Londra. Mentre l’istruzione diveniva più diffusa, questa forma di collezionismo non era sufficiente a giustificare un interesse continuo tra i visitatori, piccoli e adulti. Nascono così alcune modalità interattive, come il push-button nel Deutches Museum, ovvero premere un pulsante affinchè il fenomeno avvenisse, fino ad arrivare al motto vietato non toccare come al museo Experimentarium di San Francisco.

3. prima esposizione del Museo della Scienza, Londra

Da qui nascono diverse teorizzazioni, come i principi di Richard Gregor2: I “buoni” exhibit devono essere hands-on, devono cioè obblicare il visitatore a “metterci le mani sopra”. Non devono cioè essere nè troppo difficili, perché potrebbero causare frustrazione, nè troppo facili, perché ininteressanti. Devono produrre sorpresa, perché è dalla sopresa che nascono le domande, e dalle domande la motivazione a ulteriori esplorazioni, per poter passare dall’hands-on al minds-on, cioè dalla pura gestualità all’investimento cognitivo. Devono fornire una rappresentazione, magari analogica e/o fenomenologica, di teorie anche fortemente matematizzate 4. modalità push-button, Spectrum Museum, Berlino 2

Merzagora M., Rodari P., La scienza in mostra, p.106

4


Devono essere tali per cui non sia necessario capirli completamente, devono cioè poter essere letti a vari livelli in modo da costituire una sfida intellettuale per tutti gli studenti a qualsiasi livello di istruzione. Devono rendere evidenti i legami tra scienza e tecnologia. Devono catturare l’immaginazione, perché il visitatore porti con sè il desiderio di saperne di più. Come spiega il consulente scientifico Paolo Merzagora, l’interattività manuale diventa una “interattività mentale”, capace di rendere la mente aperta a nuovi modi di pensiero e di azione. Ovviamente c’è il rischio che gli exhibit siano troppo efficaci nella facilità con cui si ottiene il fenomeno e quindi si sottovaluti quello che si sta osservando. Quindi se da una parte si desidera che il visitatore sperimenti per conto suo, dall’altra ci si aspetta che non sia solo un intrattenimento. Per questo motivo, a volte ci sono degli educatori, dai quali dipende la gran parte dell’esperienza. Il rischio, ancora, è che si arrivi alla lezione di tipo didattico.

Questo, a quanto pare, avviene in maniera meno frequente quando sono gli stessi studenti universitari, preparati sull’argomento, a fare da guida. Contrariamente allo studio individuale, l’essere insieme porta quasi sempre a una comprensione più immediata. Jorge Wagensberg, fondatore del CosmoCaixa di Barcellona, cita “Interactivity means conversation”3. Gli exhibits di questo museo puntano al cosiddetto hearts-on, e cioè di far suscitare emozioni come leva dell’esperienza. Ad ogni modo, Il museo non si propone di essere un luogo di trasferimento di saperi, ma piuttosto una palestra in cui esercitare quelle abilità che consentono di vivere e partecipare attivamente al mondo moderno. Il visitatore dovrebbe lasciare il centro carico non tanto di nuove informazioni, quanto di nuove competenze e nuove capacità: conoscitive, interpretative, ma anche pratiche e “manuali”4. Ciò avviene ad esempio al NEMO, il science museum di Amsterdam, nel quale è possibile maneggiare gli attrezzi del mestiere.

3

5. Abissi fluorescenti, Biennale 2011, Venezia

4

Waghensberg P., Cosmocaixa. Il museo totale, p.4 Coyaud S., Merzagora M., Guida ai musei della scienza , p.114

5


1.3 “Imparare con l’arte, più che di arte”

Nel XX secolo, mentre l’educazione di base veniva sempre più diffusa, nascevano sempre più esigenze. Molti bambini trovavano il metodo scolastico frontale a volte poco interessante, preferendo il gioco a tutte le altre modalità. Nasce, su questa base, il metodo Montessori, la quale sostiene “Il principio fondamentale è la libertà dell’allievo, poiché solo la libertà favorisce la creatività del bambino già presente nella sua natura” E ancora, “Il periodo infantile è un periodo di enorme creatività, è una fase della vita in cui la mente del bambino assorbe le caratteristiche dell’ambiente circostante facendole proprie, crescendo per mezzo di esse, in modo naturale e spontaneo, senza dover compiere alcuno sforzo cognitivo”5. Questo metodo, dopo aver affrontato alcune difficoltà nell’epoca totalitaria, è tutt’ora rivisto e adoperato in molte scuole, anche all’estero. La libertà di azione e di pensiero, si è dimostrata essere l’essenza dell’arte contemporanea. Come sostiene George Kubler, “il compito dell’invenzione artistica è quello di allargare la sensibilità percettiva”6.

6. Metodo Montessori

7. Metodo Munari

Nasce con questa ipotesi la pratica innovativa dei laboratori Munari. Sin dagli anni ‘60, è stato il primo ad inaugurare i laboratori infantili in Italia. Infatti, questi luoghi di libertà d’espressione, identificabili con il laboratorio didattico, sono appositamente pensati da Munari per stimolare la creatività nei bambini. L’intento è di “portare il visitatore all’interno di un processo educativo immediato e piacevole”. Per questo motivo Munari denomina le sue attività “giocare con l’arte”7. Montessori M., Dall’infanzia all’adolescenza, p.14 Kubler G., La forma del tempo , introduzione 7 Restelli B., Giocare con tatto. [..], p. 28 5 6

6

8. Laboratorio didattico a cura di Pittarello R.


9. Laboratorio Guggenheim Venezia

In pochi decenni, questo modello comincia a diffondersi in tutta Italia all’interno di scuole private, dal nido alla primaria, e in spazi museali appositamente studiati. Ad esempio questo avviene alla “scuola del fare” di Castelfranco Veneto, in collaborazione con Roberto Pittarello, esperto pedagogo delle prime fasce d’età. Come lui stesso sostiene:

9a: osservazione di batteri in una goccia d’acqua

sono creativi i laboratori che offrono strumenti, mezzi e tecniche, ma non suggeriscono soggetti o contenuti, lasciando che ognuno trovi la sua strada per esprimersi con quello che ha visto fare e subito anche lui ha provato a fare: sapere come fare per sapere cosa fare. E’ inoltre estremamente stimolante prendere parte ai laboratori con bambini di età differente. Come sostiene Pittarello, i bambini sono molto più propensi ad apprendere tra di loro, in maniera giocosa e informale, piuttosto che dai docenti. In un certo senso, questa pratica risulta anche conveniente per i formatori. Il laboratorio è anche una pratica sociale, perché i bambini sono invitati a collaborare sulle stesse attività.

9b: aggiunta di colore a colla vinilica

L’esperienza di fianco è di una scuola dell’infanzia nella sede Guggenheim di Venezia. Il carattere scientifico è dato da una biologa, la quale mostra i batteri di una pozzanghera, tramite un microscopio collegato alla tv. In seguito, i bambini possono rappresentare le forme dei batteri, con le loro peculiarità, con colla vinilica unita alla tempera. Così facendo, trovano più piacere nell’apprendimento, e ricordano in maniera più efficace il contenuto didattico.

9c: riproduzione della forma dei batteri

9d: conservare e confrontare i molteplici batteri

7


Questa pratica negli ultimi anni sta assumendo sempre più importanza in alcuni musei d’arte contemporanea, come in tutte le sedi Guggenheim. Negli ultimi decenni, questa pratica sussidiaria sta assumendo carattere di ufficialità in Canada, con il programma LTTA, Learning through Arts. Recenti ricerche8 dimostrano risultati di apprendimento maggiori nelle scuole di formazione primaria, dove viene adottata una serie di pratiche in collaborazione tra artisti ed educatori, per qualsiasi disciplina scolastica.

8

Elster. A, Imparare la matematica attraverso l’arte, pp. 183-185 10. Screenshot attività didattiche web, LTTA

8




Capitolo 2

Il colore

di una vastità temporale, spaziale e culturale, viene selezionato un percorso interdisciplinare. Sapere come si forma, il rapporto con la luce, la storia dei pigmenti e la gestione nei media attuali è alla base della progettazione.

quadricromia artwork



2.1 Il colore nelle discipline scientifiche

2.1.1 Il contesto

“Il colore è il luogo dove si incontrano il nostro cervello e l’universo”

Paul Klee

Il senso della vista si è sviluppato in una crescente esigenza evolutiva, dagli organismi più semplici agli esseri umani. E’ probabile che le api differiscano da noi, sfruttando le onde elettromagnetiche corrispondenti alla banda UV. In questo modo il fiore diventa un obiettivo più grande e più facilmente rilevabile1.

1. vista umana e vista presunta di un’ ape

Secondo Colin Ware, è possibile che gli uomini siano più soggetti delle donne al daltonismo. Cacciatori i primi, le seconde raccoglievano i frutti, e quindi evolutivamente più adatte a riconoscere le sfumature di colore2. Affinchè il senso della vista si compia, occorrono due condizioni esterne: la luce e la materia3. Per gli esseri umani non è possibile riconoscere un colore al buio. Per lo stesso motivo, esso non è visibile se la luce non colpisce alcun oggetto, come quando, nonostante il flash, otteniamo una foto molto scura se il soggetto è troppo distante. Di conseguenza, occorre che luce e materia siano entrambi compresenti.

2. fragola a colori e in scala di grigi 1 2 3

Wolfe et all, Sensazione e Percezione, p. 119 Ware C., Information Visualization, p.97 Di Napoli G., Il colore dipinto, p. XVI

13


2.1.2 Dalla luce al colore

Spesso i palcoscenici dei concerti sono allestiti con molti proiettori di luce, i quali hanno anche dei filtri colorati. Se è visibile un colore più di tutti gli altri, si parla di colore dominante. Quando non è desiderata una dominante, nello scattare una fotografia, si fa il bilanciamento del bianco per rendere la distribuzione del colore la più equilibrata possibile. La distribuzione del colore si fa più complessa con l’aumentare delle fonti luminose. Ciò è dimostrabile nelle figure della pagina 15. Nel primo caso si tratta di ombre colorate: si proietta della luce verde, rossa e blu verso una parete bianca. Bloccando due dei tre colori, si ottiene l’ombra del terzo colore, bloccandoli tutti e tre si ottiene nero, bloccando un solo colore si otterrà un’ombra del colore che è una mescolanza dei due non bloccati.

3. Concerto, luci verdi e rosse

E se l’oggetto avesse di per sé un colore? Ogni corpo illuminato assorbe una parte della luce e ne riflette dell’altra, come avviene per una mela. Non potremmo vedere il suo colore rosso se non fosse illuminata. Ne consegue che le onde corte e medie vengono trattenute, mentre le onde lunghe sono riflesse, tramite le quali si riconosce il rosso.

1. mela: tra luce e colore

Si possono dunque fare due considerazioni: - Il colore è luce riflessa - più si sommano le luci, più la superficie si fa chiara; e più si ostacola una luce a spettro completo con filtri colorati, più la superficie si fa scura. Ogni volta che si sommano delle componenti nello stesso spazio, avviene una sintesi, rispettivamente additiva (somma delle radiazioni luminose), e sottrattiva (sottrazione delle stesse). Non a caso si parla comunemente di mescolanza.

14

2. raggi assorbiti e riflessi


4. ombre colorate, Exploratorium, San Francisco 5. luce e filtri colorati, Spektrum Museum, Berlino

15


2.2 il colore nell’arte 2.2.1 Il colore: come si ottiene

E allora com’è possibile che isolando i quadrati al lato, sembra di vedere colori diversi con la figura completa, e colori uguali dalle finestre di carta?

L’interazione tra il colore percepito e il colore circostante viene chiamato contrasto simultaneo. Il fenomeno lo avevano compreso anche gli antichi Greci, dove non si usava mescolare i pigmenti, ma piuttosto giustapporli per rendere un effetto complessivo più visibile7. Questa esigenza ha portato i pittori a desiderare il maggior numero possibile di pigmenti, favorendo così il commercio con altri Paesi, soprattutto orientali. Stiamo parlando dei pigmenti estratti dai minerali, quindi lavorati a mano o con strumenti di base. Per ottenere una qualità elevata, le pietre devono contenere una percentuale elevata del minerale; come la lazurite per il lapislazzulo. E’ nel XVII secolo che si affermarono i colori “primari” moderni. Nel 1601 il medico Guido Antonio Scarmiglioni, intuì la possibilità di ottenere qualsiasi colore da soli cinque: bianco, giallo, azzurro, rosso e nero.

