Giovanni Righi Riva - Archetipi

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Indice

Il mondo degli archetipi........................................................................................................2 Ulteriori considerazioni sui rapporti intercorrenti fra realtĂ assoluta, mondo archetipale e manifestazione.....................................................................................................................93

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IL MONDO DEGLI ARCHETIPI

Premessa Queste pagine sono un tentativo d’interpretare il mondo della forma, e devono essere lette per confrontarsi con queste idee e non per altro. Ciò che esse daranno sarà proporzionale alla semplicità e allo stato interiore di chi le incontra.

NON AVER PAURA DELL’ASSOLUTO E NON AVER FRETTA D’INCONTRARLO: EGLI E’ GIA’ NEL TUO CUORE.

AMA LA TUA MEDITAZIONE FIGLIO MIO CARO E NON AMARE LA TUA REALIZZAZIONE. ESSA E’ UNA META, MA LA TUA MEDITAZIONE E’ MOLTO DI PIU’. AMA LA TUA MEDITAZIONE E NON AMARE LA META.

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1) Il presente scritto ha per oggetto la parte conclusiva del processo emanativo, le cui componenti abbiamo tracciato in molti precedenti scritti. Il Mondo Archetipale è, infatti, quell’aspetto dell’Assoluto che venne attivato al sorgere della Manifestazione attualmente vivente, ed a cui la Manifestazione stessa, al suo compimento, fornirà un nuovo archetipo d’estrema complessità il quale, pur derivando dalle Idee matrici originarie, non potrà che distinguersi da esse. In altri termini, non le negherà ma ne costituirà la sintesi. Ora è necessario sgombrare il terreno dai facili equivoci che la stessa nozione di “archetipo” può generare. Archetipo è Idea fondamentale, la quale determina un processo di formazione d’Idee derivate (gli oggetti del mondo manifestato, le forme/pensiero, le entità “incorporee” od astratte come i concetti filosofici e scientifici tanto cari alla mente attuale) mediante lo svelamento delle sue molteplici componenti. Questa preliminare definizione implica molte cose: la prima, e fondamentale, è che quest’Archetipo non appartiene al Mondo Formale (l’Emanazione) ma a quello dell’Assolutezza (Mondo Divino), ed è una puntualizzazione, una circoscrizione dell’infinita potenzialità del Brahman. Conseguentemente l’Archetipo appartiene alla trascendenza, ma non è semplicemente un concetto astratto della suprema Intelligenza. Come tutto quello che appartiene al Brahman (o più esattamente al Brahma, sua ipostasi) l’Archetipo è reale, autonomo, libero anche se della suprema libertà dell’Ente in Sé, impersonale ma intelligente e quindi vivo, sia pure in un modo che è difficilmente comprensibile fuori dal samhadi più incondizionato. Il Brahma non opera come noi possiamo figurarci essotericamente: l’Essere in Sé opera come Vita e non certo come concettualizzazione ed attuazione d’astrazioni intellettuali. Ciò che Egli pensa esiste, ed è Egli stesso in una Sua determinazione. Quindi l’Archetipo è Idea vivente, ma in senso divino. Il Brahma agisce mediante i Suoi figli. L’affermiamo e precisiamo subito che i Suoi figli primi e più in Lui sono questi Archetipi, ognuno dei quali sintetizza altri Archetipi che reciprocamente completano quello basilare. Per esempio, negli Archetipi che hanno evidenziato l’Idea fondamentale nell’attuale Manifestazione sono comprese tutte le indefinite possibilità che quest’ultima va sperimentando nel suo spazio/tempo, ed essi stessi sono elementi viventi del basilare Archetipo manifestante che li unifica e li distingue. Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, ricordiamolo una volta di più. Come abbiamo detto, questi Archetipi sono essenze viventi, completamente libere d’esplicare la loro naturale dinamicità: appartengono quindi al momento dello svelamento dell’Assoluto come Amore creativo e, essendo ontologicamente partecipi dell’Assolutezza, al Brahman. Ora, affermare tutto questo è ribadire che essi sintetizzano insieme la perfetta formulazione ed il perfetto movimento. Poiché ciò che è in sé perfetto non può perfezionarsi ulteriormente, dovremo ritenere che la natura della loro attività non sia 3


specificatamente un processo di attualizzazione di loro potenze in qualche modo ancora inattive; al massimo, se queste elucubrazioni ci sono lecite, si può ipotizzare un “assolutizzarsi” dell’Archetipo stesso mediante un imponderabile processo – e le parole sono davvero inadeguate – di comprensione del mistero brahmanico: l’Archetipo è pur sempre una “delimitazione” vivente dell’Assoluto e, come tale, tende all’Assolutezza. L’attività del Mondo Archetipico tende dunque ad altro, alla formulazione ed allo svelamento della Creatura secondo la Volontà trascendente. Questo processo è dunque storia divina per eccellenza, e non è comparabile a quanto possiamo conoscere (se noi parliamo di “perfezione” lo facciamo nei confronti di produzione di forme che esplichino le potenze dell’Archetipo stesso), ma piuttosto a un processo eminentemente creativo, nel quale l’Archetipo agisce come rivelatore di virtualità del Brahman che a lui appartengono solo in quanto sono una Sua modalità, e che gli sono percettibili perché il Brahma stesso le attiva e le filtra tramite l’Idea archetipica preposta a tanto. Occorre molta attenzione. La natura dell’Archetipo è in sé conclusa: egli è perfetto e non perfettibile dal lato della sua adeguatezza a produrre le forme a lui inerenti. Sarebbe “statico” se l’Energia divina non lo utilizzasse come motore per convogliare enti che, pur dovendo per qualche insondabile particolarità essere sotto la sua tutela, esprimono potenzialità che l’Archetipo stesso non attualizza, e quindi appaiono “nuove” quali fattori d’esistenza autonoma. Affermeremo dunque che l’Archetipo impersona (è) la Divinità ed insieme una delle infinite modalità della medesima; tutto questo ci conduce a considerare che ogni Archetipo agisce in sintonia con tutti gli altri, ed in particolare con quelli che intervengono nell’espressione di un nuovo evento dinamico (nel Mondo divino l’armonia è la regola). Ripeteremo anche che l’Archetipo fondamentale è il Brahma stesso. Fin qui ci siamo occupati delle Potenze massime che manifestano la creatività del Brahman, ma naturalmente le loro emanazioni sono infinite: aggiungeremo dunque che, essendo un Archetipo un’entità vivente di grado causale, la Sua mente (o, meglio, coscienza) è capace d’esprimere un’indeterminata varietà d’idee matrici in quel campo interiore che è – pur se circoscritto nella funzione di base – un infinito. Ogni Idea matrice è suscettibile d’evidenziare le forme a lei inerenti, ed ogni forma esistente è una variante più o meno esatta di quell’Idea. Nell’illusorio/reale campo della Maya queste forme si modificano o si susseguono l’una all’altra finché non raggiungono la natura profonda del loro essere/esistere, e qui si stabilizzano. Raggiungere la propria “natura profonda” è, infatti, sinonimo d’attingere all’Idea matrice, ed, in effetti, l’intera evoluzione tende – come abbiamo già detto – a questo scopo. Abbiamo adesso un quadro abbastanza definito dell’Archetipo e delle infinità d’Idee matrici viventi che lo costituiscono, dalle quali derivano le forme che noi sperimentiamo, e che, in effetti, siamo. Una precisazione: esiste una particolare categoria di forme che non derivano tanto dal Mondo archetipale divino ma propriamente dall’attività dell’Uomo, creatore 4


o – meglio – rivelatore di un campo d’idee/forma autonome (capacità delegatagli dal primo per espressa volontà del Brahma). La “creatività” dell’Uomo, che condurrà alla nascita/svelamento dell’Archetipo “Figlio”, è in diretta proporzione al suo grado d’autocoscienza (e non d’emancipazione vera e propria!): quindi l’Uomo può “creare” idee viventi che hanno nel suo spirito il fondamento, e che conseguentemente esprimono in modo esemplare il grado di perfezione dall'uomo stesso raggiunto. Idee viventi, abbiamo detto. Aggiungiamo che esse, in genere, appaiono oggi scompensate. Questo fenomeno è veramente importante perché ci dice che esistono, nel campo di Malkuth, entità prive di un substrato nei più alti aspetti dell’Albero della Vita, che non sono “fisiche” nel senso grossolano e comune del termine e che piuttosto appartengono al “sottile”; come tali, esse tendono ad interferire con la fisicità per un bisogno d’esistenza autonoma (e questa è la miglior prova del loro scompenso) e cercano non d’armonizzarsi con l’Uomo, in cui troverebbero vita permanente e reale, ma piuttosto di servirsi dell’Uomo come centri egotici totalmente autonomi. Ma con questo si condannano a diventare forme in balia dell’involuzione, ed a interferire negativamente con l’emancipazione del loro creatore. Come può l’Uomo “creare” qualcosa? In effetti, l’Uomo non “crea” nulla, ma tende a svelare potenzialità del suo Archetipo fondamentale (ancora inattivo in gran parte) e tuttavia percepito in modo fortemente distorto ed egocentrico. L’archetipo Uomo è vivente nell’Archetipo supremo di quest’Universo, il Brahma (ovviamente qui intendiamo con tale Nome ciò che significano gli yogi: l’ipostasi creatrice del Brahman). L’Uomo è egli stesso il Brahma nel proprio Atma, tanto per intenderci approssimativamente, e quindi egli percepisce costantemente alcune delle sue immanenti virtualità ma – a causa della sua inadeguatezza nei confronti del Centro interiore – in modo oscuro e confuso. Nascono così ideazioni mostruose ed infelicissime, che tuttavia vivono, si trasformano in multiformi aspetti, ed acquistano una deforme consistenza. Al limite questi effetti si condensano nel mondo demonico in senso stretto, che tanto piace a certi gruppi di ricercatori e che può condurre a tante delusioni temibili e pericolose. E’ tuttavia un tipo d’esistenza che ha una sua temporanea oggettività, da non sottovalutare e da temere quando di lui s’impossessano “daimones” di ben altra consistenza: le Qelliphot. Quello che ci preme di sottolineare è questo dato: l’Uomo si colloca in un continuum nel quale s’esprimono Potenze archetipiche di grado trascendente, forme/pensiero specificate dall’Uomo stesso nel corso di milioni di anni, ed infine potenze oscure d’origine “sovrumana” (rispetto all’ordinaria percezione ed intelligenza del Reale) che costituiscono l’involuzione. Poiché di questi fattori l’Uomo stesso è centro e sovente arbitro (nei limiti concessi dall’Archetipo Fondamentale, il Brahma) è facile comprendere la complessità del problema che andremo considerando nelle prossime pagine, nelle quali, fra l’altro, dovremo considerare le possibilità offerte o negate dall’attivazione o 5


dall’inabilitazione di un Archetipo nel nostro microcosmo, e le conseguenze che possono derivare dall’uso di forme/pensiero da noi eventualmente attivate, o dall’incontro con aspetti ostativi nei confronti della nostra emancipazione. 2) La preoccupazione più grande dell’esoterismo è il “contatto”. Contatto che può avvenire in vari modi o, come nello yoga, con le Potenze del microcosmo e quindi del Macrocosmo mediante l’opportuna attivazione dei chakra. Oppure, e quest’ultimo è il modo tipico della magia rituale, con l’evocazione delle medesime Potenze tramite un apparato che sorregga la visione interiore supposta carente, o presente in grado insufficiente. Il Rito è supporto ad una relativa carenza di preparazione esoterica, e come tale implica dei rischi. Rende più facile un risultato, ma non c’è la possibilità di un controllo su “chi” si contatta se non in modo indiretto (tramite un apparato formale ritenuto capace di sopperire ad eventuali carenze sostanziali). Nello Yoga, la forma/pensiero che viene attivata appartiene all’interiorità e quindi, con la necessaria preparazione spirituale, l’allievo acquista la capacità – difficile da descrivere, ma reale – di elidere eventuali infiltrazioni indesiderate, e concentrarsi adeguatamente sul Centro di apertura prescelto assieme al Maestro. Attivando questo Centro interiore la “porta” trascendente si apre, e quello che il ricercatore incontra è l’Albero della Vita in una o in diverse formulazioni. Ovviamente, un indù o un seguace del simbolismo vedantico otterrà immagini tipiche del modo particolare di rappresentarsi un aspetto reale proprie della sua cultura fondamentale. Le “forme” non sono altro che concettualizzazioni di una Potenza in sé non ancora percepita, e quindi possono variare passando da una metodologia tradizionale ad un’altra. Il contenuto è, invece, costante o simile, e ciò dipende dal grado di realizzazione del percipiente. Eventuali differenze possono apparire, ma sono determinate dal fattore proiettivo (autorappresentativo) dell’allievo stesso, il quale può accentuare la sua visualizzazione su un particolare aspetto piuttosto che su un altro. A identità d’interiorizzazioni corrispondono identità d’effetti, nella sostanza. Nel rituale evocativo sussistono dunque incertezze, che dipendono esclusivamente dallo stato dell’operatore. Se questi ha raggiunto un sufficiente grado di penetrazione nel proprio mondo interiore non ci sarà rischio né fallimento. In caso contrario, il meno che gli possa capitare è il totale insuccesso del tentativo e, nei casi più gravi (ossia quando si agisce con temeraria e sconsiderata presunzione, capace d’attivare complessi fattori karmici e sottili), il rischio di una apertura scompensata e perfino qelliphotica. In tal caso il rituale diventa oscuro, ed il suo protagonista ne riceve certamente un danno permanente. Trattiamo adesso questi problemi perché è fondamentale conoscere in qual direzione dobbiamo muoverci nella nostra ricerca, e con quali finalità. Lo scopo dell’esistenza – l’abbiamo affermato molte volte – è l’integrazione con l’Interità e 6


l’identificazione progressiva con l’Archetipo principiale. Per questo è utile, importante e necessario (secondo i gradi iniziatici raggiunti) attivare specifici Archetipi nel Microcosmo e nel Macrocosmo. E’ importante allora raggiungere la massima chiarezza interiore, poiché un’imperfezione della nostra autocoscienza può nascondere insidie poi controllabili con difficoltà, ed ogni confusione concettuale è, in questo ambito, fonte di possibili e facili scompensi. In effetti, tutto quel che annotammo fino ad ora è propedeutico alla meditazione e al rito (la meditazione, ricordiamolo, è un rito interiorizzato: meglio, è il Rito per eccellenza). L’allievo dovrà prepararsi al contatto con le Potenze luminose del Glifo e con le loro infinite emanazioni, proprio per saper esplicare le proprie virtualità e salire verso l’Archetipo basale. Dovrà anche – per necessità di superamento di limiti individuali e per contribuire alla massima finalità di trasformare tutta questa Emanazione in Archetipo – contattare a tempo e luogo opportuni anche le forme/pensiero involute. In entrambi i casi occorre adeguata preparazione e coerente saggezza, per le Potenze angeliche non meno che nei confronti delle entità oscurate, perché è certamente egotico e superficiale, e spesso anche stolto e temerario, esporsi ad un rapporto che non si è in grado di comprendere ed assorbire. Rammentiamo che questi contatti sono attivazione di centri psichici che integrano il particolare nel globale. Se i centri sono attivati malamente, ma attivati quanto basta all’apertura di una porta distorta, non sarà la Sephirah ad apparire ma la sua ombra malvagia, la qelliphoth. Se poi, per motivi insondabili, si svelasse una Potenza angelica, che ne sarebbe dell’anima incapace d’accoglierla? Quale tempo e quali vicissitudini dovrebbero trascorrere prima che il jiva possa nuovamente tentare più esattamente il percorso che, in un lontano passato, l’ha accecato e precipitato nel baratro delle sue imperfezioni? Occorre che interpretiamo con attenzione il mito della “Caduta”. L’Amore non elargisce casualmente, ma consente che ci si appropri dei suoi doni – dell’Essere – se siamo capaci di farlo. Se vogliamo ma non sappiamo, e comunque decidiamo d’agire, la correzione è proporzionale alla responsabilità dell’ente in esame, e questo fattore non potrebbe che essere enorme. Nell’ipotesi delle qelliphoth – è appena il caso d’accennarlo – occorre avere un grado immenso d’autocoscienza equilibrata perché esse agiscono dall’interno (nell’inconscio) quando individuano un fattore scompensato a cui attaccarsi: ciò che può apparire “esterno” all’operatore è allora la potenza qelliphotica in una sua forma possibile, della quale tuttavia egli facilmente conserverà una pericolosa traccia psichica. Il rischio è tale che ci occorre, per l’evocazione di aspetti involuti, il preciso invito del Maestro atmico e la più esauriente analisi interiore dell’allievo. Le qelliphoth, infatti, non vogliono che dall’Emanazione nasca un Archetipo, e considerano che, se riescono a bloccare e a vulnerare un elemento possibile dello 7


stesso (l’Uomo è – al limite – l’archetipo da svelare) ritardano il compimento del disegno divino e perpetuano fino ad un certo punto la loro esistenza separata, il loro dominio. Non esiteranno conseguentemente a colpire chi offra a loro un varco, e a farlo con una conoscenza di causa veramente temibile. L’allievo (ma qui più che di “allievo” si potrebbe parlare d’iniziato, e non proprio modesto) dovrà rendersi intangibile in quell’armatura di luce che costituirà il suo mondo interiore abituale, ed avrà la capacità d’amare la qelliphoth nella sua essenza ontologica, ossia non per quello che si è resa attualmente ma per la virtualità che nasconde. E’ davvero difficile provare amore per chi impersona la stessa negazione dell’Amore. Occorre quindi una chiarità di principi e una conoscenza veramente adeguate, ottenibili soltanto con il giusto contatto esoterico e la conseguente attualizzazione delle forme/pensiero archetipali dell’Albero della Vita. In tale ipotesi l’allievo non affronta la tenebra come un jiva qualunque – il ché lo esporrebbe a tutti gli effetti negativi della perdurante separazione dal Principio – ma come modalità attuale dello stesso Glifo. Questo stato paralizza ed annulla qualsiasi capacità reattiva del campo involuto, il quale è costretto a rispecchiarsi nel Padre e a valutare con nuova lucidità l’abisso in cui è caduto. L’allievo agisce come strumento dell’Amore e come tramite di riscatto per le stesse forme/pensiero regressive. Esse non potranno che ricavarne un mutamento, e qualcosa certamente cambierà in loro, sia pure con immensa fatica e lentezza. Infatti, ciò che la qelliphoth più teme è il diretto incontro con la Realtà brahmanica, perché Essa rinnova un Centro di luce in loro, da tempi immemorabili sepolto e praticamente ignorato. Per questo, e soltanto per questo, il Glifo della Luce invia, quando le circostanze lo permettono, le sue modalità/persona verso l’abisso e le innumeri infelicissime creature che avvolge. Nell’iniziato che si faccia tramite della volontà sephirotica, non esiste né ricerca del castigo per i reprobi, né curiosità intellettuale, ma all’opposto compassione ed amore. Il resto appartiene al Padre, al Supremo Archetipo della Manifestazione. Giunti a questo punto possiamo comprendere due dati: quanto sia importante una preparazione intellettuale adeguata, e come quest’ultima costituisca la base per la necessaria attività fattuale dell’esoterista: quando da semplice dato di conoscenza sappia raggiungere la profondità della vera sapienza, nello Spirito. L’esoterista non è un essere privilegiato o strano che vaghi in un mondo di gente reietta. Non appartiene ad una élite che pretenda poteri “pastorali” nei confronti di un gregge a lei affidato e obbligato, per raggiungere certi traguardi, a restare gregge. L’esoterista è un uomo che ha raggiunto un sufficiente grado d’autocoscienza. E che per questo comprende d’avere un compito preciso ed indefettibile: adoperarsi per condurre alla sua stessa condizione e, se gli fosse possibile, ben oltre, quante più persone egli possa. In tale impegno egli agisce non come “parte” separata dall’Interità ma come elemento attivo della stessa, senza alcuna implicazione egoistica e per solo amore. Un esoterista che ricerchi la conoscenza e la sapienza solamente per sé è un 8


ricercatore mancato o almeno con gravi lacune, e conseguentemente non potrà progredire più che tanto. Quanto affermiamo implica tuttavia la necessità – imprescindibile! – dell’azione esoterica, ossia valida tanto nel piano sottile che in quello oggettivo e comune. Esamineremo pertanto le modalità di quest’attività spirituale, rituale e fattuale e non per finalità di semplice informazione del lettore, ma perché questi, al momento opportuno, utilizzi i dati assunti (unitamente a quelli derivanti dalla sua personale esperienza) nel concreto, per scopi che abbiano carattere d’impersonalità e che siano generalizzanti. Il Mondo Archetipale è di difficile comprensione, ed occorre molta attenzione per dotarsi d’idee e concettualizzazioni adeguate. Tratteremo dunque, aprioristicamente, il problema del rapporto intercorrente fra le cose del mondo empirico e le loro matrici, e come queste ultime informino e sovrintendano a gran parte delle nostre vicende di entità del samsara. 3) In questo paragrafo affronteremo dunque l’analisi del rapporto intercorrente fra gli oggetti e le forme/pensiero del nostro ambito e le matrici archetipiche che sovrintendono alla loro esistenza. Noi abbiamo percezione, nel corso della nostra vita terrena, d’innumeri specie di forme: esseri più o meno autocoscienti, oggetti fisici, elementi densi o alquanto rarefatti, come è l’atmosfera ed i gas in genere, e via dicendo. Abbiamo inoltre una varia consapevolezza di concetti, proposizioni ideative, stati d’animo ed emozioni che non possiamo affermare possiedano una forma in senso stretto (una delimitazione sì, e quindi in senso lato la forma c’è: e di questo avremo modo di parlare) ma che comunque rappresentano un aspetto essenziale del nostro ambito. Ciò che esiste in una forma empirica, imperfetta e transeunte, presuppone comunque si voglia considerare il fenomeno, e cioè come astrazione a posteriori o realtà a priori - l’idea della “cosa perfetta in sé”, del sentimento compiutamente armonico e dell’essere puro prima ed oltre le limitazioni tipiche del nostro mondo. Alcuni, come accennammo poc’anzi, ritengono che queste idee assolute risultino da un processo intellettuale d’astrazione, mediante il quale si deduce (dall’esperienza del limite e del relativo, dall’imperfezione o dalla caducità) l’idea della cosa in sé, sintesi di tutte le realtà razionalmente riferibili ad essa. Abbiamo considerato in passato quest’ipotesi, e concluso che essa contrasta con la multimillenaria sapienza esoterica la quale, ricordiamolo, non è di natura umana. Accettando il metodo sperimentale insegnato dai grandi sistemi tradizionali, possiamo appropriarci di questa conoscenza e comprovare direttamente l’esattezza dell’ipotesi che fa del campo archetipico la realtà trascendentale, sulla quale si fonda il nostro mondo di nomi e forme, e che identifica l’Essere nell’Archetipo assoluto: unica fonte da cui, per emanazione, proviene il mondo tridimensionale o del divenire. E’ un fondamentale traguardo, che il ricercatore persegue per tutto il tempo della sua evoluzione, quello di percepire, contattare l’Archetipo. In Lui egli infatti trova la 9


risposta agli infiniti quesiti che la vita gli propone, i mezzi per affrontarne i problemi, singoli o generali, il riposo e la gioia più grandi. L’Archetipo è Intelligenza, impercettibile ed insondabile agli occhi del miste, ma immensamente dinamica e sensibile ai problemi che s’evidenziano nella Manifestazione. Il fatto che l’Archetipo sia fondamentalmente impersonale nell’azione e rappresenti una modalità dell’Essere, non toglie che possieda una Forma specifica, la quale apparirà differente in dipendenza dei livelli di manifestazione opportunamente assunti e relativi al grado iniziatico dell’esoterista, ma che sussiste anche in sé come sintesi di tutte le Sue possibili estrinsecazioni. L’Archetipo (qui alludiamo genericamente ai più alti, i quali agiscono prioritariamente mediante la proiezione di altri Archetipi capaci d’esprimerne le virtualità) è un “universo”, non soltanto concettuale ma obbiettivamente reale, e al punto che non esiste alcuna emanazione più vera e concreta di Lui. I sommi Archetipi dell’Albero della Vita si rappresentano come campi coscienziali (le Sephiroth) e le loro Intelligenze come Arcangeli, Schiere angeliche, Virtù e via dicendo. Quando noi accenniamo ad un Arcangelo – sia questi Gabriel, o Ratziel o Rafael – parliamo dell’Intelligenza di un Archetipo, paragonabile nella Sephirah a quello che è l’Atma per l’uomo. E’, in effetti, l’immanenza del Brahma in una delle Sue fondamentali componenti direzionate alla Manifestazione della Sua dinamicità d’Amore. Dobbiamo, per conseguenza, distinguere fra Archetipo ed archetipo, ed in quest’analisi occorre tener ben presente un principio non facilmente intuibile: ogni essere, ogni realtà, ogni elemento del pensabile e dell’esperimentabile è proiezione di un archetipo, e nulla esiste che non abbia il suo fondamento nella matrice ideale. Tuttavia, dire “archetipo” e basta, non è sufficiente perché – se esistono i massimi Archetipi comprensivi d’aspetti generalizzanti dell’Essere/Esistere – esistono pure le infinite idee matrici a gradi sempre più discriminanti di limitazione e specificazione, dotate d’autocoscienza via via meno ampia e più circoscritta. Gli archetipi di “oggetti” che chiamiamo “inanimati” non rappresentano, per il veggente, che un soggetto, cosciente almeno di sé, direzionato in un unico fondamentale aspetto, con esclusione pressoché totale d’ogni altro. Un archetipo di quest’ordine non è dunque comparabile ad altri dotati di ben più comprensiva autonomia, ed il miste lo considererà con la massima attenzione e rispetto nel suo ambito d’estrinsecazione. Questi archetipi minori e derivati, che noi chiamiamo “matrici” per distinguerli dai maggiori (le Idee viventi fondamentali) sono immensamente rilevanti per l’iniziato e l’umanità in generale, anche se ne è raramente compresa l’importanza ed il senso. Consideriamo dunque il metodo adottato da queste matrici per proiettare il mondo dei nomi e delle forme. L’emanazione dell’universo oggettivo non può prescindere dalla legge evolutiva (di causa ed effetto) e dalle categorie dello Spazio e del Tempo; il ché significa che l’archetipo è, in un certo modo, ossia sotto il solo aspetto della sua dinamicità, sia “spazio” che “tempo” quali fondamentali modalità d’espressione. L’Archetipo in generale, e le idee matrici in particolare, specificano e svelano il 10


sottostante mondo delle cose (termini e simbologie sono platonici) secondo un processo che dipende esclusivamente dal grado d’autocoscienza raggiunto dall’Uomo globale. Quando Egli era in fieri, all’inizio della Manifestazione, l’Archetipo creava forme che utilizzavano in modo enormemente approssimativo la Sua potenzialità, ma che erano comunque perfettamente adeguate all’Universo di allora (dobbiamo ricordare che se, per ipotesi, un uomo comune d’oggi osservasse quell’Universo lo troverebbe per lo più incomprensibile: esiste un passato per ogni stato di coscienza raggiunto, come affermammo altrove. Ognuno di questi “passati” è reale ed insieme relativo, e la vera storia sarà percepita e compresa soltanto dall’Archetipo Uomo completamente rivelato). Con l’emersione dell’autocoscienza nell’Uomo, ed in misura variamente inferiore in quelle forme derivate dall’Uomo che costituiscono la globalità dell’esistenza indipendente, gli Archetipi modificarono lentamente le loro attività proiettive, ed attivarono idee matrici fino a quel punto ancora virtuali. Un’idea/matrice è un aspetto dell’Archetipo che la informa, e possiede un excursus nel tempo/spazio determinato dalla coscienza che l’utilizza. Prendiamo come esempio la ruota. E’, questa, un’idea fondamentale per la storia dell’Uomo sapiens; ma prima? E quando l’Uomo, in un lontano futuro non abbia più bisogno che per fini limitati delle funzioni comprese nell’ideazione di “ruota”, che ne sarà di questa matrice? La risposta è comunque ovvia: essa si reintegrerà nell’Archetipo che l’ha proiettata e ne costituirà un modus non virtuale ma perfetto e vivente, capace d’integrarsi con altri aspetti in forme imprevedibili pur se non più agente in questo particolare mondo tridimensionale. Agirà diversamente: ma questa è comunque un’altra storia che tratteremo a tempo debito. Ci preme ora chiarire quanto l’Archetipo non sia mai “superfluo”, e non venga conseguentemente mai cancellato dopo l’esplicazione storica di un suo potenziale manifestante. Egli è un’Idea divina, e quindi nella sua essenza si colloca oltre il tempo e lo spazio; appartiene all’Assoluto, ed in Lui vive la propria esistenza, più reale di quanto ci sia consentito argomentare. Ricapitolando: le Idee matrici proiettano le forme ed i nomi distendendosi progressivamente nelle categorie spazio/temporali. In quest’attività agiscono come centri irradianti strettamente coordinati l’uno all’altro, ed il risultato è che le forme derivate possono denotare la confluenza di molteplici aspetti o – meglio – l’immanenza di un archetipo specifico che comprenda un numero elevato (pur se finito) d’ideazioni particolari (matrici) agenti ognuna nel proprio ambito di funzionalità. Quest’attività specificante genera a volte difficoltà all’individuazione del centro generatore effettivo; occorre la visione intuitiva, e soprattutto occorre la conoscenza sufficiente del modo in cui queste forme e nomi s’affacciano alle soglie della nostra consapevolezza. In altre parole, le idee, le matrici, interagiscono con l’autocoscienza che le percepisce, le comprende e le interiorizza sempre secondo le proprie capacità individuali. Dicemmo che l’Uomo globale è in uno stato simile al dormiveglia, e che non 11


può in alcun modo considerarsi desto; l’uomo del nostro pianeta non è affatto in condizioni migliori, ed in effetti gli yogi valutano come “sonno” lo stato di veglia ordinario, e “risveglio” l’attivazione delle facoltà spirituali. La percezione delle idee matrici è conseguentemente difficilissima o impossibile per l’uomo comune, il quale non è neppure in grado di conoscere veramente la realtà fisica in cui si trova sommerso. La Maya distende qui il suo velo illusorio (il Velo di Iside nel Duat) e nulla è più ingannevole che reputare oggettiva ed assoluta la realtà sperimentata con i soli cinque sensi. La conoscenza delle vere modalità d’apprendimento del campo interno e susseguentemente di quello esteriore da parte dei soggetti senzienti è conseguentemente importantissima, necessaria per l’esatta comprensione delle vicende esistenziali, e per andar oltre il velo dell’illusorietà. Lo Yoga ha descritto specificatamente e con precisione scientifica il funzionamento dell’attività conoscitiva, ed occorre far riferimento ai testi sanscriti per raggiungere l’esatta cognizione del fenomeno. Daremo comunque alcuni succinti criteri d’orientamento per la nostra consapevolezza, sufficienti ad avviarci ad una più profonda comprensione del nostro stato. 4) La questione delle modalità della conoscenza e della liceità del sapere in termini reali è stata ed è al centro dell’attività speculativa dell’Occidente e dell’Oriente; tuttavia in Oriente venne risolta millenni or sono, mentre in Occidente il dubbio permane nonostante l’incredibile progresso nel dominio – scompensato ma effettivo – del mondo fisico. In effetti qualsiasi teologia o sistema speculativo, qualsiasi fiducia in se stessi o nell’Assoluto presuppongono la soluzione del problema in esame, preliminare ad ogni susseguente approfondimento. Se, infatti, non sappiamo come e perché certi fatti, certe esperienze giungono alla nostra consapevolezza, e per di più dubitiamo che siano avvertite come oggettivamente sono, non possiamo logicamente affidarci alle nostre percezioni e rappresentazioni sensoriali e mentali della realtà. Addirittura, è lecito supporre, partendo da determinati postulati (vedasi, per esempio, il sistema di Kant), l’inconoscibilità della “cosa in sé”. Della quale null’altro possiamo dire se non essere la probabile, supposta origine del fenomeno che in noi andiamo constatando. Ovviamente tutto questo riflettere e ponderare nasce dal profondo bisogno di un punto fermo di partenza per le nostre analisi, che non abbisogni d’ ulteriori dimostrazioni. Cartesio lo reperì nel fatto stesso di pensare che dimostra almeno, in modo irrefutabile, l’esistenza del pensatore. Tuttavia non è lecito, a rigor di logica, dedurre che – se esiste il pensatore – sussista pure qualcosa d’altro fuori dei suoi pensieri, e la filosofia occidentale non riuscì mai a liberarsi esaurientemente da queste pastoie. L’errore è di metodo e di principio. Come fu dimostrato dall’Induismo in particolare, la mente non è che uno strumento d’elaborazione dei dati dell’esperienza sensoriale, ossia non è in grado d’andar oltre i cinque sensi e le impressioni che il 12


soggetto ne riceve. La “Cosa in Sé”, origine delle percezioni stesse, è oltre le capacità mentali per essenza e definizione. Conseguentemente, al fine d’attingere una conoscenza più appropriata della realtà, dobbiamo servirci di strumenti non mentali, ma identici al principio cercato. La speculazione orientale (induista, kabbalista, zen o taoista che fosse) reperì questi strumenti nell’attivazione delle più profonde potenze dello spirito, e nelle esperienze che ne derivò. Nacque la fondamentale concezione dell’enorme differenza esistente fra mentale e spirituale, e lo studio profondo dell’interferenza della mente nel processo conoscitivo, e dell’attività dello spirito come fonte d’ogni vera certezza. Quando un elemento del mondo esterno viene captato dai cinque sensi, o da uno o più di loro, principia un iter che conduce ad una schematizzazione dell’impressione sensoriale, ad una comparazione con quanto è già nell’immenso serbatoio delle passate conoscenze, ad una elaborazione dei dati desunti da questo processo e infine ad un giudizio finale. Tutto questo in tempi rapidissimi, dei quali il soggetto senziente è in genere ben poco consapevole, fuorché nel caso esso sia un iniziato. Quanto è valido per le forme fisiche lo è altrettanto per quelle concettuali o emotive, quali le compulsioni, i sentimenti stessi e le emozioni. Il processo che abbiamo sommariamente descritto si serve di strumenti interiori o – meglio – di categorie di pensiero che non elencheremo, la cui indubbia utilità nasce dal bisogno di controllo capillare del processo conoscitivo, in particolari stadi dell’interiorizzazione meditativa, adeguato a valutarlo, puntualizzarlo e correggerlo, se necessario. Il problema è ovviamente affidato al Maestro. L’allievo in ogni modo non incontrerà particolari difficoltà a comprendere le fasi del processo che affronterà intuitivamente in primo luogo, e poi, sotto la guida dell’Istruttore, conoscerà analiticamente. Come per tutte le nostre affermazioni, è l’esperienza la migliore delle verifiche; del resto molti procedimenti che, nella descrizione, appaiono astrusi e complessi, si risolvono poi in evidenza e linearità quando la loro analisi è giustamente indirizzata. Ma quale è l’affidabilità concreta dei dati in tal modo elaborati? A questo punto, poiché la sola mente è inadeguata, il momento chiarificatore non può che appartenere all’intuizionismo spirituale, non descrivibile a chi ne sia digiuno d’esperienza. In questo caso, restando provvisoriamente nell’ambito tipico allo strumento mentale, il processo può essere approssimativamente comunicato ma con la riserva che questa conoscenza esige la successiva sapienza della riflessione introspettiva, spirituale/intellettuale. L’intelletto, infatti (e cioè la facoltà d’organizzare razionalmente e conseguentemente i dati dell’intera esperienza, deducendo ed inducendo da quelli conosciuti, altri non immediatamente evidenti), presuppone un materiale che sia stato effettivamente acquisito, e che non derivi dall’intelletto stesso come astrazione da suoi precedenti contenuti. Quando i dati oggetto dell’analisi sono desunti da una vera esperienza concreta, il margine di certezza cognitiva può essere effettivamente elevato; quando invece risultano come l’effetto di un processo deduttivo ed induttivo, 13


e quindi meramente intellettuali e di conoscenza riflessa, il margine d’errore e d’imponderabilità aumenta. In effetti, è sconcertante notare come, nei procedimenti esclusivamente speculativi e quindi affidati alla sola mente/ragione, sia possibile il più delle volte, dimostrare la presunta validità di un asserto ed il suo contrario, con argomentazioni equivalenti. Ciò, tra l’altro, è evidenziato dal dubbio che l’analisi occidentale non ha mai veramente disciolto (se non in casi specificatamente individuali) sull’esistenza o meno di un Principio trascendente al quale fare riferimento. Le argomentazioni addotte dalle varie correnti filosofiche, non suffragate da una vera e completa esperienza spirituale, dimostrarono sia la realtà che l’irrealtà del Divino, e con argomenti d’eguale peso. Dovremo riflettere, a questo proposito, sulle conseguenze che ne derivarono – e tuttora derivano – per le moltitudini d’innumerevoli generazioni: l’intolleranza, il fanatismo, l’infelicità o la disperazione vera e propria, ed infine la cultura di una civiltà quale si dimostra essere la nostra attuale, oppressiva in troppi luoghi e generalmente distruttiva come tutti constatiamo ogni giorno di più, ritrovano proprio in questo principio irrisolto il maggiore centro propulsore. Non basta affermare che “Dio c’è”: bisogna “saperlo”, e per saperlo occorre essere partecipi della Vita divina, ed avere Maestri capaci di comunicarla. Comunque l’Oriente fece profonda esperienza delle modalità di conoscenza spirituale e, attivando le porte interiori esistenti fra microcosmo e Macrocosmo, si diede gli strumenti della sapienza spirituale. A questo punto è però possibile prospettarci l’ipotesi che l’intuizione stessa sia in sé illusoria, e che le percezioni fondate su di un risveglio di potenze interiori debbano essere soggette al dubbio che colpisce quelle sensoriali ed esclusivamente intellettuali, affidate all’elaborazione dei soli dati mentali. Occorre allora che ci conferiamo dati così nitidi ed inconfutabili, e così in grado di trovare rispondenza in tutti gli aspetti dell’esistenza modificandola e controllandola attivamente, da toglierci ogni e qualsivoglia ragionevole incertezza, sostituendola con una vera esperienza d’acquisizione. Questa conclusione ci induce a riaffermare la necessità di una profonda purificazione interiore, onde costruire un limpido quadro dei nostri processi spirituali e mentali, non offuscato da nebbie oscure ed indefinibili (i veli di Maya) ma adeguato all’utilizzo della vera discriminazione, dell’analisi obbiettiva ed impersonale nell’elaborazione di tutti i dati in nostro possesso. Un’intuizione non è, di per sé, necessariamente “esatta” anche se appare “folgorante”. Occorre sapere da dove proviene. Se è l’ego la fonte, difficilmente ci risulterà attendibile; se è la chiarità impersonale e generalizzante attinta nel processo introspettivo (meditazione nel Centro interiore) e poi esaminata ed analizzata mantenendo attivo lo stesso processo per quanto ci è possibile, abbiamo un differente grado di certezza. Se l’intuizione illumina aspetti già sommariamente conosciuti, ed appresi tramite la riflessione su testi iniziatici, se s’inquadra esattamente con i principi trasmessici dai grandi Maestri storici, se apre la via all’approfondimento d’altre 14


armoniche conoscenza, se trova applicazione diretta ed indiretta nel mondo fenomenico e con effetti precisi, se conduce ad un incremento delle più alte ed equilibrate potenzialità personali e generali, in questo caso avremo sufficiente certezza d’essere nel giusto atteggiamento conoscitivo. Ovviamente ci occorre la fede nei Maestri del nostro passato, e nel nostro attuale Istruttore. Fino al momento della nostra realizzazione, parziale o totale che essa sia, questa particolare fede – spesso imperfetta e sofferta – è indispensabile. Tuttavia una fede che prescinda dall’esperienza di un incremento di conoscenza e di vita finisce con l’ingenerare un dubbio, dimostrandosi in varia misura insufficiente. La modalità della conoscenza è dunque sintetizzabile in alcuni punti. Vediamoli. I°) L’oggetto è percepito sensorialmente e la mente recepisce ed elabora i relativi dati, trasmettendoli all’analisi dell’intelletto o capacità razionale ed astraente dell’organo interiore. II°) L’intelletto elabora, astrae, cataloga e quindi formalizza un “giudizio” che ripone nell’archivio mentale. Ne deduciamo che la mente possiede due funzioni principali e distinte: trasmissione dei dati all’intelletto e conservazione della loro successiva puntualizzazione. III°) L’intelletto desume dai dati che reperisce nell’archivio mentale altri dati, mediante processi che sono: a) deduzione (inferenza nella quale una conclusione segue necessariamente ad una o più premesse: in genere il passaggio dal generale al particolare sia sul piano logico che ontologico); b) induzione (il processo inverso, dal particolare al generale, e quello mediante il quale, dall’osservazione di un determinato numero di casi di una specifica classe fenomenica si giunge ad una conclusione valida per tutta quella classe). In questo caso è possibile l’errore e la variabilità delle risposte concernenti lo stesso dato principiale, in quanto il procedimento poi prescinde dall’esperienza quale causa prossima di conoscenza, e l’assume come causa remota, e comunque appartenente ad altri precedenti fattori. Nel caso della conoscenza intuitiva abbiamo una differente impostazione. I°) L’attivazione di determinate facoltà che appartengono allo spirito, funzione più profonda ed elevata del semplice intelletto di cui è la base ontologica, e che appartiene direttamente all’autocoscienza manifestando il senso d’esistere come Idea e di cui l’ego è il centro di riferimento d’ogni esperienza, razionale od intuitiva che essa sia. II°) L’apertura di “porte” che uniscono l’individuale al globale, di cui l’individuale diventa cosciente. La percezione si riferisce allora ad un “universale” e 15


– in questo – dei “particolari” che vi sono attinenti. Le caratteristiche di quest’istantaneo momento conoscitivo sono l’evidenza e la chiarezza che nascono dall’evento e che, pur non spiegabili con la logica intellettualistica pura e semplice, provano nei fatti l’identità del particolare e dell’universale. III°) L’elaborazione dei dati appresi in questo modo con il nostro strumento mentale ed intellettuale, che li analizza e li osserva in trasparenza confrontandoli con altri contenuti dell’archivio interiore mantenendo attiva la medianità spirituale, valutandoli quindi criticamente. E’ evidente che in questo processo l’elemento unificante è appunto lo Spirito, il quale si apre e s’identifica da un lato con la Trascendenza e contemporaneamente mantiene attivo il mezzo che specifica il rapporto con sé e con l’altro da sé. La meditazione è pertanto un procedimento tramite il quale il flusso dei concetti mentali è da un lato sospeso per consentire l’apertura verso la Trascendenza e dall’altro è mantenuto sotto il più efficace controllo possibile, e quindi è sovente perfino attivato per addivenire ad un’analisi discriminante dei dati acquisiti al fine d’apportarvi le opportune correzioni; in tal modo direzioniamo in modo adeguato l’apertura interiore (del chakra) tanto verso l’alto (Atma) che nei confronti del campo esterno d’esistenza. Occorre qui fare attenzione: se s’intende l’apertura, l’attivazione di una “porta interiore” come un fatto nel quale il protagonista resti in ogni momento passivo, si è molto fuori strada. Il meditante è totalmente ricettivo in base alle sua capacità, la mente è silenziosa ma deve essere attenta ed in condizioni d’intervento immediato, la coscienza resta tranquilla e serena, limpida e vigile. Specifichiamo quindi che, se il soggetto senziente (jiva) non è in condizione d’intervenire positivamente nel processo cognitivo – mediante correzione proiettiva ossia eliminazione d’impurità soprattutto inconsce che possano provocare interferenze – egli sarà in potenziale balia di forme/pensiero indesiderate e nocive. In simili casi non è lecito contare soltanto sull’intervento equilibratore dell’Amore divino, in nome del quale s’intenda operare. Occorre che, preliminarmente, il meditante faccia la propria parte, agisca con senso di responsabilità e consapevolezza. Se è sperabile, ed accade, che l’Amore di Dio compensi un “errore” compiuto in sufficiente buona fede, non è altrettanto certo che lo faccia qualora constati un vizio di base direttamente imputabile all’operatore. Per questi motivi è indispensabile la conoscenza lucida ed obbiettiva del proprio grado d’interiorizzazione e d’armonia: Uno sbaglio non è, infatti, facilmente scusabile quando si pretende d’attingere al Divino, e la via dell’inferno può davvero essere lastricata di “buone intenzioni” se esse nascondono in effetti un intendimento distorto. Le sommarie indicazioni sopra enunciate rendono palese come, nel processo meditativo, vengano attivati numerosi elementi dell’organo interiore e fino alla guaina spirituale; in altre parole, e più precise, sono energizzati archetipi del micro e 16


Macrocosmo in armonica sintonia. Gli archetipi microcosmici sono elementi appartenenti alla persona in quanto tale, all’Uomo cosmico quale essenza primaria del primo e di tutti i suoi simili comunque esistenti nell’Interità, a prescindere dalle aree dimensionali in cui vivono. Gli Archetipi del Macrocosmo denotano eguali caratteristiche a livello perfetto, ma non appartengono direttamente all’uomo, singolo e globale: è piuttosto l’individualità concreta che partecipa alla loro essenza la quale, dal punto di vista della Modalità archetipica in se stessa considerata, esiste in un piano che oltrepassa l’Adam e le sue manifestazioni, ed è comunque il Piano divino. La sostanziale unità del Tutto fa sì che nulla sia estraneo a nulla, e che l’Assoluto si manifesti in ogni dove: che tutto ciò possa essere inesatto non è neppure discutibile per l’Iniziato, ma se osserviamo – per necessità di comprensione – le forze, le forme/pensiero che agiscono nel piano manifestato, dobbiamo fare provvisorie ed utili distinzioni. L’Archetipo è in noi e noi siamo nell’Archetipo. Ma l’Archetipo è oltre il manifestato, oltre l’intera Emanazione, oltre il nome e la forma. L’Archetipo di cui parliamo, in quanto modalità dell’Interità, attiene al Brahma e precede quindi, logicamente, la Manifestazione stessa. Quando affermiamo che alcuni archetipi appartengono specificatamente all’Uomo dobbiamo intenderci ed usare l’intuito: gli Archetipi appartengono all’Uomo solo come modalità espressive distinguibili nella formulazione dell’Adam, che è estrinsecazione del Brahman. In pratica, occorre non confondere l’analisi dell’Emanazione quale processo di svelamento (nel quale ci è lecito cercare d’individuare gli elementi del processo stesso) ed il Brahma inteso come Unità del Tutto che determina il processo, “è” il processo e costituisce l’oggetto ed il fine dell’evoluzione. Se il lettore avrà dubbi, lo preghiamo di rileggere attentamente le pagine passate, e molte di quelle che hanno preceduto questo scritto. A noi ora preme che abbia chiaro un punto: gli Archetipi non sono gli esseri del samsara, anche se questi ultimi costituiscono l’esplicazione – nel tempo e nello spazio – degli Archetipi stessi. La teoretica dell’Archetipo non è di facile comprensione anche perché se il tempo ne svela alcuni, quest’emersione avviene per gradi generando innumeri forme che tendono ad evidenziare aspetti sempre più complessi della Matrice (una delle innumeri modalità dell’Archetipo), ed ad un certo punto il processo può apparentemente interrompersi, come se la Matrice stessa non appartenesse più al presente manifestato. In effetti, la Matrice è semplicemente rientrata nella virtualità divina in alcuni casi (pensiamo alla forme preistoriche) o, per essere più esatti, sussiste prevalentemente nella matrice/archetipo detta “Uomo Cosmico”, in attuale fase di spiegamento. Questo discorso ci porta direttamente all’immenso (è il caso di dirlo) problema del Mondo Archetipale considerato in se stesso, ed al tentativo di darne una raffigurazione almeno simbolica, perché con la mente finita e l’esperienza limitata di 17


persone storiche non ci è possibile che l’allusione. La conoscenza esatta o sapienza è di coloro che sanno vedere la verità cercata nella stessa Mente Universale, e cioè che - uniti al Brahma - ne scorgono il disegno per quanto è intelligibile. Ne faremo un cenno nel prossimo paragrafo, limitandoci adesso ad invitare il lettore ad utilizzare le proprie facoltà immaginative ed intuitive, ben oltre quanto le parole suggeriscono; e ad ammonirlo sul come la verbalizzazione dei concetti serva solo come stimolo e simbolo di ben altre trascendenti realtà. 5) Il Mondo degli Archetipi è un universo d’Idee perfette, in reciproco equilibrio. L’immagine normalmente presente al pensiero del lettore è, in questo momento, quella di un quadro armonioso, trasparente, luminoso ed immobile, quasi un cosmo cristallizzato nella sua stessa ineffabilità. Nulla di più erroneo, caro Lettore. Il Mondo Archetipico è vita al più alto grado e, rappresentando l’elemento potenzialmente ed attualmente dinamico del Brahman conseguente ad atti emanativi d’insondabile diversità e di divergenza temporale, è partecipe della suprema essenzialità dell’Assoluto: che è quella di creare quanto in essa è virtuale. L’assoluto, abbiamo affermato, è Amore unitivo ed infinito; ai Suoi occhi le Idee che s’autodeterminano in eoni emanativi rappresentano quanto di più amato e risplendente in realtà esiste. Esse, infatti, sono l’Assoluto stesso, che insieme le proietta in Sé, le contempla e le vivifica. Non c’è, né ci può essere, distinzione ontologica fra il Brahman ed il Mondo delle Sue Idee; ma Egli è oltre questo stesso Mondo e l’Archetipo, nell’unione mistica con il Padre, è libero d’esplicare le Sue e proprie potenzialità. Occorre adesso fare particolare attenzione: il punto di vista dell’Assolutezza, in Se stessa considerata è “Uno-senza-Secondo”. Nell’Uno però tutto è essere, intelligenza, coscienza e vita. L’infinita potenzialità del Padre non consiste certo in un’indeterminatezza fumosa ed oscura. È, all’opposto, la luce stessa, la Luce della coscienza dell’Essere. Tuttavia dobbiamo precisare: nella pura ed infinita virtualità (per noi!) del Brahman tutto è terso e completamente percepibile soltanto per la Suprema Coscienza, e non ad altri. Quando parliamo di “altri” alludiamo al Mondo delle Emanazioni che rappresentano l’attualità creativa dell’Assoluto stesso (nella sua ipostasi che chiamiamo Brahma), ossia le sue potenzialità che, condotte all’autocoscienza nei processi manifestanti, si rendono consapevoli d’essere vive modalità del Padre nella Sua stessa coscienza, libere di scegliere le proprie vie e autonome nel realizzarle. Come tali, dall'angolo di valutazione dell’Essere in Sé sono une con il Brahman: non c’è separazione, ma identità modulata. Dall'angolo della Modulazione l’identità con i Brahman sussiste, ma nell'infinita autonoma libertà creativa conferita nei limiti della modulazione stessa, che 18


ovviamente si esprime come attività del Brahma e dell'Idea del Brahma, e non come semplice esecuzione della Suprema Volizione. Dobbiamo allora considerare il Mondo Archetipico sotto due profili propedeuticamente distinti che sono 1) “Strumento della creatività divina” secondo l’ideazione basale e 2) “Centro autonomo d’attività” nell’ambito specificatamente stabilito. La distinzione è sottile ma insieme fondamentale. Nella Manifestazione l’impulso che genera l’universo dei nomi e delle forme è solamente brahmanico: le entità operano legittimamente seguendo il divino tracciato, e la loro libertà s’identifica nell’esecuzione del compito a loro affidato. Nel periodo intercorrente fra un’Emanazione e la successiva (ma è meglio dire: nel “non-tempo divino”, perché a rigore il tempo e lo spazio emergono solo a Manifestazione attivata) le Idee Archetipiche della Suprema Coscienza agiscono con somma autonomia in due fondamentali direttrici (ed anche qui è forse meglio affermare: in una specifica direttrice che evidenzia precise modalità) che sono a) quella che conduce gli Archetipi all’approfondimento della percezione dell’Assolutezza – processo infinito d’interiorizzazione dell’Idea basale di creatività e di Sé stesse – e b) quella che costituisce lo svelamento delle infinite possibilità specificanti che l’Archetipo racchiude in Sé. Come già accennammo, evidenziando queste potenzialità l’Idea vivente assume contemporaneamente più nitida consapevolezza d’essere un aspetto dell’Assoluto stesso, ed attiva in sé l’intelligenza di ciò che è il Padre oltre il proprio attuale momento dinamico, percependo in maniera più penetrante ed esatta le altre modalità autocoscienti, e la stessa Suprema Coscienza compresa come infinito “serbatoio” dell’Essere. L’Idea archetipica possiede una consapevolezza che trascende i propri confini qualificanti solo nell’unione mistica (ossia nel suo momento unitivo – onnipresente – con il Padre, e non in quello discriminante rivolto alla manifestazione del Mondo formale, che si specifica come precisa funzione). L’Assoluto distingue questi due aspetti perché le Idee di quest’ordine costituiscono formulazioni libere e modalità dinamiche di svelamento di un preciso contenuto della suprema Coscienza, e conseguentemente sono “sentite” come entità non separate nell’unità basale, e tuttavia distinte. Questa volontà brahmanica determina un potente campo d’autonomia e conseguentemente dobbiamo considerare gli Archetipi di quest’ordine quali entità viventi, creatrici e capaci di chiarificarsi alla Creatura tramite le loro stesse capacità. Sono, in effetti, le prime e fondamentali “Mani di Dio”. Le susseguenti sono costituite dagli enti creati, quelli dotati - in quanto “Immagini” della stessa libertà ed autonomia operativa, ma con precisi limiti in eterna espansione. Le Idee del Pleroma divino sono, lo sottolineammo, correlate l’una all’altra, dalle più semplici alle più complesse e generalizzanti, ed ognuna esprime la propria qualificazione particolare nell’espletamento dei compiti e delle funzioni a lei affidate, e nel libero gioco delle proprie valenze. Le Idee sono in qualche modo “polarizzate”, perché la Polarità è la formulazione 19


fondamentale che esplica la dinamicità del Brahma. Non abbiamo mai accennato al Triangolo fondamentale del Glifo, quello costituito dalla Triade Kether – Cochmah – Binah. Kether, la Corona, è il Brahma, e Cochmah con Binah rappresentano rispettivamente il Noumeno e la Potenza realizzatrice dell’Idea brahmanica. Cochmah – in senso metafisico – maschile e “positivo”; Binah, femminile e “negativa”. E’ appena il caso d’osservare che i termini algebrici indicano semplicemente la differenza di polarità, e che non possiamo attribuire ai due Aspetti divini alcun criterio discriminativo di qualsiasi genere. Se questo è il Modello per eccellenza, e se il mondo formale nasce dall’inferenza di questi due supremi Principi, è lecito dedurre che le Idee da Essi espresse possiedano una sorta di “polarità” (secondo una logica non creaturale, ma divina: il ché è ben diverso), ed il loro incontro sia immensamente produttivo sul piano metafisico. Ci conferiamo dunque la visione non più di un campo archetipico superiore raggelato ed immobile in attesa del cenno divino, ma quella di un Pleroma (pienezza ideale alla base dell’evento manifestante) immensamente dinamico, composto da Idee/Persona d’ordine trascendente rispetto alla nostra dimensione, ma autocoscienti nella loro libertà e creatività. Idee ontologicamente une con Kether e contemporaneamente distinte nella loro attività rivolta alla Manifestazione, e sempre in reciproca inferenza capace di svelare al campo emanato le indeterminate virtualità che le informano. Ci è lecito, infatti, presumere che questi Archetipi possiedano un aspetto formale, anche se esso trascende le capacità di comprensione (e quindi di autorappresentazione) della creatura: un aspetto perfettamente compiuto in Dio, e in qualche misura percepibile dall’uomo soltanto nel samhadi. Occorrono comunque alcune precisazioni: innanzi tutto, la storia di questo Universo Archetipale non è esattamente la storia dell’Uomo o delle entità evolutive nel tempo/spazio, ma storia divina. Tutto quello che s’evidenzia e si realizza in quel campo è in effetti un processo che conduce ad atto alcune delle infinite potenze del Brahma, ma non mediante (diciamo provvisoriamente) quel tipo specifico di procedimento che è proprio della creatura, e che conferisce coscienza personale, libertà di scelta ed autonomia operativa. La libertà del Pleroma Divino (da distinguersi nettamente da quello creaturale!) è, per farci comprendere e scusandoci del bisticcio logico, apparentemente meno “libera” di quella che potremmo immaginare. In effetti, è immensamente più libera perché coincide istantaneamente e perfettamente con il Bene, con il Brahma. Il Pleroma è, infatti, costituito da Essenze divine differenziate e – nei nostri confronti – personalizzate, alle quali sono affidati i compiti specifici degli Archetipi costruttori, e specificatamente quelli, primari, attinenti allo svelamento in un mondo formale dei disegni del Padre. La libertà di cui godono le forme/pensiero del Pleroma creaturale, archetipi manifestati che trovano la loro radice nell’incontro e nella sintesi effettuata dagli Archetipi divini, è pertanto derivata da questi ultimi e costituisce conseguentemente 20


una sorta di delimitazione, di circoscrizione della loro primaria autonomia. Per di più non è acquisita mediante l’infusione atemporale dell’autocoscienza, condizione tipica delle Entità principiali, ma è conquistata tramite un impegnativo e probabilmente faticoso iter evolutivo, che le rende partecipi e degne della fondamentale Libertà dell’Assoluto. Possiamo conseguentemente dedurre che queste forme/pensiero manifestate ricevano un conferimento di “libertà riflessa”, completa nei limiti prestabiliti all’inizio della loro esistenza cosciente. Limiti in eterno dispiegamento, ma pur sempre limiti. Queste entità sono quindi, all’inizio del loro cammino realizzativo, prive del bagaglio d’esperienza concreta che sola conduce alla vera maturità dello spirito, ma rappresentano comunque splendide e luminose estrinsecazioni del Pleroma Archetipico da cui emergono, ed intervengono appena è loro possibile nei processi che si attualizzano nel piano manifestato mediante proprie deliberazioni e comportamenti coerenti, che devono tenere in massimo conto le influenze provenienti dagli Archetipi fondamentali, sempre immanenti e mai condizionanti. Questo è, in effetti, il rischio che il Padre assume in Sé all’atto di determinare la nascita del nostro Mondo: quello di una deviazione dall’ascolto della Sua volontà, che il Pleroma divino ci traduce come tramite fondamentale. E’ necessario considerare sempre, nel cercare di configurarci il Pleroma fondamentale (ossia il Mondo delle Idee), che tutto è vita, coscienza ed armonia luminosa e felice: Ananda, in sanscrito, che se qui si allude al supremo, beatifico stato dell’Uno-senza-Secondo. Nel congetturare sui particolari moduli espressivi del Mondo Archetipale ci è impossibile prescindere da quest’ultimo aspetto di completa realtà: tutto quello che ci appare è – ripetiamo – Vita al massimo livello di dispiegamento, collocata entro quella – onnicomprensiva – del Brahman che è l’Essere e la Vita assoluti. Vita autonoma, per meglio intenderci; in diverse parole Vita di modalità distinguibili nel Padre, quando non si collochino nel momento unitivo perfetto che è sempre un aspetto della loro essenza. Possiamo aggiungere che questo massimo samhadi non annulla mai l’Idea specificata, ma semplicemente la unifica con il Principio nel mistero della Sua essenza, e la mantiene attiva in quello della sua funzione. Nella creatura accade – secondo la logica della “Immagine” – un simile effetto: il raggiungimento della Realtà non annulla mai l’ente che la consegue, ma piuttosto allarga la sua sfera esistenziale in modo nuovo e imprevedibile. In altre parole, il samhadi (anche il nirvikalpa-samhadi) ammette sempre un ulteriore approfondimento. L’idea vivente specificata dal Pleroma superiore riceve dunque da quest’esperienza unitaria un più alto grado di comprensione dell’assoluto e della Sua manifestazione, e quindi anche un accresciuto potenziale di vita personale. Sottolineammo che questo processo non ammette un termine finale ma infiniti approdi a nuove conoscenze, perché la potenzialità creativa del Brahma è senza limite, e la creatura, essendone l’Immagine, la contiene a livello di potenza. Il processo esistenziale è in effetti il passaggio, affidato alla nostra scelta e volontà, da 21


questa potenza all’atto, mediante l’esperienza delle nostre capacità nel campo che ci è affidato. Tutto questo ci induce a configurare l’esistenza come una possibile e continua conquista e scoperta, che nel Divino eternamente immanente ha il suo fondamento e la più ineffabile espressione. La “polarità” delle Idee Archetipiche fondamentali, alla quale accennammo, non può ovviamente concepirsi come una forma comparabile alla sessualità umana, trasferita nel Mondo delle Idee. Il simbolo, adottato da tante culture del passato, aiuta ma non descrive. Diciamo piuttosto che l’Eros da noi conosciuto e compreso (ma raramente!) e che s’estrinseca anche e non soltanto nell’atto sessuale, raffigura allusivamente, simbolicamente ed imperfettamente la gioia dell’incontro e della fusione a livelli inconcepibilmente più elevati, dove l’ego e il grossolano aspetto della materia inerziale (dotata di un gradiente immenso di virtualità) sono completamente assenti. Conseguentemente non ci è possibile un’adeguata rappresentazione dell’incontro fra Polarità Archetipiche senza l’esperienza meditativa del samhadi, che può conferire un più o meno preciso quadro di quanto è implicito in quell’evento. E’ in ogni modo sufficiente, per il nostro lettore, comprendere che l’attrazione polare ha le sue radici profonde nel piano divino, e che costituisce lo strumento attivatore delle Potenze sulle quali si fonda la Vita, a qualunque livello la si consideri. 6) Nell’Assoluto l’esistenza dell’Archetipo è come assorbita ed indifferenziata nel fulgore del supremo Sé (Sat) dove tutto è vivo, luminoso ed indistinguibile perché nell’Essere non sussistono differenziazioni di modalità. Ecco quello che ora importa comprendere. L’Archetipo è tuttavia reperibile nella Suprema Coscienza (Cit), che costituisce la discriminazione dell’Essere, e dove constatiamo il mistero della differenziazione infinita nell’infinita unità. Per esprimere una modulazione specifica, che porti ad evidenziare un aspetto della Coscienza al quale è delegata una particolare funzione manifestante, occorre che il Brahma la ponga come “fuori da Sé”, ossia fuori dalla Sua più segreta essenza, e la consideri “altro da Sé, ma sempre in Sé”. Questo è un atto perfettamente creativo, del quale il Brahma resta il totale Signore in quanto non sussiste una differenza sostanziale fra il Creatore, il creato e l’atto di creare. La Volontà suprema non appartiene al tempo che noi conosciamo e comprendiamo, perché il “tempo” stesso è una funzione del Brahma, paritetica forse ad altre non meno importanti ma che ci sono ignote. Comunque, quando la creatura acquisisce una differenziazione (vibratoria) dal Creatore, essa entra in una dimensione che può definirsi temporale ma che potrebbe anche non esserlo; e vogliamo adesso esaminare quest’ipotesi. Poiché c’intratteniamo con questo libretto su di un terreno specificatamente 22


esoterico, e con il solo strumento dell’intuizione intellettiva di per sé alquanto inadeguata allo scopo, invitiamo lo stesso lettore ad “ascoltare” con la maggiore attenzione in se stesso i pensieri che le nostre parole gli possono suggerire. E’ indispensabile questo tentativo, il quale non è – come potrebbe credersi – meramente raziocinante, ma che appartiene già in qualche misura al modus proprio dell’intuizione sapienziale. L’esistenza del Mondo Archetipico fondamentale non si colloca nel tempo quale svolgimento di fenomenologie dipendenti l’una dall’altra secondo la legge di causa ed effetto; non è processo evolutivo e non è stasi. L’immagine più efficace che la penna possa trascrivere è probabilmente quella di una costante, fluidissima diversificazione di colori variamente intrecciati e commisti, che non mutano l’armonia del quadro iniziale ma piuttosto lo svelano in aspetti imprevedibili e perfetti. L’aspetto in sé stesso non muta, ma cambiano le luci che irradia e, sovrapponendosi scambievolmente creano nuove sfumature cromatiche, nuove interferenze, sorprendenti essenze ideali che appartengono sempre al quadro contemplato e nel medesimo tempo l’arricchiscono e lo svelano costantemente. Non esiste, e questo è fondamentale, una legge necessitante di causa ed effetto ma piuttosto quella della totale libertà creativa. La perfezione appartiene agli Archetipi maggiori: ciò che essi fanno è l’evidenziazione degli infiniti aspetti della loro natura, in essi impliciti, e secondo le più inattese varianti e confluenze. Quel che è “dopo” è sempre sostanzialmente identico a quel che era “prima”, e conseguentemente il “dopo” ed il “prima” non hanno molto senso dal punto di vista di queste Modalità del Divino. Ha invece senso, e in modo certamente più profondo di quanto possiamo concepire, per l’Idea autonoma che nasce dal libero gioco degli Archetipi (l’infinito e finalizzatissimo “gioco” del Brahma), in quanto la sua esistenza virtuale così specificata appare cosciente. Per l’archetipo – e quest’assunto è davvero difficile da precisare – non c’è differenza nella Sua coscienza, perché egli da sempre contempla quest’Idea come propria attualità e virtualità di vita nel continuum creato. Specificandola come “altro da Sé” le conferisce una particolare autonomia di rappresentarsi come persona, e tuttavia questo “nuovo” ente non è avulso dall’Archetipo stesso pur se appare differenziato, per un mistero d’amore davvero insondabile. L’Archetipo lo contempla nella vita che gli ha donato, libera ed autonoma, lo vede mentre s’esprime ed agisce (tutti termini questi da intendersi nel significato simbolico ed allusivo che abbiamo enunciato), lo sostiene nei passi che compie, nelle scelte e nelle estrinsecazioni, e sempre mantenendo l’identità d’essenza con lui e la differenziazione di coscienza (limitata nell’Illimite divino). In breve l’Archetipo sostanzializza e riproduce il principiale Atto creativo del Brahma nell’ambito che gli è proprio. Questa metodologia non è strana o limitante, perché l’Archetipo – per quanto “distinto”, specificato, autonomo ed autocosciente – è pur sempre una modulazione dell’Assolutezza che agisce e per questo si colloca in un piano che non è propriamente quello assoluto. 23


Ora cerchiamo d’esaminare l’archetipo così puntualizzato, ossia l’Adam, l’Uomo/Donna conduttore del campo manifestato. Abbiamo affermato che egli costituisce – nel suo spiegamento – il fine stesso della presente Manifestazione totale (ossia costituita da innumeri cicli cosmici d’emissione e di riassorbimento, fenomeno provocato da un antico ed attuale arbitrio); l’Adam della Terra è dunque il Figlio per eccellenza. Ossia è l’Adam Kadmon, secondo i testi cabalistici. Nell’epoca presente, con alcune eccezioni significative, l’Uomo cosmico è in uno stato di dormiveglia, in preda a sogni diversi e contrapposti. La luce della consapevolezza in lui non è sempre accesa, come non lo è nella stragrande maggioranza dei nostri fratelli. Egli però reputa d’essere sveglio, e le forme/pensiero in cui s’identifica manifestano prevalenti esigenze egocentriche, esattamente come nelle persone (jiva) che quotidianamente incontriamo. Se l’uomo della Terra ha un pregio, è certamente quello di darci un’immagine adeguata, anche se in certo modo peggiorativa, dell’Uomo Cosmico, secondo la sua autorappresentazione di questo periodo. Fortunatamente, essendo quest’ultimo la sintesi degli infiniti individui coscienti che vivono nell’Universo, alcuni aspetti davvero preoccupanti che sussistono sul nostro pianeta sono nell’Ente globale alquanto alleggeriti o – in certi casi – praticamente assenti. Questo stato di fatto consente all’esoterista di sobbarcarsi un compito (che è in definitiva un impegno cosmico) non del tutto impossibile anche prescindendo da un fattivo sostegno esterno, ossia di altre aree della Manifestazione. Qualora le forme psichiche, spirituali e mentali dell’Adam cosmico fossero identiche a quelle proprie dell’uomo terrestre, forse l’intero Universo rischierebbe un prossimo collasso, e quest’evento è per ora da considerarsi teorico. In ogni modo, se sussiste un ambito d’azione iniziatica tuttora concretamente possibile nella nostra sfera è perché la globalità dell’Adam la consente, e il necessario sostegno divino incontra in tal modo minori ostacoli. In caso diverso, gli esoteristi dovrebbero attingere dal Glifo della Vita, e con il loro “cuore”, tutta l’energia necessaria, e i Sephiroth incontrerebbero necessariamente un’interferenza del Campo Causale, intensa e risolutiva in molti aspetti. Il ché, per quanto è possibile, non dovrebbe accadere. L’Archetipo Uomo è dunque parzialmente inattivo e nella fase più delicata della propria evidenziazione: quella che, nell’ambito della Maya, determina il passaggio dall’oscurità dell’incoscienza – o della coscienza offuscatasi per propria colpa – alla luce del risveglio. Quando l’Archetipo Adam saprà darsi quest’illuminazione, l’Interità ne avrà un rapido vantaggio, ed in qualche modo i tempi della sua realizzazione s’accelereranno. La Manifestazione, ovviamente, non si trasformerà tanto presto, in considerazione dell’immenso potenziale inespresso che comunque contiene; la sua esistenza, nel migliore dei casi si prolungherà per miliardi dei nostri anni, ma probabilmente il suo aspetto sottile, vibratorio, muterà. Così possiamo supporre che le contraddizioni, i conflitti che la dilaniano saranno progressivamente addolciti, e le 24


tragiche condizioni di molte aree troveranno una più armoniosa soluzione. Il Cristo Gesù, Entità divina ed umana in contemporanea sussistenza, può e vuole sorreggerci in questo compito: quello che Egli fu ed è, anche gli uomini saranno. Gesù ci ha dato un esempio preciso, ponendosi al nostro livello epocale, con il Sacrificio e l’assunzione del nostro stato fino all’agonia ed alla morte. Ricordiamoci che Egli è la Misericordia ed il Sostegno divino alle nostre fatiche, perché è la presenza del Padre fra noi. Se l’Adam lo seguirà, l’Universo risplenderà della Sua essenzialità, e testimonierà quell’Amore che il Maestro divino predicò ai popoli della Galilea e confermò fino a salire sulla Croce del dolore. L’archetipo Uomo deve saper essere la matrice di questo specifico aspetto dell’Amore totale del Brahma, nel quale la forza della compassione, della mitezza e della fraternità si fonderanno armoniosamente in un vettore dinamico, capace di specificarsi come un preciso aspetto della volontà creatrice del Padre, attivo in tutte le future Manifestazioni. Come apparirà quest’Archetipo al raggiungimento del suo traguardo realizzativo? Cosa sarà conservato delle innumerevoli forme assunte e sperimentate, ad infiniti livelli di coscienza, dalle altrettanto sterminate idee/matrici che hanno concorso alla nascita del Figlio? E le imponderabili esperienze vissute e sofferte dalle singole persone verranno come assorbite e cancellate nell’Entità finale? O, piuttosto, conserveranno un senso ed un valore, avranno il loro posto e il giusto rilievo nella lucida coscienza archetipale? Cercheremo di rispondere a questa domanda, che offre lo spunto per considerazioni forse non del tutto pertinenti al tema iniziale, ma certamente utili per la formazione della nostra rinnovata coscienza. 7) Nell’infinito mare delle potenzialità dell’Assoluto esistono anche quelle che l’Uomo viene attualizzando nell’arco della sua emancipazione, e che rappresentano un “immedesimarsi” in forme (anche interiori!) via via più perfezionate le quali, dal piccolo essere vivente ai primordi del pianeta, progrediscono oltre la stessa tangibilità fisica, per raggiungere un’altissima spiritualità. Dobbiamo considerare ogni momento dell’esistenza che conosciamo, ed ogni momento della vita di tutto quello che è manifestato, come l’affioramento alla coscienza personale – o autocoscienza individuata – di un aspetto ideativo del quale il Brahma era, fino a quel momento, il solo consapevole. Da quest’annotazione, non facilmente assimilabile nella sua estensione, si deducono vari corollari: innanzi tutto, il tempo non è, come dicemmo, che il modo proprio dello spirito (tramite le percezioni sensorie e l’attività dello strumento interiore) di rendersi consapevole della realtà in cui è immerso, e fino a quell’istante piuttosto inconsciamente. Come esiste il tempo soltanto nel percettore del tempo, così lo spazio non è che una categoria di rappresentazione di quanto è emerso alla coscienza, ed in sé esprime semplicemente una delle modalità dell’apprendimento del 25


dato che è apparso all'orizzonte coscienziale. Naturalmente questa consapevolezza varia con lo stato d’evoluzione del soggetto senziente: un “selvaggio” o un primitivo si darà una immagine dell’Universo apparentemente identica, a grandi linee, a quella di uno scienziato o di un filosofo per quanto concerne le immediate categorie autorappresentative (spazio/tempo); ma in effetti non comparabile all’immagine di quest’ultimo sotto il profilo delle successive interiorizzazioni ed analisi, e soprattutto per le conclusioni che ne derivano. Questo è genericamente vero, anche se nei particolari possono sussistere enormi differenze ed inopinate convergenze. Tuttavia sia l’uno che l’altro, il primitivo ed il dotto, differiranno marcatamente da ciò che emerge alla coscienza dell’adepto, o dell’Entità che guida il divenire in una o in molte delle sue espressioni. Ad ogni modo, ogni percezione della virtualità apparsa nella coscienza è, possiamo asserire con qualche approssimazione, in qualche modo relativamente esatta: esatta per quel particolare stadio dell’evoluzione dell’ente, in quel momento e non in altro, perché la vera comprensione della “cosa in sé” è nel saper “essere” la cosa stessa, e questa capacità richiede un’elevazione spirituale immensa, non ottenibile nel nostro ambito che con il faticoso percorso dell’iniziazione. Tutti gli aspetti percepiti (dalle cose agli stati di coscienza) sono emanazioni fattuali o ideative di archetipi a loro sovrastanti, e la storia dell’uomo e dell’Universo che l’evidenzia e lo nutre è in ultima analisi quella del rapporto intercorrente fra l’archetipo Uomo e tutti gli altri, coinvolti e partecipanti alla sua emancipazione. Ogni specificazione di un Archetipo, per fugace che essa sia, è espressione di una modalità dello stesso, e questa apparizione può poi configurarsi in un numero imponderabile di forme derivate, tante quante sono le coscienze che la percepiscono e ne sono attivate. Il dato ci conduce al nocciolo del problema: cosa determina l’azione dell’Archetipo? Occorre distinguere fra il momento dell’autocoscienza in fieri e quello dell’autocoscienza de facto. Nel primo è il Glifo che, tramite le sue Entità, rende operativi gli innumeri Archetipi operanti nella formazione di un Universo. Poiché queste Entità hanno ben presente il disegno divino (almeno in principio) in questa fase il Cosmo apparirà coerente con l’Ideazione che l’ha voluto, e noi probabilmente non potremmo in alcun modo raffigurarcelo in questa fase, tanta è la differenza con quello della nostra odierna esperienza. La teoria della formazione dell’Universo, dall’esplosione primaria d’Energia (e sotto altro profilo sarebbe forse più esatto dire: implosione/esplosione) ad oggi, è valida per le nostre attuali categorie di pensiero. In altre parole, noi immaginiamo qualcosa che sarebbe stato così “se” l’ente senziente che viveva allora avesse posseduto le nostre doti percettive, analitiche e sintetiche, e gli attuali strumenti di autorappresentazione. Ma non era certamente così, e quindi il processo esistenziale fu compreso in altro modo. Non è tuttavia inesatta la nostra odierna ricostruzione: è semplicemente valida soltanto per le capacità concettuali e conoscitive di questo momento dell’evoluzione generale, e non lo sarà in ugual modo quando l’Uomo avrà una più profonda penetrazione nella realtà che vive. 26


In ogni caso, quando l’Uomo si conferì un’autocoscienza sia pure elementare gli Archetipi si affidarono progressivamente alla sua iniziativa, ed egli ebbe un potere operativo in costante incremento. Un potere temibile, perché nell’Archetipo esistono tutte le forme logicamente concepibili come varianti dell’essenza basale, e l’Uomo può legittimamente attivarle solo tramite l'azione del suo mondo interiore (fisso nell’Atma), il quale, se è scompensato, riuscirà a trarne forme/pensiero ugualmente scompensate, capaci di modificare la sua coscienza esattamente come furono dalla coscienza stessa, energizzate. Infatti, egli avrà attivato forme/pensiero vitali, dotate almeno - nei casi più semplici - di una capacità d’agire conforme all’ideazione che le ha stimolate, e seguendo quei parametri: la realtà vissuta è la storia ed il prodotto di rapporti fra idee, infinite e mutevoli come i riflessi del mare in un giorno di primavera. Stabilizzare questa realtà e ordinarla in un tutto armonioso, può essere soltanto opera di un’interiorità equilibrata e libera da impulsi distorti: perché soltanto in questo ordine gli Archetipi saranno attivati in modo corretto, e le forme/pensiero derivate ne conserveranno la bellezza e l’armonia. Non possiamo neppure tacere che nell’Uomo sono rintracciabili fattori acquisiti nell’evoluzione, e che non appartengono sostanzialmente alla sua natura. La lunga fatica sostenuta per l’emancipazione, le innumeri cadute, le esperienze scomposte e distruttive vissute nei tentativi di raggiungere il dominio di sé e del campo esistenziale, che sono poi confluite nelle attuali personalità, hanno aperto porte su un abisso non mai dimentico del pericolo che l’Uomo rappresenta per la sua permanenza. Questo fece sì che, quando fu (ed è) possibile, influenze remote, qelliphotiche, s’infiltrassero nell’inconscio degli uomini e di lì tendessero (e tuttora tendano) a condizionarne l’attività e le scelte quotidiane. Nel piccolo e nel grande. Sono, le Qelliphoth, archetipi degenerati, potenze distorte che occorrerà condurre ad equilibrio e a maturazione: ma questo appartiene più al futuro che al nostro presente, perché ben pochi possono presumere, a ragione, di saperne sfidare il potere. Ci preme di ricordare che il Male può motivatamente essere considerato un campo d’archetipi distorti e, in quanto tale, evidenzia la necessità della correzione perché non è pensabile che una potenzialità della Manifestazione resti inespressa. Sarà pertanto compito delegato in particolare all’Uomo, ed agli Archetipi del Glifo in sintonia con Lui, il compito di risolvere la tenebra qelliphotica in luce, prima che l’attuale Manifestazione si concluda, e che il Figlio possa poi sedersi (come splendidamente insegnano i testi cristici) alla destra del Padre. Questo evento inoltre consentirebbe, almeno per i protagonisti, di superare agevolmente la crisi del Kaliyuga e d’avviarsi in serena semplicità sul sentiero di Cristo. Nell’inconscio singolo e generale esistono, come dicemmo, tutte le forme/pensiero del Mondo archetipico, specificatesi ed evidenziatesi nel corso di una interminabilmente lunga evoluzione di questa Manifestazione (otto o dieci miliardi d’anni, forse; senza contare quelli che trascorsero prima che l’autocoscienza comparisse in questo Universo, se è lecito e possibile valutare questi tempi con il nostro metro). 27


Queste forme/pensiero non sono in sé né reali né irreali, perché da un lato tutto è compreso nella realtà divina, e dall’altra è fenomeno transitorio e mutevole. Comunque esistono e sono importanti. Perché? Naturalmente perché esse furono in ogni caso tappe, elementi del nostro cammino, ed insieme la fine o il principio d’innumeri esperienze esistenziali. Ma anche perché è necessario che l’Adam conservi tutte le proprie esperienze, e di tutte sia consapevole per coordinare la sua futura attività. Questa è una salvaguardia contro la ripetizione di possibili errori, una consapevolezza necessaria della fatica occorsa per rendersi veramente alla propria profonda naturalità, una testimonianza che induca alla fraternità ed alla comprensione e quindi all’Amore universale. La memoria è la base della saggezza, per il saggio: così come la conoscenza di se stessi (alludiamo alla conoscenza yogica, che s’affonda a dismisura nel passato) consente la comprensione degli altri, l’immedesimazione nei loro più ardui problemi e la compassione. Gli Archetipi, sotto questo profilo, sono quasi l’archivio della memoria cosmica. Ciò che in essi fu attualizzato, essi conservano, e la loro visione può condurci a recuperare i più lontani, remoti tempi in cui vivemmo, così come essi furono. Tanto nel piano reale che direttamente ci riguarda quanto negli altri che ne costituiscono le varianti virtuali. Quello che compare in quei campi – se non li attiviamo – sono semplici modalità della coscienza archetipica, solo da questa percepite; l’Archetipo non possiede, in quanto tale, piani differenziati d’esplicazione, attuali e potenziali. Tutto il contenuto della sua coscienza è reale, e l’irrealtà di certe ideazioni può essere assunta per Sacrificio e Pietà, provvisoriamente e in vista del loro superamento. Ma la differenziazione di piano vissuto e di piano rimasto virtuale sussiste nell’Uomo, il quale incontra in quegli ambiti delle linee inespresse che appartengono non tanto all’Archetipo da cui deriva, ma a sé medesimo e, meglio, all’Assoluto nella Sua attualità d’Amore, di Sacrificio e di Perdono. La distorsione racchiusa in queste potenzialità, insistiamo, non ha origine nell’Archetipo (che la subisce) ma nella coscienza limitata che la determina. Questa semplice constatazione ci condurrà ad esaminare quel particolare continuum rappresentato dal modus proprio della coscienza di specificarsi, in cui le Idee/Matrici trovano applicazione (ed è soprattutto di queste ultime che vogliamo parlare). Gli Archetipi di grado elevato, i quali costituiscono modalità divine generalizzanti e capaci di percepire la suprema Coscienza (Cit) non vengono ora considerati, perché essi dirigono, sostengono e correggono Malkuth: non sono condizionati dalla “caduta” dell’Adam, e ne sono toccati solo per loro scelta di compassione e di sostegno. Tuttavia le idee/matrici (la sostanza archetipale delle “cose”, dei concetti intellettuali, delle astrazioni mentalistiche e via dicendo) sono ben diverse: esse cadono nel dominio dell’autocoscienza e rispondono linearmente a quest’ultima. Se essa è distorta, ne ricaveremo un’erronea rappresentazione degli esiti conseguenti alla 28


nostra attivazione, la cui responsabilità anche per ogni successiva conseguenza è solamente dell’Uomo. Occorrerà, nel prossimo paragrafo, accennare agli Archetipi di concetti che consideriamo “astratti”, che sovente sono i più alti nel loro ambito e che in se stessi non sono affatto “astratti”. Infatti, l’astrazione è opera della mente e della coscienza individuata, che opera con poca rispondenza nel Sé personale. Nulla è più reale dell’Idea esatta: essa è vita, forza agente, dinamicità nel piano fattuale. Teniamo ben presente il basilare principio che lo Spirito, contenitore delle Idee e dell’Autocoscienza, è l’unica realtà fondamentale dell’Universo, e che tutto è compreso nell’Atma, ossia in Brahma. Non esistono vere Idee che siano “astratte”, e non possono esistere; e tuttavia sussiste certamente un modo distorto di percepirle, di coltivarle e poi di servirsene. Nei Sephiroth sono specificati – come informano i Testi kabbalistici – le Virtù informanti ed i vizi che – nell’uomo concreto – nascono dall’incomprensione, dal fraintendimento, dalla frammentazione arbitraria del contenuto di un’Idea. Quanto è rappresentato nell’Albero della Vita appartiene all’Ideazione divina, alla susseguente Tradizione umana, e nulla deve essere trascurato. Neppure quello che sembri, per l’attenzione essoterica, un mero metodo classificatorio. Di tutto questo parleremo in un tempo futuro. 8) Le Idee, in quanto tali, possiedono un contenuto concettuale e – per essere più precisi – è dunque possibile estrarre dalla loro essenza un concetto semplice o estremamente complesso. Le Idee, considerate in se stesse, non sono affatto mere configurazioni logiche o intellettuali dell’Uno, ma essenze vitali, puro pensiero che non è discorsivo ma “Ente”. Non consideriamo facile intendere questo punto del nostro discorso perché, per l’uomo comune, le idee rappresentano sempre il contenuto astratto del pensiero, e il pensiero stesso è poi considerato come un’astrazione cerebrale, quasi il prodotto in sé inconsistente dell’attività delle cellule. E’ piuttosto vero l’opposto. Le cellule dell’organismo vivente sono emanazione dell’Idea che le informa, ed il pensiero è il modo in cui quest’Idea s’esprime nel tempo. Tale proposizione rivela anche la differenza sostanziale sussistente fra il “Pensiero archetipico considerato come ente” e quindi non soggetto di per sé al divenire, ma piuttosto ad esprimere le proprie virtualità – comportamento tipico degli Archetipi – ed il comune pensiero degli uomini, dialettico, discorsivo, verbalizzante, induttivo o deduttivo di volta in volta. Il fatto è che l’Archetipo non appartiene direttamente al nostro tempo/spazio, ma entra a far parte del continuum manifestato senza tuttavia esserne assorbito. Il pensiero del soggetto senziente del nostro ordine (jiva) è categoricamente soggetto alle modalità coscienziali tipiche del suo stato d’emancipazione. La reale modificazione positiva del suo quoziente di libertà è, conseguentemente, l’unica possibilità aperta all’uomo per addivenire ad una reale comprensione del proprio stato 29


e del Trascendente, e solo mediante questa sapienza è possibile l’acquisizione delle particolari vie che conducono ad “essere” la Trascendenza, secondo le proprie rinnovate qualificazioni. Che questo accada in un modo o in un altro, poco importa. Lo Yoga offre diverse strade al sadaka (allievo), che dipendono dalle sue predisposizioni psichiche e spirituali (adhikara): da quella devozionale a quella conoscitiva. Tutte conducono alla stessa meta, e a un certo punto le esperienze dell’una equivalgono quelle dell’altra. Ma tutte presuppongono nel miste una sufficiente comprensione (almeno intellettuale) dell’Essere, prima di poter concretamente accingerci ad “essere”, perché non ci è possibile dirigerci in un luogo senza una qualche idea sul luogo stesso. L’utilità delle presenti pagine è in questa direzione: dare un’immagine, intellettualistica fin che si voglia, capace di fornire una direzionalità la più esatta possibile. L’intuizione chiara e distinta, corretta e confortata da una lucida capacità discriminante e da categorie concettuali ben precise, è la via che conduce al vero esoterismo. Quindi invitiamo il lettore ad esercitare questa facoltà già nel seguirci nei nostri discorsi, che resteranno pressoché vani se egli pretenderà di comprenderli con un mero esercizio mentale, senza il fondamentale apporto della meditazione yogica. La meditazione, di qualunque tipo si tratti, è la “spada” dell’esoterista, quella che gli consente ad un certo punto di squarciare i veli di Maya. La Tradizione rivelata è poi l’insegnamento che consente d’impugnare correttamente quella lama. Sia nel rito propriamente detto, con le metodologie tipiche e gli apparati relativi, sia nel più confacente rito interiore del meditante, lo strumento è sempre quello del “viaggio nel profondo del proprio essere” e non altro. Quest’assunto sia chiaro al nostro lettore, o tutto il lavoro che suggeriamo non gli lascerà che inquietudine e confusione. Le Idee hanno diverso contenuto, e conseguentemente passiamo dalle più alte, onnicomprensive ed infinitamente articolate, alle più specifiche che rappresentano, al limite, un aspetto unico e ben determinato, e risolvono la loro natura soltanto in quello. Esiste dunque una gerarchia, e qui occorre fare attenzione: il termine “gerarchia” è stato inquinato come pochi altri nel corso della storia dell’Adam, e non rappresenta nel nostro contesto un rapporto di subordinazione autoritaria, ma di emanazione. Ontologicamente, tutto è Brahman, e gli Archetipi più elevati non differiscono nell’essenza dai minori. Per i contenuti, le Idee fondamentali sono i contenitori spirituali di quelle derivate, e quindi il rapporto che intercorre fra le une e le altre è di puro Amore e Identità, pur nella differenziazione. Ovviamente, l’intelligenza dell’Essere è tanto più profonda quanto più l’Idea è alta in questa scala di valori, ma l’Archetipo più specificato, particolaristico, partecipa effettivamente della sapienza di colui dal quale deriva come un “riflesso”, e non è in nulla limitato sotto il profilo dell’intuizione dell'Essere in sé. Come disse Dante, egli è “un raggio della ruota egualmente mossa”, e nell’armonia generale esprime la sua altissima natura. 30


Le Idee Archetipe rappresentano un Universo, e riflettono in tutto e per tutto il Brahma, ad un livello “vibrazionale” inferiore. Possiedono dunque un aspetto che possiamo qualificare (molto impropriamente) statico, che è poi l’immensa potenzialità loro affidata, ed un aspetto dinamico, costituito da un lato dallo svelamento progressivo di quella virtualità e dall’altro, dall'attività compiuta come modalità dell'Assoluto nel portare ad atto le supreme Potenzialità. Inutile sottolineare quanto questi confini e queste indicazioni siano in funzione soltanto della necessità di comprendere qualcosa del Mistero insito nel Campo Causale, e non vogliano descrivere ma semplicemente “alludere”. Il procedimento che abbiamo descritto non riguarda una dimensione a noi nota, e non accade certamente nel tempo/spazio che ci qualifica. Non è possibile concettualizzare con l’utilizzo del solo intelletto e dell’archivio mentale ordinario questi principi. E’ grazie all’autorità di veri Maestri, per la “rivelazione” divina di cui essi furono tramite, per loro intuizione diretta e meditazione profonda, che queste verità furono tramandate all’uomo comune. Lasciamo dunque all’interiorizzazione del Principio il compito dell’effettivo apprendimento della Realtà che ci concerne. Noi tentiamo semplicemente di fissarne alcuni utili presupposti. Sia l’aspetto “statico” che “dinamico” degli Archetipi presuppongono ed ipotizzano un centro unificante d’autocoscienza, e questo Centro è, nelle Sephiroth, l’Arcangelo: personificazione di una Modalità divina, Egli esiste realmente, ma è un aspetto del Brahma rivolto alla sua manifestazione, e quindi “è” il Brahman stesso nell’atto d’estrinsecarsi nel suo stesso Essere. In questa nostra Interità l’Arcangelo partecipa in Sé della suprema libertà, agisce con la massima autonomia e in deliberazioni perfettamente impersonali, ossia per finalità generali. Anche il Suo intervento nei casi specifici è sempre un’estrinsecazione del Principio basale. Non si consideri quest’altissimo Ente come un mero, astratto strumento di una volontà trascendente, alla quale sia tanto soggetto da ridurre la propria libertà a una semplice finzione. Egli è la Libertà. E’ effettivamente impossibile comunicare quanto la libertà della Manifestazione possa riflettere quella dell’Emanante, ed essere entrambe fuse nel purissimo Amore. L’esperienza insegnerà, in un tempo più o meno lontano, quest’assunto in forme dirette e fuori da ogni dubbio, e ciò accadrà quando i principi coscienti saranno essi stessi aspetti della Luce fondamentale. In ogni modo, l’Arcangelo è Idea suprema, ed è reale della realtà del Padre. Le schiere angeliche sono modalità viventi dell’Arcangelo, e ne rappresentano le estrinsecazioni fondamentali: sono quindi “figlie” intelligenti, libere nel campo d’attività loro proprio, e creative. Hanno comunque una direzionalità precisa ed indefettibile, da loro stesse scelta, nella quale liberamente s’identificano, e non possono in alcun modo essere condizionate dall’uomo: possono tuttavia essere “evocate” nel microcosmo, per attivare le corrispondenze interiori con il Macrocosmo e quindi agire yogicamente nell’ambito di Malkuth. In tal caso rappresentano potenti alleati, efficaci vettori della 31


volontà dell’adepto, sempre che questa sia effettivamente accordata con l’Interità nel suo vero aspetto evolutivo. Occorre ricapitolare alcuni punti: innanzitutto identifichiamo il Supremo Ente, Brahman, Ain Soph Aur, l’Assoluto incondizionato e senza possibili “attributi”, in quanto in Lui coincidono tutte le coppie d’opposti che invece concorrono a formulare le Entità emanate. L’Assoluto è il Supremo Archetipo almeno in un aspetto: è Lui che determina il processo personalizzante da potenza ad atto delle infinite virtualità del Suo Cit. Sotto ed entro l’Assolutezza individuiamo le Modalità fondamentali che determinano la Manifestazione cosmica vera e propria, e rappresentano l’espressione del momento dinamico del Brahman in Brahma. Kether (o Brahma) è la Suprema Coscienza onnipervadente da un lato, e dall’altro è la somma Ipostasi che costituisce il principio informatore dell’intera creazione. Kether agisce con le due Polarità/Identità di Cochmah e Binah, “maschile” e “femminile” in senso teoretico ed allusivo, e queste rappresentano le “modulazioni” basali che specificano il campo come creazione, ossia le Forme/Pensiero dell’Albero Sephirotico sottostante. Sono Archetipi dell'Assoluto, e le distinzioni, come dicemmo, hanno un basso grado di approssimazione, se prese alla lettera, ma non sono arbitrarie ed aiutano al giusto intendimento. La Grande Madre esiste realmente, e può essere considerata sotto differenti punti di vista. Ora identifichiamo in Lei la “personificazione” del Principio Femminile assoluto, o Chakti, e la Sua realtà può essere intuita nel samhadi di Bodhisattva e delle più alte Entità del Glifo, sotto molti aspetti che dipendono dal loro grado d’immedesimazione nel Campo Causale. Infatti, è possibile, lecito e santo, considerare la Grande Madre come Brahma, sorgente e matrice di tutta la creatività divina, e nell’induismo – per esempio – questo è il punto di vista adottato dalla meditazione tantrica, una delle più efficaci che conosciamo. L’esperienza che l’entità emanata sa conferirsi con questi principi dipende naturalmente dal suo grado d'iniziazione nei grandi Misteri; certissimamente è d'amore totale ed unitivo, e può rappresentare un samhadi fra i più eccelsi, in cui scompare definitivamente ogni illusione di separatività. Tutto questo è nel supremo Volere e non è possibile tentare descrizioni o interpretazioni rigorose ma solo genericamente allusive. Ciò che comunque gli uomini chiamano apparizione del Principio Femminile è – in genere – una percezione offuscata della Sua realtà, e cioè il contatto con un particolare aspetto, più o meno esauriente, della Sua Emanazione. Pensiamo, infatti, che una più esaustiva esperienza non farebbe sussistere il senso della dualità e che la persona coinvolta nell’evento rientrerebbe temporaneamente nell’Archetipo fondamentale, in una delle Sue modulazioni. Qui si è oltre la forma ed il limite, e soltanto la Misericordia del Padre/Madre può allora sostenere la creatura. Specifichiamo che se - come crediamo - l’Archetipo Causale possiede una propria Forma, essa è quella dell’infinito in tutte le sue infinite direzioni: una Forma assoluta, dunque, comprensibile relativamente soltanto per dono divino e come coronamento di un lungo tracciato realizzativo. 32