6 7

Ibidem, 112 Ball P., Colore. Una biografia, p. 25

16

POP UP

Guardandoci intorno, osserviamo che i colori degli oggetti non sono determinati solamente dal modo in cui riflettono la luce. Il colore percepito di un oggetto dipende, in modo complesso, dai colori degli oggetti che lo circondano6. Si dice costanza percettiva, quando ricordiamo e associamo la percezione di un colore ad un oggetto, che in realtà cambia a seconda del contesto. Ad esempio, il grigio è un colore acromatico che è percepito quando le aree adiacenti sono più chiare. In maniera simile, gli oggetti appaiono marroni solo se i colori vicini sono più chiari.

6. contrasto simultaneo

7. lazurite


Dopo un’introduzione sui pigmenti e come si ricavano, ai bambini (fino ai 6 anni) si spiega cosa sono i colori caldi e freddi. In seguito, dati i colori primari a tempera, si ottengono con le dita i colori secondari. Infine, gli si chiede loro di disegnare un soggetto a piacere, usando colori freddi a un lato della pagina e caldi per l’altra.

8. come ottenere i colori secondari

9. disegnare con soli colori freddi o soli caldi

Robert Boyle affermò dunque che “l’abile pittore può produrre tutti i colori che desidera”8. Ciò ovviamente andrebbe in contrasto con i risultati dei pittori, perché la lucentezza del colore puro è sempre maggiore a quella data dalla mescolanza. Ad ogni modo, per ragioni di semplicità, ai bambini si insegna come variare la tonalità usando solo i tre primari: ciano, magenta e giallo. A quanto pare, il colore è anche una questione tattile. Secondo studi di psicologia e antropologia9, la capacità di percepire l’effetto termico dei colori sarebbe innata; fin dai due anni i bambini riescono a distinguere i colori caldi da quelli freddi. Ecco perché anche prima della scuola primaria, gli educatori introducono questo concetto.

8 9

Ibidem, p. 44 Di Napoli G., Il colore dipinto, p. 305

17


2.2.2 I pigmenti naturali minerali e vegetali

Si è precedentemente detto come il colore sia materia. Questa è composta da molecole ed atomi con elettroni capaci di assorbire luce di particolari lunghezze d’onda. Il colore si può trovare in pigmento o in colorante. Nel primo caso si tratta di microcristalli insolubili, mentre il secondo è fatto da sostanze in forma molecolare con l’uso di leganti. Questi possono essere naturali o chimici, come l’albume o l’olio di lino in passato. Nel precedente paragrafo si è parlato di pigmenti inorganici, cioè provenienti dai minerali, i quali offrono dei vantaggi indiscutibili, come la resistenza agli agenti atmosferici, e quindi una lucentezza integra nel corso del tempo, anche nei secoli.

10. Crocus sativus, pianta dello zafferano

Fino a quando la richiesta di tessuti e opere d’arte riguardava una popolazione estremamente esigua, si è fatto ricorso a questo tipo di pigmenti. Ad esempio, il blu lapislazzuli veniva considerata una tinta nobiliare se in grandi percentuali, mentre se ne usava solo in minima parte per ogni altra classe sociale inferiore. Nell’Alto Medioevo, mentre la ricchezza cominciava ad espandersi tra i proprietari terrieri, avveniva una crescente richiesta di tessuti e materiali dal colore ricercato e differente. L’offerta di materiali inorganici non era sufficiente a coprire le richieste, e così i tintori hanno trovato nel mondo vegetale e animale alcune specie adatte alla coltura del colore. Da questa necessità nasce un nuovo modo di estrarre il pigmento, ovvero da vegetali e animali. Sostanze vegetali colorate si estraggono dalla radice di robbia, dai semi di guado, dal legno di campeggio o di Brasile, dal verzino, dalla curcuma, dal querciolo, dalla noce di galla, dallo zafferano. Mentre i colori più scuri si ottengono per torrefazione o carbonizzazione10. 10

Ibidem, p. 54

18

11. sfioratura 12. tostatura degli stimmi


I colori naturali di origine animale si ricavano con diversi trattamenti da sostanze contenute in alcuni organi o dalla carbonizzazione di alcune parti di animale. Appartengono a questa più ristretta categoria il rosso carminio o il cocciniglia (estratto da un insetto, il coccus cacti), il bruno di seppia, il giallo indiano, il nero di avorio, il porpora. Le sostanze ottenute da questi elementi, mescolate con albume, formano lacche insolubili e dorate di un alto grado di trasparenza11. 13. vasetto di cocciniglia risalente al XIX secolo

Ovviamente i tessuti tinti secondo questi processi tendono a perdere di intensità se esposti ai raggi solari per periodi di tempo più o meno lunghi. Questo determina un invecchiamento del capo più rapido. Inoltre, essendo il materiale tintorio derivato da prodotti vegetali, subisce anch’esso le variabili imposte dai cicli naturali, e non tutti gli anni le condizioni atmosferiche garantiscono la stessa qualità dei prodotti. D’altro lato, hanno un impatto ambientale molto più ecologico12. Come si esamina nella ricerca di Paola Visconti del dipartimento INDACO del Politecnico di Milano, non si tratterebbe di uno svantaggio o vantaggio a priori. Non è solo una tonalità, ma di una tonalità con una storia, un vissuto, e delle caratteristiche che la rendono unica. In questo senso si può pensare ad esempio ad una tintura d’annata, molto più vicina all’immaginario enologico e ai principi tipici del movimento Slow Food che a quelli consueti della moda.

14. tintura naturale

15. dipingere con gli elementi naturali

E’ il caso di Ildico Dornbach, la quale da decenni sviluppa sistemi di tintoria naturale nelle campagne umbre. Anche nelle discipline artistiche c’è una certa sensibilità in merito. L’artista pisana, Caterina Sbrana, utilizza come pigmenti gli elementi naturali che lei stessa seleziona e raccoglie. Da qui nasce la sua ricerca, infatti ogni soggetto è rappresentato attraverso la materia di cui è fatto. Ad esempio, le piante sono dipinte con la clorofilla fresca, come le planimetrie di Pompei con la terra raccolta nel luogo delle rovine.

11 12

Ibid. Visconti P., Chromosustainability, Colore e Colorimetria, p. 283

19


2.2.3 I pigmenti di sintesi

Intono al XIX secolo, comincia a diffondersi la pratica dei colori di sintesi. Se agli albori poteva essere considerata un’alchimia, ovvero la trasformazione di elementi in una maniera puramente empirica, ora si stava affermando come scienza. A differenza della semplice macinazione di un minerale già di per sé colorato, come ad esempio i lapislazzuli, il processo di preparazione “artificiale” aveva indubbi vantaggi come la possibilità di colorazioni introvabili in natura, uniformità in grandi quantità, insolubilità in acqua e tempi di preparazione brevissimi.

Pb(NO3)2

KI

PbI2

3. dispersione di colore

I vantaggi della produzione industriale portano inevitabilmente i colori a prezzi contenuti. Questo mercato è incoraggiato soprattutto dalle costanti richieste dal mondo industriale e immobiliare, piuttosto che per fini artistici. Ad esempio, la marca Ripolin, produceva sia pigmenti per l’industria che per le belle arti, da cui lo stesso Picasso si riforniva. Oggi tutti i coloranti sono composti da molecole organiche sintetiche prodotte dalle industrie chimiche. Ogni azienda ha la sua “ricetta”, tanto da permettere all’artista cieco John Bramblitt di distinguere i colori in base alla granulosità13.

16. una delle prime aziende produttrici di pigmento

Dagli studi effettuati, la qualità di un pigmento è data dall’inalterabilità alla luce, resistenza agli agenti atmosferici e al calore, potere coprente e intensità colorante14. Quando acquistiamo un colore ad olio o tempera, una matita colorata o un acquerello, dietro a nomi dal sapore antico come “blu di prussia”, “giallo cadmio”, “rosso cinabro”, stanno quasi sempre pigmenti organici o metallo-organici che simulano più o meno bene la colorazione dei pigmenti. 13 14

Rosemblum L., Senses and sensation, p.128 Di Napoli G., Il colore dipinto, p. 54

20

17. colori a cera


a. filtrino

b. bottiglie contenenti le soluzioni di sintesi

c. filtrare il colore dall’acqua sulla beuta

d. pigmento pronto all’uso

18. “Orizzonte di Colori”, festival della Scienza, Genova 2010

A un’introduzione sulla storia dei colori,

Ci si trova così di fronte a due bottiglie

Tramite una pompa d’aria a vuoto, si

segue un’esperienza laboratoriale sulla

contenenti nitrato di piombo [Pb(NO3)2]

ottiene il solo pigmento.

creazione dei pigmenti di sintesi. L’età

e ioduro di potassio [KI]. Questi sono

In seguito, mescolato a legante naturale

consigliata è dai 12 anni in su, ma anche i

chiamati reagenti, perché reagiscono

come l’albume, viene utilizzato per fini

più piccoli possono essere presenti sotto

quando sono versati nello stesso conteni-

creativi.

la supervisione di adulti. Si inizia con lo

tore, divenendo Ioduro Piomoso [PbI2],

scegliere il colore, ad esempio il giallo.

ovvero giallo.

21


2.3 Il colore nella tecnologia 2.1.1 La tricromia

L’esigenza di poter riprodurre in larga scala a costi contenuti, è sempre stata una delle premesse dell’industria. Le innovazioni non potevano fermarsi alla stampa in bianco e nero, e si desiderava poter ottenere anche copie a colori. Questo non riguarda soltanto i libri di testo, ma ogni mezzo di comunicazone supportato su qualsiasi materiale: carta, pellicola, tessuti, etc. Tra le tante innovazioni, nel 1859 lo stampatore George Baxter brevettò l’idea di colorare le foto tramite la sua complessa tecnica xilografica. Il lavoro di Burnett dell’Edinburgh Photographic Society, assieme alla conoscenza della teoria di Thomas Young sulla visione a colori, fornirono al fisico James Clerck Maxwell un’idea chiara di come un’immagine colorata possa essere costruita partendo da scomposizioni monocrome.

19. tecnica xilografica

Nel 1893 l’intraprendente inventore americano Frederick Eugene Ives semplificò il tutto con i suoi Kromogram, che potevano prendere tutti e tre i negativi in rapida successione attraverso filtri rossi, verdi e azzurro-violetti. Maggior successo ebbero le lastre autochrome realizzate nel 1907 dai fratelli lumiere, gli inventori della cinematografia, le quali erano ricoperte di minuscoli granelli di amido di patata tinto di rosso, verde, azzurro, su cui si trovava l’emulsione sensibile alla luce15. Come sottolinea Philip Ball, I principi restano mentre le tecnologie cambiano16. Infatti, almeno nei contesti low-cost, la riproduzione è ancora creata come faceva Le Blon: per sintesi sottrattiva e ottica di tre inchiostri colorati, con aggiunta di nero per dare rilievo.

15 16

Ball P., Colore. Una biografia, p. 297 Ibidem, 304

22

20. tecnica kromogram, Ives 21. tecnica autochrome, fratelli Lumiere


Per conservare l’immagine digitalmente, questa viene divisa in un reticolo di minuscoli tasselli, a ognuno dei quali è assegnato un solo colore. Questo processo viene definito dithering per i media digitali, e mezzatinta per la stampa.

22. Immagine digitale

Mentre nella sintesi additiva, ovvero delle luci, sono sufficienti rosso, verde e blu per ottenere un gamut soddisfacente, nella sintesi sottrattiva occorrono ciano, magenta e giallo. Di solito questa tecnologia viene chiamata quadricromia, perché, a causa dell’impurezza degli inchiostri, si aggiunge il nero. Processi di stampa più costosi utilizzano sei inchiostri, o direttamente i pigmenti con tecnologie differenti. La trama di questo reticolo determina la risoluzione, e cioè, il grado di dettaglio per unità di misura. Ad esempio, dpi, dot per inch è uno dei parametri più rilevanti. Altri sono lpi, lines per inch, forma dei punti, angolazione, punto molle/duro e altri, progettati a seconda delle esigenze17.

a. input di stampa in quadricromia

Mediante la giustapposizione si parla di sintesi ottica, già utilizzata nell’impressionismo, dove i tre colori primari, nelle dovute posizioni e quantità, possono generare un’infinità di immagini. Si chiama ottica perché non si tratta di un fenomeno fisico, ma piuttosto percettivo. Ciò avviene ogni volta che la trama superficiale è più fitta di quella visibile ad occhio nudo. Questo fenomeno nello spazio si potrebbe definire complementare a ciò che avviene al cinema. Le immagini, sebbene differenti, proiettate 24 volte al secondo generano l’impressione di continuità.

b. foglia stampata 17

AGFA, Guida alla selezione colore, p. 15

c. ingrandimento di 10 x

23


2.3.2 Tradurre per riprodurre

Come si è recentemente visto dalle analisi spettrali sulle tele del Medioevo, spesso gli artisti annotavano la tonalità del colore da adoperare. Questa pratica ha cominciato a indurre perplessità nei lavori da bottega, dove parti del lavoro venivano lasciate agli apprendisti. Facendo tesoro della tradizione pittorica, Johannes Itten nel XX secolo ha istituzionalizzato la ruota dei colori, rappresentando graficamente le caratteristiche fondamentali del colore: tonalità, luminosità e saturazione.