Queste considerazioni individuano la differenza sussistente fra i supremi Archetipi e le entità derivate, anche se queste ultime si manifestano inconcepibilmente alte nel regno dell’Essere. E’ sempre possibile concepire una forma negli Archetipi/creature che vivono sotto il Da’ath, anche se la loro comprensione appartiene all’esoterismo avanzato. Nel caso dei Sephiroth, essi sono Essenze divine ad uno specifico livello vibratorio, ed in effetti noi non percepiremmo la Forma reale dell’Archetipo (in tal caso rifluiremmo nell’infinità brahmanica) ma quella che Egli assume quale modalità vivente nella Manifestazione. In queste indicazioni affermiamo che esistono due modi per comprendere l’atto emanante: considerarlo come “momento” dell’Assoluto, che implica l’identità con l’Assoluto. Ogni entità è – sotto questo profilo – un aspetto del Padre che soltanto un altissimo grado iniziatico può definire. L’altra possibilità, più consona a chi – come noi – è definito dal Limite e dalla Forma specifica, induce a concepire l’Interità quale estrinsecazione del dinamismo brahmanico, circoscritta – ora e qui – nel contenuto e nell’attività dal suo livello d’autocoscienza. Noi conosciamo i Sephiroth con quest’ultimo tipo di consapevolezza, il solo che può consentirci, al momento adeguato, di “sentire” le massime formulazioni archetipiche dell’Albero con sufficiente approssimazione, essendo altrimenti Esse pressoché inattingibili al meditante. Questa non è percezione inadeguata, anche se non esige – per esser attuale – la “liberazione iniziatica” ma soltanto un inizio concreto del suo tracciato. In effetti, è percezione di aspetti del Momento dinamico del Brahma, e quindi essa è indispensabile per emanciparsi dal samsara, dall’esistenza condizionata che ben conosciamo. La comprensione delle Sephirah richiede un gradiente d’emancipazione inimmaginabile dall’uomo comune, e questa sapienza specifica sempre un particolare incremento della libertà personale. Ne consegue anche un percettibile “risveglio” d’autocoscienza nell’Uomo cosmico, ed i due effetti sono, in fondo, la stessa cosa. Le modalità di contatto con gli Archetipi rispondono dunque alla necessità d’integrazione con il Tutto/Uno, e per conseguenza l’iniziando deve accordarsi – per quanto gli è possibile – con il livello “vibratorio” che desidera raggiungere innalzandosi verso la sua frequenza. Il tentativo (molto impegnativo in ogni caso) non sarà tuttavia solitario perché l’Ente Generatore tende all’unità mistica con il generato ogni qualvolta sia possibile conseguirla. La Forma fondamentale di tutti i Sephiroth è quella dell’Amore, e l’Amore è a tutti i livelli attualizzazione conscia di un rapporto integrativo, un sentimento d’unità. L’allievo, l’esoterista, è dunque aiutato nella fatica che compie, dall’Albero della Luce, ed in particolare dalle Sephirah che egli desidera raggiungere. Lo studio del Glifo ci puntualizza che, per attingere alla realtà di un Archetipo, occorre riferirsi anche ad altri con questo coerenti, attivandone le funzioni; ed inoltre come non sia lecito considerare l’Albero come un insieme di funzioni discriminate, che per necessità di comprensione. Infatti, l’Albero è unità nella distinzione modale. 33


L’allievo consideri attentamente, con la guida del Maestro, il punto d’arrivo prefissatosi e le strade che vi conducono. I sentieri del Glifo non sono arbitrari e non sono neppure distanze vuote da superare: essi sono elementi integrativi dell’Albero stesso e come tali vanno sempre considerati, perché esprimono potenzialità ed inferenze del Glifo ad innumeri livelli, che l’allievo deve ben valutare scoprendo le sue qualificazioni e disponibilità personali, affinché gli siano sostegno e non ostacoli alla sua ricerca. Questo, tuttavia, è il compito realizzativo assunto dall’Istruttore, e in quanto tale esula dal nostro ambito d’analisi che è, in queste pagine, essenzialmente informativo e generico. Nel prossimo paragrafo faremo comunque cenno ad alcune metodologie di contatto, perché il lettore afferri almeno qualcosa circa le basi teoriche necessarie per inoltrarsi nel Sentiero e le qualificazioni richieste per riuscire nell’impresa. Che è poi l’unica completamente importante di tutta la sua esistenza. 9) Il “contatto” è il primo effetto che l’esoterismo si propone, e non è certamente paragonabile ai rapporti che gli uomini comunemente intrecciano fra loro. Il contatto con l’Albero della Vita si concretizza mediante facoltà interiori, e l’eventuale fenomenologia – apparentemente esterna all’operatore – è un riflesso del risveglio dei centri effettivamente attivati nel corpo sottile. Quanto compare nel mondo fisico può in ogni caso costituire un effettivo apporto di fattori rilevanti nel campo di Malkuth, e non deve essere trascurato. Occorre soltanto considerare, con molta attenzione, il suo contenuto reale, che deve essere un’espansione positiva, una chiarificazione ed un supporto di quello che avviene nell’interiorità. Tale supporto può fornire mezzi che oltrepassano ampiamente i nostri conseguimenti spirituali e sapienziali, ed allora non costituisce un semplice evento, certamente valido sul semplice piano emozionale, ma piuttosto un positivo contributo al cammino del ricercatore verso la propria liberazione. L’utilizzo di questi metodi è, ovviamente, responsabilizzante al più alto grado, perché essi non devono mai essere impiegati per fini individuali ed egocentrici di qualsivoglia natura: sono, infatti, strumenti conferiti secondo criteri generalizzanti e per scopi impersonalmente validi. Questo va detto molto chiaramente, ed in pratica al momento opportuno possono essere affidate all’allievo differenti capacità – anche efficaci sul piano formale – che conferiscono un’imprevedibile libertà d’azione. Quando ciò accade, il Glifo stesso considera l’allievo sufficientemente progredito da costituire un elemento del proprio mondo archetipico, e quindi ente capace d’autodeterminarsi intelligentemente e fattivamente nel necessario tracciato evolutivo. L’Archetipo fondamentale – tramite il giusto Pleroma – agisce con lui ed in lui, ed egli impersona una modalità che è una precisa funzione del Glifo. In questa 34


prospettiva è evidente l’importanza di eliminare qualsiasi istanza egotica che emerga da queste circostanze: le acquisizioni ottenute sono essenzialmente un dono divino, meritato certo ma sempre inattingibile senza la Grazia divina. Il Padre sostiene il suo figlio ad essere un elemento positivo ed attivo nell’emanazione: ed in effetti l’ente è, in tale caso, una funzione dell’Archetipo stesso che si puntualizza secondo l’Idea basale, quella che delega alla Creatura il compito di svelare a se stessa e al Campo Causale l’intenzione divina. L’allievo è normalmente abbastanza lucido ed attento da valutare esattamente le eventuali istanze egotiche che possono manifestarsi nel suo intimo, e che nascono anche (e spesso in prevalenza!) dal campo oscuro che l’attornia. In effetti, la controiniziazione è consapevole di tutto ciò che attualmente o potenzialmente può ostacolarla, e reagisce con rabbiosa tenacia. Quindi il ricercatore deve necessariamente rafforzare il suo stato d’affidamento sereno all’Amore di Dio, che è l’unico scudo capace di difenderlo e di farlo progredire nel sentiero prescelto. Quest’opera di costante purificazione interiore ha effetti sul campo d’esistenza, sia quello normalmente incontrato, sia l’aspetto “sottile” del nostro attuale stato. La decantazione della mente inconscia dalle scorie accumulatesi in un imponderabile passato è condizione necessaria per ogni progresso ed acquisizione: l’inconscio deve risolversi in consapevolezza secondo le reali capacità del momento, e in quest’opera il sostegno del Maestro è indispensabile. Infatti, solo Lui sa la situazione profonda dell’allievo, e può trovare i metodi e le condizioni per migliorarla. L’inconscio non si purifica con la mente, ma con lo spirito. Dobbiamo intrattenere il lettore con alcune informazioni su determinate metodologie di contatto con il campo sottile che, come dati di partenza, rappresentano insieme possibilità d’esperienza concreta e un mezzo adeguato per affinare i nostri strumenti interiori, rendendoli più confacenti ai nostri scopi. Uno dei metodi comunemente utilizzati da gruppi spiritistici è quello della “tabella di comunicazione”, nella quale un qualsivoglia oggetto (generalmente un bicchiere o un piattino) è mosso da “qualcosa” ad indicare le lettere di parole e concetti dotati di un senso comune. Questo mezzo è davvero molto accessibile ai più, e non richiede in apparenza una specifica preparazione oltre ad una qualche disposizione personale; è conseguentemente alquanto pericoloso. Normalmente le Intelligenze dell’Albero osservano attentamente coloro che lo usano, allo scopo di verificare le vere qualificazioni d’ognuno di loro per poter consentire, col tempo, un più adeguato contatto. La tabella agisce quindi come una sorta di “setaccio” delle vere intenzioni, mentale e spirituale, secondo una logica precisa ignota ai più. Per questo è ammesso, e può anche assumere il compito di un primo avvio alla ricerca effettiva del Valore, se le persone coinvolte dimostrano sufficiente serietà e costanza. In altri termini, anche così può comparire il vero Maestro. I protagonisti di questo rapporto creano normalmente contatti con forme/pensiero molto eterogenee che rispondono ad un richiamo, inconsapevolmente 35


inviato e recepito. Poiché è quasi una regola che questo richiamo sia motivato da istanze fortemente egocentriche o peggio, coloro che risponderanno, saranno enti egualmente egotici e, sovente, ad un livello d’involuzione davvero allarmante e pericoloso quanto celato. In questo caso il rapporto non mostrerà nel tempo alcuna consistenza positiva, e costituirà all’opposto un notevole rischio. Le forme/pensiero dell’uomo antico ed attuale, le “personificazioni” della psiche collettiva, entità errabonde della zona intermedia (Bardo, Duat) per incapacità d’evoluzione positiva o attaccamento a quella perduta, avranno allora facile accesso all’energia psichica di coloro che partecipano a queste sedute, e cercheranno di appropriarsene invogliandoli a perpetuare il contatto con ogni mezzo possibile, individuato nella loro mente: il contatto con il nostro mondo costituisce, infatti, un elemento fortemente gratificante per queste infelici entità, le quali conseguentemente vogliono instaurare un effettivo dominio. Non desideriamo dilungarci nell’esame di questa metodologia se non per il tempo necessario a chiarirne due aspetti, fra loro opposti: se la qualificazione dei partecipanti lo consente, nelle “comunicazioni” di quest’ordine possono apparire entità oscure, che faranno leva sulle loro emozioni più discutibili per incrementarle ed indurli ad azioni conseguenti, fornendo anche le relative indicazioni. Ciò che la persona capta, nel movimento del piattino sulla tabella, è un impulso mentale molto semplificato che egli traduce inconsapevolmente in gesti del braccio e della mano. La frequenza di questi contatti, consolida la percezione e la affina, ma crea anche un “canale”, un “punto” di riferimento per forme/pensiero dubbie o temibili, che permane nel tempo e può gravemente limitare l’effettiva libertà d’analisi e di scelta della vittima. Infatti, se la vittima s’accorda profondamente con l’entità interferente, quest’ultima acquista forza ed energia, e può anche determinare qualche forma d’invasamento psichico o – nei casi più gravi – di possessione anche fisica. Queste fenomenologie sono simili e non identiche a quelle – ben più insolite – provocate dall’interferenza qelliphotica, sempre distruttiva e di arduo contenimento. La qelliphoth non osa e non desidera uscire tanto allo scoperto, perché i suoi fini sono fortemente agevolati dall’ignoranza diffusa sulla sua esistenza. La presunzione dell’uomo tecnologico è un proficuo canale per il suo asservimento, e il demone (che non è affatto un retaggio di vecchie superstizioni) ne approfitta con astuzia e malvagità: se ne vedono, comunque, gli effetti. Perché, in casi particolari, questi eventi si manifestino, occorre il concorso di condizioni generali molto favorevoli all’involuzione, concernenti persone fortemente compromesse dall’egotismo e dalla volontà di possesso. Consideriamo dunque, alla luce di questi concetti, il quadro che ci conferisce l’attuale momento storico, e deduciamone il rilievo. Sottolineiamo preliminarmente che l’Albero della Vita non resta inerte di fronte all’emersione di queste tipologie che, se sono consentite, dipendono fondamentalmente da cause prossime e remote rintracciabili nell’Uomo globale ed individuale, e che ne costituiscono il retaggio karmico. Tale fenomeno, che pervade 36


molte aree della Manifestazione e ne contamina altre, deve comunque emergere alla nostra coscienza, in quanto questa è la sola strada per poter tentare un recupero salvifico di quanto è stato perduto od è in procinto di oscurarsi. Occorre soprattutto molta cautela ed attenzione, quando ci imbattiamo in queste alquanto diffuse pratiche genericamente “esoteriche”, e sovente alquanto involutive. La prima arma che possediamo, e che è in effetti la sola efficace nelle sue multiformi espressioni, è l’intelligenza dell’Amore e la conseguente capacità d’amare: l’allievo che si è dato questa dote, agirà non tanto come individuo ma come Interità in una fase di risveglio, e non dimenticherà mai la compassione yogica per coloro che sono caduti nei domini dell’involuzione. Non ci dilungheremo oltre su questi difficili temi, che richiederebbero un approfondimento specifico e ben più esauriente; quanto affermiamo è semplicemente un punto di riflessione che affidiamo al nostro lettore, perché ne tragga personali conclusioni di conoscenza e di cautela. Il secondo aspetto, immensamente opposto, è costituito dalla possibile interferenza d’Intelligenze sostanzialmente positive, di enti in fase d’evoluzione concreta i quali – considerando gli operatori in qualche forma di comunicazione potenzialmente qualificati a ricevere un’adeguata istruzione – colgono l’opportunità d’avviarli ad un riesame delle loro motivazioni basali, note od ancora ignote, per condurli ad una vera ricerca esoterica capace di condurli oltre i loro limiti attuali, in un sentiero veramente realizzativo. Esistono comunque varianti nelle metodologie adottabili, che segnano in qualche modo il trapasso dalle forme primitive di contatto (tavolini, tabelle etc.) a metodi iniziatici veri e propri, anche se nei loro aspetti più semplificati. La scrittura “automatica” è allora generalmente adottata, ed il meccanismo di contatto resta ovviamente lo stesso: un principio d’intuizione che si polarizza in un impulso interiore, che tuttavia non si risolve nel movimento meccanico della mano, ma implica un’attività concettualizzante e discorsiva dello strumento interiore di percezione ed autorappresentazione, la guaina intelletto/mente/io. L’atteggiamento dell’operatore è, all’inizio, piuttosto passivo; egli si limita a seguire (come nel caso d’utilizzo della tabella) gli impulsi che si puntualizzano in parole e frasi dotate di senso comune, registrandoli su un foglio. Via via che il tempo passa e la pratica s’affina si instaurerà un vero dialogo con l’Intelligenza interlocutrice, che dovrà essere compresa nella sua vera positività ed attentamente ascoltata. Ovviamente, questo metodo è più rapido e produttivo dei precedenti, ed è anche meno facile da attualizzarsi. Può inoltre essere più rischioso, e molto, se l’attenzione non è ben desta e l’operatore non si indirizza con costante intenzione verso il Centro Atmico. I pericoli sono sempre quelli enunciati nel trattare la tavoletta di comunicazione, ma – poiché chi adotta la scrittura agisce spesso individualmente e non con la presenza di almeno un compagno – è la sua effettiva consistenza interiore che determina la qualificazione del metodo, nel bene e nel male. Poiché l’allievo non è ancora capace, in genere, di discriminare esattamente e di 37


correggersi in tempi veloci quando occorra, egli si rende facilmente un campo conflittuale di forze opposte (involutive ed evolutive) che implicano un atto di scelta chiaro e cosciente. Se effettivamente sussiste una prevalente volontà d’emancipazione, l’alunno si libererà progressivamente dell’interferenza involutiva e riuscirà a proseguire per una strada ormai veramente esoterica. Diversamente avrà qualche sorpresa, sgradevole ma necessaria, per comprendere l’effettivo momento dell’incidenza della “caduta” dal piano reale. Infatti, rendersi immuni dal dominio mentale immediato delle forze oscure, non significa cancellarle dal proprio ambito esistenziale, poiché esse inquinano tanto l’individuale che il globale d’appartenenza. Occorre intraprendere un cammino di purificazione che richiede tempo e fatica, e che consiste nella percorrenza del trentaduesimo sentiero del Glifo, quello che conduce da Malkuth a Jesod. Il superamento della sephirah Jesod è, in effetti, necessario per aprirsi la via di Tiphereth, come altrove abbiamo indicato. Ed è impresa difficile. Quindi, se esiste una vera scelta di sentiero iniziatico, l’Amore troverà certamente il modo ed il mezzo per sostenere il ricercatore; in caso differente il tempo e l’azione correttiva del karma sostituiranno – anche nel rigore – la mancanza di una scelta positiva, fino al raggiungimento di uno stato adeguato. La caduta, presto o tardi, deve finire. I procedimenti detti “a due vasi”, nei quali un elemento maschile attivo si serve di un elemento femminile passivo mediante ipnosi, hanno qualcosa in comune con la pratica esoterica vera e propria e con il cosiddetto “spiritismo”. Tutto dipende dalla reale consistenza iniziatica della coppia, e molto dalla maturità dell’operatore. Pur consentendo risultati sovente notevoli, questa metodologia ha il difetto di non realizzare, in entrambi i protagonisti, l’effettivo ed autonomo supporto interiore, ed essi appariranno in qualche modo insufficienti se considerati individualmente. Tuttavia molti iniziati, in casi particolari e sovente a scopo dimostrativo fra persone in varia misura qualificate, usano questo strumento, pur potendo a rigore evitarlo. Le osservazioni che possiamo fare ricalcano quelle già enunciate per la tabella e la scrittura automatica: è l’interiorità effettiva che determina i risultati, e non altro. In quest’ambito la prudenza è necessaria, e la precisa valutazione delle proprie qualificazioni è norma imprescindibile. Ogni deviazione non mancherà d’aprire porte indesiderate, con effetti imprevedibili. Senza dilungarci ancora su questi aspetti di un esoterismo elementare, entreremo adesso nel merito di procedimenti più complessi e realizzativi. Il primo, e il più capace di colpire l’immaginazione, è quello noto da millenni come “magia rituale” ed evocativa. Tramite un processo di sintonizzazione con altre intelligenze, che storicamente differisce da cultura a cultura, assumendo anche formulazioni alquanto diversificate, l’operatore o gli operatori si polarizzano con enti esistenti su altri strati della Manifestazione, a scopo di conoscenza, d’elevazione interiore ed anche d’interferenza pratica con il nostro mondo fisico. Occorrono conoscenze estesissime per fronteggiare adeguatamente questo difficile assunto: da quelle astrologiche (per l’esatta determinazione del momento 38


adeguato ad una particolare operazione, basandoci sul rapporto sussistente fra macrocosmo e microcosmo) a quelle più propriamente teurgiche, che consentono l’esatta individuazione delle Potenze ed Intelligenze a cui riferirci nel perseguimento dei fini propostici. Un Maestro, fisico o spirituale, è di rigore; un lungo tirocinio è indispensabile. In effetti, il rito ha effetto quando l’operatore realizza una concreta sintonia con l’Archetipo che ha scelto, e non prima. Poiché però questa sintonia, se tentata con le sole forze dell’esecutore, si mostrerebbe facilmente imperfetta, occorre l’appoggio di forme esteriori (procedimenti rituali, oggetti simbolici etc.) che la Tradizione ha identificato nel tempo, come capaci di sopperire alle inevitabili carenze interiori. Occorre quindi l’aiuto ed il conforto d’Entità Archetipiche, richiamato simbolicamente e fattualmente negli “strumenti dell’Arte” e nelle formule evocative, mediante l’utilizzo d’incensi e di specifici oggetti elementali (sale, acqua, fuoco, aria ecc.) che possano convergere nel fine ultimo dell’invocazione, nel quale l’agente – operatore di magia bianca! – agisce come parte del Tutto/Uno, non come individualità egocentrica, ma per scopi evolutivi. Da tutto questo consegue che il processo d’interiorizzazione è basilare per percorrere una qualsiasi strada iniziatica, e che più questo processo è approfondito e chiarificato, meno occorre l’utilizzo di un appoggio esteriore. Possiamo dunque affermare che il vero e più efficiente esoterismo fa leva sostanzialmente sulle attualità del microcosmo e sulle corrispondenze macrocosmiche, prescindendo da apparati e condizioni estranee alla pura interiorità dell’operatore; infatti, solo in questo caso il rito conduce al risveglio dei centri interiori e delle virtualità del Glifo di cui l’allievo è immagine. Qualunque sia la strada intrapresa (Yoga, Mahayana, Zen, Tantrismo, Kabbalismo, Sufismo, per citarne solo alcune) tutte portano alla medesima realizzazione finale, oltre tutte le differenziazioni di percorso, valide e necessarie soltanto per la varietà delle motivazioni e qualificazioni personali. Così uno Yogi e un monaco Zen aspireranno all’unione con l’Assolutezza in ogni fase del loro cammino, laddove un Kabbalista o un alchimista cercheranno la comprensione, il controllo delle forze della Manifestazione, ma intese come momento espresso dalla volontà dell’Assoluto stesso, al quale è comunque necessario fare costante riferimento. Rammentiamo qui che la Volontà assoluta è l’Assoluto, e non qualcosa a Lui accessorio. In pratica, i risultati divergeranno soltanto per l’osservatore essoterico, incapace di percepire i fini e le profonde motivazioni dell’esoterismo, non meno che di comprendere la stessa essenza della Vita quale si manifesta ora e qui. 10) In questo importante paragrafo affronteremo l’aspetto più iniziatico di tutto il nostro lavoro, ossia il tema delle forme assunte dall’Archetipo ai vari livelli della Manifestazione. 39


L’Archetipo in sé, come Idea assoluta, ha un “aspetto” che attiene all’Assoluto stesso, e che è dunque inconoscibile fuor dall’Assoluto. Che un “aspetto” ci sia, è lecito inferirlo dalla considerazione seguente: essendo l’Idea archetipale una modalità del supremo Ente, essa è una “circoscrizione” della Sua infinità, un “vortice” spirituale e coscienziale che nello stesso momento è energia e potenza, noumeno e contenuto concettuale. (Noumeno: oggetto d’intuizione non sensibile, e ciò che non è oggetto dell’intuizione sensibile; oggetto o potere che trascende l’esperienza normale, ma che è necessario). Quando usiamo i termini “aspetto, vortice e circoscrizione”, è chiaro che li adoperiamo in senso grossolanamente figurato, poiché non è possibile esprimere con immagini della mente finita quanto attiene all’Infinito. E’ quindi necessario intendere i concetti in modo simbolico, ed ascoltare dentro di sé quanto essi suggeriscono. Forse ne nascerà un’impressione, un’intuizione più confacente al tema trattato. Comunque esso sia, l’aspetto dell’Archetipo nell’Assolutezza deve averne la purissima essenza divina e, pur nella sua modulazione, rifletterne compiutamente la natura. Deducendo quindi da questa essenzialità noi possiamo indicare le principali caratteristiche generali (ed approssimative) di un Archetipo, oltre che dall’esperienza esotericamente vissuta dagli Adepti. L’Archetipo è libero, creativo, dinamico, armonioso ed infinitamente articolato nel suo raggio di qualificazione. Possiede un aspetto potenziale, uno attuale, la capacità concettualizzante e la forza proiettiva che traduce l’Idea in forma; ha un momento “statico” (non è poi esattamente così!) e un momento dinamico nell’autonoma esplicazione delle proprie virtualità e di quelle attinenti all’Assoluto in Sé considerato, le quali – pur potendo in parte coincidere – normalmente trascendono il campo emanativo archetipale. L’Archetipo, abbiamo affermato, è proiettivo, nel senso che i suoi contenuti reali sono Idee viventi da Lui stesso puntualizzate ed emanate, e capaci di risolversi in altri enti egualmente viventi, in un graduale incremento di specializzazione ed in un progressivo restringimento dell’angolazione del campo operativo. L’Archetipo è Intelligenza che illumina tutto l’universo esistente in Lui, e che tuttavia rispetta la sovrana libertà ed autonomia di quanto emana: è cioè un preciso “insieme” d’armonia e bellezza, nel quale il rapporto fra le parti ed il tutto è sempre purissimo amore. L’Archetipo è polarizzato, nel senso che impersona una specificazione dei due Supremi Archetipi nei quali si configurano le modalità creative di Kether: Cochmah e Binah. Conseguentemente può essere definito “maschile” o “femminile”. E’ però necessario trascendere qualsiasi riferimento alle nozioni di sessualità del nostro mondo empirico, poiché qui ci collochiamo o nell’Informale (quanto è oltre le nostre capacità rappresentative) o nel più alto gradino delle Emanazioni divine. Quando parliamo di forma, utilizziamo un termine inadeguato almeno per realtà poste oltre un certo livello. Ripetiamo dunque che i concetti della mente empirica valgono come semplice indicazione, sono allusivi e non possono assumersi alla lettera. Fissati sommariamente questi criteri, entriamo nel merito dell’argomento: le 40


forme assunte dagli Archetipi ai vari livelli dell’Emanazione, e quelle percettibili da chi, in Malkuth, possa instaurare un contatto con qualcuno di Essi o – di regola – con un’emanazione (archetipo essa stessa) di Uno dei Santi Sephiroth. Nella Manifestazione, gli Archetipi appaiono quali l’osservatore è in grado di percepirli e di rappresentarseli, e non come Essi sono agli occhi di Kether e a loro stessi. La potenza dell’Energia vibratoria che è insita nell’Archetipo non è comparabile con quella di un principio individuato ed evolutivo (jiva), a meno che quest’ultimo non sia tanto emancipato da agire come aspetto dell’Uomo Cosmico e dell’Interità, ossia molto impersonalmente. Nel caso di un Liberato il problema non si pone, perché è lo stesso Brahma che in lui si rivela. Di esoteristi a tale livello però ne esistono davvero pochi in ogni periodo storico, e massimamente nel nostro. L’Archetipo dunque si regola nei confronti della mente qualificatasi ad incontrarlo in modo che essa possa assorbirne indenne l’impatto, e così trasmette ciò che è importante in quel preciso istante alla coscienza dell’ente. La mente, con la sua capacità di coordinare i dati percepiti, sensoriali ed intuiti, e d’elaborarli secondo moduli d’interpretazione storicamente determinati, è appunto lo strumento dell’interiorità più profonda, alla quale si dirige l’Archetipo. La forma che questi assumerà sarà conseguentemente adeguata a rappresentare – come un mandala – l’essenza e l’intenzione dell’Archetipo stesso, e dovrà pertanto essere attentamente meditata nella susseguente riflessione. Oggetto d’eguale e profonda meditazione sarà poi, ovviamente, quanto sia filtrato – ed in qualsivoglia modo – dal contatto ricevuto, ed in quest’opera il Maestro dovrà guidare l’attenzione e la comprensione del suo allievo. Il potenziale conoscitivo proiettato dall’Archetipo, e le forme/pensiero che vengono conferite dall’Iniziazione dall’alto, è sempre commisurato alle capacità reali ed attuali del jiva; ma non tanto o solamente a quelle componenti già sviluppate e delle quali egli abbia consapevolezza, quanto a tutte quelle che possano, in quel momento, essere sollecitate ed attivate. Il contatto, in questo caso, è lo strumento stesso dell’emancipazione, perché determina un vettore ascendente che, opportunamente indirizzato, porterà all’incremento dell’evoluzione e delle conseguenti capacità d’agire dell’allievo. In pratica, le forme archetipali, pur nell’infinita varietà delle espressioni contingenti, sono relativamente costanti. Possiamo dunque descriverne le più comuni e le più prossime a coloro che intraprendano questa via, il trentaduesimo sentiero del Glifo o i due laterali, nel presupposto che essi siano comunque sufficientemente qualificati per sfiorare i contenuti dei primi Sephirah. Jesod, abbiamo detto, è sotto l’egida dell’Arcangelo Gabriele, e le schiere angeliche da Lui governate sono i Kerubim. Più precisamente, il Centro coscienziale di Jesod s’esprime in Gabriel, e le Sue modalità operative nei Kerubim. I testi kabbalistici assegnano come Immagine di questo Centro la forma di un bellissimo giovane, estremamente forte e prestante, normalmente nudo. Questa 41


simbologia è un invito al coraggio, all’armonia ed al distacco da ogni sovrastruttura dell’ego storicamente determinatasi; indica la necessità dell’intrepidezza e dell’impersonalità nel contatto con le Potenze del campo astrale, il quale appare come un’infinita serie di forze in perenne movimento, configurabili come galassie, sistemi solari, pianeti, ma anche come enti, persone dotate d’autocoscienza a differenti gradi d’emancipazione, viventi su innumeri piani d’esistenza formale e potenziale. Ognuno di questi piani è (relativamente) reale, e nel piano da lui stesso rappresentato l’esoterista può individuare le infinite varianti delle sue possibilità vitali, e le probabili, conseguenti interferenze karmiche. Può “vedere” anche tutto quello che è stato il passato e quel che potrà emergere nel futuro, ed in un’estensione tanto vertiginosa da rendere la visione assolutamente incomprensibile senza il sostegno dell’Arcangelo e dell’Istruttore personale: che in tal caso “è” l’Arcangelo in una Sua estrinsecazione. Anche queste visioni possiedono un prevalente carattere simbolico per le difficoltà della mente finita a comprendere la Realtà quale è in Sé stessa, e per necessità sintetiche. Un rapporto con l’Albero della Vita è dunque evento di fondamentale rilievo, e rappresenta anche l’attento esame di un ente che può interferire positivamente con l’Interità. Possiamo suggerire allora che è il Brahma stesso Colui che rende possibile e necessaria quest’esperienza, e non occorre aggiungere altro per qualificare la portata dell’incontro. Le Forme generalmente assunte dalle Sephirah sono specificate e descritte in un buon libro d’argomento kabbalistico, e a tale testo rimandiamo per ogni ulteriore informazione. Sono Forme tradizionali, emerse nell’esperienza esoterica di Maestri qualificati, ai quali occorre dare credito. Quello che invece desideriamo sottolineare è quanto - in tale contesto generico le forme assunte dagli Archetipi possano essere poi molteplici, essendo ognuna la reale espressione dell’Idea che si pone al livello dell’osservatore: quindi né illusoria né arbitraria. Tutti sappiamo, ad esempio, che la materia è un infinito agglomerato di molecole e queste, composte di atomi, altro non rappresentano se non uno stato d’equilibrio dell’energia. Ma non per questo troveremo illusoria la forma di un sasso o di un frutto. Con le dovute differenze, le Idee assumono una percettibilità definita, nel caso di dualismo, fra conoscitore ed oggetto della conoscenza, ed il dato si presenta in modo costante finché gli strumenti della percezione non mutano. Le differenze riscontrabili a questo proposito fra un orientale, un africano e un’occidentale - in presenza d’identità d’emancipazione culturale - toccano semplicemente alcune caratterizzazioni di configurazione autorappresentativa, e non il reale aspetto simbolico dell’Archetipo, che resta invariato. Naturalmente in questo discorso è importante considerare il particolare angolo d’approccio di un iniziato, e la sua concettualizzazione dell’idea vivente; chi cerca l’aspetto/forza di Geburah, per esempio, sperimenterà un incontro assai più eclatante, sotto quel profilo, di colui che desideri avvicinare semplicemente, in parte o in tutto, quell’emanazione dell’Amore divino. In presenza d’eguale puntualizzazione 42


concettuale il risultato sarà sostanzialmente simile. Prendiamo ora in considerazione un aspetto più intimo delle forme archetipali, ossia come si configurano le infinite varietà d’ideazioni che l’Archetipo racchiude in se stesso, e le aree che esse determinano simbolicamente ed insieme oggettivamente in quella specifica sfera d’essere che è l’Idea vivente. Per orizzontarci in questo non facile impegno ci riferiamo, ancora una volta, al pensiero kabbalistico che, appartenendo alla Tradizione e perciò frutto di Rivelazione e non dell’intelletto finito, ha insieme il pregio dell’oggettiva realtà e quello di una formulazione particolarmente adatta al lettore occidentale. Dobbiamo premettere che lo schema esposto nel simbolo allegato a questi fogli (vedi pag. 92) è sostanzialmente valido per tutti gli Archetipi della Manifestazione, con alcune precisazioni. Esso, nell’Uomo di Malkuth, si riferisce particolarmente al mondo tridimensionale della nostra quotidiana esperienza, che è una formulazione immensamente potenziale dell’Energia divina in attesa di attualizzazione (processo autorealizzativo infinito dell’Interità). Negli Archetipi propriamente detti (anche l’Adam lo è, ma per la maggior parte in fieri) non sussiste un aspetto formale tanto grossolanamente condensato, ma la Forma tende a rappresentare, sempre simbolicamente, ma molto più esattamente l’Idea che la genera. Forma è, ma spiritualizzata e concreta oltre i nostri parametri di comprensione. Il più basso dei nove cerchi che rappresentano l’individuo, concerne quindi il suo aspetto tridimensionale, il quale costituisce la base di tutta la sua struttura racchiudendola in sé senza nulla negare. Perdere di vista quest’aspetto simbolico e sintetico della Forma è fraintenderne il senso e l’importanza, con gravissime e devianti conseguenze sul piano fattuale. L’Idea basale (divina!) proietta verso tutti gli Archetipi e verso Malkuth le sue tipicità, mediandole fra le differenti sfere coscienziali. La “discesa” dell’Atto manifestante verso la Forma implica la necessità di un Punto sintetico generale di tutto quello che si è già evidenziato, e la cui analisi è necessaria per “risalire” verso altri contenuti dell’Idea fondamentale, onde evidenziarli e renderli alla Vita globale. Necessita tener presenti i principi generali esposti nella Tavola Smeraldina, ed applicarli intelligentemente in questa discriminazione: essi, infatti, rappresentano un’apertura, una via d’accesso all’intuizione delle Realtà che racchiudono. Per quanto esse siano complesse e precise, in questa prospettiva diventa gradualmente possibile coglierne l’aspetto più veritiero e concreto, e condurlo successivamente all’analisi ed alla catalogazione della mente e dell’intelletto. Rendendolo così una viva esperienza. La comprensione della nostra fisicità e dell’interiorità che l’esprime rappresenta quindi la base per l’intelligenza dell’aspetto archetipale che la sottintende, consentendoci così – per analogia reale – di risalire alla formulazione dell’Interità e all’Idea che la manifesta. Non ci dilungheremo nell’analisi specifica della concezione kabbalistica dell’Anima, e dei rapporti che essa intesse verso l’alto con lo Spirito e, verso il “basso” con la fisicità. A questo proposito rimandiamo al testo “'Ehjeh 'Ašer 'Ehjeh” Edizioni Asram Vidya -, un libro particolarmente importante sotto molteplici punti di 43


vista, e che consideriamo voluto dalla Tradizione stessa (vedi riferimenti bibliografici). Più che utile è certamente necessario per capire il nostro assunto, che cerchiamo di esporre nelle presenti pagine. Innanzi tutto l’anima (e meglio diremo: il Microcosmo) è un fattore attivo in ogni direzione possibile, e costituisce l’Agente della Manifestazione. Se essa è suscettibile di ricevere costantemente le impressioni del mondo “esterno”, e di elaborare poi le complesse iterazioni del corpo con la sua dimensione esistenziale, è tuttavia nell’azione volontaria che manifesta la sua profonda naturalità, e che può operare per finalità trascendenti. Come la cellula di un organismo, essa è indispensabile alla funzionalità dell’Uomo cosmico, e ben più di una cellula essa può agire nei confronti dell’Interità di cui è parte. Affermiamo che ogni singola persona, o jiva, è elemento fondamentale e non rinunciabile dell’infinito racchiuso nella Manifestazione, e che non è conseguentemente concepibile che un quid qualsiasi possa andar disperso e irrealizzato nel corso della medesima. L’uomo elabora, con i propri strumenti interiori ed esterni, le influenze che gli giungono da tutto il Glifo sephirotico sovrastante, e dall’area in cui è fisicamente inserito. Tuttavia, per poter veramente comprendere queste influenze e realizzarne i veri contenuti, egli deve fornirsi della sensibilità e della forza interiore adeguate; o cadrà in un’illusione. Nella maggior parte dei casi, l’individuo attuale è un ricettacolo passivo d’influssi e di forme/pensiero da lui stesso elaborate e modificate, e delle quali è normalmente partecipe a livello inconscio. Quest’assunto è valido per la nostra area esistenziale e per quelle, in condizioni più o meno involute, che le gravitano attorno. Conseguentemente la capacità operativa dell’uomo comune è molto bassa in raffronto con la sua potenzialità; inoltre egli è incapace d’accogliere l’influsso positivo e vitale delle Sephirah superiori, appartenenti al Mondo Reale. Afferra solamente l’energia sufficiente ad una vita condizionata e praticamente meccanica, incapace di prescindere dalla costante ripetitività. Ed anche questo non è veramente frutto delle sue capacità, e costituisce all’opposto un “Dono” continuo della Misericordia divina, che attende sempre un positivo risveglio. Questo generalizzato stato delle cose è sostanzialmente e formalmente contrario all’evoluzione dell’Interità, e conseguentemente le persone sono, ogni volta che sia possibile, condotte a rimuoverlo. Quando questa finalità è raggiunta, e normalmente accade al termine del 32° sentiero o al risveglio equilibrato dei Chakra (particolarmente significativo quello del Muladara o Centro della Radice, sede della Dea Kundalini), il centro/anima (in ebraico: Ruah) s’apre progressivamente agli influssi provenienti dall’alto e ad irradiarli tanto verso il basso (verso Nephesh) che in orizzontale, ossia in direzioni di altri principi coscienti (il nostro prossimo); e comunque nell’aspetto sottile di molte forme/pensiero capaci per molteplici cause di recepirli. Contemporaneamente questo centro/anima si rivolge a zone più reali e ricche di spiritualità, integrandosi a livelli crescenti con la realtà stessa del Macrocosmo (Aziluth): ad un certo livello del processo le tre componenti della personalità vibrano 44


all’unisono nelle loro specifiche aree di manifestazione. Quando ciò accade, è praticamente impossibile distinguerle nelle loro specificità perché esse non sono tanto il singolo individuo in sé stesso considerato, quanto l’esperienza dell’Uno nel molteplice e del molteplice nell’Uno, e questo stato costituisce la vera libertà della persona. Dobbiamo tuttavia prestare attenzione ad una nuova condizione vitale: raggiungendo questo stato, il jiva non è più condizionato da dimensioni limitanti, da realtà contingenti e dalle attuali categorie della Manifestazione; o almeno lo è solamente in parte. Egli, in effetti, ha percorso il cammino della “Freccia” integrandosi – attraverso Jesod e poi Tiphereth – con la Realtà di Kether e quindi identificandoli progressivamente con specifiche Modalità manifestanti dell’Ain Soph Aur. Ovviamente, il raggiungimento di questo stato consente di superare intuitivamente ogni dualità d’opposti, tutte le qualificazioni restrittive e limitanti, esprimendo la vera, spontanea libertà dell’Essere/Esistere. Tuttavia noi crediamo che l’adepto realizzato non vorrà mai compiere la scelta della irreversibile (?) integrazione con il Brahman, perché non è questo il fine della sua fatica e del lungo cammino percorso. L’adepto sa di costituire una modalità libera ed autonoma dell’Adam, ed inoltre d’appartenere al momento divino insito nell’Uomo Cosmico, costituendo espressione della sua impersonalità d’amore nei confronti di tutte le creature che lo costituiscono. Essendo veramente “Uomo”, l’adepto è un archetipo realizzato nell’Archetipo globale (Adam) che è ancora da evidenziare. Egli comprende d’esistere come una puntualizzazione dinamica dello stesso Brahma, ed in quanto tale ne condivide la finalità che implica lo svelamento dell’Adam Kadmon, il Figlio dell’attuale evento manifestante. L’Illuminato conseguentemente agirà, in Malkuth e nelle Sephirah formali, come tramite del Divino in completa libertà, cercando di contribuire fattivamente all’attivazione di tutte le componenti dell’Uomo globale affrancandole dal tremendo gorgo del samsara. La soggezione dell’adepto alle leggi ora vigenti del Tempo/Spazio nelle aree soggette alla “caduta”, nei suoi periodi d’esistenza in queste zone, è dunque apparente: in Lui non sussistono piani reali paralleli a quello vissuto e diversificati, ma solo quello che esprime la vera volontà del Padre. Perché dunque nasce, vive e muore? Il problema non appartiene all’adepto, ma alle entità variamente oscurate ed in evoluzione, che egli vuole condurre all’autorealizzazione, fattibile soltanto mediante la loro scelta e la conseguente fatica. L’Illuminato si colloca nel loro piano e non oltre, e questo costituisce un momento fondamentale di rispetto dell’autodeterminazione personale, che non va mai eliso. La struttura complessiva del jiva è dunque enormemente articolata, e la forma fisica è costituita dalla “precipitazione” delle sue diverse componenti archetipiche in un corpo, il quale è insieme espressione del “Limite” immanente alla persona e strumento di contatto con l’altro: ossia mezzo fondamentale, affidato alla personale 45


libertà di scelta ed autonomia operativa conseguente, per stabilire un rapporto armonico ed empatico in un campo enormemente differenziato, tale da condurre il soggetto agente e coloro che lo sappiano incontrare ad un comune traguardo di Realtà. L’Unità nella differenziazione estrema dell’Atto manifestante è costituita dalla nostra capacità d’amare. Noi possiamo legittimamente parlare d’attualità e di virtualità dell’Adam e di noi stessi, esattamente come facciamo nei confronti del Macrocosmo, del quale siamo “immagine”; nell’Interità, tuttavia, le sue componenti ancora inespresse (l’immensa maggioranza!) sono percepite in vario modo dalle Forme/Pensiero sephirotiche superiori (archetipi creati del Pleroma), e comunque sussistono nella realtà e nella perfetta conoscenza del Padre. Nell’Uomo dunque, globale ed individuale, sussiste un doppio piano: il primo, che appartiene all’Albero della Vita, implica la visione delle intime dimensioni spirituali secondo il proprio grado d’emancipazione, che può anche essere estremo. Il secondo dipende dalla personale comprensione della propria realtà attuale, anche in riferimento al globale d’appartenenza, e dalla conseguente capacità di evidenziarne i più elevati aspetti. Quest’ultimo costituisce il piano storico delle persone concrete, in costante divenire; notiamo che anche nei momenti spiritualmente più statici un certo movimento sussiste, se non altro per il fenomeno dell’accumulo o dell’evidenziazione del karma, che scuote profondamente e duramente i soggetti colpiti. Abbiamo più volte affermato che il karma è sotto il controllo del Glifo, e che il “Caso” è il nome dato dalla nostra ignoranza a quanto è oltre la nostra comprensione momentanea. Il caso non esiste, ed allora è necessario accennare al metodo utilizzato dalle Sephirah (quelle reali!) per guidare e filtrare il karma. Questa è un’utile ripetizione di concetti già molte volte storicamente espressi, ma troppo ignorati tuttora. In quest’ottica, è importante e di grande interesse pratico accennare al metodo che un singolo individuo può adottare per interpretare, dal punto di vista esoterico e dunque reale, gli accadimenti della sua stessa vita. Riguardo al primo quesito, concernente l’attività del Glifo, occorre distinguere i casi nei quali l'Albero deve necessariamente agire in completa autonomia di programmazione karmica, da quelli in cui gli enti del campo (i jiva) possono influire positivamente sui samskaras in affioramento, elidendone o eliminandone gli effetti. La prima ipotesi, ossia l’autonomia del Glifo nel controllo di questa fenomenologia, è purtroppo quella più comune, ed il suo peso grava su tutta l’umanità storica ed in particolare sugli esseri che popolano ora il nostro pianeta. Poche e significative, sono le eccezioni. Infatti, quando il jiva in evoluzione non ha l’effettiva capacità di un sufficiente controllo del proprio io, ed è quindi soggetto al meccanicismo delle proprie compulsioni acquisite e dei cosiddetti “istinti”, egli diventa anche enormemente passivo nei confronti delle Intelligenze sephirotiche, sempre attentissime a questo stato. Sono esse allora che, mirando all’emancipazione dei singoli e a un loro affrancamento dal dominio egocentrico, ne controllano 46


l’esistenza sostanzialmente dall’esterno, e la libertà del singolo si rende praticamente scarsa e molto illusoria. Per darne un esempio, pensiamo ad un ramo caduto nel corso di un torrente impetuoso, trascinato qua e là dalla corrente e dai gorghi. Ovviamente, l’uomo comune che si ritrovi in queste condizioni non ne ha alcuna consapevolezza, e conseguentemente identifica la propria “libertà” con le affermazioni egocentriche più disparate, con le transitorie fruizioni che ne derivano e con l’imposizione del proprio arbitrio a coloro che se ne rendono succubi. Quando poi l’inevitabile divenire delle situazioni frustra e distrugge le affermazioni egoistiche, l’uomo imputa la propria infelicità alla vita stessa, giudicandola dominata da un’incomprensibile e talvolta feroce casualità, detta di volta in volta “sfortuna”, “caso”, “destino”. Nomi tutti indicativi dell’ignoranza in cui è affondato, e neppure compresi nei contenuti concettuali che pure implicherebbero. Le Intelligenze sephirotiche, in queste situazioni, lasciano libero campo agli affioramenti karmici ed al loro accumulo, il quale determina normalmente un nuovo karma. Questo finché non subentra nelle persone un moto di ricerca spirituale che sia sincero e sufficiente, e non semplicemente velleitario o intellettualistico. Certo, tutto è sotto l’immanente volontà salvifica del Cristo (del Brahma in Krisna, se si preferisce), ma tutto è anche sottoposto alla fondamentale norma del totale rispetto dell’autodeterminazione personale, che può essere sostenuta anche sotterraneamente – e lo è – ma mai elisa. In tutta questa vicenda le persone incontrano esperienze di solito molto affaticanti, spesso dolenti e distruttive, che nel tempo condurranno il jiva ad affrancarsi dal cieco attivismo e fatalismo, generatori di dolore e di vite successive. Occorre però tempo, talvolta un tempo immenso, per recuperare la propria originaria libertà. 11) Ora vogliamo occuparci di un problema di tipo rituale nel senso più alto del termine: un problema di Teurgia. Il nostro fine è di escogitare un modo capace di determinare un effettivo intervento delle Potenze sephirotiche a fini generali (e, nel generale, anche particolari): specificatamente, il determinante apporto energetico – concreto e realissimo – dell’Amore Cristico in azioni ben puntualizzate. Prima d’inoltrarci nel campo della Teurgia, tentiamo allora di definire quello che intendiamo con tale termine. La Teurgia è la scienza del Divino in rapporto all’Umano, ossia è quell’altissimo ramo dell’attività iniziatica che si riferisce alla Suprema Realtà per ottenere il Suo risolutivo sostegno nell’emancipazione personale e globale, dell’Adam. Ne consegue che non ci è possibile operare in questo campo senza determinati requisiti interiori, e con particolarismi egoistici di scopo e di mente. Colui che agisce in quest’ambito deve necessariamente farlo nello status più impersonale che gli è 47


possibile, operando come “modalità” divina e come strumento più o meno appropriato (il Giudice è il Padre!) per i fini stessi della Manifestazione. Inoltre egli deve aver realizzato, con l’intelligenza dell’Amore, la capacità d’interferire nell’ambito stesso delle Intelligenze sephirotiche, per convogliarne le energie laddove ritenga intuitivamente opportuno o necessario il farlo. Questo stato comporta la purificazione dell’interiorità ed in particolare della mente inconscia e, se l’attore desidera agire nell’ambito delle Potenze più elevate del Glifo, esige una trasparenza spirituale degna della Luce a cui tende, e dalla quale verrà colmato. Ne consegue che è di rigore una preparazione profonda ed accurata, un grado elevato di capacità discriminante e un profondo abbandono all’Amore del Padre: il ché equivale a un effettivo e concreto superamento del predominio dell’ego sul Sé. Quanto diciamo non costituisce un preambolo moralistico ma un presupposto rigorosamente “tecnico” all’operatività pratica, se ci è consentito utilizzare questa parola. In effetti, un errore imputabile a qualche “leggerezza” potrà anche essere – talvolta – compensato nel sostegno cristico, ed è inevitabile che il principiante, l’inesperto, incorra in varie imperfezioni; qui ci riferiamo piuttosto all’errore colpevole, dovuto o a eccessiva superficialità o ad intenzioni distorte. Questo tipo di comportamento è temerario, quando non prefigura una vera empietà. Infatti, esso puntualizza l’orgoglio egocentrico e separatistico a livello grave, ed incorre nell’adeguata correzione. Non è tanto la volontà divina che in quest’ipotesi agisce, quanto gli scompensi profondi dell’individuo: l’incontro con la Luce del Glifo è folgorante per chi non sa esserne in sintonia, ed implica l’immediata maturazione di molte o tutte le componenti karmiche che gli gravitano addosso. Cessa allora – a causa dell’azione tentata – l’attività moderatrice delle Sephiroth, poichè l’atto è in sé titanicamente separatistico e contrario all’Interità. Di qui il rigore. Ponendosi oltre l’armonia della Manifestazione, l’individuo ne subisce – presto o tardi – il pesantissimo impatto, ed allora la correzione è semplicemente un aspetto di Geburah, apparentemente privo di ogni altra interferenza: “manca” allora l’azione di Chesed incentrata in Tiphereth, e solo l’onnipresente Misericordia del Cristo (il Cuore del Glifo, che è nella Sephirah centrale e contemporaneamente la trascende) resta accanto allo sventurato. E’ necessario che l’operatore valuti attentamente nel segreto della sua anima, il suo intento ed i mezzi spirituali di cui dispone: compito delicato e difficile che esige l’ascolto interiore del Testimone atmico, nell’intuizione di profondità. E’ indispensabile e preliminare il tirocinio più adeguato. Fortunatamente, a questo livello l’allievo non è del tutto tale, e sotto alcuni aspetti può considerarsi un iniziato ai Misteri. E’ allora in grado di comprendere i propri limiti (soprattutto quelli!) e di fare appello in vera e trasparente sincerità all’unica Forza davvero in grado di sostenerli, colmandone le lacune: il Cristo/Amore nella Sua ipostasi “Gesù”. Ecco perché noi consideriamo con tanta precipua attenzione questo Maestro: 48


Egli è il nostro fondamentale sostegno, l’unico veramente capace di sopperire, infondendo il Suo amore nelle nostre azioni, alle inevitabili mancanze che offuscano il nostro sentiero. I tempi non sono attualmente favorevoli a nessuna attività esoterica, e non abbiamo margini d’attesa così ampi da consigliarci le lunghe preparazioni del passato, le quali ponevano l’adepto di fronte all’Amore cristico soltanto alla conclusione di una severa ricerca, costellata da prove rigorose e difficili. Poiché “l’Arte non ammette obbiezioni”, dobbiamo imparare a servirci dell’unica Forza che sia interamente efficace e che – in specifiche situazioni – possa interferire in modo davvero risolutivo: se questa puntualizzazione abbrevia il tempo nel nostro cammino, essa richiede sempre la vera chiarezza degli intenti e una sincera trasparenza dei fini che ci proponiamo. In effetti, non si tratta di scorciatoie o di stratagemmi ma, all’opposto, di una metodologia essenziale, adeguata ai nostri tempi, e che non concede nulla all’approssimazione ed al dilettantismo. Chiariti questi principi – ed il lettore li consideri attentamente e con la migliore serietà – vediamo come ci sia possibile operare nel senso indicato entrando nel centro del problema. Tutto quello che abbiamo detto era preparatorio a questo momento. Rito è preghiera, azione, identità con la Forza che s’attiva in noi, e s’indirizza là dove è necessario. Rito è dunque tutto quello che attiene al Divino, come la preparazione dello spirito e la purificazione delle tendenze, l’affinamento delle capacità percettive e discriminanti, la ricerca dei principi e delle verità fondamentali. Rito è soprattutto lo svelamento della nostra innata capacità intuitiva, che richiede lo spostamento del centro della nostra personalità dal cervello/mente al petto/Cuore (il Cuore sottile!), dove il “sé” personale scaturisce dal Sé divino, l’Atma. In effetti, ed in senso stretto, il rito è quindi l’attivazione del Centro Sephirotico o Anahata Chakra e di molte sue componenti, facendone scaturire un potente campo di forza capace di modificare – nel sottile come nel grossolano – le cristallizzazioni nelle quali siamo incorsi (noi siamo in Malkuth): in sintesi, dobbiamo alleggerire e alla fine cancellare i “veli di maya”. La conoscenza del problema che vogliamo affrontare è pertanto preliminare ad ogni azione rituale: è necessaria l’identificazione dei Centri/Forza del Glifo più adeguati allo scopo che ci siamo proposti. Il Maestro personale suggerirà molte cose, ma l’allievo dovrà adoperarsi per quel che gli compete (ed è molto) e gli è possibile, fino al limite delle proprie capacità. Se ci riferissimo alle metodologie del passato, dovremmo individuare il ritmo cosmico più adeguato, le forme-pensiero adatte, il momento più ricco di vibrazioni favorevoli al nostro intento. Uno studio simile richiederebbe conoscenze enormi, e sarebbe probabilmente perfettibile soltanto nell’ambito di un gruppo veramente qualificato dalla Tradizione esoterica. Per superare quest’ostacolo, proprio della nostra epoca e cultura, ci appelleremo all’Amore divino e alla nostra intuizione cercando in noi, preliminarmente, alcune fondamentali risposte. 49


Dato il problema che intendiamo affrontare, lo esamineremo mediante un processo intuitivo ed insieme discriminante, sotto tutti i punti di vista che possiamo conferirci, e ne trarremo delle considerazioni. Raggiunta una sufficiente definizione, valuteremo le soluzioni che consideriamo possibili e più adeguate, cercando d’individuare nel medesimo tempo i limiti delle nostre capacità. Tutto questo precede l’intervento dell’Istruttore, che desidera la nostra attenta opera prima di sostenerci con la sua sapienza. Raggiunto un risultato accettabile, consulteremo la Guida, proponendole i problemi specifici che abbiamo individuato, e le possibili soluzioni; terremo quindi il massimo conto dei suggerimenti che riceveremo, analizzandoli accuratamente e criticamente (l’Istruttore non gradisce un’accettazione passiva delle sue indicazioni!), non esitando a sollevare motivate obbiezioni qualora le ritenessimo fondate. L’Istruttore, infatti, deve “costruire” l’allievo, e a tal fine nulla è più efficace della responsabilizzazione attentamente guidata nella fatica della ricerca ed in quella, susseguente, della pratica operativa. In effetti, Egli può anche consentire errori non distruttivi, quando l’allievo è in grado d’evitarli con le proprie forze ma ha preferito un comportamento troppo superficiale. L’esperienza, anche in quest’ipotesi, è una precisa maestra. Raggiunto in tal modo un piano d’azione ben definito, occorre analizzarlo sinteticamente ed intuitivamente, interiorizzarlo e condurlo, in tutto e nelle parti, di fronte al giudizio del Testimone atmico. A questo punto l’atteggiamento impersonale e sereno, libero da previsioni e fermo nella direzione spirituale verso la Volontà cristica, consentirà l’ascolto profondo del giudizio complessivo sulla nostra opera. L’ascolto è fondamentale, essenziale e sottile, perché si indirizza al nostro Cuore metafisico, al punto di congiunzione fra il nostro “sé” personale ed il Sé Impersonale che è la base del nostro essere/esistere: l’Atma. Questa capacità si acquisisce con la meditazione costante e fiduciosa, protratta nel tempo e libera dal desiderio d’acquisizioni di qualsivoglia natura: esse appartengono al Maestro e alla sua volontà salvifica, e sono quindi – per definizione esoterica – oltre le nostre previsioni. Occorre la Fede, la “coerenza” con il Principio che conferisce “sostanza” alle speranze esattamente individuate, anche a quelle che appartengono a momenti posti oltre la nostra attualità. Fede e Speranza sono la configurazione esatta della via iniziatica, e richiedono l’intelligenza dell’Amore in cui essa si snoda. Questo è un punto fondamentale per tutti coloro che cercano, con fatica, il superamento della loro “caduta” ancestrale, ed il reintegro futuro nelle Case del Padre. Ribadiamo: la percezione del nostro “cuore sottile” (e non è certamente quello fisico, che appartiene alla quarta guaina della nostra personalità) s’acquisisce con il comportamento coerente – in tutto il nostro tempo – con la Realtà cristica e, nella pratica specificatamente iniziatica, con la meditazione sul Centro interiore: il chakra cardiaco. Questo è il viaggio interiore che apre le porte verso la nostra verità, nella quale ritroveremo le risposte ai più dolenti problemi che ci angustiano e gli strumenti per rinascere all’Amore di Dio. 50


Una rispondenza spirituale di quest’ordine, intuitiva ed evidente in sé, non assume necessariamente la struttura di un concetto discorsivo ed intellettuale, sia pure fondato su un momento spirituale. Può essere “informale” o – meglio – pre-formale perché s’evidenzia al limite più intimo della nostra personalità reale. Solo in un secondo momento la mente, utilizzando la sua capacità analitica e discriminante sostenuta dall’intuizionismo, ci rappresenterà contenuti specifici, capaci di puntualizzare la nostra azione. Ribadiamo quindi che il riferimento al Testimone interiore, soprattutto se compiuto con intenti operativi, è atto rappresentativo del nostro stato di realtà in senso sintetico ed analitico, e che richiede maturità vera e senso di responsabilità. Più alto è il Punto che vogliamo raggiungere ed attivare in noi e maggiore è l’impegno richiesto dal nostro proposito. La faciloneria e l’approssimazione possono risultare effetti di aspetti egotici non risolti, e di desideri molto scompensati, capaci di determinarsi in insorgenze karmiche anche pesanti. Quando ci mettiamo in relazione con il Divino siamo attentamente osservati da molti occhi, e valutati da molte menti; e non tutte sono amichevoli e benevole. E’ indispensabile l’attenzione esoterica. Il metodo che indichiamo implica, in effetti, un dialogo interiorizzato e costante con l’Istruttore atmico, e capacità intuitive sintetiche e poi analitiche. Esso ci conduce al punto centrale della ritualità, ed in effetti l’azione energizzante delle Sephirah prescelte s’attiva in quel momento nel quale ci appelliamo, con tutta la nostra capacità d’umiltà e d’amore, al Cristo assoluto ed al Suo mediatore. Praticamente, quanto affermiamo può riferirsi a qualsiasi Intermediario da noi storicamente conosciuto, dal Buddha allo Yogi Milarepa, dal Santo di Assisi ad un Maestro vivente in una differente dimensione della Manifestazione del quale abbiamo notizia. Tutti, infatti, partecipano dell’Amore altruistico e compassionevole del Padre; se noi scegliamo Gesù e Maria come personificazioni della Misericordia e del Sacrificio divini in questa dura fase storica (c’è l’ombra del Kali-Yuga!) è per i motivi già molte volte esposti, che li specificano come sintesi delle molte Vie soteriche sempre conferite all’Adam nel succedersi delle epoche e degli eoni. Detto questo, ci accingiamo a considerare alcune metodologie coerenti con i nostri intenti, che riguardano la ritualità nel senso fattuale ed operativo e le conseguenti modalità esecutive, suscettibili di conferirci le migliori possibilità di successo che ci siano consentite. -OIl Rito al quale ci riferiamo è la più alta espressione di questo metodo di sintonizzazione con il Divino. Conseguentemente, ci proponiamo d’attivare in noi la profondità di un’interiorizzazione capace di richiamare nel segreto del Cuore la stessa potenza del Cristo, nel suo momento di sostegno e di sacrificio, che conosciamo come Gesù. In questa prospettiva dobbiamo renderci in stretta sintonia con la Forza Cristica, al punto di farne parte. “Essere Gesù in Gesù” è esattamente questo sentirci uniti fattualmente al Maestro e - per Suo tramite - percepire l’aspetto più reale e luminoso 51


del nostro microcosmo: l’Atma. Il compito è veramente difficile, e la Tradizione c’insegna che occorrono vite impegnate nell’elevazione spirituale e nella ricerca per giungere a tanto confidando prevalentemente sulle nostre sole forze. L’abisso della “caduta” è inimmaginabile prima di farne una qualche precisa conoscenza. Conseguentemente, è per mezzo di un adeguato atto di richiesta d’aiuto, ed un preciso rituale che lo configuri sostenendolo intimamente, che noi cercheremo e riusciremo ad incontrare l’Amore di Cristo, una immensamente alta e fondamentale puntualizzazione del Brahman. Se non ci fosse un’urgenza così drammaticamente impellente, forse i Maestri non solleciterebbero gli allievi a quest’impresa, e preferirebbero insegnare gradualmente la via che conduce alle Ruote interiori (i Chakra), guidandoli serenamente nei sentieri che differenziano un Centro vitale dall’altro. Lavoro certamente di lunga durata, e fuor d’ogni dubbio molto impegnativo, che sviluppa progressivamente le facoltà maggiori dello spirito, illuminandoci nel profondo. Poiché il tempo stringe, e l’Uomo deve saper compiere la propria parte di fronte ai supremi Enti, gli è conferito un modo d’agire pratico ed incisivo, se sinceramente accettato e ben compreso nel suo presupposto fondamentale: assenza di qualsivoglia istanza egotica ed il più completo abbandono all’Amore ed alla sua integrazione con la Vita, in tutti gli aspetti che essa offre all’operatore. Dobbiamo considerare ancora una volta il Glifo, ed osservare come in Tiphereth convergano tutte le linee di forza, i Sentieri delle Sephirah. Ognuno di questi simboleggia un aspetto spirituale, psichico e formale capace di condensarsi poi nel campo di Malkuth, e nessuno deve mancare quando, dal Centro mediatore, invochiamo il sostegno dell’Ente Supremo che, oltre l’abisso della conoscenza (il Da’ath) costituisce insieme la Trascendenza e l’Immanenza del Divino sulla creatura. L’agente dovrà dunque rendersi interiormente aperto a questa Vita, che è amore in tutte le sue infinite (mai egocentriche!) espressioni reali; si renderà alla Natura – naturante e naturata – come Immagine stessa dell’Amore fondamentale, che crea ed agisce. Egli sarà capace allora di cogliere la bellezza dovunque ci sia forma, percependovi l’aspetto basale oltre le situazioni del momento, senza nulla escludere e rifiutare pur bloccando e cancellando gli aspetti involutivi (di per sé irreali!) che offendono ed offuscano l’Emanazione. Naturalmente, in quest’attività è necessario un equilibrio intimo che non ci è possibile descrivere adeguatamente, ma che ogni operatore riconoscerà nella sua esperienza e con grande precisione: un senso di pace e d’armonia prima ignorati, di nuova libertà dalla paura e dal contingente, e – come naturale conseguenza – una luminosa trasparenza della coscienza. Occorre raggiungere questo stato e, all’inizio della ricerca, la costante assiduità nel sentiero intrapreso, oltre i dubbi della mente e le remore dei timori. La volontà di superare tali limiti è il cammino concreto verso la nostra verità. E’ evidente come non sia possibile esigere dall’allievo o dall’iniziato che non sia ancora un adepto questa inalterabile e limpida coerenza dello spirito, ma è in ogni caso necessario richiedergli la fatica, lo sforzo, la decisione e la lotta necessari per 52


conseguirla, e per recuperarla ogni volta (e saranno molte!) essa venga meno. L’autoanalisi, sorretta dal Testimone interiore, faranno il resto. Occupiamoci adesso, più specificatamente, del procedimento formale della ritualità, che abbiamo ridotto all’essenziale ma che, proprio per questo, dovrà essere esattamente rispettato. Al termine dell’esposizione forniremo alcune indicazioni che non intendono minimamente vanificarla, ma che – al contrario – ne sottolineano l’essenza. 1°) L’ora. Tradizionalmente per tutte le operazioni di positività – etica e fattuale – è necessario agire in fase di luna crescente, e specificatamente in certi casi al novilunio di ogni mese. L’ora favorevole, in questa prospettiva, è quella di Mercurio ed in certi casi quella di Giove. Nel giorno rituale le ore diurne si contano dall’aurora al tramonto, e quelle notturne dal tramonto all’aurora. E’ conseguentemente necessario conoscerle esattamente, quali risultano da molti calendari di comune reperibilità. Si dividono i minuti risultanti (complessivi) per le dodici componenti vibrazionali che abbiamo chiamato le “ore del pianeta”, per individuare il momento astrologicamente più adatto. Ci è impossibile indicare immediatamente le profonde ragioni di questa metodologia, ma lo faremo se e quando si rendesse necessaria questa conoscenza. Sono motivazioni, complesse e sottili, che attengono al bioritmo cosmico in riferimento a quello proprio dell’operatore, e ricordiamo quindi il Teorema d’Ermete, noto come “Tavola di Smeraldo”. Normalmente è necessario rispettare questo punto con grande precisione, come ogni altro aspetto del Rito. Le ore si susseguono, in ogni giornata, secondo uno schema che è stato identificato in epoche primordiali, e che ci è possibile rintracciare per noi in un testo per altri versi poco attendibile, che citiamo: “Sabellicus – Magia pratica – I° volume pag. 155”. Una precisazione: la durata delle ore rituali non è costante, come è significato nel testo citato. Occorrerebbe uno studio approfondito d’astrologia per l’esatta individuazione delle causanti e delle variazioni, che si riferiscono principalmente alle Case ed ai Campi dei pianeti. Pur senza affrancare l’allievo da un impegno conoscitivo di questo ramo della sapienza tradizionale, riteniamo più utile, in questa fase dell’apprendimento, che egli si avvalga del consiglio dell’Istruttore per superare eventuali lacune, e le possibili divergenze fra il momento individuato mediante la semplice divisione per dodici del tempo complessivo (diurno o notturno) e l’ora effettiva del pianeta prescelto. Occorre sempre scegliere l’ora più consona al nostro fine, tenendo presente che essa varia in dipendenza dalle nostre effettive intenzioni pratiche, e che – in generale – per queste attività è preferibile la notte al giorno. Infatti, la luce solare ostacola la sensibilità individuale alle vibrazioni sottili che possono essere assorbite e direzionate dall’operatore, creandogli difficoltà di sintonizzazione. Tuttavia questa non è una regola fissa, ed ammette eccezioni. Il periodo dell’anno può essere importante per finalità determinate. In generale, la primavera è favorevole ad azioni creative e rigenerative, l’estate ad attività di 53


trasformazione e di interferenza nelle Forze della Terra; l’autunno concilia l’attenzione introspettiva e direzionata all’apprendimento e alla conoscenza, l’inverno al profondo assorbimento delle forze sottili della Manifestazione, e quindi al ripristino d’energie dissipate o insufficienti. Tuttavia, se è necessario, ci è possibile agire in ogni momento per i più diversi scopi, rispettando le norme temporali del ciclo giornaliero e mensile. 2°) La preparazione. Occorre un giorno di completo digiuno, nel quale si dovrebbe bere soltanto acqua di fonte, o almeno quella più pura e leggera. Potremo accontentarci di quello che troveremo con un’indagine sufficientemente accurata delle nostre disponibilità, tenendo presente l’importanza d’evitare sostanze inutili e nocive. Conseguentemente non indulgeremo ad altre bevande (caffé, bibite, spremute di frutta o latte). Il digiuno dovrebbe rigorosamente iniziare dall’ora notturna di Mercurio o di Giove, più profonda nella notte, protrarsi per le circa quindici ore susseguenti e chiudersi al compimento del Rito. Dopo, un pasto sostanzioso e frugale farà recuperare rapidamente le forze. Naturalmente, nella giornata di preparazione cercheremo d’agire in modo equilibrato, sereno e non affaticante: mediteremo a lungo sulle modalità del rituale prescelto, le controlleremo e quindi predisporremo l’occorrente. Riaffermiamo la necessità di conservare uno stato d’animo sereno e fiducioso, adeguato al compito prefissatoci: occorre essere in armonia con il Tutto/Uno nel profondo, ossia dentro e fuori di sé. Le medicine veramente indispensabili verranno assunte con semplicità, rimandando quelle procrastinabili al momento del completamento del Rito. Si escluderanno in ogni caso gli ipnotici, i tranquillanti e gli antidolorifici, a meno che non ne occorra tassativamente l’assunzione. L’Istruttore fornirà i consigli opportuni. 3°) Gli oggetti. Innanzi tutto, un poco d’incenso, qualche candela di colore chiaro (azzurro, o bianco, per esempio) non necessariamente prefissato. Le candele azzurre sono adatte per praticamente tutte le attività che implichino amore e positività; le bianche s’impongono per la più alta delle preghiere, quella che invoca la specifica presenza del Cristo nell’azione da compiersi. Conseguentemente ci occorrono alcune candele azzurre, ed un paio di bianche, possibilmente di vera cera. Non importa se le azzurre saranno colorate solo in superficie e di cera stearica, poiché quelle più “tradizionali” sono oggi difficilmente reperibili in commercio. Il simbolo che s’evidenzia con tutti questi oggetti esprime la “Luce” ed invita alla sintonizzazione interiore con la Trascendenza: oltre il suo aspetto formale indica il tracciato interiorizzante ed è, in effetti, il Malkuth del rituale. L’incenso è quello comune, che si getterà in un minuscolo contenitore dove, con il mezzo più semplice, ossia con un dischetto di carbone predisposto all’accensione, verrà attivato un piccolo braciere di carbonella di legna. Occorre poi un poco di carta pergamena, per tracciare alcuni simboli. Non vengono qui richiesti i sacri strumenti dell’Arte tradizionale: la Coppa, l’Atamé e via dicendo; è invece necessario un ottimo profumo, preferibilmente di 54


fiore, con il quale adornare gli oggetti utilizzati e le stesse mani dell’officiante. La sola luce del rituale è quella fornita dalle candele. Occorre un luogo tranquillo. Reso per di più inaccessibile a indesiderabili interferenze quali telefonate o visite improvvise. L’operatore deve restare tranquillo e sicuro, non distratto da elementi estranei al suo intento. Lo stilo con il quale tracciare i simboli può essere un comune pennarello, preferibilmente nuovo e di colore azzurro. Qualche fiore, meglio se di campo e comunque semplice e gentile, adornerà adeguatamente il tavolino che utilizzeremo. Quest’ultimo, che sostituisce l’altare tradizionale, è un comune mobile coperto da un panno bianco accuratamente pulito su cui verranno posti gli oggetti rituali: come abbiamo detto, le candele, il minuscolo braciere (nuovo o ritrovato fra gli oggetti di casa), il contenitore per l’incenso con i relativi fiammiferi ed infine alcune pergamene. Se l’operatore lo considererà opportuno, potrà predisporre quattro candele ai punti cardinali (le Torri di Guardia), invocando all’atto del posizionamento – anche mentalmente – gli Spiriti dei Quattro Elementi e descrivendo un cerchio che principia da Est. Quest’ultimo aspetto non è necessario e può essere accantonato, ma è richiesto da antichissime tradizioni e contribuisce a mettere l’operatore in uno stato d’animo più consapevole e meglio indirizzato al fine proposto. Inoltre agisce come “lente di concentrazione” delle vibrazioni sottili favorevoli, con esclusione di quelle indesiderate. 4°) La Formula. Questo è il momento centrale di tutto il rituale. La Formula sintetizza la direzione ed il fine che ci proponiamo, invocando la Forza cristica più adeguata a tanto impegno; implica un elevato grado di sintonizzazione interiore che deve essere “sentito” e non semplicemente espresso a parole. Innanzitutto l’operatore traccerà una Croce in un lato della pergamena, a sinistra. Poi disegnerà un simbolo, il Simbolo dell’Arcangelo di Tiphereth, seguito, in basso a destra, da quello di Jesod: la Luna come appare in una notte di luna nuova, quando è una falce sottile ed argentea. Null’altro. La Croce è l’invocazione alla Potenza Cristica; il simbolo dell’Arcangelo racchiude le emanazioni sephirotiche e la luna di Jesod esprime il “doppio astrale” di Malkuth. Conseguentemente la pergamena rappresenta l’azione nel campo sottile che deve solidificarsi poi in quello tridimensionale (discesa da Jesod in Malkuth). Tracciato il Simbolo (la pergamena a questo punto è la sintesi simbolica dell’atto), l’operatore si concentrerà interiormente su di Lui e lo farà ri-vivere in sé come Armonia ed Amore, abbandonandosi completamente all’immanenza cristica e affidandole lo scopo dell’atto, opportunamente concettualizzato, senza alcun attaccamento ai possibili risultati. Questa meditazione non è determinabile a priori come tempo: può essere breve e può durare a lungo, perché l’operatore dovrà “sentire” quando gli sia necessario passare al successivo momento, nel quale provvederà a bruciare la pergamena accendendola ad una candela e collocandola sul braciere con un poco d’incenso. 55


L’incenso, naturalmente, potrà già essere stato utilizzato in precedenza per incrementare l’interiorizzazione del rituale, ed è in questo senso che viene in evidenza nelle tradizioni religiose; implica l’elementale Aria e quindi ha efficacia positiva sulla mente, come l’esperienza di secoli ci tramanda. Quando la fiamma avrà compiuto la sua funzione, l’operatore rivolgerà una preghiera di commiato (necessaria!) e di ringraziamento all’Amore di Dio; quindi mediterà per qualche tempo, a discrezione, sull’atto compiuto e sulle Potenze invocate a sostenerlo. Come ultimo compimento, verranno radunati gli oggetti utilizzati, le ceneri del braciere collocate in un contenitore già predisposto, perché siano sparse – non appena possibile – in un prato o nelle acque chiare di un ruscello, a sua scelta. Quello che non ci è possibile indicare o suggerire è quanto l’operatore potrebbe “sentire” nel momento più interiorizzato di questo rituale, nel quale - comunque qualcosa accade anche se non avvertito immediatamente. Il che è, soprattutto per chi muova i suoi primi passi in questo terreno, normalmente molto preferibile. In ogni caso, il Maestro personale esaminerà poi con l’officiante le modalità dell’atto compiuto e i possibili effetti, indicandone i limiti e gli eventuali o necessari perfezionamenti. Un quadro riassuntivo del rituale proposto è, a questo punto, utilissimo. Innanzitutto il Rito si fonda su un determinato comportamento esistenziale, e su un coerente e preciso stato d’animo: equilibrato, distaccato da supposti esiti, sereno e affidato a Dio. Al momento dell’inizio di un rituale vero e proprio, questo stato di coscienza si concretizza in una volontà e in una determinazione specifica, nella quale la direzione prescelta di spirito e mente perdurerà inalterata, tanto nell’iter preparatorio quanto nel Rito effettivo. Tutto questo implica che il Rito è un atteggiamento capace, nel tempo, di puntualizzarsi in un preciso compimento, per continuare invariato e costante dopo l’accadimento. L’ente operante è allora un “maestro” di vita a sé stesso, ben prima che a chiunque altro, e questa proposizione dovrebbe essere ben presente a quanti s’accingono a compiere atti esoterici di qualunque tipo. L’impersonalità, che è in fondo una forma particolarmente consapevole dell’armonia interiore, è la costanza dell’atteggiamento: altrimenti a nulla varranno incensi, simboli ed invocazioni, in tal caso capaci soltanto di fuorviare chi li adotta. Il Rito ha principio con un atto d’abbandono all’Amore di Dio; si conferisce un aspetto formale (quello che abbiamo per sommi capi descritto) capace di sostenere ed incrementare questo stato, e un aspetto sostanziale conforme, sul quale ora ci soffermeremo un poco. Quando l’officiante è in meditazione profonda, prima della combustione dei Simboli tracciati, nel Fuoco del braciere, potrebbe verificarsi una rottura di piano percettivo, ed il protagonista allora impersonerebbe l’Aspetto trascendente che richiama su di sé o, meglio, che intende svelare in sé. 56


Ci accingiamo dunque a indicare un tracciato che possa servire come schema d’orientamento, ricordando insieme al lettore quanto già gli dicemmo: l’esoterista deve mantenere lo spirito vigile ed insieme fermo nel proprio abbandono al Principio d’Amore, al Cristo. Deve, in altre parole, essere ben fisso sul fine del Rito e sull’invocazione interiore (non verbalizzata, sia pure a livello mentale!) alla Potenza che chiama in aiuto, cercando d’essere fuso con quell’aspetto della Trascendenza, ma mantenendo insieme la rapidità dell’autocontrollo sulle possibili mutazioni coscienziali, soprattutto quelle capaci di inficiare la direzione spirituale prescelta. Tutto ciò con lucida immediatezza. All’inizio della sua meditazione, l’officiante evocherà l’Immagine interiore del Maestro (stato di pace, di fiducia e di speranza), e lo pregherà d’essere presente e di sostenere ed eventualmente correggere la sua opera fino al giusto compimento. Quindi visualizzerà un Punto quanto più possibile luminoso al Centro del Cuore, e lo osserverà espandersi fino ad esserne assorbito nella luce calda, radiosa, completamente colma di purissimo amore. Quando questo stato avrà preso una certa consistenza, egli lo proietterà direttamente nell’ambito di Jesod, prescelto come “doppio astrale” dell’effetto cercato, per attivare, modificare o correggerne le linee di sviluppo formale, visualizzando un centro eterico luminoso e pacificato nell’azzurro cupo della Sephirah. Quel centro avrà la capacità d’agire e d’interferire positivamente sui piani sottili e, condensandosi in Malkuth, determinerà le variabili desiderate. E’ indispensabile che questo complesso procedimento sia in ogni sua fase veramente consapevole della presenza – reale ed effettiva – dell’Amore di Cristo nel Suo aspetto Gesù, e che l’atto venga compiuto impersonalmente con il più completo abbandono all’Intermediario: nella precisa coscienza d’agire come modalità dell’Interità e non semplicemente come una sua individualità. Attivato il Centro/Luce jesodico, la concentrazione sarà dolcemente allentata, e l’operatore si renderà allo stato di coscienza “normale” con la maggiore fluidità che gli sarà possibile. A questo punto rivolgerà una preghiera a Kether ed ai Suoi Arcangeli in Tiphereth e Jesod, ed all’Intermediario Cristico, ringraziando e rinnovando insieme il proprio impegno d’amore. Poi, provvederà a bruciare i simboli ed a concludere con il commiato l’atto rituale. Il commiato è importante, e non deve essere dimenticato. Infatti, esso segna il termine di un’azione teurgica ed il contemporaneo ripristino di uno stato normale di coscienza: le Forze che interferiscono nel Rito con l’officiante sono molteplici, ed appartengono tanto agli aspetti trascendenti che a quelli tellurici. Poiché, in quest’ultimo caso, esistono anche principi coscienti unidirezionali che assolvono ad una funzione in modo pressoché automatico, è necessario non lasciarli attivi anche nel nostro ambito esistenziale “normale”, per non crearci possibilità di squilibri certamente infrequenti ma potenzialmente temibili. Inoltre, questo è un doveroso atto di rispetto e d’amore verso tutte le Forme della Manifestazione: compiuto con semplicità, senza eccessi misticheggianti o comunque inadeguati; un atto che prepara alla conservazione di uno stato d’armonioso equilibrio con il Tutto nella nostra vita quotidiana. 57


Detto ciò, aggiungiamo un’ultima osservazione: la ritualità così proposta è certamente efficace, se ben compiuta, ma è essenzialmente preparatoria al Rito vero e proprio in senso yogico. Quando l’allievo ha raggiunto il necessario grado d’integrazione con il proprio Sé egli è insieme il Tempio, l’Altare e il Sacerdote, è immagine dell’Albero della Vita. In questo stato egli si “limita” a risvegliare le proprie potenzialità operative come pura modalità del Brahma, proiettandone la Potenza per un fine considerato opportuno e necessario all’emancipazione dell’Uomo. La persona allora agisce solo interiormente, senza nessun altro appoggio formale visibile fuorché quello di un luogo acconcio, appartato e tranquillo dovunque esso sia. Questo è il Rito vero e proprio, nella sua forma purificata ed essenziale. L’officiante allora, fuso con il Testimone atmico, agisce come Glifo della Vita manifestata in uno specifico ambito, e non occorre dire altro. L’Istruttore individuale sarà presente per controllare ed appianare possibili ed improbabili lacune o difficoltà nascenti da un’imperfetta centratura dell’allievo con Lui e con l’Amore fondamentale. Sarà allora l’Amore stesso a trovare la strada più semplice ed efficace per risolvere qualsiasi aspetto negativo che possa emergere, operando tramite l’allievo secondo i Suoi fini. 12) Il procedimento or ora considerato è rituale e nella sua descrizione, abbiamo cercato di rendere evidente come l’archetipo possa agire nell’Archetipo, rendendolo attivo in una particolare puntualizzazione. Perché di questo si tratta: energizzare la dinamicità del campo a cui apparteniamo nel modo più positivo che ci è consentito. Ognuno di noi, in quanto “microcosmo”, è un aspetto essenziale del Macrocosmo e dell’Archetipo totale al quale apparteniamo: l’Adam Kadmon. L’autorealizzazione, in questa prospettiva che a nostro giudizio è la più esatta, significa l’attualizzazione concreta di un archetipo emanato (emanazione indiretta e delegata, compiuta da quello fondamentale), il quale poi s’autodetermina mediante l’illuminazione interiore, integrandosi liberamente ed autonomamente con il Tutto. Sotto un certo angolo di giudizio, è l’Uomo Cosmico che in effetti agisce rendendosi vivo e cosciente in un suo aspetto; in una differente prospettiva è la persona che, svelando in sé stessa la propria essenza, determina un processo d’emancipazione nel Globale, modificandolo costruttivamente. I due aspetti coincidono nella realtà, e sono teoricamente distinguibili per necessità di comprensione e per la particolare posizione – fattuale e concettuale – delle persone storicamente specificate nei confronti del Momento Causale e dell’Adam. Dal punto di vista dell’Assoluto (che è poi il solo veramente sostanziale) l’evento che osserviamo configura l’affioramento di un Suo aspetto dalle tenebre dell’incoscienza metafisica in cui era sommerso. Un compimento affidato alla scelta ed all’autonomia del singolo, che determina il passaggio di una personalità nel piano suo proprio, archetipale, per cui essa rappresenterà nel tempo il dinamismo creativo 58


del Brahma stesso, ed il perfezionamento di una Sua idea. Questo concetto richiede d’essere compreso, e l’unico modo per riuscirvi è l’abbandono dell’illusoria concezione di un’ontologia che separa i singoli principi viventi dalla loro Causa metafisica ed immanente. La Realtà, in sé stessa considerata, è l’Uno-Senza-Secondo. Egli, il Brahman, conclude in Sé, nella Suprema Coscienza, tutto il manifestato ed il manifestabile, l’attuato ed il potenziale in identità. Infatti, le specificazioni che implicano il passaggio da potenza ad atto sono inerenti al nostro stato relativo (creaturale) e non possono riferirsi a quello assoluto. In breve, ciò che “è”, “è” in Lui perché solo Lui è Reale, infinitamente oltre le nostre concezioni in merito. L’Uno è però Creatore e Vita, e le infinite idee che scaturiscono dalla Sua essenza sono viventi e possiedono una propria particolare e concreta realtà, perché esse sono in effetti Sue modalità di pensiero e di manifestazione. Dobbiamo pertanto cercar d’intuire le parti nell’Unità e l’Unità nelle parti per comprendere più esattamente – o principiare a comprendere – la nostra stessa verità quotidiana. Soprattutto nel Rito, formale o interiorizzato che esso sia, s’esprime quest’atteggiamento, il quale è la chiave d’ogni ulteriore approfondimento. Questo principio interpretativo della Realtà, nostra e generale, deve essere acquisito, e noi lo ricorderemo al lettore finché egli vorrà intrattenersi con questi concetti. La Suprema Coscienza concede dunque all’ente in fase d’emancipazione un campo operativo molto limitato, necessario alla sua formulazione d’entità libera ed autonoma nel Piano divino mediante l’esperienza delle proprie valenze. Il Limite, infatti, implica il suo superamento costante, il ché può accadere solo con la vera coerenza dell’entità manifestata con il Manifestante che lo sostiene e lo guida. Chiariremo in proposito un paio di punti, per cercare di dirimere incertezze ed equivoci. Nel procedimento autorealizzativo la persona possiede un ambito di libertà principialmente ristretto, che è destinato ad accrescersi progressivamente, in diretto riferimento alla sua capacità di svelarsi quale Idea vivente dell’Amore fondamentale. Se la libertà d’azione è all’inizio pressoché assente, completa è la possibilità di scelta e la conseguente capacità d’autodeterminarsi di fronte ai momenti dell’esistenza. La vera libertà cresce con l’esperienza positiva, ossia per mezzo di scelte coerenti con il Principio Causale. Quel che gli uomini comuni chiamano incongruamente “libertà” è semplicemente quest’autonomia di giudizio e di volizione, che facilmente può risultare erronea ed arbitraria se manca una vera intelligenza dell’Amore basale. La libertà in sé è altra cosa, perché presuppone un campo interiore libero da impedimenti nel quale operare intuitivamente le proprie scelte, e poi un campo esterno capace d’accoglierle positivamente, nel rispetto di quelle altrui. Cosa sia questo “rispetto”, gioverà ripeterlo per rammentare quanto per molto tempo cercammo d’indicare: è la non interferenza nell’autodeterminazione degli altri, la non-ingerenza nel loro processo di deliberazione conclusiva, il cosiddetto 59


“distacco” da ogni tendenza a sostituirsi – e per qualsivoglia motivo – al loro atto decisionale. Un Maestro, un allievo o un adepto cercano d’insegnare quanto a loro sembra giusto ed utile all’emancipazione, tendendo la mano al loro prossimo tutte le volte che questi la richieda. Essi, se incontrano l’indisponibilità al loro interessamento, e la possibile negazione di questo metodo in ulteriori interferenze, s’astengono semplicemente dall’intervento affidando i soggetti ostili al Padre ed attendendo con fiducia più favorevoli occasioni. Naturalmente non cesseranno d’amare e di mantenere una fiduciosa apertura verso i fratelli pur se li considerano in una precaria ed illusoria situazione vitale. Il rispetto dell’autodeterminazione degli altri ha fondamento nella Volontà del Padre ed è insegnato dalla Sua Misericordia vivente, il Cristo: a maggior ragione deve emergere nel comportamento di coloro che vogliono percorrere il Sentiero iniziatico, od essi avranno compreso molto poco delle profonde implicazioni dell’insegnamento ricevuto. Un altro aspetto da considerare consiste nella partecipazione, attenta e comprensiva, alla fatica di quanti, non ancora maturi per principiare il processo d’emancipazione, affidano al karma e non all’Amore di Dio il loro stato, e ne sperimentano gli effetti nel samsara. Il Maestro è, in questo caso, la stessa attualità del karma, ed allora è importante che i più liberi sappiano essere vicini, secondo le circostanze, a quanti siano tuttora legati ai propri impulsi ed alle conseguenti illusioni. Senza entrare in altri dettagli (che chiunque potrebbe trarre spontaneamente dalle nostre premesse) riaffermiamo la necessità costante dell’amore, più libero ed attivo possibile, che naturalmente ci conduce all’azione secondo le opportunità del momento. Fino a quel momento il jiva è affidato al potere educativo e correttivo dell'Albero, ed è solo indirettamente che si cercherà di aiutarlo a non incontrare troppe difficoltà nel permanere del senso egocentrico. L’allievo, in quest’ipotesi purtroppo comunissima, incontra difficoltà anche gravi, e deve commisurare ogni intervento all’esatta condizione del campo per evitare danni a sé e ad altri. Il processo di svelamento di fattori dell’Interità d’alto livello quali sono gli uomini, esige la loro iniziativa concreta, e quindi atti di scelta coerenti con la Volontà che li ha creati e li sostiene. Solo in questo caso essi si possono rendere al loro vero stato esistenziale, e svolgere la funzione implicita del loro “sé”. Dove gli allievi incontrano i loro limiti, generali e particolari, ma che in ogni caso travalicano le loro attuali possibilità, è necessario e fattibile che intervengano altre Forze, capaci di condurre un valido sostegno ed un aiuto determinante alla loro condizione. Infatti, l’Idea di Manifestazione è unitaria, e nessuno può legittimamente considerarsi estraneo ai problemi dell’altro, se ha possibilità effettive d’aiutarlo. Esistono in genere situazioni complesse, ed imprevedibilmente articolate, che richiedono un intervento su molti livelli, spesso oltre la conoscenza dell’allievo. Se egli compie la propria parte (e qui l’unico giudice e testimone è il Padre) ha un particolare diritto alla collaborazione di altre aree, anche elevate. 60


Poiché l’iniziando agisce come modalità della Manifestazione e - pur nel suo piccolo - a fini generali, ogni suo atto dovrebbe implicare accordo ed affinità con le Potenze espresse dal Glifo della Vita, e qui riemerge il problema globale della nostra situazione, nostra e dell’Interità. Certamente, perché la parte affidataci sia compiuta, dobbiamo prima conoscerla, poi comprenderla ed infine essere in grado d’assumerla identificandoci con lei. Un attento esame di questo principio, condotto con il Maestro nella Sua testimonianza interiore, ci sosterrà per risolvere molti quesiti, per spiegare l’apparentemente incomprensibile “silenzio di Dio” e per avviarci a una più chiarificata coscienza. In effetti, il “silenzio di Dio” è semplicemente indice della nostra sordità alla Sua parola, costantemente donataci nel Centro interiore. In queste pagine non possiamo, ovviamente, indicare i criteri adatti all’identificazione delle nostre potenzialità operative, perché essi emergono con il percorso iniziatico e costituiscono un’imprevedibile varietà d’implicazioni. Possiamo però sottolineare che la ricerca del nostro vero stato, ossia del Dharma, è impegno basale della ricerca, e la sua acquisizione determina lo svolgimento presente e futuro (un futuro infinito) della nostra vita. L’analisi impersonale del campo esistenziale, delle emersioni karmiche che denota, degli incontri che sottintende, sono in ogni modo fattori indispensabili per la nostra scelta fondamentale e le mille scelte particolari con essa coerenti. Un allievo può ritrovarsi in particolari difficoltà proprio perché è tale: la sua condizione, infatti, determina una maturazione più rapida del karma potenziale, facendo emergere fattori (samskaras nell’induismo) che altrimenti sarebbero rimasti sopiti anche per lunghi periodi, con effetti tuttavia più pericolosi e profondi. Inoltre egli si trova facilmente coinvolto nel karma delle persone che gli sono accanto e che conseguentemente influiscono su di lui, a livello sottile e diretto. Esse sono portatrici di stati che non hanno sovente origine nel solo passato dell’allievo, e che sono quindi fortemente soggettivi: tuttavia in campo esistenziale è comune, e non possono essere ignorati gli aspetti che denota. Il karma proviene sempre, quando ha rilevanza con l’ente, da un tessuto connettivo comune che associa i singoli individui a loro stessa insaputa. Così, quando s’intrecciano rapporti di specifica inferenza, si verifica proprio un effetto karmico generalizzato e individualmente modulato a livello tanto “grossolano” che “sottile”. In termini brevi, le tensioni karmiche dell’uno agiscono sul potenziale dell’altro, elidendosi o rafforzandolo. Il fenomeno è responsabilizzante perché rende ciascuno “partecipe” in certa misura dei problemi del suo prossimo e, in linea generale, della Manifestazione. Questa fenomenologia ha diverse, concrete cause: l’assunzione, consapevole o inconscia, del karma di una persona molto amata; la reazione emotiva e scompensata ad una situazione determinata da altri; l’assimilazione inerziale ed inconscia del karma collettivo che, se non schermato, coinvolge insospettate debolezze del singolo. E via dicendo. Come constatiamo, le strade per l’assunzione di un effetto karmico (normalmente temibile e scompensante) sono diverse, e tutte presuppongono una 61


particolare disponibilità dell’individuo. Occorre allora che l’allievo, più degli altri, sappia mantenere ben equilibrate le sue propensioni psichiche e le difese spirituali, e ne faccia uso nel modo più opportuno. Ci ripetiamo: da un lato il processo dell’emancipazione matura il karma personale e ne agevola l’affioramento; dall’altro lato, la sensibilizzazione ai problemi altrui (dei vicini o del campo generale) apre strade all’emersione d’effetti karmici personali o collettivi, non sempre eludibili proprio a causa della permanenza, nel fondo della coscienza, di un erronea voglia di esserne separati od indifferenti. L’adepto non incontra più questo problema: essendo fuso con il Principio, possiede insieme la capacità della conoscenza profonda e della difesa efficace, e gli effetti karmici non lo toccano più se non per eventuale sua specifica assunzione. Egli è, in effetti, una modalità cosciente ed attiva del Tutto/Uno, e nel Padre si disperdono le distorsioni del campo che sperimenta lasciandolo indenne. Nel “Vimalakirti Nirdesa Sutra”, al quale rimandiamo il lettore, è trattato questo problema e sono specificati i metodi per chiarirlo e risolverlo. Ci limitiamo qui a ricordare che la malattia e la menomazione dello Yogi non sono quelle dell’uomo “comune”, perché contraddistinte dalla profonda libertà d’assunzione e di controllo delle stesse. Tornando al nostro tema, rileviamo che ci è necessario imparare, e nei termini più brevi consentitici, le basi della metodologia dell’autodifesa contro gli effetti involutivi propri ed indotti che incontriamo nel corso dell’esistenza. Poiché la metodologia ha in entrambi i casi (karma nostro o del campo) un substrato comune, specificheremo per prima cosa che la protezione fondamentale discende dalla vera consapevolezza di essere un fattore dinamico dell’Interità – ossia un’idea del Padre – sia pure in fase d’emersione. La coscienza di rappresentare una “parte” del “Tutto” (intimamente e concretamente unita al Tutto) implica il superamento dell’egocentrismo, e toglie il terreno sul quale il karma si condensa: lo annulla in sé stesso. Infatti, non trovando il supporto, il bersaglio, il frutto delle azioni rifluisce nell’Interità disperdendosi, e contribuisce così all’emancipazione dell’Uomo globale. Perché? Perché l’errore che crea il karma è riferire l’atto compiuto non al campo in cui s’evidenzia, ma al proprio io, e questo è un atteggiamento arbitrario perché il campo appartiene al suo Creatore, alla Potenza che lo manifesta. Nell’atteggiamento esatto, impersonale, l’atto è in accordo con l’Interità tanto nell’ideazione quanto nell’esecuzione, e non si determinano distorsioni. In quello comune, egocentrico, c’è un’appropriazione dell’azione, ed allora l’errore ideativo, che generalmente non si accorda con la situazione generale in profondità o s’accorda soltanto in apparenza, ricade sull’agente esattamente come questi s’immagina: vuole gli effetti e li ha, anche se poi si dimostrano scompensati. La nostra attività, se mal concepita ed attualizzata, colpisce o disturba altri enti del samsara, a livelli differenziati ma concreti. Si creano quindi antagonismi ed opposizioni, che possono essere gravi e che si mantengono nel tempo determinando un desiderio di riequilibrio che assume, se mal concepito, l’aspetto della rivalsa o della vendetta. Inoltre, le forme pensiero delle aree coinvolte 62


giudicano con diffidenza e ostilità chi le abbia ostacolate o ferite (e non importa quando), e desiderano neutralizzare la ripetizione di quell’evento. Peggio, se – considerandosi un possibile oggetto di identica attenzione nella consapevolezza di aver compiuto un arbitrio – vogliono evitare il pericolo della rivalsa. Possiamo considerare che il karma è sempre e comunque “Mente”, e che presuppone quindi il soggetto senziente. In quest’ottica il karma, generale e particolare, è condotto ad emersione dalla situazione dei campi d’interferenza e dagli atteggiamenti dei singoli personaggi che li conformano. Atteggiamenti che, nell’area della nostra comune esistenza, sono ben lontani dalla Misericordia di Dio. Dio non crea né sostiene l’effetto karmico: lo subisce per amore, come testimonia la Croce di Gesù. Dio è Perdono e non altro: ma vuole condurre la Sua creazione all’esito più reale, ossia alla Sua intenzione. Se la creatura non sa ritrovare la propria identità per scelta d’amore, sarà l’esperienza delle proprie azioni ad agire in dissuasione. Il tempo che impiegherà sarà quello che essa si darà. La difesa contro gli effetti karmici è l’impersonalità dell’azione, il non attaccamento agli esiti: questo è valido anche nei confronti del karma preterito, ed impedisce l’insorgenza di nuovi debiti. L’atteggiamento d’incentramento in Dio elide tutto il possibile, ma in tempi che – rapportati alla nostra attuale esistenza – possono sembrarci molto lunghi. Infatti, la risoluzione del debito karmico implica la pacificazione o l’allontanamento delle entità che ne alimentano l’incidenza, solitamente molto tenaci ed implacabili. E certamente non stabilizzate nell’Idea Basale: anzi. Sono, in effetti, entità molto egocentriche, che ignorano il Dio sopra di loro, come insegnarono i maestri gnostici. E’ un problema gravissimo ed attuale. Ci ripetiamo: la sola difesa efficace e reale comporta l’intuizione dell’Unità ontologica a livello effettivo e non semplicemente intellettualistico. Cerchiamo dunque metodologie specificate, adattabili in generale e in particolare a quanti si inoltrino in un sentiero di ricerca. Sono concettualizzazioni utili almeno per il tempo necessario a maturare altre esperienze ed altre più pertinenti ideazioni. I°) Uno stato di serenità, e l’assiduità nel conservarlo. Questo è il necessario presupposto d’ogni attività in ambito esoterico e sottile, e non sarà mai abbastanza raccomandata la sua attualizzazione. II°) La capacità di riequilibrare i diversi aspetti dell’organo autorappresentativo, ed in particolare il centro di controllo interiore delle funzioni fisiche, nel caso, alquanto comune, che scompensi di varia natura ne insidino la funzionalità. Questa è una capacità di tipo introspettivo e meditativo che esige la presenza ed il sostegno del Maestro Atmico, e mira a condurre equilibrio prima nell’ambito psichico, per poter poi modificare, di conseguenza, quello più denso. Si energizza e si rasserena il proprio Jesod interiore, facendovi confluire fattori energetici reali dell’Interità (delle sue quattro guaine) con opportune introspezioni e – talvolta – visualizzazioni. 63


Quando la guaina eterica individuale principierà ad assorbire le energie più armoniose della vita, si produrrà un dinamismo della coscienza (ora adeguatamente sorretta nelle sue formulazioni generali) capace d’influire sulla stessa forma, e non solo su quella. III°) L’indirizzo di energia sottile (prana) verso un punto specificato del proprio corpo (assorbendo l’energia dell’Interità e convogliandola dove vi sia disfunzione o malattia) è scelta direzionale del soggetto, e attività del Maestro atmico. Quest’assunto indica l’importanza fondamentale del rapporto coerente con il Centro interiore nell’esatta ideazione d’amore. Il prana è energia vitale a stato sottile e purissimo, e in quanto tale può considerarsi il primo tessuto connettivo di qualsiasi aspetto vivente e dotato quindi di forma. In ogni danno fisico sussiste sempre la carenza di prana, e conseguentemente le altre energie del complesso psichico e fisico che formano la persona sono variamente impedite ed ottuse. Se immettiamo il prana nelle aree squilibrate, esse tendono a riprendere la loro normalità e a risolvere il loro problema. Infatti, la tendenza basale di ogni ente è quella del mantenimento e del recupero della propria normalità, se quest’ultima è vulnerata. A questo proposito specifichiamo due dati: l’atto di volontà è indispensabile, e si concreta nel fermo rifiuto di ogni scompenso, il quale ricade sempre oltre la sfera personale nell’Uomo globale. Questo rifiuto deve sapersi esprimere in un profondo atto d’affidamento al Padre, mantenuto con equilibrata fermezza: senza tracce di ribellione e di paura nei confronti delle forme/pensiero che possano aver contribuito a determinare l’accadimento, e nella certezza che la Misericordia di Dio ci aiuterà nei limiti che le consentiamo. Limiti attuali, soprattutto karmici, i quali ci relazionano con il Continuum in cui viviamo. Confluiscono così nel nostro atto di scelta tutti gli aspetti del processo evolutivo che ci siamo conferiti, in particolare l’intelligenza dell’Amore, cosmico ed immanente, che è il supporto ed il sostegno di ogni creatura oltre le sue storiche imperfezioni. L’allievo deve saper volere: la volontà in senso iniziatico è identificazione con l’Albero della Vita ed i Suoi fini, oltre qualsivoglia istanza egocentrica. Nel caso di danni fisici, il corpo è esattamente considerato quale strumento d’emancipazione e Tempio dello Spirito (microcosmo nel Macrocosmo) e la sua funzionalità è ricercata in una visione ed in una direzione che escludono le gratificazioni esclusivamente individualistiche. Ma si può, e si deve, essere felici di ritrovarci in Dio e nella Vita che Egli ci dona, e viverla pienamente. Ne parleremo. La partecipazione all’esistenza secondo le nostre vere capacità è elemento fondamentale della nostra emancipazione, ed è bene – per quanto ci sia possibile – che tale stato sia sostenuto da un fisico adeguato, indispensabile strumento di contatto con il campo esistenziale. Da questa constatazione deriva la cura che lo Yogi indirizza con naturalità al suo 64


corpo, esente da narcisismi e sostanzialmente indirizzata alla Vita, nelle sue estrinsecazioni presenti e future. 13) Considereremo adesso un ulteriore aspetto dell’Evento manifestante che è poi il primo in ordine logico. Il Tempo. Abbiamo sommariamente esaminato il Fattore Causale, i metodi, le Potenze ed alcuni elementi dell’intero processo, cercando contemporaneamente di fornire alcuni dati molto eterogenei, che tuttavia riteniamo utilissimi per la corretta concettualizzazione del nostro tema. Poiché il tempo è la specifica dimensione della nostra esistenza e di tutta la Manifestazione, tentiamo d’illuminare la comprensione di questa modalità autorappresentativa, che è tanto differenziata ai diversi gradi di vita formale da rendersi fra le più elusive e difficili da puntualizzare in un’idea unitaria. Il Tempo: tentiamo dunque di definirne il concetto, e nel farlo ci rendiamo conto che è praticamente impossibile individuarne uno unitario. Chiamiamo con il medesimo nome, aspetti tanto differenti di quest’elemento del campo formale che rischiamo solamente di far nascere confusioni se vogliamo poi utilizzarli per comprendere davvero il fenomeno. Occorre dunque distinguere, considerando che il Tempo varia al mutare delle zone dimensionali, e che veramente non esiste che nell’Uno senza Secondo, il Brahman. Il Tempo è, infatti, un modulo espressivo, il principale, del momento dinamico divino, ed è quindi relativo al livello d’espressione che consideriamo. Per affrontare dunque il quesito con un qualche tipo di chiarezza considereremo quello che giornalmente sperimentiamo: il Tempo di Malkuth, il nostro Tempo. Proviamo dunque ad individuare le sue caratteristiche più evidenti. Dalle nostre considerazioni trarremo poi un’idea unitaria, o almeno sufficientemente esplicativa che consenta un approfondimento sul piano conoscitivo. Il jiva si conferisce una rappresentazione di sé e del proprio campo vitale che dipende dai sensi e dall’elaborazione susseguente dei dati, tramite lo strumento interiore d’apprendimento (Ahaṃkāra: ciò che fa l’io). Questa rappresentazione non è arbitraria, ma determinata dal modo di concepirsi dell’Interità, che è dominato dalla Legge Causale. L’attività di questa Legge implica il divenire (soluzione del fattore causante nei suoi effetti), e questo divenire, proiettato nello schermo della coscienza, appare procedere in modo uniforme, tanto da poter essere suddiviso in periodi fissi come gli anni, i giorni e le ore. Poiché tutta la Manifestazione ha un andamento ritmico, l’uomo è abituato alla scansione della sua esistenza in periodi più o meno lunghi, contraddistinti dalla ciclicità. È ovviamente un artificio derivato dalla particolare funzionalità dell’organo interiore il quale, appartenendo al manifestato, s’esprime coerentemente in un suo particolare ritmo. Quanto tuttavia indicammo sul reale contenuto dell’Atto emanante 65


(lo svelamento di un Archetipo tramite la progressiva attualizzazione delle virtualità contenute nell’Idea basale) ci suggerisce che questo processo rappresentativo sia valido soltanto per il grado d’autocoscienza che in esso si esprime (relatività dell’esperienza) e che il Tempo costituisca in sostanza una dimensione dell’anima, come ci disse Sant’Agostino. Questo tipo di considerazioni ci induce ad una conclusione: il tempo dell’iniziato non è quello dell’adepto, ed entrambi differiscono da quello che sperimenta l’uomo comune. In conclusione, constatiamo che, nell’ambito del mondo dimensionale, esistono molte variazioni dello stesso fenomeno, tutte dipendenti dal tipo d’autocoscienza che le determina. Tentiamo allora di precisare meglio il concetto di tempo attuale, ossia valido per coloro che condividono la nostra dimensione. Il Tempo è il processo rappresentativo del reale ed esiste nel jiva ed oltre il jiva stesso: egli, infatti, vede fuori di sé questa sua autorappresentazione per la limitazione esercitata all’organo di riferimento - l’io sempre rivolto all’esteriorizzazione, e per l’assorbente motivo che la stessa persona è un elemento della globalità (Uomo totale, Adam), e sussiste in quest’ultima. Noi dunque vediamo fuori di noi lo scorrimento di una realtà oggettuale che è in sostanza il modo di rappresentarsi dell’Adam, e della quale siamo intimamente partecipi in quanto suoi elementi costitutivi. In effetti, cosa sia la Realtà in se stessa è oltre la nostra capacità di percezione e richiede, per una più adeguata conoscenza, la liberazione progressiva della persona ed in generale dell’Adam. La nostra Realtà è in effetti l’Albero della Vita compreso nel suo profondo significato simbolico d’estrinsecazione della Volontà divina; è in termini sintetici Dio in quanto Creatore. Conoscendo quindi il senso del Simbolo, i suoi Centri ed i Sentieri, e approfondendo l’intuizione delle sue modalità espressive, l’uomo conosce se stesso come elemento dell'Assoluto, e comprende l'Idea, l'Ideatore, e il processo dell'ideazione. Acquisisce allora una più esatta definizione del cammino esistenziale e della sua esatta esperienza. Finché l’uomo non sia capace di questo, l’esperienza della realtà “esterna” si renderà alquanto imprecisa ed in genere molto illusoria, e considererà il mondo oggettivamente separato da lui, “altro”, soggetto ad un divenire casuale, incontrollabile e ritmico, che subisce passivamente e con sicura sofferenza. Occorre allora renderci conto della necessità di un approfondimento dei concetti generali che – più o meno consapevolmente – utilizziamo nella nostra ricerca di conoscenza, per indirizzare in formulazioni finalmente adeguate la nostra esigenza di verità. E’ forse utile osservare che questo nuovo stato è necessario per compiere una scelta di direzione precisa, che altrimenti sarebbe vanificata dalle approssimazioni e dai preconcetti che la falserebbero inevitabilmente. Se il nostro tempo è contraddistinto da un apparente scorrimento casuale e da una sottostante incidenza karmica, è certo che in zone più elevate e più oggettivamente reali esista un altro tipo di autorappresentazione, che determina una percezione del Tempo, in misura rilevante, diversa dalla nostra. Occorre intenderci. Il possesso del corpo fisico – tipico della creatura che 66


impersona un limite – implica un certo atteggiamento dell’interiorità ed il modo dell’autorappresentazione. Le persone che, per esempio, fanno esperienza del periodo intermedio intercorrente fra la morte fisica e la successiva rinascita, sono sempre e comunque nella dimensione esistenziale, e quindi percepiscono il campo come tridimensionalità: non sono “puri spiriti” privi di forma che aleggiano in una zona vacua ed indeterminata. La loro autorappresentazione conferisce sempre consistenza alle percezioni del campo, che avvengono secondo le strutture mentali già acquisite, finché esse non siano opportunamente corrette. Notiamo a questo proposito che esse non si ritrovano, nella loro coscienza, in un ambito direttamente analogo alla Sephirah Jesod la quale, pur essendo il “doppio eterico” del più consistente Malkuth, è oltre e prima di quest’ultimo se valutiamo il Glifo come simbologia del processo emanativo. Quando, nei nostri appunti, accenniamo a Jesod, la consideriamo – generalmente e legittimamente – quale punto di convergenza oggettiva delle aree dimensionali soprattutto femminili che gravitano su altre: quelle separate dalla “caduta” che ha appunto infranto l’unità dell’Adam. L’Albero della Vita può essere letto in molti modi, che dipendono dai punti di vista adottati. Non confondiamo, allora, il Bardo (zona intermedia) con un momento del dinamismo manifestante, valido tanto nel particolare che nel globale, e che acquista rilievo proprio nella comprensione del processo formativo. Il Bardo è tridimensionale e formale, ed è comparabile, in innumeri variazioni, con la nostra zona. La persona che ha abbandonato il precedente corpo (annamayakosa) si ritrova dunque in una zona intermedia tra i due momenti di morte e rinascita: non è più nel mondo fisico che noi conosciamo e non si ritrova in altri settori della Manifestazione che siano oltre i suoi mezzi di percezione e di rappresentazione. I quali strumenti determinano comunque la forma generica del nuovo campo sulla base della realtà interiore che li esprime. Il tempo allora permane pressoché immutato, e le differenze eventuali dipendono dalle sussistenti capacità del soggetto senziente. Con un certo rigore, possiamo affermare che la persona rientra nella percezione temporale della nostra comune esperienza. Queste affermazioni ci portano dunque a considerare il nostro mondo per quello che effettivamente è: un archetipo dell’Interità in formazione (Malkuth) ma disperso su vari livelli, concepibile comunque secondo il simbolismo che abbiamo tentato di suggerire. Soffermiamoci adesso su più dettagliate considerazioni. Ognuno di noi sa che lo scorrimento del tempo dipende dallo stato generale del periodo d’esistenza considerato: momenti vissuti che a taluni possono apparire lunghi, ad altri, in differenti situazioni, sembrano brevi e fuggevoli, e viceversa. Basterebbe questa semplice osservazione per metterci in guardia sull’inadeguatezza del concetto d’uniformità temporale (valido per i nostri strumenti di misurazione), ma c’è di più. Il discepolo che pervenga ad un certo grado di maturità può derivarne, tra le altre, un’impressione molto sgradevole, legata da un lato al suo parziale risveglio e dall’altro alla permanenza dell’aspetto egocentrico nella sua autorappresentazione interiore. Ha, in altre parole, la sensazione dell’irrealtà del tempo ed insieme di 67


un’accelerazione del suo scorrimento: come se egli, spettatore, vedesse condensarsi e dissolversi il proprio ambito vitale in continuazione, senza poter in alcun modo interferire significativamente in questo fenomeno di vanificazione costante. E’ un momento transitorio che prelude all’apertura di un più reale ed interiorizzato contatto con la Trascendenza, ma la durata del quale è, a priori, imprevedibile. Accenniamo a questo particolare stato perché le nostre parole possano essere ricordate in simili frangenti: anziché allarmarsi, l’allievo dovrebbe gioirne perché essi preludono ad un passo decisivo nel sentiero dell’emancipazione. Occorre affidarsi al Padre con maggior intensità, ed osservare – dirigendolo interiormente – il fluire delle rappresentazioni. Presto o tardi, presumibilmente, lo contemplerà nell’intimità del suo Centro, e lo comprenderà per quello che è e rappresenta: ne sarà il Testimone e, in un certo modo, il gestore. Ricordiamo a questo proposito quanto dicemmo del “Liberato”, Signore del Samsara e del Nirvana, e non perché si sia reso una personalità dominante nel proprio nome, ma semplicemente una pura modalità del Padre: la sola vera Realtà della quale tutte le relatività sono egualmente partecipi perché vivono in Essa, e si collocano in Lei come vibrazioni definite. Questo è poi il senso del mantra “So aham”, tanto ricorrente (ed importante!) nei procedimenti meditativi: deve essere vissuto, vitalizzato e proiettato in sé alla luce dei suddetti principi, perché possa costituire un potente mezzo di liberazione e d’integrazione con la Realtà. Nell’ambito sephirotico, il Tempo pertanto diverge da quello tipico dell’uomo comune, e “dovrebbe” essere identico a quello noto agli Iniziati. Non dobbiamo dimenticare, a questo proposito, che la “tridimensionalità” è la Decima Sephirah, ricettacolo di tutti gli influssi del Glifo e che noi la percepiamo, ora come ora, con approssimazione e difficoltà a causa dell’oscurità in cui è precipitata la nostra coscienza. Qual è allora questo Tempo Sephirotico? Ed in cosa diverge dal nostro? Esaminiamo preliminarmente alcuni temi, e poi cerchiamo di dedurre da essi un principio interpretativo. Il Tempo di Malkuth è genericamente conosciuto come un lento o accelerato processo di mutazione dello stato originario, ed un progressivo sfaldamento dell’esistente e successiva condensazione in nuove forme, originate da questo passaggio e che in varia misura rinnovano il ciclo. Esistono varie modificazioni del globale, ma ad intervalli normalmente rilevanti e per lo più dovute all’interferenza dell’attività umana; tutto scorre, e la felicità sembra ritrovarsi soltanto nell’attimo fuggente, passeggera ed effimera come tutto quello che appare e scompare all’occhio del conoscitore. E’ in tal modo che, di norma, gli uomini avvertono e concepiscono la dimensione temporale: esterna, inarrestabile, talvolta benevola ma più spesso infida e spietata: sempre incomprensibile. Abbiamo detto, poc’anzi, che il Tempo è invece il modo di rappresentazione che il jiva ha di sé e della realtà vissuta; è uno stato d’animo, un flusso interiore, una 68


distensione e una contrazione dell’aspetto manasico e talvolta spirituale, se ci riferiamo nel giudizio a presupposti che attengono al simbolismo archetipale più volte ricordato. E’ opportuno allora riferirsi al concetto ebraico di Ruah, ed in Ruah è ben viva la dimensione temporale dell’esistenza. Ruah però informa ed influisce sulla sottostante Nephesch così come sul sovrastante Neshamah: l’individualità evolutiva, non emancipata, possiede dunque una percezione manasica (mayanica) dei sui moti coscienziali – immensamente complessi – che implicano la reciproca inferenza del singolo con il Globale, e d’entrambi con le Potenze Sephirotiche in essi stessi esistenti ed agenti. Chiariamo questo principio. Mentre l’uomo avverte, spesso dolorosamente, la fine delle proprie autorappresentazioni come “tempo” ed “esteriorità” (Maya), le influenze del Grande Glifo agiscono in modo da preparare il terreno ad una più adeguata presa di coscienza, ed a una conseguente migliore penetrazione dell’effettiva Realtà. E’, questa, un’opera all’inizio lentissima, che abbisogna di cicli d’esistenza successivi nel campo di Malkuth anche quando si delinea una vera autocoscienza, e che s’accelera notevolmente nel momento stesso in cui il soggetto principia ad affrontare, in senso realizzativo, il problema basale della propria esistenza. Notiamo allora il progressivo distacco dalle modalità percettive proprie degli uomini comuni perché, sotto l’influsso ormai evidenziato dell’Interità, nel jiva si modificano i parametri coscienziali di rapporto con il campo vissuto. Il tempo, dunque, è - o dovrebbe essere - un processo di decantazione dei primitivi modi dell’autorappresentazione che, mediante esperienze direzionate e lungamente necessitate a causa della legge karmica, induce ad acquisire la capacità dell’effettiva comprensione dell’esistenza e dell’Interità. Quando questo procedimento raggiunge uno stadio sufficientemente attualizzato cosa accade al precedente senso della temporalità? Non accade più nulla, nel senso che non sussiste e che si è semplicemente trasformato, nel cammino della liberazione, in qualcosa d’altro che ora occorre specificare ed esaminare per quanto ci è possibile. Il tempo è il flusso del processo d’evidenziazione del proprio contenuto potenziale nello schermo dell’organo interiore dell’autocoscienza, e conseguentemente esiste - nel modo che ci è noto - finché sussiste questo nostro particolare svelamento proiettivo. Il Tempo è la rappresentazione del nostro attuale dinamismo esistenziale. Quando il processo finisce, ciò dipende dal raggiungimento di uno specifico stato d’illuminazione interiore, ossia l’ente si è autorealizzato quale modalità del Reale (Brahma) con una particolare puntualizzazione, che lo rende unico e irripetibile. Egli è una persona libera, che può esprimere il proprio contenuto virtuale; conseguentemente non ha raggiunto la semplice coscienza di un potenziale espressivo, ma anche la capacità di manifestarlo concretamente. Egli è, in effetti, un microcosmo che contiene in sé un universo particolare e, avendo conseguito la 69


possibilità di evidenziarlo, si puntualizza in un vettore che esprime questo costante passaggio di elementi coscienziali da potenza ad atto. Esattamente come “opera” il Brahma in ideazioni illimitate e perfette, così l’ente resosi archetipo è completo e sufficiente nel suo momento attuale: questo è lo stato intimo che diremmo “statico” (ma vedremo poi che così non è) riferendoci all’altro, davvero “dinamico”, che tende naturalmente ad evidenziare le sue indeterminate, infinite virtualità, rendendole espressioni vive e creative dell’impulso che avverte in sé, quello di manifestare secondo i propri limiti e le proprie capacità la Volontà di Dio. Nel realizzato sussiste pertanto un “Tempo” interiore teso all’esteriorizzazione delle proprie valenze, costituito dal divenire di capacità informanti in progressivo approfondimento, e da un essere nel Padre assolutamente libero da ogni processo a noi noto. Tuttavia esiste qualcosa che è un aspetto, il più alto, della dimensione dell’Illuminato e del momento dinamico del Padre, del quale l’archetipo è – ricordiamolo – un aspetto reale. Egli, pur essendo unito all’Assoluto e con gli altri Suoi aspetti (è, infatti, un centro di condensata e cosciente spiritualità ed in tal senso “circoscritto”) non ha e non può avere, in quanto persona concreta, la comprensione totale del Brahma. Può certamente identificarsi con Lui nel samhadi, in un supremo “essere Amore”, ma in tal caso sussiste soltanto il Momento Divino incondizionato e trascendente, e l’archetipo si rende, pur mantenendo una specifica e misteriosa “coscienza”, virtualità dell' Ente Supremo. Ovviamente se è difficile intuire e concepire quest’armonia e quest’immensità di gioia vivente, è solo perché non si ha (ancora) l'esperienza rivelatrice del samhadi. In ogni caso l’Assoluto concede, per amore, questo stato ma – e qui ricompare l’immanenza della modalità temporale propria del momento dinamico – l’Idea personalizzata, che è eterna, deve in ogni caso saper agire come tale in una propria rappresentazione, in quanto è parte costituita a tal fine dall’infinita creatività dell’Essere. Ricapitoliamo: l’Idea/Archetipo illuminatasi è di per sé tesa ad identificarsi con crescente approssimazione nel Brahma pur restando tale, e questo è il processo divino dell’autorealizzazione che implica un percorso infinito, perché è in un Punto Limite dell’Infinito dove gli opposti (momento statico e momento dinamico, virtualità ed attualità) coincidono completamente. Quel “Punto” non appartiene alla creatura ma alla Suprema Coscienza, ed “è” la Suprema Coscienza. L’Archetipo tende ad identificarsi con il Padre, ossia a comprendere tutti gli Universi archetipici manifestati dall’Assoluto in Sé ed in Lui viventi, a fondersi con loro pur mantenendo l’ambito modale che lo caratterizza e, al limite, espandendosi incessantemente nel Divino senza negare mai la propria funzionalità ontologica. Questa realizzazione implica un arricchimento costante ed un analogo approfondimento della propria essenza, resa progressivamente più armoniosa e consapevole. Naturalmente, in questo processo di svelamento non esiste un “ego” che come centro di riferimento e di vettorialità del Sé, del quale è lo strumento operativo e 70


l’aspetto dinamico nel campo manifestato. L’Archetipo è immensamente consapevole del proprio stato/limite, che implica la coscienza d’impersonare un Atto di Volontà del Padre, il Quale s’esprime e si riflette con crescente incisività nelle volizioni del figlio. La fusione mistica delle parti con il Tutto/Uno è oltre la globalità della Manifestazione, è mistero comprensibile soltanto – ed insistiamo – nel più alto stadio della meditazione e come “dono”. E’ oltre le capacità della mente individuale. Più specificatamente, in quello stato abbiamo la prima reale conoscenza (sapienza) della vera “unità”. Nella storia, non più semplicemente umana ma piuttosto divina, degli Archetipi questa conoscenza s’approfondirà all’infinito e non cesserà mai di stupire e colmare di letizia le Idee incarnate, anche quelle che abbiano conseguito un altissimo livello d’universalità. Idee viventi, libere espressioni della Vita suprema che le ha generate. Esiste poi l’aspetto temporale implicito del Momento Dinamico di Dio, il quale attiva le proprie virtualità nell’emanazione di un nuovo Universo. Notiamo qui che il passaggio da potenza d’esistere ad atto è validissimo, ma è riferito al nostro stato esistenziale, in quanto le Idee divine, puntualizzazioni infinite della Suprema Coscienza, sono in sé stesse realissime: sono il Brahma. Nel nostro caso, se il Fluire temporale non tocca gli Archetipi del Padre nel senso sopra indicato, essi - fuori dal tempo e nella loro Coscienza -, si autolimitano nel Tempo dell’Universo per svolgere i propri compiti e determinano la costituzione di “Immagini” personalizzate che poi costituiscono le basi del nostro campo esistenziale: il Pleroma originale e fondamentale. Come ed in che senso debba interpretarsi quest’attività archetipica – divina e creaturale – e quali conseguenze comporti, cercheremo di indicarlo nel prossimo paragrafo. 14) L’autolimitazione è necessaria per alcuni fattori principiali, e costituisce la fonte di numerose contestazioni degli allievi stessi, ed in genere delle incomprensioni più diverse. Con molta attenzione dobbiamo allora analizzare quest’aspetto dell’attività archetipica, poiché un dubbio o una convinzione erronea si rendono facilmente un ostacolo non indifferente al cammino del ricercatore. Nella maggioranza degli uomini, che ovviamente non hanno o non avranno per lungo tempo le qualificazioni di un esoterista, ci è difficile incontrare un minimo di comprensione per la realtà dell’esistenza e del divenire dell’Albero della Vita. Quest’ignoranza del mondo in cui vivono e delle leggi che lo governano (le leggi della Forma sono un aspetto estremamente ripetitivo delle modalità espressive dell’Interità, dovuto all’intrinseca “cristallizzazione” del grossolano a cui ineriscono), condanna gli uomini comuni a cicli d’esistenze alquanto simili fra loro; quest’aspetto ricorrente è in ultima analisi il proseguimento nella vita formale singola del meccanicismo che domina questa nostra area, e deforma gravemente l’Idea 71


principiale del Padre. Perché dunque le Idee viventi – gli Archetipi – non espandono la loro presenza fra gli enti di Malkuth (questo “Malkuth”: ricordiamo per inciso che in questa prospettiva Malkuth indica l’Universo detto “fisico”, e non soltanto il nostro pianeta), per liberarli in tempi ragionevolmente brevi dal loro bagaglio karmico e dall’oscurità conseguente in cui tanto dolorosamente si dibattono? Perché le Sephirah e le Forme/Pensiero che ne derivano s’autolimitano in questa guisa, assumendo il più delle volte lo stesso piano coscienziale ed intellettivo degli uomini con i quali interferiscono? Dobbiamo riferirci al problema centrale della Manifestazione: la creazione (lo svelamento) di un Archetipo immensamente complesso, altissimo nel Padre, che deve acquistare coscienza di sé ed agire “come” Sua libertà nell’attività stessa dell’esistente. L’Uomo cosmico, ed i suoi enti individuati, riflettono, ora virtualmente ma alla fine concretamente, un Principio informante del Brahma e, essendo essi stessi l’elemento dinamico di quel Principio, devono acquistare la capacità d’esprimerlo nell’azione. Il Padre non desidera servi adoranti – e tra le altre cose questo implicherebbe un’inaccettabile concezione dualistica fondamentale – ma centri d’intelligenza viventi della Sua stessa vita secondo le loro capacità attuali, perfettamente in grado di manifestarsi come “funzioni” dell’Assolutezza per concretizzarne la volontà. Conseguentemente, è indispensabile che gli Archetipi imparino a reggersi adeguatamente su se stessi con il solo sostegno divino, senza abbisognare di null’altro. Questo è l’altissimo fine dell’Interità nei confronti dell’Adam, ed a tale effetto tutto è indirizzato e convergente. La Sapienza di Dio ha perfettamente saputo dall’origine le possibili insufficienze dell’Uomo, e quanto gli fosse necessario un aiuto per nascere alla coscienza dell’autogoverno; ha conseguentemente saputo che quest’aiuto doveva essere tale da consentirgli di conquistare, con il determinante apporto delle proprie libere scelte, l’indispensabile autonomia. Questo fattore, bene inteso, conduce all’intelligenza del comportamento delle Idee basali ed alla comprensione del tipico contatto che esse instaurano con gli uomini ed il loro mondo, soprattutto all’inizio del processo d’istruzione. Possiamo identificare, infatti, tre fasi nei rapporti fra le entità evolutive (enti, jiva) ed i loro Istruttori, i quali sono – quando veramente tali! – proiezioni personificate (e reali) delle Sephirah, in particolare e necessariamente di Tiphereth e Chesed, con caratterizzazioni normalmente determinate dall’inferenza reciproca di questi due Centri. L’Istruttore è un aspetto del Glifo, ed agisce impersonalmente. In quanto tale è tuttavia intensamente capace d’esprimere amore e comprensione per l’allievo, assumendo qualificazioni tali che – pur appartenendo a un precedente iter evolutivo e quindi limitante del suo vero stato – possono renderlo immediatamente comprensibile ed accettabile per la normale intelligenza. 72


Questo Maestro racchiude in sé la luce delle Sephirah e conseguentemente richiede, per un incontro al suo livello, la qualificazione dell’adepto. All’inizio del rapporto apparirà quindi semplicemente come un compagno più saggio, un insegnate qualificato e piuttosto critico. Essendo un’Entità straordinaria ed alquanto astratta agli occhi dell’allievo, questi da un lato s’aspetta comportamenti eccezionali ed emozionanti, mentre dall’altro lato incontra difficoltà ad inquadrare e ad assimilare la sostanza di un tale incontro. Se l’Istruttore concedesse spazio alle attese del discepolo, il rapporto finirebbe in un binario condizionante e subirebbe un inevitabile scadimento, tale da poterlo rendere ad un certo punto come “morto”. L’allievo chiederebbe e poi pretenderebbe informazioni d’ogni tipo. Notizie, dati e previsioni, eventi insoliti e molte altre cose poco importanti, e perfino futili ai fini dell’emancipazione reale e tutte capaci di fraintendere le vere potenzialità dell’incontro. Se l’Istruttore accondiscendesse a queste richieste, il rapporto con l’allievo potrebbe scadere perfino nel grottesco, e certamente il jiva non imparerebbe la metodologia per attingere personalmente a queste possibilità. L’istruttore conseguentemente deve ridursi in apparenza al livello conoscitivo ed operativo del suo allievo, e rappresentare in tal modo uno “specchio” in cui egli possa riflettersi, ed imparare a conoscere i propri limiti ed i mezzi per superarli. Poiché in tal guisa l’azione è condotta a livelli molto sottili, le metodologie sono delicate ed interferiscono necessariamente con aspetti insospettati della psiche e dell’inconscio dell’allievo. Le inevitabili frustrazioni e gli incoraggiamenti, le molte “promesse” disattese e le concessioni – indirette alle volte, ma sempre significative –, i frequenti trabocchetti o un insospettato aiuto concreto s’alterneranno costantemente ed a lungo in quest’insegnamento della libertà interiore, necessario presupposto di quella fattuale, finché l’allievo non avrà imparato a far ricorso costante alle personali risorse interiori, ai Principi ideali ed alle esatte interpretazioni degli accadimenti esistenziali. In tal modo si raggiungerà la necessaria attenzione a quanto ci concerne, la capacità della discriminazione e del ragionamento induttivo e deduttivo fondato sull’intuizione e la sintesi. Quando il discepolo acquisisce l’indispensabile maturità, l’Istruttore può indicare nuove strade, più serene e realizzative; l’alunno, infatti, può procurarsi quello che prima chiedeva, sia pure con fatica ed incertezza. In questa fase l’Istruttore, vagliata la preparazione effettiva e generale del suo affidato, può impegnarsi a renderlo “operativo” in senso esoterico, concedendogli più apertamente una conoscenza dell’Interità in cui esiste. Così possono attenuarsi o cadere le primitive preclusioni e finiranno le incertezze e i tanti conflitti interiori nel lucido comprendersi come modalità e libertà dell'Albero. L’allievo potrà comprendersi con progressiva incidenza per quello che in effetti è: una libera modalità dell’Interità, capace d’agire positivamente nel proprio campo naturale. Pensiamo che il lettore abbia, a questo punto, un quadro sommario dei problemi che incontra o incontrerà con il suo Maestro, ed una provvisoria spiegazione per 73


molti quesiti che ne conseguono. Occorre allora analizzare più dettagliatamente il metodo dell’Archetipo, tanto nella sua azione generale quanto nelle particolarità di volta in volta assunte per uno scopo specifico. 15) L’Archetipo agisce per interferenza e nei modi consentiti dall'Uomo Globale e ciò accade finché il jiva, dopo un opportuno tirocinio e un'adeguata preparazione non è in grado di integrarsi con gli aspetti più alti dell'Adam Cadmon, che in notevolissima misura si identificano con gli archetipi stessi. Ne rimane fuori, infatti, il contenuto originale dell'Archetipo nascente, che verrà aiutato ad espandersi fino al piano realizzativo dell'ideazione divina. Coloro che possono giungere a tale realizzazione sono in ogni caso ben pochi rispetto alle moltitudini degli esseri viventi, oscuramente immersi nel fascino mortale della maya degenerata, ed attirati dalle lusinghe ingannevoli e pericolose dell’egotismo. Ne consegue che proprio a questi “iniziati” sia quindi affidato il compito fondamentale degli Archetipi, quello d’aiutare i fratelli dispersi nel divenire samsarico ad emanciparsi e a risvegliarsi dal loro sonno mortale. Gli iniziati, da che mondo è mondo, hanno costituito un baluardo contro l’insaziabile bramosia di possesso di un’umanità nascente a se stessa dopo una rovinosa “caduta”, e immensamente egocentrica. Quest’argine, ben poco conosciuto dalla generalità delle culture – fuorché in Oriente – si è tuttavia molto sgretolato negli ultimi secoli, e si è addirittura infranto là dove gli uomini hanno voluto identificarsi con la loro possessività. L’Occidente, allo sguardo sephirotico, è ora nudo ed indifeso dalla temibile insorgenza del suo stesso karma e dal potere maligno di quanti ostacolano violentemente l’emancipazione dell’Uomo della Terra. La cultura attuale, specie quella propriamente “occidentale” o che a questa s’ispira, ostacola nei fatti qualsiasi istanza spirituale, ogni vero moto dello spirito inteso al recupero della nostra naturalità e a un’integrazione effettiva con il Tutto in cui pure esistiamo. La scelta intellettualistica del “progresso” formale e materiale, cerca di trasformare quanti cadano sotto la sua egemonia coinvolgendo l'intero nostro pianeta, con esiti che ormai sono ovunque evidenti. Ne consegue che è proprio in quest’ambito culturale che è importante agire, nei limiti attualmente possibili, inducendo i più sensibili ad un riesame dei fini che ci vengono proposti, e al conseguimento dei mezzi adeguati per il superamento dei nostri comportamenti più distruttivi, nella ricerca di un’armonia naturale per la nostra vita. Gli Archetipi, dunque, si esprimono di regola attivando altri archetipi opportunamente istruiti, fornendo i mezzi necessari a quest’immane compito. Qui occorre fare attenzione: non si tratta di un conferimento di “poteri” eccezionali, da utilizzare in modo stupefacente e miracolistico per indurre le masse – loro malgrado – alla ricerca di un nuovo Eden. Il rispetto della libertà di scelta è fondamentale, perché se non si è capaci di “scegliere”, nulla sarà poi stabile e duraturo. Occorre, prioritariamente, formare delle personalità libere, delle coscienze reali ed equilibrate: 74


gli uomini devono svegliarsi dal loro sonno millenario e letale, ed incamminarsi con l’utilizzo delle proprie vere capacità verso un differente futuro. E' quindi un compito precipuamente formativo che gli iniziati, dal più giovane al più maturo e saggio, devono assumersi; anche se quest’impresa non può esaurirsi nell’informazione esoterica e nell’addestramento spirituale. L’operatore deve, prima di tutto, sapersi proteggere ed insieme proteggere il campo d’attività che gli è riservato; ciò non è facile, se consideriamo l’ambiente in cui di norma viene a trovarsi. Occorrono allora mezzi non ordinari, o il karma collettivo e individuale (non necessariamente dell'iniziato stesso!) sarà un ostacolo insuperabile. L’esperienza dei princìpi adottati è indispensabile o questi resteranno teorie, più o meno convincenti. Naturalmente questa sperimentazione richiede d’essere condotta in forme davvero precise e, diremmo, rigorose e richiede – per non disperdere fin dall’inizio preziose energie – una finalizzazione adeguata anche al conseguimento di effetti pratici. Gli iniziati impareranno l’utilizzo delle energie sottili e delle tecniche che consentono d’incanalare il potenziale posseduto verso la finalità prescelta, risvegliando con quest’attività anche le opportune valenze dell’Interità. Il Maestro, d’altro canto, farà quanto riterrà necessario per destare l’attenzione e le capacità dell’allievo, e per renderlo pronto tanto all’acquisizione che all’azione. Occorre molta fatica per puntualizzare un iniziato capace d’identificare, intuire, discernere ed agire nel brevissimo spazio di un pensiero, ed ivi cogliervi gli aspetti del campo esistenziale più veri nelle loro profonde qualificazioni, modificandoli con cosciente impersonalità per adeguarli all’Idea fondamentale. In quest’attività esoterica l’agente si costituisce come una modalità operativa del Glifo, ed agisce principialmente per un fine generale, ed in tal modo può avere un accesso ad energie dell’Interità. Non possiamo indicare, ora come ora, le fonti specifiche di queste valenze, che verranno di volta in volta evidenziate ed utilizzate; possiamo in ogni caso precisare che, se l’operatore è veramente qualificato e considera necessario o semplicemente opportuno interferire, non c’è campo che possa considerarsi a priori escluso, ed il solo limite è rappresentato dal suo stato di realtà nei confronti del globale d’appartenenza. Il problema non è insito nell’attività esoterica in sé stessa, ma verte piuttosto sull’identificazione delle risultanze in lei implicite, le quali devono evidenziare un concreto incremento di libertà nel generale e nel particolare e non un risultato effimero ed opinabile, che all’opposto determinerà facilmente un effetto distorto. In questo caso il problema, anziché essere risolto, si ripresenterà presumibilmente aggravato alla prima occasione capace d’attivarlo. Il fine dell’Iniziazione è l’emancipazione dell’Uomo (Adam) negli uomini, e non la loro gratificazione più o meno temporanea ed illusoria: se un evento è capace di determinare un positivo effetto – prioritariamente a livello di Spirito – dal quale consegua una presa di coscienza ed una rinnovata libertà di scelta, è auspicabile il suo accadimento a fini generali e particolari, e quindi occorre sostenerne ed agevolarne la realizzazione. Se, all’opposto, è prevedibile che esso risolva semplicemente un fatto 75


contingente senza poter agire nel profondo (ed in tal caso la stasi interiore non presenta modificazioni, e le cause della sofferenza permangono probabilmente aggravate) l’interferenza esoterica alla lunga si rende più lesiva che utile ed è da evitarsi, sia pure con sincero dolore e profonda compassione per lo stato della personalità considerata. L’esoterista deve necessariamente agire in quest’ordine, nel quale i vantaggi particolari emergono naturalmente da una chiarificazione del contesto generale (la norma dell’azione deve cioè costituire un valore impersonale); tuttavia il campo dell’attività possibile è enorme. Egli cerca di portare pace ed amore a coloro che incontra, vuole ristabilire gli equilibri turbati; a tal fine reperisce mezzi e metodi adeguati, impensabili ai più, e – ad imitazione del Cristo Gesù – può nel proprio piccolo ambito aprire porte insospettate alla speranza dei fratelli. Non può mai, al contrario, rendersi complice a qualsiasi titolo del loro conformismo, della sordità alla Parola di Dio e della mancanza d’intelligenza per l’amore e per la vita. Il fine non giustifica mai i mezzi, i quali devono sempre essere coerenti con lo scopo prefisso, giustamente identificato. In questi principi s’identificano i veri spazi dell’attività esoterica e, naturalmente, i limiti che gli Archetipi pleromatici incontrano nei rapporti con l’Uomo e con l’Interità, della quale fanno parte. Rispettando questo principio di libertà, di non interferenza coattiva nelle scelte altrui, tutto – anche ciò che apparirebbe impossibile alla nostra limitata ragione – può essere realizzato: nel tempo suo proprio e nel modo coerente con l’immanenza del Padre. Esaminiamo allora il nostro massimo impedimento: il fattore karmico che s’evidenzia progressivamente nella sua oscura distruttività. Nel corso dei lunghi millenni che precedettero la nostra era, gli uomini (a molti livelli d’esistenza) commisero enormi arbitri, e restarono troppo sordi alla voce di quei Maestri che pure additavano il cammino della salvezza. Notiamo qui che il bene generale si fonda sugli stati dei singoli, e che se questi ultimi si dimostrano caparbiamente incoercibili, l’unica conseguenza possibile è la discriminazione fra il reale e l’irreale, ossia la separazione – come indicò Gesù – del grano dalla gramigna. Se era (forse, e come?) necessaria un’esperienza egocentrica per conoscerne le implicazioni e superarle, quanto fu compiuto travalicò immensamente i limiti personali e generò una tensione karmica crescente. Per moltissimo tempo (eoni, cicli) queste cariche distruttive restarono quasi latenti, pur scaricando l’eccedenza intollerabile in eventi più o meno ricorrenti e ripetitivi, che la nostra stessa memoria storica rammenta con angoscia. Gli uomini tuttavia, passati i momenti di crisi, non seppero e non vollero recepirne l’insegnamento, rinnovando così le loro perniciose espressioni d’intenzione e di comportamento. Finché il quadro generale “appariva” immutato o quasi, in un ambiente genericamente incontaminato almeno nei suoi fattori essenziali, si ritrovavano spazi capaci d’assorbire e dissipare gli effetti più scompensanti, nella prevalente armonia del nostro pianeta. Certamente, ed ignote ai più, esistevano e s’accentuavano le condizioni di una futura crisi (il Kali-Yuga), ma 76


esse non s’evidenziavano a livelli immediatamente distruttivi. Le epidemie, per esempio, anche se estese a livello mondiale, potevano decimare la popolazione ma creavano contemporaneamente anticorpi capaci, in alcuni, di consentirne l’esistenza. In effetti, l’uomo utilizzava riserve energetiche ancora efficaci e notevoli. Il quadro oggi muta. L’intero pianeta, nel precedente secolo ed in questo primo decennio del nuovo, è offeso e devastato, così come degradate e fuorviate sono le coscienze di tanti. Sono scomparse, nell’indifferenza dei più, migliaia di specie viventi che erano sopravvissute fino ad oggi nonostante le grandi mutazioni climatiche e storiche; l’uomo stesso ha perso in profondità la propria integrità fisica (le malattie più gravi indicano spesso proprio l’incapacità basale di conservarla), e quella psichica ci appare progressivamente deviata e snaturata oltre le nostre “ragionevoli” previsioni. Questi fattori sono nuovi, ed insieme costituiscono un vettore direzionato all’autodistruzione. Se non freniamo la tendenza oggi dominante, emergerà un ostacolo alla permanenza dell’uomo del nostro pianeta nell’Interità, con conseguenze comprensibili solo dall’iniziato e dagli Archetipi del vero Pleroma (quello falso, il “pleroma” demiurgico, è cieco e sordo a questi problemi che pure lo toccano direttamente). Diciamo tutto questo per togliere dubbi sulla condizione attuale, e sulle previsioni per i prossimi anni: quanto oggi si intuisce non tarderà a manifestarsi e ad esprimere una potenzialità intollerabile di sofferenza. Occorre agire. La situazione sarebbe disperata ed oltre il rimediabile se l'uomo fosse realmente (come da molto arrogantemente s'afferma) un'entità separata dal tutto, e responsabile solo verso il proprio egocentrico vitalismo. Fortunatamente – e nonostante queste distorte ideazioni – le cose non sono così: l’uomo è parte di un Universo unitario, il quale può esprimere ben più di quanto egli ora rappresenti. Per quest’essenza e per queste finalità possiamo credere che i mezzi di cui avremo un giorno disponibilità siano in grado di superare l’ostacolo karmico e le devastanti infiltrazioni della contro-iniziazione. Crediamo di poter serenamente affermare che l’Albero della Luce attendeva, non inerte, questo momento, e che da sempre Egli possiede le forze adeguate per controllarlo e risolverlo. Se l’iniziato possiede un cospicuo e pesante fardello di conoscenze e responsabilità, egli tuttavia non è solo perché, in effetti, è una vivente espressione dell’Amore fondamentale che non abbandona mai i Suoi figli. Appellandosi a questa Potenza (la suprema Chakti, la Madre) egli potrà intuire, operare e sperare nel miracolo di un risveglio che sia la salvezza degli uomini. Le più alte acquisizioni di un iniziato costituiscono “modalità” dell’Albero della Vita attivatosi in lui, ed egli e il Glifo hanno identità di natura; conseguentemente è tramite il potere delle Sfere sephirotiche che l’adepto agisce. E certamente non con un proprio “potere” soggettivo. In altre parole, l’azione è sempre il frutto di un’armonia instaurata fra il singolo ed il campo, in cui entrambi si ritrovano per perseguire un fine comune. Il vero “potere” dell’iniziato e delle Sfere consiste nella capacità di determinare questo stato unitario, quest’empatia di sentimento, finalità e 77


comportamenti che realizzano insieme la Volontà del Padre. Diretta conseguenza di questi principi è l’impersonalità che caratterizza gli esatti intendimenti di quanti agiscono a tale livello, determinando un potente flusso energetico teso al compimento delle loro opere, se questo requisito è rispettato ed attualizzato. Facciamo quindi alcune precisazioni sul concetto di “impersonalità”, per evitare ogni possibile incertezza. Agire impersonalmente significa non mantenere alcun aspetto egocentrico nel nostro cuore, ed amare nel modo integrale da noi più volte descritto, l’oggetto di ogni nostro intervento. Questa mancanza d'egotismo, che deve ritrovarsi tanto nello scopo che nelle modalità dell’atto iniziatico, è insieme distacco da qualsiasi acquisizione personale ed integrazione con l’Albero, nell'espressione più alta che questo ci offre: la funzione divina d’attivazione dell’Idea del Brahman. Occorre dunque “essere” l'Albero, ovviamente nei limiti del proprio campo e delle personali qualificazioni. Le doti iniziatiche più importanti sono l’umiltà, che non è acquiescenza e sottomissione ma esatta cognizione del proprio posto nell’Interità e delle individuali capacità (un attento esame di questo concetto dirà molto su noi stessi e su quanto nascondiamo nel nostro profondo); poi l'obbiettività rivolta sia a ciò che è esterno quanto al nostro mondo interiore, e che consente la precisa valutazione dei mezzi e dei modi per conseguire il risultato prefisso. Altra dote fondamentale è il totale distacco da questo stesso risultato che se da un lato è fortemente voluto, dall'altro è affidato alla Suprema Saggezza, ed al reale bene del nostro universo. Possiamo, infatti, non aver compreso nonostante i nostri sforzi, quel che era importante capire; possiamo aver velato d’emotività e passione le nostre ideazioni, possiamo non conoscere aspetti troppo “sottili” per la nostra capacità d’indagine. E’ facile e non necessario continuare quest’esemplificazione; quel che ci preme osservare è che lo scopo da noi perseguito appartiene all’Amore, e noi non possiamo comprendere tutti i disegni dell’Amore. E’ a Lui che ci affidiamo costantemente, così come l’esperienza concreta ci indica, ed a Lui appartengono sia l’attore che l’azione stessa ed il risultato. Qualunque esso sia, conserveremo immutata la nostra serenità e la pace interiore perché in ogni caso la nostra parte sarà stata fatta. Quest’aspetto, difficile da capire e soprattutto da mantenere, non rappresenta una razionalizzazione degli insuccessi, ma la chiave del metodo oggettivamente realizzativo che può condurci oltre ogni possibile previsione. Ripetiamo: l’iniziato, quando agisce, agisce sempre come modalità del Tutto/Amore ed in pieno affidamento al Principio. Se questa norma non è osservata, possono aprirsi inquietanti “porte” su strade incerte ed oscure, che è bene tanto conoscere che evitare. Quest’indicazione spiega perché, nel sentiero esoterico, occorre affrontare anche gli aspetti involutivi e demonici dell'Interità: non è infatti possibile comprendere l’abisso se non lo si conosce, e non è possibile amare quei principi vitali enormemente oscurati che vi dimorano se non si comprende la loro totale miseria. 78


Lo Yoga è, a questo proposito, un’istruzione completa di concetti e di metodi. Il lettore sappia comunque che il coraggio e la luce interiore non ci sono semplicemente utili ma indispensabili per il cammino verso l’affrancamento dal dolore, e che egli stesso dovrà darseli al miglior grado possibile se vorrà rendersi adulto quanto basta per assolvere il compito affidatogli dalla Vita. Pensiamo a Gesù crocifisso: Egli è l’esempio perfetto, anche se ben difficilmente un adepto incontrerà quelle terribili offese. L’Amore divino non vuole martiri ma uomini liberi e sereni, e non possiamo renderci tali se non sappiamo, quando occorre, lottare. Il compito che il Nazzareno prese nelle Sue braccia fu il “suo” compito, e lo assolse integralmente: in un modo davvero incomprensibile senza il suo stesso aiuto. Egli rese possibile la riconquista della libertà principiale, ma volle anche che i figli incontrassero soltanto in circostanze particolari, liberamente assunte, la diretta ferocia dell’involuzione e dell’ignoranza. I Martiri furono eroi, ma forse non era richiesta l’abnegazione che li condusse nelle arene e nei circhi di Roma. Furono indotti a tanto da ideazioni in sé nobilissime, ma assunte senza la necessaria visione globale del problema. Queste nostre considerazioni non tolgono nulla al loro sacrificio, ma certamente desiderano chiarificare il cammino dell’emancipazione, liberandolo da concettualizzazioni troppo radicali, che alla lunga lo rendono astratto e disarmante. Gesù è venuto per tutti, anche se attualmente il Suo messaggio è accolto da pochi. Egli agisce nel tempo, nell’infinito tempo della Manifestazione. Vogliamo ribadire questo concetto: il ricercatore deve tendere all’equilibrio, alla conservazione dell’esistenza, al superamento delle sue conflittualità nell’armonia e nell’amore. Può, a questo scopo, scegliere itinerari ignorati dall’uomo comune, servendosi dell’esperienza dei Maestri e della Sapienza sephirotica per seguirli. Questi sentieri portano generalmente a conseguire un modello di vita molto rasserenato e, al limite, gioioso: di dolore e di sacrifici innaturali nel nostro mondo attuale ne esistono troppi, ed occorre allora adoperarsi per lenirli, considerando in particolare che tutti gravitano sulla Croce di Cristo e che noi dobbiamo liberarla da questo strazio. Se, al limite, dovesse affrontare prove difficili od estreme, l’iniziato non indietreggerà ma s’affiderà più intensamente all’Amore, del quale è vivente strumento. L’esoterismo è un modello di vita compiuto, quale l’uomo comune non sa comprendere ed assimilare, ma che appartiene alla realtà più profonda della sua essenza. Quando l’Archetipo che chiamiamo Adam Kadmon sarà attuale, egli sarà un fattore d’immensa bellezza ed armonia: cerchiamo dunque di vivificarlo in noi stessi amando bellezza ed armonia ovunque esse siano, perché rappresentano – nei fiori o nelle stelle – la nostra più intima verità.

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16) L’aspetto temporale dell’Archetipo è dunque dentro di lui quando svela le virtualità che l’informano, e fuori di lui perché egli tende all’Assolutezza. Quest’ultimo punto richiede un ulteriore approfondimento, e noi tenteremo adesso un raffronto basandoci su quanto sappiamo sull’Emanante e sulla Sua manifestazione. Poiché il Brahman (l’Emanante) è sintesi di Potenza ed Atto in pura Coscienza, e l’archetipo lo “riproduce” (ossia ne è l’Immagine”) ad un livello infinitamente ridotto di vibrazione, dobbiamo dedurre che in quest’ultimo sussiste un “momento dinamico” ed uno – diciamo molto inesattamente – “statico o virtuale”, e che entrambi sono presenti in modo indistinguibile nell’autocoscienza che egli raggiunge, e sempre lo distingue, quando ha compiuto il processo che l’emancipa dall’egotismo. Quest’autocoscienza implica il profondo senso d’identità col Brahman, del quale l’Archetipo comprende d’essere uno specifico dinamico aspetto; implica quindi la tensione esistenziale ad una sapienza sempre più completa del proprio campo d’esplicazione (essere/esistere), che al limite s’identifica con l’Assoluto stesso. Questa convergenza dell’autocoscienza archetipale con quella incommensurabile ma immanente del Brahman, sottintende l’approfondimento (svelamento) dell’Assoluto nell’archetipo stesso, ed una tensione in quest’ultimo alla perfetta assimilazione nell’Assolutezza, alla sua infinita Indeterminatezza. Il processo implica, se ragioniamo con la nostra mente empirica, da un lato l’espansione infinita dell’ente nell’Infinito e dall’altro, se ipoteticamente compiuto, il riassorbimento nell'Assoluto dell’archetipo stesso, il quale, in quest’ottica, sussisterebbe nuovamente come pura sostanza inqualificata dotata della sola virtualità dell’esistenza, e non più come Idea/persona specificata da quella suprema Coscienza. Tale ipotesi è tuttavia contraddittoria perché vanificherebbe, se accolta, la stessa attività emanativa del Padre, privandola di quel significato che è invece così reale allo sguardo stesso dell’Assoluto. A parte il fatto che le Idee brahmaniche sono in sé atemporali e quindi eterne (un’ipotesi differente postulerebbe un “divenire” dell’Essere (Sat) intrinseco al Brahman, il quale al contrario “diviene” soltanto nell’ambito del proprio Cit donando personalità/immagine alle Idee che vi discrimina), l’Assoluto agisce soltanto per amore del Suo stesso potenziale di vita, e conferisce esistenza in libertà di scelta ed autonomia operativa perché le Sue creature siano, sempre più perfettamente ed infinitamente, coscienti. C’è un punto indescrivibile, nell’archetipo realizzato, nel quale la sua vita e la sua essenza assoluta s’identificano in un momento che ha qualifiche “atemporali” (samhadi), e questa unione ravviva e vitalizza l’Idea/persona, senza riassorbirla. Qui però dobbiamo fare “punto”, perché il Mistero al quale alludiamo è ben oltre le intuizioni limitate di chi non è partecipe della suprema Unità mistica (che però ama nel proprio cuore), e la nostra mente manasica è in ogni caso inadeguata a più precise formulazioni. Possiamo tuttavia aggiungere qualcosa a proposito del fattore che abbiamo indicato all’inizio di questo paragrafo. L’Archetipo tende ad un’infinita espansione perché possiede un’intuitiva coscienza della Realtà assoluta di cui vive: ne ha la 80


consapevolezza d’imperfetta comprensione e spontaneamente “sente” di poter accrescere il suo stato, di “sapere” di sé e degli altri archetipi del campo, simili e diversi e con i quali desidera incontrarsi e, ad un certo livello, fondersi nelle formulazioni possibili. Ciò che caratterizza l’esistenza “reale” dell’ente archetipale è quest’incredibile capacità d’espansione e di convergenza, che non lo nega ma che al contrario illumina progressivamente il Momento creativo divino in lui esistente. Da un altro punto di vista, che esprime in ogni caso un’identica verità, il Brahman si svela progressivamente nel Suo ente qualificato che collabora a quest’esito, attivandolo ed attualizzandolo come coscienza personalizzata, autonoma nell’azione e libera nelle scelte possibili, unita a Lui come realtà ontologica e insieme in Lui distinguibile. L’Assoluto si svela nel relativo assolutizzandolo in un processo infinito, e non mai riassorbendolo. Dobbiamo allora sottintendere che l’Archetipo emanato esprime il Momento Dinamico ed Analitico del Padre, che naturalmente presuppone un Momento Sintetico impropriamente considerato “statico”: quest’ultimo concernente l’Assoluto e soltanto l’Assoluto, implica una indefinita potenzialità espressiva. E’ a quest’ultimo aspetto totale che l’Archetipo in fondo tende. Il sole centrale, che irradia infiniti raggi, concede ad ognuno di essi una progressiva comprensione e la conseguente identificazione con la Fonte, senza oscurarli nel proprio oceano di Luce. Certamente esiste il Punto Centrale nel quale l’infinito virtuale dell’Archetipo raggiunge una fusione fra la propria coscienza e quella assoluta, dove appunto “sussistono insieme” il Brahman e le infinite Modalità ideali consce della Sua e della loro vita. Questo “Punto” rappresenta il superamento d’ogni possibile dualità nell’unità ontologica, nella quale tuttavia sussisterebbe, in una condizione per noi inconcepibile, la stessa differenziazione. A livello potenziale o addirittura attuale? Per noi la risposta è impossibile. Tuttavia “pensiamo” che quello stato sia reale, e possa essere percepito (se non compreso!) solamente nell’esperienza del samhadi. Ma probabilmente i concetti di “virtualità” e di “attualità” sono validissimi soltanto nell’ambito del manifestato e non in quello del Manifestante. Noi cerchiamo di far comprendere che la Realtà è oltre i concetti propri del campo relativo, e che per sfiorarne l’intelligenza occorre ri-trovare la nostra Fede. “Credo quia absurdum”, in cui il “quia” non vuole giustificare il “credo” (ossia: poiché il concetto è assurdo io lo credo vero!) ma proprio l’opposto: poiché il concetto è oltre l’intelletto, mi occorre la Fede e l’esperienza nella Fede. L’Assoluto, in ogni caso, resta oltre le Sue idee anche quando queste si fissano nel Punto Centrale che abbiamo ipotizzato. Questo postulato è certo, e permane anche quando le idee – gli archetipi viventi – sono in grado di percepire la Coscienza Brahmanica. Qui possiamo essere precisi: le idee realizzate si identificano con l’Assolutezza, vivono con Lei di Lei e possono fino ad un certo limite comprenderla: ma mantengono la loro specifica qualificazione che insieme le distingue e le unisce al Padre. Comprendere e partecipare profondamente non è “essere” in assoluto. 81


Permane sempre, come limite, la relatività discriminante. Da quest’analisi possiamo inferire che lo stesso samhadi implica infiniti gradi di realtà, e che non è mai definitivo. Il limite personale sussiste anche nelle più elevate condizioni attualmente possibili, perché appartiene all’Idea basale della Manifestazione. Che è divina, reale, eterna e non modificabile in sé stessa dalla volontà delle creature. E poi, perché, per quale esigenza intellettualistica o astratta, dovremmo ricusarla? Occorre, ben più semplicemente, comprenderla con la nostra esperienza. E viverla. Abbiamo affermato che l’Essere in Sé si colloca “oltre” l’entità che da Lui scaturisce anche nel supremo congiungimento attualmente possibile. Di questo fatto anche gli Archetipi divini, e quelli effettivamente più elevati nel Brahman, sono perfettamente consapevoli: Gesù stesso ci disse che chi lo vedeva, vedeva il Padre, e che il Padre era più grande di Lui. Non è poco. Le prime specificazioni del Brahman sono dunque “modulazioni” del Sat che appartengono solamente a Lui, e che non possono in alcun modo considerarsi emanate. Sono, e in sé stesse non divengono. Esse rappresentano “modificazioni” della Suprema Coscienza, e conseguentemente hanno l’interezza divina in sé. Il fatto che il Principio Femminile possa essere realmente raffigurato come la “Grande Madre” (la Chakti, assoluta Potenza informante), ed in tal guisa venerato e parzialmente compreso, non toglie che Essa sia il Brahman (Figlia del tuo Figlio), e che il fattore esclusivamente dinamico che per noi la distingue, sia in effetti un’inadeguatezza del nostro intelletto di archetipi minori, e un necessario espediente per rappresentarci, in un’ideazione relativamente immediata e comprensibile, il mistero della dinamicità trascendente. Chi ipotizza una Polarità maschile e femminile antagoniste nell’Assoluto, come appaiono nel campo tridimensionale, non afferra l’identità permanente del Brahman pur nelle imponderabili modificazioni del Sat che chiamiamo Cit. Sat e Cit, in Dio, sono Uno e costituiscono – mai negati – la divina Ananda, sintesi ineffabile ed infinita discriminazione, che si genera e si risolve nell’assoluto Amore. Questi sono concetti basilari nel monismo del Vedanta e dello Yoga, delle scuole Advaita o di tutto il mondo filosofico – anche occidentale – che si è più addentrato nel problema. Non esiste possibilità di dubbio se accettiamo l’esperienza concreta dei massimi maestri e se ne leggiamo con attenzione gli scritti, elaborati nel corso dei millenni. Quando alludiamo al Triangolo Supremo ci riferiamo all’Assolutezza e non a tre Entità separate ed in qualche modo sostanzialmente differenti l’una dall’altra. Ogni Sephirah è, in effetti, identicamente Assolutezza ad un particolare livello di realtà emanata. Varia la “funzione”, che comunque richiede l’armonia e l’effettiva integrazione, e che è preposta allo svelamento di specifiche virtualità. Conseguentemente, dobbiamo distinguere, nelle Sephirah divine ed anche in quelle emanate, ciò che esse sono in sé e quanto esse possono contenere ed esprimere nel compimento della loro opera. In sé sono “modificazioni” dell’Assolutezza in senso dinamico, che implica 82


l’attivazione specifica di particolari Idee/Persona; come contenuto, hanno infinite variazioni polarizzate in esistenze individuali, come specificazioni dell’Idea Divina che costituisce l'essenza della Sefhira. Inoltre in loro esistono e si polarizzano le forme/pensiero in evoluzione archetipale, e cioè le facoltà dell’Uomo Globale: centri viventi di coscienza e d’intelligenza che raggiungono un particolare livello d’emancipazione. Queste forme/pensiero (persone, jiva) sono distinte ed ontologicamente unite, ed il loro esistere in una particolare Sephirah (che le caratterizza) non le limita a quel aspetto dell'Albero, data la necessità d’espansione infinita della loro coscienza. Esse semplicemente s’incentrano nel momento spirituale e dinamico a loro più consono, il quale probabilmente risponderà permanentemente al loro mondo più intimo, ma che vorrà certamente integrarsi con altri aspetti accessibili nel corso dell’esperienza vitale. Queste sono funzioni archetipali; in generale è identificabile una attività propria ad ogni Sephirah ed a quanto in essa gravita. In effetti, ogni Sfera del Glifo è espressione esemplare dell’azione divina che si manifesta costantemente, e che si qualifica e caratterizza sempre in formulazioni concrete, ossia formali. La Madre è la suprema Datrice di Forma, e la stessa Emanazione è qualificata dal Momento Femminile perché è essenzialmente e sempre “forma”. Ogni Sfera nell’esercizio corretto della sua funzione esprime quindi un aspetto dell’Assoluto secondo le proprie capacità di rappresentazione, tuttavia quest’attività non risolve la totalità della Sephirah. Essa, in se stessa considerata, non riflette soltanto ma “è” una modificazione del Padre, e quindi manifesta, entro i propri limiti, l’Assolutezza. Solo considerando l’Albero della Vita come una “culla” archetipica, come lo strumento unitario della manifestazione di Dio che specifica funzioni tipiche e primarie per ogni suo centro, solo in tale ottica possiamo cercare di comprenderlo. Dobbiamo allora evitare di confondere il Glifo (il campo manifestato, l’Interità) con le sue particolarità operative. L’Interità è un’Idea unitaria, che implica il concetto d’Immagine del Padre e quindi un’infinita specificazione in enti e direzioni esistenziali, ognuna dotata di particolari qualificazioni. Se noi, per esempio, volessimo comprendere (e contattare) un particolare centro del Glifo, conoscerne le modalità espressive o i mezzi utilizzati, instaureremo un certo particolare tipo di rapporto con intelligenze certamente reali, che sono tuttavia polarizzate dalla nostra stessa ideazione in un ambito individuato. Ci può allora sfuggire il fatto che quelle stesse intelligenze hanno altre valenze, e vivono su piani differenziati. Se invece cerchiamo di percepire l’essenza di un Centro Sephirotico, quello che è veramente in un’ampia prospettiva, ci troviamo di fronte ad una “modificazione” del Padre che implica – per essere sfiorata – un preciso grado d’illuminazione, ossia la Sua Volontà ed il Suo sostegno. Naturalmente, l’esperienza dell’Uno-senza-Secondo nel contemporaneo mantenimento della nostra caratterizzazione di personalità (che permane riferendo a noi stessi quel momento), implica un processo di chiarificazione interiore molto preciso, ed anche – in certa misura – la contemporaneità del sostegno sephirotico, anche tramite enti/persona che più siano coinvolti nel nostro stato. Questo è un 83


problema vastissimo, perché implica il superamento della frattura fra Dio e creatura che chiamiamo “caduta”, e che ha determinato la scissione dell’unità principiale in varie aree dimensionali, variamente antitetiche fra loro e talvolta fortemente deviate. E’ un discorso affrontato altrove. Ricordiamo che la realtà fondamentale è solo e sempre l’Assolutezza (Brahman, Nun, Ain Soph), e che la sua esperienza implica lo stato dell’unità. Poiché tuttavia l’archetipo che abbia conseguito questa condizione non scompare, suggeriamo che in questa unità sussista un aspetto creaturale non risolvibile che, come tale, appartiene al Padre ed a Lui soltanto. La Coscienza Brahmanica è una, ed è identica allo stesso Brahman; poiché l’Idea vivente non può tuttavia annullarsi definitivamente nell’Assolutezza, essa conseguirà da questo stato d’estasi un’esperienza in sé “parziale” del Reale, che tuttavia, portandola immensamente oltre il proprio limite, le darà il senso della completezza. Specifichiamo dunque che la suddetta “parzialità” è tale soltanto nei confronti della perfetta realtà del Brahman, ma che – puntualizzando di fronte e “nel” Padre l’esattezza della creatura in uno specifico istante del suo processo realizzativo – è parimenti veritiera e completa, ed implica il dinamismo tipico dell’ente emanato. La comprensione dell’Assolutezza è pertanto un processo infinito, caratterizzato dalla progressiva illuminazione dell’iniziato. Ribadiamo che le esperienze caratterizzanti questo cammino sono reali, e rendono l’adepto un aspetto realizzato dell’Assoluto. Questo esito implica una “modificazione” del Brahman? Non propriamente: è infatti il risultato del Suo atto di volontà che si perfeziona con il concorso della creatura, e che è contemplato atemporalmente dal Brahman nel Suo Sé/Sat e sostenuto per tutto il procedimento nella Coscienza/Cit, in perfetta puntualizzazione della libertà di scelta e della conseguente autonomia donata al campo emanato “in principio”. In altre parole, anche dal punto di vista della Realtà fondamentale (in Sé) non vi è che l’Assoluto-senza-Secondo, e nell’Assoluto stesso vivono le Sue libere volizioni. Togliere a queste ultime ogni realtà per affermare a tutti costi un totale monismo (non dualità) è certamente un’esigenza intellettualistica profonda per molti, ma raggiunge l’assurdità di negare la stessa Coscienza divina togliendo valore alla Sua ideazione. Il ché è, ovviamente, un’assurdità. Il problema che vogliamo indicare ha attinenza proprio con questa Ideazione. È quindi un quesito altamente metafisico, che tuttavia ammette una risposta fondata su testimonianze e scritture che hanno sempre affermato la loro origine trascendente. Gli uomini, infatti, possono procedere nelle loro ricerche per induzioni e deduzioni, possono argomentare analiticamente e sintetizzare poi i risultati ottenuti, ma non sono in grado di superare le soglie delle proprie esperienze, che sono gravemente imperfette se non considerano l’immanente campo divino. Quanto ora affermiamo è stato posto non come ipotesi ma come verità dalla ricerca esoterica più qualificata e precisa: noi quindi lo trasmettiamo al ricercatore non come un dato speculativo o di logica filosofica, ma nel suo significato di oggettiva realtà. Il lettore ne trarrà le conclusioni che preferisce, delle quali è il solo 84


responsabile. Il fatto al quale alludiamo attiene al “punto principiale” di quella Ideazione che poi s’estrinseca nella Manifestazione; più precisamente, si riferisce a quel momento – non temporale e non formale secondo le nostre categorie di pensiero – nel quale il Padre Creatore, attivando per un “istante” l’Archetipo virtuale in tutte le sue implicazioni, gli “domanda” se egli aspiri all’esistenza libera e responsabile nell’Unità basale, e in tale ipotesi che qualificazioni di libertà sceglie: ossia, se vuole limitarsi alla libertà donata in un ambito stabile e prefissato, o preferisce quella che deve essere progressivamente conquistata e compresa in un campo potenzialmente infinito. Quest’ultima è, ovviamente, più alta e difficile, e colloca la creatura nel piano delle modalità divine per opera anche propria. Nel primo caso, l’archetipo riceverà un determinato ambito operativo, e lì estrinsecherà le sue coerenti virtualità; nel secondo affronterà un processo di svelamento d’intrinseche potenze che è ontologicamente infinito, perché egli stesso sarà la propria libertà. E’ una domanda estrema, che non limita l’Ideazione basale perché è lo stesso Ideatore che la pone e la comprende. E, comprendendola totalmente, ne sostiene le implicazioni. L’archetipo è però “solo” nella risposta (ne ascolta interiormente il senso a livello intuitivo e non condizionante!); qui noi non possiamo comprendere le sottili, realissime e ontologiche qualificazioni che lo specificano nel piccolo e nel grande, distinguendolo dal Padre creatore nella coscienza del quale egli comunque esiste. Certamente l’archetipo ne consegue una visione precisa e nitida delle implicazioni di questa scelta basale, ed individua i modi, i mezzi ed i “sentieri” che la renderanno operante. Vede nel Padre cosa sarà il suo tempo, ed il conseguente processo vitale, e comprenderà adeguatamente i termini del dilemma. Saprà (seppe) e sceglierà (scelse). A questo punto la coscienza personale ritorna nella sua potenzialità, e s’attiva la Manifestazione. Nel caso che l’archetipo abbia scelto il pieno dono della libertà, egli recupererà in breve la propria identità e potrà agire in sincronia con le altre entità del suo stesso genere. Possiamo congetturare che quanto non sia stato conquistato personalmente ma soltanto “donato” possa implicare un’attività capace poi di trasformare il dono in acquisizione; è tuttavia impossibile per noi immaginarne i tempi e le modalità. Certamente nell’Assoluto le differenze tendono a comporsi in sintesi armoniche, che possono e devono differenziarsi per “colore” e “vibrazione”, ma che implicano sempre particolari momenti di realizzazione. Quali siano questi stati non è tuttavia oggetto di nostre speculazioni: la loro conoscenza (o sapienza) sono semmai i contenuti di una rivelazione. Possiamo tuttavia affermare – perché già rivelato – che l’Adam, archetipo nascente, fu posto di fronte al fondamentale atto di scelta e volle la personale conquista della propria esistenza, per faticosa che fosse. La Manifestazione nacque su questa base, e quello che oggi chiamiamo “peccato originale” d’individuazione personale, forse confusi dal fatto d’aver abdicato al primordiale stato di beatifica ma passiva virtualità, fu al contrario la più alta dimostrazione della nostra umanità e la 85


sola scelta capace di renderci al nostro “essere/esistere” in coerenza al piano divino. Notiamo a questo proposito che il “peccato” descritto nella Genesi è altra cosa, ed accade in un altro tempo e ambiente; e per opera di altre cause. Certamente quella scelta implicò la perdita dell’innocenza propria di uno stato virtuale: incontrammo il Tempo, lo Spazio, i Limiti e, ad un certo momento, il dolore e la morte, i frutti avvelenati di innumerevoli arbitri e di una caduta che perdura. Imparammo a conoscere la disperazione d’innumerevoli perdite e separazioni. Tuttavia alcuni seppero rendersi più forti, ed allora compresero la necessità dell’armonia, dell’amore e la gioia dell’unione. Quanto fu incondizionatamente donato nel principio, e perso, dovette e deve essere riconquistato con faticosa tenacia. Noi siamo il “figliol prodigo” della parabola – inquietante e fondamentale – di Gesù, che cerca la consapevolezza del figlio nell’amore del Padre nonostante tutti gli ostacoli, interiori ed esterni, che l’impediscono. Il Peccato Originale, lungi dall’essere l’errore che condannò l’uomo al dolore, è la luce interiore, la più profonda ed ancora troppo virtuale saggezza. Certo, questa volontà richiede la coerenza con il fondamento ontologico della vita: il Brahma, ed è questo che tanto ci manca. L’ Adam nacque dalla libertà divina per conquistare e realizzare la propria libertà, che – ribadiamo – implica il necessario rapporto fra creatura e Creatore, nel campo del quale noi esistiamo. Essere figli è scegliere in ogni istante l’amore e la misericordia, ad immagine del Dio che ci vivifica. Altrimenti è diventare la nostra sofferenza, il ciclo (breve o lungo che sia) e la morte. La morte è la negazione di Dio. Tutto questo è espresso nel Vangelo, in forme oggi non facilmente intellegibili per il predominio del mentalismo intellettuale, ma comprensibilissime per l’intuizione. La vita stessa del Nazzareno è il simbolo fondamentale che ci conferma questa tesi, coerente anche con testi fortemente esoterici di Tradizioni antichissime, comprese da pochi solamente per l’oscura ottusità (avidya) dei molti. Noi ne facciamo un breve accenno, confidando che esso possa essere di stimolo alla riflessione ed all’approfondimento. Prima di concludere il nostro discorso, faremo qualche considerazione di carattere generale ed affronteremo un problema alquanto complesso, che può generare molte perplessità. Il tema è questo: come mai il Tempo e lo Spazio appartengono specificatamente all’Uomo ed alla Forma (limite), se in effetti essi si collocano nel Brahma come parametri espressivi della Sua volontà? E’ possibile immaginare un “punto” non astratto nel quale Tempo e Spazio e Non-Tempo e Non-Spazio risultino simili (se non identici) al punto che la visione creaturale possa liberamente rivolgersi in ogni direzione del passato e del presente, ed anche – con maggior limite – del futuro? Come potremmo definire questo particolarissimo “punto”, nel quale sembrino svanire i confini fra la virtualità e l’attualità nell’identità ideativa? Noi qui non accenniamo al Padre, il quale è oltre questi momenti, ma all’Archetipo creato che si realizzi ad un adeguato livello, e che conseguentemente percepisca la Realtà come Luce divina incondizionata. E’ ancora un archetipo manifestato, come noi sosteniamo? In quale modo possono sussistere limitazioni individualizzanti là dove 86


incontriamo la Realtà in Sé, l’Assolutezza? Certamente l’Idea/Ente possiede quest’aspetto, che pare trascendere l’esistenza come tale, e si colloca oltre ogni concepibile espansione personale perché appartiene all’Essere. Notiamo che non ci riferiamo all’essenza ontologica dell’Idea, la quale è modificazione del Brahman nel Brahman, ma del nostro Sé partecipe del Centro Atmico, il quale è libero e cosciente ed incontra il Sé Supremo, l’Uno-senza-Secondo dove si dissolvono le qualificazioni. Il nostro assunto è risolvibile più per intuizione che per logica, poiché il samhadi non è materia di descrizione ma d'esperienza. Nel samhadi il Meditante è contemporaneamente il Meditato e la stessa Meditazione, ma non c'è “assorbimento” perché l'Idea ha coscienza d'essere Vita, e di partecipare unitivamente alla suprema Realtà. Dunque, pur nell'unità più perfetta qualcosa appartiene ancora all'Archetipo, e gli consente d'esprimere la volontà divina che l'ha determinato. Non esiste più ego, o almeno esiste solo come centro di riferimento di eventuali deliberazioni, nell'espressione di un dinamismo proprio e globale. Esiste però la caratterizzazione, diremmo la tipizzazione, che rende l'Idea unica e irripetibile anche se interferente e partecipe dell'Assoluto stesso. Nel profondo senso d'unione che s'esprime come Amore trascendente l'Archetipo mantiene ciò che gli fu donato e che egli conquistò: lo mantiene a tal punto da potersi ripresentare come tale anche “dopo” il più completo abbandono unitivo, dopo l'esperienza indescrivibile della suprema Identità. Se quest'aspetto archetipale non fosse reale in senso metafisico, si arriverebbe all'assorbimento dell'Idea e tutto il processo d'espansione da Lei compiuto nello svelarsi come modalità divina ne riuscirebbe in qualche modo vanificato. Alcuni affermano, ed autorevolmente, che le cose starebbero proprio così, e che nell'accecante Luce della Coscienza Brahmanica tutto si dissolve e non più riappare: ciò che venisse eventualmente emanato sarebbe comunque “altro” e veramente esisterebbe solo quell'insondabile giuoco di proiezione ed annullamento che sarebbe l'esprimersi dell'Essere in Sé, pago solo del suo infinito potere. Ovviamente quest'aspetto del pensiero orientale è da noi rifiutato, proprio in nome del supremo amore che il Brahma ha per le creature da Lui volute, e per il (secondario) fattore di realtà e immutabilità che presentano le volizioni supreme. Ciò che in effetti muta nel processo di svelamento, è il grado d'emancipazione dall'ego prima e d'autocoscienza sempre, in costante ed armonioso adempimento. Il Brahman ha perfetta visione dell'Idea allo stato potenziale, e la contempla con eguale consapevolezza quando raggiunge l'attualità e gode il dono dell'essere libera e capace di determinarsi nell'infinito, unico mare della Coscienza Divina. Cosa caratterizza questo divenire da potenza ad atto dell’archetipo? La volontà del Brahman, che l'Archetipo sia un Suo aspetto vivente; l'amore che il Brahman nutre per l'Idea da Lui scaturita, in Lui esistente ed in Lui espandentesi, ma che Egli per infinito amore pone come “altro da Sé” conferendole la facoltà di rifletterLo e di essere insieme partecipe, in autonomia, del più completo senso d'unità immaginabile. 87


Dunque, nel punto metafisico prima ipotizzato esiste come un flusso d'Amore infinitamente potente e vivifico, che impedisce all'Idea, giunta a tal limite d'autorealizzazione, d'essere attratta nel Centro Coscienziale Assoluto, e di venire assorbita dall'Essere in Sé. Certamente l'Idea in quel “punto” metafisico verrebbe annientata dall'accecante bagliore della Causa Prima, se essa non si ponesse come volizione d'amore, e non si determinasse realmente come un Archetipo dell'Amore. Non è propriamente un atto di limitazione spontanea inconcepibile nel Brahman, ma di specificazione in viventi manifestazioni della Vita in Sé, alle quali l'Amore supremo conferisce una scintilla della propria splendida libertà. Ricapitolando: fra la nostra personalità (intesa ovviamente non come “ego” ma come l’emersione cosciente di un contenuto archetipico sottostante) e l’Atma sussiste questa fondamentale coerenza d’amore, che – lungi dal costituire barriere o divieti – afferma la nostra vera libertà ed autonomia. Nostra in quanto siamo parte del Tutto, luce qualificata nell’infinita Luce assoluta di Dio; nostra come dono d’amore che mai dissolverà l’emanato nel Manifestante nell’eternità del processo, e che svela la natura divina di tutti gli archetipi, il nostro “essere Lui” nonostante tutte le cadute e gli allontanamenti della nostra storia. Ricordiamo che non è possibile darci un’accettabile rappresentazione dell’unità nel particolare con la logica, l'intelletto e le argomentazioni. L'intuizione, e specificatamente quel tipo di intuizione che non appartiene al lettore come semplice jiva, perché proviene dall'Albero stesso in lui attivato, può portare a un'intelligenza di quanto abbiamo esposto. Se sussisteranno - e sussisteranno - dubbi ed incertezze, il lettore le valuti con mente limpida ed obiettiva, senza farsi distrarre da preconcetti, paure o false proiezioni del suo stesso intelletto. Il cammino è difficile ma non è compiuto da soli: in questa fiducia e con questa speranza terminiamo in presente paragrafo, e lo affidiamo al Brahman perché corregga, Egli che è la Sapienza di Tutto, le nostre inevitabili manchevolezze, le approssimazioni e le incompletezze perché agisca nel cuore e nella mente di chi l'ha scritto e di chi lo leggerà. 17) Poiché il nostro attuale lavoro è giunto al termine, concludiamo con alcune annotazioni su un certo tipo d’atteggiamento che il meditante dovrebbe mantenere nel corso del suo itinerario spirituale, almeno finché la Luce interiore stessa non lo ragguagli sulle realtà dell’Universo. La principale accusa che solitamente è mossa all’esoterismo è quella di trattare, con molta dovizia di particolari, argomenti che sono poi impossibili da dimostrare, e la cui veridicità resta affidata al Testimone storico o ad altri Maestri: assolutamente incredibili per chi non ha e non può avere qualche dimestichezza con loro. 88


La difficoltà d’esaminare le realtà metafisiche, specie per quanti siano imbevuti dell’attuale razionalismo, è accresciuta dalla temibile rarefazione di centri spirituali adeguati a questo compito sempre arduo, ed ora più che mai quasi totalmente impedito. Con profondo rammarico dobbiamo quindi invitare il lettore ad armarsi di un particolare atteggiamento interiore, che è più difficile da mantenersi di quello che conobbero discepoli appartenenti ad altre epoche o a differenti culture. Quest’atteggiamento può essere succintamente esposto: occorre pazientare oltre ogni “logica” aspettativa, mostrarsi tenaci più di quanto si sappia in partenza di poter essere, e riuscire ad affidarsi al Padre quando non un solo indizio sembri sostenere il faticoso cammino. Se l’alunno, l’allievo d’Amore, conseguirà quest’abito interiore - che nel profondo dell’anima è simile al saio del Poverello d’Assisi - , se avrà costanza oltre la logica ed il prevedibile, dimostrando all’Amore di Dio d’amarlo più dello stesso desiderio d’incontrarlo, un momento immensamente luminoso gli aprirà porte che erano credute pressoché inesistenti e comprenderà allora la saggezza che lo ha condotto a quelle soglie. La strada dell’iniziazione è stata contraddistinta in passato da un complesso d’esami che tendevano a mettere il nuovo allievo nel miglior stato possibile, adeguato all’incontro con il Maestro basale. Più che ostacoli, le ben note e temute prove iniziatiche implicavano un concreto, notevole approfondimento dell’autocoscienza e della dedizione personale a ciò che è veramente reale ed eterno. Nelle difficoltà l’alunno imparava a non temere, a superare la propria debolezza e ad amare il Principio trascendente ben più del proprio transitorio stato esistenziale. Oggi, in un’epoca caratterizzata da ben differenti costrizioni e da un notevole irrigidimento delle coscienze, è soprattutto richiesta questa dimostrazione: saper amare più che desiderare, conoscere ed acquisire. Tutto il resto sarà dato in soprappiù se esiste quest’atto fondamentale d’abbandono all'amore, all’Assoluto, nell'aspetto più penetrante e concreto che Egli ci dà: il Figlio, Cristo. Non c’è da stupirsi se in un’epoca d’esasperazione tecnologica, intellettualistica ed acquisitiva, nella quale gli uomini s’arrogano il diritto d’uso e di abuso sull’intero pianeta e sui propri simili, è richiesto un atto di effettiva ricusazione di quest’aspetto egocentrico che inficia l'intera evoluzione, ed un completo abbandono a ciò che – irrazionale per i molti – è dai pochi riconosciuto come Realtà dello spirito, la sola degna d’essere vissuta ed affermata. Il tragitto fin qui percorso ci ha condotto a parlare dell’Interità e dell’Emanazione, dell’Amore come Centro irradiante e dell’Archetipo come strumento attivo ed energeticamente produttivo di vita. Tutto quest’immenso quadro è meramente una costruzione intellettuale ed astratta se non è vitalizzato dall’esperienza: e la vera conoscenza non si ottiene con la descrizione dei principi intellettivi, ma con l’essere i principi stessi. Questa è la concreta sapienza che dobbiamo cercare. Se il lettore, affrontando le sue quotidiane fatiche, saprà trovare uno spazio per 89


lo Spirito in tutte le azioni compiute, e tutto compirà non come un centro egotico fine a se stesso, ma piuttosto come strumento dell’esistenza, vita che sostiene ed incoraggia la vita, egli s’incamminerà verso la propria Realtà, e potrà incontrare nell’Atma il principio dell’Essere ed i Suoi universi. Che poi quest’esperienza non si riduca a vaneggiamento o illusione lo diranno le azioni che potrà compiere proprio come espressione vivente e dinamica di quel Principio. L’esperienza conduce ad altre susseguenti esperienze, approfondendo in tal modo la sapienza già acquisita. Quello che più importa, e che può condurre al limite delle proprie capacità attuali, è il primo passo. E’ quello che apre il lungo itinerario d’avvicinamento e gli consentirà di varcare la Soglia. Noi invitiamo il lettore a quest’attesa e a questa speranza. Se gli mancheranno tutti gli appigli, trovi in se stesso il punto di stabilità, perché è proprio questo che gli viene richiesto quando apparentemente vengono meno altri sostegni. Sappia rendersi la propria luce, mantenga la Fede vigile e ferma nel proprio cuore. Quando gli sembrerà di non avere amici, aiuti o certezze abbandoni tutto al Padre, che lo volle ancor prima che nascessero il Tempo e lo Spazio, prima degli Universi e dello stesso Albero della Vita. Solo così, con serenità libera ed incondizionata, con consapevole coraggio e sicura costanza potrà credere nell’incontro con la Porta proibita a tanti, per loro stessa incoerenza. La Porta più stretta della cruna di un ago eppure più ampia e luminosa d’ogni altra per coloro che la sanno comprendere. Se la preparazione sarà stata precisa, se l'allievo avrà fatto la parte ora descritta, se saprà amare più di volere, di desiderare o di sperare, non ci saranno dolenti oscurità al termine del suo cammino, ma Luce e Luce e Luce. Con questo ammonimento e con questo augurio noi lo attendiamo.

Vecchio dattiloscritto (1989?), rielaborato in più versioni, l'ultima delle quali su CD in data 14 Novembre 2006.