4. Ruota dei colori, Itten

Come visto in precedenza, i colori primari sono tre: ciano, magenta e giallo. Tramite questi è possibile ottenere tutte le altre tinte.

hue

saturation

La tonalità rappresenta la purezza del colore, la luminosità è data dalla quantità di bianco o nero, e la saturazione dalla quantità di colore puro. A seconda della mescolanza, si parla di grigio cromatico, dato da colori complementari, e di grigio acromatico, dato dalla sola luminosità. Su questa base si forma il modello HSB (hue, saturation, brightness) utilizzato nei modelli informatici. La tinta è stabilita in gradi da 0° a 360°, mentre saturazione e luminosità in termini percentuali. Questo modello non è però sufficiente a rappresentare tutti i colori possibili. I primi problemi si riscontrano quando il mezzo di riproduzione del colore cambia, non solo tra i display, ma anche nella riproduzione su stampa. Il risultato è che lo stesso colore, riprodotto tramite tecnologie differenti, è essenzialmente differente. Ciò è ovviamente un problema su scala industriale, dove il colore finale deve corrispondere a quello progettato. Nasce così lo standard CIE, indipendente dalla periferica; in altre parole, genera un colore coerente indipendentemente dalla periferica utilizzata per creare o riprodurre l’immagine, sia essa un monitor, una stampante o

24

brightness

5. modello HSB

y

520

700

470

6. modello CIE Lab

x


un computer. Il colore CIELab segue la teoria dell’opponenza cromatica. E’ composto da una luminosità L e da due componenti cromatiche: a, che varia da verde a rosso, e b che varia da blu a giallo.

23. palette PANTONE

Il computer deve saper spostare il proprio schema di riferimento cromatico tra le differenti tecnologie. Il limite di riproduzione del colore dipende essenzialmente dalla tecnologia e dal materiale utilizzato. Lo spazio cromatico di ogni sistema si chiama gamut, e quando si vuole riprodurre un colore proveniente da un gamut maggiore, si perde inevitabilmente una parte. Di questo se ne occupa il CLUT18, ovvero la traduzione delle componenti cromatiche per mezzo di una tabella di conversione. Oltre alla necessità di ottnere il colore desiderato mediante tecnologia e superficie di fissaggio ad hoc, nasce l’esigenza di ottenere una combinazione cromatica adeguata all’interno degli spazi, sia interni che esterni.

24. palette RAL

A seconda delle superfici di fissaggio del colore, sono nati degli standard di colore apposta, come il Pantone e il RAL. I nomi dei colori sono sicuramente inferiori a tutti quelli possibili. Per questo a volte abbiamo una definizione di circostanza, ad esempio è verde quasi azzurro. Come dimostrano le ricerche di Berlin e Kay, definire il colore è sempre stato un atto culturale19. Per questo, talvolta risulta difficile definirlo in base a un sistema di classificazione numerico. Nascono da questa esigenza sistemi di classificazione percettiva come il Munsell e NSC, natural colour system.

25. atlante Munsell

Munsell, forte della sua esperienza artistica, ha creato un sistema di classificazione che viene tutt’ora utilizzato in molte industrie. Ad esempio, il codice 7.5BG 5/10 indica una quantità maggiore di blu rispetto al verde con una luminosità media. Il sistema NCS facilità ancora di più il compito, ad esempio -R90B, indica un blu tendente al rosso.

18

26. atlante NCS

19

Ball P., Colore. Una biografia, p. 307 Di Napoli G., Il colore dipinto, p. 3

25


2.3.3 Utilities di conversione

Per stampare l’immagine scannerizzata, il computer deve convertire una griglia che codifica diverse intensità di luce rossa, verde e azzurra in istruzioni per i quattro inchiostri (giallo, magenta, ciano e nero) affinchè creino lo stesso effetto. Si parla per questo di conversione tra RGB e CMYK. L’immagine a fianco rappresenta la schermata di conversione in Adobe Photoshop, la quale considera principalmente tre degli standard: CIE Lab, RGB, CMYK. Ora sappiamo benissimo, che il cmyk che intende Photoshop differirà sicuramente con il cmyk della stampante, ma il sistema di conversione farà in modo che il colore finale sia il più simile possibile. D’altronde il colore percepito sarà dato dall’accostamento dei colori primari, sia sul monitor che su carta.

27. utility Adobe Photoshop

Negli ultimi anni sono nate molte utility di conversione del colore, alcune delle quali sono messe a disposizione dai centri universitari. Le figure a fianco rappresentano alcuni lavori del dipartimento di Computer Science dell’Università di Rochester, NY. Nella pagina a fianco, invece, sono rappresentati i simulatori degli standard percettivi, rispettivamente NCS e Munsell. Questi sono nati per convertire il colore da un sistema di produzione ad un altro, in termini di qualità. La prima utility nella pagina a fianco permette di convertire il colore digitale in qualsiasi scala, mentre la seconda permette di creare palette adeguate dopo aver prelevato i campioni desiderati. Ad oggi non esiste alcuna interfaccia, fisica o a schermo, che permetta operazioni di quantità, e cioè di ottenere un colore che sia la somma di altri non primari, in una logica di differente proporzione. Questo è uno dei propositi del progetto.

26

28. modello HSV, applet java

29. modello RGB, applet java


31. Simulatore Munsell e convertitore

30. Simulatore NCS e convertitore

27



Capitolo 3

Design Process

dopo aver acquisito le basi utili in didattica e colorimetria, si passa dall’idea al progetto. In questa fase vengono elaborate tutte le fasi, dall’interazione alla definizione dell’interfaccia e dei materiali. Alcuni scenari permettono infine di immaginare il contesto e il reale utilizzo.

BIll Verplank http://www.billverplank.com/Lecture/



3.1 Gli intenti formativi

Come si è visto nella parte di ricerca, nella sintesi sottrattiva bastano cinque colori primari per ottenerne molti altri, e per questo motivo si chiamano derivati. Una delle abilità richieste nelle discipline creativoartistiche, è di ottenere una coloritura piuttosto ampia partendo dai soli primari. Le tonalità sono ciano, magenta e giallo, mentre il bianco e nero sono talvolta non considerati dei colori, perché sono associati alla presenza o assenza di luce. Uno dei metodi più comuni è la mescolanza, e cioè unire due colori nello stesso arco di tempo e nella stessa porzione di spazio. Quando invece si dispongono in maniera adiacente due o più colori si parla di giustapposizione, quindi a una dovuta distanza, il colore percepito è dato dal contrasto simultaneo dei colori adiacenti. Mentre si ha la sovrapposizione, quando ci sono almeno due strati di diverso colore, stesi in tempi diversi.

1. Ottenere i colori derivati

Questo compito, sebbene essenziale per sviluppare un metodo artistico, a volte risulta piuttosto noioso a causa della ripetitività, e dalla continua attenzione sulle proporzioni. Infatti, al primo errore non si può tornare indietro, e quindi si può scegliere di aumentare la quantità di uno dei colori, oppure di ricominciare da capo.

31


3.2 La scelta dell’interfaccia

enactive

iconic

symbolic

2. apprendimento e organizzazione del pensiero (rielaborato da Bill Verplank)

Il successo delle modalità didattiche hands-on e della modalità “learning through the arts” devono molto agli studi di Piaget e Bruner1, effettuati negli anni ‘60. Infatti, loro hanno teorizzato diverse modalità di apprendimento, dentro e fuori dagli ambienti scolastici. Soprattutto nei primi anni di vita, la modalità più frequente viene definita enactive. Questa indica il processo di conoscenza attraverso l’azione; ovvero il bambino acquisisce esperienza tramite tutti i sensi, compreso il corpo. In seguito comincia a sviluppare un apprendimento di tipo iconico, e a riconoscere degli oggetti rappresentati

1

Verplank, Sketching ID

32

in base alla loro somiglianza reale. Mentre dai sei-sette anni i bambini cominciano a sviluppare la conoscenza simbolica, e quindi ad associare significati ai simboli. La progettazione di esperienze volte ai bambini deve essenzialmente considerare soprattutto la prima fase di apprendimento. Questa è ritenuta così utile, che è spesso utilizzata anche per destinatari di fascia d’età maggiore. Il motto anglosassone learning by doing ne è un chiaro esempio. Le esperienze di pittura all’interno dei laboratori didattici e nei musei, sono solitamente fatte attorno ai tavoli. I lavori ultimati, vengono poi affissi alle pareti.


In quel momento il processo di creazione termina. Solitamente questi tavoli sono di altezza adatta e per lo più di grandi dimensioni, soprattutto in lunghezza. Questa modalità è utile sia per lavori di gruppo che di singoli, permettendo sempre una certa facilità di conversazione e commistione delle tecniche.

le azioni sono talvolta riprodotte vedendo gli altri, senza conoscere anticipatamente il processo e i risultati.

In un incontro generico, la presenza degli educatori diviene necessaria solo in alcune fasi, ma solitamente dai 4 anni in su, tutti sanno dove reperire i materiali e gli strumenti adatti.

Un po’ come la nascita dell’arte contemporanea, dove per la prima volta si dibatteva su cosa fosse un’opera d’arte e cosa no, una tendenza simile si avrebbe anche nella progettazione di esperienze, soprattutto volte al gioco e all’immaginazione.

Come ricorda il formatore Roberto Pittarello, la possibilità di far giocare bambini di età diverse, permette uno scambio continuamente proficuo dal punto di vista sociale e di apprendimento. Specie nei primi approcci,

Mentre nelle lezioni a tema, o nei percorsi didattici, l’approccio manuale dei ragazzi è affiancato dalle indicazioni teoriche e metodologiche dell’educatore.

L’approccio di gioco di un bambino è spesso più spontaneo, grazie alla non esperienza pregressa.

3. il fare assieme attorno a un tavolo

33


4. Le forchette di Munari

Su questa ispirazione, lo stesso Bruno Munari spersonalizza la funzione data ad un prodotto per altre nuove e ignote. Magari anche solo per un momento, fino a quando l’attenzione cade su qualcos’altro. La luce è di per sè ineffabile senza un corpo. Quindi essenzialmente noi non vedremmo nulla senza oggetti ravvicinati, anche in presenza di luce. Ad esempio ciò avviene se accendiamo una torcia verso uno spazio immenso. Non vedremmo comunque nulla. Da questa riflessione nasce la modalità di gioco con la sintesi sottrattiva, e non a caso è la prima sintesi dei colori insegnata. Così mentre la luce può essere solo una, l’elevato numero di oggetti che ci circonda ci permette un’interazione continua e pressocchè illimitata. Ad esempio ciò si evince da un esauriente scatto fotografico.

34

Questo può amplificarsi se consideriamo anche il tempo tra le variabili. Il vantaggio della tecnologia, e della programmazione, è di poter utilizzare lo stesso mezzo per ottenere diverse esperienze. Nasce in questo modo l’approccio tecnico nel progetto pigmento. Se il nostro obiettivo è di ottenere i colori derivati, occorrono in partenza i primari. Come visto nella parte di ricerca, il colore è una caratteristica psicofisica: nasce dall’interazione di luce e materia, e viene elaborata nella nostra mente. Siamo solitamente abituati ad associare delle funzionalità ad ogni mezzo per cui è stato progettato. Questo se da una parte è uno dei requisiti fondamentali per l’utilità di un oggetto, a volte sembra che tutte le possibilità siano già state definite.


A volte succede che le affordances comunicate dall’oggetto in proposito non siano adatte a far comprendere il suo uso progettato. Da questa eventualità, assolutamente non prevista, nascono talvolta nuovi modi d’uso. Un caso è anche raccontato dallo stesso Munari con il posacenere “cubo”. Da oggetto d’uso, veniva a volte utilizzato come oggetto d’arredo. Questo vuol dire che lo stesso oggetto può essere utilizzato in maniere differenti, e quindi l’utente può talvolta arricchire le possibilità progettate. Anche l’opera d’arte può subire e creare una significazione completamente differente a seconda del contesto e delle modalità curatoriali.