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Cenni bibliografici 1) Bhagavad Gita – Editore Asram Vidya 2) Cinque Upanishad id. 3) Mandukia Upanishad id. 4) ‘Ehjeh ‘Aser ‘Ehjeh id. 5) Introduzione alla filosofia platonica - editore Asram Vidya 6) Cabala mistica – Dion Fortune – Ed. Astrolabio 7) La scienza occulta – R. Steiner – Ed. Astrolabio 8) L’iniziazione id. 9) Sulla via dell’iniziazione id. 10) Le manifestazioni del karma id. 11) A mani giunte – Hayashikawa – Pontificia Facoltà Teologica Ed. 12) I fondamenti del misticismo tibetano – Lama Anagarika Govinda – Ubaldini Ed. 13) Lo Yoga Tibetano – M.Y. Evans Want – Ubaldini Ed. 14) Shakti e Shakta – Avalon – Ed. Mediterranee 15) Il Mondo come Potenza – id. 16) Bardo Todol – introduzione G. Tucci – UTET ed. 17) Oltre l’illusione – Cerchio Firenze 77 – Ed. Mediterranee 18) Pane dei Cherubini – Taurinense 1532 – Ed. Mediterranee 19) Autobiografia di uno Yogi – Yogananda - id. 20) Tao Te King – Lao Tze – Utet

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ULTERIORI CONSIDERAZIONI SUI RAPPORTI INTERCORRENTI FRA REALTA' ASSOLUTA, MONDO ARCHETIPALE E MANIFESTAZIONE

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1°)

Ciò che dobbiamo enunciare non è di facile comprensione, e abbisogna di molta attenzione: la Manifestazione non risponde all'immagine che l'Uomo se ne fa, ma risponde all'essenza che l'Uomo esprime in un certo momento del suo cammino. Quest'assunto, già esposto in altre pagine, non risulta affatto quale è immaginabile in un primo approccio, e dire che è arduo afferrarne l'implicito è dire poco. La Manifestazione non dà alcun effetto di qualche consistenza allo sforzo dell'Uomo finché l'Uomo non è in grado d'essere ciò che in effetti è in quel particolare momento dello spazio/tempo; questo implica che se l'esoterista non riesce ad afferrare la sua essenza e a proiettarla nel "Mondo esterno", non potrà che riscontrare l'inefficacia della sua fatica. Il problema operativo nasce proprio da questo enunciato: se non sappiamo essere ciò che effettivamente siamo, non potremo agire nel campo tridimensionale per l'impossibilità di un'integrazione con i principi stessi della Manifestazione. Per ottenere questa rispondenza interiore all'aspetto potenzialmente attuabile nel nostro processo emancipativo occorre sopra tutto una cosa: eliminare dal contenuto mentale tutti gli schemi, le idee precostituitesi, i dogmi e le affermazioni preesistenti, e compiere un atto d'assoluto affidamento all'Entità Suprema, che è la matrice profonda del nostro esistere individuale. Non è un atto facile, perché la modalità di quest'affidamento è in genere influenzata da idee preconcette, da un insegnamento ritenuto più o meno vero per l'autorità del suo promanatore, e da componenti inconsce che dipendono dal momento storico in cui si vive. La storia dell'Uomo è, con alcune immense eccezioni, la storia di acquisizioni parziali se pure altissime: occorre considerare attentamente questo fattore. Se l'Uomo cerca con tutte le sue forze l'Informale, accade che conosce l'Informale; se cerca il Paradiso, e cioè un aspetto altissimo della Forma, accade che incontri quest'aspetto. Se cerca il potere di essere uno con l'Uno, e riassorbirsi nell'Uno ontologico, si riassorbirà - almeno come esperienza dell'unità - e ne verrà reintegrato come personalità individuale perché... Perché non è quello il suo essere Uomo, in quanto momento dell'atto volitivo divino, anche se è quello l'Essere in Sé. Poiché affermiamo questo principio, dobbiamo aggiungere che ogni posizione parziale, sia pure altissima, è soggetta a correzione in quanto esprime un aspetto e non la sintesi suprema. Per l'Uomo la sintesi suprema è essere nell'Uno come unità sostanziale ed essere nel contempo il dinamismo dell'Uno, come estrinsecazione del Sommo Cit e nella modalità esatta che il Cit ha determinato con il conferimento di un campo d'autonomia e discrezionalità, nell'ambito (illimitato come esplicazione) del volere trascendente, il quale esprime insieme e la libertà del Brahman e quella della Sua estrinsecazione autocosciente: e cioè con assoluta libertà sia ontologica che attuale, quest'ultima nella misura in cui è appunto capace di esprimersi la modalità stessa. La modalità ha radici nell'Assolutezza ma - per il fatto di essere modalità - non è in grado di per sé d'intuire e comprendere l'Assolutezza in modo tale da impersonarne perfettamente il volere senza un diretto intervento del Brahman stesso. Nessuna 94


metodologia, nessuna pratica, nessuna ascesi portano l'Uomo al suo Centro interiore, se il Centro interiore non si apre spontaneamente all'Uomo. Lo sforzo dell'Uomo può tuttavia schiudere delle soglie, e qui il rischio è grande se l'apertura non è capace di un dinamismo integrale: varcare un primo centro/porta ed attingere al Reale che vi s'affaccia è talmente stupefacente da indurre il ricercatore ad identificarsi con quel Centro e a non cercare oltre. Questo è un errore che deve essere corretto, sia a livello individuale che a livello globale. Diciamo dunque che la storia dell'Uomo ha fatto esperienza di acquisizioni parziali e che ha mancato di raggiungere la necessaria sintesi. L'esperienza parziale implica un aspetto estremamente positivo, che però riguarda essenzialmente l'autore/protagonista dell'esperienza, e uno negativo, che in effetti è più concernente a coloro che cercano d'imitare un Maestro più o meno realizzato. Per quest'ultimo il problema è quello dell'approfondimento di quanto sia stato acquisito, e generalmente ciò avviene senza un reintegro nello stato tridimensionale; per gli allievi, che non hanno le necessarie qualificazioni, il Maestro costituisce insieme un sostegno ed un ostacolo, e difficilmente molti di essi raggiungono la chiarità interiore dell'Illuminato. Per l'Uomo storico tutto ciò si traduce in tentativi contraddittori ed "inspiegabilmente" difformi l'uno dall'altro, nonostante i principi - spesso identici che sono alla base del cammino metafisico. Nell'attuale momento le condizioni generali non consentono ulteriori sperimentazioni parziali, e richiedono un approccio coerente all'esperienza già compiuta nel passato prossimo e remoto. Occorre cioè unificare le strade, trovare il punto di unione delle medesime, e soprattutto esaminare con i mezzi acquisiti in quest'analisi ciò che emerge dal quadro generale e le implicazioni che presenta. La Manifestazione appare come conflittualità? E' dunque indispensabile superare la conflittualità, se si vuole armonizzarla e renderla una con i1 Creatore, che conflittuale con Se stesso certo non è. La Manifestazione esiste? E allora occorre capire perché esiste, almeno come ricerca di una possibile motivazione che, per quanto approssimativa ed imperfetta, sia più ragionevolmente accettabile di quella di un "uomo spontaneo" casuale, o di un "cadere" da uno stato originario di perfezione ad uno di relativismo, senza spiegare come questo dramma possa verificarsi nell'Armonia assoluta. La Manifestazione è dinamica? E allora bisogna intendere quale dinamismo in Lei si esplichi, e come comprenderne ed agevolarne le leggi. La Manifestazione è illusoria? E allora bisogna sapere dove finisce 1'illusorio e dove comincia la Realtà, perché è difficile far coesistere un momento illusorio con il Supremo Cit senza limitarlo o renderlo - il che è un assurdo in termini - arbitrario. La Manifestazione esprime momenti contraddittori, pur se accompagnati da evidente contatto con le Forze motrici del Manifesto? E allora dobbiamo domandarci da che nasca e cosa significhi questa contraddizione, e in qual modo (poiché ogni contraddizione è ontologicamente uno stato provvisorio) sia possibile il comporla. L'Uomo cerca d'interpretare l'Assoluto con i mezzi della logica, dell'esperienza 95


storica e della Rivelazione. Quanto ai primi, la logica del relativo è incapace per definizione di comprendere ciò che è oltre il suo campo d'applicazione, e l'esperienza storica è valida per chi la fa, non per chi la esamini esternamente; ed anche per chi la fa è in genere parziale, come si deduce dalle innumerevoli correnti e dottrine che appaiono nel corso del Tempo. Quanto alla Rivelazione, occorre precisare: se essa è frutto del contatto di un uomo con la Trascendenza, è soggetta ai limiti di questo contatto e non è altro che in questi termini: termini che racchiudono alle volte principi di verità indiscutibili, ma che non oltrepassano certe soglie. Se è iniziativa della Trascendenza stessa, essa è sempre conforme alla potenzialità espressasi nel dinamismo dell'Uomo storico, e non risponde che alle capacità virtualmente attuabili in un determinato momento dello spazio/tempo. Il fatto di Maestri che hanno ricevuto l'esperienza unitaria del Brahman, più o meno interiorizzata, nulla toglie a quest'assunto, perché tale esperienza non è comunicabile in alcun modo con mezzi convenzionali, e non determina una svolta sostanziale nel percorso dell'Uomo globale o di una civiltà, in termini di tempo breve o medio; e per la vita dell'uomo comune, comunque lunghissimo. L'interferenza divina finisce quindi con il dare all'Uomo ciò che l'Uomo può accogliere in sé, e a rispecchiarne lo stato interiore. Se si vuole perciò che un'interferenza oggi si verifichi in sostegno e guida dell'umanità nell'ambito del Kali-yuga, occorre far sì che l'Assolutezza constati questo è il compito primario dell'uomo storico - uno sforzo unitario verso la fonte stessa dell'Essere. Occorre quindi un atteggiamento che - facendo tesoro degli insegnamenti dei Maestri e del Tempo, osservando attentamente e sinteticamente, senza pregiudizi e facili semplificazioni, ciò che appare come esperienza dell'Uomo si ponga in un modo liberissimo da schemi aprioristici, consapevole dell'insufficienza dei mezzi filosofici ed esoterici acquisiti e con assoluto abbandono alla Matrice ultima dell'Essere, di fronte al mistero dell'esistenza. Perché è certo che solo con un reintegro in quest'Aspetto supremo, il quale non nega ma riafferma atemporalmente il valore della modalità autonoma, è possibile realizzare quella sintonia indispensabile affinché un'interferenza si verifichi nell'ambito tridimensionale, in coerenza con la volizione che quest'ambito medesimo estrinseca. La Manifestazione è dunque il substrato psicologico a livello inconscio dell'Uomo globale e, come nel processo individuale d'autorealizzazione, 1'inconscio deve essere illuminato dalla luce della consapevolezza. La stretta connessione che esiste fra ciò che appare come microcosmo ed il Macrocosmo, fa sì che si possa inferire un principio assolutamente ignorato dall'umanità attuale. Si può cioè dedurre che il Manifesto ed il Potenziale sono la stessa identica realtà, e che ciò che è logico e obbiettivo nel mondo formale è altrettanto logico ed obiettivo nel mondo sottile e sottilissimo, e cioè nell'aspetto causale dell'Emanazione. L'aspetto causale di cui qui si discorre attiene alla fenomenologia in fase d'apparizione all'occhio dell'uomo storico, e non concerne la 96


Causa stessa della Manifestazione, l'Atto volitivo divino che s'impersona come sorgente dell'idea globale che estrinseca: il Brahma. Il Mondo Causale sovrassiede alle fenomenologie più sottili e via via più grossolane le quali si condensano nella Tridimensionalità, e fa corpo unico con il nostro universo esistenziale. Ciò che dunque è valido in quell'aspetto a noi noto come "estrinsecazione spazio/temporale" è valido anche ai livelli più profondi dell'Emanazione: in altre parole, i principi logici informatori sono comuni sia all'Alto che al Basso, al Piccolo che al Grandissimo. Il Problema è dunque l'individuazione dei suddetti principi, la cui percezione non è facile neppure ai più avveduti dei pensatori, e che appare in genere assente nell'attuale cultura. La schematizzazione, data dall'Albero Sephirotico, è qui di valido aiuto e deve dunque venir compresa. Il principio formativo è quello dell'equilibrio delle influenze contrarie, e quindi è all'equilibrio che deve rivolgersi il cammino dell'Uomo. Raggiungere quest'assunto significa superare la conflittualità sia psicologica che formale, sia interiore che esterna (questa è un'enunciazione descrittiva, ed il lettore noti l'approssimazione dei termini) al meditante in via d'autorealizzazione. Il meditante nel piccolo è lo stesso jiva, nel grande è l'uomo cosmico, il Figlio di cui il Padre, contemplandolo nella sua dispiegata lucidità, si compiace. Ma comporre la conflittualità che cosa significa, nel concreto? Innanzi tutto, significa il porsi come elemento integrato con il Tutto a cui ognuno appartiene, e ciò avviene cogliendo l'aspetto illusorio dell'esistere corporeo e "sentendo" l'unità: prima a livello intellettuale, poi emotivo ed intuitivo, ed infine come realissima esperienza spirituale, in grado di produrre effetti incommensurabili nel piano oggettivo. Questo processo richiede da un lato la purificazione del mondo interiore da tendenze dell'ego, ricordi di antiche propensioni e condizionamenti acquisiti nel processo evolutivo. A questo proposito occorre affermare che il concetto d'evoluzione è fondamentale, se si considera il processo come divenire temporale, ed illusorio se lo si vede nella sua reale consistenza. In effetti l'evoluzione è un moto puramente psicologico di rappresentarsi come esistente, sia da parte dell'Uomo Cosmico sia da parte del jiva che ne è componente, e può raffigurarsi come l'emergere di un'idea dapprima intuita nell'essenziale, e via via articolantesi in tutte le sue implicazioni. L'intuizione originaria è ovviamente quella che il Brahma stesso accende nell'Uomo, ed è quella che - in modo assolutamente inconscio per lunghissimo tempo, e poi con crescente chiarezza - lo guida e lo spinge verso l'acquisizione della sua vera natura. Quest'acquisizione è più limpida in alcuni ed assai torpida o carente in altri, esattamente come in alcuni le idee sono articolate e logicamente connesse, e magari illuminate da intuizioni improvvise, ed in altri stentano a farsi luce negli schemi di comportamento automatici e nelle intelaiature di luoghi comuni, che sostituiscono la mancanza di un vero centro intelligentemente dinamico. La prima acquisizione, e cioè questa purificazione dell'interiorità, è il passo fondamentale e più difficile, perché induce a superare nell'intimo lo schema conflittuale dell'Emanazione e a creare il presupposto necessario per il suo 97


componimento nella sfera del jiva o dell'Uomo Globale. Qui non ci dilungheremo in quest'argomento, che è compito esplicativo del Maestro fisico o spirituale, e che comunque richiede un contatto con i1 Mondo Causale e le sue Emanazioni. Diremo piuttosto che, fin quando esistono scorie di tipo egotico e particolaristico, non è possibile superare il baluardo rappresentato dallo squilibrio delle componenti dell'entità vivente, e questo è il dramma tante volte sperimentato dai ricercatori. La porta per l'emancipazione è interna, o - meglio - non esiste: è uno stato di coscienza d'equilibrio e armonia che - consolidandosi - produce effetti. Alcuni di questi sono vistosi ed eclatanti, altri sfuggono ai più, e sono in genere prevalenti come importanza. Mirare all'essenziale e non disperdersi nei rivi di un esoterismo emotivo e sensazionale è quindi indispensabile per ragioni intrinseche al campo reale d'attività, e non certo per ossequio a presupposti moraleggianti o a supposte richieste di comportamenti definiti da "Entità Supreme". In un mondo dominato da formalismi, dogmi e preconcetti di tutti i tipi, compreso quello del progresso scientifico ad ogni costo, ciò è arduo e difficilmente comunicabile. Occorre dunque la tenacia e la pazienza del vero adepto per non interrompere il cammino e abbandonare il sentiero. L'adepto in fieri non potrà mai farlo, perché percepisce la sua natura a livello spirituale ed intuitivo, e “sa” che non cesserà mai - a qualunque costo - di cercare e cercarsi. Gli altri finiranno col dimostrare a Colui che li guida e a sé stessi la propria immaturità, procacciandosi le conseguenti correzioni karmiche e le necessarie frustrazioni esistenziali che (almeno come ipotesi globale) non possono mancare. -O2°) La nostra tesi è dunque questa: può il nostro compito attuarsi con i mezzi ordinari dell'Uomo attuale, o richiede un intervento che sia sì determinato dall'Uomo, ma che è prevalentemente affidato ad Enti dell'Interità? Questa domanda è preliminare ad ogni tipo d'operatività, ed occorre considerare l'indispensabilità di risolverla prima di fare un serio tentativo per l'acquisizione del proprio posto nell'ideazione divina. Innanzi tutto facciamo attenzione ad un punto fondamentale: l'Uomo non è da identificarsi con l'abitatore odierno del nostro pianeta, ma è lo spirito vivente dell'Universo, che ne costituisce in qualche nodo l'espressione formale. Quindi, secondo una concezione più rigorosa di quella comune e volgarizzata, l'Uomo è concetto che comprende molteplici piani d'esistenza in atto, ed un numero imponderabile di piani potenziali. I piani in atto sono, con una schematizzazione che sarebbe ridicola se non s'imponesse la necessità d'illuminare il concetto, simili ai vari aspetti dell'individuo attuale: un piano fisico e corporeo, rappresentato dalle forme più dense e concrete; un piano eterico e sottile, che è come il prolungamento oltre i cinque sensi grossolani 98


dell'aspetto più condensato del formale; un piano mentale, nel quale agiscono in realtà macrocosmica le Entità Elementali come forze che conservano e perpetuano l'esistenza secondo la basilare legge causale; un piano spirituale, dove avvengono le ideazioni più importanti in vista della finalità dell'Universo stesso, e dove esistono le Forme/Pensiero prodotte da Archetipi d'estrema complessità, attivi come Centri causali d'irradiazione. Oltre a tutto questo c'è la Causa Prima dell'Emanazione, il brahma, e cioè l'Idea Suprema che determina il verificarsi del divino disegno. Il Brahma è Idea vivente del Brahman nel senso che è il Brahman nell'aspetto rivolto al dinamismo creativo e all'evidenziazione di un archetipo. Non è distinguibile sostanzialmente e concettualmente dal Brahman, se non per il fatto che esprime questa specifica manifestazione: è, diciamo, il punto di scaturigine dell'Universo, quello che lo determina ed insieme tutto lo contiene, perché l'Universo esiste in quanto è pensiero di quel “Punto”. Dunque l'Archetipo Uomo è in effetti pensiero brahmanico e sostanziale al Brahma. Abbiano quindi nell'idea "Uomo" un Centro che trascende la sua stessa delimitazione e che la fonde con il supremo Pensatore. Nell'Uomo individuato essa viene nominata come "Sé", impersonale e reale, chiusa nel recesso del "cuore", e cioè nel sito più profondo dell'Individualità che è ben oltre qualsiasi locazione fisica e perfino formale. Questo Sé è l'aspetto assoluto dell'Archetipo, il quale è sprigionato proprio dal Sé e ne è contenuto. Il Sé del jiva è perfettamente identico come essenza a quello dell'Universo e dell'Uomo Globale che - abbiamo più volte affermato - "è" l'Universo, almeno in un certo aspetto e con limitazioni concettuali che proveremo a chiarire. Essendo così le cose, è naturale affermare l'identità dell'Idea con l'Ideatore e l'unicità dell'Essere anche su di un piano emanativo, fermo restando che l' "idea" è un "prodotto", una specificazione del Cit Supremo e, come tale, è insieme l'Ideatore e sé stessa. Perché e come questo accada, è mistero massimo oltre i limiti dell'analisi intellettualistica, ed abbiamo in altre righe cercato di delineare, per quanto ci è possibile, le motivazioni intuibili che determinano il processo. Abbiamo anche supposto, riteniamo fondatamente, che un incommensurabile atto d'amore sia alla base di tutto il dinamismo divino, e che quest'amore non esprima semplicemente l'unità del Tutto intuita oltre l'apparente differenziazione, ma anche la specificazione delle personalità come espressione medesima della divina volontà. L'Amore cioè non può essere negato dalla creatura nel suo aspetto personalizzante senza ohe questa si ponga contro la stessa ideazione del Brahma. In altre parole, l'essenziale aspetto del vivere ed esistere come "persona" è nell'essere elemento vivente, autonomo ed insostituibile del disegno supremo, accettare e comprendere quest'altissimo, insondabile evento per quanto ci sia possibile, ed attuarlo nei limiti dell'autorealizzazione conseguita durante il processo spazio/temporale. Limiti che in quest'attività vengono continuamente superati e rimossi, in un moto sostanzialmente tendente all'infinita comprensività ed al completo esplicarsi del potenziale impresso dall'Assoluto in ogni aspetto del suo volere. Questo è il nostro assunto di partenza: che l'Uomo universale e personalizzato 99


abbia la sua massima realtà nell'identificarsi con l'ideazione suprema, della quale costituisce momento essenziale. L'Uomo è dunque dinamismo, e dinamismo globale nell'ambito del suo campo: campo che tende non a una stabilità equilibrata, ma fine a sé stessa, perché lo scopo dell'Emanazione è creare un centro autonomo e personalizzato del potere creativo assoluto. L'Assolutezza agisce tramite le Idee archetipali, che sono Entità viventi perché autocoscienti, e come tali determinate: nulla impedirebbe - a rigore - che il Brahman perseguisse i suoi disegni illuminandoli con la Sua esclusiva consapevolezza, senza delegare o donare ai Centri promanatori alcuna personalizzazione ed autonomia. Se ciò avviene, è evidente che avviene per un preciso intento divino, che non può non corrispondere all'essenziale aspetto dell'Assolutezza che abbiano chiamato "Amore". L'Amore è insieme - nella creatura - intuizione dell'unità e della propria inconfondibile realtà rapportata ad altra realtà, differente perché altrimenti specificata, ma egualmente riconosciuta come parte del proprio essere. Questo principio è la chiave per intendere il nostro modo di concepire e risolvere il problema iniziale, giacché comporta un necessario collegamento dell'Uomo con ogni altro aspetto dall'Universo, se si considera il problema dal lato microcosmico; e addirittura tutto l'universo è rappresentato nelle sue componenti fondamentali entro la sfera attuale e potenziale del singolo. Ciò implica che l'unione dei vari piani d'espressione dell'Uomo è necessaria a livello personale, come fusione ed armonizzazione di aspetti evidenziatisi nel processo spazio/temporale: che ciò richieda un'integrazione del particolare con l'Universale, del singolo con il tutto è conseguenza logicamente evidente. Pensare dunque che l'Uomo possa essere ciò che in effetti è necessario sia, senza l'integrazione con le massime componenti del manifesto, è contraddittorio con la medesima configurazione ideale stabilita dall'Assoluto, il quale vuole il superamento delle contrapposizioni come frutto di un libero atto di realizzazione, e quindi secondo un preciso svolgimento interiore. Non esistono fini particolaristici nell'Emanazione in cui viviamo, ma un Fine comune a tutti gli aspetti in essa attivi, da quelli più infimi nella dialettica evolutiva ai più alti realizzati, e perfino a quelli che - rispetto al tempo del nostro continuum sono preesistenti o, meglio, esterni/interni. Nel Fine comune però si realizzano e non si annullano tutte le personalità: la creatività divina non toglie ciò che liberamente dona, e quanto dona è in effetti esistente ben oltre il tempo delle nostre percezioni, limitatissime e condizionate. Dobbiamo in ogni caso soffermarci a lungo su alcuni di questi aspetti, perché è necessario - e ne cogliamo qui l'occasione di un'esposizione più attenta di quanto già facemmo - illustrare implicazioni e leggi di comportamento che sono essenziali per il giusto indirizzo sia del singolo che della specie a cui il singolo appartiene (nel nostro caso, l'uomo della Terra), e che mirano al risveglio dell'Entità Cosmica di cui tutti siamo le modalità. A costo di ripeterci, indagheremo conseguentemente su alcuni fattori più volte evidenziati, e ne trarremo nuove e chiarificanti conclusioni. 100


La nostra idea fondamentale è che l'Uomo e gli uomini siano l'archetipo per il quale è stata evidenziata l'attuale Manifestazione. Quest'assunto comporta insieme l'assoluta rilevanza del processo spazio/temporale, in cui la Emanazione si esplica, e della finalità trascendente del manifesto. Nel corso della storia del pensiero umano, questi aspetti furono assai spesso fraintesi, e generalmente venne rafforzato concettualmente e praticamente uno di essi a completo detrimento dell'altro. Se si volle porre l'accento sull'aspetto finalizzante del mondo formale, le sue componenti praticamente sperimentate furono sopratutto intese come ostacoli, prove, barriere alla realizzazione sia del premio paradisiaco (concezione prevalente nell'ipotesi dualistica), sia del reintegro nell'Assolutezza originaria, perduta in seguito a un misterioso ed imperscrutabile evento: la "Caduta" allo stato materiale ed umano. Se - di contro - si volle riaffermare il valore dell'esistenza e di quanto in essa s'esprime, il Mondo e la Vita vennero valorizzati in genere seguendo un'ipotesi positivistica, che ripudiava spesso sia una finalizzazione che un aspetto trascendente dell'essere; e talvolta Mondo e Vita furono intesi come un necessario tributo alla purificazione, indispensabile dopo l'oscuramento iniziale che diede origine al mondo delle forme e dei nomi. Quest'ultima tesi, che venne fatta propria dalle chiese tradizionali del mondo occidentale, dava ragione di alcuni aspetti dell'esperienza umana, spiritualizzava ed armonizzava le sue componenti, e conferiva un estremo rilievo al fattore "amore" nell'esistenza (sopratutto come espressione dello spirito in negazione di quella tipica del mantenimento delle specie viventi); ma lasciava insoluti problemi basilari per gli uomini, e alla lunga ne creava altri, insuperabili. Il nostro tentativo non è tuttavia quello di conciliare opposte dottrine, in un sincretismo che permetta la loro contemporanea assunzione negli aspetti non contraddittori, ma è di raggiungere una visione sintetica che, alla luce del rivelato ed acquisito, dall'esperienza esoterica di millenni, permetta un superamento dei limiti in essa riscontrabili o, meglio, uno svolgimento logico e trascendente delle implicazioni in essa contenute: con massimo rilievo sia al fattore escatologico e finalistico della vita, sia all'importanza dell'esatta esperienza esistenziale per il conseguimento dell'autorealizzazione generale ed individuale. E' certo quindi che questo nostro metodo si discosti parecchio da alcuni insegnamenti tradizionali, ricorrenti nella cultura e nell'ascesi, e ciò nel senso che lungi dal fermarsi alle loro conclusioni storiche - le sopravanzi per delineare un diverso e più appropriato campo d'attività e di valori. Innanzi tutto è evidente per il nostro lettore che il metodo finora tracciato si serve ampiamente del pensiero greco, ebraico, orientale induista e perfino taoista, con precisi riferimenti alle concezioni buddhiste ed advaite. Ma è anche evidente che alcuni presupposti di queste stesse ideazioni non sono raccolti, e vengono sostituiti da altri che emergono da tutta la nostra precedente esposizione. Qui riportiamo l'accento, diremo fondamentale, sul carattere autorealizzativo dell'esperienza vitale, e sulla generalità di quest'esperienza per l'Universo di cui siamo parte. La massima attenzione deve quindi essere posta nel comprendere che la vita è processo psicologico, e non un dato "esterno" all'uomo che 1'esperimenta; che 101


questo processo è in fondo la autodefinizione, come idea armonica e perfetta nell'integrazione reciproca, con altre idee d'identica natura; che la sintesi di tutto questo è l'Uomo. Il Tempo/Spazio sono modalità relative d'autorappresentazione, in quanto dati d'esperienza personali, e categorie manifestanti generali, in quanto significano le leggi estrinsecanti il finalismo dell'Emanazione. C'è un continuo rimando dal particolare all'universale, e senza un preciso confronto con il precetto della Tavola di Smeraldo è difficile cogliere sinteticamente il fenomeno. Inoltre l'Uomo e l'Universo sono estrinsecazione di un'idea unitaria che appartiene al Brahman; il quale ovviamente la "contempla" (e ricordiamo qui l'assoluta identità di pensare ed essere nel Supremo Fattore) nella sua perfetta esplicazione: il divenire, l'autonomo determinarsi di quest'idea nelle categorie d'evidenziazione, appartengono al moto coscienziale interno all'Archetipo Uomo in via di risveglio, e non alla Realtà che lo promana; sono voluti da questa Realtà perché sono i mezzi d'acquisizione sia della precisa consapevolezza del proprio ambito esistenziale, sia della completa libertà, la quale naturalmente coincide con la perfetta armonia fra le componenti, innumeri, dell'Uomo Cosmico. Poiché l'Universo è Idea suprema, è ontologicamente della natura del Brahman, e non differisce in alcun modo da lui se non per un fatto infinitamente trascendente la comprensione dell'ente creato, soprattutto "prima" della sua definitiva illuminazione. L'Amore divino ha posto in quest'idea un principio d'autonomia di espressione e di libertà di scelta che la rendono responsabile di sé stessa, per quanto concerne la propria dinamica realizzativa ed operativa. L'apparente dualismo è dovuto all'impossibilità dell'ente limitato di comprendere l'Assolutezza, e non alla Realtà in Sé, che è e resta Una. Il problema è d'estrema complessità sia sotto il profilo del rapporto fra Creatore e creatura, che sotto quello - non meno articolato - dei legami sostanziali intercorrenti fra le idee/persona in fase di rischiaramento (i jiva) e il loro stesso ambito vitale (l'Universo). Diremo e riaffermeremo che le idee personalizzate sono reali come modalità autonome ed indispensabili dell'Idea globale in cui si determinano, e non sono reali come individualità staccate l'una dall'altra e dal Tutto che apparentemente le contiene. Diremo inoltre che ogni idea riflette in sé - almeno potenzialmente - tutti gli aspetti delle altre idee, le quali concorrono alla formazione della sua specifica personalità, ed insieme contiene un aspetto originale ed insostituibile che la puntualizza come tale. Aggiungeremo che questi aspetti si correlano nel suo ambito in modo univoco ed originale, sotto il profilo ed il "controllo" (ma la parola non induca in errore!) del succitato aspetto essenziale, informativo della modalità medesima: quello per cui è sé stessa e non altri che sé stessa. Affermeremo finalmente che quest'idea/modalità è a sua volta riflessa e contenuta in ogni altra idea autonoma e vivente nel continuum globale di cui è parte, e che l'illuminazione finale fa sì che tutte le modalità siano insieme sé stesse ed il Tutto, ognuna in ognuna secondo un principio d'identità ed amore, e ciascuna libera d'agire ed essere la propria natura, con un'inconcepibile 102


autonomia operativa e libertà creativa. L'insieme è armonico e compiutamente coerente in ogni sua parte, a risultato finale raggiunto; disarmonico e conflittuale durante il periodo della esperienza interiore che noi chiamiamo Tempo, Spazio e forme distinte e contrapposte. Quest'immagine è adeguata, sia al principio della Tavola di Smeraldo, sia allo schema dell'Albero della Vita, sia a quanto è enunciato nello Yoga e nelle Upanishad più fondamentali. I metodi di comportamento ed azione nel periodo di svelamento, sono quelli esattamente esposti nel Baghavad Gita, nel Tao e nello yoga-advaita: vanno intesi ed attuati con particolare riferimento all'insostituibilità dell'esperienza concreta per la conoscenza di sé stessi, ed al valore fondamentale che quest'esperienza assume, in vista dei fini tanto generali che personali del manifesto. Su ciò ci soffermeremo nel prossimo capitolo. -O3°) L'esperienza individuale è indispensabile sia al jiva che all'Uomo Globale: è questo il punto di riflessione che occorre valutare nel suo essenziale valore. La Manifestazione è l'occasione di un'esperienza considerata necessaria dall'Ente Supremo per la formazione e l'attuazione dell'Archetipo che ne costituisce il fine. Agire dunque contro le componenti dell'esistenza nel periodo specifico in cui si trova un'individualità evolutiva è andare contro la stessa ideazione divina, che vuole un pieno ed intelligente fruimento di quelle componenti, in quanto solo cosi s'attuano le valenze della personalità. Occorre dunque, da parte del jiva, un preciso e coerente comportamento il quale, lungi dal rifiutare la vita per un malinteso ascetismo, o per la paura stessa di un decadimento e castigo, sappia sfruttare pienamente le occasioni d'esperienza che il tempo e lo spazio gli offrono e, anziché venir posseduto dalle compulsioni istintuali, dai comportamenti meccanicamente acquisiti nel processo esistenziale, dalle stesse emersioni karmiche dipendenti da scelte ed azioni passate, sappia comprenderli e superarli con un costante sforzo d'analisi e chiarimento interiore: armonizzando gli scompensi nel lucido dinamismo della realizzazione positiva. Qui è gioco fare attenzione: il fine dell'azione interiore ed esteriore non deve essere "contro" il Fine della Manifestazione, ma deve favorire il progressivo chiarimento coscienziale dell'Uomo. Perché ciò accada, occorre che l'azione tenda all'arricchimento spirituale o, per esprimerci meglio, alla integrazione con quanto si presenti nel nostro specifico campo vitale. Integrarsi significa superare le conflittualità in un'armonia che non neghi la personalità, ma la vivifichi mediante l'incontro e la fusione con le altre personalità, con le forze fondamentali che guidano la vita del manifestato e con le Forme/Pensiero costruttrici e custodi del Mondo formale fino al suo compimento interiore. Le esperienze devono dunque essere intese in questo significato estremamente positivo, e devono condurre alla luce della propria coscienza e all'azione 103


conseguente, quanto rappresenti un equilibrio sempre più soddisfacente fra ciò che è il nostro ambito personale e quello che è il campo del nostro essere. Vale dunque più che mai il principio che detto campo sia il fine e non lo strumento passivo del nostro agire: anche se - ovviamente - dovremo usufruire di forme inferiori d'esistenza, che sono gli indispensabili supporti della vita in questo periodo dello Spazio/Tempo. Usufruire non significa possedere ed usare in modo arbitrario ed egocentrico, ma rispettare il mondo che ci circonda pur se non illuminato dalla coscienza, o solo parzialmente consapevole del proprio esistere: significa perciò rispettare il mondo minerale, vegetale ed animale e - riguardo a quest'ultimo - mantenere la massima considerazione, la massima attenzione per quegli esseri che presentano indubbi aspetti d'intelligenza e personalità in formazione, che sono consapevoli di vivere secondo le loro proprie valenze (spesso piccoli e meravigliosi albori della coscienza) e che talvolta, come accade in certi "animali" parecchio evoluti, sanno esprimere affetto, riconoscenza e perfino amore. L'amore può diventare un punto d'incontro fra individualità di differente piano emancipativo, che non deve essere ignorato o sottovalutato, perché annulla in un istante le differenze esistenti almeno sotto un profilo fondamentale. Questo dovrà essere tenuto ben presente, giacché il nostro comportamento è la base della nostra formazione ed emancipazione, e non vi è progresso se vi si ignora la Forza basilare dell'Universo, quella che l'Uomo deve perfettamente impersonare al termine del ciclo. Un principio d'amore e d'integrazione è quindi la norma che deve guidare la nostra esperienza del campo e dell'azione nel campo, sia che questo implichi relazione con altri jiva, sia che rappresenti un comportamento nei confronti di quel che appare esterno a noi stessi, sia che informi il nostro rapporto con Principi non appartenenti di per sé all'ambito tridimensionale, ma che in questo agiscono possentemente ed a questo appaiono immanenti. L'esperienza, lo diciamo nel modo più chiaro e deciso possibile, è dunque lo strumento che ci permette di conoscere noi stessi, di comprendere ciò che siamo in relazione al nostro ambito vitale, di riconoscere nell'altro la comune natura e di qualificarla ed espanderla fino all'intuizione della unità, nell'infinita varietà dei nomi e delle forme. L'esperienza è anche la forza che, consentendo l'attuazione delle innumeri potenzialità personali e generali, consente all'uomo globale di formarsi come archetipo operativo e compiuto nel suo ambito d'attività, e in quello che verrà definito in senso assoluto dal supremo volere. Qui occorre essere attenti, ed occorre sgombrare il terreno interiore dagli impedimenti rappresentati dalle propensioni ataviche ormai anacronistiche, e dalle compulsioni egotiche e distorte che il passato ci lascia in retaggio e che l'immaginazione, avida d'emozioni e gratificazioni, ci propone come desiderabili ed appetibili. Occorre insieme liberarci dagli schemi mentali che, in un tentativo d'emancipazione troppe volte inutile e fallito, vennero imposti come surrogato di un 104


libero ed equilibrato comportamento: schemi derivati da principi etici malintesi, da norme religiose carenti di vera e profonda religiosità, da dogmi ed ingiunzioni usciti da una speculazione strettamente intellettualistica ed astratta (non sorretta perciò da un reale approccio alla trascendenza), o da contingenti e spesso distorte situazioni culturali storiche e di per sé transeunti, ma perpetuate in certi aspetti ben oltre il tempo a loro proprio. Liberarsi dai preconcetti, dagli schemi, dagli impulsi disarmonici e possessivi, annullare le componenti karmiche di un lontano o recente passato, le propensioni contro la libertà del divenire e dell'essere in armonia col Tutto: questo è il compito primario del ricercatore; e imparare ad amare la vita in ogni sua fondamentale espressione che, quando è bene intesa, ben individuata e realizzata, esprime gioia, crescita e dinamicità evolutiva. Essere per la vita in opposizione a tutto quello che è contro la vita, significa amare: questo è il centro di ogni giudizio sul nostro modo di sperimentare ed affrontare il nostro campo esistenziale. Se le azioni implicano amore per la vita, integrazione, assenza di qualsiasi sopraffazione per tutto quel che esiste, volontà d'apprendimento e conoscenza dell'infinita gamma di relazioni intercorrenti fra gli aspetti del mondo formale, in cerca del luminoso centro di sintesi armonica, allora queste medesime azioni saranno davvero produttive d'emancipazione e libertà, e la nostra diverrà esperienza dell'autonomia personale magnificamente radiosa e dinamica, ed esperienza della Libertà che è alla base della Manifestazione. Tale modo d'intendere il campo esistenziale sottintende il superamento dell'ego come padrone della personalità, e 1a sua riduzione a un compito essenziale: quello d'essere lo strumento dell'esperienza, consentendo di riferire al proprio esistere le azioni che vengono eseguite, ed insieme trasformandone l'antica aggressività in armoniosa centralità d'integrazione e di gioioso amore. Amare è essere felici d'amare, d'incontrarsi con tutto quello che esiste ed in cui si riflette la nostra personale realtà; amare è insieme riuscire ad impersonare quanto più è possibile l'esistente oltre noi, comprendendolo ed assumendolo come elemento formativo ed essenziale della nostra identità, così come noi effettivamente siamo in ogni altro principio intelligente ed autocosciente. Il diamante è costituito da infinite molecole, ed ognuna di esse è il diamante e sé stessa: in ognuna vivono ed operano le forze coesive e gravitazionali che determinano l'insieme e contemporaneamente lo trascendono infinitamente. Ogni molecola riflette la luce secondo la sua natura e nessuna è identica ad un'altra; sia pure per imponderabili differenze, gli atomi di ognuna hanno le loro orbite d'elettroni in incessante, rapidissimo movimento, e lo stesso nucleo è costituito da particelle reali in relazione profonda l'una con l'altra, e con gli elettroni, con le molecole vicine e lontane, con l'intero diamante e - oltre - con lo stesso continuum che lo contiene e lo determina. Riflettiamo su questo semplice esempio e sul fondamentale principio della Tavola d'Ermete: ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto, a formare il Mistero della Realtà Una. 105


Sia questo l'incessante motivo della nostra riflessione quotidiana, quella che è insieme nostalgia, ricerca ed acquisizione di un principio unitario, comprensivo e qualificante del vivere del singolo e dell'Universo. Un principio, quindi, d'Amore. -O4°) La nostra fatica è ora indirizzata ad informare il lettore dei limiti che sono relativi alla ricerca fondata sull'intellettualismo e sull'argomentazione logica. Pur se queste pagine rappresentano di per sé (e cioè per il modo in cui sono state dettate) un rilevante esempio di rottura di piano, esse si fondano - almeno per il lettore carente dell'esperienza primaria del contatto - sull'analisi e la sintesi, l'induzione e la deduzione, l'inferenza e lo sviluppo analogico dei principi. Il lettore può mancare dunque di un elemento interiore di giudizio, e dobbiamo conseguentemente condurlo a un esegesi delle fonti che sopperisca a questa eventuale carenza, ed insieme gli fornisca la base della ricerca individuale. Occorre innanzi tutto considerare le nostre precedenti scritture come fonte di conoscenza intellettuale non di derivazione umana, almeno negli aspetti che conducono oltre a quanto viene esposto nelle tradizionali letture dei testi tanto orientali che occidentali. Il fatto che questa conoscenza sia puramente del manas, dell'intelletto e non dell'esperienza, ne delimita il valore, che tuttavia resta - per l'allievo - enorme, e non sostituibile che da un reale apporto di conoscenza personale a livello realizzativo. Perché un allievo diventi un iniziato, e cioè s'inoltri direttamente in quel territorio inesplorato che è riservato solo a quanti abbiano qualificazioni adeguate a percorrerlo, occorre primariamente sgombrare la sua mente ed il suo cuore da false nozioni, da schemi acriticamente accettati e da impulsi irrazionali dell'inconscio (ma sovente e falsamente, razionalizzati). Il nostro sforzo è quindi preparatorio al campo di ricerca personale di ciascuno di noi, diverso per ognuno ma unificato da principi generali che rispondono alla reale natura dell'Uomo. Un indirizzo preciso non si limita a fornire obbiettive informazioni, a comunicare dati su verità preconfezionate, ma conferisce - insieme ad alcune di esse, indispensabili per la comprensione generale - il criterio del loro esame, e la capacità di un atteggiamento criticamente imparziale. I nostri scritti non si limitano quindi ad esporre i principi d'interpretazione della Realtà che ci sembrano più adeguati alla mentalità dell'uomo odierno, specie se occidentale, ma cercano e desiderano stimolare le sopite capacità d'analisi obbiettiva, di ricerca e di volontà, al fine di raggiungere e perfezionare un effettivo approccio con il trascendente, il quale consenta la visione globale, diretta e finalizzata dell'Emanazione. Qui stiamo già accennando a uno dei limiti fondamentali del pensiero analitico, che meglio esporremo più innanzi. Ciò che vogliamo affermare (e poi dimostrare) è 106


che senza un concreto contatto con la parte sottile della Manifestazione, non è possibile comprendere e conoscere la parte sensibile ai nostri sensi che in un modo imperfetto e falsificante, così come la conoscenza di un unico dato di un problema complesso non può condurre alla sua perfetta risoluzione, ma soltanto ad un risultato provvisorio e parziale. Nulla è infatti più falsificante ed illusorio di un parziale approccio al reale, come la storia degli uomini purtroppo insegna a dismisura. Un approccio imperfetto, ma che sia consapevole d'esser tale, e perciò tenda incessantemente ad un completamento e alle conseguenti verifiche, con l'umiltà di sapere ben poco e con la speranza di poter comprendere - faticosamente ed incessantemente - il Tutto, è estremamente più produttivo di concrete ed obbiettive conoscenze e di un "sapere" libero da preconcetti e verificabile alla prova dei fatti. Il limite che denuncia l'intelletto (sia pure sorretto dal contatto con le conclusioni di quanti hanno potuto trascendere il puro intellettualismo) è quello che da sempre, o almeno da molti millenni, è ben conosciuto: non esiste nulla nell'intelletto che non provenga in qualche modo da un'esperienza reale. Quando da tale dato effettivo si cerca di giungere a concettualizzazioni di principi non oggetto di per sé stessi dell'esperienza personale, si entra in un terreno minato, e si rischia di parlare saccentemente di cose che non si conoscono e non si capiscono. Il problema dell'uomo attuale è duplice: da un lato, c'è un'esperienza oggettiva, che si dilata nel tempo e nello spazio e ha per caratteristica fondamentale un incessante mutamento. Nulla permane, ed ogni cosa è soggetta a un processo di formazione, mutazione e disgregazione incessante. L'animo umano, che tende spontaneamente ed incessantemente alla permanenza e alla stabilità, ne è grandemente turbato e reagisce in molti modi: dalla passiva rassegnazione di fronte a un mistero incombente ed ineluttabile, al tentativo di speculare su questo "Fato" dell'Uomo e delle cose, per attingere a una sintesi capace di trasferire il piano interiore individuale su un valore non effimero ed ingannevole. Ciò perché l'esperienza dell'uomo è dolorosa, e la voglia di concretezza, di libertà e di completezza che lo anima, non possono che essere costantemente frustrate dall'esperienza esistenziale, se questa è circoscritta al mondo percepito sensorialmente, astraendo da questo limitatissimo ambito di conoscenze, dati che in effetti dovrebbero derivare da un suo superamento. E' piuttosto facile dimostrare come la mente possa, partendo da un unico punto d'indagine, pervenire a opposti risultati in dipendenza dalla indole e dai metodi utilizzati dal ricercatore. Un semplice esame del contenuto tipico della filosofia occidentale (carente in genere di esperienza concreta ed intellettualizzante come nessun'altra metodologia) ci dimostra la verità di quanto affermiamo, ed il lettore insoddisfatto si prenda l'utilissima briga di controllarci leggendo con intelligenza ed obiettività un qualsiasi trattato di storia della filosofia, sufficientemente esteso ed esatto da fornire un quadro esauriente. Nel nostro caso, poiché noi ci rivolgiamo a ricercatori che accettano l'idea di realtà diversificate e non limitate a quanto appare ai cinque sensi, abbiamo insieme un aspetto positivo e uno negativo da affrontare: colui che legge queste pagine 107


certamente non è tipo da irridere all'esistenza di sfere di realtà più sottili di quella ordinaria, e se così fosse sarà bene che s'occupi d'altro a lui più confacente; ma, con la consapevolezza di realtà diverse, nutrirà il dubbio sul significato, valore e profondità di queste medesime realtà, e sul suo stesso esistere come parte individuale o personalizzata di questa continuità vitale. Il fatto d'ammettere un aspetto che trascenda la normalità attualmente vissuta, non dice molto sul significato finale di quest'aspetto, e soprattutto non illumina davvero il problema di percepirne la realtà. Occorre procedere oltre; occorre "entrare" in quell'ambito di verità che sfugge al contenuto ordinario dell'esistenza, ed orizzontarci su un terreno estremamente ignoto e talvolta inspiegabile. Comprendere che l'esperienza - e solo l'esperienza - è madre della sapienza, e che l'intelletto non rappresenta null'altro più che lo strumento coordinatore e analizzatore di questo tipo di conoscenza, è il primo passo. Se il lettore penserà ancora di poter attingere alla fondamentalità dell'Essere, alla "verità fuori dal dubbio", alle acquisizioni finali solo con lo strumento intellettuale, logico, deduttivo o induttivo, inoltrandosi in uno spazio oltre i suoi confini percettivi, finirà nelle pastoie dell'inquietudine, del paradosso, della dubitosa incertezza metafisica. Farà in altre parole esperienza dell'insufficienza del veicolo prescelto, e ne verrà o impietrito (come purtroppo tanto spesso è accaduto ed accade) o coinvolto al punto da sostituire la sapienza col dogma, la partecipazione alla vita con l'ascetismo o la sfrenatezza, l'equilibrio con l'accentuazione di una componente intellettuale della psiche. Ciò accadrà inoltre in modo apparentemente alogico, perché interverranno in questo specifico atteggiamento impulsi assolutamente fuori dalla soglia dell'ordinaria coscienza, tanto più temibili in quanto razionalizzati e perciò travestiti. Questo pericoloso comportamento, ha determinato il nichilismo che domina la cultura di tipo occidentale, ma che ormai pervade grande parte del globo terracqueo: un profondo senso di sfiducia in sé e nell'esistenza conduce ad un ego smisurato per compensazione, all'attivazione di componenti contrarie all'integrazione e alla vita, la quale nasce sempre da un profondo reciproco adattamento - e sovente da un processo di fusione - di opposti o differenziati fattori. Dobbiamo dunque conoscere il limite dell'intellettualismo per non travalicarne il contenuto e per utilizzarlo a dovere: se questo è bene inteso, potremo continuare il nostro discorso ed andare più innanzi, verso un ostacolo non meno temibile il quale, nascendo insieme dall'intelletto e dalla esperienza più propriamente esoterica, costituisce un bivio, una dicotomia nella ricerca del momento più profondo sia del particolare che della Assolutezza, a cui il primo in un qualche modo sempre inerisce. Il limite dell'intelletto è la mancanza di vera esperienza in ciò che vorrebbe comprendere; nel tentare d'andar oltre la sua funzione, che è insieme coordinativa, analitica e di guida verso ulteriori approfondimenti: la intelligenza razionale travalica sé stessa e perviene a risultanze scompensate e talvolta contraddittorie. Il problema non è di dimostrare questo assunto, che è visibile a chiare lettere nella storia dell'uomo, ma di intendere i modi i quali rendano possibile un ampliamento dell'esperienza. 108


Per la definizione del problema occorre fare un appropriato uso del mezzo manasico conoscitivo di quanto già si è acquisito, perché è proprio dall'esatta prospettiva di nozioni in nostro possesso che possiamo non tanto superare il limite dell'assenza di una sapienza concreta, quanto metterci in una posizione di coscienza tale da consentirci quest'esperienza. Il meditante d'altre epoche era agevolato da un contesto sociale ed ambientale in vari modi favorevole al suo sforzo. La natura più intatta e spontaneamente equilibrata, l'assenza di tante tensioni psicologiche ora attivatesi nell'inconscio e nel conscio collettivo, la mancanza di certe "presenze" attualmente fin troppo reali, rendevano il compito dell'esoterista certamente non facile, ma altrettanto certamente meno arduo. Oggi dobbiamo attraversare un fluido avverso, che si estrinseca in pensieri, impulsi, tendenze e fatti miranti tutti ad un fine eversivo, incompatibile con quello altissimo dell'Emanazione. E' quindi in siffatto contesto che dobbiamo proporci le soluzioni del problema, e intraprendere il sentiero che obbiettivamente ci appaia il migliore. Due sono le fondamentali posizioni dello spirito che l'esperienza esistenziale propone sia all'uomo comune che all'iniziato, e dalla scelta che esse impongono dipende gran tratto del cammino evolutivo. Una di queste implica un giudizio negativo, in molti modi articolato, sulla realtà fenomenica particolare e sull'Emanazione; l'altra considera positivamente e finalisticamente l'Emanazione stessa - in alcune significative correnti di pensiero -, la considera quale estrinsecazione primordiale del dinamismo divino. Tra questi poli opposti esistono innumeri stratificazioni concettuali e metafisiche, che non esamineremo in questa sede per il semplice fatto che riteniamo il lettore sufficientemente edotto in proposito. Soffermiamo invece la nostra attenzione su di un principio non del tutto chiarito in precedenza, o che almeno consideriamo di tale importanza da meritare un più ampio discorso. Il principio in sé è semplice: l'Uomo è artefice di se stesso, e finisce col giungere là dove vuole veramente arrivare. Se la meta è insufficiente, dovrà impararne la lezione e mettersi di nuovo in viaggio, cercandone una più qualificata ad esprimere la compiutezza della sua essenza. Tutto questo implica esperienza di sé - fondamentale per chi s'avvia a diventare archetipo -, e la costante possibilità dell'errore. Per evitarlo l'uomo non è lasciato completamente a se stesso, è certamente aiutato e ammonito in modi prevalentemente indiretti, ma deve in ogni caso far uso di tutte le sue facoltà attuali per raggiungere la chiarezza interiore, il punto d'equilibrio necessario al perfezionamento del suo intento. Soffermiamo adesso l'attenzione su quest'aspetto: "utilizzare le facoltà attuali". Cosa c'è d'implicito in questa frase? Che l'uomo deve comprendere, sapere quale sia l'effettivo contenuto della sua potenzialità in un particolare momento del tempo e in un determinato modo di configurarsi a se stesso. Questo è un compito che non ammette obiezioni e non può essere delegato ad altri: neppure a Maestri trascendenti. Chiariamo il concetto: esiste un aspetto nell'ambito vitale che è di rivelazione 109


per iniziativa d'Entità appartenenti a un altro ordine di realtà; un aspetto che nasce dall'esperienza concreta dell'esistenza, e infine aspetti i quali non sono immediatamente percettibili, ma che divengono egualmente raggiungibili con l'attivazione di tutte le facoltà presenti in quel determinato momento. La Rivelazione concede un basilare contributo: chiarifica e determina principiguida dell'esperienza concreta, quando l'emancipazione dell'Uomo lo mette in condizione d'afferrarne il contenuto. La Rivelazione non dà quindi un codice di leggi, l'ossequio delle quali sarebbe di per sé sufficiente a risolvere il problema dell'esistenza, ma un tracciato che può portare, se ben inteso (e per intenderlo occorre il concorso unitario di tutte le componenti della personalità), a un superamento di limiti immanenti, e a un ampliamento del campo di vita effettivo. Nell'affrontare questo tracciato, che è coerente sia col potenziale conoscitivo che con quello derivato dall'esperienza trascorsa, l'uomo è solo parzialmente guidato dall'esterno, e tanto meno quanto più può: la scelta è cioè libera nei limiti in cui l'uomo è capace di rendersi libero utilizzando tutta la sua capacità, limiti tanto più ampi e comprensivi quanta più elevata è l'attuazione del suo contenuto sostanziale. Delegare ad altri il compito di decidere per noi, di stabilire il nostro destino o il semplice indirizzo delle nostre azioni è quindi contrario al tessuto dell'Emanazione, e non può essere tollerato che per il tempo necessario all'esperienza correttiva. Stando così le cose (ed è, questa, una conseguenza diretta della crescente acquisizione di libertà), è naturale che solo a se stesso l'uomo debba chiedere che fare della propria esistenza; ma questa domanda, con la conseguente risposta, esigono un rigoroso esame ed una altrettanto puntuale integrazione con i termini obbiettivi del problema, onde procedere a una scelta veramente purificata da recondite o palesi scorie che affermino un particolarismo egotico, o il sussistere di imperfezioni rimovibili del subconscio o dell'inconscio. Certamente v'è l'aiuto di un consiglio, se chi si pone il problema è capace di chiedere ed intendere consiglio: ciò può accadere in molti modi, e non è questo il luogo d'elencarli. L'uomo comune può attingere - momentaneamente - al contenuto più profondo della sua coscienza e a ciò che fu detto dai maestri più alti e veritieri; l'esoterista (che è un uomo comune, dall'altro differente solo per essersi posto il problema in maniera più coerente ed adeguata) deve confrontarsi con sé medesimo e l'Istruttore, nelle forme e sostanze più attente e puntuali consentitegli dalla sua interiorità, e trarne tutte le conseguenze logicamente e equilibratamente possibili. Non riceveranno entrambi una risposta che li assolva dalla necessità della continua ricerca, dell'approfondimento e della costante verifica, perché questo è il compito dell'Uomo nel Ciclo manifestante, e l'Uomo non può esimersi dal perfezionarlo: può soltanto - e questo è l'argomento del prossimo capitolo -, rendersi più agevole o più arduo il cammino. -O-

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5°) La necessità di un perfetto equilibrio fra logica ed intuizionismo, fra mente e spirito è dunque il terreno su cui il Maestro, guida indispensabile per l'uomo che s'accinga al proprio impegno realizzativo, getta i suoi semi. L'allievo sarà arbitro - e qui egli è davvero padrone di gran parte del suo destino - di scegliere gli aspetti a lui più confacenti per propensione e struttura interiore. Le qualificazioni appartengono tuttavia, in modo alquanto specifico, a elementi che sfuggono all'analisi dell'intelletto, e che quindi devono essere attentamente studiati per scorgere cosa effettivamente rappresentino. Quello che il Maestro deve ottenere è appunto la consapevolezza dell'allievo in aspetti normalmente fuori dal campo dell'attenzione e della coscienza ordinarie e ciò è ottenuto sia attraverso la disamina intellettuale che precede l'esperienza vera e propria, sia mediante i fatti incidenti con l'esistenza e la loro attenta valutazione. L'ampiezza dell'esperienza è dunque fondamentale per l'allievo, ed il condurla in modo equilibrato e non determinante (nei limiti del possibile) vincoli karmici, è lo strumento del suo sforzo emancipativo. Se il Maestro è adeguato, se l'allievo è equilibrato e l'impegno costante, s'apriranno prospettive coerenti per il futuro. Ma qui il problema diventa delicatissimo perché può essere risolto, restando nell'ambito della scelta iniziatica e non guardando adesso ai problemi dell'uomo comune, in modi differenziatissimi, tutti leciti come cammino esoterico, ma - ovviamente - a livelli diversi di realizzazione. Il punto centrale del problema è l'atteggiamento nei confronti della Interità e della Causa Prima d'ogni aspetto formale. Qui la voce interiore è sottilissima, e può essere intesa solo con un approfondimento estremo delle personali capacità. Non è neppure pensabile che l'Assolutezza dica in modo definitivo quale sia il sentiero migliore, perché proprio in quest'esperienza di scelta e di percorrenza si esprimono e si attuano elementi fondamentali dell'Uomo. L'Uomo deve essere libero e diventare Maestro di se stesso: nulla quindi può sostituirsi a lui nell'approccio che egli decide di compiere verso la Realtà. Perché tuttavia la scelta compiuta da un'entità evolutiva più o meno emancipata, sia veramente libera, occorre che quest'entità abbia elementi di giudizio conformi al problema che si viene ponendo: ciò in quanto essa non è ancora in grado d'utilizzare un grado di penetrazione nel reale capace di consentire l'autonoma consapevolezza. Elementi disparati verranno conseguentemente incontrati dall'allievo nel suo corso esistenziale, alcuni eclatanti e - nel maggior numero dei casi - assolutamente "comuni", "normali" e per ciò stesso in grado di stimolare una reazione spontanea. Questa reattività sarà il metro e la misura delle componenti nascoste dell'esoterista, e quindi il criterio che l'Istruttore dovrà utilizzare nel suo compito di formazione e di guida. Occorre ripetere (ma il lettore di queste pagine già dovrebbe saperlo) che la conoscenza di un Istruttore, derivante dal suo particolare contatto con la Mente Cosmica, non può in genere essere utilizzata per il suo intervento che in casi estremamente limitati e circoscritti, pena un'interferenza nelle decisioni dell'allievo ed 111


un suo progressivo accentuarsi di un atteggiamento passivo nei confronti del Trascendente. Quindi 1'Istruttore dovrà mettersi al livello di coscienza del jiva affidatogli, ad un gradino certamente superiore, ma non tale da determinare un qualche tipo di suggestione. L'allievo, opportunamente stimolato dall'insegnamento e dagli eventi, esprimerà presto o tardi la direzionalità più confacente al suo momento esistenziale. Il problema nasce dal fatto che questa direzionalità può rappresentare un vettore "verso" il proprio Dharma e "non" il proprio Dharma, e la posizione esatta viene stabilita solo quando la volontà dell'allievo coincide perfettamente con il posto assegnatogli nell'evento manifestante, il che è precisamente riuscire ad "essere" il proprio Dharma essenziale. Il lettore osserverà certamente che noi, in questa disamina, consideriamo l'Emanazione come un atto coerente e finalizzato dell'Assolutezza, anche se questa finalizzazione concerne in modo specifico il relativo e non rappresenta per il Brahman un inconcepibile "mutamento", ma un libero atto d'amore. Il Brahman, lo diciamo per cercare di puntualizzare provvisoriamente il problema, è Sintesi assoluta, in cui coincidono l'Essere, la Coscienza e la Gioia perfette. L'emanazione è lo svolgimento (per l'emanato) di un momento di questa Sintesi, ed è quindi una maturazione della coscienza nel relativo e non un mutamento del Reale assoluto. Questo processo è rilevante per il Brahman, in quanto manifesta liberamente la Sua natura, che è essenziale amore per l'infinito contenuto del Suo Cit, e - poiché Egli è creativo e vita del Tutto - il frutto dell'emanazione, l'altro da Sé, impersona autonomamente una puntualizzazione del sommo dinamismo. Dinamico è infatti il procedimento irradiante, effetto di una volizione divina che s'attua con il concorso d'archetipi dotati di potenzialità e personalità autonome; ancor più dinamico è l'ente emanato, perché esso è insieme l'evidenziazione perfetta di un quid già esistente nella suprema Identità ed elemento generatore d'altre specificazioni. Se questo è il nostro punto di vista è perché abbiamo avuto la possibilità di tradurlo in parole, grazie all'adesione di un allievo, spontaneamente data, a questi principi, allievo sprovvisto della visione esoterica ma capace - se opportunamente condotto - d'ascoltare e d'ascoltarsi. Essi non vogliono rappresentare (e sarebbe contraddittorio asserirlo) una comunicazione di verità finali, ma piuttosto un argomento di riflessione e un'ipotesi di ricerca: ricerca però esoterica ed iniziatica, e non analisi semplicemente intellettuale. La differenza fra le due strade è quale può esistere fra terra e cielo, fra acqua e fuoco, perché la prima implica una base sperimentativa concreta e non una speculare intellettualizzante. Tuttavia, tornando al nostro problema, l'esperienza avviene secondo le strutture fondamentali di pensiero e di spirito di colui che la compie, e nel caso di strutture particolarmente influenzate da taluni aspetti molto enigmatici dell'Emanazione, può condurre ad un rifiuto del valore che attribuiamo all'evento manifestante, ed indurre il ricercatore a ritrovarsi nel continuum dell'Informale assoluto, inteso come ultima ed imperfettibile essenzialità del Reale. In altre parole chi cerca l'aspetto non qualificato e non qualificabile della 112


Assolutezza, a tale livello, presto o tardi, arriverà; chi cerca il solo momento informante, ossia l'armoniosa completezza della Forma più o meno lucidamente intesa come simbologia dell'Essenza, o Paradiso, o felicità individuale, a ciò perverrà e certamente con un cammino non meno difficile di quello considerato nel primo caso. Noi riteniamo, con alcuni Saggi, che l'equilibrio consista nel superamento d'entrambi i suddetti momenti, riproducendo nei limiti possibili la sintesi e l'analisi brahmaniche, che danno origine al vettore proiettivo, ed impersonando (o meglio riconoscendoci) l'aspetto vivente del Suo volere. Ciò implica coincidenza del Nirvana e del Samsara - finché permanga l'Emanazione - in un "Essere" che entrambi li comprende e li vive; e a processo ultimato, nella sapienza dell'unita ontologica che è anche personalità autonoma, così come nel Brahman la suprema Sintesi e l'infinita Analisi vengono trascese, pur essendo entrambe puntualizzazioni reali nella Sua inconoscibile Identità. Tutto questo discorso informa come un atteggiamento iniziale possa condurre, anche e sopratutto in terreno iniziatico, a differenti mete. Cercheremo adesso d'individuare i confini dell'analisi aprioristica e lo strumento per attingere alla certezza interiore - da verificare nell'evolversi dell'esistenza - conseguente ad una scelta davvero adeguata, capace di condurci e di condurre l'Uomo verso il nostro destino. -O6°) La scelta è fra un intento di verifica delle finalità supposte nel ciclo emanativo e un disconoscimento di tali finalità, che riduca il ciclo medesimo a pura illusione e a un dolore connaturato con il relativismo dell'esperienza individuale. In quest'ultimo caso, il problema è come por termine all'oscurità della coscienza che genera la Maya e che da questa è contemporaneamente generata. Non faremo che un breve excursus fra le ipotesi e le dottrine implicanti questa filosofia, ma certamente il nostro lettore potrà attingere più propriamente alle fonti che gli abbiamo altrove indicate, e che sono facilmente rintracciabili nel campo speculativo occidentale ed orientale. Il Buddhismo, il più alto e severo tentativo di risolvere il dramma del dolore immanente all'esistenza formale, ed alcuni aspetti dello Yoga, ne riecheggiano i temi, pur affrontando il problema sotto il prevalente aspetto realizzativo e considerando la sofferenza insieme come prova di uno scompenso da risolvere e medicina che induce a superarlo. Le chiese tradizionali dell'Occidente, di norma lontanissime dalle concettualizzazioni (pure accolte in passato da correnti di pensiero poi considerate eretiche) di vite successive o, impropriamente, reincarnazioni, ammettono nell'esistenza fenomenica il significato di una prova, di un percorso che l'anima - per volere imperscrutabile di Dio - deve compiere in modo adeguato onde meritarsi un premio eterno. 113


E' evidente il dualismo consustanziale a questa visione, ed il senso d'implicita condanna per la vita terrena come valore a sé stante: l'unico vero valore dell'esistenza individuale è oltre l'esistenza, unicamente mezzo per meritarsi un bene o un castigo. Il banco di prova inoltre non ammette un appello al giudizio finale, e solo un aspetto misterioso ed inaccessibile d'interferenza divina, la Grazia, rende agli occhi di Dio giusta la sentenza che Egli darà al termine della vita. E' evidente il carattere dogmatico ma, date le premesse, necessario, di questa proposizione che vorrebbe giustificare la diversità delle situazioni esistenziali e la presenza del dolore e del Male: elementi connaturati all'iniziale Caduta quali ostacoli che l'uomo può in ogni caso superare con il divino sostegno, onde meritarsi la beatifica visione del suo Signore. Il concetto di Caduta, d'oscuramento da un primordiale stato di perfezione, è adombrato da moltissimi miti, ed esplicitamente ripreso in testi ritenuti sacri. I Miti e i testi vengono accettati più nel loro significato letterale che in quello simbolico ed iniziatico; ma non vogliamo ora soffermarci su queste questioni. Quello che ora ci preme sottolineare è che esiste un modo d'intendere la realtà attuale capace di svuotarla da ogni reale contenuto autonomo, o addirittura di giudicarla in termini prevalentemente negativi. Sia che venga chiamata Paradiso, sia che lo si individui nell'Informale, il termine del cammino, la meta, è oltre l'esperienza esistenziale che dilegua come un sogno per chi si sia destato. Ovviamente in queste proposizioni c'è molto di vero, ma noi riteniamo in generale che nulla sia più deviante di un aspetto parziale della verità, e che - prima di trarne delle conclusioni generalizzanti - occorra verificare fino in fondo se qualcosa ancora si celi dietro quanto è emerso, per abbagliante che sia. Naturalmente se la scelta dell'esoterista e dell'allievo verte sul Paradiso beatifico o sul reintegro nell'Unità primordiale, essi non annetteranno che un valore condizionato al processo emanativo, viziato da uno scadimento originale e comunque da considerarsi come un ostacolo per la realizzazione dell'Uno-senza-secondo. Se il proposito è veramente fermo, l'iniziato e l'allievo finiranno con l'incontrare esperienze coerenti con la loro direttrice interiore, e crederanno fermamente che quanto diventa frutto d'esperienza dimostri 1'imperfettibilità della loro strada. Questo è il pericolo al quale vogliamo tentare di porre un rimedio con le presenti pagine. L'esperienza esoterica è intrinseca agli aspetti che s'evidenziano nell'interiorità, ed è conseguente e coerente con quegli aspetti: se le motivazioni per cui s'accetta una determinata visione del problema non sono ben vagliate e chiarite, se qualcosa d'irrazionale e sottilmente egotico è sfuggito all'attenzione del jiva, se la sua integrazione con il momento dinamico del supremo Cit è carente in qualche impalpabile aspetto (e cioè non è stata perfettamente intuita la sua essenzialità d'idea e volontà divina), egli sarà logicamente indotto ad un atteggiamento spirituale che non manifesta la completezza del suo essere, ma una componente - sia pure altissima ed essenziale - del Sé. Il quesito dunque è: è possibile essere in grado di sfuggire alle sconosciute 114


compulsioni dell'inconscio, e conseguire con lo strumento mentale uno stato di chiarezza interiore sufficiente per indirizzarci a un traguardo davvero onnicomprensivo, che rispecchi senza ombre la natura del Reale, sia durante il procedimento emanativo che oltre lo stesso ciclo, perché s'identifica con la Coscienza Suprema? La risposta a questa domanda determina ovviamente il sentiero da percorrere, ed è per questo che noi la consideriamo quale fondamento della nostra ricerca, e la riproponiamo adesso all'attenzione del lettore. Abbiamo in molte pagine esposto un metodo d'interpretazione dell'Emanazione che è finalistico, e che insieme attribuisce all'esperienza esistenziale un indispensabile ruolo formativo sia nel piccolo (jiva) che nel grande (Universo/Uomo Cosmico). Il nostro giudizio sull'Emanazione è dunque estremamente positivo perché - questo è il punto - noi la riteniamo un atto volitivo della Suprema Essenza, e crediamo che la natura del Brahman sia assoluto amore. In qual senso il Brahman possa esser visto in questa prospettiva lo abbiamo altrove delineato, e a quelle pagine rimandiamo: qui occorre sottolineare che la nostra tesi non è semplicemente frutto d'argomentazione, d'elucubrazione filosofica o morale, di esigenze intellettualistiche volte a una sistemazione teleologica dell'Universo. Dobbiamo riaffermare cioè che quanto diciamo è risultato insieme di ricerca umana e d'interferenza proveniente da altre sfere reali, non esattamente "normali", e che costituisce il terreno per la verifica personale. E' nostra profonda convinzione, suffragata dall'analisi della storia e del suo divenire ed esprimersi come spirito dell'Uomo, che con lo strumento puramente intellettuale non si possa uscire dal dubbio fondamentale sul valore dell'esistenza: perché lo strumento intellettuale è infatti (nel caso dell'uomo comune) incapace d'uscire dalle limitazioni di un'esperienza imperfetta e sensoriale, senza cadere in un terreno non suo, e nel caso dell'iniziato che abbia esperienze non ordinarie ed appartenenti a percezioni originate da più appropriati mezzi d'apprendimento e contatto, detto strumento è soggetto alle limitazioni intrinseche a quelle stesse esperienze e in modo analogo non può consentire il raggiungimento della certezza. Questo conseguimento presupporrebbe invero l'integrazione con l'Assolutezza, nella quale ogni particolarismo, ogni relativismo si dissolvono; qui hanno ragione gli advaita quando affermano che nel samhadi non esistono né meditante, né meditazione, né oggetto della meditazione, ma si stabilisce l'Unità trascendente ed "è" il solo Brahman. Ma essi tendono all'Informale puro, all'Essere in Sé, alla suprema Identità: questo è - abbiamo già detto - un essenziale aspetto dell'Assoluto, ed un traguardo non rinunciabile dell'esperienza trascendente. E' però anche la perfetta posizione coscienziale dell'Idea nei confronti del Pensatore, del quale in ogni caso esprime un momento ed una volizione? Riflettiamo attentamente: l'Universo è un libero moto espressivo del Brahman ed il suo divenire è l'estrinsecazione di questa volontà; noi siamo insieme il processo e l'estrinsecazione, che tuttavia riflettiamo in modo oscurato ed imperfetto nella 115


nostra coscienza. Il nostro presupposto, che l'origine dell'Emanazione non sia una "caduta" ma un atto cosciente del Cit Brahmanico, è affidato alla fede dell'allievo e, successivamente, a una coerente esperienza realizzativa. Poiché la posizione perfetta, in questa tesi, è che il nostro Dharma personale e generale coincidano con l'atto volitivo brahmanico, ne deriva che lo scopo del nostro esistere è raggiungere tale identificazione, ed in essa "essere" insieme nell'Uno incondizionato e nel Suo dinamismo creativo. E cioè, coincidenza di poli apparentemente opposti, che non può essere compresa dall'intelletto, perché esso manca di una conforme sapienza, finché non sia in grado di realizzarsi come strumento compiuto dell'Idea personalizzata, al fine di una comprensione analitica del proprio stato. Una comprensione valida finché l'Idea agisce come centro autonomo e libero, proiettato dall'Assolutezza, e nella sua sfera specifica d'attività, che si confonde con l'intuizione purissima ai livelli più alti della percezione, e che si trasforma in lucente "Essere" senza ombre e limitazioni nell'emersione dell'Unità sostanziale. Noi poniamo un dubbio di principio sia sullo strumento mentale dell'uomo comune che su quello dell'iniziato, suffragato da esperienze conformi al suo particolare grado di consapevolezza. Come superare questo dubbio è lo scopo di queste pagine, e la ragione della loro esistenza. Ne parleremo dunque, e speriamo adeguatamente, nel seguente capitolo. -O7°) La nostra tesi è senz'altro opinabile, e dobbiamo a questo punto fornire delle precisazioni: l'idea che enunciamo sull'Emanazione non verrà adeguatamente centrata in un suo particolare significato, se non si avranno particolari disposizioni all'astrazione e non si possiedano delle adeguate informazioni. Questo punto è: il Tempo dell'uomo non è il Tempo dell'Interità, e quello che appare all'uomo come svolgimento del suo spirito secondo categorie di evidenziazione, rette da un sostanziale consequenzionalismo di causa/effetto, per l'Interità (che è il principio manifestante) è differente. Per 1'Interità la Manifestazione non consiste in un processo orizzontale, che parta da un punto iniziale (il cosiddetto Big Bang) verso uno finale, o cioè il raggiungimento della meta preposta; consiste piuttosto in un dinamismo d'evidenziazione, nel quale ciò che era confuso si chiarisce progressivamente a sé medesimo e all'Interità. Questa fenomenologia non è condizionata da alcun fattore necessitante quale la legge causale, ma è all'opposto completamente affidata alle Potenze Emanatrici e al loro modo d'operare, che è liberissimo fuorché in un aspetto: Esse devono consentire che l'Uomo decida di se stesso e del suo campo d'esperienza. Rispettato quest'importantissimo, essenziale fattore, tutto il restante è completamente agibile nei modi più autonomi ed indipendenti da parte delle Entità Archetipali, e non vi è (non può esservi) alcuna restrizione conseguente a categorie di 116


svelamento che sono proprie della Maya. Cosa deriva da ciò? Innanzi tutto che il tempo dell'Interità è "verticale", e non scorre in alcuna direzione se non in un ordine di realtà che non è rappresentabile dall'intelletto finito dell'uomo storico. Essendo un "flusso" originato dalla coscienza archetipale, questo Tempo può distendersi e contrarsi in ogni vettore possibile, ed in effetti è un “Tempo senza tempo”, non misurabile nel senso quantitativo a cui siamo abituati. Questo fatto ha diverse implicazioni: per 1'Interità non esiste un passato o un presente e tanto meno un futuro dell'Uomo, ma uno stato di coscienza che ora si rischiara ed ora s'addensa, ora è trasparente e lascia scorgere abissali profondità, ora s'intorbida e si preclude una visione coerente. Tutto questo fa sì che 1'Interità agisca in modo globale, onde determinare quelle condizioni che siano le più adeguate al processo (perché processo è pur sempre) di svelamento dell'archetipo Uomo. Ne consegue che il tempo dell'Uomo è in effetti lo specchio onirico dei suoi stati di coscienza, ed in esso compaiono quelle vicende, quelle personalità e quegli elementi che, irreali sotto un certo angolo di giudizio, meglio rappresentano insieme la profondità del suo inconscio e il campo del conscio e della consapevolezza. La Maya è qui regina, ed ogni vicenda che appare esterna al soggetto senziente, altro non è che un aspetto coscienziale oggettivato. Oggettivato da chi? Nell'arco che chiameremo ancora temporale in riferimento all'esperienza di vita dell'Uomo storico, concorrono a quest'oggettivazione sia 1'Interità che le scelte compiute dall'uomo medesimo di fronte alle istanze del suo spirito. Queste scelte sono di tipo diverso, ed il fattore di correzione è inerente e proporzionale al grado d'allontanamento che l'uomo determina dal suo stesso supporto "impersonale": l'Idea perfetta che è alla base del suo esistere, e che individuammo con il Sé specificamente modulato (dalla parte dell'archetipo umano) ed insieme assolutamente incondizionato (nel suo trascendente aspetto brahmanico). Se la Maya appare coerente e legata al concetto di causa/effetto, è perché essa è così determinata dall'Interità in funzione dell'Uomo, e l'Uomo stesso ha in sé uno strumento di realizzazione che, in un dato momento del suo processo interiore, è coordinato a questo tipo di rappresentazione. L'Universo che appare all'uomo non è arbitrario e, dal suo punto di vista, non è neppure irreale: è un Universo che sottintende un altro aspetto ben più reale, e cioè il concreto modo di essere del mondo emanante, il Mondo Archetipale. A scanso di dubbi, non diremo tuttavia che quel che appare nel campo specifico di un jiva sia completamente onirico, e pertanto non reale per altre componenti evolutive dell'Uomo Cosmico. Diremo piuttosto che il modo di atteggiarsi delle rappresentazioni esistenziali (persone, fatti, ambiente) è dipendente in massima misura dal suo particolare livello d'introspezione e di emancipazione, e questo non tanto ai suoi stessi occhi quanto a quelli dell'Interita, e finché l'Uomo Globale non sia perfettamente desto. Che ne è dunque delle persone che amammo, e che amiamo o odiamo o incontriamo nel quotidiano travaglio dell'esistenza? Sono illusioni, miti, allucinazioni manovrate dall'esterno che non hanno altra consistenza fuori dal nostro 117


crederle vive? Nulla di tutto questo: quanto è più pertinente e strettamente collegato al mondo esistenziale è certamente esistente per sé medesimo, e varia solo di poco dal nostro ambito percettivo. L'Uomo è vero come globalità ed i jiva esistono personalmente come sue modalità di pensiero, e quindi partecipano di questa realtà. Quanto appare nel campo di un jiva è dunque un aspetto interiore e soggettivo, condizionato dal suo modo di rapportarsi nei confronti dell'Uomo Cosmico e dell'Interità, ma è nel contempo un aspetto reale, attuale o potenziale, dell'Uomo Cosmico, perché lo svelamento di un archetipo non è fenomeno illusorio ed arbitrario, e tutte le componenti coscienziali del medesimo dovranno essere attivate. Il campo esistenziale è dunque illusorio se pensiamo che esista qualcosa "fuori" dal nostro strumento percettivo, che oggettivizza quanto incontra in se stesso; ma nella propria interiorità il jiva percepisce le modalità viventi a lui più affini, e perciò più rappresentabili nel loro momento di autocoscienza soggettivo, e l'incontro con esse determina un potente campo d'attrazione o di repulsione reciproca, ed un conseguente evento nello specchio "esteriore" del mondo fenomenico. Il campo repulsivo, che può operare in senso negativo o positivo ai fini dell'Archetipo, è comunque da considerarsi transitorio e dovuto ai diversi gradi di maturità interiore in cui si incontrano modalità pur affini per intrinseca natura. Al limite superiore si verificherà un tale impulso d'attrazione reciproca fra le varie ed innumeri modalità da costituire un continuum in cui ognuna s'afferma come tale, e si nega come individualità separata. Al limite inferiore esiste invece la dispersione egotica e l'estrema conflittualità che ne deriva. In epoche remote, quando l'autocoscienza umana non era neppure paragonabile all'attuale, la conflittualità mostrava una ben diversa natura: era il crogiolo per l'evidenziazione di forme, e il modo nel quale esse necessariamente si rappresentavano in cerca di un principio di stabilità coscienziale. L'attuale periodo è intermedio e preparatorio all'avvento di un uomo più lucido, più consapevole e più determinato ad essere e non a divenire. Ne parleremo a lungo nel seguente paragrafo, e di conseguenza esamineremo il comportamento dell'aspetto "verticale" che esprime l'attività del Mondo Archetipale nelle vicende della nostra storia. -O8°) Il Mondo Archetipale è un insieme omogeneo e continuo d'Idee viventi, che costituiscono il fulcro dell'attività creatrice del Brahman. E' di conseguenza estremamente limpido e luminoso, e concepibile - per bellezza ed armonia - solo da quei pochi che hanno potuto, anche se solo per un attimo, contemplarne il fulgore. Eppure, nel Mondo Archetipo, esiste un limite alla perfezione: limite che è inerente alla creatura, la quale tende ad identificarsi in coscienza ed atto con il Sé che l'emana, ma che - in quanto entità manifestata - è pur 118


sempre incapace d'essere esattamente la Idea divina, quale esiste ("è") nell'estrema purezza dell'Ideatore. Questo limite è perfettibile all'infinito, e non è certamente rintracciabile da chi, provenendo da una dimensione tanto imperfetta come la nostra (espressione di un evento manifestante in svolgimento), resti abbacinato dall'aspetto armonioso degli Archetipi. Ma il "limite" esiste, ed esiste in quanto non è stata raggiunta l'assoluta Libertà, che coincide nel Brahman con l'assoluto Essere: questo fattore genera la possibilità di un comportamento non conforme alla profondità dell'Idea centrale dell'Amore trascendente, e questo è tanto più insidioso quanto più è sottile la consistenza dell'imperfezione, e pressoché impercettibile alla medesima attenzione degli Archetipi. L'atto emanante, che ha determinato - in un inconcepibile 'momento' del dinamismo brahmanico - l'evidenziazione delle Idee Archetipali, è stato certamente adeguato al loro porsi come tali, ma costituì e costituisce (come già dicemmo) solo l'inizio di un cammino verso la Luce fondamentale. Qui dobbiamo chiarire un concetto basilare: il frutto di un evento creativo dell'Assolutezza è un'Idea che abbia raggiunto la capacità d'approssimarsi al suo Sé personale (nel senso altrove enunciato) e l'attualità delle caratterizzazioni e specificazioni che sono il fulcro della volizione divina informante; essa ha dunque raggiunto un'amplissima potenzialità interiore di essere veramente sé stessa e di agire conformemente al disegno divino, ma naturalmente non la totale esplicazione delle virtualità, la loro assoluta sapienza e conseguentemente la perfezione di modalità compiutamente attuata. Si apre quindi un cammino d'apprendimento e di vitalizzazione dei contenuti impliciti nel suo esistere archetipale, e un'esperienza della propria natura ora possibile nell'ambito di un mondo che è già principialmante attivato negli elementi fondamentali. Tutto questo ha, come controparte, la possibilità di una scelta imperfetta, che non nasce in questa dimensione da un aspetto ancora egotico e scompensato dell'Idea, ma dall'esistenza di incompiute attuazioni del suo ambito personale e di incomplete armonizzazioni delle valenze interiori. Tutto questo non è naturalmente compatibile con l'Atto emanante, e deve quindi esser portato ad un livello più alto di perfezione. Il procedimento proiettivo del Brahman opera attraverso un atto d'amore, che attribuisce a entità personali un ambito d'autonomia e la libertà d'essere ciò che decidono di diventare in conformità alla loro natura. In effetti il Brahman è creatore di vite in larga misura autocoscienti e capaci di scegliere il loro cammino senza un intervento diretto del supremo Ideatore. Questo è il centro del problema, perché non esisterebbe alcuna imperfezione reale o immaginabile senza questo conferimento di libertà e autonomia ad Archetipi viventi. Essi sarebbero momenti perfetti della Coscienza Assoluta, solo pervasi dall'unitaria essenza brahmanica ed affatto distinguibili l'uno dall'altro se non dallo stesso Ideatore, il quale contemplerebbe la loro realtà come Suo esclusivo contenuto ideale. 119


Ma il Brahman, per amore infinito, vuole che queste perfettissime Idee vivano anche per sé stesse, ed insieme siano centri autonomi ed ampiamente liberi d'irradiazione creativa, e momenti dell'Uno ontologico che mai viene frazionato o frantumato dalla loro esistenza. Abbiamo dunque due sfere: l'Idea Perfetta e la coscienza non perfetta della sua personalizzazione quale centro archetipale, il quale tende a identificarsi con la sua Matrice in un moto di costante approssimazione, ma in effetti con un processo all'infinito perché essa è quale è per un atto d'amore e di specificazione trascendente e quindi non annullabile né revocabile: atto che le conferisce, come già tante volte dicemmo, la personalità autonoma e che non può (appartenendo al Creatore) venir negato dalla creatura. Certamente il Brahman concede l'esperienza dell'unione e l'intuizione dell'Uno ontologico, ma ciò è insegnamento-dono-esperienza, non eliminazione definitiva di quanto è conferito. L'Amore non nega se stesso, e la sua più alta espressione è quell'insondabile "sacrificio di Sé" che concede libertà e autonomia all'essere amato. Non ci dilungheremo oltre su questa realtà, che è davvero Mistero appena accennabile in un lavoro intellettuale come il presente, ma il lettore ne conservi il ricordo, perché è la radice per la comprensione profonda dell'attuale Emanazione e di tutto il Mondo degli Archetipi. La nostra idea principale è dunque che l'evento manifestante sia nell'essenza un atto infinito d'amore, e che tutta l'Emanazione tenda all'amore come attualità vivente, mediante il superamento e la composizione delle infinite conflittualità che s'evidenziano nel processo, insieme insegnando l'armonia perfetta e l'esplicazione dei contenuti intrinseci all'Idea. L'Universo si pone come conflittualità: l'aspetto "male/dolore" non è infatti nato con l'Uomo, e lo precede in un tempo non umano, ma con potenzialità che s'effondono nell'umano. L'Uomo è dunque la vittima di un dramma che nasce dallo scontro di due principi opposti, come fu affermato dal Mazdeismo e da tanta parte del pensiero occidentale? Ovviamente la nostra risposta è rigorosamente monistica, e dobbiamo possiamo - considerare l'Involuzione come un effetto conseguente al dono della libertà, quando questa è incompresa e abusata nell'istanza egotica. Certamente l'ideazione suprema ha considerato l'ostacolo che emergeva nella presente Manifestazione e ha tratto le opportune conseguenze: prima fra tutte quella che l'Uomo, la forza motrice capace di risolvere le antiche irrealizzazioni sintetizzando in una nuova configurazione tutto il Mondo Archetipale, doveva essere messo in condizione di lottare con armi pari contro le inevitabili e potenti difficoltà sparse sul suo cammino. Così l'archetipo supremo dell'Emanato, il Brahma, ha generato nelle sue ipostasi dirette e negli Archetipi fondamentali un preciso ordine d'intervento e di sostegno, che deve essere necessariamente attualizzato ogniqualvolta sia possibile oltre che importante il farlo. Possibile: è questo il punto dolente della speculazione umana, che stenta a 120


comprendere il perché di tanta lotta dell'esistente per vivere e continuare il cammino. L'uomo ha umanizzato la Trascendenza più per comprenderla e comprendersi che per un'inadeguatezza intellettuale. Anche quando i mezzi d'indagine erano mentalmente evoluti, egli dovette fare riferimento a sé, ai modi del suo intelletto e della sua esperienza per inferire qualcosa sul Divino, e renderlo meno arbitrario ed incomprensibile. Il procedimento non è erroneo perché non può esservi contraddizione fra la creatura ed il Creatore, e la base coscienziale della prima è una specificazione (su scala estremamente riduttiva) della Suprema Coscienza. Ma come un metodo solo parzialmente imperfetto può condurre a risultati disastrosi, così l'utilizzo di strumenti conoscitivi leciti e tuttavia incompleti ha condotto la speculazione in vicoli ciechi e in assurde formulazioni. Il problema dell'uomo, nel valutare il Trascendente, è quindi un problema di limite, oltre il quale è possibile ogni genere d'errore. Se un compito fondamentale spetta a chi ha il compito e la responsabilità di formare l'Uomo, questo è appunto la rimozione di tal limite, il suo allargamento in vista di finalità più comprensive ed armonizzanti, la sua riduzione ad ostacolo superabile laddove esso si presentava come barriera invincibile. Perché ciò accada, le Potenze emananti si servono dell'aspetto più discusso e discutibile dell'Emanazione: la sua conflittualità. Esse cioè determinano l'apparire di problematiche che nascono dai rapporti fra l'uomo storico e l'ambiente, fra le comunità e gli individui, così come fra le istanze di ogni singolo mondo interiore. E' un metodo doloroso, e talvolta in apparenza crudele, ma l'unico che aiuti a risolvere radicalmente sia il problema dell'attuazione dell'Archetipo Uomo sia quello - infinitamente ampio e complicato - degli aspetti perfettibili del Mondo degli Archetipi. La nostra analisi tuttavia non può misconoscere le differenze estreme che intercorrono fra la mentalità e la capacità d'astrazione dell'uomo storico e la realtà effettiva del contesto in cui egli si determina. Abbiamo accennato alla più macroscopica di queste differenze, e dovremo ancora indugiare sul concetto "verticale" del tempo (che potremmo anche chiamare 'pluridirezionale') dell'Interità e del Mondo delle Idee - concetto espansivo, estremamente evidenziante il loro differente modo d'esistere come coscienza - in paragone a quello monodirezionale e determinato dal rapporto causa/effetto tipico del jiva. Un'altra differenza ben poco conosciuta è proprio quella testé indicata come scaturigine del tempo storico: mentre l'uomo deve strettamente dipendere, nel suo processo attuativo, dal rapporto causale (il Karma è questo principio applicato generalmente, sia al mondo fisico che a quello psichico e mentale, e più precisamente della coscienza), il Mondo Archetipale - sia esso considerato in se stesso che come motore agente dell'Emanazione - è affrancato in varia misura da questo determinismo, almeno se inteso nel senso a noi noto. Per non creare confusione, diremo che ad ogni effetto deve necessariamente sottintendere un elemento causante, ma nel Mondo degli Archetipi tale elemento non 121


è in larga misura pietrificato in un aspetto "esteriore" che si opponga alle decisioni del principio evolutivo (il jiva); nel Mondo Ideale - così come nelle sfere più alte della Manifestazione - l'unico fattore determinante è lo spirito e gli atti volitivi che ne evidenziano il contenuto. L'aspetto 'forma', non essendo che la sintesi intuitivamente rappresentativa di un'essenza, è di per sé assolutamente mobile, ed affatto coercitivo nei confronti dell'entità ideante. Questo rende il tessuto del Mondo delle Idee viventi luminoso e dinamico in modo inconcepibile per gli uomini storici, ma mai arbitrario e contraddittorio, giacché esprime in misura certamente elevatissima la motivazione e il Principio che l'irradia. Diciamo queste cose, alle quali altre s'aggiungeranno, per sottolineare soprattutto la difficoltà che gli uomini incontrano nel valutare l'Interità e le Potenze ivi esistenti, pur nel razionale rapporto che s'instaura fra un aspetto vivente in fase autorealizzativa e un altro già più o meno perfettamente attuato, che per questa sua qualificazione esercita le funzioni di guida e d'elemento costruttore. Se tutto questo è vero, tuttavia non si deve dimenticare che l'Uomo deve affrancarsi dal suo limite intellettivo ed interiore, e ciò è sopratutto possibile nel confronto con le Intelligenze sephirotiche; in tal caso egli infatti s'avvede delle incongruenze e delle parzialità del suo giudizio nella percezione e nella comprensione del reale. Tale conseguimento è possibile se, al posto di un supino atteggiamento d'ossequio e reverenza nei confronti della Trascendenza, qualunque realtà essa sia - e questa, per inciso, è cosa ben diversa dallo spirito della bakti -, si sostituisce un attento ed equilibrato esame di sé medesimo e delle forme/pensiero che s'incontrano, non certo per una finalità d'autoaffermazione o - peggio che mai - di controllo delle stesse, ma per l'altissimo scopo di comprendere e realizzare. Quel che importa affermare nel modo più esplicito, in questa sede e nella pratica dell'insegnamento, è che l'uomo storico deve porsi, con umiltà e decisione, con fiducia nell'Amore divino e con attenzione sempre desta, di fronte alle Potenze Archetipali: rispettandole profondamente e implacabilmente contestandole qualora le circostanze e l'ammaestramento rendano indispensabile perfino quest'ultima eventualità. Ciò in vista della finalità preminente di conseguire un incontro/integrazione a livello altissimo di realtà, e di ottenere di riflesso un approfondimento e una sapienza della propria verità interiore, specificata e pur fusa con il Tutto. Un simile atteggiamento dello spirito è difficile da comprendersi, difficile da attuare e difficile da mantenere: perché sia possibile in un contesto di grave conflittualità generale e di gravissima crisi morale dell'uomo storico, occorrono conoscenze, dati e acquisizioni precise. Occorre cioè sapere, almeno in via di principio e a livello intellettuale, come si configuri il continuum in cui viviamo, quali le sue caratteristiche fondamentali - diversissime da quelle apparenti - e quale la logica unitaria che lo rende strumento non di particolarismi esistenziali, ma di fusioni a livelli straordinariamente profondi fra essenze ideali che, libere ed autonome nella loro sfera, si sentono vive nell'unità del Tutto. Daremo quindi nelle pagine seguenti ulteriori ragguagli, avvisando nel 122


contempo il lettore che è suo compito primario meditare su quanto è stato fin qui detto, e confrontarlo imparzialmente e obbiettivamente con la realtà della sua coscienza: compito difficile, ma che deve essere assolto, pena la perdita della fiducia in sé, nel mondo umano e divino e, in ultima analisi, nella vita. -O9°) Le caratteristiche del Mondo Archetipale dianzi enunciate non dipingono che in minima parte la sua realtà, ma sono pur sempre un utilissimo indizio per un approfondimento oggettivamente adeguato. Dobbiamo adesso soffermare la nostra attenzione su di un riflesso di quanto è stato appena detto, che spiega in qualche modo le incongruenze incontrate da qualsiasi allievo nel suo itinerario spirituale. L'Interità, che è complesso energetico vivente e consapevole, è profondamente libera da preconcetti e rigorismi di qualsivoglia tipo nell'estrinsecazione delle sue potenze, con la sola eccezione della perfetta aderenza al fine primario che le è stato indicato. Questo concetto ha diversi significati, il più importante dei quali è l'estesissima libertà di scelta dei metodi e delle forme di contatto o d'interferenza con la sfera più specificatamente umana, la zona tridimensionale. Detto principio ammette la sola riserva del fine da perseguire, già enunciata, nel pieno rispetto dell'autonoma determinazione dell'uomo evolutivo. Ciò significa che l'Interità non agisce secondo gli schemi logici tipici dell'uomo storico, né tampoco secondo codici di valori prefissati e codificati: questi ultimi sono tutt'al più necessari all'umanità in precise fasi del suo sviluppo, e vengono continuamente rimossi, ampliati e rinnovati nell'arco temporale. Non esiste cioè un imperativo di leggi divine da rispettare, un insieme di norme che rappresentino la volontà espressa "una tantum" dal Supremo Fattore, fuorché la modalità essenziale dell'amore e del rispetto della libertà, il vero ed irrinunciabile dono del Brahman alle sue creature. E' quindi perfettamente improbo e faticoso tentare di comprendere la logica dell'Interità e delle Potenze utilizzando un insieme di concettualizzazioni storicamente determinatesi le quali, pur adombrandone il Valore, ne evidenziano insieme i limiti d'intelligenza emersi nell'umanità. Questo fenomeno è stato causa d'innumerevoli deviazioni, fraintendimenti ed abusi, poiché - come in queste pagine più volte dicemmo - un mal compreso concetto, pur di per sé esatto, può fuorviare più di una patente menzogna nel medio e lungo periodo di tempo. Presumere che un Ente dell'Albero Sephirotico utilizzi, nel suo aspetto dinamico interferente con l'uomo, la logica ed i limiti di quest'ultimo, è un assurdo intellettuale oltre che un arbitrario metodo d'inferenza dal noto all'ignoto. E' lecito procedere per deduzione e induzione quando è possibile controllare la veridicità dei risultati ottenuti sul banco di prova dell'esperienza: ma l'esperienza del contatto con la Mente archetipale non convalida le artificiose costruzioni filosofiche, etiche e religiose dell'uomo che in variabile misura, e sovente le contraddice. 123


In tale caso, è più significativa la diversità che le concordanze, ed occorre comprendere le ragioni e i perché di ogni differenza, mano a mano che essa emerge alla consapevolezza. Non è l'Interità un'estrinsecazione alogica del Divino, fondata sull'arbitrio e 1'imprevedibilità; al contrario, esprime la sola ed unica logica compatibile con la sua natura profonda: quella della libertà e dell'amore. E' dunque con questa metodologia che si rende indispensabile procedere nelle disamine dei rapporti fra l'Uomo e il Divino, e non importa se molte cose appaiono oscure a un primo e secondo sguardo: esse si chiariranno col procedere dell'indagine e della maturità interiore, e si collocheranno nella giusta prospettiva, la sola capace di renderle accessibili e comprensibili. Quando la nostra cultura ci consente d'osservare con occhio sia pure scarsamente critico la storia del pensiero umano, non possiamo nasconderci lo sgomento che ci assale di fronte alla varietà delle dottrine, delle certezze caduche, delle dogmatiche e delle ipotesi: ognuna delle quali sembra rifrangere la Luce originaria dandone sì un'immagine, ma deformata ed incostante. Se questo accadde ed accade, deve esisterne un motivo, una causa determinante ed inafferrata. Ma come riuscire là dove tante menti eccelse non giunsero che a un parziale successo, quando non conobbero il tremendo peso del fallimento e del Sentiero perduto? Dobbiamo procedere con cautela perché lo stesso lettore non s'adombri di fronte a queste parole e - per farlo - gli daremo un preciso criterio di comportamento, che è tanto più produttivo di reale consapevolezza quanto più difficile da essere compreso ed attuato. Il lettore di queste pagine deve essere ben certo di sé e di quel che vuole raggiungere, perché le sue acquisizioni risponderanno comunque alle sue motivazioni ed alle scelte che le esprimono. Non vogliamo neppure parlare delle razionalizzazioni e delle insincerità più o meno colpevoli di tanti ricercatori: presupponiamo la buona fede ed un oggettivo impegno ad esser limpidi nello spirito e coerenti con le proprie formulazioni, quanto più possibile liberamente e obbiettivamente puntualizzate. Questo tipo d'allievo, raro ad incontrarsi e più raro nel prosieguo dell'addestramento, è quello che l'Interità oggi cerca e vuole, perché il fine che Essa persegue - in questa situazione del Suo spazio/tempo - non è certo evidenziato dalla normale ricerca della speculazione filosofica e religiosa. Diciamo dunque che il criterio fondamentale di conoscenza e sapienza del Reale implica, oggi più che mai, il contatto ed il confronto con le Potenze emananti ed il Mondo Archetipale; e che questo contatto e confronto non costituiscono affatto un semplice traguardo realizzativo a livelle personale, ma un vettore generalizzante, per cui l'allievo deve agire, sentire ed essere come agisce, sente ed è un Aspetto vivente dell'Interità. Noi non tentiamo d'indurre il lettore a cercare un suo status di perfezione e un personale trascendimento della normalità: noi vogliamo che egli si prepari e s'addestri ad operare come elemento del volere divino nella sua fase di costruzione ed 124


attivazione di un Archetipo centrale del Mondo delle Idee. Compito immane, di cui l'allievo sarà un semplice centro dinamico in un determinato campo, ma che lo rende in ogni istante indispensabile ed insostituibile, perché in lui si riverbera l'ideazione divina ed egli è l'Uomo come potenzialità emancipativa. Compito che implica il costante riesame di se stesso, il confronto con l'Idea centrale della Manifestazione, con la logica degli Archetipi e con le Forze che deve imparare a conoscere, comprendere ed armonizzare. L'allievo deve quindi abbandonare gli schemi, per autorevoli e storicamente affermati che siano; i dogmi, anche se inconsci ed indotti dalla sua cultura originaria; i preconcetti, i quali sovente non sono altro che modi di sfuggire la fatica della ricerca e del riconoscimento della propria verità. L'allievo deve imparare a comprendere un aspetto tremendo della Manifestazione, perché è suo compito portarlo a compimento e a maturazione, e quindi armonizzarlo in una sintesi superiore: deve cioè conoscere, capire e controllare la conflittualità dell'Universo, onnipresente ad ogni livello del mondo tridimensionale, e rifrangente un abissale problema di ricapitolazione e superamento del Mondo delle Idee viventi. Confronto, contatto ed interferenza con le Intelligenze manifestanti: dialogo ed antitesi per giungere a una sintesi che implichi un "quid novi", sia per l'Uomo che per l'Archetipo, nell'esplicazione e nell'adempimento del volere supremo. Non rileggeremo mai abbastanza queste pagine, non mediteremo mai abbastanza su quanto dicono e - più - sottintendono. Lasciamo dunque il lettore alle sue personali considerazioni, ed accingiamoci a procedere nell'analisi di aspetti conoscitivi del nostro particolare momento storico, e della Potenza che lo esprime. -O10°) L'Emanazione è caratterizzata da un particolare tipo di temporalità, multidirezionale o - meglio - in espansione; da un'immanente libertà di espressione che s'estrinseca in forme perfettamente affrancate da coazioni nelle loro assunzioni estetiche; da un nesso causale sempre interiore alle Entità agenti, le cui attività rispondono alla fondamentale legge dell'Amore in vista di un fine trascendente. Nella Manifestazione il centro d'interferenza globale degli influssi sephirotici, il mondo di Malkuth è, ossia appare, con caratterizzazioni completamente difformi da quanto abbiamo or ora affermato: nella tridimensionalità il tempo è monodirezionale, completamente determinato da una legge di causa/effetto pietrificata in forme ed eventi necessitati; la libertà di espressione è severamente condizionata dall'ambiente e dalle componenti karmiche frutto delle azioni passate, e non esiste apparentemente alcuna possibilità per lo spirito dell'uomo d'influire su quella forma primordiale d'energia spirituale che chiamiamo materia. 125


Il nostro esame ci ha portato ad assumere atteggiamenti specifici nei confronti di questa fenomenologia, e a considerarla un'estrinsecazione del processo dinamico che è il divenire dell'autocoscienza. Dobbiamo ora chiarire alcuni concetti che riteniamo importanti sia sul piano conoscitivo che su quello pratico: primo fra questi è il fattore "materia", che deve essere inteso come rappresentazione del proprio campo d'azione secondo parametri imperfetti di conoscenza, la quale ci appare conseguentemente condizionata da quanto appare come "altro da noi". In altri termini, quello che percepiamo come 'oggetto, forma, dimensione' in tutte le infinite specificazioni che quotidianamente incontriamo (dalle persone alle cose, dagli uomini agli animali e allo stesso scenario esistenziale) altro non è che pensiero, il quale riflette se stesso secondo modalità indotte dal Mondo Archetipale affinché possa assumere consapevolezza - tramite la esperienza - delle proprie valenze, e le realizzi in armoniosa sintesi. La visione e la percezione del nostro campo vitale rappresentano innanzitutto la proiezione della realtà interiore che ci informa in un determinato momento del processo storico d'evoluzione, ed i limiti esistenti alla nostra capacità d'essere ciò che potenzialmente siamo, e che costituiscono quindi una carenza di libertà: carenza che viene colmata dalle Idee Archetipali con un'attività incessantemente finalizzata, ed attuata secondo le categorie adeguate allo scopo. Dobbiamo dunque valutare, nel giudizio sul momento storico che ora viviamo, sia l'interferenza del mondo formale con la nostra interiorità (in altre parole: il mondo formale è l'emersione di un limite nella realizzazione, rimosso da un'attività che non proviene effettivamente né da lui né da noi, e che quindi ci appare coercitiva), sia la necessità di tendere al conseguimento di una valenza dello spirito, anche e principalmente a livello personale, che insieme allarghi la nostra autonomia e modifichi il generale condizionamento esteriore. Non è però possibile parlare, a rigore, d'"esteriore" perché in effetti tutto avviene in quell'ambito ideale che è la personalità, e la nostra esistenza odierna altro non è che la rappresentazione del nostro medesimo processo realizzativo. Il concetto esatto, che deriviamo dalla tradizione filosofica, è in questo caso quello di 'monade' e come fu detto da Leibniz – 1e 'monadi non hanno finestre': esse rappresentano sé stesse secondo una logica che però non è la loro, ma quella del Continuum in cui sono inserite. Ripetiamo: questo 'continuum' è reale come processo, ed irreale come ente a sé stante in quanto (dal punto di vista delle Idee che conducono l'Emanazione) esso è il modo di svelamento di un archetipo a se stesso secondo le categorie più adeguate per l'esperienza e la successiva realizzazione. E' coerentemente necessario concludere che la rappresentazione della Monade a sé medesima, guidata dall' "alto", non possa non influire - limitandola proporzionalmente - sulla sua libertà d'azione, perché in ultima analisi le Potenze non fanno altro che indirizzare il procedimento secondo la sua logica intrinseca (modificando e condizionando gli accadimenti del processo in senso finalistico): così la causa principale dell'assenza o della carenza di libertà nell'uomo deve ritrovarsi 126


proprio in lui stesso. E' pertanto naturale che l'Uomo resti coartato dal proprio Mondo/Rappresentazione proiettato nel tessuto mentale, e che gli Enti dell'Interità, liberi in modo alquanto significativo da tali limiti, agiscano con amplissima discrezionalità e non siano affatto impediti dalle categorie formali presenti nell'Uomo storico. L'Uomo Globale, occorre precisarlo, è monade nei confronti del Mondo Archetipale, e le sue modalità viventi, i jiva, sono altrettanto monadi l'una rispetto all'altra. Questo assunto sembra indurre ad un relativismo esasperato, ma in effetti i dati che possediamo non consentono questo giudizio. Innanzi tutto le monadi/jiva - in quanto elementi costitutivi del globale - sono genericamente condizionati dal tipo d'autocoscienza del globale medesimo, e quest'ultimo, essendo estremamente più costante ed immobile se commisurato al brevissimo periodo della vita umana, appare come un Ente stabile e sostanzialmente equilibrato. Come sappiamo così non è, e l'Uomo Globale esprime il disaccordo con la sua essenza mediante l'infinita conflittualità che manifesta nell'Universo, la quale altro non è se non l'inadeguatezza ad armonizzare le potenze interiori. Inoltre l'Uomo Globale è archetipo in fieri, e la sua limitata intelligenza non è certo estensibile al mondo delle Idee, il quale è infinitamente più lucido e consapevole e - non dimentichiamolo mai - costituisce il tessuto originario dell'Uomo Cosmico, sia pure in una sintesi nuova e con 1'apporto determinante di un "Quid" divino, infuso nella Manifestazione. Ne deriva che la rappresentazione/Universo che l'Uomo e gli uomini storici hanno di sé è completamente diversificata da quella degli Enti emananti, i quali vedono la realtà nel suo "essere" e "chiarificarsi" insieme, e per ora infinitamente lontana sotto l'aspetto della coscienza autonoma dall'Idea contemplata dal Brahman nel Suo Cit, e vivificata per puro amore. Questa esposizione rende giustizia anche delle difficoltà che s'incontrano nel cammino realizzativo; difficoltà che sembrano provenire dall'ambiente, dalle persone, dal caso, dal tempo e da imprevedibili emersioni di eventi a volte tremendi e a volte dolcissimi, ma sempre apparentemente "esterni" al percipiente. Difficile riesce la comprensione intellettuale che tutto ciò è il gioco di quello che attualmente siamo e che non dobbiamo restare; che il Karma è soltanto esperienza di sé stessi e superamento del passato verso un realissimo ed insieme illusorio "futuro"; che quello che veramente non dipende da noi - come scelta e definizione - sono le modalità, le categorie mentali in cui quest'esperienza avviene. Esse non derivano neppure dall'Uomo Cosmico, ma direttamente dal Mondo delle Idee manifestanti, esterno ed insieme intrinseco all'Adam. Insistiamo in questo principio perché esso è indispensabile per l'intelligenza della vita, e altro non è se non un'appropriata specificazione della Tavola di Smeraldo, intesa in modo più puntuale e significante. Occorre poi tener conto che in questo procedimento il Mondo Archetipale - il quale, come fulcro creatore, è lucente ed armonico - non è l'unico elemento attivo. Esiste 127


come un'ombra dell'Albero della Vita, la stortura qelliphotica, che rappresenta il precipitato vero e proprio delle scorie dell'autocoscienza archetipale, e l'imperfezione che deve essere tramutata in armonia al termine del presente Ciclo manifestante. Abbiamo detto che uno (non l'unico) scopo della volontà suprema è appunto una sorta di ricapitolazione delle Entità Intelligenti che costituiscono il Mondo delle Idee: ricapitolazione necessaria per consentir loro un approfondimento più libero della loro natura, e una più limpida sintesi, capaci di determinare la forza emanante di nuovi ed imprevedibili Cicli. Si deve dedurre che il Brahman sceglie come elementi del Suo dinamismo i Principi autocoscienti; che quanto deriva dal processo deve costituire un centro d'evidenziazione innovatore, e perciò più profondo e comprensivo, delle infinite valenze supreme, e cioè una sintesi dell'esistente (in senso personalizzato) che, lungi dall'essere definitiva e cristallizzata, apra il cammino per altri orizzonti. Dobbiamo conseguentemente operare con una visione globale del problema, se vogliamo orizzontarci nei meandri del relativo e del contingente; dobbiamo sapere di essere monadi per imparare come e quanto la monade possa trascendersi e riflettere il Tutto: essere il Tutto e sé stessa, al termine del proprio sentiero, in inscindibile unità e mistica felicità. -O11°) La monade, che è un universo e riflette la sua essenza attuale come universo a lei esterno, è un momento dell'Uomo Globale; dobbiamo quindi valutare la rappresentazione del mondo oggettivo in quest'ottica se vogliamo comprendere le ragioni della sua permanenza e della sua realtà. Abbiamo precisato che l'imperfetta intelligenza dell'essere, tipica del jiva, è espressione diretta del suo limite come coscienza e libertà: dove c'è lacuna si erge un ostacolo interiore e una conseguente inadeguatezza della visione. In tal caso l'Albero dell'Esistenza, interno/esterno alla monade, deve guidare il processo d'emancipazione, secondo le leggi dell'unione, dell'amore e del rispetto di ogni autonoma scelta. La permanenza e la logicità del mondo apparentemente esterno dipendono quindi da fattori concorrenti e da un elemento che dovremo chiarire, anche se implicito in tutto quello che abbiamo finora detto. I fattori enunciati (e che, giova ripeterlo, sono da un lato l'immagine che ha di sé l'Uomo Globale, riflessa conseguentemente in ogni sua componente dell'Universo; dall'altro la struttura emanante dell'Albero Sephirotico, il quale guida l'emancipazione dell'archetipo evidenziantosi secondo i metodi e la razionalità a lui intrinseci) risultano immanenti a tutto il Ciclo: quest'ultima considerazione apre la strada alla definizione dell'elemento che vogliamo specificare, il quale è appunto il sussistere nell'Uomo, globale o jiva che sia, di un principio razionale intrinseco, anche se oscurato e confuso da lacune ed errori di pensiero e di giudizio. 128


In effetti un elemento logico/razionale è attuato quando è in armonico equilibrio con tutti gli altri principi, secondo una legge di reciproca non-contraddizione. Se un concetto, un'ideazione, una rappresentazione del reale s'oppone ad altre formulazioni che abbiano valenza razionale ed obbiettiva, esiste un errore e una deviazione dalla visione coerente del Tutto; errore e deviazione tanto più notevoli quanto più estesa è l'incidenza della contraddizione, e la permanenza dell'ideazione in esame si rende precaria. La Realtà è, in ultima analisi, Spirito che attua se stesso, ed il cui contenuto è rappresentato dalle Idee: se utilizziamo, nel modo specifico al relativo ed al jiva, il principio basilare della Tavola di Smeraldo osserveremo che il mondo oggettivo non è altro che la proiezione del contenuto ideale dell'interiorità, la quale si rende in tal modo comprensibile a sé medesima. Ciò è esatto per l'Uomo unitario e per le sue essenze specifiche, gli uomini storici: con la precisazione per questi ultimi che essi, in quanto idee/fondamento del globale, sono insieme condizionati dall'autorappresentazione dell'Adam nel loro campo d'attività, e costituiscono elementi dinamici di modifica di quell'autorappresentazione. In altri termini, i jiva sono gli strumenti dell'esperienza che l'Uomo universale fa del suo esistere, e quindi costituiscono e il mezzo e l'oggetto della sua autocoscienza. Questa osservazione è davvero importante, perché ci permette di valutare dall'interno i vari periodi storici in un quadro logicamente definito. Essendo la struttura dell'Essere fondamentalmente e perfettamente razionale, lo strumento conoscitivo dell'uomo è appropriato nella misura in cui s'incentra in questa struttura; diventa arbitrario ogniqualvolta egli se ne allontani. La suddetta analisi ci consente di ribadire che l'affermazione egotica, contraddicente in toto ed in fieri l'unità dell'Essere, è causa di inadeguata rappresentazione del proprio campo d'esperienza, ed implica un arresto o un impedimento all'evoluzione, all'intelligenza del reale e alla visione particolare e globale. Ne deriva, come prima conseguenza, la liceità e la necessità della ricerca delle leggi che informano un dato momento dell'evento manifestante, con la precisazione che dette leggi rappresentano una conoscenza della realtà solo sotto l'aspetto accessibile al personale grado d'emancipazione, e quindi non significano la struttura del reale "in sé", ma semplicemente quella del pensiero che, in modo imperfetto e lacunoso ma pur sempre non arbitrario, riflette sé medesimo. Quando il jiva prende conoscenza di un elemento razionale costitutivo della sua personalità essenziale, lo proietta nel suo campo d'azione, determinando conseguenze interiori che assumono il significato di eventi a lui esterni. Questo spiega l'incidenza della legge karmica e dell'accumulo di valenze positive e negative nel profondo inconscio, che devono in qualche maniera arrivare ad espressione sotto forma di eventi. Se la coscienza limitata afferra un momento costitutivo che attiene al suo specifico ambito d'esperienza, l'accadimento e la visione 'esterna' riguarderanno solamente lei, e si tradurranno in esperienza soggettiva. Ma il jiva è parte integrante e non accessoria dell'Adam, e ciò che egli consegue diventa immediatamente incidente 129


nel centro rappresentativo di quest'ultimo, determinando modifiche che nel tempo potranno rendersi estremamente significative. Da ciò dipende come il singolo sia, in questa prospettiva, responsabile anche del Tutto; e perché lo sforzo individuale debba comunque tendere alla composizione e all'armonizzazione delle contraddizioni emergenti nel momento storico vissuto. E' difficile valutare l'importanza di questa nozione ai fini pratici dell'attività e dell'interpretazione dell'Universo, che continueremo a chiamare oggettivo per svariati motivi, non ultimo dei quali quello che implica la realtà del processo manifestante nell'irrealtà dei suoi momenti specifici. L'Universo esterno (ripetiamolo perché, come dicevano gli antichi, repetita iuvant) è il nostro mondo interiore oggettivato ed insieme il sogno coscienziale dell'Uomo Cosmico. L'Uomo Globale è, dal nostro punto di vista, estremamente stabile perché le sue rappresentazioni interiori vanno ben oltre l'effimera vita tridimensionale delle sue modalità, le quali sono tuttavia i centri energetici capaci di modificargli inevitabilmente la struttura spirituale. Il passaggio da una zona tridimensionale ad un'altra che tale completamente non è, è reso poi necessario nella dinamica dell'emancipazione dalla esigenza di una ricapitolazione, di un assorbimento e decantazione di quanto venne incontrato nel corso dell'esistenza in Malkuth. Questo schema, il quale s'estrinseca nell'alternarsi di nascita e morte al nostro mondo formale, è immanente alla dialettica dell'acquisto della libertà interiore, e evidenzia una ritmicità che l'uomo dovrà necessariamente trascendere, e che trascenderà in misura proporzionale alla sua effettiva armonia. La successione delle esistenze non è dunque una legge immutabile del Ciclo manifestante, ma lo strumento che l'Intelligenza sephirotica ha considerato adeguato per indurre l'umanità all'esperienza delle sue potenzialità e alla maturazione di quell'esperienza. Dal punto di vista dell'Emanazione, il fenomeno nascita/morte è illusorio, ed implica un semplice mutamento della visione interiore, reso necessario dall'imperfetta emancipazione dei jiva, i quali maturando sono destinati a superare quest'oscillazione. Ma l'uomo, nella sua esperienza normale (e cioè dal punto di vista della vita formale odierna) intreccia rapporti, affinità, legami con altre essenze intelligenti, e attiva potenti campi emotivi che sovente sfociano nell'intensa e realissima profondità dell'amore. Poiché è proprio l'Amore l'aspetto essenziale dell'Uno, in tale caso il jiva non determina un fattore transeunte, ma un vero e proprio vettore aggregativo in accordo con le più alte finalità dell'Universo e del Ciclo manifestante. Abbiamo detto che il jiva è sostanzialmente una monade; che la visione dell'Universo e delle realtà apparentemente esterne sono comunque percezione della propria interiorità nelle sue valenze attualizzate; che egli è una modalità dell'Uomo unitario, e che quindi la sua esperienza non è mai arbitraria, ma coerente con la globalità che lo esprime; abbiamo affermato che la Matrice logica dell'Emanazione, dell'Adam Kadmon e del jiva è reale, e rispecchia la trascendente logicità espressiva 130


del Creatore, anche se in modo parziale e imperfetto. Vediamo dunque quale è la natura e la verità dei valori che la monade realizza nel suo esistere e nel tessuto generale incontrando principi di vita da lei considerati esteriori, ma che in effetti sono interiorizzazioni di altre e non illusorie Idee, a lei tanto prossime per campo e natura da causare un fenomeno unitivo d'accordo e, al limite, d'identificazione. -O12°) La Manifestazione non è un atto arbitrario, ma estrinseca l'infinita razionalità del Brahman: questo è il postulato che consente un'interpretazione adeguata dell'emanato. Si è talvolta pensato e perfino tentato di giustificare un presupposto alogico dell'atto proiettivo, e di considerare il mondo fenomenico come un semplice svolgersi d'atti casuali, intrinsecamente non legati da un rapporto metafisico causale, pur se tendenti all'equilibrio reciproco con un'apparente sequenza di causa/effetto. Questo criterio d'interpretazione, che tende a riaffermare 1'assoluta libertà del Principio informante, non tiene tuttavia conto che Egli è coerente con Sé medesimo, ed è questa infinita identità che esprime la logica e la razionalità della sua essenza: da ciò si desume facilmente che tutto quello che l'Assoluto crea, partecipa di tale base metafisica, e la rappresenta come natura e tendenza. Esiste dunque nell'Uomo e nell'Universo quest'originario aspetto, nell'attuale situazione affatto realizzato, o realizzato in modo generalmente confuso. Il jiva che noi conosciamo è uno sperimentatore delle sue virtualità, ed è animato, per scelta arbitraria e forza di cose, da un potente atteggiamento egotico e possessivo il quale, se da un lato lo sospinge ad allargare l'ambito delle acquisizioni, dall'altro lo snatura e lo scompensa, facendole crescere in modo abnorme e privo d'equilibrio. La scienza odierna ne è l'esempio lampante: mentre essa rappresenta lo svolgersi di una necessaria indagine conoscitiva del tessuto esistenziale, si afferma in modo conforme non a un obiettivo indirizzo d'integrazione ed equilibrio fra le parti, ma alle istanze particolaristiche e soggettive dell'ego individuale e collettivo. Tutto questo determina un comportamento rapace e sfruttatore di risorse e persone, in molti modi soggette alla prevaricazione dell'agente più forte, e comunque considerate oggettualmente, anziché come parti alle quali è immanente un Principio unitario, ovunque identico. Così l'uomo, studiando le infinite connessioni che esistono fra gli infiniti aspetti della sua coscienza e del conseguente campo proiettivo, crea un vettore capace di rispecchiarne insieme lo sforzo e l'inadeguatezza, obbiettivando forme, tendenze e propensioni che lo sconvolgono e lo rendono quanto mai precario. Ovviamente questa fenomenologia implica un'esperienza, e la conseguente necessità d'una opportuna correzione: è quello che accade fin d'ora, e che ancor più accadrà nel prossimo futuro. Una zona di forze scompensate e instabili perché esse tendono necessariamente a porsi in reciproco equilibrio: sta all'Uomo decidere se tale 131


risultante può configurarsi ad un grado più elevato dell'evoluzione o ad uno più basso, molto più basso dell'attuale. Le forze, lasciate a sé stesse, finiscono col precipitare in uno stato di staticità e quiescenza, che provoca un riaffioramento di gradini già obsoleti dello svolgimento spirituale. Per evitare questo regresso, è necessario che il fattore intellettivo, razionale dell'uomo operi una sintesi, capace di provocare un più alto stadio dell'emancipazione, una armonia che componga i vettori dinamici in modo tale da consentire il progresso ordinato e coerente della vita. Strumento di questo progresso è l'amore, il quale - rileviamolo con la massima attenzione - non è un elemento affettivo o morale dell'Assoluto, ma bensì la razionale e perfetta espressione della sua coerenza ed unità, informandone l'attività logica e proiettiva. Con questo diciamo che l'amore è forza unificante ed integrante della personalità, soprattutto umana, in emancipazione, e che l'attività della coscienza e dell'intelletto non può rinunciarvi senza contraddire alla sua natura. Questa teoresi rende ragione, anche sotto il profilo dell'analisi logica della Manifestazione, di quanto sia indispensabile attivare la Forma/Pensiero “Amore” nell'uomo d'oggi, alquanto carente a tutti i livelli di questa indispensabile consapevolezza, e pertanto incapace di conoscersi e di comprendersi. Per interpretare l'ambito della coscienza nella monade (che è l'oggetto di questo paragrafo) ribadiremo prioritariamente alcuni principi: innanzi tutto, la monade conosce sé stessa proiettando le sue valenze in uno schermo interiore che le appare per ignoranza metafisica o avidya - come 'altro da sé', ossia mondo esterno dispiegato in tre dimensioni e in una quarta, alle prime sottintesa, che è il tempo. Conoscendosi, essa non agisce come un semplice universo chiuso e autosufficiente, ma come un elemento: 1°) dell'Uomo Universale, 2°) dell'Interità, 3°) della Assolutezza. Queste considerazioni siano attentamente vagliate dal lettore. Nella monade influiscono pertanto campi reali che possiamo didascalicamente e provvisoriamente chiamare "esterni" (esterni cioè alla sua coscienza storica, ma in effetti elementi costitutivi dell'interiorità), i quali rappresentano le proiezioni di altre monadi, tanto affini per natura e ambito d'esperimentazione da poter essere intimamente percepite dalla prima. Ciò implica contemporaneamente sia la realtà del contatto con i principi senzienti che quotidianamente e continuativamente s'affacciano alle soglie della nostra consapevolezza, sia che essi siano conosciuti non tanto nella loro effettiva valenza, quanto secondo le categorie di rappresentazione a noi proprie, strettamente dipendenti dal nostro grado d'interiorizzazione e d'emancipazione. Il rapporto estremamente profondo che così s'instaura non è illusorio, ma rappresenta un necessario metodo di rapportarsi con il Tutto e le sue parti; è invece illusione credere di percepire il reale in sé, poiché questo è possibile solo ad un alto livello di identificazione e di libertà che, come si è sempre sottolineato, non significa mai annullamento della parte nel Tutto, ma bensì coesistenza armoniosa ed integrata in una dimensione vitale che è di specificazione nell'unità. 132


Il paesaggio che due o più jiva ammirano, l'incontro con altre modalità del l'esistenza, persone o cose che appaiano, le stesse vicende dello spirito che vengono condivise in modo similare da popoli o gruppi, in effetti assumono in ognuno di noi una colorazione diversificata, una puntualizzazione più o meno rilevantemente differente, un significato coerente solo con la nostra specifica struttura di pensiero. Questo estremo relativismo delle percezioni e delle rappresentazioni diminuisce in modo altamente significativo quando, nei rapporti interpersonali e con il mondo oggettivo, s'instaura un sentimento d'amore e d'affinità elettiva: in tal caso, le sensazioni, le emozioni e le conseguenti rappresentazioni tendono ad unificarsi, in diretta proporzione con l'intensità che questo accadimento riesce ad assumere. Nel lungo tempo le differenze tendono comunque all'attenuazione, e alla fine del Ciclo si dissolvono: quando con l'emancipazione definitiva dell'Archetipo ogni sua modalità rifletterà entro sé, in lucida consapevolezza, l'Interità e dall'Interità verrà riflessa. Ma questo è un termine ad quem, e non è il caso per ora di soffermarvici sopra più a lungo. Adesso è invece tempo d'afferrare e ribadire i principi informatori della personalità, e fra tutti sopratutto quello che implica nel jiva un campo d'azione coscienzialmente attuato e un campo potenziale, costituito dai piani reali che implicano le varianti dell'emancipazione. Quest'ultimo elemento è significativo per il jiva e per 1'Interità, ed è comprensibile, in alcuni punti, solamente se si afferra il significato di un astruso concetto: quello che il tempo effettivo della monade/jiva è il tempo dell'Interità (che dicemmo “verticale” o “multidirezionale”) ed il tempo "orizzontale" di scorrimento è un semplice atteggiamento della conoscenza interiore del principio evolutivo, necessario in un determinato periodo ma altrettanto certamente illusorio e finalizzato all'espressione dialettica di tutte le componenti dell'archetipo. La scelta di simile metodologia compete alle Intelligenze informanti, alle Sephira del Glifo della Vita, ed è in qualche modo necessitata perché la più logica e coerente alla soluzione del problema. Mediante la successione rappresentativa delle proprie forme/pensiero in accadimenti, il jiva consegue contemporaneamente la consapevolezza della sua natura e del suo ambito d'attività, e le correzioni che deve apportare ad ogni scompenso, lo rendono edotto dell'infinita necessità dell'armonia sempre ed ovunque. Il jiva passa in questo itinerario interiore da un piano reale ad un altro del suo potenziale di vita, e con questo evidenzia aspetti e connessioni con il tessuto unitario dell'emanazione. Ma tutti i piani reali esistono nell'Interità oltre che nella coscienza del Jiva, e quindi hanno la loro configurazione di fondo nell'Interità: questo implica che, essendo il tempo soggettivo un artificio per la conoscenza e un'illusione, ed essendo enormemente più reale quello "verticale" dell'Emanazione e dell'Interità, le finalità di quest'ultima sono preminenti nell'esperienza che l'uomo conduce sul suo campo d'azione, e che di conseguenza (in relazione alle necessità di quest'esperienza) il passaggio del jiva da un piano reale ad un altro può non coincidere - ed in genere non coincide - con quanto si evidenzia nell'interiorità degli altri jiva, ma è 133


contemporaneo nell'effettivo e sovrastante tempo dell'Interità. Le diversificazioni fra questi due aspetti temporali sono giustificati dalle particolari categorie d'esperienza che appaiono nei singoli jiva, e che condizionano le fasi dell'Emanazione: al termine scompariranno, ed apparirà invece in tutta la sua estensione il tempo omnidirezionale tipico del Mondo degli Archetipi, nel quale il passato-presente-futuro sono sostanzialmente una zona di sapienza in equilibrata espansione. Vogliamo adesso ribadire il concetto e soffermarci alquanto su quello che esso contiene: il problema del tempo è un problema di conoscenza della nostra natura, e se la conoscenza è adeguata non esiste un tempo "orizzontale", ma il tempo omnidirezionale. Ciò che possiamo dedurne è argomento da trattare specificatamente nel seguente paragrafo. -O13°) Il tempo è una distensione dell'anima, disse S. Agostino, e se l'anima è libera il tempo non la vincola ovunque essa si rivolga: l'anima così contempla l'Idea di cui è parte, e la vede dispiegarsi nella sua interezza e nella sua infinita specificità. Ma certamente questa proposizione non è completa se non viene esaurientemente enunciata. L'Interità è un momento dinamico per eccellenza, e nella sua attività determina in sé medesima un chiarimento equilibratore d'ogni componente del suo ambito, che è incentrato specificatamente nella proiezione ex novo di una sua virtualità finora inespressa; questa irradiazione è, nel Ciclo in corso, ciò che tante volte abbiamo chiamato la presenza del Figlio nel Mondo Archetipale: presenza insostenibilmente luminosa nella sua realtà di pura ipostasi suprema, che tuttavia s'oscura e si minimizza come formulazione di autonomia e libertà di coscienza nell'essenza delle Entità emanate. La presenza di questa Potenza innovativa viene immediatamente recepita dalle Idee viventi in tutta la sua folgorante estensione, ed esse naturalmente si dispongono in una struttura capace di condurla alla sua libertà d'Archetipo fondamentale. Esiste infatti in ogni Idea un aspetto specificatamente unitivo che si connatura con la sua derivazione dall'essenza brahmanica, pervadente ed immanente in ogni essenza emanata. Il Brahman è principialmente Amore, e questo Mistero, insondabile perfino alle Intelligenze più eccelse, s'estrinseca in infinite modulazioni secondo un “mandala” che appare in continuo ed armonioso dispiegamento. Conseguentemente un principio d'amore esiste in ogni Ente del Mondo Archetipale e nell'Albero della Vita, che ne ha la configurazione tipica ai fini di questa Manifestazione. Esistono anche nelle forme/pensiero oscuratesi, scorie ed imperfezioni provenienti da lontani Cicli, le quali lo negano nel loro tempo/spazio onde affermarsi indipendenti ed avulse dal Centro, nell'illusoria fiducia di perpetuare così indefinitivamente il loro separatismo. Ma sommamente originale ed innovativa è la specificazione dell'Amore che è 134


alla radice di questo Ciclo, e che il Glifo dell'Esistenza vuole far fruttificare come momento propulsore per la globalità dell'autocoscienza (il Mondo Ideale), conducendolo all'autonoma sapienza. Che cosa sia quest'Amore/Figlio del Brahman fra tutti i Suoi Figli è difficile dirlo senza ricorrere al più illuminante esempio dato agli uomini tutti, con l'apparizione del Cristo Gesù. La comprensione di tale personalità è un argomento a parte, che tuttavia s'effonde vitalizzandoli in tutti i nostri scritti, e che non sarà mai abbastanza approfondita dalla riflessione e dalla meditazione. Tracce notevolissime della Sua trascendente natura, che è ponte fra l'uomo storico e l'Assoluto, esistono nei vangeli, e certamente dovremo ricorrere a loro per un'approssimazione non mendace all'essenza cristica. Il Cristo Gesù tuttavia opera come potenza illuminante e vivificante nella storia dell'uomo ovunque ci sia la comprensione della Sua natura, e per questa intelligenza rimandiamo senz'altro ad esempi come Francesco d'Assisi o il saggio Yogananda, per citarne solo due che in tempi e strutture di pensiero differenti ne hanno penetrato il messaggio, ed insieme l'enigma: perché veramente enigmatico è - finché la mente non si purifica e si rischiara alla Sua luce - il Mistero dell'Amore divino nella sua irradiazione Gesù, e mai ci stancheremo di ripetere ed insistere nella ripetizione che Egli è la massima chiave interpretativa dell'Interità e dell'Emanazione, e conseguentemente lo strumento fondamentale per il conseguimento della nostra libertà. Dobbiamo tuttavia, nel presente paragrafo, esaminare altri aspetti certamente a tale Principio fortemente raccordati, ma che esigono specifica trattazione. Abbiamo detto che l'Interità è la culla dell'Uomo Cristico, e che questo è il fine dell'attuale Emanazione. Diciamo adesso che queste Ciclo è un vero e proprio riassestamento del Mondo Archetipale preesistente, e una sua configurazione innovativa alla luce della proiezione infusavi dall'Assoluto. In altre parole, l'esistenza dell'evento manifestante è - dal punto di vista del medesimo - il necessario processo formativo dell'Archetipo Uomo; ma, dal punto di vista del Mondo Ideale, è la chiarificazione di un'Idea centrale che ne illumina e coordina il contenuto, e che pertanto deve diventare un centro interiore rivoluzionario d'ogni Archetipo preesistente. Questo implica il trascendimento d'ogni Idea a sé stessa alla luce dell'irradiazione suprema, che non esige la negazione della precedente natura ma il suo logico chiarimento e un fondamentale ampliamento. Il difficile compito, il travaglio che la comprensione dell'Immagine brahmanica infusa nel Mondo Archetipale comporta, si manifestano in due vettori principali: la nascita di un Ente autonomamente cosciente e correlato a tutti gli altri, che avviene tramite il processo manifestante, e l'acquisizione di quanto detto Ente significa per ogni Idea e per 1'Interità. Conseguentemente, dal punto d'osservazione di quest'ultima, la Manifestazione è un chiarimento interiore d'estrema complessità ed urgenza, che tra l'altro porta alla luce tutte le contraddizioni ed imperfezioni ereditate dai precedenti Cicli: è quindi meditazione sulla sua natura compiuta dal Mondo degli Archetipi (il quale, 135


ricordiamolo, è Idea unitaria pur nella sua infinita specificazione) e sforzo veramente supremo per il superamento del suo limite e un progresso nella sapienza dell'immanente Idea brahmanica, il profondo Sé di tutta la Sua realtà vivente. L'uomo è perciò contemporaneamente energia indirizzata alla realizzazione secondo la sua specifica natura e tensione del Mondo Archetipale per l'esatta comprensione di una valenza divina, "improvvisamente" apparsa nella nuova, sintetica illuminazione. Ciò è possibile, secondo la legge di conferimento dell'autocoscienza, solamente attivando la potenzialità emersa dall'irradiazione divina in tutte le sue implicazioni, secondo un criterio d'autonoma determinazione e di completa esperienza della propria profonda natura. Se l'Uomo è un Ente in divenire, è anche sotto un altro aspetto la difficile "meditazione" che il Mondo degli Archetipi compie su sé medesimo, confrontandosi in lui e per lui: ricordiamo in proposito che l'uomo microcosmico riflette, adesso imperfettamente ma in virtuale completezza, il Macrocosmo e che, mentre il compito di condurre ad equilibrio le valenze che il primo include è del Macrocosmo, all'Uomo appartiene quello di decidere la strada da percorrere nel cammino realizzativo. L'intersecazione delle due realtà è qui dominio dell'archetipo in svelamento, ma attraverso le scelte, gli errori e le vittorie di quest'ultimo - il Macrocosmo rivive la propria configurazione e si modifica in un nuovo assetto ideale, sempre più decisamente confluente in quel Punto metafisico che è l'Idea pura del Brahman. Questo difficile discorso dà un'immagine certamente imprecisa e provvisoria del dramma cosmico che sottintende ed esprime un Ciclo emanativo, il quale è nello stesso tempo ricapitolazione di tutto un insieme d'Universi autocoscienti e formulazione di un nuovo principio di consapevolezza e libertà, capace d'informare l'intera struttura archetipale. E' dunque estremamente importate, in questa fase dell'apprendimento dell'allievo, che egli abbia ben preciso nella sua mente il quadro generale e le caratteristiche particolari, evidenti e sottintese, del suo campo d'esperienza. Se egli considererà reale solamente il tempo "orizzontale" cadrà in un equivoco antropomorfico dettato da un'incompleta percezione della sua realtà; se invece valuterà reale solo il tempo del Glifo, dovrà individuare il punto di congiunzione fra i due sistemi, uno emanante ed uno derivato, che costituiscono lo scenario, l'ambito della sua attività. Se egli cercherà nel suo cuore di approdare al tempo onnidirezionale del Mondo Archetipale, dovrà appartenere a quel Mondo oltre che all' Interità e all'Uomo Cosmico, e ciò senza negare se stesso: dovrà, in altre parole, rappresentare un aspetto trascendente della Manifestazione, illuminato direttamente dalla Luce brahmanica. Ovviamente questo è il traguardo finale, oltre che un principio di un nuovo dinamismo su cui non è opportuno qui insistere. In ogni caso è indispensabile sapere che il tempo orizzontale, reale nel suo dispiegamento di cause-effetti, è relativo al grado di libertà coscienziale del percipiente e diventa illusorio quando questi s'affranca dal nesso karmico, 136


sostanzialmente interiore ma che s'esprime 'esteriormente' in eventi/oggetti inerziali e (apparentemente) irreversibili. Quando il percipiente assume come proprio tempo reale quello della Interità, che dicemmo "verticale", la struttura della Manifestazione si modifica al suo sguardo, e il suo punto coscienziale - grossolanamente raffigurabile come l'intersezione dei due piani - può scorrere in due direzioni mantenendo la sua caratteristica di "presente": verso il passato e verso il futuro. Ma quale passato e quale futuro? Qui occorre fare attenzione, e ricordare quanto dicemmo dell' "individuale" e del "globale" riferiti al jiva, e cioè considerare i campi reali inespressi dal momento conoscitivo della personalità, non per questo meno veri ed esistenti. L'adepto in questione potrà effettivamente 'spostarsi' nelle suddette direzioni, ma dovrà sapere (il che è difficile senza un profondo accordo, in senso musicale, con l' Interità) quali sono gli aspetti che incontra: 1°) a livello d'esperienza personale relativa al suo specifico moto di realizzazione; 2°) a quello degli altri jiva, ognuno dei quali rappresenta un centro differentemente specificato di percezione; 3°) a quello infine estremamente dilatato e comprensivo rappresentato dai substrati reali dell'Uomo Globale. A tutto ciò s'aggiunge la visione dell' Interità, che penetra nell'attuato e nel virtuale con eguale chiarità, e che considera entrambi, ai fini trascendenti della Manifestazione, assolutamente veritieri. E' dunque possibile quest'esperienza? E' possibile, a patto di conoscere i limiti personali, le modalità e le Forme/Pensiero da utilizzare nel corso di essa: compito immenso, che esula dal presente studio, ma che indubbiamente richiede un profondo stato d'integrazione con il Tutto/Uno. La nostra analisi è incentrata su uno scopo prefisso ed essenziale: dare il quadro generale dell'emanazione, e darlo in modo così specificato ed analitico da determinare nel lettore un'immagine del campo d'esperienza e di ricerca quanto più esatta e comprensiva ci sia possibile. Questa finalità è ampiamente giustificata dalla prospettiva storica delle fatiche affrontate dall'uomo in ambito religioso e metafisico (i due termini sono correlati, e grosso modo attengono all'aspetto essoterico ed esoterico del problema, con reciproci sconfinamenti), che facilmente dimostra quanto sia aleatorio un sistema, una speculazione o una fede senza un adeguato supporto logico e sperimentale. La logica e l'esperienza sono infatti le forme/pensiero che guidano e tracciano il cammino, e rappresentano fattori indispensabili ed insufficienti per raggiungere la meta: è necessario infatti anche un esatto vettore direzionale, la capacità e l'intenzione d'energizzarlo, ed il concorso determinante dell'Amore Cosmico, che sovraintende a tutto il processo ma che deve, al momento del suo compimento, imprimere il definitivo moto ascensionale. Nulla è infatti perseguibile e realizzabile senza l'interferenza risolutrice 137


dell'Assolutezza per l'aspetto modale vivente che la cerca, e quest'intervento viene reso possibile solo quando il jiva ha compiuto nel modo previsto la sua parte. Non prima e non dopo è quindi estremamente importante sapere come bisogna essere, cosa occorre fare, e quale il teatro e l'essenza della nostra fatica: diciamo che l'atteggiamento interiore, il quale costituisce il punto energetico fondamentale dell'Emancipazione, è correlato all'idea che il jiva riesce a darsi della Realtà in cui esiste, e che conseguentemente sarà tanto più attivo ed efficace quanto più precisa risulterà l'immagine di questa Realtà. Il nostro assunto è che un Principio irradiante sia alla base del mondo formale, e che Esso ne esprima le potenzialità mediante una fenomenologia d'emanazione da un punto coscienziale sinteticamente generalizzante a infiniti altri punti, che ne costituiscono la coerente specificazione: questi punti a loro volta rinnovano il procedimento, il quale trova un suo limite solo nell'energia potenziale considerata in sé stessa (energia pura che pervade il mondo tridimensionale, che determina la condensazione delle esistenze formali, dal livello subatomico a quello cosmico e che trova la sua massima espressione nel pensiero autocosciente). Quest'energia è essa stessa pensiero, forza che s'effonde dell'Idea divina e che viene plasmata dagli Archetipi: pensiero tuttavia allo stato più Potenziale immaginabile, capace di configurarsi in qualsiasi aspetto che possa venir finalizzato dall'intelligenza delle Idee viventi. Il nostro modo d'interpretare il Reale è dunque perfettamente monistico nella sua essenza, ed ammette un principio generativo di vita autonoma che rimane comunque un momento dell'Assolutezza e non qualcosa di contraddittoriamente "altro" o "diverso" da Lei sotto il profilo ontologico. Dobbiamo dunque non cadere nel tranello di pensare il Brahman come un Ente indefinibilmente distaccato dalla realtà formale che proietta: la Sua proiezione è un dato obbiettivo, e tentare di risolverla pensando semplicemente a un 'oscuramento', a una 'caduta', è come ammettere che qualcosa di specifico sfugga al Supremo Essere, il che è naturalmente inconciliabile con la sua assoluta armonia. Se oscuramento e caduta sono dunque un oggetto della nostra esperienza, esse devono rappresentare qualcosa che non tocca l'essenza del Brahman, ma il Suo dinamismo, e che perciò deve essere motivato da una finalità trascendente. Abbiamo individuato questa finalità nel dono dell'autonomia d'azione e della libertà di scelta, conferita ad entità rese coscienti tramite un processo che sia adeguato allo scopo, e che implica pertanto la possibilità dell'errore, della correzione e conseguentemente della sofferenza. Poiché non esiste nulla nel mondo degli Archetipi (Mondo che è il riflesso ricordiamolo - delle purissime e perfettissime Idee del supremo Cit, ognuna delle quali è il Brahman nella Sua assolutezza e nella Sua polarizzazione) che non sia perfettibile all'infinito, ne deriva che per il principio autonomo emanato esiste sempre la possibilità del superamento dei propri limiti mano a mano che vengano evidenziati. Il Centro determinante questa emersione è il Brahman, che agisce come "motore immobile" eppur mobilissimo d'ogni vita da Lui espressa. 138


Il Mondo Archetipale, nella sua configurazione precedente all'attuale Ciclo generatore, era certamente luminoso e stabile, ed ogni conflittualità v'appariva assente o estremamente remota. Eppure in lui esistevano le possibilità dell'errore, virtualità imperfettamente comprese, fattori il cui equilibrio si sarebbe dimostrato precario qualora fosse stata a loro concessa l'azione autonoma. Gli Archetipi ne erano poco o nulla consapevoli, pur nella loro amplissima sapienza, e certamente ritenevano che il perfettibile sarebbe giunto a maturazione in modo pressoché spontaneo e quasi inavvertito, per un naturale processo d'autorealizzazione. Quanto quest'atteggiamento fosse illusorio, lo si è avvertito nell'istante medesimo in cui nel Sé di ogni Archetipo s'è rivelata la nuovissima evidenziazione brahmanica, che ha messo in moto per la Sua trascendente volontà tutto il Mondo delle Idee, obbligandolo ad esteriorizzare valenze adeguate. L'atto d'energizzazione di virtualità archetipali ha determinato il necessario conferimento d'autonomia operativa e libertà delle scelte ad ogni Forma/Pensiero archetipale, facendo immediatamente emergere gli occulti scompensi e le inadeguatezze delle Idee matrici, e determinando in alcune delle virtualità attivatesi la possibilità di tradirsi in un'ebbrezza improvvisa di vita e d'egotismo. La "responsabilità" - se di responsabilità può parlarsi in un procedimento che conduce comunque verso un radioso risultato - è dunque primieramente del Mondo Archetipale e della sua non perfettamente equilibrata struttura coscienziale. Se tutto ciò è esatto, si spiegano i miti del Demiurgo del Mondo Formale, della ribellione degli Angeli, del Serpente dell'Eden e via dicendo: miti che racchiudono tutti un seme di verità, ma frammentario, spesso incompreso e pertanto, nella storia dell'umana ricerca, sovente deviante. L'Alberto Sephirotico non interviene nelle scelte degli uomini storici con quella pressanza e quell'urgenza che questi vorrebbero, perché la loro fatica è contemporaneamente lo sforzo di comprendere la propria natura e fine (il che è indispensabile e ottenibile solo con l'esperienza concreta), e con la stessa fatica delle Idee viventi, il procedimento di riassetto dell'intero Mondo Archetipale secondo una nuova configurazione, più alta e vitale della precedente. Nella Manifestazione infatti il Mondo delle Idee fa esperienza del suo limite attuale, e lo supera attivando entro il suo tessuto coscienziale un'Idea centrale, capace d'irradiarsi come elemento equilibratore e innovatore di tutte le preesistenti Idee. Questo è un atto di svelamento interiore, che in effetti non è del tempo umano o di quello dell'Interità, ma del "Tempo" in armonica espansione di quella zona di concentrata spiritualità, tanto prossima alla perfetta realizzazione, che è l'Idea sintetica vivente in cui si puntualizzano tutte le Idee Archetipe. E' un atto in forma identica "nel" Brahman e "del" Brahman, attuato per mezzo dei Suoi Principi vitali in vista di un fine che è principialmente la loro perfezione, e che appartiene all'Assoluto sotto l'aspetto davvero atemporale della sua Potenza d'Amore. Come in un'idea umana esistono infinite idee che concorrono a formarla, e che s'incentrano in un punto originale e caratterizzante l'insieme, così il Cit supremo 139


irradia in Sé le Sue indeterminate valenze, conferendo ad alcune di queste il dono mistico della libertà e dell'autonomia. Se il lettore si sforzerà di comprendere il quadro unitario che gli è proposto, e ne interpreterà il significato secondo le sue specificità interiori, portandolo con il contributo della sua intelligenza/amore a più profonda visione, avremo assolto al primo e fondamentale scopo di questo scritto, e di tutti quelli che lo hanno preceduto e, forse, lo seguiranno. -O14°) Un concetto che è bene chiarire in modo compiuto, onde non lasciare equivoci alle nostre spalle, è quello - innumeri volte enunciato - di Assolutezza. Faremo ora attenzione alla sua definizione in termini logici, tenendo conto sia di quanto abbiamo finora esposto sia di quello che dovremo enunciare nel proseguimento del nostro lavoro. Assolutezza è concetto d'estrema difficoltà espositiva, perché si pone oltre la capacità dell'intelletto che può tentare di definirla soltanto per via negativa: così diciamo che è oltre la qualificazione, che non è nulla di quel che una mente derivata possa attribuirLe perché supera infinitamente qualsiasi modalità, che rappresenta e trascende le coppie di qualsivoglia opposto concettuale. Possiamo aggiungere che ci è lecito chiamarla l'Infinito degli Infiniti, a patto di non pretender con questo, nulla di più di un incerto tentativo d'approssimazione. L'Assolutezza dunque "non" è il Nous, l'Intelletto ed i suoi contenuti, che nel loro valore archetipale, chiameremo Noumeni. L'Assolutezza è tuttavia la Causa determinante tutti gli aspetti che ne costituiscono - a livelli massimi e minimi - le ipostasi e che diventano oggetto d'analisi e riflessione per i filosofi. L'Assolutezza dunque, rimanendo essenzialmente identica a Sé, è pure tutto ciò che in Sé irradia e specifica ed in cui esprime il Suo insondabile dinamismo. Quando diciamo: "Tu sei quello", diciamo un reale apporto conoscitivo della creatura nei confronti del Creatore e del momento inqualificato di cui il Creatore è ipostasi. Quindi, se l'Assolutezza in Sé medesima è non definibile ed oltre ogni qualificazione, è (sia pure con massima approssimazione) definibile negli aspetti che Essa ha voluto evidenziare e che, costituendo elementi del Supremo Cit, sono conoscibili dall'intelletto per analogia di natura. Occorre quindi tenere ben presente, nel nostro discorso, questa ambivalenza che utilizziamo nel servirci concettualmente del termine "Assolutezza", ambivalenza rapportabile completamente alle limitazioni della nostra comprensione, e che non costituisce certamente l'immissione di un motivo dualistico nel perfetto tessuto unitario dell'Essere. Sicuramente, dall'imperfetto e perfettibile punto di vista dell'ente emanato, egli esiste come volizione divina e può quindi rivolgersi, come ad un Padre, all'Emanante. Ma esistendo appunto come volizione e non per se stesso, egli è L'Emanante nella sostanza, e null'altro che l'Emanante: se in lui sussiste una personalità, un'attuazione 140


di potenzialità, un ambito d'espressione, è "per" azione dell'Emanante che ciò avviene, e ontologicamente parlando è sempre Lui che agisce e si determina nella Sua modalità. Qui certamente s'incontra un'insormontabile difficoltà concettuale, una aperta contraddizione che abbiamo tentato di rendere comprensibile introducendo nel concetto un elemento insondabile, l'Amore supremo del Brahman per i contenuti del Suo Cit, il quale s'esprime in un conferimento di personalità: atto liberissimo, incondizionato dell'Assolutezza, dal quale Essa non viene modificata in nulla e per nulla, e che si rende capibile solo ipotizzando, come noi appunto facciamo, un possente Centro/Amore infinitamente attivo nella suprema Coscienza. Quello che ci preme comunque chiarire, di là da ogni possibile equivoco, è che l'Assolutezza è oltre l'intelletto ed i contenuti dell'intelletto, oltre il Bene ed il Male (ammesso che possa esistere - e non esiste - un "Male" come Idea a sé stante e non come tragico allontanamento dall'armonia esistenziale), oltre ogni opposizione concettuale del mondo manifestato (ivi comprendendo principalmente il Mondo Archetipo autocosciente ed i frutti delle sue interazioni: i cicli manifestanti). La perfetta trascendenza del Brahman non nega tuttavia quel che Egli, nel Suo infinito dispiegarsi, determina come principi autocoscienti. Tutto ciò che esiste, esiste nell'Essere in Sé, e ci si perdoni l'inadeguatezza di riferire all'Assoluto un attributo quale "l'essere", a rigore non adeguato a ciò che trascende ogni determinazione pur esprimendo innumeri modalità. Certamente se per "Essere in Sé" s'intende la suprema Realtà sovrastante e sottostante ad ogni modificazione, ci si potranno perdonare queste ed altre improprietà: perché, per un bisogno tutto umano di rigore logico, saremmo certamente in errore se non ritenessimo "reale" il Brahman, almeno nel senso, inafferrabile alle nostre menti, di trascendimento di ogni realtà particolare di cui Egli è comunque il fondamento e l'essenza. Dobbiamo dunque limitarci ad utilizzare concettualizzazioni approssimative, consapevoli della loro approssimazione e lasciando al nostro personale vettore intuitivo il compito di andare oltre le parole, imperfetto tramite di un intelletto non certo perfetto. "Essere" è dunque quello che "è" sicuramente riferibile all'ipostasi massima dell'Assoluto, che determina il momento emanativo del Mondo Archetipale autocosciente. Questo momento emanativo in effetti è un chiarimento del medesimo Mondo, operato tramite l'infusione in Esso (o meglio, tramite l'attivazione di un suo aspetto profondamente potenziale) di un principio capace di modificarne la preesistente configurazione in una nuova, più luminosa e comprensiva, e perciò più prossima alla pura Idea sintetica del Cit brahmanico. Qui occorre precisare ulteriormente: il Cit brahmanico non è il Mondo Archetipale, ma lo trascende quanto l'Idea divina supera le idee autocoscienti che sono da questa irradiate. Il Cit è un momento dell'Assolutezza, in cui il Pensiero, il Pensatore e l'atto del Pensare sono un unico aspetto reale, indistinguibile dal Brahman: in Lui non esiste processo, neppure istantaneo; tempo, neppure omnidirezionale; virtualità o potenza, che non siano perfettamente dispiegate: tutto ciò diviene rilevantissimo "in" Lui quando Egli svela a se stesso l'idea, e questa 141


raggiunge l'autonomia e la responsabilità del suo esistere. Allora nasce il Tempo, il processo, l'attuazione conquistata e sempre perfettibile delle potenzialità, il dispiegarsi della Forma, il determinarsi dei Momenti autocomprensivi che dispiegano i Cicli Cosmici e tutto ciò che questi ultimi comportano come ricerca, fatica ed acquisizione. "Svela a sé stessa": è questo il Mistero la cui sapienza s'intuisce nel samhadi, e che non è riferibile con la mente discriminante e l'intelletto, perché oltre il loro ambito. Ciò non accade nel Mondo Archetipale, nel tempo o in una qualsivoglia dimensionalità specificata nell'Essere divino: accade nel Brahman e nella Sua trascendente realtà. L'Albero Sephirotico allude a tutto questo, significando che fra la Suprema Triade Causale e le sephira sottostanti esiste il Daath, l'Abisso, non valicabile che per opera di un Centro, capace di riflettere ad un livello comprensibile per la creatura il Creatore: ciò implica un "incontro", un'interferenza suprema che apra la strada e sorregga il figlio, onde renderlo capace d'incontrare la tremenda Luce del Padre. La suprema Triade causale, che è l'ipostasi dell'Assoluto rivolta al Mondo Archetipale, è Essa stessa Assolutezza, e sarebbe vano tentar di volerla distinguere sostanzialmente dal Brahman; ribadiamo dunque un concetto: tutte le schematizzazioni, le simbologie e gli studi o rivelazioni metafisiche sono legittimi se sottintendono un concetto strettamente non-duale della Realtà, costituendo quindi un metodo d'interpretazione della sua natura e della sua vita. Non sono che illusorie formulazioni della mente limitata, sia pur essa la Mente Archetipale, se vengono intesi come realtà separate, contrapposte l'una all'altra ed in opposizione alla trascendenza del Brahman. "Tu sei Quello": dovremo meditare a lungo e reiteratamente sul significato di questo mantra che è, con la Tavola d'Ermete, uno strumento indispensabile per orientarci nel labirinto di un aspetto incomprensibile del reale, se non illuminato da un esatto Centro irradiante che ne sveli i pericoli, le insidie e le ingannevoli apparenze. Pericoli, insidie ed apparenze che esistono solo nell'inadeguatezza della mente percipiente, nell'imperfezione dell'entità evolutiva: ma non per questo meno temibili, meno letali, meno ostative se riflettiamo che l'unica realtà è lo Spirito, e che quanto da noi è avvertito, conosciuto e sperimentato è un'estensione della Mente Cosmica e della nostra mente, semplice ma irripetibile modalità della prima. L'Assoluto è dunque - insieme - sintesi di Sat/Essere, Cit/Coscienza, Ananda/Armonia-Bellezza-Gioia, e trascendimento di tale sintesi. Trascendimento in due significati: uno, in quanto la definizione Sat/Cit/ Ananda non fa che rappresentare aspetti estremamente, infinitamente alti del Brahman, e non il Brahman che è irriducibile perfino a tale Triade; l'altro, che il Brahman è "anche" il momento dinamico, generativo e creativo dell'Essere, e cioè l'Esistere, con tutto quel che ciò implica e contiene. Sarebbe vano ridurre nelle nostre ipotesi il Brahman a uno stato indifferenziato o a un momento evidenziante, o a una Causa immobile del movimento: in effetti questo 142


è stato tentato e sostenuto, in troppi casi con risultati parziali ed aberranti. Dobbiamo dunque fare attenzione a come si configura la nostra capacità intellettiva e razionalizzante nei confronti dell'Assoluto trascendente, onde comprendere i limiti intrinseci al nostro discorso e la provvisorietà delle relative concettualizzazioni. In effetti il Sat-Cit-Ananda, l'Informale, il Motore Immobile, il Creatore/Padre, la Trascendenza-non-qualificata, sono nostri punti di vista analitici, legittimi come tali a patto di non perdere di vista la loro relatività: con questo vogliamo dire che l'Assoluto “è” questi punti di vista, che sono pertanto semplificazioni della Sua essenzialità, ma anche che è contemporaneamente, oltre di loro. Il che non riduce il nostro sforzo a un inane tentativo, ma 1o ridimensiona nella sua pretesa di spiegare con i termini dell'intelletto quel che supera - come essenza ontologica - qualsiasi contenuto mentale. Per essere meno imprecisi, diremo che l'aspetto incondizionato del Brahman è il Mistero infinito in cui s'identificano le Modalità supreme che Egli esprime, realissime ed in certo modo numerabili a patto che non si dimentichi che esse non esprimono un divenire, un elemento a sé stante, un aspetto quasi separato e personalizzato dell'Assolutezza, ma sono i tramiti mediante i quali il Non-Duale metafisico si palesa alle sue creature. Sono dunque aspetti supremi rivolti al Mondo Archetipale autocosciente, ai Figli generati dal dinamismo creativo: che vanno compresi perché costituiscono insieme i mezzi evidenziatori ed il "sentiero d'integrazione" dell'esistente con l'Ente emanante, la percorrenza del quale è poi la massima finalità dell'emanato, poiché s'identifica con il massimo spiegamento del suo contenuto secondo l'ideazione che ne costituisce l'essenza: il Sé. Queste annotazioni dovrebbero aiutare il lettore ad avvicinarsi al punto fondamentale del presente studio: quale sia l'elemento di sintesi che, a nostro giudizio, collega i numerosi aspetti dell'Assolutezza fin qui elencati, trascendendoli in un centro sintetico qualificativo che, per questo, può rappresentare l'essenza onnipervadente del Brahman. Noi crediamo che questa puntualizzazione metafisica sia l'Amore: un amore inconcepibile, profondo, unitivo, luminoso e gioioso, il quale unifica la creatura al Creatore senza negarla, che dona il Pensante al pensato senza che quest'ultimo venga annullato nel puro pensiero, che fonde le infinite modalità emergenti nell'unità metafisica in cui esse restano sé stesse quali polarizzazioni, colorazioni luminose del Continuum, forme simboliche dello Spirito irraggiantisi l'una nell'altra affinché ognuna sia riflessa da tutte e tutte essa in sé medesima rifletta: contemplate dall'Assoluto nel suo Cuore come Idee assolute ed insieme personalità autocoscienti che s'approssimano al loro limite infinito, per naturale processo di svelamento e consapevolezza. Questo è il punto che vogliamo - nel nostro attuale tentativo di direzionarci nell'aspetto conoscitivo del nostro campo d'azione - tenere ben presente: l'Amore trascendente è l'elemento unificatore dei molteplici aspetti che la ragione e l'intuizione ci consentono d'evidenziarci nel nostro Creatore, e che ci sembra giustificare la possente spinta creativa che determina gli Eoni e gli Enti: attività 143


liberissima, incondizionata, rilevabile soltanto a causa di quest'aspetto, immanente e finale a tutta la Manifestazione. Se quanto diciamo è giusto, pur nell'inevitabile imperfezione delle argomentazioni, l'Amore è la Forza più alta ed incisiva esistente nel Ciclo emanante, e la sola che consenta all'entità evolutiva la propria realizzazione. Possiamo dire che il centro interiore degli Archetipi e degli jiva, il Sé, sia in effetti un particolare modo di configurarsi di questo Amore supremo, irripetibile per ognuno di essi, e che esige per Sua essenza l'integrazione reciproca al più alto livello concepibile. Questa forza attrattiva, realizzativa, specificante ed unificante insieme è dunque il profondo contenuto del nostro esistere come uomini dell'emanazione, dell'Interità, del Mondo Archetipale e di tutto il dinamismo supremo: è inoltre Forza che trascende il dinamismo medesimo, e lo configura nel quadro sintetico dell'Assolutezza incondizionata come momento espressivo dell'Essenza brahmanica. Da queste considerazioni nasce la nostra odierna visione del problema dell'Emanazione, ed il profondo significato delle semplici parole del Cristo Gesù ai suoi attoniti discepoli: "Sia fatta la Tua volontà". Parole troppo ascoltate, troppo tramandate, troppo abusate senza che se ne comprendesse il reale apporto conoscitivo ed operativo: sul quale ci soffermeremo nel prossimo paragrafo, tentando di renderle più comprensibili a noi stessi ed al nostre lettore. -O15°) Agire, essere, impersonare la Volontà del Padre è la realizzazione più alta che il jiva possa desiderare, e s'incentra sul Sé e sull'Atto manifestante in perfetta sintesi. Occorre quindi fare molta, molta attenzione in questo "sentiero" dato direttamente da Gesù Cristo agli apostoli, e a tutta l'umanità, per comprenderne insieme gli aspetti trascendenti e quelli operativi nell'ambito attuale dell'Emanazione. Come abbiamo tante volte enunciato, il Padre dona al Suo mondo interiore - e davvero questo è il punto di vista del "manifestato", perché è concettualmente un assurdo in sé medesimo quel che abbiamo or ora detto! - la capacità di possedere un aspetto personalizzato che, nel momento più alto, rappresenta la coincidenza dell'autocoscienza con l'Idea brahmanica informante. Quest'atto è l'essenza del dinamismo dello Spirito, e determina un campo autonomo d'acquisizione e realizzazione per l'entità irradiata, nel quale essa è libera di governarsi ed autonoma, nella misura consentitale dal suo grado evolutivo, nell'ambito operativo. Ora, questa libertà di determinarsi e d'agire conseguentemente all'atto volitivo, è la radice della stasi, del regresso o dell'emancipazione del jiva, e quindi un'idea chiara di quel che comporta l'essere un "principio autonomo evolutivo" è assolutamente rilevante per l'Uomo e le sue innumeri modalità, i jiva storici. Cristo Gesù ci ha dato, in perfetta sintesi, l'indicazione fondamentale; ma ha lasciato ad ognuno di noi il compito di comprenderla e renderla viva. Dunque, un attento esame di ciò che sia e comporti l'idea di "volontà del Padre" deve esser da noi 144


adesso compiuto, perché è nostro diritto/dovere "essere" ciò che fondamentalmente possiamo realizzare agli occhi della suprema Realtà. Innanzitutto, la frase cristica deve venire interpretata alla luce ed in accordo con le formulazioni generali contenute nella Tradizione, e soprattutto nei suoi aspetti più propriamente "rivelati" ai Maestri ed evidenziati dal Gesù storico. Noi abbiamo cercato, con le nostre annotazioni, di fornire una formulazione sintetica e coerente di tanti elementi già appartenenti alla storia del pensiero umano ed ai rapporti da questo intrecciati con il Divino; abbiamo, in questo compito, creduto opportuno di offrire al lettore uno sguardo generale e, riteniamo, abbastanza approfondito sul problema esistenziale e sulle sue origini e finalità; alla risoluzione del quale esplicitamente chiediamo adesso il suo contributo. Ma non ci esimiamo, nel frattempo, di comunicargli le nostre convinzioni, le nostre interpretazioni e gli schemi di pensiero che le sorreggono, nell'intento d'aiutarlo - accettandole o motivatamente respingendole - a trovare il suo angolo specifico d'osservazione della sua medesima realtà. Il problema di conformarsi alla volontà trascendente è un problema, per noi, fortissimamente dinamico ed operativo, che esige un approfondimento concettuale di base ed un'azione conforme come conseguenza ed ulteriore consapevolezza. Come è dinamico il momento divino dell'Emanazione, in cui si esplica e s'evidenzia quella suprema Volontà, così dinamico ed attivo deve esser l'atteggiamento di colui che con Lei e la Sua finalità s'identifica. Qual'è ora la meta luminosa della Manifestazione? Attivare l'autocoscienza di un ente capace di esprimersi con infinita libertà, creatività ed autonomia, in piena ed acquisita responsabilità di fronte al Padre a alla sua profonda natura. Se ciò è chiaro all'anima del lettore, egli afferrerà subito quanto implicano queste parole: un atteggiamento passivo, monocorde, dualistico d'accettazione paziente del capriccio della sorte, degli eventi inaspettati ed incompresi, delle fatiche e dei dolori della vita può essere un aspetto eroico del jiva, un superamento di alcune gravi limitazioni egotiche, un'acquisizione di capacità d'abbandono al Dio sconosciuto; ma certamente non rappresenta la forma/pensiero compiutamente responsabile di sé nelle scelte, nell'azione e nella conquista della propria consapevolezza di futuro archetipo ed attuale ricercatore della verità. Occorre cioè la volontà, tutta attiva, di comprendere ed interpretare l'essenza dinamica dell'ideazione suprema, d'identificarsi con Lei per attuarne gli scopi, portando con questo ad evidenza ed attualità tutte le potenze contenute nell'Uomo e nelle sue viventi modalità. L'Assoluto non vuole servitori, né schiavi, né adoratori: vuole entità libere che sappiano autonomamente rifrangere la Luce in sé stesse ed attorno a loro, come elementi attivi, dinamici e spontaneamente creativi nell'immenso ambito agli stessi donato. Un ambito - ricordiamolo - che implica un consapevole avvicinamento all'immagine trascendente racchiusa nel Sé, e il dono ineffabile dell'unione mistica del Samhadi. Nulla quindi di dualistico, di rassegnato o di prono nell'atteggiamento 145


del jiva, ma un costante sforzo di comprendere la propria natura e quella del manifesto, per partecipare concretamene al disegno divino che lo motiva e l'informa. Un altro aspetto, altrettanto importante, è la presa di coscienza che noi siamo, nel porci come entità autocoscienti, un momento irripetibile ed originale di questo dinamismo, e che quindi la nostra essenza è fondamentalmente dinamica. Se parliamo quindi di realizzazione in armonia con i principi basilari dell'Emanazione, dobbiamo tendere ad identificarci con l'aspetto del Brahman che essa impersona, e non altro che con quest'aspetto, perché sarebbe assurdo e contraddittorio - e dunque precario o meno adeguato - pretendere di correggere con la nostra scelta proprio l'Atto fondamentale che ha determinato la nostra esistenza personale. Occorre tuttavia notare che quest'impostazione del problema realizzativo non è riduttiva o limitativa, e che è ben lungi dal determinare un aspetto dualistico (Creatore/creatura) nella trascendente non-dualità dell'Essere. Realizzarsi come pura dinamicità del Brahman "è" realizzare il Brahman, ne1 quale è indistinguibile sia un aspetto statico che dinamico, in quanto entrambi li trascende; è cioè la strada, il metodo, l'ideazione che consentono di giungere alla sintesi suprema: quell'Amore che supera la Forma e l'Informale, il Tempo e l'Atemporale, senza negarli e senza annullare ciò che invece infinitamente ravviva e vivifica. Essere sé stessi è essere il dinamismo dell'Assoluto (in cui s'estrinseca la Sua idea/volontà); essere il dinamismo dell'Assoluto è percepire l'Assolutezza; percepire l'Assolutezza è trascendere i "momenti" esistenti soltanto per il principio personalizzato - che in Lei s'identifica - in una Realtà perfettamente trascendente a noi ora inafferrabile, che chiamiamo l'essenziale Amore in cui tutto vive, s'armonizza, risplende ed è. Queste considerazioni riteniamo che rendano conto dell'insondabile profondità della preghiera che Gesù ci diede, ed assieme a noi rivolse al Padre dei Cieli: non una speranza paradisiaca, con i suoi sottili substrati egotici del "premio", non un'integrazione finale che ripristini l'originario status ontologico - quasi che l'atto emanativo fosse un errore, una caduta 'divina' da cancellare a tutti i costi con un'affermazione d'identità che elimini l'amore come elemento transitorio del divenire nell 'imperturbata quiete dell'essere. Il Brahman, l'Assoluto vivente, è creatore, vivificatore e conservatore delle Sue stesse irradiazioni, che ama faticosamente nei loro faticosi processi, nelle loro lotte e cadute nel tempo relativo in Lui stesso disteso, e dal quale usciranno nell'estasi del Samhadi: per ritornarvi come espressioni consapevoli dell'Amore infinito. -O16) L'Amore, inteso in questo specifico significato, è dunque il fattore più alto che il Creatore abbia dato alla creatura onde consentirle un vettore d'intelligenza della sua essenza profonda. 146


Come utilizzare questo vettore è l'argomento del presenta paragrafo, che vede confluire in unità elementi trascendenti dell'aspetto brahmanico ed elementi attinenti a quello strettamente manifestante. L'Amore non è un atteggiamento etico, un momento sentimentale e - per quanto dolce o nobile - relativo alla creatura, ma bensì la Forza unificante onnipervadente ed essenziale che il Brahman irradia nella Sua infinita Realtà: è quindi, fra gli elementi obbiettivi che egli ostende alla nostra limitatissima comprensione, quello più incisivo, penetrante e reale. Da questa basilare constatazione, che è ovviamente fondata sull'analisi precedentemente esposta in tutte le nostre monografie concernenti 1a Manifestazione e la Rivelazione, ne esce un dato d'identificazione del sentiero che a nostro giudizio è aperto all'uomo storico e all'Uomo globale per raggiungere la sua pienezza d'esistenza: la realizzazione. Il nostro compito è agevolato da un fattore decisivo: tutte le Potenze, gli Enti dell'Albero Sephirotico (che sono, non dimentichiamolo, i Centri manifestanti e gli elementi costitutivi dello spirito umano) sono potentemente informati da questo principio unitivo, l'Amore. L'esperienza del trascendente dunque non può che confermarci, se rettamente condotta, nella nostra tesi, ed un rapido sguardo al Glifo dell'Albero ci assicurerà che la via diretta, quella chiamata del Fuoco perché la più difficile ed impegnativa, s'incentra nella sephira Tiphareth, e cioè nell'aspetto cristico della Fonte manifestante: da Tiphareth parte il Sentiero che s'incentra in Kheter, e che supera l'Abisso per l'avvenuta fusione del jiva con la propria essenza fondamentale e pertanto con la Assolutezza. Kether, non è superfluo ripeterlo, è il Volto del Brahman rivolto al dinamismo, ed è inutile discutere se un aspetto assoluto non sia Assolutezza, perché ovviamente nella trascendente realtà divina non ci è possibile identificare "aspetti" se non per aiutarci nella Sua provvisoria comprensione. Le presenti considerazioni ci portano a concludere e ad affermare che è proprio il vettore "Amore" - inteso nel suo senso cristico - quello che viene dato all'Uomo per la sua completa attuazione, e che non è possibile trascurare quest'aspetto senza perdere il senso dell'Emanazione e della sua finalità. Probabilmente (e qui apriamo un breve squarcio critico di valutazione della storia umana) la ragione del fallimento, della degradazione e della precarietà di tante metafisiche, religioni e movimenti spirituali è, in ultima istanza, nella mancanza dell'intelligenza dell'Amore. La Storia può e deve essere riconsiderata alla luce di questo principio, ed occorre esaminare attentamente quanto l'uomo abbia saputo comprenderlo e vitalizzarlo nel corso della sua evoluzione: uscirà certamente un quadro illuminante sulle forzature, le trasgressioni, i particolarismi, gli oblii più e meno colpevoli, i fraintendimenti e le falsità che emergono dall'analisi pressoché ovunque si rivolga la nostra attenzione. E' un quadro dolente, faticoso e spesso tragico dell'insufficienza umana, interrotto qua e là da lampi di luce purissima, e purtroppo oscurato dall'inerzia spirituale, dall'egotismo imperante e dalla malafede di coloro che furono e sono per 147


tanto lasso di tempo i capi e le guide storiche dell'umanità. Se compariamo le vicende del nostro passato, e lo stesso presente, allo schema manifestante che abbiamo finora esposto, ed interpretiamo le religioni e le filosofie secondo il nostro principio ermeneutico, avremo un lume di consapevolezza preciso, e sapremo facilmente dove scorgere le insufficienze e le deviazioni. Conosciamo perfettamente quanto l'intelligenza dell'Amore sia difficile, ed impedita sia dalle forme/pensiero storiche dell'Uomo sia da quelle - oscure - che vagano nell'Universo e che mirano a determinare il ristagno e la stasi. Ma questa nostra conoscenza ci dice anche quale sia il rimedio per l'ordine attuale delle cose e degli eventi, e come tal rimedio si mostri conforme ed intrinseco alla natura stessa del momento manifestante, informandolo nel suo svolgimento e costituendone insieme il Fine più alto. Abbiamo considerato la conflittualità dell'Emanazione anche sotto il profilo ora in esame, individuandone cause ontologiche e formative che preesistono all'apparire della Tridimensionalità, e che costituiscono per sé stesse il banco di prova e la culla dell'autocoscienza libera. Torniamo dunque un attimo su questo problema prima d'accingerci ad esaminare gli altri che da lui in qualche modo dipendono, o che almeno ne sono immensamente condizionati. Non a caso abbiamo detto che il problema dell'Emanazione è condiviso dall'Albero Sephirotico, ed anzi che "è" il problema dell'Albero stesso. Vediamo dunque, ripetendoci un poco, di delimitare la portata di questa asserzione. Dal punto di vista del Glifo, l'Emanazione è il procedimento di svelamento, d'emersione di un suo aspetto virtuale, e quindi "è" un momento coscienziale a Lui intrinseco. Cosa è dunque il Glifo? Il Mondo delle Idee platonico può in qualche modo compararsi con il Mondo Archetipale che abbiamo illustrato, ma occorre qui distinguere: il nostro concetto d'archetipo si fonda sull'autocoscienza, a cui sovrasta e ne costituisce la fonte, l'Idea Pura brahmanica, di cui l'archetipo medesimo è proiezione, consapevolmente dotata d'autonomia, personalità, ed operatività. Il Mondo Archetipale è dunque l'ambito di coscienza determinato dalla creatività del Brahman, il quale riproduce su scala soggettiva e formale alcuni dei contenuti dell'informale ed astratta Coscienza Suprema, nei modi e secondo la razionalità da quest'ultima infusa nell'irradiazione generatrice. Utilizziamo qui il termine 'generazione' in modo allegorico ed allusivo, perché non si determina con essa un ente separato dal Brahman, come accadrebbe se adottassimo alla lettera detto concetto basato sulla nostra esperienza: il Mondo Archetipico è un modulo espressivo dell'Assolutezza, e quindi è - e non potrebbe essere altrimenti - nell'Assolutezza che lo pervade e vivifica. Ma è un modulo sui generis, perché possiede caratterizzazioni personalizzanti, conseguenti al dono della libertà e di un proprio ambito d'attuazione. Quest'aspetto del Brahman è certamente intrinseco alla Sua natura, e costituisce un atto d'amore supremo, perché in effetti il potere direzionale assoluto è come sospeso nella zona d'autocoscienza a cui è affidato il governo di sé stessa. L'Assolutezza qui non 148


sacrifica ontologicamente Sé stessa, ma certamente si determina in un vettore che è, dal punto di vista dell'emanato, un supremo sacrificio ed un altrettanto supremo affidamento. L'attività creativa è come 'delegata' al Mondo Archetipale, e l'Assoluto si riserva solo il compito di rinnovarla, ampliarla ed armonizzarla determinando l'insorgere alla consapevolezza delle Idee viventi di aspetti virtuali del Cit da cui esse provengono, e dal quale sono certissimamente o inconsapevolmente, o solo confusamente informate, perché dette potenze le trascendono esattamente quanto il Cit trascende il suo momento dinamico. L'estrinsecarsi del "quid novi" scaturito come folgore accecante nell'interiorità archetipale è affidato agli Archetipi stessi, secondo la natura e la logica dell'Idea trascendente che vi si è svelata, e la cui formulazione quale principio autonomo vivente è a loro rimessa. Ovviamente tutte ciò accade con le caratteristiche proprie di un'Entità Globale (Il Mondo delle Idee autonome) che è pienamente consapevole della propria appartenenza al Continuum divino, e che penetra nella sapienza del Brahman ad un livello ben più profondo di quanto l'uomo possa immaginare. Ciò non toglie che lo svelamento di un nuovo elemento nel Mondo Archetipo determini in quest'ultimo un profondo 'turbamento' e sommovimento, per la necessità trascendente - che s'identifica in un'ulteriore realizzazione - di comprendere le valenze e di configurarsi secondo lo schema ideale che quest'elemento determina. Tale compito d'intelligere la Volontà brahmanica nelle Sue infinite implicazioni instaura un processo ed un nuovo assetto del Mondo Archetipale, adeguato ad evidenziarne la finalità. Questo è il dramma cosmico che precede l'evento manifestantesi con le categorie tempo/spaziali tipiche della nostra imperfetta consapevolezza: dramma cosmico complicato dall'emergere di distorsioni ed inadeguatezze del Mondo Archetipale stesso, che sono relative a un'imperfezione dell'armonia in cui questi s'è determinato, e che costituiscono - con la necessità implicita della loro rimozione - una delle cause determinanti l'irradiazione divina. Sbaglierebbe ora chi - come fu tipico alla Gnosi - pensasse che il mondo fenomenico da noi vissuto fosse il prodotto di un'empietà, di una hybris, di un aborto cosmico. La necessità di spiegare il dolore e la conflittualità che l'origina, deve spingerci a cercare altrove, e con altre e più adeguate valutazioni. Diciamo senz'altro che il Mondo Archetipale è Entità splendente e luminosa, di un'armonia e bellezza inconcepibili dall'uomo comune e forse intravista dagli artisti più alti della nostra civiltà, che si irradia all'infinito in strutture coerenti, in cui la razionalità e la invenzione, il sentire e l'essere s'esprimono ammirevolmente. Questa lucente Entità è tuttavia non compiutamente perfetta, perché 1'inadeguatezza e la carenza nei confronti della Fonte emanante sono elementi tipici del relativo, e costituiscono ora e sempre la sfida che la libertà rivolge a sé stessa per non diventare arbitrio e distorsione. Ed arbitrio e distorsioni erano evidentemente insite nelle armoniose interazioni degli Archetipi, pur se latenti e come dissolte nel prevalente equilibrio del loro 149


esistere, similmente al veleno che è inavvertibile se dissolto nel grande mare, ma che ritorna pericoloso e letale se concentrato in poche gocce. Questo accadde quando il Glifo si confermò all'Idea scaturita dal suo profondo Sé e, nell'accingersi all'immane compito di chiarificarsi a sé medesimo generando nel contempo un mandala capace di conferire autocoscienza all'Idea stessa, determinò la proiezione d'entità che in minime, ma pur significanti percentuali, non seppero che abusare della loro improvvisa consapevolezza ponendosi "fuori" dal Glifo manifestante. Questo dramma fu profondamente sentito da tutti gli Archetipi, e tuttora lo è, dovendo essi fronteggiare un orrendo oscuramento in alcune loro valenze, il quale si ripercuote malignamente nel campo d'evidenziazione della nuova Idea, il nascente - a se medesimo - archetipo Uomo. Il compito del Glifo è quindi d'illuminare più profondamente se stesso illuminando la componente interiore emersa alla Sua consapevolezza, e rendendola capace d'attivarsi in modo tale da costituire - al termine - 1'elemento unificatore e coordinatore più pervadente il Glifo stesso: in grado di correggere le primordiali distorsioni e carenze secondo il trascendente volere del Padre. Al dramma cosmico del Glifo corrisponde, ad un livello infinitamente più basso e grossolano, quello dell'uomo storico e dell'Uomo globale, tuttora agli inizi del loro cammino versa la realizzazione. L'Albero Sephirotico ha questo compito principiale, e lo svolge con rigore, modificandosi in modo adeguato per determinare la nascita dell'autocoscienza in un ambito adatto a farla crescere libera e forte, e nello stesso tempo interiorizzando l'Idea divina svelatasi in lui, onde adeguare l'azione alle sue infinite potenze. Esistono dunque, allusivamente parlando, due livelli di processo: uno attiene al tempo 'omnidirezionale' del Mondo Archetipico, e l'altro a quello 'verticale/orizzontale' dell'Interità e dell'Uomo. L'interferenza fra questi livelli è problema estremamente complesso, ed appartiene al campo operativo del jiva e dell'Archetipo: problema che può essere evidenziato storicamente, e oggettivamente risolto con un'interazione fra il Glifo emanante e l'Uomo nel centro coscienziale equilibrato e comune ad entrambi. Perché in effetti, sia pure in potenza, l'Uomo è un elemento del Glifo e la sua reale dimensione operativa ed attuativa è quella tipica dell'Archetipo. Questa lineare constatazione rende ragione della necessità d'una azione congiunta, le cui finalità in fondo coincidono e si identificano con la realizzazione della Volontà divina. Abbiamo dato quindi un elemento conoscitivo fondamentale, che deve essere posto alla base dell'azione esoterica ed essoterica dell'allievo: egli deve tendere alla integrazione, alla perfetta comprensione ed alla sincronia con il Mondo Archetipale, di cui principia ad essere elemento consapevolmente operativo, pur nel possesso di un corpo 'fisico' e di un ambito tridimensionale. Questi, che sono d'altro canto limiti rimovibili, rappresentano l'attuale "campo" dell'Uomo storico, in cui s'incentrano le irradiazioni dell'Interità e contro cui s'accaniscono oscure forze dell'involuzione. Campo che è fondamentale teatro di lotte 150


e di conquiste, pur nell'inevitabile succedersi di sbandamenti e cadute, e che ripropone nei termini del processo manifestante il trascendente quesito dell'Unità e dell' Amore, pur nel rispetto dei personali ambiti d'autonomia. Se ciò che abbiamo ora sommariamente e provvisoriamente enunciato verrà recepito dal lettore, egli avrà un più adeguato strumento per l'intelligenza di ciò che è Globalità ed Individualità, e un terreno amplissimo quanto fecondo di ricerca e d'introspezione. La sintesi è il metodo di comprensione generale più adatto per un allievo alla ricerca di un criterio di effettivo momento nella sua fatica: dalle linee generali sarà poi più facile e naturale discendere ai problemi specifici e settoriali del quadro, e questo potrà sempre esser compiuto senza travisarne la logicità. Un altro fattore o metodologia di rilevanza indiscutibile è la necessità che l'intuizione venga corroborata e sorretta dalla logica, e che entrambe trovino un campo concreto d'applicazione nell'esperienza. In altri termini, l'ideazione complessiva - che si presume e si desidera più adeguata possibile - deve essere razionalmente coerente e concretamente verificabile, sia pure nei termini e nei modi che verranno di volta in volta precisati. L'allievo deve però tener ben fermo e presente nel suo cuore che non importa tanto l'effetto concretamente scaturito dalle sue ricerche, ma l'atteggiamento interiore che, anche e specificatamente tramite di esse, s'è venuto formando, e l'intenzione che lo anima. In quest'ottica gli insuccessi sono più rivelatori e maestri dei successi, e l'analisi degli uni e degli altri dovrà venir condotta con i criteri obbiettivi che abbiamo tanto a lungo consigliato, nella prospettiva globale del problema. Questo diciamo perché ci accingiamo a riflettere insieme sul tema della conflittualità e del dolore, che tanto impatto hanno nella ricerca dell'Uomo sulla sua natura e su quella dell'Universo. Innanzi tutto, il caos iniziale - seguente immediatamente l'apparire del mondo di Malkuth - è frutto di un nostro pregiudizio interpretativo, perché in quelle lontanissime ere (tra l'altro ben differenti da quelle che possiamo considerare nella nostra capacità attuale di rappresentazione), la Manifestazione era completamente assoggettata all'influenza del Glifo, ed il grado di consapevolezza in lei esistente era larvale. In altra sede abbiamo affermato che l'aspetto fenomenico della Tridimensionalità è strettamente dipendente dal tipo di rappresentazione del soggetto percipiente: possiamo dunque ritornare su questo concetto, avvertendo che - per l'Uomo Globale la Manifestazione era allora più simile a quel che appare ad un feto il mondo esteriore durante il periodo di gestazione; e l'aspetto esterno, informato da da tale oscura visione, non era che un fenomeno amorfo - secondo i nostri criteri - solcato da lampi vivissimi e da un nascente bagliore, laddove si formavano lentissimamente i primi aggregati. Ben diverso 'era' il modo di rappresentare l'evento che l'Albero della Vita poteva darsi, in cui il potenziale appariva come un seme fecondo, e l'attuale s'irraggiava con indomita forza in ogni direzione. Ma erreremmo se ritenessimo (tornando con la coscienza indietro nel tempo) di vedere 1'aspetto fenomenico allora 151


apparso in modo oggettivo e come effettivamente fu: e utilizzeremmo i nostri parametri attuali di rappresentazione - ed allora in effetti non scorgeremmo che il nostro specifico campo - e cercheremmo di percepire, nella intuizione più profonda, l'autocoscienza dell'epoca e sprofonderemmo in un incomprensibile ammasso d'oscurità e luci, di forme in incessante mutamento e d'impossibile definizione, che erano la nascente capacità d'autorappresentarsi dell'Uomo Globale. L'unico criterio di percezione fondato su di un reale ed obbiettivo metro di giudizio è quello dell'Interità, e quindi è con 1'Interità che questo immaginario viaggio temporale andrebbe compiuto, e non con i mezzi soggettivi, per quanto affinati, del jiva. Se poi volessimo addentrarci in zone a noi più prossime, mettiamo vicine di qualche centinaio o migliaio dei nostri anni, finiremmo con l'incontrare - ovunque volgessimo l'attenzione - l'immenso intrico dei campi reali e potenziali, tutti praticamente indistinguibili l'uno dall'altro senza un principio luminoso di discriminazione concreta, che non può prescindere dall'apporto sephirotico. Certo, potremmo risalire lungo la nostra personale linea evolutiva, e cioè tentare d'illuminare i campi che effettivamente furono da noi conosciuti, ma...dovremmo allora tener conto che il tempo della Interità non è il nostro, e che anche per questa apparentemente più facile impresa occorre il Suo sostegno e la Sua guida. Certamente e generalmente parlando la linea evolutiva è talmente condizionata dalla legge causale da presentare un pressoché uniforme svolgimento; tuttavia possono incontrarvisi significative eccezioni, che rendono impossibile considerare come base dell'evoluzionismo un sistematico utilizzo del principio causale. Per essere più precisi, diremo che il principio causale stesso è rigorosamente adottato, e soprattutto in queste prime fasi dell'Emanazione, dall'Alberto Sephirotico, ma non secondo un metodo "esterno" al soggetto a cui venga applicato, ma puntualmente interiorizzato e dipendente da sue specificità emancipative. Questo può far sì - ed è accaduto non del tutto raramente che il flusso temporale non appaia strettamente uniforme nel campo esperimentativo delle monadi e al contrario risulti effettivamente coerente con il tempo "verticale" dell'Interità, anche se la rappresentazione (nei periodi di coscienza ordinaria e cioè a tre dimensioni) del jiva è ovviamente puntualizzata dalle categorie dell'Uomo Globale: spazio tridimensionale, legge di causa/effetto e conseguente tempo "orizzontale" unidirezionale. Diciamo tutto questo non per elargire un coacervo di dati, un po' strambi, al nostro lettore - il quale tra l'altro non potrà verificarne la autenticità se non con l'aiuto dell'Interità - ma per sottolineare come il profilo formale del Ciclo sia un simbolo del suo emergere coscienziale, e come si debba prescindere da qualunque meccanicismo in un tentativo di comprensione adeguata della nostra realtà. Quello che comunque si mantiene costante in tutto il quadro fornitoci dalle prime età cosmiche è il violento carattere conflittuale degli elementi vitali in esse emergenti, e l'incapacità dell'uomo (globale ed individuale) di superare in un modo qualsiasi questa fenomenologia. L'aspetto conflittuale della Manifestazione precede l'Uomo ma è dell'Uomo: e 152


non è un inutile, assurdo paradosso. Precede la coscienza autonoma dell'Uomo, ma è intrinseco al campo determinato in questa stessa coscienza dall'Albero della Vita, fin dal principio. Perché? Innanzi tutto diciamo e ripetiamo immediatamente che la vita è il criterio mediante il quale lo spirito diviene consapevole di sé a sé medesimo; e che quindi, se la vita appare dominata ab initio da un potente elemento conflittuale, e se quest'elemento precede l'affioramento di un'autocoscienza, esso è di per sé un metodo di determinazione. In effetti la conflittualità è stata voluta dal Glifo Sephirotico per due fondamentali motivazioni: la prima è inerente alla necessità di un'esperienza di sé in termini realistici, nei quali emergano tutte le valenze, ed in cui le distorsioni siano alla lunga intollerabili e per ciò superate. La libertà di scelta, se vera, non è un arbitrio ma un criterio obbiettivo d'armonia ed equilibrio; ed è ovvio che ciò s'ottiene con l'esperienza e la sapienza di quel che è imperfetto e malamente accordato nel nostro spazio vitale. Inoltre la conflittualità è un metodo per conoscere, approfondire e far interagire le innumerevoli potenze racchiuse nell'Idea archetipa, la cui natura e portata è nota soltanto - nella sua effettiva estensione - al sommo Ideatore. L'Albero stesso è - al Suo livello - conflittuale, nel porsi in una configurazione adeguata al supremo Volere, anche se nel Suo caso il conflitto si manifesta in uno sforzo, in una fatica e in una ricerca fra Archetipi che s'amano l'un l'altro infinitamente, e che sono consapevoli per diretta conoscenza dell'unità del Tutto. L'uomo è caso ben diverso: da un punto di vista puramente teoretico, la conflittualità della Manifestazione è l'evento oggettivo che esprime in ambito formale il divenire dell'interiorità, e la faticosa composizione in equilibrio delle innumeri, sconfinate potenzialità spirituali. Questo Concetto è valido per l'Uomo globale e per il jiva, ma è certamente nell'ambito di quest'ultimo che appare in tutta la sua incidenza. Praticamente, la conflittualità è la spinta che consente al principio evolutivo d'emergere a se stesso, e di sperimentarsi in quel processo, realmente dello spirito ed apparentemente del mondo tridimensionale, che è la nostra vita. Il preciso compito dell'Uomo, in tutte le sue modalità esistenti nel l'Universo, è quello di portare a composizione equilibrata le sue valenze interiori e di integrarle effettivamente e dinamicamente con quelle di tutti gli altri Archetipi. Questa finalità è il superamento in sé medesimo d'ogni attrito conflittuale: e quindi la trasformazione della forma esteriore che egli si dà (il nostro cosmo) da una fucina d'elementi contrastanti in reciproca opposizione ad un armonioso campo di perfette attuazioni, reciprocamente ordinate e fluidamente interagenti. La composizione dei conflitti esistenziali e la scomparsa dell'elemento costruttivo/distruttivo che informa l'esistenza attuale sono quindi direttamente proporzionali al divenire positivo dello spirito: ma tutto questo non è ottenibile senza l'incontro con gli Elementi già attuali dell'Albero Sephirotico, e cioè senza l'infusione equilibrata e perfetta dell'archetipo 153


Uomo nel Mondo delle Idee a cui esso appartiene. In effetti, l'incontro del jiva con le Potenze sephirotiche è semplicemente l'inizio di questa integrazione, che è la vera dimensione del Mondo Ideale e di ogni sua manifestazione: è dunque indispensabile, per la natura stessa dell'Uomo, immaginare un aspetto realizzativo qualsiasi, un superamento di una fase storica d'evidenziazione, un passaggio ad un diverso atteggiamento dell'esistenza, inattuabili senza un obbiettivo interessamento della Forma/Pensiero manifestante: il Glifo della Vita. Interessamento che, seppure in apparenza rivolto esclusivamente verso il nuovo nascente archetipo, è in ultima istanza un possente atto di auto illuminazione, in dipendenza di un'abbagliante espressione della trascendente Divinità: è quindi logico, naturale e doveroso per l'uomo storico rivolgersi al suo fondamento reale immediato, il Monde Archetipico, in cerca d'aiuto e di sostegno per la sua faticosa ascesa; così come pure è logico, naturale e necessario per il Glifo stesso agevolare in ogni modo lo sforzo dell'entità che viene determinandosi nel Suo seno. Rileviamo, a queste proposito, che la zona riservata alla formulazione dell'Uomo nell'ambito dell'Albero, la Sephirah Malkuth, è posta dal Simbolo sia come elemento integrante del Glifo (e quindi tutt'altro che "esterna" alla Sua essenza), sia come il punto in cui s'incentrano, mediatamente e immediatamente, "tutte" le influenze delle Potenze espressive. Quindi esiste in ognuno degli uomini storici - e compiutamente lo schema dell'Albero: e non semplicemente nell'aspetto causato ed autonomo, il Triangolo Etico ed astrale, ma anche in quello causale ed assoluto (il Triangolo superno) sotto la configurazione detta "Sé". Il problema di cosa sia effettivamente il "Sé" è d'estrema importanza, e noi l'abbiamo incidentalmente trattato più d'una volta. Con la premessa che, in termini intellettuali e razionali, il "Sé" non è definibile che per simbolismi ed allusioni in quanto, per la Sua essenza, è oltre 1'intelletto e la mente, dobbiamo ora tentare di chiarificare alcuni concetti relativi a questo Mistero, e sgombrare l'animo del nostro lettore almeno da alcune vecchie inesattezze. E' state detto che il "Sé" è la scintilla divina al centro della personalità, e che la realizzazione del Sé è la realizzazione dell'Assolutezza. Questa affermazione, sostanzialmente esatta, va comunque meglio specificata e chiarita: il Se è Assolutezza, ma specificatamente nel suo aspetto volitivo e creativo. Essa è cioè rivolta a quanto decide di rendere autonomo e consapevole, e quindi è “anche” la perfetta Idea informante la modalità emanata. L'Idea e la modalità autonoma sono aspetti ontologicamente identici (Tu sei Quello) e distinti per l'apparire dell'autocoscienza in quest'ultima. Autocoscienza, ripetiamolo fino all'ennesima, che non è un 'oscuramento' di una virtualità dell'assoluto per un inconcepibile ed illogico atto di ribellione e di separazione, ma il frutto di un dono altissimo e liberamente accettato. Da questa considerazione basilare ne deriva che il Sé è l'Assolutezza - la quale non è certamente suddivisibile, nella Sua perfetta unità e coerenza, in zone e aspetti, che per la necessità di una mente limitata ad indurLa - ma anche la volizione dell'Assolutezza rivolta verso la creatività. Quindi è la base permanente, atemporale, trascendente della personalità, la quale 154


sarà sé stessa nella misura in cui comprenderà ed attuerà la sua essenza ontologica, avvicinandosi al 'limite' all'idea brahmanica. Dunque, anche sotto codesto profilo l'essenza della personalità è essere la volontà del Padre, ed essere la volontà del Padre non è certo il subirla passivamente (il ché non avrebbe ne significato ne senso) ma l'impersonarla attualmente e renderla esplicita in tutte le sue incommensurabili virtualità. Nulla è più grande, meritorio, gratificante ed illuminante che raggiungere la soglia di quest'accadimento fondamentale, e di lì procedere per il proprio sentiero trascendente, con crescente libertà d'espressione proporzionata alla crescente comprensione e fusione con la propria essenza ontologica. I due termini non si escludono perché sono il contenuto della volizione divina, e naturalmente, in quanto tali, il loro accordo è un preciso atto supremo per sua natura, oltre la più o meno imperfetta intelligenza della creatura. E' ciò che abbiamo detto esplicare l'amore del Brahman, Mistero posto da Lui alla base di tutte le realizzazioni del Mondo delle Idee autonome e viventi. Ciò che l'Ente emana, all'Ente ritorna: aggiungeremo a questa precisa affermazione che ritorna “senza” negare l'atto emanativo dell'Ente, il che sarebbe contraddittorio e impossibile. Ritorna infinitamente ed istantaneamente, ma senza un reale riassorbimento, nell'esperienza dell'Unione mistica, tanto più completa e profonda quanto più ampie sono le capacità della creatura che possono confluirVi, e che vengono fuse e potenziate con ulteriore illuminazione nel mistero del Samhadi. Un simile concetto del Sé dona anche qualche lume sul modo che ci risulta adottato dall'Ente Supremo per esprimere la propria creatività: Egli opera mediante attivazione di Idee autocoscienti a cui delega il compito di svelarsi a sé stesse, secondo i parametri che in esse infonde in un eterno moto d'approfondimento e chiarificazione. La creazione è dunque, sotto questo profilo, un atto continuo (per l'esistente) che non ammette soste e inconcepibili riflussi; come mai dunque per la creatura Essa appare sotto un aspetto ciclico, ed il ciclo sembra informare tutta l'esistenza fenomenica? A questo rilevante problema daremo spazio nel seguente paragrafo, ed utilizzeremo nuovamente il principio della tavola d'Ermete per averne guida e tracciato interpretativo. -O17) Il problema dell'andamento ciclico del mondo emanato è un aspetto del suo divenire come spirito. Non è dunque possibile prescindere dall'aspetto mentale della Coscienza Cosmica per tentarne una soluzione, visto che la mente - strumento dell'intelletto e con quest'ultimo fusa - è quanto consente allo Spirito d'estrinsecarsi in un suo aspetto specifico e - nella fattispecie - in un universo fenomenico. Partiamo dunque (con l'avvertenza che l'esemplificazione è molto riduttiva di quel che accade in ben altro livello di coscienza) con l'analizzare il funzionamento 155


del nostro organo mentale, onde dedurne un principio d'interpretazione alquanto esatto nel piccolo e nel grande, se adottato con gli opportuni accorgimenti. Quando un'intenzionalità emerge dalla profondità dell'essere, e si profila alla coscienza (e qui parliamo di coscienza del mondo archetipale, riflesso della suprema Coscienza del Brahma), l'intelletto l'esamina in tutti i suoi aspetti e si direziona con il suo strumento manasico per portarla ad attuazione: c'è già un abbozzo del primo ritmo generativo, che parte da uno status quo ante per confermarsi in attività mentale e conseguente attività pratica e realizzativa. Il termine del processo è il dato emerso nel mondo formale e nel continuum altrettanto formale, che è il contenuto mentale definitivo. Tutto ciò che è relativo a un aspetto simbolico, e la stessa Assolutezza – fuorché nel Nirvikalpa Samhadi – assume un simile aspetto per rendersi comprensibile all'esistente; tanto più ciò accade nella mente del jiva dove gli stessi concetti più astratti sono concepiti come simboli estremamente concisi, ma esplicabili in modo che non possono assumere più definite caratteristiche formali. Abbiamo detto essere la forma il modo simbolico e sintetico in cui un'idea, un concetto o un ente si rende percepibile a un'intelligenza e quindi può interferire con essa: ciò è tanto più evidente quando il fine dell'attività intellettuale è un aspetto concreto del divenire che si sostanzia in quelle condensazioni transitorie dell'energia spirituale le quali costituiscono la forma del nostro campo d'esistenza. Quando il processo è concluso, abbiamo dunque un'emersione dell'elemento a cui si tendeva, e che rappresenta la sintesi dei molteplici aspetti ivi infusi dalla precedente attività: questa sintesi, come tale, è conosciuta in modo simbolico e unitario, e questo comporta la necessità di un'attività analitica – tutta interiorizzata – che ne renda coscienzialmente note tutte le innumeri implicazioni e le possibili interazioni con gli aspetti già rinvenibili nella dimensione in cui appare. Così ad ogni ideazione e al successivo iter di realizzazione segue un momento di ricapitolazione e d'analisi, che determina un'introspezione e un'interiorizzazione del precedente processo. Questo è, grosso modo, il fattore ciclico visto nell'essenza sottostante ad ogni apparire fenomenico: concetto esatto con l'avvertenza che il Mondo formale riproduce e riecheggia questo modulo all'infinito, in tutti i livelli (dal più sottile ed eterico al più grossolano e materiale) in cui si configura. La stessa irradiazione energetica, che possiamo considerare in sé stessa ai limiti dell'espressione più semplificata dello Spirito, in quanto ne traduce in forma elementare il solo dinamismo, ripropone nella sua estrema mobilità quest'andamento sinusoidale, che nel processo manifestante conduce a specificazioni sempre più complesse e reciprocamente attive della primordiale energia. Così la stessa esistenza fenomenica, globalmente intesa, ripropone nel tempo orizzontale il suddetto schema: la vita s'affaccia nel suo campo tridimensionale con un contenuto che è la sintesi e il frutto di precedenti esperienze, reso tale da un periodo di ricapitolazione nella cosiddetta “zona intermedia o astrale”, da disporsi in un nuovo vettore coscienziale. Nell'esistenza temporale questo vettore fa emergere le sue valenze e potenzialità, ne raccoglie l'esperienza e si modifica sostanzialmente in 156


misura più o meno incisiva rispetto ai contenuti preesistenti. Ad un certo punto l'energia in esso contenuta tende all'esaurimento (il fenomeno dipende dall'intersezione del ciclo d'autorappresentazione individuale con quello dell'Uomo Cosmico immanente al primo e, più profondamente, dallo schema di svelamento adottato dal Glifo per la formazione dell'Archetipo), e si rende quindi necessario un reintegro della modalità evolutiva in una dimensione che consenta un approfondimento e una comprensione delle esperienze appena vissute. Il passaggio da una zona all'altra del mondo emanato è quel che appare – per coloro che sperimentano Malkut – come morte fisica, e che è nella sua essenzialità un semplice mutamento del quadro interiore di rappresentazione: la morte cioè, per quanto spiacevole e dolorosa possa apparire, non è ne reale né irreale, ma costituisce un momento del processo di svelamento dell'Idea e quindi è in effetti una configurazione karmicamente necessitata dell'esistenza. Il problema dunque è quello di comprendere a fondo le motivazioni che la vita ci induce a considerare, i valori che essa determina e i frutti relativi alle azioni ivi compiute: è fondamentale, sia nell'attività di pensiero quotidiana che nel quadro dell'esistenza in questa dimensione, il far sì che la coscienza si muova secondo un effettivo processo di crescita e di comprensione, perché questa è la ragione intrinseca di quanto si incontra e si rapporta a lei. Se ciò non accade, se la stasi interiore subentra al dinamismo originario, se nulla di nuovo appare all'orizzonte dello spirito, qualcosa è rimasto incompreso, incompiuto ed inespresso, ed esige completamento. In tale necessità deve essere considerata la ragione dell'incidenza karmica, e del riproponimento fino all'esasperazione delle stesse modalità esistenziali, ben poco variate perfino nell'ambito autorappresentativo della monade, se non forse per lo sfondo diverso determinato dai mutamenti intercorsi nel manas dell'Uomo Globale. E' da qui infatti che ha immediata origine la struttura di Malkut da noi generalmente percepita e a cui contribuiamo con l'apporto di tutte le nostre coscienze. Quel che il singolo determina in sé rifluirà nell'aspetto psichico e nello spirito dell'Adam cosmico, e da questi sarà riverberato come sfondo coscienziale comune a tutte le sue autonome modalità. Poiché tuttavia l'Uomo Globale è sotto il preminente controllo dell'Albero Sephirotico, le modulazioni di questa mente cosmica saranno alquanto diverse per i singoli jiva, che costituiscono punti differenziati di consapevolezza, e si evidenzieranno secondo le opportunità che costoro sono in grado di offrirsi. Nel caso di entità particolarmente evolute c'è la potente influenza del Reale sottostante all'apparenza manasica, e la libertà dalla proiezione dell'Uomo Cosmico potrà essere particolarmente completa e rilevante, essendosi dette entità realizzatesi più o meno compiutamente come modulazioni del Mondo Archetipale ad quale l'Uomo Cosmico sostanzialmente appartiene. Nel caso di Entità oscurate dall'ignoranza metafisica e spirituale (avidya), l'inerzia rappresentativa produrrà campi d'esistenza rigidamente controllati dalla legge causale, e profondamente statici, riproducendo insieme le medesime istanze soggettive ed egotiche del “passato”, ed integrandosi conseguentemente con l'inerzia 157


interiore dell'Uomo Cosmico, il cui dinamismo è – sotto questo profilo – veramente poco avvertibile nei cicli personali. Ecco dunque un quadro alquanto esauriente del problema concernente i modi di rappresentazione individuali e generali nell'ambito del fattore manifestante: un'attenta analisi dei dati fin qui esposti non può che implicare un massimo di responsabilità verso sé e il tutto in ogni allievo che sia davvero tale, e un coerente sforzo per ottenere quel chiarimento interiore – spirituale e mentale – che è il solo mezzo capace di vincere il condizionamento, sperimentato in ogni istante del suo pellegrinaggio lungo le cangianti strade della Maya. La nostra analisi non sarà tuttavia completa se non accenneremo ad un fattore molto delicato sia per la trattazione che per il contenuto metafisico che implica: quale sia, in concreto, l'atteggiamento che l'allievo deve assumere nell'impersonare la parte affidatagli dal volere supremo. Ognuno di noi è libero attore nella scena dell'esistenza sotto il profilo delle scelte, ma meno libero e meno attore e più soggetto passivo del karma globale ed individuale, quando decide di portare queste scelte a compimento. Qui si presentano indubbi impedimenti e numerosi condizionamenti, la remissione del quali è – l'abbiamo detto – compito del jiva, ma con il concorso dell'Interità a cui egli cerca consapevolmente d'appartenere. Tuttavia, questo insieme di fattori non appare nell'esperienza concreta così lineare e semplice quanto la suddetta espressione potrebbe far pensare, ma nella maggioranza dei casi in modo interferente, e spesso, almeno nell'apparenza, contraddittorio. In altre parole, lo sforzo evolutivo del jiva non incontra un campo adeguato a sostenerlo, ma difficoltà preesistenti che perdurano, e magari nuove emersioni di elementi ostili e disarmonici del suo campo esistenziale. Questo fenomeno è grave, ed implica un attento esame delle cause e degli effetti, perché può essere segno dell'incidenza correttiva karmica conseguente ad un basilare errore di concettualizzazione e di scelta, e un effetto di vettori rilevanti nell'ambito vitale, e che di per sé non rappresentano tanto espressioni di incompiutezza personale quanto piuttosto del contesto generale in cui si svolge l'esperienza concreta di noi stessi. Ovviamente il primo caso è il più grave, perché implica un errore imputabile al soggetto, e un aspetto distorto della personalità che è necessario modificare. Tuttavia anche la seconda ipotesi non è di piccolo momento, per la sua mimesi della primaria e per le difficoltà che determina – interiormente ed esteriormente – nell'agente. Dobbiamo qui fare un passo indietro, e riferirci a quanto abbiamo enunciato a proposito del karma collettivo, e come il jiva (per se stesso emendato dal fenomeno di creazione e accumulo karmico) incontri comunque ostacoli dovuti al contesto a cui in effetti appartiene e nel quale opera. E' in massima parte incidenza di questa generalizzante presenza karmica se ostacoli o discrepanze emergono nel campo dell'allievo, il quale come tale non è che parzialmente libero dal fattore immanente alla globalità a cui appartiene. Praticamente, può presentarsi il punto in cui un'esatta posizione interiore, debitamente sorretta da un coerente atteggiamento operativo, incontra tuttavia 158


opposizioni tali nel continuum vitale da sembrare erronea, e comunque impossibilitata a concretizzarsi. Ovviamente tutto questo risulta difficile e traumatico per i jiva, e può mettere in profonda crisi tutti il suo mondo concettuale e spirituale, facendolo dubitare della realtà delle sue idee: infatti, senza un'incidenza nel mondo formale – il campo in cui il principio evolutivo si attua e si determina – il processo d'emancipazione viene come vanificato, e la stessa verità delle basi metafisiche dell'azione appare incrinata. In questo difficilissimo istante della ricerca subentra, come unico e fondamentale mezzo d'evoluzione e progresso, un ricorso (compiuto nei termini e con le modalità espresse dalla dottrina yoga per il compimento delle azioni, interiori o esteriori che siano) al proprio sé profondo, all'idea Brahmanica che è alla base di tutta l'esistenza personalizzata. Questo è l'atto d'abbandono semplice e incondizionato, e per ciò ostico da comprendersi e compiersi, all'Amore supremo, nel quale si determina la fusione coscienziale fra il vettore dinamico umano e la Volontà che lo determina: senza che quest'ultima appaia come l'unico elemento assorbente e completamente determinante, e senza che venga meno la spinta autonoma del jiva ad essere protagonista della Volontà trascendente. In altri termini, nelle circostanze similari che chiunque dovrà presto o tardi incontrare, occorre un atto coscienzialmente attivo d'abbandono della propria personalità al dinamismo dell'Assoluto e all'Amore che lo puntualizza. Conseguentemente è necessaria molta chiarezza interiore, molta fiducia nelle proprie basi metafisiche, molta logica consequenzialità con le scelte fatte, ed un notevole atteggiamento – duttile e flessibile – nei confronti delle circostanze e degli eventi per uscire dalla loro strettoia e non esserne confusi e paralizzati. Inutile dire che questa prova e accadimenti sono di primaria rilevanza per il cammino esoterico realizzativo, perché implicano la congiunzione (sia pure primariamente a livello intellettuale e intuitivo) della modalità con la sua Causa, e più particolarmente con l'Interità che dalla Causa stessa è espressa. Il compito di instradare l'allievo verso un equilibrato atteggiamento pur nelle traversie di un'esperienza inquietante e contraddittoria è dell'Istruttore, ma quest'ultimo può intervenire solo nella misura che gli è concessa dall'allievo: per codesto, ed altri motivi che sono impliciti nella presente esposizione, il cammino realizzativo si presenta così difficile e arduo, ai limiti talvolta della comprensione e dell'energia dell'allievo. Non esistono tuttavia sentieri privilegiati o scorciatoie o supporti che possano esimere il jiva dal compito primario affidatogli, e i molti errori, le involuzioni e le deviazioni che in questo frangente si evidenziano stanno ad indicare esplicitamente la necessità di un insegnamento realmente adeguato e di un impegno davvero totale. Non esistono quindi alternative al concorso della scelta autonoma con l'abbandono contestuale all'Amore Supremo, del quale l'allievo deve rappresentare un aspetto storico e un'attuazione finale. L'atteggiamento passivo e tendenzialmente teso all'annullarsi nella trascendenza proprio di certi mistici, per quanto difficile ed eroico, 159