Da qui nasce la considerazione che il colore non deve necessariamente essere la materia di un oggetto, ma anche l’interazione della materia con la luce. Un effetto simile si può ottenere videoproiettando luci di diverso colore sullo stesso materiale. Sebbene le scuole siano molto propositive a sperimentare progetti non inclusi dalla programmazione didattica, gli esigui finanziamenti spesso frenano questa possibilità. Ciò è evidente anche per strumenti e materiali volti alle discipline ritenute più rilevanti. Nel progetto pigmento viene quindi proiettata della luce colorata sul sale, e quindi è possibile riutilizzare il materiale ogni volta che lo si desidera. L’intento è di rendere l’esperienza adatta in un contesto informale, libero dalle convenzioni e attuale considerando le difficoltà economiche in cui oggi versa la scuola.

5. Rappresentazione della similarità cromatica tra oggetto illuminato e non

35


3.3 Il materiale

Nella pittura, una delle prime esperienze si fa con l’uso di colori a tempera. La composizione fluida permette una maggiore libertà nella mescolanza, specie se si usano le dita invece dei pennelli. Questo ad esempio avviene al laboratorio di Storia del Colore a Bassano Del Grappa per i bambini fino ai quattro-cinque anni. Come riferisce la Dott. ssa Dorella Scarponi, già a quattro anni un bambino è consapevole della differenza tra il colorare e il dipingere. “Sa che per colorare occorre un disegno e che il dipingere è un’avventura ad alto potenziale creativo. Questo vale soprattutto per i più piccoli, nella fascia d’età tra i quattro e i sei-sette anni. In età inferiori sono interessati soprattutto al movimento, rappresentando tracciati, macchie e gesti”.2 Inoltre, come sostiene Hilary Page, il gioco in sè non deve sostituirsi al gioco del bambino. Ciò vuol dire che è il destinatario che crea le sue associazioni. Per questa ragione, afferma Page, giocare con sabbia, creta o acqua annoia molto meno rispetto alle funzionalità date da oggetti statici. Specie per i più piccoli, è preferibile avere meno regole possibili, senza l’imposizioni di compiti e obiettivi. La semplice esplorazione di un prodotto o ambiente, se con stimoli adatti, permette un interesse talvolta maggiore e prolungato.3 Inoltre, come ricorda Albers, la psicologia della Gestalt ha dimostrato che la tridimensionalità viene percepita prima e più facilmente della bidimensionalità. Questo chiarisce il fatto che i bambini non iniziano, come ancora vuole la maggior parte degli insegnanti d’arte, con la pittura e il disegno, che sono astrazioni laterali su un piano bidimensionale, ma incominciano

2 3

Scarponi D., Il gioco e la cura Hilary G., Il giocattolo da 0 a 5 anni

36

6. Dipingere con le mani

7. Giochi di sabbia


a.

a.

b.

b.

6. manipolare un materiale liquido

da soli dalle costruzioni, componendo nello spazio, partendo da una base e verso l’alto, in tre dimensioni4. Questo carattere fluido e malleabile mi ha portato inizialmente a definire come materiale della comunissima acqua naturale. La facilità di mescolare con i liquidi è ben nota, ciò però porta a diversi svantaggi. Dal lato utente, non tutti vorrebbero bagnarsi le mani se la temperatura ambiente non è estiva. Un altro rischio è di dover cambiare continuamente l’acqua a causa del continuo contatto con le mani, oltre a essere poco igienico. Inoltre occorrerebbero continuamente tovagliette posteriori all’uso. E ancora, in fase di prototipazione, il rapporto tra acqua e strumentazione tecnica può non essere dei migliori, dovendo quindi considerare troppi rischi, e quindi maggiori costi.

7. manipolare un materiale solido

Così la soluzione si rivolge a un materiale granulare, di opacità relativamente bassa, tale da poter rinfrangere la luce del videoproiettore. L’opacità della materia svolge una doppia mansione: assorbe la luce che le rende quindi un colore, e non permette ai raggi luminosi di continuare. Questo è particolarmente importante per evitare l’esposizione diretta al raggio luminoso del videoproiettore, poco innocuo se non filtrato. Come visto nei metodi di estrazione del colore, il primo metodo avveniva per macinazione delle pietre. Questo processo, oneroso in termini di tempo e fatica, comportava la forma irregolare del pigmento finale.

4

Albers J. , L’interazione del colore, p. 124

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3.4 Il materiale granulare bianco

Affinchè il materiale granulare rappresenti la maggior parte dei colori possibili, occorre che sia bianco. Qualcosa di simile avviene anche per la stampa, dove la carta è solitamente bianca per poter riprodurre il maggior numero di colori possibile, a parità di costi. Tuttavia, a seconda del contesto didattico, non si esclude la possibilità di utilizzare granelli di colore differente. In tal caso però, gli obiettivi del progetto differirebbero. Sarebbe come curiosare con una macchina fotografica, e fare il bilanciamento del bianco su una superficie di diverso colore.

10. pigmento bianco a base di zinco

La scelta dunque ricade su tutti i granelli bianchi/opachi disponibili, e che allo stesso tempo non consentano usi nocivi ai destinatari. Infatti, la prima scelta ricade sul pigmento vero e proprio di colore bianco. I tipi più comuni sono a base di titanio o di zinco. Purtroppo però gli usi possibili potrebbero andare oltre quelli previsti l’esperienza didattica, come ad esempio ingerire i granelli. Questo è un aspetto importante perché il gioco potrebbe essere utilizzato senza la supervisione di adulti. 11. zucchero

Un ulteriore svantaggio, è la permanenza del pigmento sulle mani anche dopo l’uso. Così il raggio di scelta si riduce ad elementi noti in cucina, come lo zucchero e il sale, oltremodo economici. Se si considera il sapore, lo zucchero piace sicuramente di più rispetto al solo sale. Quindi andrebbe via prima, causando inconvenienti alla salute dei destinatari. Inoltre, per motivi igienici, lo zucchero potrebbe non essere l’ideale, perché obiettivo di insetti.

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12. sale fino


Cambia anche il modo di ottenerli. Lo zucchero subisce un processo di sintesi chimica, infatti deriva dal saccarosio della barbabietola o dalla canna da zucchero. Questo processo non naturale, andrebbe in contrasto con il contesto dell’esperienza, che si rifà alla tradizione pittorica rinascimentale. Mentre il sale è un minerale, e quindi già presente in natura. Ovviamente ce ne sono di molti tipi, a seconda della provenienza e quindi delle caratteristiche ambientali. La morfologia di quest’ultimo può variare in maniera consistente. Grazie al mondo gourmet, è possibile ottenere sali di innumerevoli forme e dimensioni. Sempre trascurando il colore, e altre proprietà come il sapore.

La ricchezza di forme e dimensioni differenti richiama la molteplicità dei pigmenti naturali in natura, di cui sono composti i pigmenti. Questo permette di associare la difficoltà di ottenere una polvere perfettamente omogenea, proprio come avveniva nella bottega d’artista nel XV secolo. Come per il commercio dei pigmenti, anche il sale era così importante, tale da acquisire l’accezione di salario, usata tutt’oggi. Gli indubbi vantaggi del sale vanno ben oltre gli obiettivi progettuali, che qui non sono considerati. Una certa attenzione è rivolta anche all’umidità nell’ambiente. Infatti, se troppo elevata, potrebbe ridurre il sale a una massa d’acqua, e quindi non utilizzabile.

13. le dimensioni del sale

39


3.5 Il tavolo interattivo

8a. tavolo in prospettiva

La sembianza di un tavolo richiama l’attività collaborativa che già avviene nel contesto in questione. Le dimensioni dovrebbero essere tali da poterlo rendere facilmente accessibile a più destinatari nello stesso arco di tempo. La forma smussata aiuta a prevenire eventuali incidenti. Sul piano è presente del sale, unica variabile fisica affinchè il gioco cominci. Secondo le tecnologie e metodi conosciuti, all’interno è presente una webcam che, tramite

l’elaborazione del software, riconosce la posizione del sale. Di conseguenza il videoproiettore illumina solo in corrispondenza dello stesso. Per ragioni tecnologiche, c’è uno specchio alla base, che permette anche al videoproiettore di fascia economica bassa uno spazio adeguato affinché copra tutta la superficie del piano. La superficie è appena opacizzata, per non consentire la visibilità dall’esterno verso dentro, e allo stesso tempo

videoproiettore

b. tavolo in funzione webcam

40

specchio

computer


c. videoproiezione a raggio corto

permette la fuoriuscita dei raggi luminosi. Sebbene si usi la luce, Il colore viene dato in base alla logica della sintesi sottrattiva. Quindi la somma dei colori non sarà bianco, bensì nerastro.

Il gioco comincia con i tre primari, ed è possibile mescolarli per ottenere ciò che si vede in alto. Un videoproiettore a ottica ultra corta, consentirebbe una distanza molto minore tra la lente e il piano.

In questo caso si tratta di tre colori primari, ma questi possono variare anche fino a cinque. In tal modo, si può variare anche la luminosità, oltre a tonalità e saturazione.

Le difficoltà tecnologiche e la non chiarezza sul funzionamento hanno portano a definire la suddivisione delle aree. A prima vista, i colori primari sono disposti a un lato, per poi mescolarli nella parte centrale del piano. Tuttavia ci sono ancora dei problemi.

AREA SENSIBILE

d. suddivisione delle aree

41


3.6 La forma circolare

9. tavolo tondo

a. prospettiva

b. dall’alto

Sebbene la modalità di utilizzo risulti più chiara, l’arbitrarietà dei colori al lato porta necessariamente a una competizione tra i posti al tavolo. Infatti, potrà giocare chi è vicino agli ingredienti di base. Cio è evidentemente una limitazione, piuttosto che favorire la partecipazione tra destinatari che ancora non si conoscono.

inaspettato solo all’avvicinamento/unione di due o più elementi differenti, e nello specifico di nuovi colori.

La forma circolare sembra rispondere a questa esigenza, la quale permette ci cambiare posizione in manierà più agevole. Ma la novità è di disporre gli ingredienti al margine, in maniera tale che siano raggiungibili a vista d’occhio ancor prima di avvicinarsi.

Questo perché quando è da solo, il girare attorno al tavolo permette un maggiore coinvolgimento, e quindi di osservare le peculiarità graduali del colore da punti di vista differenti.

Le aree attive sono quelle contrassegnate in grigio, mentre l’area centrale è deputata alla sintesi. Questra struttura concentrica richiama l’incontro nella comunicazione umana: si avrà qualcosa di nuovo e

42

Il piano deve avere delle dimensioni tali per cui un bambino trovi più comodo trascinare un colore o al massimo due dalla stessa posizione, piuttosto che tutti.

La sua funzionalità viene poi espressa al meglio in presenza di maggiori partecipanti. Infatti, la posizione del corpo determina l’”appropriamento” di un colore, e quindi occorre un senso di partecipazione affinchè la sintesi si realizzi. Questo “fare insieme” è uno dei propositi dell’esperienza munariana.


La possibilità di trascinare il sale ovunque sia possibile fisicamente, e la presenza di zone non attive, porta inevitabilmente a situazioni difficili da gestire. Per evitare tutto ciò, fermo restando l’obiettivo e la funzionalità del gioco, si considera come area utile tutto il piano. A seconda delle esigenze didattiche, è possibile personalizzare il gioco in base a tre o cinque colori primari. Se ciano, magenta e giallo permettono di variare tonalità e saturazione, gli eventuali bianco e nero anche la luminosità.

10. suddivisione del piano

Se oltre alla qualità del colore derivato, si vuole considerare la quantità, la suddivisione del piano risulta particolarmente rilevante. Infatti, il disco centrale ha la stessa area del totale dei colori primari. Ne consegue che nel primo caso

AC AMIX

AY

AMIX= AC + AY + AM

AM

dove AC = AY = AM e nel secondo

11. versione a tre colori primari

AMIX= AC + AY + AM + AW + AB

AY

dove AC = AY = AM = AW = AB A seconda del livello, è possibile ottenere la mescolanza del colore al centro, in base alla quantità di colore primario prelevato dalla sua area preposta. Queste aree di colore non sono intercambiabili, per non creare incertezza nel gioco, e ciò facilita anche la fase di prototipazione.

AC AM

AMIX AW AB

12. versione a cinque colori primari

43


3.7 Scenari 3.7.1 I tre colori Dati tre colori, è possibile combinarli nel totale delle loro quantità. Variando tonalità e saturazione, si ottengono i colori secondari da quelli primari.

questa è la prima possibilità offerta dal gioco. Utilizzando solo i tre colori primari, si possono ottenere i secondari. Si possono mescolare due colori per volta o anche tre.

Paola e Giovanni, 4 e 5 anni

Inizialmente il sale colorato riempie tutta la fascia laterale.

Tutto il magenta deve essere spostato affinchè possa essere accettato.

44


Paola sposta tutto il colore ciano all’interno del piano, e si ottiene blu (ciano e magenta insieme)

La massa di sale, anche se divisa, mantiene il suo blu all’interno del disco centrale

La mescolanza di tutti i colori primari porta a un nerastro.

45


3.7.2 I cinque colori

Dati cinque colori, è possibile combinarli nel totale delle loro quantità. L’aggiunta di bianco e nero permettono di cambiare la luminosità.

La modalità a cinque colori primari permette di variare non solo tonalità e saturazione, ma anche luminosità.

Paola e Giovanni con Filippo, 4, 5 e 4 anni

Anche qui il sale inizialmente copre tutta la fascia laterale.

Uguali quantità di magenta e giallo formano il rosso.

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Filippo comincia a giocare con Paola e Giovanni.Il bianco aumenta la luminosità del colore rosso, facendogli perdere però saturazione.

L’aggiunta di ciano porta a un colore violetto, o comunque molto scuro.

La mescolanza di tutti i colori primari porta a un nerastro, simile al precedente.

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3.7.3 Le proporzioni differenti

Dati cinque colori, è possibile combinarli in proporzioni differenti. Le combinazioni possibili cominciano ad essere più numerose.

La presente modalità permette di variare le proporzioni nella mescolanza tra diversi colori primari.

Utilizzare solo una parte di magenta per provare a sperimentare maggiori combinazioni, e quindi un’esperienza più sorprendente.

Ecco un nuovo colore: arancio. Il giallo è presente in proporzione doppia rispetto al magenta.

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Aggiungendo del ciano si ottiene del marrone

e il bianco lascia cambiare ancora qualcosa. Ora diviene sempre più complesso definire il nome dei colori.

L’aggiunta di tutto il bianco porta all’acromaticità, dovuta alla complementarietà dei colori utilizzati.

49


3.7.4 La divisione

Dati cinque colori, è possibile combinarli in proporzioni differenti, e cambiare il colore derivato riponendo la giusta quantità di colore primario al suo vano. Discostandosi dal reale, questa modalità viene definita fantastica.

Questa viene definita modalità fantastica. Al contrario della realtà, è possibile riprendere una parte del colore utilizzato in precedenza. Questo può tornare utile per provare maggiori combinazioni e se il risultato ottenuto non è quello desiderato.

Fino a quando non si porta la massa di sale nell’area del colore primario, esso rimane sempre del colore derivato

Appena si trascina all’interno dell’area indicata, il sistema riconosce che il magenta era parte del colore derivato.

50


CosĂŹ avviene per gli altri colori primari

Ora rimane il giallo e il bianco, in uguali proporzioni.

Ora il giallo è sicuramente piÚ saturo rispetto a prima.

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3.7.5 Qualsiasi combinazione

Dati cinque colori, è possibile combinarli in proporzioni differenti, e cambiare il colore derivato in qualunque momento. senza necessariamente prelevare la quantità di colore immessa.

Finora i nostri partecipanti hanno ripreso la stessa proporzione di colore utilizzata in precedenza.

Ma se ne riprendono di meno? Il colore varia meno. Rosso vermiglio.

E se si vuole trascinare tutto il colore presente al centro in una sola area? Non è possibile, perché occorerebbe un’area maggiore. Ad ogni modo, se forzatamente ciò avviene, il colore rimane dell’area indicata.

52


possibilità di un target virtuale al centro del piano che suggerisce la posizione. L’area del cerchio virtuale è la stessa dell’area mancante dalle fasce laterali.

Un’ulteriore funzionalità permette di semplificare cosa è possibile fare e come. Al centro del piano viene proiettato un cerchio

dove poter inserire il colore da mescolare,

le cui dimensioni variano a seconda del colore mancante nelle fasce laterali.

53



Capitolo 4

Tecniche di colorazione

nella progettazione del colore occorre considerare i materiali, l’ambiente, le modalità di utilizzo e tanti altri fattori. I pixel che conosciamo qui sono granelli di sale. Vengono quindi esposte le tecniche di colorazione a seconda della fattibilità tecnica e concettuale.

Il palazzo dei Papi ad Avignone Paul Signac, 1900



4.1 Colorito e colorato

1. foglia di ciliegio

Riprendendo la figura a pagina 23, è possibile riconoscere una foglia in entrambe le versioni. Nel primo caso si tratta di una foto, e nel secondo di un disegno. Sebbene la forma sia quasi identica, ciò che cambia è il numero di colori: da migliaia nel primo a sei nel secondo. Come accennato nella parte di ricerca, la riproduzione di un colore è sempre campionata, ovvero il numero dei colori è limitato rispetto alla foglia vera. Ovviamente la foto è sicuramente più verosimile del disegno. Questo perché la risoluzione dei punti è maggiore della nostra elaborazione visiva.

a. foto b. disegno

Ogni oggetto naturale presenta una tessitura, e ciò viene definito colorito1. Comunemente si usa questo aggettivo per la pelle, piuttosto che colorato, proprietà più frequente negli artefatti. Questo porta a due differenti tecniche di colorazione del sale: uniformità data dalla giustapposizione di punti dello stesso colore, e apparenza uniforme data da punti di diverso colore. In questo progetto, il secondo caso risponde meglio alle caratteristiche materiali del pigmento vero, costituito da innumerevoli “impurezze”.

1

Di Napoli G., Il colore dipinto, p. 240

57


4.2 Colorante e colore

Finora si è visto che il sale assume un colore grazie alla videoproiezione. Questo ovviamente porta alla progettazione del colore, e alla sua gestione. Il modo più semplice è di considerare il sale come un oggetto, e dargli la colorazione adeguata. In questo caso è come se si trattasse di una tintura. Ho 100 ml di ciano e voglio colorare 100 gr di sale.

2. il colorante

Ma cosa accade se cambia la quantità di sale?

La purezza, ovvero la tonalità del colore cambia. Diminuisce all’aumentare del volume, e aumenta nel caso opposto2. Questo inconveniente si può tuttavia evitare con facilità, asserendo che la quantità di sale non può variare.

Questa peculiarità sembre non essere riconosciuta dai bambini di età inferiore ai cinque anni.

2

58


E quindi cosa succede se Giovanni sposta solo la metà del ciano?

NON E’ POSSIBILE

3. scenario (se fosse colorante)

4. sale, pixel, minerale

La tonalità cambia perché la quantità è differente. E questo non sarebbe logicamente possibile, perché i colori primari non sono scomponibili. In questo progetto si vuole mescolare il colore, non il colorante.

scala 1:10

Scomponendo il colore in tante piccole parti, si arriva alla sua unità. Si tratta di granelli per il sale, di pixel nella videoproiezione, e di minerali per i pigmenti inorganici. Associando il colore del minerale ad ogni pixel, è decisamente possibile conservare la purezza del singolo colore, e il risultato percettivo sarà dato dalla giustapposizione di tutti i colori.

granello di sale

La novità sta nel proiettare i colori primari della sintesi sottrattiva tramite la videoproiezione, la quale sfrutta la sintesi additiva perché si tratta di luci. pixel

Come accadeva per i neoimpressionisti, la sintesi si definisce ottica, perché il colore percepito può essere differente dai colori reali utilizzati. Ne consegue che se giustapponiamo i colori primari con un opportuno rapporto tra la distanza dell’osservatore e la grandezza del punto, il colore percepito varia in base al numero dei colori primari.

10 X

minerale

59


4.3 Progettazione del colore

4.3.1 Texture e moduli

Si parla di texture quando la trama è così fine da non potersi distinguere, perché i punti impressi sono più piccoli di quelli percepibili dall’occhio umano. Ne consegue che il colore finale risulta uniforme.

Se il pixel proiettato ha una dimensione minore della base del granello di sale, la sintesi ottica porta alla sintesi sottrattiva del colore derivato. Quindi da pixel giallo e ciano, vedremmo solo il verde in tutto il volume.

Man mano che si ingrandisce la trama, è possibile distinguere i colori primari, che in questo caso sono giallo e ciano, in eguali proporzioni.

A parità di dimensioni, ocni granello avrà un colore primario, e la vicinanza con gli altri determina il colore di sintesi.

Come sottolinea Daniela Calabri, si parla di visione “ottica” quando l’angolo di visione è ampio, e ciò avviene quando guardiamo qualcosa a una certa distanza. Mentre si dice visione “tattile” quando siamo a distanza ravvicinata3. Questa deriva dalla sensibilità alle piccole scalanature e altre morfologie del materiale, non percepibili altrimenti.

Oltre questa soglia l’effetto ottico svanisce, ottenendo i primari anche se i granelli sono giustapposti o sovrapposti.

Quando è possibile osservare gli elementi modulari di un’immagine, allora si parla più di texture, ma reiterazione modulare. La texture si differenzia dalla reiterazione modulare grazie ad una serie di parametri, tra i quali incidono certamente la dimensione dei moduli e la frequenza della reiterazione, ma soprattutto dalla distanza dell’osservatore. La distanza provoca, di fatto, la perdita di definizione dei dettagli, come la grana di una superficie.

Non c’è una regola migliore delle altre sulla dimensione da utilizzare. Questa scelta cambia a seconda dell’esperienza didattica, intatti la sintesi ottica risulta più comprensibile se si conosce già quella sottrattiva. Ovviamente c’è un margine di tolleranza a causa della variabilità della grandenza del sale. Tutto ciò è previsto e fa parte dell’esperienza hands-on. In sintesi, una quantità minima di pixel è sufficiente a definire tutte le combinazioni dei colori primari. Ad esempio, se abbiamo una proporzione doppia tra il giallo e il ciano, basteranno moduli da 3 pixel, reiterati per tutta l’area di sale individuata.

L’argomento texture è affrontato anche da Munari nei “laboratori tattili”, i quali proponevano un’educazione attraverso l’esperienza e l’esercizio con materiali diversi. Nel progetto pigmento, è interessante considerare la dimensione del pixel sul piano, infatti possiamo avere tre casi. 3

Calabri D., Texture Design Un percorso basic, p. 38

60

5. colorazione a texture


1x

2x

4x

8x

16x

6. da texture a modulo

61


4.3.2 Granelli di colore

Le precedenti tecniche di colorazione portano a piccoli inconvenienti di progettazione. Il riconoscimento del sale avviene grazie a due fattori: colore e dimensione. Il primo è sicuramente bianco; mentre con il secondo si intende l’area alla base del granello. Solitamente non si trascina il singolo granello, ma una certa quantità. Sorge quindi spontanea la domanda: cosa succede se questo fosse trascinato singolarmente? Secondo le precedenti tecniche di colorazione, al centro del tavolo, la differenza tra colore primario e derivato si distingue solo in base a fenomeni percettivi. Mentre, se un granello è solo, non viene neppure riconosciuto data la sua limitata area. Questo però non rispetterebbe la convenzione del sale come colore, lasciandolo naturalmente sempre bianco. Di conseguenza, il singolo granello perderebbe la sua identità e sarebbe necessario “mescolarlo” insieme alla massa. Come per il sale, i pigmenti assumono un colore in base ai minerali di cui sono composti4, e questi variano a seconda del luogo di provenienza (es. blu oltremare). La dimensione delle pietre in natura, da cui si ricavano i minerali, può variare anche in maniera sostanziale. Questo aspetto morfologico permette di associare ad ogni colore una dimensione diversa. Ad esempio, il magenta rimanda ai geminati a rosa di ferro, presenti in grandi dimensioni.

4

se si considerano i soli pigmenti inorganici naturali

62

7. scenario


Così il singlo granello al centro del piano ne suggerisce l’eventuale ri-collocamento nella fascia laterale. Ogni regola è un suggerimento, quindi il granello di sale di dimensione tre può essere portato comunque in aree di sale di dimensione differente. Nel momento in cui il singolo granello torna a far parte di un’area di maggiori dimensioni, lascia la sua unità per fondersi nella sintesi ottica.

8. rappresentazione delle dimensioni dei granelli

sale da cucina fino

1

2

sale da cucina grosso

3

4

sale per applicazioni industriali

5

5 mm

63



Capitolo 5

Prototipazione

learning by doing apre una serie di possibilitĂ , permettendo di sapere cosa funziona e cosa no. Qui si presenta un percorso, tra i tanti possibili, per testare ed espliorare tutte le fasi progettuali.

base del tavolo, incisione a caldo



5.1 Le fasi di prototipazione

Learning by doing non funziona esclusivamente per i bambini, o nell’ambito didattico in cui si presenta questo progetto. Il fare può essere causa e conseguenza di una maggiore consapevolezza. Ad esempio, il camminare, anche al buio, ci permette di conoscere gli ostacoli, e quindi lo spazio che ci circonda. Per lo stesso motivo, il far prototipazione ha accompagnato tutte le fasi progettuali, talvolta con un rilevante apporto. La condizione iniziale era di esplorare l’idea della scomposizione e ricomposizione dei colori. Il prototipo permetteva così di dar forma a un’idea, seppur molto rudimentale, e di lasciar spazio a tutte le possibilità.