è squilibrato nei confronti della Realtà che essi devono impersonare; così come è – in misura enormemente più grave – quello di coloro che, di fronte alle difficoltà, si ritirano in un sostanziale egotismo, paghi di un qualche successo nell'ambito del mondo intellettuale ed astrale, e di qualche accadimento insorgente nella loro Maya. Naturalmente non è questa la sede per disaminare specificamente il problema con esemplificazioni tratte dall'esperienza concreta; vogliamo però ribadire la necessità dell'esame obiettivo ed ininterrotto delle proprie motivazioni, scelte ed attività conseguenti, e la imparziale valutazione sia delle imperfezioni evidenziatesi che della loro possibile assenza, alla luce di un immanente principio di Amore, che resta il massimo criterio di giudizio. Quando nulla risulti di concretamente modificabile, di inconfessato e distorto nel continuum esistenziale, il jiva si affidi con lucida e incondizionata coerenza al Principio di ogni esistenza, ed in questo segua l'atteggiamento realizzativo espresso dal Baghvad Gita e dal Tao: non opponga resistenza, ed insieme direzioni la sua azione con la più limpida determinazione al solo fine che importi: la realizzazione dell'Amore nell'uomo, a cominciare dal suo mondo personalizzato. Così l'atto di abbandono al Principio resterà perfettamente attivo e adeguato e sarà comunque il Principio ad agire – tramite le sue Potenze – nell'allievo stesso. Non ritenga il lettore che quanto abbiamo testé esposto sia una razionalizzazione dogmatica del nostro assunto, e cioè che la Manifestante rappresenti in ogni caso l'espressione dell'amore che l'Amore trascendente nutre per le Sue creature: non accolga il lettore questo dubbio nel suo cuore prima di avere veramente osato, veramente gettato la sua anima e la sua vita oltre l'ostacolo e non nel segno di una semplice realizzazione personale, ma di quella di tutto l'esistente. La via iniziatica è via di fuoco, in cui tutto il contingente e il distorto si dissipano, affinché emerga nella sua essenzialità la pura Idea e le sue indefinite capacità: è una 'via che non ammette obiezioni', siano esse apparentemente motivate o giustificate dal momento, dalle caratteristiche ambientali o culturali in cui si determina. Oltre la Maya c'è il Principio, la Causa Fondamentale onnipresente: immanente a noi, all'Uomo Cosmico, all'Interità e al Mondo delle Idee causanti, ed è a questo Centro metafisico della Vita – che si effonde intatto ed eguale in tutto l'ambito formale – che dobbiamo rivolgere lo sguardo: essere Lui in Lui, essendo compiutamente noi stessi. E' in questa pienezza d'esistenza/essenza che si manifesta la nostra realizzazione, prima tappa di un processo divino verso l'infinito. -O18) Dobbiamo or tracciare un quadro riassuntivo di tutto il problema dell'Emanazione onde dar ragione dei nostri assunti e contemporaneamente mettere in grado il lettore di riorganizzare i propri concetti secondo un itinerario logico, che lo aiuti nel suo impegno d'apprendimento e di comprensione. 160


Dovremo poi avvertirlo (e un nostro compito è esattamente quello di determinargli la base per questo evento) che non con l'analisi e la sintesi, non con la razionalità e gli strumenti dell'intelletto egli perverrà al vero stato di sapienza dell'Essere, ma tramite un lento processo d'acquisizione a profondità inconscia che, organizzandosi secondo le linee insite nella consapevolezza, lo metterà in grado di percepire la realtà e di intuire il Sovrasensibile. Percezione e intuizione che avvengono non certo per accumulo di dati mentali e intellettuali, ma per un certo tipo di maturità di coscienza che supera queste sfere di ideazione. L'Assoluto (secondo la posizione concettuale che ci sembra più consona non certo a definirlo - egli è oltre la qualificazione - ma a renderlo 'provvisoriamente' meno incomprensibile) “è l'Essere in Sé”, identico a Sé, ed insieme tutto quello che Egli pensa, promana e determina nel Suo amore. Occorre dunque ripetere che non è possibile scindere nell'Assoluto diversi gradi di realtà se non per un bisogno, tutto dell'esistente, di comprensione, analisi e sistemazione: essendo in effetti il Brahman la sintesi/amore perfetta ed omogenea sia del momento informale che di quello formale, sia dell'Archetipo creatore che dell'ente creato. Dal punto di vista dell'Assolutezza, che è l'unico di per sé reale, non esiste che la non-dualità dell'Essere: le parole sono inadatte, in quanto simboli e veicoli mentali, ed il lettore comprenda che le usiamo come artifici per alludere ad un ben più alto ed ineffabile grado di Realtà di quel che esse possano mai suggerire. Ma l'Assolutezza - non duale quando contempla, o meglio “sa” la sua essenza si 'arricchisce' di infinità d'elementi specifici nella individuazione della Sua propria essenza, e cioè quando non pensa Sé stessa nell'identità suprema, ma pensa al contenuto del Sé: quest'atto, che Plotino con intuizione acutissima chiamò proiezione di un'immagine, è la Coscienza Assoluta, l'Intelletto Primo in cui, o tramite il quale, il Brahman fa emergere nel Suo continuum l'indeterminabile ricchezza delle Idee Primarie, e l'infinità dei loro contenuti e delle relative interdipendenze. Siamo nell'ambito brahmanico e questa attualità non deve concepirsi come evento temporale, ma come un “essere” perfettamente oltre ogni categoria/processo che implichi il divenire. L'Intelletto Primo è dunque Pensiero che pensa all'infinità delle Sue valenze e potenze, le quali si pongono (potenza è qui identica ad atto) per alludere allo status senza credere di definirlo, come polarizzazioni della Luce Fondamentale, in perfetta fusione ed omogenea unità. Ogni idea assoluta è Assolutezza, e non può identificarsi, pur essendo Reale altro che con Lei: qui è solo la Suprema Coscienza, fusa con l'Essere e la Gioia/Ananda, la quale si identifica per le nostre menti limitate con l'Essere perfettamente Se stesso. Ma l'Assolutezza non si limita a quest'atemporale sapienza del Suo contenuto: Essa è vita, e la vita è sempre capace di un aspetto creativo. Cosa può però creare di 'nuovo' Colui che è oltre ogni limite e definizione? Può determinare in sé un limite e una definizione nel modo più arcano che ci sia concepibile, e cioè esistente solo nei confronti di un'Idea specificata a Sé stessa, e cioè fornita della consapevolezza d'esistere come tale. 161


La creazione di una tale fenomenologia – perché è proprio con quest'atto che si trapassa dall'Informale alla Forma – avviene per una volizione che dobbiamo considerare intrinseca alla “natura” del Brahman, e coincidente con la perfetta libertà del Suo Cit: un atto tanto insondabile e trascendente da non potersi sfiorare che in un momento intuitivo e alogico, da noi detto l'amore dell'Assoluto per le sue idee. In quest'attività il Brahman non muta e non accresce o diminuisce (il che sarebbe concettualmente contraddittorio) la Sua essenzialità, ma piuttosto determina l'emergere di qualcosa di inconcepibilmente innovativo nell'idea identificatasi come tale, e cioè personalizzata: il senso dell'autocoscienza e della capacità d'esprimere liberamente tale contenuto specifico. L'idea, irradiazione dell'Assolutezza nell'ambito che chiameremo il suo dinamismo, riflette il principio da cui deriva ma, essendo in lei immanente il fattore specificante e quindi limitante, lo riflette ad un gradino inferiore. Tuttavia l'Idea personalizzata è sempre e comunque – nella sua fondamentale realtà – l'Assolutezza (Assolutezza nell'Assolutezza come persona, e quindi 'con' l'Assolutezza) e pertanto la sua pienezza d'essere, che è il limite a cui concretamente tende, coincide con l'Assolutezza. Essa cioè inizia un processo d'autocomprensione realizzativa, che abbiamo detto coincidere “all'infinito” con il Principio informante, ma che non può implicare un finale riassorbimento nel Brahman perché ciò verrebbe ad elidere proprio il Suo atemporale atto volitivo, nel quale consiste l'Idea personalizzata in quanto tale. L'Idea autonoma non può in altre parole negare sé stessa per essere perfettamente sé stessa, dato che la fondamentale essenza è esattamente quella di essere un momento specifico del dinamismo del Brahman, e il dinamismo del Brahman “è” il Brahman. Il ché significa che un presunto riassorbimento nell'Informale implicherebbe per l'Idea un atto contraddittorio con la sua essenza (che è esistere nell'Essere) e in concreto la negazione dell'Amore atemporale che l'ha determinata, creata come tale. L'aspetto creativo del Brahman dunque determina un dinamismo realizzativo in un campo puntualizzato di coscienza autonoma, compreso nella Suprema Coscienza. Questo campo specifico (immagine dell'Immagine primordiale) è la proiezione delle Idee superne a livello inferiore e quindi possiede tutte le valenza – a scala riduttiva e meno lucente – delle Idee supreme da cui proviene, insieme alla potenzialità ad approssimarsi a quest'ultime indefinitamente. Ciò significa che ogni Idea personalizzata è immagine fino a un certo punto fedele dell'Idea trascendente, e ne riproduce e tende a riprodurne nel suo limite la potenza. Potenzialità che è insita nel processo d'immedesimazione che l'Idea personalizzata compie, in sé medesima, con l'aspetto del Cit da cui emana, e che costituisce il suo Sé. L'aspetto della Suprema Coscienza è atto puro in Se stesso (è il Brahma) e, sotto il profilo della sua capacità di determinare un soggetto autocosciente ed il relativo processo di realizzazione, è pura Potenza. Occorre dunque immaginare l'aspetto creativo dell'Assoluto come estrinsecazione della sua Potenza (Chakti), tenendo ben fermo il principio che questa appare come tale solo per l'individualità creata, la quale, come si è detto, consiste in una “immagine” capace di apprendimento coscienziale di tutte le valenze. Il Mondo 162


delle Idee autonome, è mondo degli Archetipi. E' dunque l'effetto e lo strumento di tale dinamismo e ne costituisce – dal punto di vista dell'esistente derivato dall'Ente – un processo coscienziale insieme emanativo e sintetico; poiché il Mondo Archetipale si è costituito per volontà trascendente e come momento derivato dall'aspetto creativo superno (il dinamismo atemporale), ne impersona temporalmente l'estrinsecazione. Temporalmente, in un significato alquanto diverso da quello che adesso possiamo dare al termine, e cioè come itinerario di comprensione/svelamento dell'Idea derivata a sé medesima, e dunque come affioramento in lei – con margini/limite vieppiù approssimati – dell'immanente aspetto brahmanico che la sovrasta ed insieme ne è il fondamento reale. Processo atemporale che è dunque onnidirezionale fondato su di un incremento di consapevolezza/sapienza, che tuttavia è possibile solo in quanto l'Idea personalizzata abbia raggiunto la verità della sua concreta natura. Non è possibile dire come questo accadimento abbia luogo, se non per inferenza dall'attuale aspetto del dinamismo divino (la nostra Manifestazione), e con la riserva che è pensabile e concepibile un atto di conferimento di libertà, coscienza e operatività ad Idee Archetipiche non implicante necessariamente un itinerario interiore – esteriorizzato nella vita – identico o simile al nostro. Riteniamo comunque che l'acquisizione della libertà sia compito non derogabile per l'Idea/Persona, e che quanto è primariamente a lei donato debba poi essere sempre compreso, difeso e conquistato con adeguata fatica. Argomentiamo inoltre, esprimendo qui un profondo criterio di eguaglianza e giustizia, che tutto questo sia evidenziato dal presente atto emanativo, nel quale il dramma dell'uomo che cerca d'essere se stesso abbia un aspetto corrispondente nell'omonimo dramma del Mondo Archetipale teso ad organizzarsi secondo un innovativo ed illuminante vettore del Supremo Cit in lui evidenziatosi. Certo è che il dinamismo brahmanico a noi noto ed a noi intellegibile avviene fondamentalmente nel Mondo delle Idee Archetipe, e tramite i principi autocoscienti in esso viventi. Se altri aspetti dinamici esistono nell'Assolutezza (ed ovviamente possono esisterne infiniti) non ci è chiaro al punto da poterlo asserire, ma certamente in un remoto momento del Tempo dinamico tutto questo verrà conosciuto, ed implicherà un accordo, un'interiorizzazione, un'illuminazione e una vita più adeguate alle sue Forme/Pensiero, in questo più vicine all'Immagine trascendente da cui sono emanate. Il processo manifestante determinatosi con il Mondo Archetipale autocosciente assume inoltre caratteri specifici con l'attivazione del medesimo nei confronti di un nuovo atto creativo. In tal caso l'intero Mondo Archetipico assume – almeno nelle sue funzioni specificamente a ciò preposte – una configurazione specifica al fine assegnatogli (e all'emersione coscienziale in esso evidenziatasi), che può riprodurre in certa misura la struttura formale preesistente, ma che mostrerà certamente elementi innovativi in funzione del “quid novi” che viene determinando. Diciamo in altri termini che l'Interità è la configurazione specifica assunta dal mondo archetipico per l'attualizzazione di una sua potenza, e che questa configurazione non è necessariamente corrispondente all'Idea totale che detto mondo 163


ha di se stesso: l'Idea/Uomo è perciò l'immagine specifica di un nuovo rapporto interagente fra archetipi, a questo preposti, ed insieme un elemento originario che “non” è interiormente compreso dai suddetti archetipi in tal misura da costituire un aspetto preesistente: è piuttosto un loro fattore “inconscio”, luminoso nel Cit e che il Mondo delle Idee deve vivificare e comprendere. Così diciamo che, ai primordi dell'atto emanativo, il Mondo delle Idee proietta un'immagine nuova di sé a se stesso, e quest'immagine deve essere condotta all'autocoscienza secondo l'illuminazione ricevuta, e diventare il nuovo elemento informativo e configurativo del dinamismo personalizzato: tale enunciazione implica che la Manifestazione è insieme un processo di interiorizzazione e di analitica comprensione del fattore emerso negli Archetipi globalmente considerati (il Mondo Ideale è unitario, e le personalità ivi esistenti sono polarizzazioni consapevoli della sua luce pur nella dimensione concreta della loro originalità ed autonomia; così come sono consapevoli di “essere” il Brahman in un Suo aspetto, da Lui deliberatamente e liberamente creato in personalità), e un processo d'attivazione ed istruzione del nuovo archetipo, affinché corrisponda quanto più precisamente possibile all'Idea a lui immanente. L'autorealizzazione dell'Archetipo/Uomo e delle sue modalità viventi corrisponde alla presa di coscienza della sua natura brahmanica e ideale, e alla compiutezza del processo archetipico d'introspezione intuitiva, analitica e sintetica. A questo punto la configurazione dell'intero Mondo delle Idee recepisce il Nuovo Archetipo (in tempo/spazio differenziati nella autocoscienza delle singole personalità e ambiti manifestati, in conseguenza del rispettivo grado d'emancipazione), e conseguentemente si configura in un più alto equilibrio: ma questa è la storia divina della creatura nel suo splendido, infinito cammino verso il suo Principio. -O19) La nostra analisi deve ora rivolgersi al punto più difficile da proporsi: come cioè mettere a frutto queste idee, e come fare la parte che ci è assegnata dall'Amore trascendente. Qui incontriamo enormi difficoltà, che sono psicologicamente e praticamente suscettibili di rendere impossibile il fattore operativo, pure intrinseco al nostro modo di vedere la realtà. Innanzitutto è impensabile, secondo noi, ridurre il nostro compito ad un personale completamento e a un singolo accadimento realizzativo; per quanto illuminante esso sia, è nel contesto in cui avviene che deve diffondere la sua natura, o non avrà che un valore monco e imperfetto. Nessuno può considerare il problema dell'esistente sotto un profilo meramente personale, e lasciare al Fattore Primo il compito di renderlo generale, perché questa è la missione dell'Uomo, di cui il jiva è semplice e fondamentale modalità. Se è vero che il positivo emerso nell'individuo tende a diffondersi a livello di coscienza globale, 164


è anche vero che la reductio a sé stessi di questa positività fa inerire alla nostra coscienza un concetto di particolarismo e frazionamento esiziale per la sua attualizzazione in archetipo: il quale è concetto unitario e tendente all'integrazione più alta, non alle infime suddivisioni dell'egotismo. Dunque il problema operativo, opportunamente e accuratamente considerato, è criterio di valutazione delle proprie acquisizioni interiori ed intellettuali (intelletto d'amore), e non può non risolversi in una spinta espansiva in tutte le direzioni comprensibili nell'esistente. Come il Centro interiore è intuito, e comincia a irradiare la sua essenza nella consapevolezza, questo vettore deve essere attivato nella dinamicità totale del soggetto, ed informare tutto il suo campo d'esperienza: ma qui subentrano le prime e più dirimenti difficoltà. Innanzitutto, è estremamente difficile il passo che implica un effettivo apporto energetico nel campo individuale che provenga dal mondo Sephirotico. Il Grande Glifo, che sovrintende all'evoluzione dell'uomo, agisce in modo assai cauto ed attento a non interferire con le capacità decisionali di quest'ultimo; e possiamo dire che questo stato è un dato che l'Uomo stesso dovrà modificare, essenzialmente con un comportamento univoco ed equilibrato nei confronti dell'Idea generale dell'Emanazione. Ciò non impedisce che nei casi più eclatanti le Sephirah non possano e non debbano sostenere e sorreggere l'azione pratica: o quest'ultima verrà presto o tardi vanificata nella sua vettorialità espansiva e vivificante dell'ambito a cui si rivolge. Compito dell'allievo propriamente detto è quindi mirare a quel risultato d'integrazione con le Potenze trascendenti che – sole – gli possono assicurare e garantire un'attività consona ai principi, ed efficace nel mondo che egli si rappresenta come campo dell'azione. Abbiamo detto deliberatamente “si rappresenta”, perché in effetti è la sua rappresentazione interiore che egli vive ed in cui agisce, e non certo un aspetto concreto, oggettivo ed autonomamente solidificato della Maya. Questo fenomeno è stato già accennato e vagliato, con la specificazione che questo campo personale di rappresentazione non è arbitrario, ma determinato nelle sue leggi informanti e nei suoi moduli espressivi dall'immanente interiorità globale dell'Uomo (inconscio/conscio collettivo), e dall'altrettanto immanente presenza Sephirotica. Tuttavia le modifiche del campo sono dipendenti dall'attività spirituale del jiva, ed hanno una specifica caratteristica: così come egli riproduce e percepisce in se stesso, secondo un criterio d'affinità e coerenza, i campi esistenziali più affini in uno specifico istante dello spazio/tempo cosmico, così il suo campo è capace d'irradiarsi in tutti i suddetti spazi interiori dei jiva che più vibrano in consonanza con lui in questi determinando fattori di stimolo e modifica delle auto rappresentazioni. Perché il meccanismo non appaia troppo aleatorio e impreciso alla mente del lettore, daremo qualche delucidazione pertinente al tema in oggetto, e a quello, generale, del presente studio. Il jiva è, abbiamo ripetutamente affermato, un aspetto modale vivente dell'Uomo Cosmico, un tipo di polarizzazione coscienziale di quest'immanente interiorità. Come 165


tale, il jiva è sensibile a tutti gli accadimenti e le mutazioni che interessano il tessuto di cui è parte e dal quale (finché non si realizza in modo più comprensivo) deduce gli stessi mezzi di rappresentazione (causalità, che si esprime secondo le categorie spazio/tempo). E' inoltre capace di cogliere la rappresentazione globale, e con tanta maggior precisione e puntualità quanto è più armonizzato con le sue valenze. Tuttavia questi aspetti del Continuum non sono colti in modo obiettivo, ma attraverso e con le modalità tipiche della sua personale coscienza: ciò implica che l'irradiazione “esterna” determina in lui il sorgere di rappresentazioni più o meno conformi alla realtà del Principio emanante ed esatte nella misura in cui quel principio è affine, accordato e vibrante su un simile piano di rappresentazione. Naturalmente il massimo punto d'esattezza si verifica quando esiste un'identificazione intuitiva fra due o più personalità, e per il periodo in cui questa identificazione sussiste; ma anche nel condividere ideali, esperienze, emozioni e concettualizzazioni si determina un avvicinamento dei campi dell'esperienza, e le monadi tendono, naturalmente e spontaneamente, a disporsi in reciproco rapporto di contiguità e – sia pur rarissimamente – di medesimezza. Ciò è tanto più incisivo quanto più il sentire, l'intuire e il realizzare il proprio substrato unitivo avviene per Amore, nella più completa e incondizionata accezione del termine. Ancora una volta l'amore si dimostra l'elemento significativo della Manifestazione, e l'unica forza capace di condurre ad unità la dispersa unità coscienziale dell'Uomo; tuttavia, per restare nell'ambito specifico del presente paragrafo, diremo che più è esteso e qualificato il centro irradiatore, più ovviamente la sua influenza è avvertibile nel tessuto dell'esistenza, e che se un jiva può costituire fattore di aggregazione ed affiatamento per altri jiva, un insieme di personalità che condividano la medesima “forma mentis” e le stesse valenze spirituali esercita un moltiplicato effetto sull'esistente, secondo un tracciato che non è certamente aritmetico, ma esponenziale. Ne consegue l'opportunità, la necessità e l'inderogabilità di mettere in atto un vettore operativo capace d'esser liberamente recepito nei campi vitali contigui, e di qui irradiarsi quanto più profondamente sia possibile in ogni direzione. Questi accenni non vogliono suggerire specifici metodi operativi, ma indurre semplicemente il lettore a considerare come compito precipuo dell'uomo quest'attività aggregante e unificante, condotta al più alto livello possibile delle sue potenze interiori, che devono essere pertanto vitalizzate, e progressivamente chiarificate ed espanse. Come effetto e naturale conseguenza di questa tensione (che, lo ripetiamo, deve rappresentare caratteristiche di generalità e impersonalità, e dunque mai egotiche ed acquisitive: il che implicherebbe separatività dal Principio) c'è l'attivazione dell'Albero Sephirotico nell'interiorità del jiva il quale lo riproduce su scala microcosmica e del quale è elemento. Come, quanto e perché ciò avvenga, appartiene alla storia individuale, e può dipendere tanto da fattori personali che generali: ma certamente un punto di interferenza fra il soggetto specifico (l'individuo) e quello generale della Emanazione (il Glifo) esiste, e si presenterà alle soglie della 166


consapevolezza. A questo punto la monade percepirà un aspetto che trascende la sua attualità, e lo inserirà nel suo campo interiore, rappresentato come “mondo oggettivo”: è l'inizio del processo d'aggregazione ed interdipendenza fra il principio evolutivo e la struttura archetipica globale, che lo condurrà alla auto realizzazione, con conseguenze specifiche e generali d'imponderabile ampiezza. La cosa più difficile da ottenersi è la comprensione e la realizzazione di tale punto di interferenza, e la base per tentarne il conseguimento è, prima di tutto, un quadro esatto – nei limiti del possibile, soggettivo ed oggettivo – del campo operativo. Per questi motivi invitiamo nuovamente il lettore al serio proposito di meditare, esaminare e riflettere in sé medesimo le nozioni fin qui esposte, dando così il proprio contributo – non passivo ma critico ed obiettivamente attivo – alla definizione del problema: necessario preliminare alla sua soluzione. Per concludere queste brevi annotazioni, diremo e ribadiremo il punto di giudizio che mi sembra essenziale chiarire: essere nel giusto atteggiamento nei confronti dell'esistente e di noi medesimi è stato estremamente difficile per l'umanità in generale, e per quella odierna in particolare: la storia che conosciamo, dal più lontano passato ad oggi, testimonia in modo assai eloquente dei tentativi e dei fallimenti (con significative illuminanti eccezioni!) incontrati. Questa storia non è arbitraria in due sensi. Innanzitutto, essendo l'uomo quasi completamente soggetto alla legge di causalità, il tempo orizzontale di auto rappresentazione è il parametro che domina il vettore umano, e conseguentemente le immagini che noi percepiamo nel nostro specchio interiore, e che devono riferirsi al tempo-spazio suddetto, non sono arbitrarie ma bensì dotate di un alto grado di generalità. Inoltre, noi non siamo null'altro che la nostra coscienza (il mondo interiore inconscio è altrettanto importante, ma sotto questo profilo noi dobbiamo considerare solo la rappresentazione in atto, ovviamente condizionata da fattori non consci ma che si determinano comunque in un modus della nostra consapevolezza); e quindi quanto avvertiamo come passato, come esperienza dell'uomo, come storia del suo spirito ha estrema rilevanza nella nostra autodeterminazione, ed appare nell'ambito esistenziale per precise ed inderogabili ragioni. Se abbiamo dunque un'immagine generale dello svolgimento della storia umana, con le sue sconfitte e vittorie, i decadimenti e gli errori e le gravose rinascite, se questo “passato” determina i modi e le caratterizzazioni della nostra attualità, lo dobbiamo considerare, almeno soggettivamente, realissimo; a prescindere dal fatto che altri le possano avvertire, e certo molti le avvertiranno in modo relativamente o sostanzialmente differente. In ogni caso, il quadro generale percepito dall'umanità in un particolare momento è, per quanto soggettivo, piuttosto esatto e in linea di massima comunemente condiviso. In ogni caso, le eccezioni confermano la nostra valutazione: la storia dell'uomo indica uno sforzo globale di comprendersi e di comprendere la vita, e quindi d'illuminarla portandola su un più elevato modello di realtà. Eppure tale sforzo non ha potuto evitare l'odierna crisi d'identità e di civiltà, per motivi intrinseci all'umanità. 167


Tentare di risolvere in modo adeguato il problema esistenziale è conseguentemente compito impellente ed inderogabile, e per agire in tal senso occorre riferirsi a tutte le acquisizioni dell'umanità, emerse nel corso di un faticoso processo, e che rappresentano aspetti del Reale e non – a nostro avviso – la Realtà unitaria. Raggiungere questa conoscenza è propedeutico all'azione concreta ed è specificatamente in quest'ultimo momento che si traduce il significato ed il valore delle concettualizzazioni, realizzandosi ivi l'archetipo Uomo. Il nostro discorso non è dunque un metodo intellettualizzante interpretativo fine a se stesso, ma l'inizio di un'attività che deve incidere sulla coscienza sia personale che generale, illuminando il contenuto inconscio della medesima per risolverlo nella luce della consapevolezza. Ma di questo e di altri problemi ci occuperemo più innanzi, quando esamineremo il significato che assumono, nella nostra ipotesi interpretativa i concetti di “substrato coscienziale” e di “realtà interiore” non consapevole: lo specchio oscurato del nostro campo esistenziale, che incide direttamente ma potentemente sulla rappresentazione che abbiamo del nostro cammino evolutivo. -O20) Esiste nell'entità cosmica che nominiamo Adam primordiale una modalità non affiorante alla sua consapevolezza, e che influisce in modo non indifferente ma talvolta assai incidente il suo processo evolutivo. Quest'aspetto è stato intuito, benché parzialmente, dall'odierna analisi del profondo e conseguentemente ipotizzato come inconscio o sub conscio (e fra i due termini esistono grandi differenze) collettivo. Il problema non è tuttavia ristretto, come abbiamo precedentemente affermato, all'ambito del nostro pianeta, al costruttore dell'odierna “civiltà”, ma attiene all'ente globale che si manifesta in questo ciclo, e quindi deve essere posto in termini di generalità. Per orizzontarsi nel dedalo alquanto confuso dell'inconscio globale, occorre fare attenzione al fatto che questo non rappresenta la semplice rimozione di aspetti troppo conflittuali per essere accolti dalla coscienza di veglia, o residui d' antiche esperienze individuali e collettive, o infine interferenze di fattori relativi ad altre personalità, che penetrano come per osmosi – in certa misura e senza che se ne abbia consapevolezza – nel profondo e oscuro ambito della psiche. Inconscio è ben altro: in esso esiste certamente tutto quanto abbiamo testé indicato, ma quasi come prodotti di fattori ben più penetranti e immanenti, alcuni dei quali (e più importanti degli altri) risalgono a un tempo che non appartiene al nostro ciclo manifestante. Innanzitutto esiste, oltre il subconscio e l'inconscio della personalità, il “Sé”, dal quale scaturisce quest'ultima. Ma il Sé è ben più informante, e nello stesso tempo inaccessibile per l'uomo comune, e certamente non lo considereremo in questa disamina. Tuttavia esiste nell'interiorità del jiva la complessa struttura spirituale che è 168


la proiezione/immagine dell'Albero Sephirotico nell'individualità evolutiva, ed il cui contenuto – ora in gran parte potenziale – deve essere condotto alla luce della coscienza e gradatamente attivato. Quindi, immanenti alla realtà del Glifo, esistono i riflessi (entità viventi e non concettualizzazioni astratte) dei sommi Archetipi ideali, con le loro infinite implicazioni. Esiste anche quello che è, grosso modo, il passato dell'Uomo e quanto egli ha espresso nell'arco sterminato della sua evoluzione. Quest'ultima zona tuttavia è ampiamente oscura ed insieme reca i residui di comportamenti un tempo determinati da un ben diverso contesto vitale, che nell'attuale non avrebbero più ragion d'esistere: ma che, inerendo fortemente all'ego, sono difficilmente eliminabili senza un vero dominio della propria interiorità, ed una maturazione spirituale che releghi l'ego alla sua naturale funzione. Esistono poi, e assumono particolare incidenza e virulenza, i prodotti dell'attività dell'uomo, e cioè le forme/pensiero, le modalità esistenziali più o meno equilibrate, più o meno distorte, che egli ha determinato e liberato nel corso dei millenni entro il proprio spazio interiore e che, dotate in quanto vettori coscienziali viventi e non astratti di un certo grado di personalità ed autonomia come modalità dell'Uomo Cosmico dallo stesso emanate (e perciò da non confondersi con le modalità che attengono alla sua vera natura ontologica – i jiva – e che rappresentano estrinsecazione delle sue potenze reali), s'aggirano nel suo confuso inconscio, affiorano nel sub conscio ed interferiscono con il conscio quali propensioni, impulsi, desideri, emozioni e tensioni. Sono, ripetiamo, prodotti artificiali dell'esperienza esistenziale e – per essere più esatti – distorsioni di forme/pensiero di per sé equilibrate ed equilibranti, le quali furono e sono male intese e male attivate in quanto poste sotto il controllo non di una personalità armoniosa ed equilibrata, ma dall'ego divoratore e acquisitivo. E' difficile infatti che l'ego, con la sua insaziabile propensione ad incorporare, per affermarsi quanto più possibile nel campo esistenziale, non determini paurosi scompensi negli elementi più significativi della persona, deformandone l'attualità. Queste potenti forme/pensiero, hanno in comune con le forme qelliphotiche il bisogno di sussistere come tali, e talvolta sono proprio lo strumento dell'involuzione nel ciclo manifestante. Sono destinate a un riassorbimento nell'equilibrio futuro nell'Uomo, ma ciò significa la loro reductio a quel che furono e ora non sono, e pertanto a negarne l'attuale sussistenza. Queste modalità dell'uomo, che sono parte dell'uomo odierno, mostrano un'intelligenza e un certo dinamismo, ma insieme una pericolosità immanente all'affermazione egotica che ne costituisce l'essenza. Quando riescono a condizionare la vita dei jiva e delle collettività, producono effetti scompensati, che altro non sono se non la loro immagine storica nel campo esistenziale, e comunque capaci di coartare e impietrire l'emancipazione. Ovviamente ciò accade per un'insufficienza responsabile – in misura senz'altro significativa – dell'Uomo Globale ed individuale, e tutto questo implica l'attivarsi di fattori correttivi alquanto incidenti e coattivi. In ogni modo, quest'aspetto 169


dell'inconscio sussiste e – essendo d'ordine generale, intrinseco all'uomo globale – si ripercuote nei campi di autorappresentazione delle personalità, come proiezione e stimolo interiore quanto esteriore. Nell'attuale periodo l'umanità è ben poco in grado di comprendere queste incidenze, che per lo più identifica con il carattere, e delle quali non riconosce il potere suggestivo e condizionante: infatti, pur essendo interne/esterne, talvolta la loro consistenza è alquanto estranea al jiva, che nel corso dell'emancipazione l'ha come espulsa dal suo ambito interiore. Tuttavia queste forme/pensiero hanno una tendenza profonda a riattivarsi ed esercitare un possesso proprio là dove è carente il loro potere, e costituiscono ostacoli alle volte durissimi al divenire dello spirito, essendo sostanzialmente i veicoli dell'induzione di vere e proprie personalità in fase tamasica o propriamente involutiva. L'ascolto interiore e l'esame delle componenti che si affacciano alla soglia della consapevolezza, è dunque di rigore per l'allievo dell'Amore, preda difficilmente accessibile e per questo più ambita da queste oscure valenze di un più o meno recente o lontano passato. Difficilmente la qelliphoth appare come tale nel campo personale di rappresentazione, e quando accade gli effetti sono degeneranti quanto tremendi, esprimendo un'emersione resa possibile da un particolare karma individuale e collettivo. Occorre dunque sapere che ciò che è distorto viene neutralizzato dall'equilibrio, e ciò che è odio deve venire eliso dall'Amore: in ogni forma/pensiero, per distorta che sia, c'è l'immanente natura dell'uomo, figlio del Principio e destinato a ricongiungersi con il Principio: occorre dunque comprendere la natura squilibrata di queste modalità infelici del ciclo manifestante, per correggerle e renderle alla loro potenziale realtà che è sempre e comunque di Luce; senza dimenticare l'attualità che evidenziano, temibili ed orrende più di quanto la gente comune si immagini. La nostra disamina non sarebbe completa se non accennassimo anche ai principi elementali, che pur formano la struttura corporea del nostro veicolo fisico e la forma dell'Interità. Essi non sono, lo ricordiamo, che modi di configurarsi del dinamismo divino a livello formale, secondo un principio di maggiore o minore fluidità: quindi nella loro essenza sono pensiero, specificamente rivolto a costituire, nel divenire della Manifestazione, il campo creativo della Creatura. Come pensiero, essi sono viventi, coscienti e capaci di esprimersi in un'infinità di coerenti aspetti, ognuno dei quali è come sempre irradiazione delle loro potenze. La loro libertà e capacita d'azione è amplissima, con le sole limitazioni implicite nella loro finalità. Diversa è invece la configurazione storicamente presentatasi alla coscienza comune. Occorre qui fare massima attenzione al grado di emancipazione dell'Adam cosmico e dei suoi jiva: se questo grado è infimo o basso (in una zona particolare dell'Emanazione, quale è quello di nostra esperienza) l'azione dei Principi Elementali è completamente guidata e direzionata dalle Sfere Sephirotiche di cui sono “concreta” espressione. Se, al contrario, s'affaccia al divenire dell'Uomo un aspetto d'autocoscienza, e in particolare d'autocoscienza emancipativa, gli elementali 170


vengono immediatamente influenzati secondo il grado e le qualificazioni che quest'ultima assume. Per chiarire il concetto, diremo che essi nell'ambito del loro fine primario s'atteggiano secondo le determinazioni autonome del principio evolutivo personalizzato, e in base a questo costituiscono un ambito adeguato di rappresentazione. Ma, in presenza di fattori discordanti con le finalità dell'evento manifestante, gli Elementali, pur se indotti a una configurazione temporaneamente distorta, assumono comunque un vettore adeguato ad apportare l'opportuna e necessaria correzione, e questa attività si identifica concretamente con una delle braccia incidenti del karma. Il karma, come sappiamo, può agire innanzitutto sui fattori causali dei campi reali del jiva determinando interferenze e connessioni fra gli aspetti generali e individuali che, in presenza di tensioni e scompensi, si traducono in eventi collettivi e singoli. Ma le modalità concrete d'emersione, le quali toccano le specificità delle monadi, sono attualizzati dai Principi Elementali nell'ambito della tridimensionalità. Come questi possono costituire un evento ostativo e dirimente delle direzioni vitali, così possono costituire un potente strumento di supporto ed emancipazione, se opportunamente integrati con coscienze equilibrate; sopratutto se consideriamo che il loro aspetto nel campo di Malkut è dipendente dalle caratterizzazioni che quest'ultimo presenta nel momento storico, essendo gli Elementali, sopratutto nella più intima essenza, principi della Forma e pertanto, a livelli estremamente alti del Mondo Archetipico, Idee fondamentali. Sappiamo che la Forma è simbolo dell'Idea che traduce all'intuizione di altre intelligenze; questa concezione, esatta e pertinente a tutto l'ambito manifestato, e che prescinde dall'attuale ciclo, rende immediatamente comprensibile l'estrema incidenza dell'Elementale per la comprensione dell'Ente creato, il Mondo delle Idee. L'accordo con questi Principi è infatti la chiave per l'intelligenza intuitiva di tutta la realtà formale, che trascende verticalmente gli aspetti quali vengono assunti nel campo tridimensionale. Infatti esistono zone della Manifestazione in cui la Forma non è strettamente concepibile come semplice tridimensionalità, essendo partecipe in varia misura di Realtà che, ponendosi oltre alla capacità di percezione del contemplante, appaiono in Entità insieme formali ed informali. A questo punto occorre che il jiva realizzi a livello emancipativo il suo accordo d'amore con i Principi Elementali archetipici, onde trarre dalla propria profondità, partecipe a livello virtuale della loro essenza, i vettori conoscitivi per trascendere le limitazioni della sua percezione. Quest'accordo è dunque fondamentale e necessario, e tanto più in un periodo storico, quale l'attuale, in cui la configurazione che i Quattro Elementali hanno dovuto assumere, è progressivamente ostile all'attività umana. Essi sono in noi, e la maggior parte della loro operatività sfugge alla comune coscienza di veglia: ineriscono al punto unitivo che collega la parte più sottile della personalità a quella più grossolana, il corpo fisico, e devono – ripetiamo devono – essere compresi e consapevolmente integrati con la nostra adeguata volontà. Sono Maestri di profonda, estrema sapienza, le cui intelligenze affondano nell'immensità del Glifo dell'Amore e che appaiono inconcepibili agli uomini quando vengono evidenziate in tutta la loro estensione, così come incomprensibile è, ai non iniziati, il 171


Mondo Ideale e la Sua natura divina. Sono tuttavia Principi immanenti all'archetipo Uomo, e quindi la loro essenza informa la nostra essenza in una specifica configurazione. L'incontro con queste Intelligenze è evento principiale di un nuovo corso evolutivo, ed è affidato al magistero dell'Albero Sephirotico dell'Amore: qui abbiamo voluto richiamare alcuni concetti generici ed approssimativi, rammentando la loro funzione costitutiva dell'Ente formale e della nostra personalità. Altri principi che s'incontrano nell'inconscio sono le concatenazioni di idee, ricordi, emozioni di un passato lontano e vicino, che colorano ed atteggiano in modo specifico il nostro odierno stato, pur senza che noi ne siamo veramente consapevoli. Richiamiamo qui questo dato per illuminare il lettore su di una sua conseguenza, che appare nel quotidiano rapporto con il mondo tridimensionale e quindi con le proiezioni e irradiazioni che vi percepisce normalmente. Le vicende dell'anima (intesa allusivamente come l'aspetto della personalità che sussiste nei cicli esistenziali) sono la causa delle nostre reazioni di simpatia, affinità o antipatia, repulsione, desiderio o ricusazione nei confronti dell'”altro” apparso nel nostro ambito vitale. Possiamo configurarci il fenomeno come un campo vibratorio interiore – sintetizzante l'infinità di specifiche modulazioni – che si accorda o si distorce in presenza di altri consimili campi: così come un accordo si integra con un altro nel suono musicale e – al contrario – produce la dissonanza e la stonatura. L'ideale sarebbe il possedere un ambito vibratorio interiore così multidirezionale ed elastico da poter accettare serenamente qualsiasi altra vibrazione, potenziandone l'armonia se già equilibrata, o correggendone per interferenza spontanea gli eccessi se distorta. Ciò è tipico dei Maestri storici, siano essi uomini o siano Forme archetipali incentrate nel nostro viaggio interiore. Tuttavia quest'ideale è difficile; e realizzabile solo mediante acquisizioni progressive, come un cerchio che si diffonda nell'acqua in modo costante e uniforme. E' comunque importante conoscere la base – in genere molto composita ed inconscia – delle nostre reattività all'esperienza di vita, perché essa può e deve illuminare la ricerca, indirizzandola là dove il fenomeno ha sede. In questa esposizione, genericamente informativa, non affrontiamo di proposito temi specifici; ma il lettore dovrà meditare su quanto abbiamo detto ogni qualvolta incontrerà in sé un moto d'attrazione o repulsione, di affinità o di ricusazione nei confronti di un aspetto del suo campo esistenziale. Egli è in effetti il suo passato, ed in qualche modo il passato dell'Umanità: è anche, egualmente, il futuro. Dal suo comportamento odierno dipendono le vie che saranno percorse in una dimensione dello Spirito oggi inavvertita, ma esistente e reale: più reale del mondo che egli avverte costantemente attorno a lui. Null'altro aggiungeremo, ma speriamo e crediamo che l'allievo dell'Amore non abbisogni più che di un suggerimento per avvertire l'importanza e l'incidenza di quanto finora gli è stato donato. La nostra analisi deve, per concludere, prendere in considerazione il punto più ostico del cammino realizzativo, e cioè l'effettiva incidenza dell'inconscio e del 172


subconscio (i due termini rappresentano gradi di oscuramento coscienziale; maggiore nel primo e ai limiti della percezione comune nel secondo) sugli eventi che appaiono nella normale esistenza. Abbiamo detto che a livello profondo esistono ricordi, propensioni e tendenze; esistono anche le tensioni karmiche, affatto inavvertite ma così presenti da confluire in modi/eventi assolutamente rilevanti per il processo della vita: essendo tra l'altro soventi in essi d'interferenza con le Entità distorte esistenti nel campo globale e da quest'ultimo utilizzati per esercitare un effettivo dominio sulle personalità. Questi fattori, che non possono (e non debbono, ma è altro discorso) venire ostacolati in quanto, privi di ogni aspetto interiorizzante, dimostrano un pieno attaccamento all'ego e all'individualismo separativo, assumono ben diversa colorazione in coloro che, grazie all'insorgere di un certo risveglio spirituale e alla strada già percorsa, offrono possibilità di controllo sul karma personale e collettivo ad essi immanente. In altre parole, questi aspetti subconsci e inconsci devono venir guidati in modo conforme al piano emancipativo, e coerentemente al suo dinamismo individuale e globale. Nell'attuazione di questo piano che è compito primario degli Archetipi, l'incidenza karmica rappresenta insieme un potente ostacolo ed un insostituibile aiuto: essa agisce a livello tridimensionale per quanto attiene all'Uomo Cosmico e le sue forme modali, ma si può configurare un aspetto parallelo anche per il Mondo Archetipale, con la riserva che quest'ultimo aspetto non attiene all'autorealizzazione di una persona evolventesi in archetipicità, ma al grado d'autocoscienza della Entità Archetipale medesima. Non è dunque possibile parlare – a rigore – di karma altro che nell'ambito della tridimensionalità (a vari livelli di pressoché “tutta” la tridimensionalità) ma, per estensione e con certe indispensabili precisazioni, si può ipotizzare una responsabilità dell'Archetipo verso se stesso e quindi verso il Tutto di cui è parte sostanziale, tale da rendere immanente il fattore dinamico, capace d'evidenziare eventuali e specifiche inadeguatezze, nel caso che queste non siano intuite e risolte dalla consapevolezza del proprio stato. Abbiamo accennato a questo problema, che riguarda puntualmente l'Esistente oltre la spera di Malkut, e alle implicazioni che determina, in quanto causano la necessità di un evento manifestante suscettibile di coinvolgere la totalità degli Archetipi. Il tema è così alto e teurgico da non poter venire affrontato che in sede più adeguata, e cioè nel rapporto diretto con le Forme/Pensiero trascendenti. Tuttavia è bene che il lettore sia avvertito, onde evitare la sterile immagine di un mondo ideale perfetto e infallibile, libero dalla necessità costante di essere scelto, ma sede di un radioso ed imperfettibile equilibrio: concettualizzazione questa che risponde approssimativamente al vero solo se riferita a quella fucina di vita e di potenzialità che è la zona tridimensionale (in altre parole, la zona delle Sette Sfere Sephirotiche) in rapporto alla quale il Mondo Ideale propriamente detto (e cioè in sintesi il mondo Causale nel Suo aspetto di Creatura) presenta un'inconcepibile diversità. Una 173


concettualizzazione che può risultare alquanto deviante, se sottintende un limite al progresso del principio formale autocosciente, alla sua realizzazione mediante la capacità di percepire in sé e fuori di sé il fattore trascendente per alto che Esso sia, e una zona dell'Esistere nell'Essere ai margini di quanto appare Informale. Neppure il Nirvikalpa Samhadi è punto finale, e può anzi rappresentare un ininterrotto processo di interiorizzazione (e conseguente esteriorizzazione) di quel che è effettivamente l'Assolutezza, secondo un tipo di causalità che non appartiene alla creatura ma il Principio Primo. Tuttavia a questo punto desideriamo attirare l'attenzione dell'allievo su di un'ipotesi che non è certamente in accordo con la generalità delle interpretazioni del quadro manifestante, ma che può indicare la soluzione finale molto oltre l'attuale ciclo, e forse anche oltre innumeri cicli successivi. Occorre inoltre aggiungere che il termine “soluzione finale” è esatto per quanto riguarda l'attualità del Mondo delle Idee quale è ora configurata, ma non certamente per il proseguimento del dinamismo supremo, che anzi in questo caso assumerebbe un indirizzo ascendente incommensurabile. Inoltre è bene specificare che il significato dell'autorealizzazione attiene, in ogni caso, tanto al Microcosmo che al Macrocosmo e che – se è vero che il primo influenza il secondo ed il secondo il primo – ciò non toglie che il processo avvenga secondo la sua legge puntuale nell'ambito della personalità, e poi in quello della personalità del mandala a cui questa inerisce (la sizigia più o meno complessa) e quindi nel contesto generale e globale in cui tutto questo si pone. Il che implica che il raggiungimento di un determinato livello di Realtà non è risultato che tocchi immediatamente tutto il globale, ma si determina nelle Forme/Pensiero che del Globale sono modalità, e conseguentemente nel Globale. Se il Globale è unitario, ciò avviene armonicamente e in reciproca coerenza; in caso diverso, possono presentarsi differenziazioni e dolorose spaccature nell'Interità come in effetti è avvenuto e avviene. L'ipotesi in esame, considerata con le sopramenzionate specificazioni, è che esiste “al limite” un Punto in cui l'Idea emanata ed il Principio emanante coincidano esattamente e senza negare il rapporto Creatore/Creatura: che cioè esista un continuum dinamico al massimo livello concepibile – quello Brahmanico – il quale si colori nella parte rivolta all'espressione creativa d'autonoma personalità, e si apra – verso la verticalità metaformale – alla medesimezza trascendente. Questa realizzazione suprema, che implica sostanzialmente la coincidentia oppositorum dell'Atto puro e della sua creatura, non può che avvenire, se l'ipotesi è fondata, che per volontà divina, la quale renda l'Idea pienamente partecipe dell'Ideatore senza per questo risolverla e annullarla in Sé, e senza che il Brahma possa identificarsi con la Sua ideazione, che è sempre Lui in Lui. Simile stato costituirebbe ovviamente un'aporia logica perché atterrebbe alla Trascendenza oltre l'immagine che dal suo Cit emana; costituirebbe insieme l'aspetto divinizzato al più alto stato della Forma/persona, in cui essa s'apre completamente a ciò che la sopravanza, al principio di un dinamismo che non annulla la differenziazione di creatore/creatura, ma la determina in nuovi parametri di realtà. Sarebbe in altri termine uno stato di Samhadi nel quale l'autonomia d'esistenza 174


permane, rivolta verso l'attività creativa dell'Assolutezza – che nella creatura e “con” la creatura si manifesta – e alle sue imponderabili, infinite potenze. Questo “punto di coincidenza” rappresenterebbe pertanto l'attualizzazione dell'intero Mondo Archetipale nel suo aspetto più comprensivo della sua realtà d'esistenza nell'Essere: Figlio dell'Assoluto, immagine vera della Sua immagine creatrice, il Brahma Saguna. “Chi vede Me vede il Padre”: le parole del Cristo Gesù - ipostasi formale del Cristo Amore Assoluto - avrebbero qui piena attuazione e porrebbero in atto la dolce promessa di vera redenzione nelle Case del Padre, conseguibile solo con il Figlio Gesù, Creatura Assoluta e pertanto Idea del Brahman che unisce, nella compassione, nel sacrificio e nell'amore, l'Assoluto alla relatività. Occorre dunque riconsiderare con molta attenzione e con la massima capacità discriminativa la figura storica di Gesù, mandala divino apparso nel nostro ambito per avviarci alla comprensione e al conseguimento del nostro naturale destino, e cioè Redentore, Salvatore e Pastore. Molti possono obiettare che un simile modo di interpretare l'Emanazione e l'evento cristico è contrario a troppi momenti della Rivelazione e della ricerca speculativa, considerati nel corso dei secoli e dei millenni e che è arbitrario inferire da quanto conosciamo un evento che trascende gli schemi medesimi della Tradizione. Eppure.... Eppure sarebbe la logica, immediata, limpida risposta a molti quesiti insoluti e la “reductio ad Unum” perfetta: che non nega la Creazione ma la illumina d'Amore. Il Cristo è Assolutezza in un preciso momento sintetico, ma in quanto tale non è l'assolutezza in Sé come essenza intuitiva della Sua trascendenza dai nomi e dalle forme. Abbiamo sovente insistito nell'avvertire il lettore sull'arbitrarietà d'individuare aspetti logicamente determinati nel Brahman, e della necessità tutta umana della loro specificazione nel Continuum divino. Con questa riserva, ripetiamo che il Cristo è ipostasi dell'Assoluto, e ne esprime “simbolicamente” quanto concretamente una sintesi d'ineffabile profondità: è il Volto del Padre rivolto alla creazione, e non solo del nostro ciclo manifestante ma di tutto il Mondo Archetipale, frutto d' impensabili altri cicli “temporalmente” e razionalmente precedenti il nostro. Quel che dunque appare nell'ente divino/umano apparso nella storia, deve venire interpretato secondo criteri di costante approssimazione, e nella consapevolezza dei limiti del nostro pensiero, limiti che è nostro dovere rimuovere. Sull'Immagine Cristica torneremo nuovamente nel corso del presente lavoro: lasciamo ora il lettore a meditare su quanto gli abbiamo comunicato, rammentandogli il suo preciso impegno a valutare, considerare e giudicare secondo il suo personalissimo mondo interiore le ipotesi da noi avanzate, con piena libertà e obiettività di coscienza. Il suo contributo al divenire dello spirito dell'Uomo è importante come il nostro, ed indispensabile per lui e per la Manifestazione: sia dunque capace di dissipare un dubbio, di intuire un sentiero e di illuminare il cammino secondo l'Idea che egli impersona ed esprime con la sua esistenza. Il quadro delineato dell'inconscio è certamente tale da renderlo inquietante e stimolante alla ricerca della propria verità, ed è comunque capace di vanificare 175


qualsivoglia tentativo di comprensione del problema che non sia adeguatamente condotto secondo le modalità realizzative dell'esoterismo teurgico. Noi tuttavia riteniamo quest'impresa non solo possibile ma necessaria ed immediatamente agibile per qualsiasi allievo dell'Amore, e che il viaggio in interiore cordis non debba intendersi come un tentativo d'approccio all'Aspetto trascendente implicito nella personalità, ma piuttosto come il dissolvimento delle configurazioni che ne impediscono la spontanea emersione, e che sempre rappresentano inadeguatezze, scorie e storture oscuranti, d'altronde inevitabili nell'esperienza delle proprie valenze. Compito primario è dunque il portare la chiarità della consapevolezza nelle nostre zone interiori più confuse ed inavvertite, illuminando quanto più lucidamente possibile l'abisso che nascondono, e dissolvendolo nella Realtà dell'Amore. Esse infatti sono l'elemento velante, l'impedimento più dirimente al conseguimento del Reale; ma tale impresa in apparenza impossibile, è conforme al processo di svelamento dell'Archetipo, e quindi al fine primario dell'Emanazione. Senza insistere sulle modalità concrete che assumerà nei singoli casi, diremo che la metodologia generale è ben nota, ed informa tutti gli aspetti dell'esistenza: i testi iniziatici più qualificati, dal Vedanta, le Upanishad, il Tao alle scuole occidentali di tradizione greca ed ermetica, al sufismo e alla più coerente meditazione cristica: tutti consentono all'allievo la giusta informazione ed il giusto approccio ad un sentiero specificatamente adeguato. A lui, e all'Istruttore, il compito d'attualizzarlo e personalizzarlo per percorrerlo come il Primordiale Amore stabilisce prima che entrambi esistessero, e fin dove l'Amore vorrà. La nostra analisi dell'inconscio ha toccato un punto particolarmente oscuro che non possiamo non riconsiderare più approfonditamente, onde mettere l'allievo in guardia sia contro facili fraintendimenti sia nei confronti d'ipotesi semplicistica ed inadeguata nell'ambito che consideriamo. Abbiamo più volte accennato all'esistenza di un lato inquietante dell'Emanazione, le qelliphoth: entità archetipali diventate estremamente egotiche ed individualistiche, che rappresentano l'orrenda caricatura del Mondo Ideale al quale pure devono la loro vita. Queste forme/pensiero sono al massimo grado ipotizzabile in potenza, eppure esprimono un tremendo influsso negativo e un'interferenza degenerante nell'ambito tridimensionale, che è impossibile misconoscere o negare. Un'attenta analisi di queste infelicissime entità si rende dunque necessaria, per chiarire insieme la loro natura e i limiti di incidenza, e più dettagliatamente di quanto abbiamo finora tentato. Innanzitutto giova rammentare che queste forme/pensiero appartengono all'Uomo Totale, ma preesistono al suo manifestarsi come entità autocosciente. Sono dunque emerse non nel tempo ordinario, ma in quello che precedette la comparsa del Ciclo, quando il Glifo assunse la configurazione capace di condurlo all'attualità. Dal punto di vista tipicamente umano, son dunque entità estremamente antiche, primordiali e comunque precedenti la dimensione in cui l'uomo si definisce; e sono in ogni caso enti che devono integrare (pur considerando tale integrazione come pura 176


potenzialità) la Manifestazione, e pertanto la loro realtà resta esterna/interna all'uomo e principalmente all'uomo storico. Ignorarle o non volerle comprendere è perciò ignorare e non comprendere un momento della psiche e dell'inconscio: questo rappresenta un errore tanto grave quanto è fraintenderne la natura, magari ipotizzando un principio del male ontologicamente opposto a quello del Bene (dualismo metafisico); oppure ipotizzare un Universo contagiato, per il solo fatto di esistere, da un peccato originale, una hybris che ne condizioni l'esistenza e che debba essere espiata fino alla conclusiva reintegrazione nel Principio; quasi che l'atto manifestante sia o un inspiegabile e incomprensibile oscuramento del Brahman nelle Sue Idee essenziali per il quale esse precipitino fuori dalle Luce Fondamentale, oppure un “errore”, un gioco (lila) arbitrario e indifferente, una necessità d'autoanalisi e di evidenziazione che in nulla s'accorderebbero con la Sua armoniosa natura. L'ambito di manifestazione delle forme archetipali è certamente un evento del Mondo delle Idee che costituisce un progressivo chiarimento interiore del medesimo, un'emarginazione d'incompiutezze fino ad allora inconsapevoli, e una ricapitolazione delle Potenze per determinarne una più alta ed espressiva configurazione. Configurazione del Mondo Archetipico e non dell'Assolutezza che lo emana: diciamo questo una volta per tutte (ma ci ripeteremo, anche se non dovrebbe essere necessario tornare su tale fondamentale affermazione). E' invece opportuno considerare quanto accade a una Forma/pensiero che – inebriata dalla libertà e dalle sue improvvise aperture espressive – decida di porsi “fuori” dall'armonioso ambito in cui si è determinata, e che dunque fraintenda completamente il medesimo, considerandolo un limite alle sue potenze. Quest'entità, che partecipa di un grado di intelligenza e conoscenza del campo archetipico pur sempre elevato e enormemente più vasto di quel che l'uomo storico possa immaginare, tende a proiettare – come l'uomo – le sue componenti come oggetto d'esperienza e di consapevolezza agendo così secondo l'esatto schema che abbiamo visto esser tipico della Monade. Tuttavia l'entità qelliphotica è separata dalla vita, è staccata dalla percezione del sé benché a lei immanente, è sola con se stessa e con la sua famelica ansia d'esprimersi e di possedere il più ampio campo d'attività che le sia possibile avere. Tutte queste tensioni, anziché determinare un reale moto espansivo – che è invece tipico dell'esistenza conforme alla sua verità – finiscono col precipitare la forma/pensiero in sé medesime, in un distacco dalla Vita del Tutto che agisce solo come effetto pietrificante, inaridendo tanto più l'ente quanto più s'afferma come principio egotico separato. Rimane la tremenda nostalgia dell'attimo in cui le apparve – nella Matrice Causale percepita come Abisso d'infinita potenzialità – la scintilla dell'autocoscienza e della libertà, intesa come inebriante capacità d'esprimersi incondizionatamente e di essere il centro del proprio universo. Questa nostalgia è immanente e coincide con il massimo punto d'affermazione egotica, e l'ego è il mostro che la domina e di lei si nutre. C'è un'irrealtà di estremo dolore, di lacerante infelicità, di proterva sofferenza nella qellipoth che non possiamo ignorare, e che non deve esimerci da un atteggiamento compassionevole in Cristo nei suoi 177


confronti, o meglio: nei confronti della sua virtualità. Ma questo non ci deve nascondere la sua attuale e feroce pericolosità se vogliamo – come insegna lo yoga – ricondurre al Padre con il Padre queste devianti entità reintegrandole nella loro virtuale purezza. Tale è infatti il compito specifico dell'Uomo, e il fine principale che l'Albero Sephirotico si propone nell'evento manifestante. Poiché la qellipoth è assenza completa di creatività, essa è incapace di “sentire”, di provare vere emozioni sia pur distorte e angosciose, di “essere”. Il mondo che proietta intorno a sé è l'immobile pietrificazione del suo esistere interiore dove si riflette l'impotenza e un'attività intellettuale priva di supporto in disperata ricerca di un contenuto vitale che in lei si va sempre più affievolendo. Se un tratto distinguibile caratterizza questa deformità, esso è il rigido vuoto interiore, che denuncia apertamente la sua esclusione dalla possente corrente energizzante della Manifestazione, rivolta alla creatività dell'amore. L'energia è il dinamismo dello spirito in forma semplice, e lo spirito delle qelliphoth si è rappreso, congelato ed immobilizzato: essa non vive dunque di vera vita ma dell'appropriazione di vita altrui, dal desiderio di potenza e di possesso che è poi la malattia della sua essenza e che viene continuamente e completamente frustrato dalla sua stessa insaziabilità. Impossibilitata a guardare il Glifo dell'Esistenza vera che l'abbacina con la sua luce trascendente e la rende consapevole della propria impotenza come uno specchio, la qelliphoth si volge al mondo tridimensionale laddove egli le consenta un qualsivoglia varco al suo desiderio di possesso e di affermazione. Il mondo tridimensionale è, nella nostra zona, in formazione, è in crisi di crescita e sta cercando se stesso: è dunque passibile d'interferenza, d'inganno e di controllo: può dunque riempire il gelido abisso dell'ego con le sue emozioni, le passioni e le infinite distorsioni che la sua esistenza può specificare. Le qelliphoth non vivono di vita propria, ma di vita mediata: protese alla possessione, all’esteriorità, al formalismo che caratterizza l'atteggiamento egotico, esse devono prendere altrove il contenuto della vita, che sfugge alla loro condizione. Inoltre esse sanno - per antica conoscenza e capacità intellettiva raziocinante che pure sussiste - il pericolo rappresentato dall'archetipo Uomo alla loro presenza: esse cioè comprendono che la Manifestazione determinerà, con il suo compimento, 1'ineluttabile necessità d'intraprendere un cammino inverso a quello finora scelto, sostituendo il moto involutivo e individualisticamente egotico con altro, emancipativo ed integrante nel libero estrinsecarsi delle personalità. Ciò significa negare sé stesse quali entità separative, e riaffermarsi esistenza nella luce dell’Essere: è dunque risalire l’abisso, tanto più fondo e ostativo quanto più in loro s'è offuscata la Realtà fondamentale. Poiché questa fatale necessità le terrorizza, cosi come le annichilisce l'armonia dell’amore che sia Amore, v'è in ognuna di loro un’opposizione più o meno forsennata, più o meno celata, più o meno evidentemente feroce a questa prospettiva, in dipendenza del grado assai differenziato del processo involutivo che le caratterizza. Alcune sono quasi al margine dell’inversione emancipativa, altre nel buio coscienziale più atroce: queste affermazioni sono tipiche del comportamento egotico, e costituiscono quasi la controimmagine grottesca del Grande Glifo: nel quale le specificazioni avvengono nella comprensione dell’Amore, 178


e implicano sempre un originale modo di impersonarne una modalità. Il lettore può darsi, dalle suddette constatazioni, un quadro abbastanza preciso del fenomeno qelliphotico, e dedurne conseguentemente l’estraneità e la completa ostilità ai fini dell’Emanazione. Quel che tali Forme/Pensiero cercano è emozione, ed emozione tanto più intensa quanto è più lontana dall’armonia dell’Essere. Espressioni viventi di una frattura, vogliono la frattura per affermare la loro soggettività, e per colmare di un fantasma di vita la famelica inconsistenza del loro mondo esistenziale, della quale sono assai inconsapevoli: questa è la causa della loro costante presenza nella storia dell’umanità, e della potente attività ai livelli profondi della psiche, guidata da un'intelligenza senza interiorità, e quindi direzionata a una sostanziale aberrazione. Non esiste fra l’Uomo e la qelliphoth una possibilità d’accordo, di armistizio o di una convivenza, e qualsiasi illusione in proposito deve essere cancellata di fronte all’inconciliabile opposizione dei fini. L’Uomo vuole e deve esistere per essere, la qelliphoth cerca l’Uomo per nutrirsi della sua energia vitale, e quindi del suo dolore, delle compulsioni e della miseria che ne deriva, perché esse determinano distorsioni e le distorsioni consentono un dominio lacerante, foriero di altra e maggiore infelicità. La feroce gioia di queste entità veramente demoniache è inconcepibilmente lontana dalla pura gioia (l’ananda) delle Entità in via di realizzazione o realizzate, che è espressione di una vita realmente fondata sull’armonia del Tutto. Ma la qelliphoth, è bene ripeterlo, è parte integrante dell’Emanazione, e al Principio deve essere incessantemente ricondotta: è ciò che avviene in ognuno di noi, quando ristabiliamo l’equilibrio delle valenze interiori, e la passione, il desiderio, l’emozione diventano amore ed espressione d’amore. Non possiamo d’altra parte ignorare la funzione discriminante che la qelliphoth suo malgrado esplica nella Manifestazione, costringendo l’Albero Sephirotico e l’Uomo a comprenderne la natura comprendendo le proprie inadeguatezze, e – con loro confrontandosi – a dissolverne la consistenza: un compito difficile, alle volte ai limiti del possibile, ma sempre attuabile perché la natura dell’Essere è Amore, e il disordine rappresenta soltanto un tragico ma temporaneo offuscamento delle coscienze. Offuscamento temporaneo e non per questo meno temibile, per la dimensione irreale in sé ma realissima in chi 1’esperimenta -, che può assumere. Per questi motivi il dharma dell’allievo è comprendere l’involuzione nelle sue origini e nelle sue estrinsecazioni e, un giorno, percepirla nella sua odierna realtà per “sapere” cosa essa veramente è. Un accorgimento astuto ed insidioso della qelliphoth è l’agire indirettamente, mentire confondendo verità e bugie, di non apparire che in casi rari e particolarissimi, di mescolarsi nelle istanze egotiche del jiva onde poter venir scambiata con elementi specifici della sua personalità; e poi indurre il pensiero razionale a negare la sua esistenza (il che può implicare per indiretta consequenzialità a negare l’esistenza di Dio), a disarmarsi nei confronti della sua azione con argomentazioni che della logica hanno solamente l’immagine, essendo le conclusioni fondate su premesse sbagliate. Diciamo tutto questo per rendere quanto più completo possibile il quadro 179


dell’inconscio, dove abisso e Luce si intersecano e s’intrecciano nel multiforme gioco delle nostre scelte e delle nostre volizioni. Essere liberi interiormente non è facile, ed occorre comprendere le forze che dentro noi si animano, per guidarci ed orizzontarci nella nostra ricerca della verità: l’ascolto, la discriminazione, l’obbiettività e la sincerità interiori sono potenti mezzi per la comprensione analitica e sintetica di quell’universo che è la nostra coscienza, teatro di lotte e di realtà che trascendono il piccolo ambito nella comune comprensione. E' tuttavia tempo d’abbandonare questo dolente argomento che dovremo certamente approfondire nelle sue conseguenze pratiche in altre sedi, e di soffermarci su temi meno angosciosi, che pure richiedono il massimo sforzo e la più acuta capacità d'introspezione del nostro amico lettore. -O21) La nostra attenzione deve ora puntualizzarsi sugli aspetti meno percepibili e più sostanziali della dimensione temporale. Il Tempo, nella sua più vasta accezione, è il processo d’emersione coscienziale di un’Idea a sé stessa, ed è quindi in funzione del grado di emancipazione che questa presenta. Queste semplici parole descrivono però alquanto approssimativamente il fenomeno temporale, e vanno attentamente esaminate e analizzate, per metterci in condizione di valutare meno genericamente questa fondamentale categoria manifestante. Abbiamo detto che esiste un tempo della Emanazione relativo al modo di percepirsi tipico dell'uomo, ed insieme a quello specifico del Glifo. Abbiamo inoltre affermato che nel Mondo delle Idee archetipe esiste un analogo processo di realizzazione, inerente però al piano puramente trascendente di quest'aspetto della Realtà. Vediamo dunque di specificare alcuni dati, e di chiarirne la portata anche in relazione a piani differenti di percezione. Il Mondo Archetipico ha la caratteristica basale d'essere composto da Idee che hanno realizzato la loro unità ontologica in misura sufficiente da rendersi principi autonomi di coscienza d'Amore, e centri di dinamicità nella coerente consapevolezza della non-dualità fondamentale dell'Essere. Quest'attualità del Mondo Ideale è ben lontana dall'implicare la non perfettibilità ulteriore del suo contenuto e, poiché l'Idea emanata tende naturalmente all'identificazione con l'Idea emanante (indistinguibile dal Brahman per qualsivoglia personalità, eppure Sua puntualizzazione), si determina un dinamismo che tende insieme alla perfetta autorealizzazione secondo la volontà divina e all'unione con il Centro Supremo. A questo proposito abbiamo avanzato l'ipotesi che detta coincidenza sia resa ad un certo punto possibile da un atto d'amore del Brahman, che la conceda come dono 180


della sua incondizionata libertà. Resta comunque la necessità del personale impegno chiarificatore degli Archetipi, fino al limite consentito dalle loro valenze: il processo è quindi uno svelamento e un'illuminazione della coscienza, ed il tempo qui può essere considerato omnidirezionale soltanto per renderne intellegibile il significato: poiché 'scorre' e si 'espande' entro le singole interiorità e nel Mondo Archetipale in tutte le direzioni comprensibili, conducendolo a sempre più completa armonia. Diverso è l'atteggiamento del Tempo in quella particolare configurazione che il Mondo Ideale assume nell'esecuzione del presente ciclo emanativo, in quanto funzionale a uno scopo specifico che determini - una volta realizzatosi l'Uomo nella sua autonomia e libertà - un nuovo e più confacente assetto dell'Interità. Qui c'è l'intersecazione del modo di rappresentarsi dell'Uomo - Singolo e globale - secondo la legge causale (tempo che procede orizzontalmente in univoca direzione, creando così l'immagine del passato, presente e futuro) con quello che dell'Uomo medesimo ha l'Albero delle Sephirah: per il quale il tempo orizzontale ha un valore relativo al principio in evoluzione, e che vede detto principio/persona come Idea in emancipazione, pensiero che si autodefinisce e in ciò si comprende con crescente precisione. In tal processo di chiarificazione spirituale il fenomeno temporale non può naturalmente esser ricondotto alle mere apparenze di un vettore unidirezionato, in quanto attiene allo spirito e si determina solo secondo le leggi dell'autocoscienza, per cui è concretamente reale solo la dimensione archetipica pura e - al suo confronto irreale quella dell'attuale consapevolezza tridimensionale. Parlare di un passato e di un futuro dell'Uomo dal punto di vista del Glifo della Luce è cosa priva di senso: il Glifo vede l'Uomo nell'aspetto realizzato alla luce immanente del Supremo Cit, e vede contemporaneamente quel che l'uomo crede di essere (e, relativamente a lui solo, è). C'è in quest'immagine la coincidenza fra due aspetti percepiti in modo estremamente diverso, ed ovviamente la Maya dell'Emanazione è velante, in proporzione alla soggezione passiva alla Maya stessa. Poiché la realtà essenziale è racchiusa nello svelamento interiore del jiva, e questo svelamento segue le leggi dell'anima e non quelle delle sue rappresentazioni grossolane (un certo tipo di fisicità), ne deriva che non esiste per il Glifo né un passato né un futuro, ma piuttosto uno stato più o meno profondo d'oscuramento spirituale: e che questo deve essere dissolto non già secondo la legge causale conosciuta dagli uomini (che attiene a quanto d'incontrollato, inerziale ed incompreso esiste nel loro campo di vita e per questo espresso da un vettore unidirezionale) ma piuttosto secondo l'aspetto che attinge alla vera spiritualità, estremamente mobile di per sé e che non è certamente condizionata dall'unidirezionalità. Può tuttavia apparir tale alla consapevolezza del jiva: incompleta, illusoria e approssimativa in quasi tutte le sue estrinsecazioni; ma non certamente a quella delle Potenze Sephirotiche. Non esistendo per il vero Albero della Vita un tempo orizzontale che nella raffigurazione dell'Uomo storico (non necessariamente limitato a quello vivente ora nel nostro pianeta), variabile da evo ad evo, ne consegue che 1'interferenza delle 181


Sfere sarà coerente solo con sé stessa, e non con le capacità normali di comprensione degli uomini. Naturalmente la suddetta interferenza avverrà in modo da non distruggere il tipo di autonoma rappresentazione esistenziale del jiva, che è il suo metodo realizzativo e deve ritenersi adeguato al periodo in cui si manifesta. L'affioramento di un diverso "Tempo” è infatti estremamente coinvolgente per tutte le rappresentazioni spaziali delle monadi, e porterebbe le coscienze impreparate ad un tremendo impatto con dimensioni non più comprensibili e controllabili. L'attività del Glifo deve pertanto rispettare le categorie spazio/temporali assunte dall'Uomo in uno specifico momento del processo manifestante, pur restandone sostanzialmente affrancata ogni qual volta essa si puntualizzi in aspetti più generali e sostanziali del ciclo. Abbiamo osservato nelle pagine precedenti che la ritmicità dell'Emanazione è la conseguenza delle specificità d'espressione del Pensiero, nel piccolo e nel grande, e che quando il Pensiero è soggetto di un continuo atto di chiarificazione, e cioè fa esperienza di sé conoscendosi sempre più esattamente, abbiamo una configurazione di tesi/antitesi/sintesi che da quest'ultima si sviluppa dialogicamente in ulteriori direzioni. Il pensiero e la sua dialettica sono dunque la base d'interpretazione del Ciclo manifestante, ed essendo indispensabile la libertà d'autodeterminazione nel campo dell'esperienza del jiva, il qual deve ben mettersi in grado d'esercitare un effettivo autogoverno nelle sue componenti psico/spirituali, ne deriva che il Tempo dell'Albero in riferimento al divenire dell'Uomo apparirà quando il ciclo vitale ordinario è concluso per l'esaurimento delle capacità espressive a lui immanenti, e si rende necessaria una ricapitolazione, una meditazione ed un approfondimento dell'esperienza vissuta. Nel periodo intermedio fra un'esistenza e l'altra, anche se il jiva - incapace per lo più di configurarsi secondo più puntuali parametri rappresentativi - si pone in un ambito ancora tridimensionale simile a quello della precedente esistenza, molti aspetti relativi a questa ultima risulteranno modificati, anche se non tanto da risultarne un effetto traumatizzante. Affiora, in altre parole, in qualche misura il tempo di una diversa Realtà, che coordina l'esistenza della zona intermedia in modo più conforme alle potenzialità di successivi sviluppi. E' bene a tal proposito rammentare che il Glifo interviene in sostituzione tutte le volte che affiora una carenza o un'assenza di autogoverno: nel periodo di permanenza in un campo intermedio, normalmente compreso fra la morte fisica e la successiva rinascita, le Forme/Pensiero dell'Albero sono attive, e modificano quanto è più possibile la proiezione mentale del principio evolutivo, senza lederne l'autonomia onde renderlo suscettibile di un proficuo approfondimento dei frutti ottenuti nell'esistenza precedente. Se il jiva, il quale ovviamente tende a riprodurre il suo campo esistenziale precedente, pur con le modifiche e le incompiutezze dipendenti dal cambiamento di stato, è particolarmente attento e relativamente emancipato dagli aspetti istintuali (tamasici) della psiche, l'esperienza della zona intermedia determinerà notevoli effetti emancipativi, permettendogli di cogliere più puntualmente l'illusorietà della sua Maya, e conseguentemente l'insorgere di più 182


adeguate percezioni nel suo ambito. Queste acquisizioni, che di regola causano un differente atteggiamento interiore nel suo prossimo ciclo vitale, possono in taluni casi risultare tanto illuminanti da non rendere più necessario il reintegro nel ciclo breve, ma al contrario il permanere e l'innalzarsi lungo i sentieri del Mondo Sephirotico. Solo le entità più emancipate potranno tuttavia porsi come modalità specificatamente archetipali, ed essere completamente libere dalla necessità di un reintegro nell'aspetto che ora ci appare nostro: queste, in quanto principi archetipici sia dell'Albero che del principio ideante che è l'Uomo (Malkut e Tiphareth), avranno grande autonomia operativa e potranno agire secondo la loro natura e la loro scelta, così nel tempo trascendente che in quello immanente al campo tridimensionale emancipativo. E' estremamente difficile per la mente che non abbia esperienza di un tempo non più semplicemente unidirezionale intuire l'identità fra passato e futuro, intesi nei termini che ci sono noti: quest'intuizione è semmai un momento altamente illuminante della Realtà, che l'Istruttore e la meditazione porteranno in evidenza. Ci preme tuttavia, coerentemente ai nostri propositi, informare il lettore su questa fenomenologia, comunicandogli che presente, passato e futuro sono apparenze, dovute alla configurazione esistenziale tipica del jiva, e che sfumano in altri aspetti ogni qualvolta appaia un profondo mutamento della consapevolezza e dei suoi parametri di rappresentazione. Occorre tuttavia essere precisi: la legge causale, con tutte le implicazioni karmiche che comporta, è dominante in maniera pressoché totale nel mondo formale, manifestandosi coattiva finché la personalità non si affranchi dal suo determinismo nella sua autocoscienza. Quando c'è l'inizio di un'emancipazione, questa legge appare come realmente è in formulazioni sempre più evidenti, e cioè come un principio di coerenza dello svolgimento dello spirito verso la comprensione della sua vera dimensione e natura. Non possiamo in altre parole configurarci un Universo formale, un dinamismo trascendente e un Mondo archetipico delle Idee come arbitrarietà ed assenza di qualsivoglia categoria informante a livelli adeguati, perché tutto proviene dall'Ente Supremo, che è Armonia e Coerenza per eccellenza, e manifesta l'assoluta libertà d'essere perfettamente Se stesso. Ciò che da Lui viene non è mai arbitrario e contraddittorio, ma tende all'equilibrio e alla Bellezza, che dell'equilibrio/amore è la sintesi formale, percepibile dalle altre intelligenze. E' dunque nel vivere compiutamente la propria essenza che si svela la natura profonda delle Idee, e il loro dinamismo è da un lato la ricerca sempre più puntuale di questa realizzazione, e dall'altro la spontanea, libera espressione delle valenze evidenziate dal progresso spirituale. L'Idea (persona) è un principio di vita, che emana dalla Vita del Tutto e quindi si proietta all'interno di sé per attingere alla fonte infinita dell'Essere, e fuori di sé per manifestare le potenzialità diventate accessibili: integrandosi ed integrandole con quelle di tutti i Principi senzienti nell'infinito campo della Manifestazione, in gioiosa unità e libertà d'esistenza. Il tempo è questo dinamismo, e quindi è un fattore d'autorappresentazione tanto 183


più plastico quanto più lo spirito - da cui emana - è scevro da ostacoli e limitazioni: come 1'interiorità del jiva tende a fondersi con il Padre e senza che ciò implichi un suo dissolvimento e annientamento, così il tempo 'personalizzato' mira a coincidere con l'atemporale purissimo, che non è soppressione d'ogni dinamismo ma stato ineffabile oltre l'immobilità e il movimento. La coincidentia oppositorum non è, in altre parole, una contraddizione divina, e pertanto non definibile e quasi un assurdo logico, ma un principio divino che trascende infinitamente la logica, dalla quale nascono le contraddizioni: elementi conflittuali dell'intelletto e pertanto esistenti ad un gradino di consapevolezza assolutamente diverso ed altrettanto inadeguato ad intendere l'Assolutezza. Nell'analisi del fenomeno "tempo" dobbiamo pertanto mantenere in evidenza questa sua dimensione variabile in dipendenza dal grado d'emancipazione, direttamente proporzionale alle attualità dello spirito. Se applichiamo quest'ipotesi all'interpretazione della Manifestazione, essa ci apparirà più conforme alla sua essenza di pensiero dinamico in fase d'autochiarificazione, e potremo con minor fatica comprendere alcune implicazioni che al primo sguardo, appaiono come assurdità concettuali. Innanzi tutto, ricordiamo che l'Emanazione è sostanzialmente assai più articolata e complessa di quanto appaia dalle ideazioni normalmente vertenti sulla sua storia e sulla sua natura. L'Uomo oggi si raffigura un processo evoluzionistico coerente fin dalle origini con le sue odierne categorie d'autorappresentazione, ma naturalmente questo è valido solo nell'ipotesi che egli possa con la sua forma mentis attuale scorgere tutto l'abisso temporale da cui proviene: poiché la coscienza di sé è emersa nel Ciclo in epoche relativamente recenti, l'aspetto dell'Universo prima di quell'evento era quale il sonno profondo dell'Uomo poteva rappresentarselo, e - più generalmente - quale le Potenze Sephirotiche lo forgiavano come culla della sua nascita: un'interferenza fra questi due poli (distinti ovviamente per necessità esplicative, essendo la sephirah Malkut - o meglio il Regno - parte integrante del Glifo), uno assai oscurato e l'altro nel suo aspetto realizzato estremamente radioso, quanto tamasico in quello involutivo. Quel che ne derivò non può dunque prescindere dalla capacità d'osservazione e di autorappresentazione della persona, e cioè dalle sue facoltà introspettive. Per non divagare, diremo che, mentre la nascente coscienza dell'Uomo illuminava tramite le sue modalità evolutive (i jiva) alcuni aspetti del potenziale effettivo dell'Emanazione, i piani non attuati restavano egualmente nell'Idea complessiva dell'evento manifestante, e tuttora sussistono quali momenti dello spirito del Mondo Archetipale, rivolto all'evidenziazione di un suo aspetto interiore. Questo implica che esistano, nel nostro apparente passato ed esattamente dal momento in cui un barlume di consapevolezza è apparso nell'Universo, piani reali e come tali percepibili con tutte le loro valenze e reciproche interferenze entro uno spettro molto esteso e non infinito di possibilità, i quali non furono illuminati dalla coscienza storica dell'Uomo ma che in lui sussistono come aspetti inconsci ed effettivi della personalità, in un campo delimitato dalle concrete possibilità di scelta 184


che ovviamente, ai margini, si approssimano allo zero assoluto. Essendo questi piani "reali", sono sempre e comunque sperimentabili in adeguate condizioni di consapevolezza, e possono dare un contributo assai determinante alla formazione dell'Archetipo. E' dunque possibile tornare a vivere in un apparente passato? O in un remoto futuro? Teoricamente è possibile, se le condizioni interiori ammettono questo tipo di sintonizzazione, e se 1'Istruttore decide di guidare in tal modo il cammino della persona. Un futuro remoto potrebbe in effetti - e consideriamo esatta l'ipotesi - non presentare le tecnologie esasperate e gli intellettualismi che caratterizzano 1'attuale periodo, ma un più completo ed armonioso quadro d'integrazione dei jiva con sé stessi e il loro campo d'esperienza, il che potrebbe rendere possibili fenomeni d'interferenza addirittura per ora impensabili. Un altrettanto lontano passato, in un piano reale rimasto inattuato per differenti scelte, potrebbe rappresentare l'adeguato ambito di un'esperienza fondamentale per l'illuminazione interiore, senza alcuna preclusione per il vero processo evolutivo. Ma la normalità dell'ente mostra tuttavia un tal grado di rigidità coscienziale da risultare completamente soggetta alla legge causale determinante il vettore unidirezionale del Tempo. E' infatti difficilmente ipotizzabile che l'uomo della civiltà dei consumi possa concedersi uno spazio di libertà dall'effetto karmico che estrinseca la causalità nei suoi elementi più rigorosamente correttivi. E tuttavia la struttura del tempo come dimensione dello Spirito può ammettere varchi e emersioni d'esperienza singolarmente lontane dalle nostre comuni considerazioni: sarà nostra cura analizzare ciò che comporta tale dimensione interiore relativamente al momento storico in cui molti o alcuni di noi si confrontano con un difficile esito per l'intera nostra umanità. -O22) Prima di procedere in questo difficilissimo campo d'analisi delle categorie manifestanti fondamentali, è opportuno soffermarsi su un certo tipo di riflessioni. La storia dell'uomo, qualunque sia l'opinione sui suoi molteplici aspetti dimensionali, presenta un costante e drammatico esito: l'umanità sembra incapace di costruirsi un cammino emancipativo che comporti l'armonico sviluppo delle potenzialità positive e la progressiva scomparsa dei numerosi fattori antagonistici e devianti. Qualunque sia il giudizio che storicamente possiamo dare delle numerose dottrine metafisiche apparse nella nostra civiltà, dal cristianesimo al buddhismo, dall'esoterismo occidentale greco o egizio, al misticismo orientale non dualistico, nessuna di queste ha rappresentato un reale e definitivo riassetto della condizione umana conferendo un equilibrio davvero dinamico in vista d' acquisizioni future. L'attuale periodo in particolare - la cui realtà può essere presa come simbolo delle generali condizioni dell'uomo globale in questa zona dell'Emanazione - sta dimostrando in misura fin troppo convincente come la grande maggioranza delle individualità sia fuori da ogni indirizzo veramente evolutivo, e come le molte rivelazioni, metodologie, dottrine e filosofie non costituiscano né il patrimonio 185


culturale e spirituale dell'intera umanità, né un valido argine al diffondersi di una mentalità (prettamente occidentale) estremamente egocentrica, individualistica e possessiva. In certo modo questo periodo storico dimostra una componente profonda dell'anima umana: capace sì di darsi un centro di riferimento per il suo dispiegamento in attività espressive multiformi, ma insieme impedita ad uscire da questo stesso centro di individuazione con 1'integrazione fra tutti quelli esistenti nel processo autorappresentativo. Queste fenomeno sostanzialmente prescinde da tutte le metafisiche, dalle manifestazioni 'divine' della storia e del tempo, dalle dottrine rivelate e dalle argomentazioni che ne derivarono; ignora per di più il profondo richiamo dell'anima all'armonia e alla bellezza, all'unione e all'amore. Richiamo che pur traluce da tante attività ed opere dell'umanità, da molti momenti delle singole esistenze, testimoniando di un suo momento così profondo ed inascoltato da costituire insieme un monito e una indicazione di contraddizione con l'apparente realtà. E' possibile a questo punto formulare ipotesi che tolgano valore a tale richiamo? E' possibile accusare i Maestri del Santo Glifo di non svolgere adeguatamente i loro compiti, e di limitarsi ad impartire incomprensibili ed oscure teorizzazioni di un ben diverso substrato esistenziale? E' possibile reinterpretare le vicende dell'umanità in maniera affatto negativa, privandole di qualsivoglia finalità e svuotando tutte le rivelazioni di effettivo contenuto e di valore soteriologico? E' insomma possibile ridurre tutte le esperienze dei mistici, degli asceti, dei veggenti, degli yogi ricercatori d'ogni cultura e latitudine - a fantasmagorie soggettivistiche, carenti di quel valore universale e concreto che a loro è stato nei secoli attribuito? E' possibile. Incontriamo cioè - in questo difficilissimo momento del divenire dello spirito - un dubbio fondamentale e completamente distruttivo che dobbiamo dissolvere, se vegliamo davvero compiere un passo definitivo su un sentiero di vero progresso verso le finalità dell'Emanazione. E' stato osservato che non esiste in tutta la storia dell'anima umana (che è poi la vera storia) un momento non suscettibile di diverse e talora opposte interpretazioni: e che la testimonianza dei Maestri non è valida che come indizio e base di ricerca personale, se si vuole davvero essere i protagonisti del proprio iter spirituale e del proprio destino. C'è in queste affermazioni un profondo pessimismo ed insieme un potente anelito all'esaurimento dei dubbi esistenziali in un'esperienza che sia insieme illuminante per il singolo che per la generalità, in quanto suscettibile di conseguenze non solo nelle coscienze ma anche in tutti i campi operativi che ne vengano interessati. E tutto questo secondo un criterio d'analisi così obbiettivo da potersi a buon diritto definire scientifico. E' certo che la Realtà emanata è spirito in divenire per quanti abbiano accettato questa interpretazione con adeguate motivazioni e non per coloro che non l'abbiano accolta: in costoro, l'insieme delle convinzioni e dei fattori obbiettivamente esistenti nelle coscienze può determinare un ristagno evolutivo e talvolta addirittura un'involuzione. Ma in ogni caso, tutte essendo realmente e comunque spirito, le acquisizioni interiori di coloro che più ne hanno 186


compreso l'essenza non possono non influire sul tutto, e particolarmente su quegli aspetti grossolani che noi chiamiamo 'materia' e 'mondo oggettivo' ignorandone la continuità ontologica. Se poi vogliamo intendere la realtà come un processo inerziale di vettori energetici, non possiamo negare che questo fenomeno si direziona dal grossolano al sempre più sottile; e che il punto attualmente più rappresentativo del divenire vitale non è certo la roccia amorfa ed immobile, ma 1e dinamiche forme viventi che pure ne conglobano in sé le componenti fondamentali; ma che non sembrano essere comprensibili come un'evoluzione da un magma indifferenziato tanto impersonano la mobilità, la diversità e la specificazione, e al punto da generare un aspetto assolutamente impalpabile ma estremamente energetico: il senso dell'Io, il pensiero e la consapevolezza. Eppure questo prodotto finale dell'evoluzione appare ancora come frazionato, impotente e soggetto alle più inerziali e grossolane evenienze causali; incapace d'informare positivamente e liberamente il dinamismo dell'esistente e apparentemente capace di suscitare solo il desiderio di una felicita non precaria e permanente, e il senso di un'invincibile inadeguatezza a conseguirla. E' come se lo spirito, e il suo momento più alto e unitivo, l'Amore, rivelassero oggi più che mai - la loro impotenza di fronte al meccanicismo delle cose e delle attitudini stratificatesi nella storia, e questo smentendo le promesse delle religioni, delle dottrine variamente esoteriche e di tutte le metodologie soteriche; le quali possono perfino essere intese come momento acquisitivo dell' “Io”della propria centralità nell'esistenza, o come elemento di suggestione autoindotto con tale potenza compensatrice da informare tutta 1'individualità: allucinazione psichica in gran parte condizionata da elementi inconsci, o la determinazione di un egocentrismo incapace come tale di proiettarsi fuori dal campo esistenziale dell'individuo per determinare effetti concreti nel grande tessuto dell'Uomo e della Vita. Sono queste, concettualizzazioni inquietanti, che esigono risposta. I credenti, e gli appartenenti alle diverse correnti spiritualistiche ed esoteriche, possono affermare che sono esistiti Maestri, personificazioni divine portatrici di Legge e di Verità: il mondo è stato come sommerso da questi messaggi, e l'umanità ne ha tratto fedi esclusivistiche, dogmi, interpretazioni differenziate e sovente antagoniste, pur quando derivavano (il ché è indubitabile) da un comune centro d'irradiazione. Le guerre di religione sono esistite ed esistono ancora; le dogmatiche si scontrano e presumono ognuna di rappresentare l'unica ed inconfutabile verità fondando quest'asserzione (talvolta temeraria e smentita puntualmente dai fatti) su un Verbo incarnato, per ciò stesso indiscutibile testimone del Volere supremo. Eppure nulla di tutto questo ha impedito la degenerazione dell'uomo nel corpo, nell'ambiente e nello spirito;| nulla di tutto ciò allevia e dissolve il dolore; nulla dissipa il dubbio fondamentale che - nel prevalere a livello mondiale della cultura occidentale - si diffonde a macchia d'olio sulle fedi e sulle testimonianze del passato. In effetti da cosa nasce questa dolente e tremenda incertezza? La risposta è univoca, e determina altre e più inquietanti domande: nasce dal silenzio del Divino, 187


dall'impossibilità di portare il Divino sul piano dell'Uomo, dall'incapacità - apparente o reale che sia - del Divino di assumere un aspetto univoco ed interferente con la storia dell'umanità al punto di determinare un univoco vettore di realizzazione dei fini della Manifestazione. A questo centrale e finale problema dedicheremo la nostra attenzione, e cercheremo - prima di procedere ulteriormente nell'analisi dei campi de1l'esperienza un criterio oggettivo che consenta il superamento del dubbio e una fede concretamente fondata nel destino dell'Umanità. -O23) La nostra analisi ci ha portato a considerare la realtà del Divino come opinabile, se non fondata su una concreta esperienza, che sia talmente evidente da non consentire dubbiose interpretazioni, e tale da determinare il fondamento della stessa costruzione metafisica. Questo tema, dibattuto nei secoli, è stato la base del pensiero orientale, ed è la sola strada che conduca ad un metodo non di arbitrarie argomentazioni, ma di sostanziale fede in ciò che si spera sia la verità dell'Essere. Occorre quindi che l'esoterismo determini un contatto con la Realtà trascendente ed insieme immanente dello spirito o - più esattamente - all'emersione di tale Realtà nel suo ricercatore. Quest'assunto è basilare, perché non può ammettersi un "credo" che si fondi solo su se stesso senza un supporto d'esperienza sufficiente a sorreggerne la fede. Se ciò accade - e purtroppo è avvenuto nei secoli, soprattutto nella cultura occidentale - si aprono le porte al dogmatismo e all'intellettualismo più incontrollati, con tutte le intolleranze e gli autoritarismi che s'evidenziano nella frantumazione della comune origine della Tradizione in miriadi di settarismi più o meno fortunati. Conseguentemente, scopo e termine dell'istruzione di un allievo è l'esperienza concreta, oggettiva e personale della Verità, alla quale è chiamato a portare il suo particolare contributo d'indagine, di conoscenza e d'esplicazione. Come tutta la vita insegna, nulla è definitivo nel campo del divenire, finché non sia percepita la fonte interiore dell'esistere che è puro Essere. Pensare che esista un dogma, un dato, un'opinione o un'esperienza (e qui richiamiamo l'attenzione del lettore sull'importanza di quest'indirizzo) che siano non perfettibili, non suscettibili d'approfondimento, non completabili e comparabili con altri dati, acquisizioni e conoscenze è errore insieme tragico ed infantile, che comporta inevitabilmente la correzione karmica della distorsione che ne consegue. Ma tutto questo è ancora incompleto ed incomprensibile se non aggiungiamo un'informazione sulle metodologie d'insegnamento e di formazione adottate dall'Ente Sephirotico in generale, e comunque applicato all'attuale momento dell'evoluzione. Esaminiamo quindi obiettivamente e spassionatamente cosa indichi la continuità della storia e la nostra stessa individuale esperienza, per dissipare con un criterio adeguato d'interpretazione il numero di dubbi che ci intralcia il cammino. 188