1. Paper prototyping

Si parla in questo caso di paper prototyping, dove ciò che preme maggiormente è di definire il ruolo dell’utente, come agisce, e cosa potrebbe ottenere. Difficilmente questa modalità esplorativa può essere condivisa con i possibili destinatari, poichè occorre un certo grado di immaginazione. I materiali poco realistici e la tecnologia pressocchè inesistente permettono però le prime risposte, e di conseguenza pongono una serie di domande. Ad esempio, per ipotesi, si immagina che cosa accadrebbe se l’utente manipolasse qualcosa piuttosto che qualcos’altro. Questa fase lascia adito a quelli che vengono chiamati “what if” del concept.

67


Validando alcune delle possibilità, il prototipo ha assunto delle qualità visive simili a quelle finali. Si parla in questo caso di smoke and mirrors. La metafora allude ai giochi di prestigio, dove lo spettatore rimane sorpreso di fronte a un fenomeno, senza conoscere come esso sia possibile. Se prima il materiale poteva essere qualsiasi cosa fluida, è qui che si comincia ad utilizzare il sale e anche il videoproiettore. Questi si rivelano come i due elementi capisaldi di tutte le successive fasi di prototipazione. Viene realizzato uno sketch in ambiente Processing, il quale semplicemente proietta delle aree di colore seguendo una logica di scomposizione e ricomposizione in maniera temporizzata. Nel video, si trascina il sale sul piano a seconda della combinazione prefissata. Si parla in questo caso di “Look and feel”1, dove le qualità esperienziali vorrebbero essere molto simili a quelle del prodotto finale. La qualità visiva è tale per cui il sale non sembra più tale, e la differenza di colore lascia l’illusione di manipolare materiali differenti.

1

Houde S., Hill C., What do Prototypes prototype

2. prototipo “Smoke and mirrors”

68

La gestione del colore non è ancora chiara, ma le qualità esperienziali sono tali per cui si comincia ad affrontare l’implementazione. Affinchè il sistema sia interattivo, occorre che la webcam, mai utilizzata finora, rilevi la posizione del sale, e che la proiezione avvenga solo ed esclusivamente in corrispondenza dello stesso. Fortunatamente ci sono delle librerie già sviluppate che facilitano questo compito, che ovviamente necessita di una progettazione piuttosto laboriosa. Questa fase è tra le tutte la più complessa, e di solito prevede un team affinchè si studino tutte le possibilità “lato macchina” e si realizzi un prodotto affidabile e stabile nel tempo. Ai fini di prototipazione è comunque di notevole importanza continuare a esplorare e verificare le ipotesi di interazione, sebbene il metodo pratico utilizzato è uno tra i molti possibili. Il primo problema è di riconoscere la posizione del sale. Come verrà esposto in seguito, il colore bianco ha una luminosità maggiore, e questo permette di escludere tutto ciò che non lo è.


Il secondo problema è dato dalle caratteristiche tecniche del videoproiettore: quello utilizzato necessita di un ambiente poco luminoso affinchè si vedano i colori. Questo è la causa di un terzo problema: la scarsa illuminazione non permette assolutamente la visione del sale. Quindi inizialmente si usano delle lampade il cui raggio luminoso è diretto verso il sale. In questo modo, la luminosità delle lampade è tale per cui non compromette la visione dei colori, e allo stesso tempo permette il riconoscimento del sale. Questo metodo porta ad utilizzare dei led nella versione successiva. Sono disposti lateralmente, con raggio stretto e diretto. A questi contrattempi tecnici, segue la progettazione del colore. Oltre a mescolare colori differenti, le perplessità nascono dalla necessità di poterli dividere per poterli rimescolare in seguito. La scomposizione risulta piuttosto arbitraria, e questa mancanza di linearità genera problemi anche in programmazione. Nasce in questo momento la forma circolare, separando l’area dei primari dai derivati. Si definisce inoltre la giusta quantità di sale da utilizzare: disposto su tutta l’area

3. dall’area al blob, OpenCV

laterale, se spostato, deve coprire tutta l’area centrale. La maggiore semplicità di utilizzo “lato utente” semplifica notevolmente tutta la logica lato macchina. Dopo aver definito dimensioni e forma, nasce la volontà di poter eventualmente testare il prototipo, anche con una serie di limitazioni. Si parla in proposito del numero di dettagli, e in questo progetto vogliono essere tali per cui sia possibile fare almeno alcune prove con i destinatari previsti. Per lo stesso motivo, nasce la necessità di creare un prototipo ad alta fedeltà, e cioè che abbia le sembianze del prodotto finale. Questo ha portato alla progettazione dello spazio interno al tavolo, a seconda dei mezzi disponibili. Una serie di accorgimenti permette la disposizione di tutto il necessario affinchè il gioco si realizzi. Il risultato è ovviamente un compromesso tra la progettazione del gioco e la realizzazione. Di conseguenza non potrebbe essere esposto in uno spazio pubblico, però lascia testare alcuni degli obiettivi previsti.

a

4. Primo prototipo con tecnologia

b

5.la colorazione sul sale

69


5.2 le dimensioni

cm

150

Luca 6 anni

100

Laura 10 anni

50

1. La progettazione delle dimensioni

Nella progettazione di un’interfaccia fisica, le dimensioni variano principalmente in base ai destinatari. L’età compresa è tra i cinque e gli undici anni. Non è presa in considerazione un’età inferiore perché studi di psicologia cognitiva1 hanno dimostrato la non possibilità di fare calcoli di quantità volumetriche in

Page H., Gioco e giocattoli nei primi cinque anni, p. 133

70

forme differenti. Tuttavia, non si esclude la possibilità di un’età inferiore, con i dovuti accorgimenti. Ragazzi di età maggiore potranno certamente usufruire del presente gioco, ma non essendo i primi destinatari, non è prevista attualmente una modalità didattica a loro adeguata. Considerando l’altezza media, si è trovato uno standard di altezza 70 cm e diametro 100 cm. In questo modo, allungando le braccia verso il centro, non si dovrebbe arrivare, senza spostarsi, al colore del lato opposto.


71


5.3 I materiali

5.3.1 La copertura

Sebbene si tratti solo di un prototipo, le sembianze devono dare l’idea di un gioco adatto al contesto di museo della scienza o laboratorio didattico. Mentre l’illuminazione ambientale è ridotta o quasi a zero, il colore dell’exhibit dovrebbe essere il meno visibile possibile per attrarre l’attenzione sul piano del tavolo.

2. la copertura di cartone

Ne consegue che il colore esterno è sul nero, e di apparenza rigida. Se idealmente la copertura potrebbe essere in plastica, qui è di cartoncino nero. La prima versione prevedeva un tessuto nero, e richiamava un’esperienza onirica piuttosto che ludica.

5.3.2 Lo scheletro

Uno dei primi requisiti è di trasportare il prototipo, cercando di sprecare il meno tempo possibile tra le fasi di smontaggio e rimontaggio. Nasce su questa esigenza la possibilità degli elementi modulari. Lo scleletro è suddiviso in cinque settori, esattamente come le aree di colore al si sopra del piano. In questo modo le “gambe” non dovrebbero interferire con il normale svolgimento del gioco. Una delle soluzioni affinchè si renda il tavolo stabile e allo stesso tempo veloce nell’assemblaggio, è di fissare degli “anelli” in legno abbastanza resistente. Sulla base ci sono i fori affinchè le gambe si incastrino. La tecnologia adoperata in questo progetto necessita la trasparenza del piano. In questo caso si utilizza del plexiglass da cinque mm. 3. lo scheletro

72


5.3.3 Il piano La trasparenza del piano rende visibile anche le parti utili alla stabilità del tavolo. Ciò ovviamente non farebbe parte dell’esperienza dei destinatari, e per questo motivo viene creata una fascia laterale. Se il diametro degli anelli è di circa sette centimetri, il bordo sarà largo otto. Il materiale, come per la copertura laterale, è in cartoncino nero. Di conseguenza, l’area utile del piano ha come diametro 84 centimetri.

4. la suddivisione del piano

5.3.4 Il bordo

Sebbene il sale possa essere spostato ovunque sul tavolo, la quantità deve poter essere costante durante la durata del gioco.

NON E’ POSSIBILE

La possibilità di spostare facilmente i granelli può portare a lasciarli cadere dal piano, e questo sarebbe un problema nella progettazione del software. Infatti, il sale affinchè sia riconosciuto, deve essere sulla superficie utile del piano. Inoltre, l’esperienza finale verrebbe meno, infatti la minore quantità di sale porterebbe a minori combinazioni di colore. Quindi come rimedio si pone uno spessore al bordo, tale per cui il sale non dovrebbe andare oltre, almeno non fortuitamente. Come verrà approfondito nella parte di programmazione, l’altezza del bordo deve essere tale per cui scoraggiare una sovrapposizione esagerata dei granelli di sale. Tra le varie possibilità, si sceglie per economicità e facilità di utilizzo del comunissimo tubo scuro da porre al di sotto del cartoncino.

5. lo spessore del bordo

73


5.4 Il calcolo delle aree 5.4.1 Area centrale e laterale

L’area utile di 84 cm è a sua volta suddivisa in due spazi, che si eguagliano in termini di superficie. In questo modo è possibile coprire tutta l’area centrale con il sale disposto inizialmente nelle aree laterali. Per semplicità, la quantità di sale dei colori primari è uguale, senza considerare tecnicismi importanti per i pittori, come la coprenza del pigmento, o ancora gli studi sulla proporzione dei primari di Piet Mondrian.

A1 A2 ATOTALE

Sapendo che il diametro totale è 84 cm, occorre ottenere l’area, in maniera tale da ricavare le dimensioni delle aree interne. ATOTALE = π r2 = π 422 ≅ 5542 cm2 AMIX = ACOLORI = 5542 / 2 = 2771 cm2 rMIX = √AMIX / π ≅ 30 cm quindi il diametro dell’area centrale, nel quale è possibile mescolare i colori, ha diametro 60 cm.

A1

AMIX

Mentre l’area di ogni singolo colore è

A2

ACOLORE = ACOLORI / 5 = 2771 / 5 ≅ 554 cm2

ACOLORI 6. il calcolo delle aree

74


5.4.2 La suddivisione dei colori 7. i movimenti possibili

NO caso 1 TOP VIEW

SI caso 2

La facilità di trascinamento del sale potrebbe portare i destinatari a sovrapporlo nelle fasce laterali. Per ragioni progettuali, la mescolanza del colore è possibile esclusivamente nell’area centrale. Da questo proposito nasce la possibilità di porre delle barrette fisiche tra i colori primari. Mentre nulla ostacola il passaggio dall’area laterale a quella centrale, dove l’interazione deve poter essere immediata.

Affinchè il gioco sia chiaro, e allo stesso tempo meno complesso nella prototipazione, le aree dei primari sono definite a priori. Quindi, ad esempio, l’area deputata al giallo rimarrà tale, con o senza sale. Ovviamente si avrà la proiezione di luce colorata sempre in corrispondenza della copertura del sale sul piano. I bordi dei primari sono permanentemente colorati, per conoscere preventivamente la loro locazione mentre sono mescolati al centro, e agire di conseguenza.

8. rappresentazione del piano

MIX

75


5.5 Il setup tecnico 5.5.1 Il funzionamento generico

Generalmente la webcam rileva la posizione del sale, e la luce colorata viene proiettata in corrispondenza dello stesso.

9. schema di funzionamento

Per conoscere la posizione del sale viene utilizzata una metodologia ottica, ovvero la discriminazione degli oggetti in base alla loro luminosità. Il colore bianco del sale respinge meglio di ogni altro colore i raggi luminosi. Quindi, a parità di radiazioni luminose dello spettro visibile, il sale sarà sicuramente più visibile della superficie semi-trasparente, quale è il plexiglass. Dal lato software, ci sono diversi modi di affrontare la situazione. Sicuramente occorre una libreria progettata apposta per i compiti di visione. La più completa e allo stesso tempo documentata è OpenCV, nata in linguaggio C++ dal gruppo Intel, e poi diventata di libero accesso a tutti gli sviluppatori. Una versione più limitata, ma comunque adatta ai livelli di prototipazione, è utilizzata in ambiente opensource Processing.