Se meditiamo a fondo sull'intera Emanazione, ed interpretiamo i simboli e i miti che l'evidenziano, vediamo che nulla è lasciato al 'caso' e nulla è completamente donato; che non esistono 'leggi' capaci di definire una volta per tutte il comportamento concreto dell'umanità, così come non esistono idee che non ammettano - pena la loro sterilità e decadenza - una evoluzione conoscitiva di comprensione e d'esperienza. Non esiste un dato che non esiga d'essere comparato e illuminato nell'integrazione con altri dati, magari, dedotti da altre culture e civiltà. Cosi è nella ricerca scientifica delle realtà apparenti del mondo formale che sono esse stesse evolutive, e quindi non ammettono rigide configurazioni prive di ampliamento e dinamismo, e più a ragione per la Scienza di tutte le scienze, quella che si occupa delle cause, delle basi e delle finalità dell'esistente. Ciò, come è ovvio, rende massimamente arduo il compito dell'uomo in generale e del ricercatore in particolare, perché non esiste un principio che non debba essere costantemente indagato, un "credo" che non ammetta un dubbio interpretativo, una conoscenza che non riveli 1'insufficienza delle sue nozioni, la necessità di un ulteriore approfondimento e di una compenetrazione con altre conoscenze ed altre esperienze. Il Divino non agisce - checché alcuni ne argomentino - per elezioni e preferenze le quali non siano determinate da fattori oggettivi causali storicamente emergenti: un 'popolo eletto' per esempio lo è finché è veramente capace di adeguarsi alla maturità interiore attualizzabile nel momento considerato, diventando così il portatore di un apporto di verità nei confronti di culture più retrograde. Ma tale status vien meno o si dissolve non appena la rigidità intellettuale sostituisce la testimonianza vivente dello spirito, e il dogmatismo - formalizzante ed intollerante in tutte le sue esclusività prende il posto della sostanza interiore, dinamica e naturalmente aperta ad ogni reale progresso dell'essenzialità umana. In queste parole è sottinteso e racchiuso il metodo che il Glifo Sephirotico sembra utilizzare in queste contingenze dell'evoluzione, e cioè in un periodo di tempo talmente esteso o concentrato - da non poter essere neppure immaginato dai dotti interpreti delle capienze altrui. Questo metodo, certamente coerente e severo, è rappresentato da un costante incitamento (sia con gli strumenti karmici che con quelli, purtroppo ormai rari, del diretto ammaestramento) all'introspezione e alla obbiettiva ricerca: libera da vincoli e schemi che non siano quelli - d'altronde non rapportabili a dette terminologie dell'intuizione dell'identità ontologica e della fraternità d'amore. Non vogliano però ora parlare del supremo momento dell'Amore, il quale è "essere", puro e libero da ogni impedimento limitante la sua originaria vitalità espressiva; esso è l'acquisizione fondamentale, finale e di per sé sufficiente all'attuazione della oggettiva libertà. Ora vogliamo incontrarci con un assetto che dall'amore procede e all'amore conduce, come una scala vertiginosamente protesa verso l'infinito. Vogliamo ora incentrarci sulla consapevolezza almeno intellettuale della comune natura di tutte le forme, e della identica nobiltà dell'esistente, perché è con questo criterio interpretativo che sentiamo possibile la scalata della vetta - altrimenti 189


inaccessibile - della reale sapienza di noi medesimi e dell'intuizione del Tutto/Uno. L'Albero della Vita non dona anche se dona: Egli mette l'uomo in condizione di raggiungere con i propri mezzi, con l'opportuno insegnamento e l'adeguato sostentamento, la capacità di realizzarsi e di essere, anziché ridursi a un sempre più povero 'esistere'. Non vengono quindi concessi aiuti, interferenze o sostegni che non siano profondamente finalizzati a questa fondamentale ricerca, ed addirittura proprio coloro che più s'adoperano per l'individuale successo risultano i più esposti al rigore delle Potenze Sephirotiche, nei limiti e nei termini resi noti dall'insegnamento iniziatico: perché se dimostrano di possedere un vettore di realizzazione personale, possono e devono condurlo al più alto compimento compatibile con il loro stato d'emancipazione. Solo quando l'indagine - sempre faticosa e sofferta - ha prodotto i suoi frutti, e compare un nuovo barlume d'intelligenza sapienziale nel jiva, l'Istruttore potrà concedere il compimento dell'impegno, determinando nel contempo le basi per un nuovo e più incisivo progresso. L'intendimento è semplice: l'Uomo è immagine reale e non allegorica della Idea trascendente, che è Assolutezza in un particolare punto espressivo: per essere al suo livello, la personalità autonoma deve coincidere per quanto le sia possibile con l'ideazione informante, riproducendone coscientemente le infinità di valenze con progressiva, libera determinazione. Compito dunque estremamente alto e comprensibile solo nell'ineffabile esperienza trascendente, che per questo non ammette obbiezioni. L'Uomo, che attualmente appare come la caricatura presuntuosa e temeraria della sua vera natura, deve rendersi degno del suo esistere e della sua essenziale appartenenza al Divino: questo compito fondamentale non è delegabile ad alcuno, perché rappresenta la motivazione profonda del suo apparire come entità autocosciente. Abbiamo esposto in sintesi ciò che non è facile reperire e comprendere senza un itinerario soteriologico ed iniziatico preciso, e speriamo che il lettore ne faccia buon uso. Se all'uomo è stato concesso che questo schema di procedimento venga comunicato, l'uomo che lo riceve ha il compito di farne buon uso, approfondendolo e perfezionando con il suo personale contributo. Solo quando si saranno saturate le valenze spirituali rese disponibili dal processo cognitivo e dalla maturità interiore, l'Albero dell'Esistente darà la necessaria testimonianza della sua vera natura riflettendosi ed attivandosi nel jiva secondo le sue reali qualificazioni. Non un semplice dono, ma un naturale, necessario e inderogabile processo nel cammino dell'Essere, che è il cammino dell'Uomo. Il dono - semmai - è l'uomo che se lo concede, sfruttando le opportunità e le contingenze della dimensione karmica nel suo campo d'esperienza, e determinando conseguentemente la potenzialità e l'effettualità d'interferenza di altre Intelligenze a ciò ordinate. Se 1'uomo preferisce credere che basti alla Divinità un formale ossequio, una formale adesione a codici di relazione, che hanno il solo fine di determinare un 190


concreto atteggiamento d'analisi interiore libera ed autonoma nelle determinazioni, avrà solamente quello che si sarà meritato: la forma priva d'essenza, il divenire coatto con tutte 1e sue tremende implicazioni e non il divenire nell'Essere che del divenire è signore. Ma ciò basta ed avanza per il nostro lettore, che deve percepire e sapere di per sé 1'importanza di quel che gli abbiamo portato, e le innumeri implicazioni che tale conoscenza assume nei confronti degli indefiniti aspetti dell'ambito esistenziale. Ritorniamo dunque al nostre tema principale, che è ancor lontano da un sia pur approssimativo compimento, tenendo ben presenti i dati antecedentemente esposti e le conclusioni che indicano per il nostro itinerario iniziatico. -O24) La nostra indagine deve dunque partire da un punto fermo che, fondato su di un personale apporto conoscitivo, renda possibile quel particolare atteggiamento dello spirito detto "Fede". La mancanza di questa componente non impedisce di per sé la ricerca, ma la rendo inefficace e poco conclusiva anche sul piano teoretico, perché viene a cadere quel momento di sintonia con l'Interità tanto indispensabile per il risveglio delle potenze interiori. La particolare forma mentale dell'allievo è qui l'elemento puntualizzante che si deve tenere in primaria considerazione: se un soggetto è incline all'Astrazione metafisica e all'indagine speculativa, questo implica la necessità d'assecondare con le opportune e indispensabili correzioni questa direzionalità. In tal caso la base d'esperienza non dovrà mancare; ma sarà assai generica, e gli effetti nell'ambito tridimensionale saranno quelli derivanti dall'applicazione di principi viventi universali a una realtà vista solo sotto un determinate profilo. Diverso è il caso dell'allievo che abbia una spiccata attitudine all'attività pratica e sperimentativa, che si vuole coerente con le finalità dell'Emanazione. In quest'ipotesi, i principi applicabili dovranno assumere necessariamente il carattere di fattori incidenti nel campo “esterno”, e metteranno in moto serie causali di caratteristiche specifiche variamente definite; da queste si potrà sempre dedurre la 'legge' generale del momento storicamente vissuto, con un processo inverso a quello in precedenza considerato, nel quale il Valore si veniva specificando in concrete e particolari puntualizzazioni, ma veniva dall'operatore prioritariamente considerato - a livello conoscitivo - per se stesso. Naturalmente è improbabile che un individuo presenti queste specificazioni e caratterizzazioni in modo esclusivo e perfettamente definito: c'è però in ogni caso un elemento predominante della personalità che non può venire minimamente sottovalutato, pena forzature psicologiche sempre adducenti rischi e paralisi. Tutto questo discorso allude alla necessità di considerare con la massima attenzione la qualificazione via via emergente nell'allievo dell'Amore: non tanto per 191


quel che allo stesso appare in un determinato stadio del suo cammino realizzativo (il che potrebbe perfino riuscire alla lunga fuorviante), ma bensì per quanto è effettivamente insito nelle potenzialità dell'Idea matrice che la emana. Ovviamente un simile dato può essere noto solo a un Maestro davvero qualificato, che lo discerne nell'estesissimo ambito di virtualità e potenzialità costituenti la personalità nelle sue possibili estrinsecazioni. I metodi sono molteplici e non è certo il caso qui di menzionarli, mentre è invece importante sapere che tutti devono venir applicati nel pieno rispetto della libertà d'autodeteminazione del jiva. In caso diverso, non solo emergeranno difficoltà d'ogni genere, ma si agirà in modo ostativo nei confronti delle finalità della Manifestazione, le quali non vogliono un'Entità schiava e servile al cospetto del suo Creatore, ma un'Idea vivente capace di riprodurre in sé e a sé la libertà e l'amore che l'hanno generata. Anche da quest'ultima analisi si può dedurre l'equivoco in cui incorrono (e purtroppo talvolta con gravissima malafede) le molteplici confessioni e metodologie iniziatiche di queste periodo storico: dalle loro posizioni teologiche e metodologiche si può facilmente inferire il grado di verità che riescono ad esprimere, che può essere talvolta elevato nonostante un'improprietà e un'eccessiva approssimazione della direzione realizzativa, e che è sovente bassissimo nonostante i conclamati valori morali, etici o di rivelazione che si vogliano addurre a sostegno. Non vogliamo esprimere giudizi nei confronti di movimenti religiosi o settari particolari, nei quali talvolta emergono personalità notevolissime a prescindere dalle idee professate, per l'amore e l'abnegazione con cui le vivono e le applicano. Come sempre i sentieri presentano al principio un miscuglio di verità ed errore, capaci di indirizzare le persone in uno dei due vettori logicamente concepibili (realtà iniziatica o illusione): perché una mezza verità si riesce a completare solo se si identifica il mezzo errore che l'accompagna, ed è purtroppo alquanto più facile che quest'ultimo sia coperto, nascosto e giustificato dalla presenza della prima. La capacità discriminatoria è dunque la qualità che deve essere sempre e comunque attivata, affinata e puntualizzata nell'allievo, in quanto costituisce il fondamento e la salvaguardia della sua libertà. Senza un potente momento d'analisi e di sintesi, senza un giudizio obbiettivo ed impersonale è possibile che le infinite suggestioni del samsara e della Maya (la quale è presente - ricordiamo sempre anche negli universi sefirotici che non abbiano raggiunte la propria realtà) adeschino e deviino le tendenze insite nelle personalità, con risultati alle volte imprevedibili. Detto questo possiamo addentrarci in un'indagine più puntuale su aspetti del campo operativo, e tentare con opportuni esempi e deduzioni di renderlo intellegibile al lettore. -O25) La nostra disamina è comunque un'ipotesi che il lettore deve personalmente 192


controllare, perché è fin troppo facile tessere orditi e trame concettuali affidandosi solo alla propria capacità speculativa, e alle tante teoretiche che hanno fino ai nostri giorni offuscato ben più che illuminato l'esistenza degli uomini. Se un'ideazione deve esser meditata, è quella che l'umanità è stata sovente ingannata ed ancor più sovente fuorviata proprio da coloro che si sono improvvisati e proposti come 'maestri' di vita, finendo con l'imporre (per l'insufficiente capacità discriminatoria dei loro seguaci) punti di vista assai opinabili, che alla lunga hanno determinate l'insorgere d'innumeri sette in reciproco antagonismo, e l'attuale indifferente atteggiamento comune nei confronti della ricerca spirituale. Questo atteggiamento è generalmente condiviso, e deve quindi esser compreso nelle sue cause e nei suoi effetti. Se noi non sapremo di conseguenza dimostrare a fatti e non con artifici mentali la nostra buona fede e la verità di quanto riferiamo, questi nostri scritti dovranno esser trattati alla stregua di un'ulteriore e talvolta inutile elucubrazione sui "principi", con il rischio che al limite divengano la dimostrazione opposta: sia della loro attuale inaccessibilità da parte nostra che di una relativa o completa imperfezione delle tesi adottate. Non è certo ora il caso d'enunciare particolareggiatamente l'atteggiamento di onestà e obiettività che il lettere dovrebbe - a nostro giudizio - mantenere comunque sia verso di noi che verso se stesso; vogliamo in ogni modo riassumere - e non sarà inutile - alcune nozioni d'importanza determinante. Innanzitutto, non l'attività intellettuale ma l'esperienza concreta è il fondamento di qualsivoglia metafisica degna di rispetto, che rappresenti un vettore adeguato d'avvicinamento al Principio; le caratteristiche di tale esperienza devono però essere tanto esaurienti da non lasciare arbitrarie zone d'ombra nella loro interpretazione. In un certo stadio della sua ricerca infatti l'allievo può darsi ideazioni che assumono aspetti allucinatori di varia natura, non escluso quello - insidiosissimo - del contatto effettivo con differenti realtà. Egli può perfino illudersi d'afferrare la pienezza e la verità dell'Esistente a livello interiore, intuitivo e di per sé evidente per l'incidenza dell'esperienza incontrata. Questo fattore, ripetiamo, può essere l'ostacolo più formidabile sul cammino iniziatico, e può anche dipendere in certi casi da un contatto impreciso con forme/pensiero del campo esistenziale, capaci di determinare fenomenologie di varia natura, insolite ed inspiegabili all'uomo comune. Un inizio di risveglio in questo caso può ovviamente sussistere, ma è erroneo al massimo grado scambiare tutto ciò con il vero risveglio, e con la realizzazione della propria natura ontologica. Dobbiamo infatti considerare attentamente il momento storico del Kali-Yuga e che ciò implica non la sua ristretta incidenza nel nostro campo di percezione, ma anche quella - ben più vasta ed inquietante - nelle zone del Glifo che sono coinvolte da una degenerazione così incidente da emergere e condizionare la nostra stessa autorappresentazione. Occorre dunque adottare un criterio obbiettivo di valutazione e un atteggiamento discriminante capace di togliere i veli esteriori oltre che interiori della Maya, ponendoci nella giusta prospettiva d'esperienza. 193


Che effetti della nostra ricerca esistano nella esistenza è certamente condizione inderogabile e necessaria; ma è altrettanto inderogabile e necessario che queste 'fenomenologie' appaiano conformi ai principi che devono evidenziare, e non siano casuali ed incoerenti con l'atteggiamento dell'allievo e con le ideazioni da lui più maturate in se stesso, perché in caso contrario esiste qualcosa da accertare e approfondire, e può rendersi necessaria una profonda verifica del proprio stato interiore e la conseguente mutazione di direzione. La base di ogni nostra affermazione è che la Manifestazione è atto d'amore, che quest'Amore è d'infinita profondità, e che la realtà dell'Idea Emanata sia voluta dall'Ente Supremo come libertà d'espressione e d'autodeterminazione: entro (e non separativamente) l'assoluto Cit del Brahman. In sintesi, noi siamo il Brahman nel Brahman, ed esistiamo quindi veramente solo con il Brahman. La zona delle Entità esistenti è la zona dell'autocoscienza emanata, che è ontologicamente identica all'Autocoscienza Emanante, ed ha un aspetto da quest'ultima ordinato e determinato: sapere di esistere come autonomia di vita ed intelligenza, e sapere di essere "una" con l'Assolutezza. Ciò implica insieme un aspetto "divenire" ed un aspetto "essere" nella creatura, e questo è il mistero più insondabile, il quale riproduce - in scala inferiore e derivata - il supremo interrogativo che incontriamo nel tentar di comprendere il nostro Creatore, sintesi d'opposizioni nelle quali l'immobilità e il movimento, la perfezione e il divenire, l'Essere e la sua creatività sono trascese in un "Reale" ineffabile: oltre cioè tutte le capacità discriminatorie, intuitive, immaginative e intellettive dell'ente emanato. E' in questa direzione che deve muoversi l'analisi dell'allievo, e non in quella estremamente vivida quanto, a nostro parere, illusoria - del conseguimento dell'aspetto indifferenziato dell'Essere che, lungi dal rappresentare l'ultima verità, è semmai intuizione dell'unità assoluta ma non coglie l'assoluta specificazione di questa stessa Realtà, che coesiste certamente nell'ineffabilità del Brahman: e che può pertanto rappresentare nel meditante un certo tipo di percezione del suo stesso limite, che può forse coesistere nel samhadi con la stessa sapienza della divina creatività. Se le realizzazioni dell'allievo sono giustamente finalizzate, se è presente la capacità discriminativa, se le conclusioni evidenziano la sua coerenza con l'Idea brahmanica che lo informa (base ontologica del suo esistere nell'Essere) appariranno effetti non illusori ma fluidamente consequenziali e finalizzanti: ed essi saranno insieme strumenti dell'azione salvifica del Brahman e della Sua figlia, l'Interità, e simboli di trascendenti verità: da comprendere, perseguire ed acquisire a livelli sempre più ampi di coscienza. Tutto ciò è ancora insufficiente, se non viene compreso e vivificato nell'allievo e nel suo campo esistenziale il principio basilare dell'Emanazione: l'Amore infinito, incondizionato e non condizionante dell'Assoluto per la creatura che ha reso viva ed operante. L'Emanazione non ha infatti il 'semplice' scopo (che di per sé sarebbe già eccelso) d'arricchire il Mondo delle Idee viventi di un nuovo Ente libero e luminoso, ma anche quello - ancora più alto ed informante - di strutturare l'intera Zona 194


dell'Autocoscienza autonoma (il Mondo Archetipale derivato dalle supreme idee brahmaniche: gli Archetipi trascendenti del Cit, identici all'Assolutezza in sé stessa considerata) in un nuovo e più perfetto assetto, che consenta 1'avvicinamento e l'approfondimento dell'Idea unitaria, contemplata dal Brahman nella sua infinita coscienza. Se l'allievo agisce in modo esatto, la sua attività è conforme al volere divino, ed esplica liberamente (e talvolta impersonalmente) un vettore coerente alla sua essenzialità. Egli agisce senza agire, perché il suo fine ultimo è divenire nell'Essere, impersonificando la volontà del Padre, il quale è l'elemento dinamico supremo: ed in questa volontà recupera ed attualizza la sua stessa autonomia e creatività. Quindi, tanto gli effetti di ogni genere d'acquisizioni interiori che le valenze evidenziate dal processo realizzativo devono apparire ad ogni e più rigorosa analisi coerenti sia al Mondo Archetipale che con i concreti fini - generali e particolari dell'Emanazione. L'allievo ha dunque un aspetto dinamico attuato, e questo lo conduce a modificare opportunamente ed autonomamente il suo campo d'esperienza e - di conseguenza e per necessità - i campi esistenziali più prossimi e con il suo sintonici. Tali considerazioni ci inducono a trattare, nel seguente paragrafo, l'aspetto d'interferenza reciproca dei vari campi reali, e ricordare come essi rappresentino polarizzazioni della coscienza, e non altro che polarizzazioni, per ciò stesso soggette ad assumere le forme e le colorazioni da questa volute non appena in lei s'attivi un principio di vera libertà. Di tale argomento, e di conseguenze non immediatamente evidenti, parleremo a lungo nelle pagine future. -O26) L'interferenza di un campo reale con quelli a lui più consoni e immediati è fenomeno estremamente complesso, che non può essere esaurito né con il presente studio né con i tanti che potrebbero seguirlo: è conseguenza primaria del fatto che il campo soggettivo d'esperienza null'altro è - in sintesi - che un aspetto del campo primario costituito dal processo emancipativo dell'Uomo Cosmico in tutte le conseguenze derivate dalla perdita della primaria identità. Ma il campo individuale non è costituito, come dicemmo, semplicemente da quanto è illuminato dalla coscienza, perché in effetti il nostro ambito di esistenzialità viene costituito da tutti i piani potenziali oltre che da quello percepito attraverso i sensi e l'organo interiore. Questi campi coscienziali di potenza sono determinati e condizionati dal karma, immanente in varia misura e a sua volta specificato in "individuale" (intrinseco alla personalità e al momento) e "generale". Nel 'generale' possiamo poi distinguere il 'gruppo d'appartenenza' e 1a globalità, intendendo per 'gruppo' un certo numero di persone affini per tendenze e intrinseche qualificazioni, e per questo collegate da un 195


comune aspetto del continuum globale, come la collettività culturale, nazionale e più genericamente umana quali appaiono nel momento del processo evolutivo considerato. Non dobbiamo infatti dimenticare - il che è facile, data la nostra struttura di pensiero - che il tempo apparente unidirezionale della Manifestazione è in effetti, diremo con S' Agostino, una dimensione dell'anima, e può assumere multiformi aspetti. Senza addentrarci nell'intricato problema di come quest'ultimo fattore inerisca ai campi d'esperienza particolari e collettivi, diremo in sintesi grossolana e sommaria che la logica profonda è quella propria dell'Interità, e quella apparente risulta determinata dalla autocoscienza dell'Uomo Globale in evidenziazione, e specificatamente da quella dei jiva - imponderabili per numero - che 1a evidenziano. Poiché questi ultimi sono nella generalità incapaci di percepire la realtà dell'Emanazione, ma la maya che costituisce l'immediatezza del loro divenire secondo la legge causale, il tempo risulta direzionato verso un punto detto "futuro" e proviene dal punto - coscienziale e nulla più che coscienziale - che chiamiamo "passato". Agli occhi delle entità angeliche il processo è invece un'Idea che si definisce, e appare come svelamento globale nel quale passato, presente e futuro sono per così dire un identico piano; ben diversa pertanto è la posizione che Esse devono assumere quando decidono di partecipare all'emancipazione di una personalità che abbia evideinziato una possibilità d'interfenza. In tal caso le Entità suddette assumono con estrema semplicità la forma mentale dell'uomo, e si mostrano in tutto simili a lui nella struttura di pensiero e, quando occorra, nell'aspetto formale. L'antropomorfismo che tanto ha caratterizzato la ricerca e 1e religioni storiche nasce anche da questa antica esperienza della trascendenza, la quale non poteva esser vissuta che nelle categorie di percezione e di coscienza attualizzatesi nell'interiorità del singolo. Naturalmente c'è il rischio di un grossolano fraintendimento, reso possibile e dalle strutture di pensiero individuali e dall'impossibilità di modificarle radicalmente per sapienza indotta, o completarle armoniosamente senza che si evidenzino prioritariamente modalità di pensiero e d'autocoscienza atte a sostenere l'impatto con simili fenomenologie. Perché il pericolo maggiore che l'Interità incontra nel suo compito di guida (che non è per nulla eliso dal giudizio divino sul suo operato, poiché l'Interità deve liberamente esprimere sé stessa nell'attuazione dell'Idea creatrice) è quello di sostituirsi alla spontanea ed autonoma determinazione dell'uomo, e questo comporterebbe una contraddizione in termini inevitabilmente causa di danno e dolore. Non è compito facile ma piuttosto al limite estremo delle pur immense capacità intuitive, immaginative e razionali dell'Albero Sefirotico, ovviamente inteso nella sua qualità d'emanazione d'Idee Archetipiche Assolute che ne costituiscono l'Atma, il Sé e che si personificano come "Arcangeli" costruttori della volizione brahmanica: conseguenza fondamentale di queste considerazioni è che l'Interità può condurre a termine il suo compito solo con il Brahma, legando in Amore le sue indeterminate modalità e sciogliendo i limiti egotici che costituiscono l'ostacolo massimo dell'emancipazione. Nel ché - diciamolo per inciso - si manifesta nel grande 196


e nel piccolo, nell'Interità e nelle personalità quel potere di unire e sciogliere che Gesù indicò a Pietro, e che a torto fu posto alla base di un potere storico malamente esercitato dalla classe sacerdotale. Il nostro tema deve necessariamente svolgersi in presenza di questi fattori di valore generale, e occorre che sia più intuito che razionalmente e logicamente analizzato, poiché siamo in un dominio appartenente per un aspetto all'uomo storico e quindi comprensibile con i suoi effettivi mezzi di consapevolezza fino ad un certo punto - e per la più parte attinente ad un ordine sapienziale che trascende quei mezzi stessi. Quel che non è nei sensi (esperienza) non è nell'intelletto: quest'antica verità è la base per la comprensione dei limiti della mente empirica. Certo, noi usiamo concetti come "Assolutezza", "infinito", "atemporalità" etc., ma essi non esprimono un reale contenuto sapienziale, ma solo ciò che è oltre la consapevolezza, e che nasce proprio dalla conoscenza del limite. Qui non occorre soffermarsi su questo sottile problema, e ciò che diciamo basta ed avanza per i nostri scopi; aggiungiamo solamente che il "nome" della "cosa", o idea, o astrazione, può dare l'illusoria fiducia d'implicarne la sapienza, e quanto questa convinzione sia falsa lo dice la storia dell'umanità. La nostra indagine ora come ora verte sui campi d'esperienza, e cioè su quegli aspetti della realtà globale che sono coscienzialmente percepiti; gli altri problemi e disamine verranno affrontati in diversi momenti secondo il loro emergere nello svolgimento del tema. La prima domanda è: perché e in qual misura interagiamo con ambiti limitrofi dell'Idea generale evolutiva? La seconda: in quale ambito possiamo effettivamente modificare questi campi e renderli armonici l'un con l'altro e con l'Idea informante dell'Interità? Esaminiamo dunque il primo aspetto; abbiamo già detto che ogni realtà coscienziale è polarizzazione dell'autoconsapevolezza dell'Uomo Globale, ma abbiamo anche affermato che la "monade” è - apparentemente - senza finestre. La Monade è cioè un momento dell'interiorità che rappresenta imperfettamente sé a sé stessa, e quindi le categorie di percezione e di conoscenza sono primariamente quelle del jiva; ora, se la configurazione del campo esistenziale assume l'aspetto consentito da dette strutture, il fenomeno che determina la loro estrinsecazione non dipende solo dall'individualità considerata, ma anche dagli impulsi che le giungono da un “esterno a lei", da essa tuttavia conosciuto solo come interiorizzazione e nei modi e nelle forme consentite dal suo grado evolutivo. Qui l'Io - inteso non come semplice punto di riferimento delle azioni compiute ma come complesso energetico vitale in divenire (e ci si perdoni la momentanea arbitrarietà di confondere l'Io con il Jiva) - è davvero, come affermava con ragione Kant il legislatore della natura, dimostrandosi però incapace di raggiungere immediatamente le fonti sottili della rappresentazione. Ma il fermarci a tale considerazione ci precluderebbe il processo emancipativo; la coscienza personificata è davvero capace di risalire alle origini della percezione, l'infrangere le barriere del relativismo immedesimandosi - senza negarsi - nella Realtà profonda che sottintende 197


alla Maya. Dobbiamo pertanto, per comprendere questa Realtà, conoscere insieme le possibilità ed i limiti immanenti al nostro attuale momento, e rimuoverli utilizzando a tal fine sia quanto ci sia potenzialmente ed attualmente disponibile, sia determinando le basi di una interferenza con quel che ci è 'a lato' e con quanto ci sovrasta in un'altra dimensione dell'Esistente. Poiché la Monade è conseguenza della rappresentazione condizionata dalla sua stessa storia, dal Karma e dalle imperfezioni e realizzazioni immanenti, per superare questa barriera occorre che essa acquisisca in sé il Principio informante, nel quale vedrà rispecchiato - concretamente, realmente e compiutamente - il contesto generale in cui si configura e - nel processo d'interiorizzazione - l'Idea stessa che l'ha emanata e a cui tende. La strada della conoscenza è dunque prioristicamente rivolta non all'esterno ma al Centro spirituale, specificatamente per acquisire le modalità di espressione di valenze assopite; quando tali modalità vengono attivate, la monade (attraverso il suo veicolo formale) agisce nell'ambito delle altre monadi a lei più affini: se qui si determina in tutte un comune processo di svelamento del Principio unitario, la rappresentazione sensoriale oggettiva (sempre più informata da una percezione del reale veramente adeguata) consentirà d'afferrare il substrato unitivo profondo, ed in lui attingere immediatamente e direttamente la verità del momento e quella finale. L'attività della monade è essenzialmente un'interiorizzazione del suo mondo coscienziale, un viaggio in interiore cordis; ma nell'Idea/persona è sempre ed estremamente inerente l'aspetto formale che la rappresenta sinteticamente mettendola in relazione con le altre personalità. L'aspetto formale, che ci appare come realtà oggettiva, esterna, tridimensionale, perde progressivamente il suo assetto inerziale poiché viene vitalizzato dall'interno: ma questo cammino è arduo, e reso difficoltoso dall'immanenza della coscienza dell'Uomo Globale e di quella sua specificazione che è l'Uomo della Terra. Esiste un campo Karmico consolidato e potente nella sua generalità, oltre a quello certo non lieve dei singoli jiva: per affrontare questa immensa mole di fattori causali che procedono in vettori inerziali d'evidenziazione occorre un certe tipo di impegno e di approccio. Lo sforzo non è semplicemente diretto al perfezionamento della propria natura singola, come certi moralismi implicherebbero, e non è neppure semplicemente diretto a un filantropismo incapace di modificare il tessuto globale, pur se provvede a specifici bisogni del periodo storico e di particolari persone. Lo sforzo deve tendere anche e sopratutto al conseguimento del Centro unitario, a rendere possibile il “ponte” fra il jiva e l'Interità, a ristabilire un'alleanza concreta, un comune vettore di manifestazione dell'Idea informante. Di ciò, e della seconda caratterizzazione del problema dianzi accennato faremo parola nel prossimo paragrafo, ed aggiungeremo anche specifiche considerazioni sulle metodologie applicabili nell'odierno periodo storico, contrassegnato da un particolare frazionamento delle coscienze e da un senso d'individualità fortemente separativo dal contesto generale e duramente egotico, tipico di una incidenza dissolutiva che preluda ad un nuovo ciclo di autorappresentazione.

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-O27) I campi reali sono identici come substrato essenziale e differenti come specificazioni di questo substrato. Nel loro aspetto personalizzante essi esistono su molteplici piani, di cui uno è coscienziale ed i rimanenti restano virtuali finché su di essi non si sposti il jiva. Inoltre questi piani di esistenza rappresentano monadi, e cioè un campo d'esperienza individuale che ha nell' "io" il principio informante (almeno nel nostro periodo) e caratteristiche temporali ed in qualche misura spaziali determinate dagli strumenti di rappresentazione della singola personalità. Questo comporta immediatamente una differenza fra il tempo/spazio di una monade esistente su di un preciso piano interiore e quello di un'altra monade, che da lei diverga per i più svariati motivi, riconducibili al karma personale e all'interferenza in questo del karma globale. In altri termini, la Maya di un soggetto senziente è la Maya di un altro soggetto, ma vista da un particolare ed individualissimo punto d'osservazione: il ché crea la molteplicità dei vettori in un determinato momento dell'evoluzione, e le estreme o minime differenziazioni esistenti fra di loro. Poiché il tempo/spazio è una categoria di rappresentazione del jiva e dell'uomo globale e non un aspetto oggettivo della Manifestazione, esistente a prescindere dai percipienti, ne deriva la sua estrema mobilità nel periodo lungo, e le infinite caratterizzazioni in ogni istante dello svolgimento storico dello spirito. Quando le differenze fra un centro psichico di percezione ed un altro centro sono notevoli o enormi (sempre tuttavia nel periodo considerato) possiamo dire che non esiste affinità fra le due monadi, e che esse sperimentano un differente aspetto della Maya generale. Quanto è realmente 'oggettivo' per l'una non le è che in misura variabile per l'altra, entro margini definiti di modificazione determinati dall'essere entrambe in un medesimo istante temporale dell'Uomo Comico, o meglio dal porsi per entrambe in quel medesimo istante. Tuttavia lo spettro di variabilità individuale è talmente ampio da consentire la 'non contemporaneità' degli eventi che appaiono alla coscienza con quelli, identici in varia misura che vengono conosciuti dall'altra. Se poi si considera che non di due monadi è costituito il continuum, ma di centinaia e centinaia di milioni, ed ognuna emana un preciso campo esistenziale, il problema appare estremamente complesso. Il Continuum è infatti costituito sia dal piano illuminato dalla consapevolezza sia da quelli latenti della potenzialità, in ordine decrescente di probabilità. Così avvenimenti tipici di un piano potenziale possono non emergere in un altro a lui contiguo, ed anche quelli che - per il loro carattere generalizzante attinente alla autorappresentazione dell'Uomo Cosmico - possono chiamarsi comuni a tutti (per esempio: una guerra, un importante avvenimento come la modifica delle condizioni ambientali o una scoperta scientifica) vengono normalmente conosciuti e vissuti in modo assai personale, e presentano divergenze piccole o medie nel loro svolgimento temporale. 199


Da quanto diciamo emerge la difficoltà concreta di contatti con coloro che 'sentono' in modo molto differente dal nostro la loro esperienza esistenziale, vibrando su un piano divergente; resta la potenzialità dell'incontro, in margini variabili di probabilità, e ciò è determinato dal substrato unitario in cui tutti ci collochiamo. Ma non di un remoto evento vogliamo ora parlare, perché quel che ci preoccupa è rendere possibili gli incontri fra coloro che esistono in modalità affini e coordinate, eliminando quanto è più possibile gli impedimenti a quel rapporto intuitivamente comunicativo che dirada e dissolve le nebbie dell'autocoscienza. Dobbiamo conseguentemente studiare i modi e i mezzi per raggiungere uno stato d'affiatamento, d'unitività e d'amore sufficiente a rendere le differenze delle rappresentazioni spazio/temporali trascurabili, e condurre le affinità esistenti a continue emersioni di effetti positivi e di conseguenza coerenti con la vita nel più alto senso del termine. Il presente studio cerca d'indurre il lettore a un comune modo di sentire, pensare e valutare l'esistenza in coloro che abbiano la volontà e le qualificazioni per meditarlo, poiché l'effetto della condivisione d'idee comuni - pur nella necessaria capacità critica e innovativa di ognuno - rende possibile l'intuizione di un'identità che da amicizia, sintonia e fraternità può diventare vero amore, realizzando conseguentemente nei singoli quella capacità di attualizzare la finalità stessa della Emanazione, che per moltissimi è soltanto un futuro e lontano aspetto realizzativo. Come tutte le ricerche di metafisica (ci ripetiamo e non ci stancheremo mai di insistervi), la presente è soggetta a uno svolgimento, a cui tutti i lettori dovrebbero contribuire con la loro ricerca ed esperienza. Ciò che qui è appena adombrato dovrà diventare palese, e costituire la base di un successivo approfondimento: non esistono verità definitive se non l'ultima, che posa nelle mani dell'Assoluto, e da Lui solo è dispensata a coloro che l'hanno voluta, cercata e meritata con la propria realizzazione. La dogmatica, più che un errore storico d'immense proporzioni, è un assurdo logico perché pretende di codificare la vita e la ricerca, laddove entrambe si caratterizzano sempre nel dinamismo dell'approfondimento, elemento connaturato a tutta la nostra esistenza. Tutto quel che diventa dogma, lo diventa perché ha perduto il contatto con la fonte vera, ed il vuoto derivatone abbisogna di puntelli esteriori, formali da ostendere come verità indiscutibili. Né Buddha né Gesù vollero dogmi, codificazioni astraenti e rigide regole che esulassero dal caso concreto e si ponessero immobilmente di fronte all'eterna ricerca dell'uomo. Entrambi cercarono d'infondere nei loro discepoli un senso d'amore (compassionevole e consapevole del comune dolore il primo, altruistico, compartecipe e finalizzato alla reale essenzialità della creatura, al ripristino della sua verità vitale il secondo), di tolleranza e di individuazione della sostanzialità: che venne in entrambi i casi assai tradito, codificato, impietrito e sterilizzato nel suo infinito dinamismo dalle norme oppressive, inderogabili ed intellettualistiche, che finirono col porsi contro la esistenza perché prescindettero dalla sua verità, dalle sue manifestazioni più belle e dall'esperienza personale dell'interiorità. 200


Dobbiamo evitare l'errore di discepoli troppo ossequienti alla forma e troppo poco attenti allo spirito dei loro Maestri; dobbiamo diventare progressivamente ma incessantemente la guida del nostro progresso coscienziale e della nostra libertà. Solo in questo modo l'Emanazione, che è un atto d'amore e vuole insegnare la libertà, può giungere a compimento riproducendo nell'esistente le qualificazioni e l'immagine dell'Ente, in quel dinamismo che evidenzia insieme l'unità del Tutto nelle sue indefinite modulazioni, ed il Principio che lo determina. Nel paragrafo che segue passeremo ad un'esposizione più propriamente pratica e realizzativa, per chiarire - se non le metodologie personali delle quali è competente 1'Istruttore - almeno i principi generali a cui queste nell'attuale contesto dovrebbero ispirarsi. Non è impresa facile, ma contiamo sull'intelligenza e la comprensione del lettore, che dovrà tenere comunque ben presente che la sua esistenza è reale, ma nel significato di modalità del Globale e d'Idea resa vita e forma dal Brahma: e quindi solo in un contesto unitivo di reciproca libertà ed in una visione generale del problema potrà ritrovare le risposte che va cercando. -O28) La nostra intenzione nello scrivere queste note è di fornire un contenuto prioritario di conoscenza, per indirizzare l'attività secondo vettori non arbitrari o troppo inadeguati. E' dunque la conoscenza intellettuale la base provvisoria dell'esperienza concreta, e quest'ultima non può prescindere dall'incontro con quanti abbiano più o meno consapevolmente delle valenze spirituali atte ad impersonare la parte a loro affidata dalla divina ideazione. L'esperienza di tanti millenni di storia insegna come sia fin troppo facile per gli uomini rifugiarsi in un intellettualismo raziocinante ed astratto che, togliendo all'esperienza la sua possibilità naturale d'estrinsecarsi, finisce col ridurla ad un miracolismo eccezionale, ad un 'dono' spesso inintelligibile del Dio, e pertanto non raggiungibile con la propria fatica dalla creatura. Quest'atteggiamento (che pure racchiude un aspetto assai reale, da comprendersi nell'esatta prospettiva della natura dell'Emanazione), non deve assolutamente essere accettato o condiviso secondo le comuni motivazioni: occorre dunque sottolineare che l'esperienza è la base concreta della fede, e che lasciare ad altri la capacità o il "dono" di viverla rende estranei anche i pochi qualificati alla linfa vitale dello spirito, il quale non si nutre di mere parole ma di realtà condivise e di sapienza. Infatti la differenza fra il conoscere ed il sapere qualcosa è proprio nel l'esperienza vissuta, che nella seconda ipotesi esiste e manca nella prima, sostituendola con un'argomentazione intellettualistica secondo le regole della logica e dell'astrazione. Ma tutta questo (a prescindere per ora dall'impossibilità della mente di avere una visione totale del problema considerato, possibile solo nella intuizione sapienziale) è contro l'emancipazione dell'uomo e contro la stessa verità del Trascendente il quale, 201


essendo reale, è sempre direttamente raggiungibile quando sussistano le qualificazioni adeguate: così come qualsivoglia esperimento della comune scienza richiede, per essere compiuto, condizioni rigorose d'esecuzione pena il parziale o completo fallimento. La Tradizione, di cui siamo tutti più o meno potenzialmente portatori, è in effetti la scienza del Reale in Sé, e solo conseguentemente dei fenomeni che vengono determinati dalla base ontologica primaria in un certo periodo dello spazio/tempo, e quindi relativi solo e puntualmente a tale momento. Poiché la Tradizione insegna l'unicità dell' "Essere", occorre 'sapere' in cosa consista quest'unicità, e come si accordi con l'esperienza del molteplice che quotidianamente incontriamo. E' qui che si rende indispensabile l'esatta posizione mentale la quale - lungi dal costituire il fine stesso della ricerca - è sopratutto un'ipotesi sufficientemente motivata ed articolata per direzionarla in configurazioni che appaiano all'intelletto logiche e produttive. Argomentare di Dio, delle Entità Angeliche, di Rivelazione, di Eoni, di principi dell'Essere senza tendere alla loro diretta sapienza (il che avverrà naturalmente quando si abbia la sufficiente maturità spirituale, e nell'ambito di questa maturità) è come parlare ininterrottamente di un più o meno lontano paese, senza mai decidersi di visitarlo. Il fallimento di questa astrazione, che per reggersi ha bisogno di dogmi, sofismi e talvolta di vere e proprie contraddizioni in termini con l'insegnamento del Maestro, appare evidente in questo particolare periodo della nostra storia, ormai divergente non soltanto dai suoi fini obiettivi, ma perfino dalle idee che in generale affermiamo di condividere, e che per lo più costituiscono un alibi poco convinto per giustificare intenzioni affatto diverse. L'unità, l'amore e la comunicazione ai livelli più alti possibili è la risultante di ogni vera ricerca, e proprio in questa direzione occorre che si muova l'allievo, decidendo di impersonare nel mondo la viva volontà del Padre suo. Le metodologie sono dunque improntate a questa motivazione, e devono essere in ogni caso adeguate alle mentalità che incontrano - per destino karmico - sul loro sentiero. E' infatti impossibile fornire un dato sia pur realissimo ed evidentissimo a chi non abbia gli strumenti interiori per comprenderlo; ma è pur sempre possibile, in presenza di certe motivazioni, tentar di costruire nell'interlocutore i fondamentali strumenti di conoscenza: con un'attività che rispetti insieme la sua necessaria fatica e le caratterizzazioni della sua personalità. E' ovvio che questo compito implica il contatto con un'individualità realmente impegnata a risolvere i propri problemi esistenziali, e che quindi sia più o meno consapevolmente alla ricerca di sé stessa e della sua verità. Se il soggetto non evidenzia quest'atteggiamento, non per questo deve essere considerato fuori dal campo d'influenza dell'Istruttore: occorreranno però metodologie assai caute per indurlo alla riflessione e all'approfondimento. In molti casi è sempre possibile invitare l'individuo a una qualche attenzione, ma in altri il radicato egotismo e la demotivazione rendono ogni sforzo praticamente inutile se non dannoso, perché prematuro. 202


Occorre accettare serenamente quest'ultima ipotesi (che purtroppo oggi è la più frequente) e lasciare alla vita il compito di smuovere ogni cecità o inerzia spirituale. Non è ancora il tempo del Kali-Yuga finale, pur se questo si profila all'orizzonte, e molti semi possono fruttificare prima del momento dissolutivo: questi semi sono la garanzia e la forza coerente capace di eliderne o ridurne gli effetti - se opportunamente vivificati e attivati - ma ciò è possibile solo con il concorso di quegli uomini che sappiano attualizzare nella loro intelligenza d'amore la potenzialità di un'interferenza sephirotica, che li sostenga e li conduca all'esito più favorevole. Senza lo sforzo, la fatica e la maturità dell'uomo non è possibile a nessuna Entità, per alta che sia, incidere nel contesto odierno, perché è la creatura che deve (con il necessario sostegno dell'amore in cui esiste e di cui è modalità) salvare sé stessa, rendendosi nuovamente degna della sua originaria e immanente essenzialità di figlia del Brahma. Quelli che cercano, talvolta gemendo sotto la fatica, costituiscono le Idee più elevate dell'Uomo Cosmico, le sue tendenze più valide e costruttive: urtano quindi contro l'inerzia, 1'oscurantismo e l'egotismo di tutte le altre, e sarebbe davvero impossibile che prevalessero senza il continuo sostegno del Padre: il quale non vuole che l'Uomo si faccia tutto da solo (il che è un assurdo metafisico essendo limite, e quindi solo con ciò che è oltre il suo limite può progredire) ma piuttosto che si impegni a fondo a ricostruirsi, entro i limiti obbiettivi delle sue acquisizioni evolutive. Tentare di realizzarsi fidandosi delle proprie uniche capacità sarebbe d'altronde contraddittorio con l'unicità del Tutto, che richiede un concorso globale - nei termini concretamente possibili - per ogni realizzazione della specifica modalità vivente. Ma la modalità vivente è autonoma, e deve riconoscersi come tale nella pienezza delle sue vere capacità: questa fondamentale acquisizione richiede il pieno impegno di tutte le sue valenze, ma occorre precisare che quanto trascenda in qualche modo o misura l'ambito del Jiva e sia comunque attualizzabile, deve essere sorretto o completato dall'Interità, onde rendere possibili le future e per ora inaccessibili realizzazioni comuni; nel ché si risolve l'autonomia e la libertà di scelta del singolo e della globalità. L'Impegno degli allievi dell'Amore è quindi in queste direzioni: primieramente comprendersi, per poter capire la dimensione in cui esistono e non soltanto la verità del loro specifico campo d'esperienza; poi far sì che questa conoscenza sia condivisa da coloro che si mostrino più specificatamente in sintonia spirituale con loro, per determinare una direzione di libertà e di amore che dissipi sempre più profondamente le muraglie dell'ego separativo ed edonistico. Il piacere che gratifica il singolo deve far posto alla gioia dell'incontro nell'amore, e l'uomo essere il fine e non lo strumento della azione. Solo con un chiaro intendimento, una coerente volontà, una capacità di critica ed autocritica debitamente costruttive e finalizzate, una vitalità coerente con i principi unitivi riscoperti e accettati, solo con il semplice impulso a riconoscersi nell'altro e a superare in questo i limiti immanenti alla monade, solo con la vera, luminosa, innocente capacità d'amare è possibile trascendersi, e vivificare 1a morente stagione dell'uomo odierno. 203


Consideriamo dunque, nel tratteggiare alcuni aspetti del jiva e del suo campo, i metodi più adeguati per ampliarne le capacità e trascenderne i confini. -O29) Prima di accingerci a questo lavoro è tuttavia opportuno precisare che il tempo null'altro è se non un modo di rappresentarsi dello spirito, e che tutto quel che accade sotto i nostri occhi nel tempo/spazio non possiede alcuna realtà fuor di quella del divenire spirituale. Le conseguenze di quest'assunto sono enormi in tutti i campi della conoscenza, e più avanti ne prospetteremo sommariamente alcune che tuttavia, per la loro apparente assurdità, non dovranno neppure essere troppo esaminate dall'allievo che non sia anche un vero iniziato. Diciamo fin d'ora che coloro che appaiono nel nostro ambito percettivo non sono ombre o fantasmi della nostra coscienza, e neppure forme arbitrarie provocate da un ignoto fattore d'interferenza. Tutto quel che si configura in un aspetto formale nel momento considerato è logicamente e naturalmente tipico di quel settore temporale, il quale è a sua volta una configurazione nella coscienza dell'Uomo Cosmico, e una ideazione del suo campo d'emancipazione, voluta in larga misura dall'Interità. E' pertanto certo che le persone incontrate o intraviste nel nostro quotidiano cammino (o delle quali ci perviene comunque notizia) sono oggettivamente esistenti nello schema ideativo che noi conosciamo sotto le categorie tempo/spaziali, anche se quanto è presente, passato e in taluni casi futuro per la nostra vita non coincide che approssimativamente con le loro percezioni personali. Se ogni monade proietta un mondo attorno a sé, che è la configurazione formale delle sue componenti interiori e della sua reattività a ciò che interferisce, tuttavia questo mondo appartiene ed è coerente al continum, è governato dall'Interità, regolato da un aspetto causale della coscienza individuale e pertanto procede secondo una logica estremamente rigorosa. Quindi è naturale dedurre che gli incontri della nostra esistenza davvero significativi, appartengono alla razionalità del divenire e che se rappresentano elementi di stimolo, d'antitesi o di sviluppo, questo dipende unicamente dal come noi ci poniamo nei confronti del Tutto/Uno e dai nostri desideri e passioni. Questi ultimi infatti, lungi dall'essere sempre elementi nocivi alla vita (come tante religioni, settarismi e dogmatismi assicurano) sono fattori possenti d'autocomprensione e di crescita, se vissuti armoniosamente nell'amore, illuminati dallo spirito ed emendati il più possibile dall'immanente pressione egotica, che è il vero e dirimente ostacolo di ogni emancipazione. La vita è data per essere compresa e sperimentata, imparando nel suo difficile svolgimento l'arte dell'equilibrio, dell'amore e dell'aspetto unitivo d'ogni essenza esistente. Questo è possibili soltanto con l'esercizio costante della meditazione e dell'attenzione, con le capacità intuitive proiettate nell'analisi e nella sintesi, che sono poi la fondamentale acquisizione della metodologia yoga: la discriminazione sapienziale. Poiché gli elementi della nostra esistenza sono (nella loro relatività) reali ed il 204


loro apparire - lungi dall'essere arbitrario e casuale - esprime dinamicità logica e razionale, dobbiamo imparare a discernere ciò che è ora modificabile da quanto si mantiene rigido e vanificante, ciò che è attuabile dalle chimere e dalle velleitarie intenzionalità, ciò che è veramente auspicabile da quanto è godimento d'un istante e veleno per il futuro. Ogni aspetto che si evidenzi nella dimensione che comprendiamo è infatti un potenziale maestro (aspetto simbolico/reale dell'esistenza) e non importa se appare in forme infime o modestissime - un animaletto, un contrattempo, un fastidio, un incontro, una gioia - o estremamente interattive, come un evento tangente, distruttivo o costruttivo dell'ordine precedente. Queste semplici nozioni fanno differire l'atteggiamento dell'allievo da quello dell'uomo comune nel conoscere e comprendere l'esistenza e quanto è possibile che divergano gli opposti. Per 1'allievo, gli avvenimenti quotidiani sono proposte, avvertimenti, insegnamenti, occasioni d'approfondimento del sé e del Tutto di enorme valore, che aprono le porte a più puntuali esperienze; per l'uomo comune sono casi fortuiti, incidenti, fastidi, acquisizioni o perdite del tutto soggette al caso, fatiche per mantenere e non dover rinunciare ai propri possessi. Null'altro che eventi, senza un vero scopo, senza un profondo motivo causante ed un valore che non si risolva nell'esistere al meglio delle proprie gratificazioni, nell'avere ciò che si desidera perché ci rende occasionalmente felici. L'allievo sa che le forme sono simbolo delle sostanzialità, apparenza che finalizzata a sé stessa è illusione e si risolve invece in potente dinamica realizzativa se comparata allo spirito e interiorizzata. Infatti quel che rende reale la Maya è ora il suo dinamismo formativo, il suo procedere nella direzione di un fine: l'Idea a cui tende e di cui impersona momenti di svelamento. Senza queste valenze, 1a Maya diventa vanificazione imprigionante, distruttrice implacabile di quanto pur crea, abisso da cui scaturiscono ed in cui si dissolvono le infinite modulazioni delle coscienze in divenire. Kaly è madre e dissolvitrice, amorosa compagna di cammino e feroce nemesi di chi non l'abbia compresa, cercata e amata: perché attenderà il jiva al termine dell'esistenza sottraendogli tutto quel che era fruimento, e lasciandolo nella sua povera ed irrisolta interiorità. Ma ciò non deve turbare coloro che fondano le loro ricchezze nello spirito, perché neppure la morte sottrarrà un'oncia di quanto hanno faticosamente compreso, rendendo anzi più rapida e luminosa la via che ancora li attende. La morte fisica è un aspetto della vita nel ciclo breve, e la vita tende a perpetuarsi senza limitazioni non appena sia incentrata nella vera realtà; ma poiché questo traguardo è difficile e per molti troppo lontano occorre tendere la mano a coloro che siano capaci di afferrarla, aiutandoli ed aiutandoci ad uscire dalla palude del samsara. L'attività dell'iniziato è dunque finalizzata proprio dalla ricchezza delle sue esperienze, e risulta capace di vivificare l'esistenza, anziché spegnerla in oppressivi divieti e in assurde rinunce: tutto è lecito per il Maestro di vita, se esprime amore, incontro, fraternità nel superamento dell'ego, il mostro che sempre - e oggi più che mai - imprigiona nel dolore l'intera umanità. Il metodo di contatto con i campi esistenziali interferenti con il nostro deve 205


essere conseguentemente improntato alla lucida comprensione delle finalità dell'esistenza e alla necessaria progressione nell'addestramento dei jiva (con esperienze concrete, ricerche comuni, la rilevanza data ai fattori unitivi dell'amore e a quelli che disgregano l'ego, nel ché si manifesta il vero potere di unire e sciogliere di sui parlò il Cristo Gesù), affinché ci si renda viventi e libere modalità dell'Amore e dell'Uomo Cosmico. Non è dunque possibile concedere conoscenze che travalichino i limiti personali, così come non è possibile determinare eventi per cui il tempo non sia ancora maturato: ciò infatti determinerebbe fin troppo facili fraintendimenti, desideri ed appropriazioni estremamente negative perché fuori dal loro effettivo significato e contesto. I cosiddetti 'poteri' sono in effetti un aspetto della libertà dell'uomo, e dovrebbero insieme esprimerla e attivarla (il ché è però difficile) negli altri uomini: ma la loro manifestazione genera desideri assai egoistici in quanti non siano sufficientemente maturi per comprenderne il messaggio, e deve essere normalmente evitata. Dunque sono l'amore, la comprensione, la disponibilità e la dolcezza - non disgiunte, quando sia il caso, da un'indomita forza - i mezzi di contatto e di persuasione più efficaci; notiamo a questo proposito che l'ultima affermazione non indica un incitamento a condividere le idee dell'Istruttore, assumendole acriticamente e pedissequamente. In questo contesto ciò che si deve suscitare è la ricerca interiore, libera da preconcetti e onesta nelle intenzioni e nei modi: persuadere dunque la persona a riflettere, a cercarsi ed esaminarsi, nel completo rispetto delle sue qualificazioni e della sua primaria libertà d'autonomia e di scelta. Il resto verrà, se questo aprioristico punto è vivificato ed è emerso; solo allora infatti 1'insegnamento ulteriore diverrà veramente efficace e produrrà quella spinta emancipativa che è lo scopo ultimo della nostra fatica. -O30) Se è necessario imprimere nell'alunno un codice di comportamento equilibrato e liberamente scelto, ciò nondimeno non risulta sufficiente per indurlo ad essere quel che il suo cuore e le sue potenzialità possono consentirgli. Il quadro attuale è talmente denso d'opinioni, di sette, di profeti e di teologie più o meno fondate sul lungo processo d'analisi e meditazione del passato, da costituire un intricatissimo labirinto per chiunque non abbia la capacita di scorgerne le infinite illusioni e le stradette senza sbocco. La capacità di solcare un mare, la nave adatta e 1'equipaggiamento opportuno non sono di per sé sufficienti se non c'è 1a possibilità di percorrere 1a giusta rotta: quella adeguata al proprio mondo interiore e al posto che occupiamo - ognuno in modo originale e non mutuabile - nell'Emanazione. "La Fede è sostanza di cose sperate". Ma dove si poggia la fede? Su 206


testimonianze, si dice, su eventi storici, sull'esperienza dei saggi, sull'illuminazione dello Spirito e della conoscenza. Non è sufficiente: ciò che alcuni trovano accettabile, altri lo discutono, e non è possibile accertare 1a realtà effettiva di un insegnamento, di un evento o di una illuminazione ad altri accaduta. Neppure i fatti più clamorosi e studiati presentano un aspetto univoco, lontani come sono nel tempo e in larga misura snaturati proprio da coloro che vorrebbero imporli alla fiducia di tutti, e che credono di renderli più veritieri con una elucubrazione, un'attività intellettuale, un argomentare infinitamente prolisso e ridondante, che sovente nasconde, più o meno in buona fede, la fatica di renderli accettabili e "verità" non più opinabile. La nostra conoscenza non deve e non può essere dunque un mero intellettualismo, un esercizio di logica sincretistica e di coerenza metafisica: con questo si aggiungono infatti astrazioni alle astrazioni, valori opinabili a valori opinabili, argomentazioni discutibili ad altre già enormemente diffuse, accettate, respinte e contestate volta a volta, senza che ne nasca un permanente stato di certezza in chiunque a loro si affidi. La base della fede non può dunque dipendere da ciò che è esterno a noi, ma deve essere un aspetto fondamentale della nostra esistenza che, opportunamente attuato compreso e vissuto, ha le caratteristiche del vero sia in un dominio spirituale che in quelli mentali e concreti dell'ambito vitale. Ciò che è Reale, veramente reale, lo è sempre e da qualunque parte lo si esamini: questa è la "pietra nera", quella di Pietro l'Apostolo e di tutte le metafisiche che si ispirano al concetto e al simbolismo della pietra angolare fondamentale, metafisica e fisica insieme; la Pietra dei filosofi, intendendo con questo termine non i logorroici speculatori della mente e dell'intelletto, ma i conoscitori della sola ed unica sapienza: la Sofia. La Pietra fondamentale, nera perché è la sede di ogni potenzialità, è esperienza di sé come modalità del Reale, come Pensiero divino e processo d'auto conoscenza, in vista di un fine che è in noi ed insieme infinitamente ci trascende. Il problema centrale non è dunque fornirci di un costrutto metafisico accettabile, elegante o coerente quanto basta a reggere alle più incalzanti obiezioni, ma quello di raggiungere la nostra verità, viverla e renderci capaci di attivarla al punto d'influire positivamente sui campi reali più affini, attraverso le sottili vie che rendono unitario il mondo spirituale e formale pur nelle sue indeterminate ramificazioni. Come raggiungere questa esperienza di sé e della realtà a cui ineriamo tanto intimamente? E' possibile, innanzitutto, pervenire a tal meta, e se è possibile, in che modo? La domanda è mal posta, se congetturiamo che l'uomo (individuale o globale che sia) possa con i soli metodi emancipativi e con le sue forze - per intense o eroiche che siano - raggiungere simile traguardo. L'uomo è elemento del tutto, e il Tutto non si risolve certamente nel solo universo formale, ma lo sovrasta quanto un infinito firmamento incombe sull'atomo sparuto (e tanto importante...) che è il nostro pianeta. Quindi ciò che rappresenta un principio d'integrazione con il Tutto non può 207


prescindere dall'opera conforme e deliberata del Tutto, e nessuno può attingere alla Realtà che è in Lui senza l'assenso e diremo meglio il “dono” della Realtà stessa. L'Uno sovrasta in modo così inimmaginabile, così imperscrutabile la modalità da Lui espressa, che percepirne il solo riverbero in noi è impresa temeraria, folle ed inaccessibile senza la sua Volontà: quella 'Grazia' di cui troppo si parla e si vocifera senza intenderne il profondo significato e la trascendente natura. Essa è l'apparire della Realtà alla nostra coscienza ed esperienza, è l'appoggio "esterno" che ad ogni creatura abbisogna perché sia sé stessa, è la mano del Padre protesa verso il Figlio quale è splendidamente intuita dall'immagine michelangiolesca. L'Uno genera continuativamente, ininterrottamente ed infinitamente ognuno di noi, nel suo atemporale splendore e nella sua lucente intenzione. La Mano è eternamente protesa, ma occorre che la debole mano dell'uomo sappia trovare la forza d'innalzarsi fino a Lei con Lei per attingerne la potenza illuminante: fra la creatura in quanto persona autonoma ed il Creatore esisterà sempre uno spazio incolmabile e questo finché la prima non saprà essere così tesa a sé stessa e al suo Centro atmico da intuirne la verità: che le sgorgherà dal Cuore interiore come luce unitiva e unitaria, fondendola indissolubilmente con la suprema Matrice senza che questo implichi il dissolvimento della sua realtà d'idea della Matrice medesima, da Lei dotata di vita e personalità intangibili perché dono sommo e pertanto irrevocabile. La Grazia è quindi l'atto di concessione del "Quid" che è necessario all'emanato per comprendere l'Emanante e la propria esistenza in Lui: è il dono di Sé che l'Amore compie nei confronti del suo figlio prediletto allorché questi abbia meritato con la lotta, il sacrificio dell'ego e l'indomita fermezza d'essere finalmente quel che in potenza poteva diventare e che sempre nell'Amore consegue. Non possiamo accettare di conseguenza alcuna teoretica che illuda gli uomini inducendoli a realizzarsi con le sole proprie capacità; magari indicando tecniche apparentemente precise, raffinate e di difficile apprendistato. Esse sono valide nel contesto formale per raggiungere certi effetti, particolarmente eclatanti solo per gli illusi dall'avidya, e certamente utilissimi per forgiare il carattere, la determinazione e un principio di purificazione di tante distorte tendenze. Ma quel che realmente determina la desiderata iniziazione (o, più esattamente, la sua base) è la disponibilità all'amore, all'armonia e all'integrazione con tale intensità da rendere possibile e naturale l'aiuto divino, l'atto d'illuminazione che l'Assolutezza imprime nella coscienza individuata rendendola più libera, più consapevole, più sapiente di sé e dell'Uno. Questa "pietra" di saggezza - nel senso più arcaico del temine - è la vera sola ed insostituibile base della Fede, capace di dare la sostanza delle 'cose sperate' tanto arcane, inaccessibili e remote dalla nostra attuale comprensione comune, eppure raggiungibili con l'Amore tanto da venir irradiate in un'esperienza dello spirito che abbia la sostanzialità della coerenza e della Realtà. Questo è quanto volevamo categoricamente affermare nel presente paragrafo: non è possibile "essere" senza il concorso dell'Esistente così come non è possibile esistere senza fondarsi sull'Essere: e ciò è dono d'Amore, e non atto d'appropriazione del jiva. E' parimenti impossibile proseguire nel nostro cammino emancipativo ed 208


iniziatico senza questo "Dono", e qualsiasi surrogato intellettualistico o storicamente affermatosi mostra alla lunga i suoi insuperabili limiti. Cristo é: non 'fu' un semplice evento antico, legato all'insegnamento e all'eroico sacrificio dell'Uomo che ne incarnò l'essenza. Gesù vive nell'irradiazione cristica in ogni aspetto dello spazio/tempo, e si ridesta risorgendo dalla croce e dal calvario ogniqualvolta si accetta la Croce ed il Calvario per inchiodarvi il nostro ego, la nostra separatività e le nostre inadeguatezze liberando la Sua gioia. Cristo ha affrontato l'agonia e la morte, che la nostra misera ferocia gli inflissero nell'animo e nel corpo, per poterci liberare donandoci un sentiero meno tragico, più dolce ed accessibile: ma Egli è noi, ed in noi viene perseguitato e crocefisso finché non ci ridestiamo alla Sua parola, e ci rendiamo a Lui nel nostro sforzo e nella nostra ricerca di comprendere l'amore del Padre. Egli è l'intermediario, onnipresente nel cuore di ognuno, nell'esperienza del mondo, nello spazio e nel tempo. Non basta chiamarlo per nome, invocarlo, onorarlo e adorarlo in templi sontuosi o in cattedrali sfarzose, il suo Tempio è insieme il nostro cuore ed il creato, e la sola preghiera è l'attualità della nostra ricerca d'amore nella comunione con gli uomini e con il tutto. Possiamo non conoscerlo come momento storico, insegnamento evangelico e dottrina dei cristiani, ma se lo sentiamo come Amore, fraternità, spirito di sacrificio per la gioia dell'unità, della verità e della vita 1o "sapremo" meglio dei dotti, degli esegeti, degli storici e dei teologi: lo sapremo per esperienza di Lui, del Suo sentiero e della meta che ci apparirà non più come un tremendo giudizio o un opinabile miraggio, ma quale realtà a cui ci avviciniamo, Sole che ci illumina con i suoi caldi raggi e dissipa le tenebre dell'intelletto e dell'anima. Come sia raggiungibile quest'esperienza necessaria e vivificante è implicito nelle nostre parole, ma lo ripeteremo ancora: mediante lo stabilizzarci in uno stato d'amore, d'armonia e di fermezza interiore nella ricerca dell'unione e dell'integrazione. E' questo stato, e non le tecniche che pure possono indurlo ed aiutarlo (se rettamente intese) l'elemento fondamentale e determinante agli occhi dell'Amore Supremo. Esaminiamo pertanto, nel prossimo paragrafo, le implicazioni di questa prioritaria affermazione, antica come la ricerca degli uomini e sempre negletta, dimenticata e perduta nel faticoso succedersi dei millenni, delle civiltà e degli eoni. -O31) La realizzazione del jiva, intesa come primiera apertura verso il Sentiero ascendente, è un dono dell'Amore a cui hanno inteso tutte le componenti psichiche, spirituali e fisiche dell'uomo storico. Il dono è cioè tale da essere meritato (e questo è possibile solo "con" il sostegno del Donatore), ma resta comunque e sempre un Dono: nessuno può, con le sue forze individuali pure e semplici, sperare di raggiungere la propria essenza trascendente e la realtà della sua esistenza, ed il pensarlo o crederlo è deviante. Inoltre ciò che 209


appare all'orlo superiore della consapevolezza - per abbacinante che sia - non è l'Assolutezza, ma il Suo primo affiorare nella coscienza: quasi il riflesso della luce nel cielo ancor scuro all'albeggiare di un giorno sereno. L'Assolutezza verrà compresa e conosciuta in modo sempre più adeguato e preciso nel corso della storia ormai 'divina' della modalità vivente, ed anche in questa trascendente iniziazione (eterno inizio della sapienza di Amore) vi sarà - e non potrebbe essere altrimenti - l'incontro fra la tensione autorealizzativa dell'Idea emanata e la Grazia illuminante dell'Amore, il quale supera, donandosi, le inadeguatezze comunque presenti nella creatura, in questo decantandole e conducendole a sempre più completa armonizzazione. La scuola yoga advaita ha formulato qui uno dei più importanti postulati dell'autorealizzazione, anche se l'aspetto dinamico del Brahman non viene portato in luce come elemento determinante dell'evento iniziatico. Detta scuola infatti afferma che solo il completo distacco dall'ego, il sentirsi veramente, intimamente e completamente, aspetto dell'Assolutezza, la tensione armoniosa e costante verso l'integrazione, determinano l'apparire della Realtà nella coscienza relativa, dissolvendo in un istante i veli della Maya e donando la percezione e l'immedesimazione nell'Uno-senza-secondo. Ciò è esatto e a nulla varrebbero riti, discipline e preghiere senza tale attitudine coscienziale a recepire la Luce fondamentale; tuttavia ribadiamo che quest'attitudine di per sé necessaria - non è sufficiente senza l'assenso irradiante dell'Amore, e che quanto viene percepito nell'estasi dell'unione non è l'Assolutezza quale Essa è, ma quale può rivelarsi nel pur sempre condizionato ambito esistenziale dell'Idea emanata. E' un punto basilare e su cui giova riflettere, poiché molti sono così naturalmente abbacinati dall'insorgere della sapienza in loro, da confondere l'inizio del Sentiero con il suo termine, determinandosi effetti non certo leggeri e trascurabili. Peggio ancora è quando si considerano fenomeni autoindotti (e quindi carenti dell'aspetto reale trascendente) come la vera, sapienza dell'Uno,valutando alcune possibili conseguenze nei piani formali quali estrinsecazioni della conquistata divina libertà. Tutto questo è sommamente temibile perché può far riaffiorare e rafforzare per vie sottili, inavvertite o indotte, l'antica componente egotica del jiva nella sua valenza più possessiva, capace di ingannare l'intelletto con infinite assicurazioni e razionalizzazioni, quanto impotente a dirigere la personalità verso la sua piena verità. Quindi è necessario proprio quando è più accesa la fiamma dell'entusiasmo non perdere la profonda umiltà della saggezza ed il senso delle proporzioni. La creatura è estremamente nobile nella sua tensione verso il Creatore, ed "è" il Creatore in una Sua specificazione. Diciamo qui 'specificazione' anziché 'pensiero' per evidenziare l'aspetto atemporale e completamente oltre il nostro intelletto dell'Essenza dinamica brahmanica, identica all'Essere puro ed insieme fonte incessante ed inesauribile di vita. Tuttavia la creatura, voluta dal Padre responsabile di sé e libera nel proprio ambito, è come tale diversificata dal Creatore pur restandone ontologicamente e necessariamente un aspetto. Questa differenziazione è reale e precisa nell'Emanato, ma non esiste per l'Emanante se lo si considera come Realtà assoluta identica a Sé. 210


Abbiamo più volte tentato di affrontare il tremendo problema della coincidenza di aspetti apparentemente opposti nel Supremo Cit, ed abbiamo distinto artificiosamente (speriamo utilmente) il momento dell'Essere in Sé che è Coscienza perfetta e non discorsiva, atto puro ed infinitamente ineffabile, dal momento in cui Egli “vitalizza, contempla e circoscrive” suoi contenuti specifici ponendoli come Idee dell'indeterminato Cit e - nell'atto creativo emanante - quali "altro da Sé": determinando con questo la nascita di un aspetto autonomo, dinamicamente portato a comprendersi e a realizzarsi "verso" la pienezza del suo contenuto. Precisiamo ulteriormente (repetita iuvant) che l'Idea è nella sua essenza una polarizzazione della Coscienza brahmanica e come tale indistinguibile dal Brahman, da Lui "saputa" perfettamente ed atemporalmente ("è" Lui), fuori da ogni categoria manifestante per eccelsa che sia. Diciamo inoltre che questa Idea archetipica puramente divina, sovraintendente all'Idea/immagine dinamica (in quanto limite) autonoma ed evolutiva, che alla prima tende per natura e che è comunque reale in quanto espressione di un volere assoluto - è "precedente" o meglio immanente al suo esistere particolare. I due aspetti che in realtà sono uno (l'Idea archetipa del Brahman è la Realtà e il suo riflesso - l'Idea evolutiva - è reale nella specificazione a lei connaturata perché quest' "immagine" è la Volontà scaturente dall'Idea primaria), tendono alla sintesi ineffabile, senza che ciò significhi assorbimento della creatura, e senza che il processo possa avere una fine da questa determinata. E' cioè un processo infinito, al limite; è forse possibile che il Dono possa giungere a tanto da conferire alla modalità la contemporaneità della sapienza archetipa brahmanica nella sua assolutezza e la sapienza di essere vivente, volizione del Brahman in perfetta attualità? E' possibile che quest'incontro possa verificarsi, in un tempo che non è tempo e in un momento che non è momento? Qui ci fermiamo, perché è l'Assolutezza la Maestra, e non ci è consentito spingere la speculazione oltre i limiti attuali del mondo emanato, sia esso vivente nei gradi superiori del Glifo, o lotti nel crogiolo di Malkhut per la propria libertà. Tuttavia sappiamo adesso - almeno come ipotesi da verificare - che dobbiamo adoperarci per predisporre il terreno coscienziale alla nascita del Seme divino in noi riposto, e che questa nascita (evento naturale benché oltre ogni immaginazione) è tuttavia un aspetto "gratuito" del Seme stesso, che vuole essere la luce della vivente modalità da Lui emanata. Il termine 'gratuito' ha qui un significato da definire: non esprime una arbitrarietà dell'Amore, che ad alcuni si doni e ad altri no per suoi insondabili motivi. Esprime al contrario che il Dono è espressione dell'assoluta libertà del Brahman ed insieme della rigorosa consequenzialità della Sua creazione, poiché Egli sempre s'irradia nella consapevolezza della coscienza finita che l'abbia veramente voluto. Esamineremo nel prosieguo del discorso altre tesi ed altre implicazioni: ora ci preme ribadire la mancanza d'ogni arbitrarietà nella Manifestazione, la libertà che Essa esprime e la ferrea logicità del suo dispiegamento ben oltre i termini di comprensione dell'intelletto umano. Parlare di predestinazioni, di assorbimento nell'Origine, d'annullamento dell'atto emanante nell'emanato che si dissolverebbe 211


senza alcun frutto o fine da perseguire e sperare, questo è non comprendere proprio il fulcro della natura del Brahma, che è infinito, lucente e purissimo Amore: questo dobbiamo tener fermo in noi, se vogliamo avere un criterio di procedimento e di riferimento non inesatti nell'infinito labirinto delle esistenze particolari, e nell'apparentemente caotico ed incomprensibile dispiegarsi delle forme e delle loro dimensioni vitali. Ma tutto ciò è tema di future meditazioni, e il lettore ci perdonerà se insistiamo (come sempre abbiamo fatto nel nostro lavoro) sull'esortazione ad approfondire il problema dell'Amore, sia nel quotidiano che nei recessi della coscienza, sia nella riflessione che nella ricerca e nell'azione. Qui è la chiave perduta, la Porta, la Pietra della sapienza sulla quale dovrà alfine essere eretta la comunione degli uomini ed il meraviglioso edificio della loro vita. -O32) La potenza dell'Amore può infrangere le sbarre in cui s'è racchiuso il nascente uomo, solo se sarà utilizzata non come un sentimento semplice, un trasporto del cuore verso ciò che è sperato e desiderato, un desiderio di unità con l'amato sia che questi consista in un essere fisico o in un modo d'intendere la realtà della vita. L'Amore deve venir compreso nella sua estrema potenza informatrice delle dimensioni reali e nella sua capacità di plasmarne le forme ed il processo, secondo un criterio di reciproche armonie e di pura bellezza. Quel che contraddistingue dal suo lontano apparire l'Emanazione da noi percepita è l'estrema conflittualità dei suoi piani di spiegamento, determinanti nel tempo e nello spazio (che sono i modi d'autorappresentazione della entità emanata) una successione di forme/eventi in perenne affermazione individuale ed il conseguente conflitto esistenziale che culmina - all'apparire delle modalità autonome - nel continuo appropriarsi reciproco: sia per la elementare necessità d'energia d'ogni organismo vivente, sia, nell'ambito delle relazioni di gruppo e di specie, per la protezione contro altri gruppi e specie bisognosi di garantirsi un proprio ambito di sopravvivenza. Nel mondo animale e nei consorzi umani (primitivi e non) si assiste a questo scontro che è tuttavia generalizzabile a livello cosmico, anche se con modulazioni certamente non comparabili a quelle della nostra esperienza. Tale constatazione, che ci ha condotto sovente a un atroce pessimismo sulla natura dell'esistenza e sulla sua realtà, è tanto esatta nei confronti del passato e del presente quanto inadeguata e fallace per il lontano futuro del nostro Universo. Il 'momento' attuale infatti (e per 'momento' intendiamo un periodo temporale che può facilmente comprendere molti milioni o decine di milioni dei nostri anni) è il trapasso da un atteggiamento egotico, passivo e conflittuale dell'Emanazione a uno attivo ed armonico, che consenta l'equilibrato sviluppo delle virtualità insite originariamente nell'archetipo umano, ed esistenti naturalmente in ognuno di noi. 212


Potenzialità estremamente grandi, perché è infinita nella sua definizione l'Idea brahmanica dell'Uomo/Figlio, e per noi indistinguibile dall'Assoluto medesimo di cui è modalità integrale: che in Lui risplende come ogni altra Idea nell'infinita pienezza della Realtà. Comprendere il rapporto/identità fra il Brahman e le sue Idee archetipe è umanamente impossibile, poiché ciò implica non un rapporto fra il Tutto e le sue "parti", ma fra il Tutto Uno ed il Tutto/Uno, essendo in ogni Archetipicità brahmanica presente la atemporale coscienza assoluta nella sua ineffabile luminosità, e non potendosi immaginare un processo discorsivo, mentale e dialettico, in Colui che E' ed E' totalmente. Esiste comunque il mistero dell'emanazione dell'Immagine di tali imperscrutabili Idee, e questi 'riverberi', queste 'forme/pensiero', questi Enti emanati, sono altrettanto reali dell'Idea da cui scaturiscono e di cui sono parte integrante, perché impersonano in differenti gradi di consapevolezza la suprema Volontà di dispiegamento creativo. Il Brahman pone cioè le Idee manifestate di fronte a Se stesso in una situazione a noi logicamente incomprensibile perché apparentemente contraddittoria: come "altro da Sé" nel supremo Sé. In altri termini, esse 'sono' nell'essenza il Brahman, ma sono nel riverbero della loro autonoma coscienza (è qui che s'incentra la Volontà divina) sé stesse: capaci d'esprimersi e di realizzarsi secondo un personale giudizio di individuazione della loro essenza e del loro campo vitale. Tale fattore imprime un dinamismo sia verso la comprensione della loro realtà che verso la spontanea energizzazione delle intrinseche potenzialità: entrambi i vettori - se pienamente e coerentemente attualizzati - implicano un avvicinamento consapevolmente libero all'Idea Primaria (l'Archetipo brahmanico) a cui gli Enti emanati s'adeguano con crescenti livelli di sapienza, senza mai esserne assorbiti o annullati ma, al contrario, vivificati quali modalità libere e vere del dinamismo del supremo Cit. L'autorealizzazione dunque, anziché rappresentare un reintegro della Manifestazione nella Coscienza originaria, implica un dispiegamento progressivamente vieppiù consapevole del nostro personale campo esistenziale, in conformità all'impulso interiore e globale della Volontà assoluta; implica un tendere infinito ma estremamente reale, produttivo di imponderabile effetti verso l' "essere" coerentemente e autonomamente quella arcana Volontà. Il percorso è confortato ed agevolato da stati di coscienza nei quali l'ente emanato può intuire la propria natura e l'unità ontologica in lampi di consapevolezza ("lampi" atemporali !) sempre più penetranti nell'oscurità nel nostro esistere, che diviene emergente ed ineffabile luce. Ed il cammino non s'arresta in questi doni, ma da essi trae nuova linfa e nuovi orizzonti a cui tendere: è la storia divina della creatura - che diviene essa stessa archetipicità nell'Emanazione - questa tensione verso il Centro, insieme immanente e trascendente per la creatura. Qui si rivela la pienezza dell'Amore divino, e la sua capacità di donarsi infinitamente alla vivente modalità che determina e sempre sorregge nel suo faticoso cammino. Interpretare queste idee secondo un metro strettamente legato alla nostra attuale esperienza di vita e ai limiti dell'odierna consapevolezza è impossibile, perché ora 213


alludiamo a un evento nel quale le prospettive comuni non valgono più; ed occorre meditare in termini d'esistenza cosmica e di cicli inconcepibilmente distesi. Saremmo annichiliti e prostrati dal nostro tentativo e vinti dalle insorgenti barriere dell'ego, se non potessimo afferrare la mano eternamente protesa del Padre, così difficile da essere intravista e pur presente in ognuno di noi nel Centro del nostro mondo interiore: il "Cuore" dei mistici e dei veggenti. L'Amore è la sorgente da cui scaturisce la Volontà suprema; l'Amore è la causa prima e determinante della Manifestazione; 1'Amore è la forza che si dispiega negli Universi, ben oltre i limiti e i confini di quello da noi percepito. E' dunque con l'Amore che possiamo compiere il nostro cammino realizzativo: solo con l'Amore. Ma capire cosa sia questa fonte perenne di vita, luce e armonia, e come essa sottintenda a ogni fenomeno esistenziale, finalizzandolo pur nella temporanea confusione e disordine (esperienza necessaria dopo la Caduta, per essere consci del nostro tremendo stato) è impresa ardua che non è possibile affrontare da soli. Occorre attingere al Centro interiore dell'Amore, presente in ognuno di noi ed emergente come Maestro: comprenderLo; irradiarLo nella nostra coscienza ed attorno a noi, nel nostro campo e nel nostro prossimo; imprimerLo nell'ambito personale d'esistenza e sempre più a fondo in quello generale; renderLo da fiamma chiusa nel segreto dell'anima a esplosione di luce nelle foschie della Manifestazione, gioia e armonia e bellezza e vita di tutte le creature. Questo implica la fine della conflittualità, lo svelamento dell'Idea Matrice e l'inizio del processo d'esperienza reale dell'Uomo, ben oltre gli attuali veli di una Maya illusoria ed ingannatrice. Maya è splendida ed eterna nella Sua nudità, ma l'uomo storico - ovunque egli sia - in essa non scorge ora che i suoi limiti. Maya è il divino specchio in cui la creatura, riflettendosi, medita le suo inadeguatezze ed alla fine le trascende per l'intollerabile senso d'incompiutezza che ne trae. Maya può anche rispecchiare la bellezza dell'Uomo e renderlo cosciente di quello che in realtà è; può unirsi all'uomo in un indissolubile abbraccio da cui nasceranno nuove creature, nuove intuizioni e nuove potenze della vita, così come da un uomo e da una donna può nascere un figlio, e dall'incontro di due realtà affini può scaturire qualcosa di differente, che le rappresenta in unità e pure se ne distingue. Vediamo dunque alla luce di queste considerazioni quale sia il metodo concreto posto alla base della nostra azione, e come condurci nel difficile compito di realizzarci in questo oscuro periodo della nostra comune storia in conformità alla nostra originaria natura e al disegno divino che l'informa. -O33) La difficoltà che l'allievo incontra è di tipo ermeneutico (perché le fonti sono molteplici e i pensieri discordi in tantissimi aspetti) e realizzativo, dato che un'ideazione non è che semplice ipotesi o dotta elucubrazione se non diventa viva 214


realtà operante nell'ambito in cui è posta. La parte ermeneutica è stata fin qui tratteggiata nelle sue linee fondamentali, e rappresenta un tentativo di sintesi che riteniamo sufficiente allo scopo d'incontrare le acquisizioni più significanti emerse nella millenaria storia dello spirito; resta dunque, partendo da questa base ideale, il difficilissimo compito di renderla viva e operativa nel nostro ambito esistenziale. Occorrono alcuni presupposti: innanzitutto un inquadramento intellettuale sufficientemente articolato ed elastico da essere insieme un mezzo di direzionalità coscienziale e un aspetto della propria interiorità. Tale inquadramento, lungi dall'essere qualcosa di dogmatico o irrigidito dall'autorità speculativa di qualcuno, è suscettibile di tutti quegli apporti e approfondimenti che la meditazione di ogni jiva è in grado di conferirgli, e può essere completato, o se occorre addirittura modificato. Ognuno di noi è infatti un potenziale portatore di luce, ed ognuno ha il compito precipuo di contribuire al progresso generale secondo le sue peculiari capacità emergenti nel tempo/spazio considerato, e cioè nell'attualità vivente. Se si cade nell'errore di accettare pedissequamente il pensiero altrui, si tradisce la propria natura e si fallisce temporaneamente la missione affidataci: nessuno è infatti esentato dal portare il personale contributo d'idee, riflessioni e attività secondo le caratterizzazioni che gli sono tipiche, e che differiscono significativamente da quelle di ogni altro jiva. Tutto questo esprime chiaramente cosa pensiamo dei confessionalismi stretti in canoni e dogmi e imposti alle moltitudini: causa prima dell'affievolimento della spiritualità nel nostro periodo storico e fonte di miseria, morale e quindi fisica, per il genere umano. Se un inquadramento intellettuale ben coordinato è la base di partenza e di ogni successivo approfondimento (Dante ebbe Virgilio come istruttore, per poter incontrare poi Beatrice), tuttavia è lettera morta ed inutile quindi dannosa, qualora non riesca ad esprimere un'incidenza specifica e obbiettiva nel campo dimensionale a cui inerisce. L'attività concreta, il karma nel suo originario significato di azione compiuta e non subita come riflesso appropriativo, è la prova del nove di ogni teoria e la necessaria risultante del lungo, faticoso investigare sulle motivazioni fondamentali della Manifestazione e sulla natura delle sue primordiali componenti. Perché tuttavia il substrato intellettuale e filosofico venga risolto in concretezza d'eventi, occorre ben di più di una mente allenata alla logica e all'aspetto discriminante della medesima: fondamento comunque indispensabile d'ogni ricerca. Occorre la purificazione dell'interiorità (il che implica la decantazione dell'inconscio), e cioè la capacità d'agire impersonalmente secondo un principio d'amore: il quale non si deve risolvere in un umanitarismo pietoso e soccorrevole delle disgrazie altrui (pur se questo aspetto certamente e necessariamente inerisce all'attività vera e propria secondo le contingenze emergenti) ma piuttosto in un'azione indirizzata al vero bene dell'Uomo e delle sue componenti individuali: cioè al fine stesso della Manifestazione. Quanto è, nel breve attimo di una vita, fatica dolore e frustrazione può rappresentare - e rappresenta - nell'interminabile processo 215


d'evidenziazione dell'interiorità un necessario momento di dissolvimento delle scorie egotiche, accumulatesi con ataviche tendenze nell'inconscio e nella coscienza di veglia, e capaci di costituire un impedimento altrimenti insuperabile all'armonioso risveglio dell'essenza della personalità. Non che il dolore, la sofferenza e la pena debbano esser cercati, desiderati e perseguiti nel corso della vita: essi sono elementi scompensanti dell'ordine prestabilito, e la loro funzione è soltanto quella di dissolverlo quando dimostra un'incapacità d'evoluzione verso la finalità dell'Emanazione. Diciamo dunque una volta per tutte che la vita non è data per la sofferenza, la mortificazione e la rinuncia alle sue fruizioni, e che ciò accade solamente quando esistono elementi falsificanti individuali e generali - capaci di determinarne il ristagno e la conseguente involuzione. La vita è data perché offra all'ente l'occasione di comprendere sempre più adeguatamente se stesso ponendo in atto - a livelli successivi e progressivi di realtà le innumeri virtualità che ne caratterizzano l'imponderabile ambito interiore. La vera dimensione dell'esistenza è quella della gioia, della felicità e della libera esplicazione della nostra originalità: non quella di una "prova" per il Tribunale divino da affrontarsi con il sistematico soffocamento di troppe componenti fondamentali dell'Uomo (fra cui, e principalmente, la Polarità: e questo è veramente, assurdamente feroce!). Naturalmente la vita esige che quest'esplicazione del campo personale in eventi e rapporti sia armonico con la natura profonda e il Fine immanente dell'Emanazione: ciò comporta il superamento e la progressiva eliminazione dell'atteggiamento egocentrico, tanto diffuso ai nostri giorni con le sue malvagie spinte alla incondizionata possessività e al conflitto. L'integrazione con il tutto, e sopratutto con coloro che - per affinità elettive ed ideative - sono il nostro prossimo, l'amore libero ed incondizionato per l'esistenza e per tutto quel che in essa compare, il profondo rispetto per l'altro sia esso rappresentato da un essere umano, da un animale o da un fiore, sono la base dell'azione esoterica e il più potente fattore realizzativo. Per "purificazione dell'interiorità" si intende proprio quest'atteggiamento dinamico, puro, ricco d'emozione e d'amore per la vita, scevro solo da sopraffazioni e strumentalizzazioni inconfessabilmente egocentriche, e ben indirizzato all'incontro nell'Unità/Bellezza di tutte le modalità della Emanazione. Se qualcosa è indispensabile all'iniziando, questo è l'essenziale capacità equilibrata, spontanea e libera - d'essere se stesso nella propria verità, sia quando ami un uomo o una donna che nell'affrontare gli innumeri eventi che 1a vita gli condurrà. Nell'agire quotidiano, nel rapporto semplice con le persone, gli animali e le cose egli impara 1'autocontrollo non repressivo, la dinamica dell'interiorità sua e degli altri, le motivazioni segrete delle azioni, le interferenze latenti o esplicite, da tutto traendo consapevolezza, insegnamento e saggezza. L'allievo deve saper essere limpido, sereno e quanto più possibile gioiosamente aperto a tutte le opportunità equilibrate e giuste: perché è nella vita della libertà che egli conosce se stesso, e diviene con questo effettivo sostegno a quanti - ancora 216


inadeguati a tal compito - possono da lui trarre speranza e fiducia. L'azione esoterica è la necessaria conseguenza di una profonda armonia coscienziale ed esistenziale, dell'equilibrio raggiunto consapevolmente fra il proprio ambito e l'infinito mondo di enti e di potenze che - a innumeri livelli di realtà - lo esprimono. Questi sono i presupposti, da cui nasce la giusta intenzione, l'esatta direzione e la precisa opera dell'adepto: la base è la vita, la comprensione di ciò che essa è stata, è e sarà, la pienezza armoniosa dell'esistere come persona integrata con l'esistere globale degli Archetipi e delle loro emanazioni. L'asceta, il moralista rigido ed oppressivo di sé e degli altri, il retore ed il mercante d'idee a volte nobili e degne di grande rispetto, essi non sono che aride comparse nella Commedia divina dell'esistenza: e dovranno alla fine scoprire 1'inadeguatezza dei sofismi, delle elucubrazioni, degli intellettualismi e di tutto ciò che è compiuto senza amore, anche se faticoso, strenuo e spesso assai dolente. La vita non richiede questo tipo di atteggiamento a lei contrario: può chiedere molto, anche tutto in un ciclo di esistenza, ma solo per raggiungere quel che fu già nostro e perdemmo: la pienezza dell'espressione personale, la bellezza e la compiuta armonia di divenire nell'Essere. Un comportamento conforme alla vita è quello che la vuole completa, integrando ogni particolarismo nel tessuto globale per il gioioso sviluppo di ogni suo aspetto. Tale dinamicità nasce dall'Amore, si manifesta nell'Amore e si realizza con l'Amore, perché l'Amore è l'origine di ogni esistenza, sia essa quella dell'atomo o di un Universo. Quando tutta la coscienza creata dal Padre condividerà questa semplice verità, il problema dell'Uomo Globale e delle sue componenti personalizzate - i jiva - si avvierà alla soluzione, e cadranno gli ultimi veli di Maya facendone apparire la splendente verità. Coloro che ci hanno seguito nelle nostre ricerche sapranno cosa intendiamo, e come quest'effetto finale non implichi alcun riassorbimento nel Brahman, ma al contrario rappresenti l'inizio del vero cammino dell'Uomo, caduto per propria prevaricazione e risorto alla sua dignità per 1'amore di Cristo ed in Cristo. Dovremo comunque passare, dopo un preambolo di ricapitolazione d'idee già espresse ma che è necessario ricordare, al problema operativo vero; che non è un aspetto mutuabile con altri più contemplativi o mistici, ma la necessaria e logica conseguenza delle nostre premesse. Diciamo subito che i particolari concreti di ogni metodologia esoterica ineriscono al singolo allievo ed al suo Istruttore; ma - poiché nessuno è un'isola - la comunione d'intenti, di fatica e di direzione, è indispensabile al compimento delle nostre intenzioni ed è già di per sé un fine da raggiungere. Vi è quindi la necessità per quanti sono reciprocamente affini nello spirito e nelle intenzioni, d'aggregarsi secondo un principio di libertà d'amore, spontaneo e fiducioso, e che chi è effettivamente più consapevole sostenga coloro che seriamente si accingono alle fatiche del sentiero realizzativo. Questo è l'argomento delle prossime pagine a cui affidiamo la sua esplicazione. -O217


34) La cellula è l'elemento fondamentale del corpo vivente, come la molecola lo è della materia che diciamo inorganica, e che rappresenta un certo stato allotropico dell'energia divina. Entrambe, cellula e molecola, sono i mattoni dell'Universo e consentono nell'odierno aspetto da loro assunto (perché non fu sempre come ora appare, e se vedessimo con i nostri parametri attuali il reale svolgimento della Emanazione forse ne resteremmo allibiti) - l'estrinsecazione delle modalità emergenti e la maturazione di alcune delle loro potenzialità. Come per ogni aspetto dell'Emanazione così anche per l'uomo terrestre c'è la necessità, per il raggiungimento di qualsivoglia scopo specifico, di adeguati compagni simili a lui per intenzioni, desideri e scelte. Questa è la ragione delle aggregazioni essoteriche ed esoteriche, ed insieme la causa che nel tempo ha attivato la costituzione di organismi sociali via via più articolati e complessi, fino alla formazione degli attuali ordinamenti statuali più o meno interessati, almeno in teoria, a costituirsi in enti sovranazionali. La legge che determina questa tendenza è così profondamente radicata nell'umanità da agire a livello pressoché inconsapevole, e rispecchia nell'uomo fisico e nel suo mondo ciò che accade nell'interiorità. Se l'esoterismo che, con alcune eccezioni, professa il monismo della Realtà ignorasse questo dato negherebbe contemporaneamente troppo di sé e della sua verità per essere serio: dobbiamo pertanto prender nota che la preparazione individuale è necessaria e fondamentale, ma che prelude alla formazione di un gruppo di persone unite da vincoli d'identità, di qualificazioni e finalità, e quindi capaci di agire conformemente alle comuni scelte in un vettore realizzativo. Dobbiamo, sia pure sommariamente e brevemente, esaminare le implicazioni di questa tesi, considerando le caratteristiche ed i limiti di una qualsiasi aggregazione d'individualità fra loro coerenti ed il campo d'esistenza che vengono a costituire. Innanzi tutto è necessario che qualsiasi rapporto dialettico fra un istruttore ed eventuali allievi sia mirato al conseguimento di alcune elementari ed essenziali consapevolezze, e si modifichi in funzione del loro emergere. Nulla infatti è più dannoso per la ricerca interiore di un rapporto maestro/discepolo protratto nel tempo o istituzionalizzato oltre i termini necessari alla formazione di una libertà di scelte, perché in tal caso si suscita un atteggiamento passivo e sovente acritico nell'allievo, capace di ostacolare gravemente il vero e profondo chiarimento spirituale. Abbiamo troppe volte constatato anche nella storia recente come i discepoli si appoggino acriticamente al supposto maestro, lo venerano, lo ossequiano dimenticando che loro e non lui sono i soggetti attivi dell'emancipazione, e loro più di lui devono mostrarsi capaci di rompere i legami di sudditanze psicologiche o intellettuali. Non esiste che l'allievo quando si instaura un vero rapporto d'istruzione e di formazione interiore: il maestro è lo specchio in cui ognuno può, volendolo, riflettersi per trarne le logiche conseguenze. 218