10. input, output schematico

webcam

76

videoproiettore


5.5.2 Il threshold

La webcam, come da esperienza comune, rileva tutto ciò che le si pone davanti in base alle caratteristiche ottiche e tecniche.

L’immagine finale avrà solamente due colori, bianco o nero (nell’elaborazione grafica in basso, il nero è sostituito con il grigio).

Sapendo che un oggetto bianco respinge la luce più di ogni altro colore, possiamo rilevare la sua presenza dicendo al software di elaborare tutto ciò ha una luminosità maggiore di una soglia predefinita. Questa soglia viene chiamata anche threshold, e varia da 0 a 255.

Ne consegue che, a parità di condizioni luminose, all’aumentare del numero di threshold, la quantità di pixel elaborata diminuisce (parte bianca). Affinchè si riconosca la giusta quantità di sale, questo parametro varia a seconda dell’illuminazione ambientale.

11. il threshold

1

50

170

230

77


5.5.3 Illuminazione a led

12. l’utilità dei led

Affinchè il threshold funzioni, occorre un contrasto tra il corpo e l’ambiente, o come dire tra figura e sfondo. Il videoproiettore utilizzato non permette al colore di mostrarsi se non in un ambiente poco luminoso. Però, a causa della scarsa luminosità, la webcam non è più in grado di riconoscere nemmeno il sale. A questo proposito si utilizzano dei led, per fornire una luminosità tale per cui sia possibile distinguere il sale. Questo ha aperto una serie di problemi di progettazione. Tra i tanti parametri, il primo è il numero necessario. Utilizzarne tanti non vuol dire migliorare la situazione, e può essere anche controproducente. Inoltre, occorre sapere il grado di apertura, l’alloggiamento, la luminosità e la temperatura del colore, espressa in gradi Kelvin. E’ necessario che il sale si veda bianco, prima di essere videoproiettato di colore. Quindi si escludono tutti i led che abbiano una temperatura minore di 4000 °K e maggiore di 7000 °K. Infatti nel primo caso avremmo una luce calda, tendente al colore giallo. Nel secondo, il sale avrebbe una base di colore blu. L’alloggiamento è inoltre molto importante, perché a seconda della sua posizione, la luminosità può essere totalmente differente. Occorre inoltre evitare l’esposizione diretta dei raggi ai destinatari. Se il piano è semitrasparente, significa che se i led fossero al centro del tavolo si vedrebbero a tal punto da compromettere l’esperienza o peggio ancora di arrecare danni alla vista. Per questo motivo si sceglie la posizione al di sotto dei divisori tra le aree. In questo modo i led, nonostante siano molto vicini all’area utile, non sono visibili dall’esterno perché nascosti. Il grado di apertura può variare da 15° a 120°. Ne consegue che nel primo caso avremmo una luminosità

78

WEBCAM

< 4000 °K

LED

> 7000 °K

13. tipologia di led

15°

120°


intensa e ristretta a una certa distanza, e nel secondo una luminosità minore ma più distribuita. Si è scelto il secondo tipo, a causa della minima distanza in altezza tra i led e la superficie del piano. Infatti, non ci sarebbe spazio sufficiente affinchè i led a raggio corto abbiano modo di illuminare il sale. Tecnicamente è possibile porre i led a un’altezza inferiore, ma ciò porterebbe alla loro non desiderata visione. Di conseguenza occorrono due led per ogni colonna; entrambi diretti dal basso verso l’alto, uno direzionato verso il centro, e l’altro verso un lato, affinchè si riconosca il sale della fascia laterale. Per evitare la loro visione diretta, sono posti sotto i divisori tra le aree dei primari.

14. i divisori

I collegamenti sono effettuati tutti tramite morsetti, evitando saldature. In questo modo i contatti sono molto più stabili, e meno soggetti a rotture. Inoltre, in questo modo è possibile sostituire facilmente i led, e dargli un certo grado di libertà tra altezza e orientamento, in caso di necessità nei settaggi. L’alimentazione è fornita tramite il controller Arduino, il quale permette anche una variazione di luminosità ai led.

15. rappresentazione finale

79


5.5.4 Prime problematiche

17. copertura di proiettore e webcam

Più ci si allontana da una scena, maggiore diventa il campo che possiamo cogliere. Lo stesso avviene per i dispositivi di acquisizione ottica, come le webcam. Una delle caratteristiche peculiari della visione è il grado di apertura. Infatti, mentre la nostra è circa 19o° in orizzontale e 110° in verticale2, la webcam utilizzata è di appena 51° su entrambi gli assi, e il videoproiettore di 36°. TOP VIEW

16. angoli di visione

160 cm

110°

100 cm 51°

70 cm

36°

2

Wolfe et. all, Sensazione e Percezione, p. 118

80


Ciò comporta una distanza maggiore di quella disponibile tra la webcam e il piano; fermo restando all’interno del tavolo. Il problema nasce dal non poter posizionare il videoproiettore in alto, fuori dal tavolo. Con la tecnologia utilizzata, le mani coprirebbero la proiezione, e quindi il sale non assumerebbe la colorazione desiderata, perdendo così l’esperienza.

Ovviamente la componente tecnologica soffre anche della risoluzione; infatti man mano che si allontana webcam e videoproiettore, la dimensione dei pixel aumenta perdendo definizione. Tuttavia questo importa poco nel progetto Pigmento, dove il rilevamento dell’area di sale conta molto di più dei dettagli visivi in essa contenuti.

Quindi alcuni rimedi possono essere l’utilizzo di webcam grandangolari o di adattatori ottici per quelle più comuni. Queste soluzioni non sono state contemplate per due motivi: il costo aumenterebbe sicuramente, e ben più importante è il comune problema con la videoproiezione. Il proiettore deve essere posto a una distanza ancora maggiore rispetto alla webcam. Ci sono in commercio videoproiettori a ottica ultra corta, ai quali bastano poche decine di centimetri per coprire tutta l’area utile del tavolo. Ma il costo sarebbe ovviamente spropositato ai fini di prototipazione.

NON E’ POSSIBILE

18. Il proiettore all’esterno

81


5.5.5 L’utilizzo di specchi

Sia il videoproiettore che la webcam necessitano di una distanza maggiore a quella possibile per vie dirette. Un modo per risolvere il problema è l’utilizzo di specchi. In questo modo si aumenta la distanza tra la lente delle periferiche e la superficie, fino a coprire tutto il piano utile. Evitando di fare calcoli troppo complessi, sono bastate poche illustrazioni per comprendere il numero di specchi necessari, angolazione, e dimensioni. Conoscendo l’apertura del videoproiettore, e quindi la distanza necessaria, è possibile progettare il posizionamento degli elementi interni. Uno dei requisiti è la possibilità di poter trasportare il tutto, di smontare e rimontare nel minor tempo possibile. Inoltre, gli specchi di grandi dimensioni hanno un certo peso e sono al contempo fragili, rispetto al legno o persino al plexiglass.

19. l’utilizzo di specchi

82

E’ possibile raggiungere tutta la superficie utile con due specchi, però la calibrazione richiede attenzioni maggiori di quelle mediamente fattibili. Quindi la versione più accettabile è dotata di tre specchi. L’alloggiamento del proiettore risulta semplice e di facile accesso, evitando così di porlo in posizioni a rischio e di prelevarlo quando necessario. Dunque, il proiettore colpisce prima lo specchio piccolo alla sua altezza, il quale riflette allo specchio medio posto al di sopra, che a sua volta va sullo specchio più grande, e infine raggiunge il piano. Considerando la posizione dello specchio medio, non è possibile proiettare sotto una parte della fascia laterale. Questo non risulta un problema, infatti si attribuisce quella parte all’area del primario nero, il quale non ha bisogno di proiezione.

20. la copertura del piano con gli specchi


5.5.6 Il doppio threshold

21. il doppio threshold

Prima si è parlato di threshold, ovvero la soglia di luminosità, oltre la quale il sale viene riconosciuto. La videoproiezione altera però la normale soglia, che permette normalmente al sale di essere rilevato quando è illuminato dai led. Questi, infatti, hanno una luminosità estremamente inferiore al proiettore. La conseguenza è che, mentre il sistema elabora la dimensione dell’area di sale, l’area videoproiettata aumenta esponenzialmente fino alla copertura di tutto il piano, senza distinzioni. Questo fenomeno è chiamato retroazione positiva, e non permetterebbe assolutamente il funzionamento del sistema. Per ovviare a questo problema, la libreria OpenCV permette un doppio threshold, rilevando tutto ciò che è compreso all’interno di una variazione di luminosità definita a priori. In questo modo, nonostante la forte differenza di luminosità tra videoproiettore e leds, è possibile riconoscere solo la posizione del sale. In commercio sono disponibili videoproiettori da luminosità e contrasto molto più elevati, i quali permetterebbero un’illuminazione ambientale maggiore. Questa protrebbe essere la chiave di volta per un altro inconveniente, e cioè il riconoscimento di tutti i corpi dalle tonalità chiare prossime al piano. Ad esempio le mani di carnagione chiara. Ne consegue che la proiezione avviene spesso anche in direzione delle mani. Ad ogni modo, questo non comporta un grosso problema percettivo, perché il piano in plexiglass è semi-trasparente, e quindi non assorbe abbastanza luce da compromettere l’esperienza.

83


5.5.7 Da 3D a 2D

granello di sale

z

y

x

x

z a. nella realtà

b. al software

22. l’acquisizione 2D del sale

Il threshold permette di individuare l’area del sale, ovvero la parte che poggia sul piano o che comunque si rileva in due dimensioni: x e y. Tuttavia il sale è solido, e quindi ha tre dimensioni. Ciò vuol dire, che è possibile elaborare solo due delle tre dimensioni. Inoltre, l’area di un blob è variabile a seconda della disposizione dei granelli. Un altro inconveniente è dato dalla fragilità del sale stesso: per manipolazione, i granelli potrebbero ridursi nel tempo. Il valore dell’area di sale sul piano è uno dei principali parametri nella logica. Un modo per sopperire a tale problema potrebbe essere l’utilizzo del peso. In questo modo, a parità di peso specifico, si dovrebbe poter avere una misura piuttosto accurata di quanto sale si sposta. Tuttavia questo non è possibile in un’ottica di prototipazione, e quindi una minima parte delle variazioni non desiderate, sono corrette da una logica da hoc.

84

23. l’elaborazione dell’area


5.6 L’approccio di programmazione 5.6.1 Colorazione laterale

Le unità di misura ora sono in pixels. La risoluzione massima ottenibile sul diametro è di 1280 px. Per ragioni tecniche, questa grandezza è interpolata; quella natia della webcam è di 640x480 px.

24. suddivisione del piano in pixel

Con gli stessi calcoli affrontati per definire le dimensioni, si ricava il raggio dell’area centrale, ovvero 450 px. Quindi per tutti i blob i cui punti hanno una distanza dal centro, maggiore o uguale di 450 px, il colore di riempimento sarà primario. Il tipo di colore primario viene invece definito dall’angolazione, ricavata con alcune funzioni trigonometriche.

450 px

In questo caso, le unità si misurano in radianti. Sapendo che le aree di colore sono cinque, e sapendo che il totale dei gradi è 360° e quindi 2 π, ogni fascia di colore è compresa in 2 π/5.

640 px

A causa della disposizione degli specchi, l’angolazione non può cominciare da o π, ma da 1 π /10. 25. area dei primari e dei derivati

26. l’angolazione del colore

π/2 area dei primari

9 π / 10

1π / 10

rMIX

13 π / 10

17 π / 10

85


5.6.2 Colorazione singola

La risoluzione tra la webcam e il proiettore differisce, e nonostante interpolazione di risoluzione nella prima, non è possibile renderla identica al secondo. Quindi lo stesso granello di sale avrà un numero di pixel differente tra i due mezzi, ma questo non porta assolutamente alcun problema. Nel momento di definizione del blob, tutti i calcoli vengono effettuati in base all’acquisizione, e quindi si prende in considerazione la risoluzione di 1280 x 800. In seguito, questa verrà adattata dal videoproiettore. Nella definizione di un blob, occorre specificare l’area minima e massima, ovviamente in pixel.

webcam

proiettore

(1280x800)

(1024x768)

Generalmente, il diametro dell’area utile avrà una risoluzione di 1280 px, quindi ogni cm può contenere circa 15 px. Ne consegue, per i motivi citati nel precedente capitolo, che ad ogni variazione di grandezza del granello, cambia il colore. Questo avviene solo ed esclusivamente nell’area centrale, con blob di area minore a quella massima dei singoli granelli. Siccome la risoluzione natia è di 640 x 480, teoricamente è possibile discriminare il granello reale per ogni due pixel. In pratica, è possibile riconoscere con facilità cinque variazioni di area. Il più piccolo sarà nero, poi bianco, giallo, ciano, e infine magenta. L’unico inconveniente è la quantità esosa di blob da elaborare, e questo porta a dei problemi nel lungo termine.

86

27. la copertura del piano con calibrazione

1 pixel

1 cm

28. rapporto tra pixel e centimetri

29. rappresentazione dei granelli di sale


5.6.3 Colorazione centrale

Oltre ai valori di area, la libreria OpenCv restituisce le coordinate x e y del punto medio di ogni blob. Quindi per tutti i blob la cui distanza dal centro è inferiore al raggio dell’area centrale, la colorazione è data dai pixel mancanti nella fascia dei primari. Si continua ad ottenere la qualità primaria se il colore in gioco è solo uno; diviene derivato se i primari utilizzati sono almeno due. Le proporzioni possono variare generando così un gamut alquanto vario.

centroid.x, centroid.y

∆c < rMIX

Le tecniche di colorazione sono principalmente due: mescolanza e giustapposizione. Nel capitolo di colorazione, la seconda tecnica è quella che risponde meglio ai criteri progettuali. Tuttavia i primi risultati di prototipazione rispondono più facilmente alla prima tecnica. In sintesi, il colore derivato al centro vorrebbe essere costituito da una matrice di pixel primari giustapposti, in disposizione casuale, nella quantità che manca nella fascia laterale. Nel caso in cui il blob centrale venga diviso nell’area centrale, il colore rimane costante. Un’implementazione potrebbe permettere di mantenere il colore primario fino all’unione con il resto del sale al centro del piano.

30. tecnica di colorazione giustapposta

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Conclusioni

risultati, considerazioni e direzioni



Direzioni

1. granelli di sale videoproiettati

Il progetto pigmento si inserisce in un filone di progettazione didattica complementare ai metodi scolastici tradizionali. Oltre al contesto museale, da qualche decennio sono sempre più diffuse le esperienze laboratoriali, all’interno delle scuole o presso spazi pubblici e privati. Il colore è una delle tematiche più largamente esplorate nelle prime fasce d’età. Tuttavia la direzionalità degli interventi didattici manca talvolta alle possibilità interdisciplinari del tema. I differenti approcci di studio se da una parte portano a numerose scoperte ed applicazioni settoriali, dall’altra non permettono ai discenti di avere un’idea della vastità dell’argomento. Di conseguenza, l’apprendimento risulta di solito un insieme di nozioni senza la possibilità di trarre i benifici dal collegamento tra le stesse. Da questo background di ricerca, nasce la progettazione del gioco, documentato in tutte le fasi pià rilevanti. In questo percorso ci sono essenzialmente due forti possibilità innovative. Dalle prove effettuate con persone non a conoscenza della ricerca, il sale non viene assolutamente categorizzato come tale. Esso viene riconosciuto solo nel momento in cui viene prelevato dal piano. In tal caso torna ad avere le caratteristiche visive già conosciute.

91


Sembra talvolta che a parità di altre condizioni sensoriali, il colore è la caratteristica ultima che lascia definire la materia. Mentre il risultato scientifico, come viene anche documentato nell’appendice, è l’inequivocabile similarità dei campionamenti con due tecniche di colorazione differenti. Il fenomeno del contrasto simultaneo, accennato e studiato in ben altri percorsi di studio, trova una conferma molto evidente non solo nella dimensione del pixel, ma nelle caratteristiche morfologiche del sale. Lo stesso granello, posto su una superficie illuminata uniformamente di pixel giustapposti, viene percepito a seconda della quantità di sale adiacente. La peculiarità è anche dovuta all’utilizzo di colori primari soliti della sintesi sottrattiva tramite radiazione luminosa. Si può parlare di sintesi sottrattiva e additiva esclusivamente nel momento in cui i colori sono me-

2. colorazione laterale, versione beta

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scolati o sovrapposti. Nella giustapposizione, anche di luci, il colore percepito deriva dalle qualità visive dei colori primari. Potrebbe sembrare ovvio, ma ciò avviene in maniera assolutamente indipendente dal mezzo. E’ stato scelto di non utilizzare in alcun modo i suoni extradiegetici, soliti nelle applicazioni a schermo e fisiche. Le ragioni si spiegano nell’intento di creare un rapporto più intimo con il colore. Il suono vuole essere fisico e fenomenico: accade solo nel momento in cui è manipolato. Nella fase di prototipazione si sono rilevate diverse problematiche, alcune non ancora risolte. Tutt’ora è possibile la colorazione laterale e singola. Se la seconda non necessita di una considerevole programmazione, la prima funziona in base alla spiegazione del capitolo finale.


Le funzioni in dotazione della libreria light di OpenCV per Processing sono di per loro sufficienti a un gran numero di compiti. Tuttavia il calcolo sembra essere esoso senza un’adeguata ottimizzazione. Le alternative possibili sono due: una programmazione ad hoc con gli stessi mezzi, oppure l’implementazione della versione completa di OpenCV. Quest’ultima sembra avere maggiori potenzialità in ambiente C++ con l’utilizzo della piattaforma OpenFrameworks. Se questo è un punto d’arrivo per il percorso di tesi, può essere rappresentato da una linea su aspetti dalle forti potenzialità comunicative. Pigmento è inserito nell’area di ricerca COLORET1, iniziativa del Laboratorio Colore del Politecnico di Milano.

1

http://www.coloret.polimi.it/

93





Bibliografia ragionata

Capitolo 1 - Didattica Coyaud S., Merzagora M., Guida ai musei della scienza, CLUP Guide, UTET, Torino, 2000 Elster. A, Imparare la matematica attraverso l’arte, atti del Convegno di Matematica e Cultura 2005, Venezia Kubler G., La forma del tempo, Einaudi, 2002 Merzagora M., Rodari P., La scienza in mostra, Mondadori, Milano, 2007 Montessori M., Dall’infanzia all’adolescenza, Franco Angeli, Milano, 2009 Restelli B., Giocare con tatto. Per un’educazione plurisensoriale secondo il metodo Bruno Munari, Franco Angeli, Milano, 2011 Waghensberg P., Cosmocaixa. Il museo totale, Sacyr Sau, Barcellona, 2006

Capitolo 2 - Il Colore Arielli E., contrasto simultaneo, slides di lezione, 2008/09 Ball P., Colore. Una biografia, BUR Rizzoli, Milano, 2004 Di Napoli G., Il colore dipinto, Einaudi, Torino, 2006 Rosemblum L., Senses and sensations, Norton & Company, New York, 2010 Rossi M., (a cura di), Colore e Colorimetria, Maggioli Editore, Milano, 2010 Ware C., Information Visualization, Morgan Kaufmann, San Francisco, 2005 Wolfe et all, Sensazione e Percezione, Zanichelli, Bologna, 2007

Capitolo 3 - Design Process Verplank B., Interaction Design Sketchbook, https://ccrma.stanford.edu/courses/250a/lectures/IDSketchbok.pdf (14 Dicembre 2008 ) Scarponi D., Il gioco e la cura, Catalogo Mostra, Bologna, 2007 Page H, Gioco e giocattoli nei primi cinque anni, Ed. Universitaria, Firenze, 1963 Albers J. , L’interazione del colore, Il Saggiatore, Milano, 2005

Capitolo 4 - Colorito e colorato Calabri D., Texture Design Un percorso basic, Maggioli Editore, Rimini, 2008

Capitolo 5 - Prototipazione Crampton Smith, G. e Tabor P., Prototyping, dispense di lezione, Venezia, 2008/09 Stephanie Houde and Charles Hill, What do Prototypes prototype, Apple Computer, Inc. Cupertino, CA, Erickson, 1995

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Appendice

Comparazione di colore


Guida all’uso

X. tabella dei campioni

Le seguenti tavole presentano i risultati ottenuti mediante proiezione di matrici secondo due tecniche: sintesi sottrattiva e sintesi ottica. La seconda utilizza gli stessi colori della prima. Se nel primo caso il colore è omogeneo, nel secondo la matrice è costituita da pixel quadrati senza particolari regole di composizione. Sono allineati in senso orizzontale e verticale. Lo scopo è di poter paragonare i risultati in base alle diverse tecniche. Nelle 24 tavole, solo pochissime presentano incongruenze. Ad ogni modo, nel contesto hands-on, questo non è da considerarsi un difetto, bensì una proprietà intrinseca della materia. La tabella illustra le combinazioni e i risultati. I colori primari sono cinque: ciano, magenta, giallo, nero e bianco. Ovvero i colori della pittura, perché il bianco è solitamente escluso dai processi di stampa. In questo senso si potrebbe parlare di quintacromia. Considerando le definizioni di colorito e colorato, real rappresenta il primo e get il secondo.


C 10 M 30 Y 10 K 50 W 50 colore in termini percentuali

matrici proiettate

SINTESI SOTTRATTIVA

SINTESI OTTICA


C 50 M 20 Y 0 K 10 W 20


C 70 M 0 Y 0 K 10 W 20


C 20 M 60 Y 0 K 10 W 10


C 0 M 80 Y 0 K 10 W 10


C0 M80 Y20 K0 W0


C 0 M 50 Y 50 K 0 W 0


C 0 M 20 Y 80 K 0 W 0


C 20 M 20 Y 20 K 20 W 20


C 40 M 0 Y 60 K 0 W 0


C 60 M 0 Y 40 K 0 W 0


C 20 M 0 Y 80 K 0 W 0


C 80 M 0 Y 20 K 0 W 0


C0 M0 Y0 K50 W50


C0 M0 Y0 K80 W20


C0 M0 Y0 K20 W80


C50 M0 Y0 K50 W0


C50 M0 Y0 K0 W50


C20 M0 Y0 K0 W80


C0 M50 Y0 K50 W0


C0 M50 Y0 K0 W50


C0 M20 Y0 K0 W80


C0 M0 Y50 K50 W0


C0 M 0 Y50 K0 W50


C0 M0 Y20 K0 W80





Ringraziamenti

Nella definizione di un progetto si compie una scelta culturale. Ogni cultura è spesso artefice di un senso, o un insieme di sensi, da cui si fatica a superare. Pigmento nasce dal desiderio di liberare il segno dal significante, e nello specifico il sale da ciò che pensiamo esso sia. Per questo motivo ringrazio i docenti coinvolti ad ascoltare un pensiero, prima di tutto. E in seguito, la disponibilità a un confronto sempre utile e cordiale, aperto su tutte le fasi di progettazione. Tra loro, ringrazio Davide Rocchesso per la professionalità e autonomia concessa, e Gillian Crampton Smith e Philip Tabor per un impegno capace di fare la differenza. Da qui non posso ovviamente escludere il magnifico rapporto orizzontale con molti dei docenti IUAV, capaci di rendere la mente critica e allo stesso tempo aperta. Tra loro, la mia stima va specialmente a Giulio Alessandri e Marco Bertozzi. Ringrazio, oltremodo, chi ha saputo trasmettermi una consapevolezza progettuale, ora alla base delle mie scelte. Sin dall’inizio, uno degli obiettivi era di non travisare i contenuti scientifici. La progettazione non avrebbe avuto i contenuti adeguati se non grazie al rapporto con il personale esperto nel settore del colore. Su questo sono particolarmente grato a Cristina Boeri, responsabile tecnico del Laboratorio Colore al Politecnico di Milano. Allo stesso modo, vorrei ringraziare tutto il personale coinvolto nel Museo Sturm di Bassano Del Grappa, la cui amministrazione mi ha sempre concesso la possibilità di partecipare alle attività didattiche, e la gentile disponibilità di Roberto Pittarello per i preziosi suggerimenti. Il progetto pigmento non voleva essere esclusivamente un percorso personale. Affinchè si potessero creare delle sinergie tra le professionalità coinvolte, ho rilasciato un accesso personale al blog http://www.meul.it/tesi. Vorrei quindi ringraziare tutti coloro che hanno attivamente partecipato, e seguito i contenuti presenti. Vorrei qui citare il sostegno di molti amici, alcuni dei quali ne hanno fatto talvolta un caso personale. Tra tutti, vorrei ringraziare specialmente Francesco Saccone, Luca Mancini e Massimiliano Vono. Un sentito ringraziamento va a Davide De Lucrezia di Explora Biotech, amico e amichevolmente sponsor, senza il quale tutto il progetto ne avrebbe fortemente risentito. Ancora incredulo ringrazio, senza comprendere ragione alcuna, chi a occhi chiusi ha investito su di me. Ai miei genitori, con mia sorella.

e tutto cominciò, ciò che mai ebbe fine


Venezia, Marzo 2011


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