Naturalmente il vero Istruttore guida questo processo con metodologie acconcie ad ognuno dei jiva che lavorano con lui, ma quel che ha essenziale risalto è l'azione del jiva in sé medesimo: lo sforzo, la fatica di assimilare, comprendere e poi attivamente operare in modo originale ed autonomo al conseguimento dello scopo comune. Qui affermiamo una caratteristica basilare di un ipotetico centro esoterico, qualificato ad agire in nome, per conto e "con" l'Interità: esso deve fondarsi sulla libertà vera ed indiscussa di ognuno dei suoi membri, e contemporaneamente significare un gioioso incontro di queste libertà personali nel comune impegno di realizzare l'Amore nell'unità spirituale. I due aspetti: libertà personale e unità coscienziale sono antitetici solo per quanti - incapaci di concepire la vera dimensione dell'Uomo - non ne comprendono il significato e la bellezza. L'immagine più adeguata ad intuirne il contenuto è forse quella della musica, formata da innumeri singole note ma una nel significato, perfezione e valore quando sia perfettamente realizzata. Gli esempi concreti possono ritrovarsi; ma non certo al livello più basso dell'Emanazione (a cui purtroppo siamo ora assai invischiati) ove domina la incombente sopraffazione delle forze qellipotiche, e la libertà è lontano traguardo. Sono i livelli medio/alti dell'Albero dell'Esistenza - per non parlare di quelli eccelsi - che danno l'immagine più consona di che significhi "libertà nell'unità" e, reciprocamente, "unità in ogni espressione dell'infinita potenzialità personale". L'esperienza di queste Sfere (sia pure temporanea ed incompleta) darà all'allievo molto su cui riflettere e molto da riconsiderare. Il lettore attento di queste pagine dovrebbe comunque ritrovarci alcune idee già sufficientemente definite. Un centro d'attività spirituale deve dunque proporsi secondo un principio d'amore e di libertà, e conseguentemente non dotarsi di un apparato organizzativo che oltrepassi, sia pur di poco, il necessario - strettamente necessario - per raggiungere un fine qualsiasi. Il progresso delle entità in evoluzione si fonda sulla libera coscienza e sulla profonda intuizione del Centro, non su schemi associativi, intellettualistici e burocratici che diventano fin troppo presto un limite e sovente una coercizione. Dogmi, regole, burocrazie sovrapposte ad un insegnamento, a una dottrina conosciuta magari solo dai pochi al vertice di una gerarchia, costituiscono alla lunga un ostacolo feroce all'interiorizzazione della ricerca, e diventano il veleno che inquina - nel predominio degli aspetti formali e teorici - lo spirito e 1a sua spontaneità. Noi, che affermiamo la necessità dello sforzo condiviso, del gruppo e della comunità, ne ribadiamo insieme l'aspetto libertario, l'eguaglianza essenziale dei membri, l'indispensabile apertura a tutte le idee e a tutte le esperienze che non siano contraddicenti con l'autonoma espansione delle coscienze nel vero e sincero amore. Molte cose sono racchiuse in queste parole e molte appariranno al lettore che su di esse soffermi un istante la sua attenzione. Ribadiamo comunque la necessità dell'approfondita analisi interiore ed il superamento di qualsiasi complesso di colpa infuso dalla propria cultura, dall'ambiente e dalle personali vicende. Quel che di 219


erroneo e distorto esiste (ed esiste sempre) in ognuno di noi deve essere individuato, compreso e superato nell'amore e nella libertà dello spirito, che esige armonia e bellezza per esplicarsi compiutamente. Ma nulla più del senso di colpa, rinchiuso nei recessi della psiche, del concetto tante volte arbitrario di peccato e di conseguente castigo, avviliscono e offendono l'idea dell'Amore e del Bene, quando tolgono la forza di attingervi un equilibrio di pensiero e di intenti, rendendoci schiavi di sfiducia, repressioni e conflitti troppe volte veramente distruttivi. La vita è donata perché sia vissuta davvero, e per farlo occorre comprenderne il significato, quanto implica e come sia esperienza necessaria al dinamismo dell'Emanazione. Vivere la vita è fondamentalmente intuirla come atto d'Amore che tende alla vera libertà e all'infinita bellezza dell'Idea che ognuno di noi è, da cui emerge la nostra personalità e che nel cuore ha fonte inesauribile di ininterrotte acquisizioni. Non insisteremo ora sulle caratterizzazioni di quest'unione di persone, poiché l'esame approfondito esige precise situazioni e concreti rapporti. Tuttavia quanto è stato enunciato può essere oggetto di ripensamento e di meditazione per il lettore il quale desideri e si accinga ad essere strumento operativo dell'Interità secondo il fondamentale principio dell'integrazione al più alto livello raggiungibile in ogni istante. Esamineremo adesso più definiti problemi che si incontrano al principio di questo sentiero, logiche conseguenze di tutte le teorie esposte e sintesi delle verità in esse contenute. -O35) La prima difficoltà che l'allievo incontra e che è veramente selettiva e temibile è rappresentata dall'individuazione di un Istruttore non necessariamente 'fisico', e sufficientemente capace e affidabile da consentire il reale progresso spirituale. In altre regioni e in differenti epoche questo problema era meno incidente nel cammino esoterico, per la presenza di centri esoterici, di maestri e di scuole atte a fornire la base concettuale per il lavoro individuale e collettivo. Basti pensare all'Accademia platonica, ai Peripatetici, alle scuole di yoga e buddistiche con i loro imponenti templi e monasteri - tanto lontani da quelli dell'Occidente - per ottenere un'immagine sufficientemente articolata dello scadimento spirituale della nostra cultura. Certamente esistono in questo ambito chiese e confessioni, sette, religioni e dottrine, portatrici di valori, più o meno parziali, più o meno compresi e più o meno aderenti agli splendidi insegnamenti delle origini. Ma la dominante intellettualistica/formale, e la famigerata costituzione di una intransigente casta di professionisti della Trascendenza, elettisi intermediari fra gli uomini e il loro Dio hanno impietrito la vitalità delle coscienze e della ricerca. Negli stessi circoli più propriamente esoterici si è manifestato un analogo fenomeno d'annebbiamento e d'involuzione, con la formazione di gerarchie, gradi di significato fin troppo formalistico e centri chiusi a tutti fuorché ai pochi eletti, scelti con motivazioni spesso assai discutibili e tali da soffocare l'antica sapienza e la 220


testimonianza degli illuminati a cui pure ci si richiama. La tendenza all' élite, alla segretezza e al mistero possono essere temibili nutrimenti per l'ego se non esattamente compresa nella temporaneità della loro funzione, purtroppo sovente indispensabile, di salvaguardia dei valori professati e della libertà. In ogni caso l'Occidente è terreno arido e assai inadatto allo sviluppo della spiritualità, ma è anche il luogo in cui è più necessario (per la pericolosità e la distruttività insite nella nostra cultura) che essa ritorni e si attivi. Non è dunque con i metodi della Tradizione passata che possiamo realizzare le nostre finalità, pur rispettandola profondamente e non rinunciando certo a servircene ogniqualvolta se ne presenti l'opportunità. Abbiamo considerato il pro ed il contro dei problemi che scaturiscono dalla contingenza, alla luce del medio stato interiore degli uomini attuali e abbiano per ora stabilito che è necessaria l'attivazione di gruppi informali, non gerarchici e non sottoposti all'autorità di alcun "maestro" umano e storico, ma piuttosto profondamente radicati nella ricerca interiore e nell'approfondimento dell'ascolto del Testimone dell'esistente, il "Sé Atmico" che vive in ciascuno di noi e che è per eccellenza il Maestro di ogni intenzione e di ogni comprensione. Questo fattore è tuttavia veramente profondo e arduo nella sua realizzazione: occorre dunque avvicinarsi a tanto con metodo e stabile impegno, lasciando che operi in noi quasi a nostra insaputa e indirizzandogli le energie, gli sforzi ed i conflitti che inevitabilmente in noi nascono ed in Lui si devono risolvere. Il Sé è compagno troppo inascoltato, ma eternamente attivo e presente secondo parametri di attuazione e di logica che sono totalmente divini e comprensibili solo nella purificazione e nella capacità di amare. In questo non breve tragitto occorre avere un giusto compagno, un Testimone, una guida che ci può apparire "avversario", ma che ci costringa a conoscerci e a superarci costantemente: questo è l'Istruttore non fisico, la "Voce" percepibile con fatica all'inizio e progressivamente con crescente chiarezza, la Persona che è insieme in noi e accanto a noi e il cui unico scopo è l'insegnamento della Libertà e della maturità coscienziale. E' possibile raggiungere tanto solo a piccoli passi, affrontando nel contempo rischi che sono impliciti al nostro campo esistenziale, e che devono quindi essere attentissimamente valutati e calibrati. Infatti come ci si inoltra nel labirinto della personalità emergono gli aspetti più insospettati e diversi, alle volte ben poco belli e semplici da accettare. Appare sempre il mostruoso attaccamento egotico alle più sottili, spesso inconfessabili gratificazioni, a desideri arcaici e sconosciuti, a tendenze affascinanti e destate dal nuovo sentiero in cui ci inoltriamo: permeato da forme/pensiero d'antica genesi, realtà pre-umane o non strutturalmente umane nel senso comune del termine, enti che talvolta condividono i fini e il destino degli uomini, ma più sovente - all'inizio dell'esperienza esoterica - ostici in tutto o in parte all'accadimento della nostra realizzazione. In tutta questo mondo d'Idee, di 'spiriti' e di personalità occorre tener ben presente che la vita è fondamentalmente "Pensiero", e che la nostra esistenza è 221


divenire dello spirito. Tutto è Spirito/Intelletto d'Amore, anche ciò che appare più denso, immobile e materia, e tale è per i nostri sensi, limitatissimi nella percezione e nel tempo. Ogni Idea, che è sempre sintesi di altre Idee e "figlia", capace di riflettere tutto ciò che specificatamente non è, si manifesta eternamente entità autonoma, circoscritta nel continuum esistenziale, capace di darsi un fine e di procurarsi i mezzi e i metodi per attuarlo. Se questo è esatto per le Sfere archetipe dei mondi sefirotici, lo è anche per quelle scaturite dall'evoluzione della Manifestazione, e per le idee che appartengono precipuamente all'Uomo in senso stretto e che si estrinsecano nelle sue modalità viventi. Occorre qui precisare che per Uomo Globale intendiamo la ideazione trascendente del Padre, e non un ente/persona esistente di per sé e del quale gli uomini siano semplici aspetti coscienziali. Nell'Emanazione esistono 1e creature concrete, non enti nei quali esse siano assorbite, e che abbiano personalità autonoma generale. Dal punto di vista della creatura, l'Uomo Globale è un'astrazione concettuale che definisce il suo campo vitale: solo nella atemporale visione/realtà del Brahma l'Uomo Globale è, e gli uomini concreti "sono" nell'Uomo Globale. Ma qui siamo nel Cit Supremo, e oltre la comprensione a noi possibile; ci preme dunque specificare al lettore che i jiva sono obbiettivamente reali, liberi ed autonomi nel contesto ideante in cui sono posti e nel quale individualmente si autodeterminano, generando un vettore più o meno comprensivo dell'intera umanità. Quello che noi chiamiamo mente, inconscio, personalità è aspetto del Tutto/Uno nella sua specifica polarizzazione "Uomo", un centro di spiritualità in fase d'acquisizione della propria libertà (autocoscienza reale) e pertanto capace da un lato delle più alte scelte, e dall'altro degli scompensi più temibili e nocivi. L'Uomo Cosmico, l'Emanazione e gli uomini sono insieme un processo d'attualizzazione dell'Archetipo voluto dall'Amore, e la risultante è certa: l'Archetipo, che "è" nella suprema Coscienza, "sarà" a se stesso secondo l'ideazione divina. Il processo appartiene all'uomo, e qui si manifesta la sua nobiltà e il dramma, l'odierna incompiutezza e la speranza che non può e non deve morire. La nostra interiorità è il teatro dell'azione cosmica che deve compiersi per volere divino, e che deve consentirci di "essere" e non semplicemente "esistere" nella frantumazione dell'identità. In questo 'teatro' tutto può apparire, perché è comprensivo di ogni componente dell'universo formale, dalle più infime alle più eccelse, da quelle che si sono oscurate nella Caduta a quelle che hanno saputo reggere al tremendo impatto con l'ego: noi siamo gli autori, i protagonisti e gli interpreti dell'intera vicenda. Queste parole possono bastare per rendere edotto il nostro lettore sull'estrema mobilità del suo mondo interiore, sull'inesauribile ricchezza di quel che racchiude e sull'infinita variabilità delle dominanti e delle derivate che può attivare o escludere dalla sua vita. Con idee limpide e serene, con la lama tagliente della discriminazione yogica, la ferma intenzione d'essere coerente al Principio e a conoscere e comprendere sé e l'Universo, l'allievo può conseguire lo strumento interiore adeguato 222


alla sua vera natura. Tutto questo deve essere pienamente compreso, e lo sottolineiamo prima di accostarci a problemi operativi più specifici, da affrontare con fiduciosa calma ma che non possono essere considerati, nelle attuali contingenze, né facili né accessibili a coloro che non ne abbiano capito la vastità ed il momento. Definiremo nelle prossime pagine un metodo di contatto mirato all'attivazione di un 'canale' capace di condurci a un Istruttore: è passo fondamentale ma assolutamente d'inizio nel cammino operativo, e deve essere valutato per quello che è. Uno strumento è valido se può compiere il lavoro a cui è destinato ed è il fine che conta, non il possesso (qui precario ed ingannevole più che mai) dello strumento. L'alunno deve pertanto affrontare la ricerca del Maestro con umiltà, nell'attenta considerazione delle immanenti difficoltà derivate dal suo essere limite e dal bagaglio karmico che gli grava attorno; deve inoltre sapere che l'istruttore esiste in molti modi ed aspetti, dei quali uno è specifico all'inizio del sentiero. Il Maestro è lo specchio in cui l'allievo deve osar di riflettersi per comprendere la sua attuale incompiutezza e le molte miserie che la causano. Occorre guardare in sé stessi e serenamente vedersi quali siamo: solo allora troveremo i metodi e le qualificazioni per tendere le mani all'Amore e alla Sua infinita bontà che ci riscatta e ci salva. -O36) La prima cosa da farsi è trovare un mezzo di contatto con Forme/Pensiero che non appartengono al nostro campo normale e che quindi sono umane nel senso cosmico e veramente puntuale del termine. Queste entità infatti partecipano dell'Uomo Globale e del Tutto, e non sono certo diverse nella sostanza da qualsiasi altra forma vivente, che è sempre e soltanto specificazione dell'Unico Essere, ed emanazione per Suo volere in personalità evolutiva. L'apertura di un varco verso dimensioni differenti dalla nostra è cosa estremamente delicata e temibile, se non si sono create le necessarie qualificazioni: ciò perché l'allievo non è in condizione di stabilire immediatamente la natura di colui o di coloro che contatta, e conseguentemente può cadere in errori e difficoltà enormi quando esistono (ed esistono sempre) nella sua psiche compulsioni e tendenze squilibrate. Queste valenze - consce e, più pericolosamente, inconsce - agiscono infatti come calamite per enti che abbiano qualcosa di affine con loro e che, per motivi più volte accennati e relativi alla loro condizione vitale tendono ad appropriarsi dell'elemento umano ai livelli che vengono loro concessi. Il problema travalica i limiti del presente studio in quanto implica valenze che attengono all'ideazione primordiale, ai campi d'estrinsecazione e al massiccio residuo karmico che la nostra storia comporta; occorre inoltre sapere che la nostra configurazione interiore influisce sulle personalità da noi contattate in positivo ed in negativo, e che ciò comporta responsabilità molto rilevanti se il jiva non sa operare nell'ambito dell'Amore. Possiamo aggiungere, e per ora è sufficiente, che il contatto con personalità dei 223


campi sefirotici è indispensabile, e che perché questo avvenga nei modi più equilibrati occorre un Maestro che sia partecipe al più alto livello della Realtà causale. Distinguiamo dunque 1'Istruttore dalle personalità che incontriamo, e consideriamo essenziale per il nostro sentiero 1'attivazione almeno embrionale del Centro cardiaco senza temere le inevitabili difficoltà che incontreremo: e qui è indispensabile la Fede, sostanza di cose sperate ed argomento delle non parventi. Il rischio è dunque grande, e non ci è lecito supporre che valga a scongiurarlo un generico appello al Padre e il comune senso dell'amore: qualsivoglia metodologia non profondamente fondata sulla purificazione interiore, sull'equilibrio e sull'adeguata intuizione è destinata presto o tardi (presumibilmente 'presto') a creare sorprese particolarmente sgradevoli e dolorose. Occorre procedere con grande cautela, a piccoli passi e con la più attenta considerazione di quel che si fa e si può incontrare, e questo tirocinio deve essere considerato estremamente importante ai fini dell'attivazione delle attitudini discriminatorie, per evidenziare le capacità e le lacune della nostra personalità. La fretta, qui più che altrove, crea vortici di scompenso e ritardi imprevedibili: mai come nell'ambito esoterico l'equilibrio fra noi ed il resto del nostro ambito vitale è importante, risultando l'unico sentiero per procedere nella direzione prescelta. Questo equilibrio si stabilisce con il distacco dalle propensioni egotiche, con la serenità e la pacificazione interiore, con la chiarezza della coscienza e delle intenzioni. Tutta la lunga pratica dello yama e niyama mostra qui il suo basilare valore, sopratutto se intelligentemente adeguata alla cultura, all'epoca ed alla personalità dell'allievo, in vista dei compiti che certamente lo attendono. Dal punto di vista operativo le strade sono molteplici, e tendono tutte ad evidenziare una disponibilità al rapporto esoterico che sia scevra da curiosità, desideri ed emozionalità non pacificate. La meditazione sul Centro interiore (il cuore dei sapienti e degli alchimisti) è certissimamente una metodologia indispensabile e che non può essere tralasciata. In generale, è fondamentale e non mutuabile con altri mezzi. Tuttavia riteniamo che, sopratutto nel periodo del primo addestramento (che può durare parecchio e che è certamente produttivo di certe conseguenze) sia preferibile un sistema d'insegnamento meno introspettivo ed interiorizzante, eppure capace d'indurre l'allievo quasi suo malgrado a compiere un quotidiano sforzo di analisi e sintesi, e di controllo della sua mente. Non per caso i primissimi contatti con l'esoterismo avvengono in modi pressoché informali, casuali e sovente risibili in apparenza: tavolini, sedute spiritiche, radiestesia e via dicendo sono pratiche conosciute dai più e, per l'estrema aleatorietà dei risultati, in genere incomprese e svalutate. In effetti esse sono il setaccio che separa il grano dal loglio e che - all'insaputa dei partecipanti - mette a nudo le loro potenzialità, le propensioni e le tendenze più nascoste. Ciò dà modo d'individuare le caratterizzazioni specifiche dei pochi che hanno qualche vera qualificazione all'approfondimento della ricerca, allontanando i molti solo intenti a crearsi occasioni di fruizioni più o meno accettabili. Se ci serviamo, per esempio, di un antico metodo di contatto – la tabella 224


alfabetica ed il piattino – otteniamo probabilmente in tempi veloci qualche effimero successo, perché l'involontaria catena costituita da due o più partecipanti (magari per la sola attenzione) è sufficiente a richiamare forme/pensiero assai prossime alla dimensione terrestre; e talvolta l'attenzione di qualcosa che ha ben più forte e definita natura. In tal caso il metro di giudizio di quanto accade è tipico delle Entità che decidano di esaminare i partecipanti e dette sedute, ed è ignorato ed incompreso dai medesimi. Con accorto dosaggio di comunicazioni, “rivelazioni” e proposte alle volte assai ambigue, con ammonimenti ed incitamenti di varia origine e natura emerge la reattività dei singoli, e alla fine la loro capacità d'analisi e di autocontrollo. Ovviamente simili condizioni impediscono di raggiungere risultati immediatamente significativi, e le persone sono indotte o a rafforzarsi nella ricerca o ad abbandonarla. Assai più delicata e temibile è comunque la scelta di agire a livello individuale, abbandonando la comoda e - in certi casi - protettiva partecipazione ad un gruppo. Soprattutto all'inizio delle esperienze questo comportamento è suscettibile di aprire vie di contatto assai incerte ed instabili, che vengono facilmente infiltrate da 'intelligenze' non amichevoli o deliberatamente ostili per dominare la mente e il substrato energetico dell'operatore e sfruttarne a sua insaputa le debolezze; poi, raggiunto un adeguato controllo, per piegarne e controllarne la personalità. Non è infrequente il caso di individui che siano obbligati in tali circostanze ad affrontare dure conflittualità per difendere la loro sopravvivenza interiore, minacciata in modo subdolo e diretto non tanto da un nemico esterno, ma da un aspetto celato nel fondo della psiche: porta che consente la penetrazione d'induzioni di qualificazione conforme, ma tali da aprirsi a raggiera verso ogni forma di distorsione. La schizofrenia, la pazzia o un'esistenza pressata da forme maniacali spasmodiche e invincibili possono diventare probabilità pressanti, e non vale l'intervento del medico e dello psichiatra, perché in questi casi la malattia ha origini ben diverse dalle consuete. Ovviamente l'interferenza di tali oscure entità è controllata da altre di più nobile e potente configurazione ed in genere - se non esistono specifiche condizioni karmiche o scelte assai distorte - il danno è limitato nel tempo di una dolente e sconcertante esperienza. E' dovere nostro e di chiunque ami l'Uomo e l'Amore far sì che queste evenienze non siano frequenti, non siano distruttive e che la ricerca esoterica possa evitare gli scogli appena descritti. Posta dunque la necessità di un metodo di contatto e di agire entro soddisfacenti margini di sicurezza, esaminiamo un poco più da presso questo arduo problema. La prima preoccupazione che abbiamo è quella di condurre l'allievo ad un'esperienza di sé così equilibrata e probante da renderlo capace d'agire liberamente ed efficacemente in ogni momento della sua esistenza, qualsiasi sia la circostanza in cui si trovi nei confronti di qualsivoglia aspetto del suo campo esistenziale. Non possiamo dunque consentirgli un cammino tranquillo ed inerziale, così come non possiamo causargli traumi che ne travaglino o danneggino 1a natura fondamentale. L'insegnamento iniziatico non è mai lieve: chi percorre il sentiero deve essere capace di farlo, o ne uscirà malconcio prima ancora di comprendere il 225


significato del tragitto compiuto. Noi abbiamo ritenuto valido - per quest'epoca e nelle odierne contingenze - agire su due piani: costruire prima di tutto personalità capaci d'esplicare un difficile impegno di sostegno ed insegnamento nei confronti di altre meno preparate e sprovvedute, e contemporaneamente interferire con la nostra presenza per tutto quel che inevitabilmente è fuori dalle capacita di un allievo. Questo binario implica che sia l'Istruttore che il discepolo agiscano di conserva nei confronti di quanti, ancor privi di strumenti spirituali, mentali e conoscitivi, tuttavia dimostrino ed evidenzino una reale volontà di emanciparsi nel senso da noi precedentemente chiarito. Questo nostro tipo d'attività ovviamente procede per cerchi concentrici e in progressivo ampliamento, in dipendenza delle opportunità offerte dalla evoluzione dei nostri assistiti. Noi infatti miriamo a renderli liberi e autonomi nell'azione ma questo (lungi dal significare uno stacco dal Tutto e un separatismo individuale) implica l'integrazione sempre più lucida e fattiva con le Potenze dell'esistente e l'incessante ricerca della sua splendida fonte interiore, il Sé. Più v'è progresso ed emancipazione, più è possibile e necessario allargare il raggio operativo dell'allievo e - se esiste - del gruppo. Esistono strade che guidano a lontani orizzonti, e che - lungi dall'essere frustranti rinunce alla vita e alla sua pienezza - la valorizzano come esemplare occasione d'attivazione e di sapienza reale. Perché queste valenze siano attualizzate è necessario partire dal poco, dalla "Pietra angolare'': che sia ben collocata, ben squadrata e posta su un terreno veramente solido, perché costituirà la base di un edificio infinito. Nel prossimo paragrafo considereremo un paio di configurazioni emancipative valide per l'aspirante e il principiante esoterista, approfondendo successivamente il tema in vista dello scopo propostoci con questo scritto. -O37) La prima attitudine che l'allievo deve manifestare è quella di un certo senso critico nei confronti delle sue attività, e la capacità di interpretarle con la più grande obbiettività possibile. Naturalmente tal dote è - all'inizio - pura disposizione mentale ben lontana dalla consapevole profondità dell'esoterista adulto; sarà compito di chi è più accanto all'allievo offrirgli la potenzialità di attualizzare le proprie innate qualità, rendendole atte ai compiti da proporsi. Non verrà mai sufficientemente sottolineata all'intelligenza del lettore la indispensabilità della cautela, dell'autocontrollo e del giudizio critico: sintetico ed analitico insieme. Senza queste doti non esiste alcuna possibilità di un cammino sereno e, in presenza della loro insufficienza, verrebbero meno le disponibilità al cammino stesso; è troppo facile cioè ingannarsi a tal punto sulle motivazioni che sui dati dell'esperienza, perché non si renda obbligatorio insistere sulla indispensabilità 226


dell'attenzione discriminatoria e sull'approfondimento di ogni valutazione, per convincente che possa apparire. Spesso la verità è come Iside, velata da molte illusorie presenze, e non si rende percepibile che a coloro che vogliano e sappiano contemplarla nella sua essenzialità. Preconcetti, dogmi, opinioni non valgono contro la nuda realtà delle cose, ed il sostenerli oltre il tempo della verifica si traduce nell'inganno di sé e degli altri: per questo insistiamo tanto su questa problematica, e ci adoperiamo perché sia compresa ed immedesimata nell'allievo. Esistono troppi motivi di rischio e di distorsione nel presente per non utilizzare la massima prudenza e la più incisiva logica del sentire; l'esoterismo d'altronde, lungi dall'essere un aspetto dell'irrazionale sottinteso al Logos apparente, è lo stesso Logos nelle sue più profonde estrinsecazioni, comprensibile come scienza solo a coloro che abbiano le adeguate conoscenze ed attitudini. Essendo Scienza dello Spirito, va affrontato con lo strumento interiore e - poiché la natura dello Spirito è armonia dell'amore in potenza e in atto - quest'atteggiamento deve informare tutte le attività e le ricerche dell'iniziato: pena l'errore e la conseguente caduta ad infimi livelli. Chi osa deve poter osare, o sarà sola temerarietà ed empietà se l'atto è diretto verso Coloro che sanno e giudicano la sua natura. Detto questo veniamo allo schema prima accennato, semplice nella sua definizione ed estremamente modulato e variabile nell'estrinsecazione. La prima attitudine da conseguire è quella dell'ascolto interiore, e della conseguente capacità di percepire la "voce'' dell'Istruttore entro il proprio cuore in modo chiaro e distintivo, oltre quindi ogni ragionevole dubbio d'autosuggestione. Diciamo "cuore" e non mente: l'estrema importanza di questa specificazione nasce dal fatto che la mente senza una base nel sentire è deviazione e possibilità di contatti estremamente aleatori, che devono essere evitati e per i quali in ogni caso occorre la presenza del Principio onde eliderne i perniciosi effetti. Questa è materia specificatamente teurgica, e richiede per essere vissuta, un'adeguata preparazione: appartiene quindi alla fase esperimentativa dell'iniziazione. Senza esaminare adesso quest'ultimo problema, vediamo come sia possibile attivare la suddetta abilità all'ascolto interiore, e come comportarsi durante il tentativo. Riteniamo che il primo e razionale metodo d'insegnamento sia costituito dalla cosiddetta 'scrittura automatica', da molti praticata ma che richiede, per essere veramente proficua ed esatta, un vero impegno spirituale ed intellettuale, quale non immaginano i molti mistificatori e praticanti che la adottano. Innanzi tutto è necessario il "silenzio" mentale, cosa facile da dirsi e difficile da conseguirsi: l'allievo non deve interferire con propri pensieri e supposizioni, con anticipazioni e ideazioni, con aspettative e desideri con la "voce"; la quale, per dir meglio, è un impulso da lui percepito tramite l'organo di contatto (che dovrebbe rettamente essere il Centro atmico e non quello solamente intellettivo) e verbalizzato secondo i propri parametri di comprensione a livello mentale. L'interferenza dell'allievo è generalmente determinata dal campo emotivo di cui è più o meno inconscio portatore, alla cui base esistono forme/pensiero del profondo 227


esterne come personalità e interne per motivi di affinità, il che può essere temibilissimo - che spesso non raggiungono la soglia della consapevolezza e che risultano generalmente ben poco comprese e molto inadeguate ai fini che ci proponiamo. Queste forme/pensiero del nostro strumento interiore possono cioè essere per così dire 'strumentalizzate' da altre, che non appartengono né all'uomo storico né al campo globale della sephirah Malkuth, ma certamente esistenti come realtà del Glifo. Poiché la base non equilibrata delle Forme/pensiero è spesso assai affine alle intelligenze che si oppongono all'emancipazione, il risultato è normalmente deludente e talvolta molto inquietante: l'allievo ne viene confuso, sconcertato e sovente invischiato in fattori conflittuali, confusi a non finire. Ciò come è ovvio può rappresentare un evento positivo, perché solo chi conosce e comprende il morso del serpente impara ad evitarne il pericolo, ma occorre che tale morso non sia troppo amaro, troppo velenoso e distruttivo oppure non ci sarà per un tempo corrispondente un allievo, ma solo un grave problema da risolvere. Occorre dunque che il jiva sia assistito da "persona" in cui egli fin da principio possa riporre piena fiducia; occorre che questa fiducia sia fondata e che di conseguenza egli si adoperi attivamente per analizzare, giudicare e correggere le manifestazioni interiori ed esterne della sua ricerca. In presenza di tale maturità (sia pure in via di formazione) il cammino è relativamente agevole e certamente sicuro: interverranno fattori adeguati a far emergere consapevolezza e sapienza a livelli crescenti, ed in modo tale da non costituire né traumi né ambiguità non rapidamente risolvibili. Certamente il sentiero iniziatico non è precisamente salire su una vetta in carrozza, ma piuttosto trovando gli adeguati appigli nella montagna ed issandosi passo dopo passo con tenace fatica. La modifica delle distorsione della personalità e il karma immanente - che deve essere progressivamente eliso - non concedono alternativa di comodo, comunque inadeguata al fine. Si tratta tuttavia di un cammino estremamente importante, interessante, che arricchisce ed illumina fin dai primi passi e che diventa col tempo l'essenza stessa dell'esistere e la dimensione più vera e profonda della personalità, alla quale tutte le altre fanno da equilibrata corona. Tramite il "silenzio interiore" - certo non rigoroso all'inizio, ma sufficiente - si avranno, dopo un periodo di costante e non troppo assorbente applicazione (gli eccessi qui devono essere rigorosamente evitati!) alcuni risultati: parole che si scrivono 'come se la mano fosse guidata da un'altra mano', pensieri e concetti difficilmente riconducibili alla mente conscia dell'agente e che in molti casi altrettanto difficilmente possono essere sospettati di esprimere valenze più sopite, inconsce e subconsce. Occorre qui aumentare l'attenzione: osservare con calma, catalogare, analizzare. Ad un certo momento si presenterà la possibilità di un dialogo: con chi? Con la propria psiche, o piuttosto con qualcuno che, pur apparendo attivo nella mente dello scrivente, non le appartiene e rivela una personalità propria, originale, caratterizzata, e molto distinta? Nuovamente è indispensabile accrescere 1'attenzione e le capacità discriminatorie, procedendo con calma e serenità. La calma 228


e la serenità sono infatti gli strumenti più idonei per costituire la base di ogni discriminazione, ed insieme "protezione" pressoché spontanea ed intrinseca contro possibili interferenze, a patto che siano fondate sulla sincera ricerca dell'Amore, che è già amore in emersione, e non un atteggiamento intellettuale ed astratto. Se l'allievo procede nell'equilibrata prudenza avrà i primi contatti logici, le prime vicende personali con una dimensione di realtà non solamente terrena, non semplicemente 'umana' dell'esistente. Dal tipo d'interessi che si evidenzieranno in lui emergerà poco a poco la sua specifica qualificazione, e i pregi e i difetti che l'accompagnano. Sarà quindi compito dell'Istruttore valorizzare i primi elidendo i secondi, con sapiente lavoro d'introspezione e di consiglio. Poiché tutta la vita del ricercatore viene condizionata da questo tipo d'eventi, occorre far sì che l'esperienza esistenziale diventi parte attiva nell'emersione delle potenzialità emancipative e nel superamento degli immancabili scompensi: i quali non possono essere esorcizzati (come tanti s'illudono) con una semplice repressione ma piuttosto con la loro comprensione e - talvolta - con adeguate e ben guidate esperienze. E' l'aspetto più delicato dell'autorealizzazione, e va risolto nel caso concreto. Possiamo dire semplicemente che la fuga di fronte ad un evento squilibrato o distorto del mondo interiore non lo risolve ma lo potenzia, e che questo fattore deve essere affrontato e risolto con le armi della luce, dell'azione e introspezione, con la fiduciosa consapevolezza di non essere mai soli. Se l'allievo avrà vinto gli elementi più ostativi della sua personalità, o almeno li avrà resi sudditi del suo più libero giudizio, si potrà passare al momento successivo dell'attivazione iniziatica, e cioè all'abbandono della scrittura pura e semplice per l'ascolto e il colloquio interiore. Questo metodo è in effetti la logica evoluzione del primo mediante l'individuazione del messaggio mentalmente tradotto che - anziché risolversi in un impulso ad agire, a muovere la mano secondo un preciso schema - si rivolge più direttamente all'archivio dei termini noti e li evidenzia secondo un logico tessuto, presentandoli contemporaneamente alla coscienza e alla scelta del comunicante. Qui più che prima occorre distinguere immediatamente e intuitivamente quel che proviene da un'intelligenza esterna dai pensieri e dalle razionalizzazioni tipiche del percipiente. La sospensione dell'attività mentale e il relativo ascolto impersonale sono i fondamenti essenziali a questa intersezione di coscienze diverse: occorre però aggiungere e sottolineare l'indispensabilità della direzionalità spirituale, che deve essere e restare rivolta al Bene e all'Amore, e cioè mantenersi indirizzato al Centro Atmico, del quale la voce interiore è aspetto formale adeguato all'allievo. Se per Maestro si accetta supinamente colui che parla, senza mantenere il vettore personale di incontro rivolto al Cuore, si corrono rischi, la cui rilevanza può apparire lieve all'incauto, ma che - agendo a livello più inconscio di quanto si possa temere - è sempre di notevole momento. Possono infatti determinarsi induzioni sottili a far prevalere aspetti specifici e distorsivi della psiche, tali da condizionare la libertà di scelta e di autodeterminazione e che creano una rete di suggestioni la cui eliminazione è sempre indispensabile (esiste già nell'allievo e nell'uomo comune, e 229


determina la condizione esistenziale oltre il supponibile, e la maturazione del karma), ma che implica una energica decisione e una indefessa costanza dell'allievo ad affidarsi al suo vero Istruttore fondamentale: il Cristo. Ripetiamo: l'attenzione, nel silenzio interiore, deve restare sempre vigile e puntualizzata al Centro e, pur non formulando concetti o sequenze d'idee, deve controllare con assoluta lucidità e analisi intuitiva quel che proviene dall'"esterno" ed è percepito interiormente, onde evitare la prevaricazione induttiva e le sue devianti conseguenze. L'induzione può infatti accadere direttamente a livello profondo (non percepito dal soggetto che come modifica dei suoi stati di coscienza) che mediante concettualizzazioni che abilmente indirizzino il percipiente in uno schema esistenziale gradito ad altri e lesivo a lui; i due metodi sono sempre uniti, e determinano lo stimolo di tendenze presenti nel jiva in forme più o meno coscienti, l'attivazione di forme/pensiero altrimenti virtuali o represse e la loro successiva evidenziazione in aspetti riconosciuti come originariamente propri dal loro portatore, e che invece sono per una parte anche apporto estraneo per fonte e finalità. E' infatti difficile - molto, molto difficile riconoscere come estraneo (in tutto o in parte) un pensiero, uno stato d'animo che affiori nei recessi della psiche, se non si è avveduti e liberi da schemi condizionanti, e lungamente allenati a quest'attenzione. Il più delle volte l'ideazione estranea viene collocata nel grigiore coscienziale che esiste fra 1'inconscio e la coscienza di veglia, in forma germinale e schematica, ma suscettibile di specifici sviluppi. Per gli addentellati che tal "seme" ha con caratterizzazioni della personalità più o meno note, larvate, rimosse o represse è possibile incrementarne la crescita nel desiderio e nella volontà di fruizione delle proprie azioni, con conseguenze riduttive della capacità di scelta autonoma e della conseguente libertà. Questo è il "male''. La storia è piena di simili casi, e non ci dilungheremo ulteriormente in casistiche che ciascuno può rinvenire, e che dovrà meditare alla luce dei suddetti concetti. La base è l'impurità, l'inadeguatezza della personalità all'esistenza secondo l'ideazione divina, il vecchio retaggio di abitudini, tendenze, istinti che in ere lontanissime o più vicine sono stati insieme l'estrinsecazione di un più remoto passato e la causa del karma presente. Poiché solo con 1'elisione degli aspetti karmici negativi, e l'impersonale utilizzo dei positivi è possibile progredire nell'emancipazione, ognuno può adesso comprendere quanto una metodologia sia insieme rischiosa e necessaria per il conseguimento della personale realtà: rischiosa in quanto pone il meditante di fronte a se stesso quale è e non quale è comodo credersi, a saper sfidare e vincere le componenti squilibrate della propria personalità. Necessaria perché solo con la vittoria in questa lotta si dissolvono le oscurità interiori e si acquistano la forza e l'integrità indispensabili nel cammino dell'esistenza. La metodologia di contatto è certamente un metodo non scevro di pericoli ma, nel nostro caso, in presenza di un vero Maestro spirituale, capace di affrontarli su di un piano concretamente cautelativo per l'allievo. I pericoli d'altronde esistono già, esistono sempre, sia che li si voglia dissipare con l'audacia di una ricerca esoterica o li si vogliano ignorare nella passiva 230


accettazione delle stato di fatto. Con prudenza e pazienza il sentiero stesso insegnerà la saggezza e la sapienza, il coraggio e la perseveranza che costituiscono il vero scudo contro ogni possibile degrado. Oltre i trabocchetti dell'ego esistono sempre i fattori illuminanti del Centro interiore che conducono all'esperienza di aspetti altrimenti impossibili per il jiva, e del tutto insospettati dagli uomini odierni. Con l'attivazione della capacità del contatto interiore 1'allievo possiede uno strumento autonomo e diretto di percezione (non ancora formale, o almeno formale nell'aspetto concettualizzante), attivabile in qualsiasi momento in cui se ne presenti l'utilità e l'opportunità. Perfino nel colloquio con altre personalità l'esoterista può ascoltare con analoga lucidità la voce interna, fino ad individuarne in modo alquanto preciso aspetti non verbalizzati, sintetici, che provengono da strati profondi ed inconsueti della realtà. Poiché qui l'esperienza non è comunicabile e un elenco di casi risulta inutile quanto prolisso, non ci dilungheremo oltre: ribadiamo che questa attività coscienziale, che implica il controllo della propria mente, conferisce nel tempo un notevole incremento delle capacità d'analisi e di sintesi, le quali da razionali possono perfino essere puramente intuitive, aprendo la via ad imprevedibili emersioni ed approfondimenti. Con il manifestarsi di uno strumento di contatto autonomo e sufficientemente adeguato all'emancipazione il cammino si accelera, e si creano i presupposti per più articolate e illuminanti acquisizioni. Se poi l'allievo mostra attitudini positive e il vero fondamento nel principio d'integrazione e amore con il Tutto/Uno, verranno attivati in lui altri momenti di percezione, quelli che vengono detti "la seconda vista" e cioè la capacità di contattare de visu individualità sottili del campo esistenziale e, con il tempo, la possibilità di modificarne positivamente l'evoluzione e le incidenze. Qui siamo in un terreno più fecondo e progredito, che richiede di conseguenza più saggezza, equilibrio ed impersonalità. I pericoli dell'insorgere egotico sono molteplici, e più evidenti i fattori che conducono alla giusta prospettiva e all'armonioso atteggiamento. Se l'allievo mostra insieme umiltà e coraggio, amore e volontà d'essere quel che l'Assoluto vuole da lui, egli potrà incontrare molte fenomenologie strettamente iniziatiche quali la percezione delle sfere sephirotiche, la loro attività onnipresente, i drammi che coinvolgono l'Albero della Vita nel tempo del kali-yuga, l'incontro con personalità lontane dalla nostra esperienza ordinaria eppure immanenti alla vita di tutta l'Emanazione. Potrà finalmente incontrare il suo Istruttore in forma comprensibile, adeguata al grado d'emancipazione raggiunta nella sua ricerca; sapere come la materia sia aspetto formale del Pensiero, Idea, energia irradiata della stessa natura del Centro solare e da Lui mai disgiunta. Poiché questo nostro studio non comporta l'approfondimento di fattori così avanzati dell'esoterismo - per i quali è sottintesa un'acquisizione sapienziale profonda e consolidata - non ci soffermeremo oltre su questi argomenti. Precisiamo tuttavia che il metodo appena abbozzato determina insieme agli effetti avvertiti dall'allievo altri molto più importanti e a lui sconosciuti, che verranno utilizzati nel tempo e non 231


appena la maturità, la forza, e 1'intelligenza del jiva lo consentiranno. In questa fase successiva è di estrema importanza considerare non solamente il campo esistenziale dell'allievo ma anche quelli a lui più affini, che verranno certamente influenzati ed in varia misura modificati dal processo iniziatico del primo. Il problema è complesso e delicato in considerazione delle reciproche influenze positive e negative, e richiede prudenza e saggezza per non risolversi in interferenze con le scelte dei singoli. Giova qui riaffermare che, nonostante molte apparenze contrarie, c'è un ambito operativo in cui il fine non giustifica mai i mezzi, e questo è il campo della fondamentale libertà di autodeterminazione. Poiché la Manifestazione è l'energizzazione di questa libertà in un'Idea archetipa, è ovviamente impossibile negarla nel concreto sopraffacendo per qualsivoglia motivazione l'estrinsecazione di suddetta libertà. Non si tratterebbe infatti di attività iniziatica, ma piuttosto di contro iniziazione, d'involuzione produttrice di tutte le coerenti correzioni che la Potenza divina vorrà adottare. Non ci dilungheremo oltre in questa disamina, che è del resto deducibile nelle sue linee fondamentali e nelle conclusioni da tutto quello che abbiamo fin qui enunciato. Esamineremo piuttosto i problemi dell'insegnamento concreto e dell'approccio con persone del nostro ambito normale le quali, pur in presenza di virtuali qualificazioni, non dimostrano la capacità di collocarsi autonomamente sul cammino della propria realizzazione, e che quindi abbisognano di un appropriato sostegno. -O38) Il problema come dicemmo non è tanto quello di dare delle "verità" già definite e catalogate a persone capaci - sia pure embrionalmente - di porsi domande e cercare risposte al significato dell'esistenza. Noi non crediamo in questa metodologia, che mai ha dato frutti veramente fecondi al cammino dell'uomo. In ogni religione, e certamente anche in quella storicamente definitasi delle confessioni essoteriche cristiane, sono emersi personaggi di grandissimo valore, degni della più alta considerazione e di tutto il nostro amore. Ma se esaminiamo più da vicino la loro vicenda terrena, vediamo come la lotta, la fatica della comprensione di Dio e della ricerca sono emerse in libertà d'intuizione pur fra gli schemi dei dogmi e delle dottrine ufficializzate, facendole rivivere in personalissima luce di sapienza, oltre le strettoie delle teologie e degli intellettualismi. Basti pensare al Santo di Assisi, o a Mastro Echarth, per tanti aspetti diversi tra loro e pure così fratelli nell'anelito all'Amore e all'Assolutezza divina. Noi non vogliamo tuttavia servirci di strutture storicamente superate, e che appaiono obsolete in troppi fattori per poter rappresentare un sostegno compiutamente valido nella ricerca del nostro destino. Preferiamo mettere gli allievi più qualificati in condizione di operare autonomamente nel loro impegno d'analisi e sintesi fra le varie realtà storicamente evidenziatesi perché si formino un'ideazione 232


personalissima, fondata sulla loro sensibilità interiore e sull'esperienza di quanto possa esser considerato vero, reale o almeno altamente credibile. Il nostro consiglio e la nostra presenza sono certamente informati a concetti che reputiamo esatti e che puntualizzano le ragioni tanto della nostra esistenza che del presente studio; tuttavia, lungi dal voler imporre metafisiche fondate su una positività ex cathedra che per quanto esatti potrebbero suscitare aprioristiche resistenze, preferiamo indurre l'allievo a scoprire motu proprio la razionalità di certe idee, la naturalità di specifici atteggiamenti e delle consequenzialità relative, togliendoli progressivamente qualsivoglia certezza precostituita esternamente alla sua ricerca, ed indurlo a ricercare in sé e nell'umanità la chiave interpretativa valida per il singolo e per l'Interità: la sola che insegni unitariamente il modo, la direzione e la meta da raggiungere. Sia il nostro lettore che ogni suo compagno di cammino, inesperto o più avveduto devono valutare come si renda importante fornire informazioni, suggerire prospettive e additare traguardi vicini e lontani, ma che tutto questo esige di essere vagliato, analizzato, accettato, discusso e - se occorre - motivatamente respinto in quanto ognuno di noi deve assolutamente imparare con il tempo e la fatica ad essere maestro di sé medesimo. Certamente noi crediamo che l'analisi discriminante, ben condotta ed imparzialmente conclusa, conduca là dove noi siamo ed andiamo, ma questa convinzione lungi dall'essere un ammonimento imperativo o una costrizione esprime semplicemente la fiducia nella "nostra verità", e la speranza che essa sia così completa, convincente e luminosa da poter essere condivisa per amore e razionalità da coloro che amiamo. Ogni approccio ad un allievo, effettivo o semplicemente in fieri, deve essere direzionato a suscitare questo desiderio vivo ed intenso di ricerca, d'obbiettività e di impersonalità del giudizio. Non è certamente possibile confutare con argomentazioni superficiali, frettolose o speciose le concettualizzazioni sintetizzate da tanti in molti secoli di studio, fatica e sovente eroiche rinunce: occorre tuttavia individuare quanto di verità in esse sia contenuto e quanto appaia storicamente condizionato e pertanto più o meno contraddittorio con gli stessi Valori che si volle difendere. Le nostre motivazioni, oltre che oneste e offerte in autentica buona fede, devono cogliere il segno, dimostrarsi veramente incisive per riuscire giustificate e sostenibili fino in fondo: l'approfondimento dei temi a tutti i livelli è necessario non solo per raggiungere la verità a cui tendiamo, ma anche - e specialmente nei primi avvicinamenti - per sgomberare il campo interiore dai luoghi comuni, dai preconcetti, dalle opinioni acriticamente accettate in ossequio ad un secolare autoritarismo e che ingombrano, intralciano e ostruiscono il cammino della sapienza. L'antico metodo socratico è ancora valido ed indispensabile per porre le basi di un'esperienza non illusoria e condizionata; solo con la nostra capacità discriminatoria, l'analisi equilibrata ed attenta, la libera intuizione del reale è possibile percorrere il sentiero verso il Centro spirituale, 1'Atma, che è la puntualizzazione veridica in noi di tutta la Realtà. Conseguentemente è impossibile dotare l'allievo di un tracciato precostituito 233


identico a quello di un qualsiasi altro ricercatore: ogni jiva è Idea/Universo che deve seguire la logica interiore e la personale specificazione che lo rende unico nell'unità del Tutto. Noi crediamo, fermamente crediamo che tutte le strade s'incontrino là dove esiste solo la via trascendente/immanente dell' Amore e della Emancipazione nell'Amore; crediamo che tutti i viaggiatori della vita troveranno presto o tardi un comune terreno d'esperienze e di conoscenza, di principi informanti e di ricerca. Ognuno avrà sempre la propria univoca caratterizzazione, e contribuirà in modo libero ed originale alla finalità della Manifestazione, e con pari dignità ed importanza nei confronti di qualsivoglia Entità che in Essa egli incontri. Per questo abbiamo tracciato un quadro che sostenga l'allievo nel suo quotidiano ed incessante lavoro: un impegno che deve essere esattamente graduato nell'affidamento ai principi esposti ed alla loro costante verifica. I nostri scritti sono dosati secondo la logica realizzativa: sarebbe comunque conseguentemente sbagliato leggerli in serie prescindendo dall'apporto della diuturna esperienza di lotte, frustrazioni, speranze, sconfitte e vittorie nel loro avvicendarsi di verità ed illusione, perché tutto questo conduce oltre il momento presente, e crea basi sempre più solide al proseguimento del processo realizzativo. E' estremamente importante che l'allievo sappia tendere ad un incontro equilibrato con il grande Glifo, e vi si prepari con tranquillo entusiasmo ed energica determinazione. Gli errori e le ideazioni imprecise verranno progressivamente corretti, ma sopratutto per volontà ed opera dell'allievo medesimo, quando ne riscontrerà la presenza incontrovertibilmente ostativa. Guai a colui che ritiene di obbedire al comando divino rinunciando alla sua capacità discriminatoria, alla sua testimonianza interiore e alla libertà d'essere se stesso. A lui si aprono le porte del dogmatismo, dell'intellettualismo e dell'autoritarismo, che tanto dolore arrecarono e arrecano all'umanità. Ma si chiudono nel contempo le strade dell'autorealizzazione, almeno finché l'Amore non costringerà con il rigore e la giustizia a riflettere sull'errore e sull'abdicazione alla propria più alta dignità, quella di essere figli dell'Amore, resi liberi fin dall'origine da ogni servitù, a patto di saper comprendere cosa sia l'Amore e la Sua infinita capacità creativa. Queste pagine esigono una gradualità di lettura e un contemporaneo sforzo d'apprendimento, fondato tanto sulla critica del loro contenuto quanto sulla ricerca sincera e coerente dell'obbiettività di giudizio. Poiché formare un'entità emancipata ed autonoma è compito estremamente impegnativo e difficile - lungamente protratto nel tempo prima che qualcosa di definitivo e stabile si concretizzi - occorre che l'allievo tenga conto dell'ammonimento che gli diamo in queste righe: sia egli paziente con sé e con gli altri, tollerante per i propri ed altrui difetti, sereno nello sforzo di insegnare a sé e a coloro che l'ascoltino l'equilibrio e l'armonia. La fatica deve essere commisurata alle forze attuali e non a quelle desiderate, per portare frutto; l'eroismo non è richiesto che a coloro che sanno cosa sia, e possono affrontarne il peso: ed anche in tal caso in momenti eccezionali e specifici, assai più rari di quanto si pensi. 234


Molti martiri, eroi, intrepidi personaggi che la storia ricorda avrebbero più dolcemente servito la causa dell'Amore (e forse più utilmente!) se non avessero creduto volontà di Dio il supremo sacrificio, il martirio, l'irriducibile coerenza e l'ossequio indiscusso a norme e principi che certo non furono formulati che da creature. I martiri, per alti e nobili che siano, non creano nel tempo l'equilibrio, ma una reazione, perché gli uomini comuni spesso non ne immaginano neppure le motivazioni e la grandezza, e sovente lo stesso martirio - saggiamente accettato in presenza di condizioni esterne coartative nei limiti di un equilibrato giudizio avrebbe potuto essere evitato con l'affidamento al Padre. Questo avrebbe consentito ad anime immense di operare per il bene comune in modo più incisivo e duraturo, ed avrebbe infine più rapidamente scalzato il potere e la violenza degli oppressori. Noi non vogliamo eroi, asceti e inutili sacrifici: vogliamo uomini liberi e forti, che sappiano osare (osare fino all'estrema rinuncia, se veramente occorresse), ma anche conciliare le opposizioni, cedere per risollevarsi non appena la forza avversaria, esaurita la sua stessa incongruenza, perdesse potere, e cedere nel modo che solo l'Amore insegna: agendo senza agire. L'Universo tende all'equilibrio per propria natura profonda. Lo cerca tramite l'estrinsecazione di spasmodiche opposizioni, di conflittualità a non finire, causa di incessante frustrazione e dolore. Noi dobbiamo quindi porci come elementi armonizzanti e non semplicemente come forze opposte a quelle che vogliamo trasformare. L'inerzia karmica insegna: bisogna dissiparla, indebolirla e neutralizzarla poco a poco, e - quando la sua potenza è tale da essere da noi controllata - fermarla. Non prima, perché sarebbe impossibile e facilmente produrrebbe 1'effetto contrario: al momento giusto, quando le nostre intelligenze, volontà e capacità abbiano sufficiente momento da dissolvere il vettore distruttivo che proviene da un remoto passato. Mediti il lettore, e dica a sé medesimo di che cosa è capace, che cosa può dare o non può dare all'insorgere del bisogno: così saprà giudicarsi con equità e imparzialità, trovando ben più facile rinvenire nel suo cuore nuove ed insospettate energie, ed essere insieme un umile ma chiaro elemento dell'infinito disegno divino. -O39) La nostra attenzione deve adesso incentrarsi su di un fattore che non è troppo compreso, e che deve risultare acquisito almeno quanto basti per un giudizio genericamente e provvisoriamente preciso del mondo in cui viviamo. La scena in cui si svolge la nostra esistenza, i monti, i mari le lontanissime costellazioni sono elementi di un grandioso progetto realizzativo, la cui vastità ed importanza non può venire percepita che da quanti - con tantissima fatica e intelligenza d'amore - si siano messi nella condizione di riceverne il dono della comprensione. E' cioè impossibile nel breve spazio dell'esistenza terrena, e perfino in quello 235


d'innumeri esistenze successive, formarsi un'immagine sufficientemente adeguata della Manifestazione prescindendo dal sostegno di coloro che - nel segno di Cristo ne costituiscono insieme gli artefici e le forze motrici. La manifestazione è un processo di autoaffermazione che non ha in sé nulla di separativo e ha tutto d'unitivo con le sorgenti da cui proviene, e che tuttavia conduce alla specificazione di un aspetto veramente libero, autonomo e reale del Pensiero Supremo. Tutto quello che vediamo, constatiamo, contattiamo in noi ed oltre noi nell'intimo della coscienza e nelle immense distese dello spazio e del tempo sono l'adattamento delle nostre nascenti personalità al magistero e al progetto brahmanico, che gradatamente si offre alla luce della coscienza e si dispiega nella loro consapevolezza ed esperienza. Nulla è quindi aleatorio, casuale e fortuito nell'Universo, perché da tutto emerge il risultato finale. L'imponderabile ed onnipresente forza dell'Albero della Luce altro non è che lo strumento dell'attuazione dell'Idea affidatagli, la quale è già ''da sempre'' presente, perfetta e compiuta nel Cit dell'Assoluto. Quindi è il Cit che si rivela sia alle sfere delle Sephirah che all'archetipo Uomo di Malkuth e alle sue indeterminate modalità, i jiva. La nebbia, l'oscuramento e la difficoltà esistono solo in coloro (e sono legioni) che devono svegliarsi a sé, e non certo in quanti già scorgono, irradiati dalla Sapienza trascendente, la Realtà con un'approssimazione immensamente più perfetta di quel che i primi possano immaginare. L'Emanazione non è tuttavia propriamente un ambito di formulazione di personalità che costituiscono concretamente le cellule dell'Uomo Cosmico che in un senso: tutto quello che in essa è contenuto è Spirito che si riflette nella propria mente e, riflettendosi nella luce della presenza divina gradatamente si comprende. Lo Spirito è il tessuto profondo del nostro universo così come lo è della Interità, e dello Spirito - reso autonomo dall'Amore Supremo - noi siamo l'attività pensante, intelletto che pensa se stesso (e dovremmo sempre intendere: intelletto d'amore) nei cieli e nei mari, nelle costellazioni infinite e negli atomi, negli esseri razionali, speranza dell'Emanazione, ed in quelli ancora e per molto tempo a venire immersi nel profondo sonno dell'attesa: fino a quando una Luce di consapevolezza s'irradierà nei più riposti e segreti recessi della tridimensionalità, rendendola presente a sé stessa. Pensiero che si pensa, e - pensandosi in amore - si conosce e si comprende: ecco ciò che è 1'Emanazione. Così facendo diviene e si autodetermina. Occorre "sapere", prima intellettualmente (e questo è 1o scopo del nostre scritto) quale sia il campo dell'Uomo, quale la sostanza e quali gli accidenti, i fatti temporali e mutevoli che non hanno altro fine fuorché quello essenziale di rendere consapevole ed attuata nelle creature quella stessa sostanza. Pensiero che pensa se stesso: solo il supremo Brahman è oltre questa definizione, valida per tutto quel che si distende nell'atto della sua dinamica volontà. Il Brahman è. Non "pensa" nel senso nostro, perché Egli è la sintesi estrema, atemporale, somma del Pensante, dell'Atto di pensare e del Pensato. Egli è, realtà principiale e finale del Tutto/Uno, non statica e non semplicemente dinamica, ma insieme l'assoluta imperfettibile armonia a cui nulla può 236


aggiungersi e l'assoluto, costante e coerente dinamismo: capace d'evidenziare a sé, determinare e creare nella Sua folgorante chiarezza gli universi e le persone che universo sono, gli atomi e gli Archetipi più possenti e sinteticamente comprensivi. Non dobbiamo volgere gli occhi ai soli, alle stelle, ai pianeti che diciamo ingiustamente 'morti' o 'impossibili alla vita' come a corpi immoti, sterili ed incapaci d'esprimere null'altro che un'inerte presenza in meccanici e incomprensibilmente lenti mutamenti. Essi sono centri d'ideazione a livelli così remoti dall'intelligenza degli uomini che è impossibile quasi a chiunque sentirne il flusso vitale e la potenza operativa. In essi il Pensiero dinamico della Manifestazione s'incentra per crear presupposti a lontanissimi futuri, la cui esistenza ci è insieme inconcepibile e separata da un rapido batter di ciglia, da un istante che si vanifica dentro la nostra coscienza. In essi il Pensiero ideato, guidato e sorretto da ben più saggio Pensiero, s'evolve e puntualizza, ed agisce fecondo ovunque nell'Universo secondo categorie che non sono né il nostro tempo né il nostro spazio, ma che pure attengono al Tempo/Spazio in un ordine non più orizzontale ma direzionato secondo la necessità che il Fine ultimo impone. L'Onda manifestante è "espansione", non semplice corsa 'in avanti' quale a noi appare: lo ieri, l'oggi e il domani sono per la Maya tutt'uno, e semplici modi di configurarsi delle entità che in Essa s'agitano, lontane dall'intelligenza di sé e del loro vero campo reale. Abbiamo già tracciato in altre pagine questi concetti, e vogliamo solo qui rammentarli perché il lettore non dimentichi che la sua esistenza attuale è sogno di un sogno, ma che Colui che sogna è reale, e si sveglierà e, svegliandosi comprenderà i simboli incontrati o intravisti nel lungo cammino e nel sopore inquietante della sua coscienza. Allora i simboli diverranno ben più concrete esistenze, centri di vita ed intelligenza dispiegati alla sua intelligenza, capaci di sostenerla apertamente ed arricchirla. La Terra, i cieli, le nubi, i mari ed i monti, le rocce, gli animali e gli uomini sono fratelli, e formano un centro di vivente coscienza che è il nostro pianeta: entità in parte integrata con l'albero Sephirotico ed in parte già autonoma, dotata di un volere e di un senso d'essere che trascende quello comune degli uomini in essa emergenti. Ma gli uomini sono l'aspetto formale evidenziato dell'autonomia e della personalità: questo va ricordato ben oltre le forme fisiche che li puntualizzano in un determinato periodo storico. Quando i jiva, ora tanto infelici e ribelli all'armonia e all'integrazione, sapranno ciò che in effetti sono e sempre sono stati, il Pianeta troverà in essi la sua più completa ed adeguata espressione, e si rivolgerà a loro come al centro del proprio esistere aprendo insospettate porte di vita e di potenzialità. Quanto ora diciamo è difficile da assorbire davvero, eppure è necessario che si consolidi progressivamente nell'anima del lettore come nucleo d'aggregazione, che può costituire la perla preziosa, il lucente diamante. Tempo, spazio, dimensioni: tutto è insieme ingannevole e reale perché tutto è finalizzato all'essere, al manifestarsi di quanto ora permane sottostante ed indistinto. 237


Coloro che più sanno più sono responsabili di fronte al Tutto e all'Emanazione: si sforzino di capire ciò che porta lontano dall'oscurantismo, dall'inganno e dal dolore da loro medesimi scaturiti. Maya è verità, splendida se contemplata oltre i veli illusori e necessari del nostro tempo/spazio: possa il lettore vederla prima che l'arco della sua presente esistenza raggiunga il suo orizzonte, e possa trarne la forza e la luce che conducono oltre il limite, nella Realtà. -O40) Non molto tempo fa abbiamo accennato ad un simbolo molto ricorrente nel mondo esoterico ed alquanto indicativo del nostro assunto fondamentale, sia del fraintendimento che regna fra i cultori di scienze approssimativamente teurgiche o genericamente esoteriche. Questo simbolo è la "Chiave": la chiave che segna nell'arco il punto d'equilibrio, dal quale partono i semiarchi che reggono il peso della costruzione; la chiave che apre le porte proibite ai profani, che libera le forze segrete del Mondo sottile, che svela i misteri delle tradizioni e delle religioni. Tutto questo è già stato detto, ed in molti modi: quando non si parla di 'chiave' - nel cui concetto è racchiuso il senso dell'apertura difficile - dell'impedimento dirimente che non si supera in modo empirico ed improvvisato, ma solo con 1o strumento più adeguato possibile - si allude alla "Pietra": la Pietra Filosofale per eccellenza, quella che è la base e la radice dell'Essere e del Sapere, e su cui poggia tutta l'esistenza dell'Uomo e del suo Universo. Altrove si accenna ad un recesso segreto dell'anima, al luogo sacro per esemplarità, ad un Centro perduto ma che potrà essere ritrovato se un uomo puro di cuore ed intrepido nella Fede farà la parte dei molti pavidi e insipienti. Si parla del Santo Graal, del Diamante/Folgore, dell'Hank egizio, la famosa Croce della Vita che i Faraoni, con il flagello, serravano in pugno. Tutti Questi simboli hanno un carattere comune e alludono ad un potere perduto, ad un talismano certo allusivo di uno stato d'esistenza assai perfetto - che un tempo fu donato e che per cause oscure l'Uomo smarrì perdendo il sentiero della felicità e della gioia. Gesù su di un simile simbolo aperse le braccia in estremo dono ai suoi figli, e fu frainteso quanto falsificato da coloro che pur pretesero di appropriarsene. Ma Gesù non agì per i contemporanei ma per l'intera umanità, e la Sua opera è un albero appena appena spuntato sull'arida terra che scelse per nascere. Egli è, nel senso più completo del termine, segno di contraddizione e di salvezza, Chiave di Volta della storia dell'uomo: apparsa quando era inesistente la diffusione egotica che oggi ci dilania, per limitare il doloroso impatto delle sue onde distruttive con il processo di redenzione. Redenzione da un remoto peccato, da una colpa connaturata all'Origine, quando l'Uomo non era ancora tempo e spazio a noi noti, e gli Universi non apparivano agli occhi dei due simbolici progenitori. L'idea della caduta è connaturata con quella della perdita di uno stato di 238


primordiale purezza, di una colpa, di un delitto da scontare: è difficile resistere a queste immagini, perché caduta certamente vi fu prima che l'universo nascesse, e la tragedia (di per sé evitabile) coinvolse nel tempo la intera Emanazione. Fu colpa dell'uomo, o piuttosto non ci è possibile liberare sotto un particolare profilo 1a nostra origine da questo marchio, scorgendo in quello che lungamente fu ritenuto un atto d'arbitrio e d'empietà la stessa scaturigine della bellezza e della nobiltà dell'Adamo Cosmico? Noi crediamo che il mito confuse, nei suoi remoti e non casuali fraintendimenti, quel che fu un originario atto di scelta da compiersi con il Padre con quanto poi ne seguì nel processo esistenziale, e che fu realmente Caduta funesta e dolorosissima. Vogliamo ora rivolgerci al primo momento, in cui la Creatura volle perdere l'innato splendore del Continuum divino per poterlo conquistare con la sua anima e la sua fatica, componendo in sintesi armoniosa le infinite, indeterminabili virtualità della sua natura attraverso l'esperimentazione delle loro essenze, accettando insieme il rischio degli scompensi che la ricerca implicava, ed il superamento dei medesimi col sostegno del Padre per svelare la Realtà interiore che si rendeva comprensibile nelle Forme infinite dell'Interità. Noi crediamo che galassie e costellazioni, soli e pianeti, roccia e creature viventi siano - in ultima analisi raffigurazioni dell'Adam che scopre (o meglio riscopre) se stesso, e si determina secondo la logica inderogabile della propria essenzialità. A questo punto occorre dare un senso preciso al simbolo della Chiave e della sua perdita. La Chiave è 1o strumento dell'emancipazione e della libertà che, se rettamente compreso e adeguatamente attivato, apre le porte della realtà dell'Essere e dell'Esistere. La sua perdita fu arcaicamente necessaria perché si formasse la coscienza davvero autonoma dell'Uomo, e cioè si forgiassero i fondamentali strumenti della sua libertà, che è sempre scelta di Amore. La "libertà" è il dono prezioso, per la cui acquisizione fu necessario uscire dalla primordiale perfezione del Cit Supremo, ed incamminarsi alla difficile ricerca della nostra identità: non esiste - ripetiamo - libertà senza possibilità di scelta, e non esiste scelta che in presenza di un animo capace di discriminare in sé ciò che è equilibrio da ciò che non lo è, quel che è reale da quanto si dimostra illusorio e, poi, assumere come propria dimensione interiore l'Armonia e la Bellezza, l'integrazione delle parti nel tutto e 1'intuizione dell'unità in ogni specificazione: in semplici parole, essere amore. Scegliere è mostrarsi capaci d'individuare il valere, di comprenderlo e volerlo, d'agire conformemente al proprio atto di giudizio portando ad attualità la potenza interiore. Abbiamo più volte accennato a questo difficile problema, che qui riecheggiamo per rendere più esplicito il nostro assunto, ma che deve essere riesaminato dal lettore con un opportuno personale approfondimento delle idee esposte e con l'originale contributo che saprà dare alla sua ricerca. L'Uomo, all'Origine, "perse" la Chiave perché era indispensabile farlo, e ciò in quanto Egli poteva ritrovarla con le sue forze nel sostegno del Padre: almeno sotto il profilo della scelta fondamentale posta alla 239


base di tutta la successiva estrinsecazione, quella di essere personalità autonoma nella propria determinazione vitale. Quale è dunque la natura della Chiave Perduta, tale da renderla tanto preziosa e difficile da esser percepita e ritrovata? La nascita dell'Uomo fu atto dell'Amore supremo, che volle rendere libero e signore del proprio destino un Suo archetipo, emanato dall'Idea vivente nel Cit Brahmanico. Solo per amore e con l'amore è nata la Personalità, effettivamente distinguibile e puntualizzata nell'unità del tutto. Questa è la scaturigine profonda della divina creazione: il Brahman "crea" entità, le emana perché ama la loro natura al punto di volerla libera nelle scelte, autonoma nell'azione e capace di indeterminato svolgimento. Egli si è donato all'Esistente: questo è evidenziato dalla considerazione che l'Esistente non accresce certo l'infinità dell'Ente Supremo, né è modifica qualitativa della Sua assolutezza, ma tuttavia ne riverbera in infiniti livelli la Potenza ed il dinamismo. Come l'Amore fu l'elemento determinante la nascita sia del Mondo degli Archetipi fondamentali che dell'Uomo, di quel Mondo parte integrante ed essenziale, cosi è l'Attore la forza che può portare a compimento l'opera d'autorealizzazione della Creatura, svelando conseguentemente l'ideazione implicita in questa Emanazione: unendo i figli al Creatore nella sintesi più alta immaginabile, quella in cui i primi intuendo e liberamente attuandosi nella Forza/Volontà che determina la loro nascita, si identificano con la Fonte della Vita e si realizzano quali viventi espressioni, simili al Padre e della natura del Padre, del dinamismo divino. La Chiave perduta è l'Amore. La Chiave ritrovata è purissimo Amore, che unisce e non annulla, che crea vita e bellezza e non informale oblio nel pur inesprimibile continuum dell'Essere. Il Brahman non crea perché la sua Emanazione si affatichi ad annullare quel che Egli ha voluto, ma perché essa comprenda la natura dell'atto manifestante in tutta la sua importanza e nel suo abbagliante splendore, e lo esprima sempre più perfettamente e armoniosamente. Tutto questo rende estremamente importante capire più a fondo di quanto sappiamo cosa sia l'Amore e 1'Amare, e come solo con questa Chiave vengano dischiuse le Porte della Realtà perché le creature possano tornare, libere e sicure, nelle dimore del Padre. -O41) L'Amore è la forza/essenza più grande e possente dell'Universo, e la sola capace di condurre l'Uomo al suo compimento. Abbiamo più volte fatta nostra quest'asserzione, che ora ci accingiamo ad esaminare in modo più approfondito. Dire che l'Amore costituisce l'elemento basilare ed intrinseco alla Manifestazione è urtare contro 1'esperienza storica ed attuale dell'umanità, e contro le 240


conoscenze che l'uomo ha del mondo formale. Se qualcosa scaturisce dalla somma delle scienze moderne in maniera costante ed univoca, è precisamente la conflittualità della Forma, che è presente ovunque esista non solo l'energia vitale degli esseri che nascono, crescono e muoiono per specifica costituzione ed organizzazione cellulare, ma anche e generalmente ovunque ci sia energia, sia pure allo stadio più elementare possibile. La quiescenza degli Elementi non è mai reale, e la loro trasformazione in alcunché di diverso, di "altro", è fenomeno alle volte lentissimo ma sempre intrinseco alla loro natura. Tutto scorre e nulla sembra sfuggire a questa basilare constatazione, enunciata limpidamente fin dagli albori della nostra ricerca metafisica. Abbiamo detto ohe la storia dell'Universo è svolgimento dello Spirito, il quale è la realtà ultima in cui ogni energia si risolve e resta in quanto puntualizzazione dello Spirito stesso. Lo Spirito è dinamico, e questo comporta un processo: se la conflittualità della Manifestazione ha una ragione per esistere, questa è reperibile nello svolgimento da un minus ad un maius di specificazione, e nelle sintesi continuamente prodotte fra valenze differenti. Ma la conflittualità dipende dall'oscuramento della Creatura Globale e dalle sue modalità, poiché non è pensabile che 1'Ideazione primaria si dovesse servire di un procedimento così dolente e imperfetto per la sua attuazione. La Caduta nell'ego ha determinato la distorsione del processo evidenziante, che implicava rapporto ed incontro, in conflitto e antitesi. Il Padre tuttavia si serve di tale stato di fatto per far comprendere ai Suoi figli la loro condizione vitale, e per indurli a ritrovare la loro identità: quindi la conflittualità è empiricamente e nel presente momento spazio/temporale anche strumento di emancipazione e di rinnovamento delle coscienze. Ciò che importa comprendere è che questo dipende dal loro oscuramento e non dall'Atto manifestante, e che pertanto - sotto questo essenziale profilo - la conflittualità deve essere risolta nella Pace. Le sintesi che quindi si producono nell'attuale periodo sono talvolta tragiche, sovente drammatiche e sempre rilevantemente instabili: la più convincente dimostrazione di tale transitorietà appare nell'aspetto ciclico assai accelerato che tutte le forme presentano, e che si può riassumere nell'enunciazione di "nascita, relativa permanenza, progressivo dissolvimento e morte": da cui si generano nuovi e genericamente ripetitivi fattori ritmici. Tuttavia in questa sterminata onda vibrazionale, riflessa in infinità di onde particolari, qualcosa permane identico a sé e tuttavia in coerente e costante ampliamento ed approfondimento. Questo "qualcosa" è l'aspetto interiore, psichico, mentale e alla fine spirituale nella consapevolezza della personalità, che si manifesta in forme sempre più differenziate e specificate, ma anche sempre più tendenti ad un'autonoma organizzazione attorno ad un Centro "immobile" e permanente: la sapienza di essere da cui discende quella - non meno importante - di esistere. Anche nell'esperienza della vita individuale si rileva questo fenomeno: il tempo 241


induce ad innumeri e a volte contraddittorie esperienze, e muta ininterrottamente 1o scenario dell'esistenza: un attimo prima eravamo bambini, giovani e pieni d'energia ed entusiasmo, ed un attimo dopo la stanchezza degli anni e della vecchiaia grava sul nostro cuore. Eppure, e qui nasce il dilaniante rimpianto del passato, la malinconia esistenziale, l'angoscia e la frattura spirituale, noi dentro non ci sentiamo in effetti cambiati. Vorremmo ancora correre, amare, e osare. Vorremmo essere quel che eravamo per dono ingannevole della natura, che perdemmo nel sopraggiungere di un'altra età: ladra furtiva della nostra giovinezza e della felicità. Noi, nel nostro senso dell'essere e dell'esistere, non cambiamo: mutano le capacità d'esplicare i desideri, la volontà e le scelte, e come per un improvviso destarsi alla verità diciamo che la vita è dolore, illusione e menzogna; che la nostra patria e il Premio è oltre la vita. E' certamente oltre la vita che individuiamo oggi con i nostri sensi comuni e l'insufficiente comprensione della sua legge - la patria ed il Premio: ma non è oltre la "Vita in Sé" che è il Dono e la realtà in cui siamo stabiliti. Come superare questo conflitto personale e generale? Occorre innanzi tutto compiere un atto d'umiltà, e non considerare definitive le acquisizioni sia della nostra scienza che della nostra individuale esperienza. Esse sono certamente motivate, e sovente valide, se rapportate a un determinato momento dello svolgimento dello spirito; ma non hanno inequivocabilmente quel carattere di definitività e assolutezza che gli uomini - incapaci di vedere oltre se stessi - loro conferiscono. E' qui, in questo difficile e pericoloso orizzonte, che la percezione dei sensi e il pensiero ordinario appaiono insufficienti, ed occorre cercare più in là con semplicità innocente e non da soli, perché il Sentiero esige la Guida che sappia più di quanto conosciamo, per condurci a reami lontani dalla nostra normale comprensione. La conflittualità, nata dalla Caduta, diviene in effetti un mezzo d'evidenziazione, di svolgimento e di decantazione dell'Uomo che ne esperimenta l'insopportabile peso, ed è insieme lo sforzo per capirci liberandoci dall'oscurità che avvertiamo dentro e attorno a noi: sepolcro che esiste solo nella nostra mente. L'Uomo è un cieco avvolto da un oceano di Luce, e crede che la tenebra sia la dimensione dell'esistere. Cerca, brancola, tenta d'acquistare consapevolezza di sé e del suo campo, e così facendo è costretto a prender coscienza d'infiniti aspetti della sua personalità, tanto differenziati, incomprensibili e avvincenti da stordire, spossare o infiammare la volontà. L'uomo è cieco perché ha dimenticato d'avere occhi per vedere e vedersi, e non non sa come affrontare l'irradiazione lucente di vita da cui proviene o di cui è figlio. La conflittualità della Manifestazione è questo aspetto di carente consapevolezza dell'Uomo Cosmico, in continua ricerca della propria identità tramite la sperimentazione, cisì spesso arbitraria e deviata, delle sue emergenti potenze; significa però anche l'attività più o meno adeguata del Glifo, che è immanente e trascendente insieme il campo del nostro Malkuth, che per Lui è un centro in fase d'emersione o di dissociazione, e un aspetto dell'Interità. Le Intelligenze che presiedono a questo compito ebbero un tempo chiara visione del Fine e dei mezzi per conseguirlo, e furono rese capaci di raggiungere lo scopo 242


prefissato; esse seppero che l'Uomo doveva essere libero per autonoma scelta (non per sola grazia ricevuta) e che non esiste vera libertà senza la fatica di comprenderla e volerla. Seppero che un ente così articolato e dinamico avrebbe dovuto conoscersi in ogni possibile valenza, e padroneggiarla in sintesi armoniosa e con loro integrata: compito estremo, che richiedeva un'istruzione d'infinita sapienza e serenità, pari all'indeterminata capacità equilibrante che il nuovo Ente avrebbe raggiunto. Ma il grande Glifo è ferito dalla tremenda Caduta dei primordi e, per contenere il rischio di nuove rovine ed immunizzare Malkuth dal forsennato egoismo emerso nella Creatura agli albori dell'Atto Manifestante, Egli finì con il servirsi proprio delle componenti distorte già evidenziatesi, e di quelle che inevitabilmente sarebbero scaturite dal processo: per rendere, con 1'Uomo, l'Interità consapevole della necessità di rimuovere le cause del dolore tramite la dura conoscenza dei suoi effetti distorti e potenzialmente letali. La grande ideazione fu certamente rivelata al Glifo prima che le Archetipicità sephirotiche preposte ne principiassero l'attuazione, ma ovviamente la 1oro libertà così profondamente intrinseca alla creatura - non ammetteva che le linee di concreto svolgimento fossero irrevocabilmente definite, e così emerse un Universo incredibilmente dotato di piani reali e di potenzialità sulle quali esercitare le proprie facoltà di scelta. Mentre all'inizio queste diverse valenze della realtà erano la base dell'attività sephirotica, e ovviamente soggette al Glifo (egli sceglieva ciò che appariva più consono al fine secondo autonome valutazioni, delle quali si assumeva piena responsabilità) con l'avvento di nuovi principi autocoscienti nel mondo tridimensionale questi si sottrassero gradualmente anche se limitatamente, all'immanente tutela delle Sephira, nella misura in cui seppero esercitare una consapevole decisionalità, giusta o sbagliata che fosse. Notiamo per inciso un fenomeno estremamente grave, che costituisce la ripetizione a livello di ente archetipico della primitiva Caduta. Una parte del Glifo, non emendatasi dalle compulsioni egotiche che determinarono e determinano quel tragico evento, considerò ogni aspetto a lui sottoposto come un oggetto di possesso, su cui scaricare il peso delle proprie negatività e le conseguenze di oscuri fattori disgregativi. La soggezione a questa parte del Glifo, che non è ancora qelliphoth ma che può costantemente diventarlo, dipende dai possibili agganci delle personalità con i fattori involutivi che le insidiano: se, come nell'attuale momento, la globalità dell'umanità assume un comportamento fortemente egoistico e conflittuale con la vera natura dell'Emanazione - l'Amore - essa si rende indifesa alle brame di piani sottili estremamente involuti o che tendono all'involuzione. Questi piani vengono a costituire un aspetto che può apparire simile al vero Albero della Vita, ma che ne è sostanzialmente la tremenda caricatura: teso alla strumentalizzazione del più debole oltre ogni possibile comprensione. Infatti la scissione di un ente dal Centro Atmico implica una progressiva diminuzione dell'energia vitale, e questo fattore induce a un comportamento aggressivo; a ciò si unisce la schematizzazione e l'impoverimento di ogni attività interiore, e la necessità di attingere "fuori" fattori di gratificazione e sostegno che consentano il mantenimento del livello d'esistenza bramato. Accade cioè 243


a livello sephirotico quel che - per induzione e insieme analogia di comportamento constatiamo nell'attualità: un'aggressione al mondo che ci è sottoposto, minerale vegetale ed animale, e ai nostri stessi simili fino al limite non remoto di una vera distruttività, con la determinazione di scompensi causanti innumeri potenzialità di dolore. Oggi possiamo considerarci sintonizzati con una zona oscura dell'Emanazione, quindi in una fase dissolutiva che non dipende solamente dalle nostre scelte, e che è fortemente incrementata dai plani sottili. Questo implica tuttavia che il Kali-Yuga coinvolge tutta una zona dell'Emanazione, e non semplicemente il nostro pianeta: le conseguenze non sono facilmente immaginabili, ma 1a loro individuazione e riduzione sono compito fondamentale di ogni individuo che cerchi la propria emancipazione, e si affidi riconoscente all'amore paterno e al magistero di Cristo. Poichè questo problema va comunque trattato in altra sede, ci bastino qui questi brevi cenni; la trattazione che segue è pertanto teoretica, e deve nel concreto essere rapportata alla situazione di fatto. All'inizio dunque i piani reali di svolgimento dell'Emanazione erano disponibili solo per le Intelligenze Archetipiche a lei preposte; con l'emersione delle coscienze autonome essi divennero in parte soggetti a queste ultime, e in misura preponderante e negli aspetti generalizzanti rimasero e sono soggetti al Glifo, che interferisce a tutti i livelli. In un non prossimo futuro appariranno affidati nella più completa estensione alle scelte degli uomini, assistiti e non condizionati dai loro Istruttori, che sono poi o dirette emanazioni del Brahma o Enti estremamente prossimi alla Sua luce. Verso il compimento della Manifestazione o meglio verso la sintesi creativa determinata da un Ciclo vitale, i piani reali verranno a unificarsi in uno, e quest'ultimo corrisponderà perfettamente alla coscienza dell'Uomo risvegliato e ormai coerente all'ideazione brahmanica stabilita per quel particolare momento. Questo procedimento - valido sia per l'Universo che per l'uomo, globale e individuale - principia nelle modalità viventi in principio con grande lentezza e susseguentemente (il tempo impiegato è comunque assai oltre le nostre normali percezioni) tramite una progressiva accelerazione. L'attività del Glifo è il principale incentivo, e talvolta la massima costrizione, che obbliga il processo entro definite direttrici: positive nell'ideazione reale; negative, nei momenti di comune oscuramento dello spirito. In ogni caso, in presenza, di ristagno o di eccessiva deviazione, esiste la incidenza del Centro Atmico: semplicemente correttivo nei casi meno compromessi, ma che può assumere se occorre la forma della giustizia e del rigore. In questo caso l'Amore si manifesta nelle forme del rigore e della severità, che sciolgono le false apparenze e le propensioni distorte, e le obbligano a diventare più limpide e reciprocamente in equilibrio, una volta trasformate nella verità che avevano travisato. Ma nel nostro caso l'arbitro della situazione è il Giudizio, la Scelta di libertà e d'indirizzo dell'uomo, e questo spiega l'estrema difficoltà d'accettare come esempio 244


dell'Amore Supremo l'attuale dimensione d'esistenza, sconvolta da un evo di tentativi egotici e prevaricanti, ed oggetto d'interferenza che tende - più che al componimento di queste fratture - all'induzione della loro comprensione come esperienze vitali, onde immunizzare l'anima degli uomini dal loro male. Qui occorre fare attenzione per non cadere nel pessimismo distruttivo e nell'inutile miraggio di una "pace" nell'Informale Assoluto. L'Informale Assoluto è Vita e non staticità, e può essere compreso nella Sua ineffabile infinità solo dal Brahman, il quale 1o dona come vivificante esperienza d'unione a quanti ne siano adeguati, ma certamente in forma che osiamo suggerire "transitoria" (un'atemporalità nel loro tempo!) e certamente, per quanto possiamo intuirne, ad altro finalizzata. Noi infatti non apparteniamo all'Informale, ma al Dinamismo creativo e specificante, e la nostra essenza brahmanica è intesa alla creatività di libertà e delle sue indeterminabili specificazioni. Voler confondersi con l'Informale, sia pure per amore del Tutto/Uno, è come opporre la nostra limitatissima sfera di realtà, derivata dall'Infinità, a quella Assoluta, come per insegnarLe che cosa siamo e vogliamo essere: opporre cioè il frutto delle nostre parziali e confuse elucubrazioni alla lucentezza dell'Intuizione e della Volontà supreme che - come dicemmo - sono atemporali, identiche e non differenti dall'Essere. E' contraddizione in termini, da considerare come un tentativo di spiegarci il perché del dolore del mondo e di porvi un finale rimedio, il che implica proprio il fraintendimento dell'Assoluto che è Amore dispiegato nell'universo, di cui siamo tutti figli. E' pertanto estremamente importante formulare l'equivalenza d'Amore con Essere, e per noi Figli "essere" implica "realizzare" la volontà dinamica del Padre, non un 'momento' che - secondo la nostra logica - dovrebbe precedere quella Volontà. La Volontà del Padre si dispiega infatti solo come chiarificazione delle coscienze emanate nelle cosciente emanate, e non è di per sé differente da qualsivoglia altro aspetto che la nostra analisi possa identificare (a rigore arbitrariamente) nel Brahman. Questo equivale a dire che la Volontà divina è assoluta, è semplicemente Assolutezza, non tangibile né comprensibile per la creatura se non realizzandola in sé, e cioè (il che è più esatto) realizzandosi in Lei. Poiché la volontà suprema è creativa, e finalizzata alla vera libertà delle Idee, è proprio in questo senso che deve essere intesa e mirata la nostra esistenza, e in tal modo abbiano la Chiave per comprendere l'amore del Brahman per il relativo da Lui scaturito. Egli lo vuole simile a Sé, libero e consapevole: ma unito a Lui in tutto ciò che esiste, perché realizzi insieme le potenze di ogni singola personalità - che sono infinite - e quelle altrettanto infinite e vibranti su di un'ottava superiore del Mondo Archetipale, sintesi vivente in un'Idea globale di tutte le Idee particolari. Amore è Essere, pienezza d'essere, assoluto rispetto dell'esistenza altrui non intesa come realmente separata da noi, ma facente parte di noi proprio nella sua originalità, così come noi facciamo parte di lei e di tutto ciò che è. Quest'esperienza è 245


ovviamente un traguardo per le nostre intelligenze offuscate di jiva, viventi in un periodo storico d'oscuro trapasso verso altri orizzonti; è tuttavia esperienza reale, che può essere nostra non tanto per le capacità che abbiamo con fatica attualizzate, ma per assorbente Dono del Brahman conferitoci tramite i Suoi Figli, gli Istruttori sefhirotici del Centro Cristico. Con tale atto d'illuminazione è infatti possibile sapere a fondo, in modo aprioristicamente imprevedibile, ciò che effettivamente siamo e la natura dei rapporti intercorrenti con il nostro prossimo e con l'Interità: è insieme la fine di ogni illusione dualistica e di ogni concezione monistica che voglia distruggere le personalità/Idee nel continuum da cui provennero, provengono e proverranno nella Maya del Tempo e dello Spazio. L'Amore tende a donarsi in modo completo all'Amato: e per poter tanto deve rendere l'amato capace d'accogliere il dono. La chiave perduta è l'esatta comprensione dell'Amore come potenza, forza e forma finale dell'Interità. Chiave perduta perché fosse ritrovata con libera scelta di ricerca, di fatica, di comprensione del Suo valore e della Sua essenzialità. Il criterio per intendere la verità dell'Amore e della Manifestazione che ne è una conseguenza, l'abbiamo sia pur approssimativamente esposto. Esso deve logicamente venir applicato ad ogni atto, intenzione o pensiero della nostra esistenza - sia esso interiore o esteriore - e questo non ammette eccezioni. Solo in tal modo l'ego separatistico perderà le sue istanze ed il prepotente dominio che ora (consciamente ed inconsciamente) esercita sugli uomini e sugli enti; e il karma ammorbidirà finalmente la sua ferrea incidenza. Ma è impresa ardua sia il comprendere che l'agire, e l'azione non può essere corretta senza l'adeguata ideazione. Per questo e prima d'addentraci nel campo più propriamente operativo occorre un tirocinio d'apprendimento e d'autoanalisi, che può apparire affaticante, frustrante e talora anche sommamente ingiusto. Non è però possibile affrontare un'ardua impresa senza un'opportuna preparazione e i mezzi, veramente adeguati, pena il fallimento per sé e per quanti ne siano stati coinvolti e per i quali possiamo anche portare un peso di responsabilità e di doveri. Non aggiungeremo per adesso altro. Che il Signore illumini l'intendimento degli uditori, e li aiuti a scoprire autonomamente ciò che è implicite nelle nostre esposizioni. -O42) La concezione dell'Amore dianzi illustrata non trova normalmente alcun riferimento nell'esperienza quotidiana dei principi coscienti, e risulta conseguentemente difficile da essere compresa, accettata e cercata. La difficoltà di portare ad esperienza un concetto di per sé esatto è il banco di prova delle intenzioni e della serietà degli alunni, e non viene mai risparmiata. E' infatti perfettamente inutile dare potenzialità di consapevolezza ed azione a chi non mostri neppure l'interesse di scoprire se ciò che con fatica gli si offre (magari molto sommariamente) 246


sia vero o falso, e si limiti ad un mero interesse intellettualistico che di solito sfocia in verbosissime ed inutili disquisizioni sui fondamenti e sulla natura della realtà. La Realtà non è conoscibile senza un adeguato tirocinio, e il tirocinio non è possibile che per coloro che vogliono veramente scoprire il segreto. La mente e l'intelletto, strumenti peraltro preziosissimi ed indispensabili se rettamente intesi, sono completamente insufficienti, di per sé, a render ragione del Reale, e portano da soli a contraddizioni infinite e sottilissime fra opposti punti di vista. Dobbiamo dunque cercare un principio che superi la zona dell'incertezza e del dubbio, e questo principio è l'esperienza diretta di fattori incidenti in ogni livello esistenziale con coerenza ed univocità - poi adeguatamente analizzati e coordinati onde ricavarne nuovi elementi di giudizio e prove delle ipotesi formulate a priori, sulla scorta della sapienza già da altri rivelata. Non possiamo sottrarci al compito di condurre ad atto concreto, vitale, i valori accettati e acquisiti senza entrare in sistematica contraddizione con la essenza dinamica del nostro esistere. Quest'essenza esige la partecipazione equilibrata alla vita, la sua piena comprensione e la capacità d'informarla secondo vettori sempre più esplicativi delle personali potenze, in perfetta e armonica fruizione della dimensione di cui siamo elementi, che è la volontà creatrice divina emergente secondo le nostre attuali capacità autorappresentative. Un allievo che si isoli, si opprima con repressioni e rinunce non profondamente motivate e giustificate, che si configuri quasi che la vita fosse un 'errore' del Dio che la volle, è un allievo incapace d'afferrare il significato concreto dell'Emanazione e quindi (anche se il suo comportamento può estrinsecarsi in modi eroici o ascetici) fuori dal vero flusso energetico dell'ideazione divina. Questo implica la correzione, non appena le condizioni generali la impongono, e ciò è tanto vero nel piccolo quanto lo è nel grande, nell'Entità cosmica di cui è parte. A questo proposito non sarà mai sufficiente l'avvertimento all'attenzione verso sé medesimi e gli altri, al giudizio equilibrato e sereno, imparziale e ben fondato su elementi intuitivamente obbiettivi. Le sette, i movimenti spiritualistici, le confessioni religiose, le scuole di pensiero danno in genere frammenti di verità misti ad interpretazioni arbitrarie o manifestamente assurde; e tutte incontrano il favore di molti per ciò che promettono: la fuga dal dolore, dal presente, dalla frustrazione, in un premio destinato ai pochi eletti. Quest'interpretazione è - a nostro avviso - da rifiutarsi, perché è il presente, l'"ora e qui", la base del nostro futuro e la modalità in cui ci riconosciamo e ci comprendiamo e - se davvero coerenti con le nostre più reali acquisizioni - superiamo i nostri tanti limiti e manchevolezze. E' davvero impressionante renderci conto come i dogmi e le leggi, le assurdità moralistiche (che mai vanno confuse con la vera morale, la cui essenza è l'affermazione di una valenza d'amore), le incrostazioni di secoli di passività e d'inerzia spirituale, i relitti di antiche credenze, le superstizioni dottrinali nate in ben differenti contesti assumano - anche oggi - un peso determinante per i tanti, e sostituiscono con le loro sterili ed asfittiche imposizioni la libertà della ricerca, la testimonianza interiore (a livello atmico), l'analisi coerente condotta in buona fede dei 247


veri problemi esistenziali. Quando il formalismo prevale sulla sostanza dello spirito c'è decadenza e ristagno nell'esperienza dell'uomo, e la nostra è un'epoca d'appiattimento, di stasi e di disperazione. Occorre reagire, e la reazione non principia da qualcosa che sia "fuori" di noi, da un guru, da un evento miracoloso o da un possente ordine del Dio: la reazione deve trovare "in noi" la causa e la radice perché noi siamo l'Uomo, e l'Uomo deve meritare la sua gloria. Per questo si dice che l'allievo è più importante del Maestro, che il Guru è lo specchio in cui l'uomo può riflettersi se lo vuole, e vedersi quale è. Solo dissolvendo le tenebre illusorie delle false credenze, delle vecchie abitudini, dei dogmi oppressivi ma comodi che sostituiscono la dura difficoltà della libera ricerca si potrà sperare nel nostro futuro, attivando quelle forze individuali e cosmiche che lo renderanno possibile. Non è un caso se nulla e nessuno sembri aiutare l'umanità odierna nel suo evidente sbandamento coscienziale e fattuale; che non vi siano guide sicure, che manchi un Faro univoco ad indicare ex cathedra i pericoli delle scogliere e la sicurezza del porto. Dobbiamo trovare prioristicamente "in noi" il Maestro, la Via e la Luce. So1o allora, quando 1o sforzo tenace e consapevole ci avrà insegnato con l'umiltà un poco di saggezza e un inizio di vera Fede, potremo vedere le braccia dell'Amore eternamente tese ad accoglierci, figli prodighi attesi nelle Case del Padre, dove è 1a nostra origine e la nostra futura dimora. -O43) La componente “Amore” è indispensabile per superare la prossima crisi del nostro campo vitale, e non vi sono metodi o mezzi che siano in grado di sostituirla. Quest'affermazione è da prendersi alla lettera, ed è conseguentemente indispensabile che gli allievi del Grande Glifo, a qualunque grado d'emancipazione appartengano - si sforzino d'attivare la propria capacità d'amare e quella del loro prossimo, imparando con questo le infinite potenze che dall'Amore s'irradiano. Poiché è facile considerare l'Amore nulla più di un sentimento alto e nobile, ma improduttivo nell'ambito pratico in mancanza di più adeguati e concreti sostegni, occorre che gli allievi sappiano cosa implica un atto d'amore sul piane sottile ed oggettivo, e come esso possa modificare a tal punto i campi reali e le ferme tridimensionali da renderle suscettibili d'esser guidate là deve è giuste e necessario che vadano. Dobbiamo inoltre precisare che un adepto è sempre libero per quante 1o concerne personalmente e può - se vuole e ne è capace - modificare il sue ambito vitale in ogni suo aspetto; nel caso degli altri campi esistenziali, bisogna tener per fermo il principio che la nostra libertà finisce dove comincia quella altrui, e che un'interferenza sostitutiva dell'autonomia di scelta individuale è inammissibile: 248


qualunque sia il motivo che si vorrebbe addurre per giustificarla. Nel campo delle forme integralmente soggette all'azione coattiva delle Sephirah esiste un ben più ampio spazio per l'esperienza e l'operatività, perché l'allievo agisce come modalità dell'Albero Sephirotico e non a titolo personale. L'unica remora è anche qui rappresentata dalla necessità che le azioni non comportino un'indiretta o immediata incidenza nelle scelte altrui, e non modifichino indebitamente campi esistenziali che devono invece esser condotti all'esercizio delle proprie connaturate libertà. Il fine dell'attività pratica è duplice: da un lato insegna a chi è meno avveduto ed emancipato i modi e i mezzi per acquisire la propria autonomia personale, che implica immediatamente un principio d'integrazione con il Tutto e la capacità d'amare. Dall'altro lato persegue, attraverso la maturazione delle potenzialità soggettive, il fine medesimo della Manifestazione, conducendola gradatamente alla sua meta. Non esistono interessi particolaristici ed esclusivistici nell'ambito esoterico evolutivo che possano contrapporsi alle finalità generali; esistono invece spazi amplissimi d'espressione delle capacità individuali, perché è necessario che il jiva sia compiutamente cosciente delle sue valenze se esse - se armoniosamente e coerentemente sperimentate (e cioè seconde un indirizzo d'amore e non d'egotismo) sono conformi allo scopo dell'Emanazione, che è sempre la Vita nel segno del Brahman. Nell'operatività esoterica esistono dunque due gradi d'espletamento, l'uno subordinato e coordinato all'altro: quello che tende al rafforzamento personale mediante esperienza e riequilibrio interiore (e questo determina pienezza di vita e non un opprimente ascetismo repressivo ed inibente) e quello di fondamento che, integrandosi con il disegno divino nei modi resi accessibili dal proprio valore, lo attuano in formulazioni sempre più compiute ed espansive. Non esiste contraddizione fra libertà personale e l'indicibile libertà della Manifestazione d'Amore, fra l'Idea individuata e l'Idea Globale che è l'Uomo Cosmico, fra questi e l'Interità. Tutto è in Tutto, e l'Uno comprende infinità di luminose specificazioni, che non interrompono ma splendidamente abbelliscono il Suo continuum assoluto. Nulla più dell'idea di un Ente aformale, immobile e pietrificato dalla sua supposta perfezione può condurre fuori strada, ed indurre a dimenticare l'idea basilare dell'Amore. Occorre essere ben consapevoli che nell'immagine che indichiamo dei rapporti fra la parte ed il Tutto, fra i jiva e l'Interità e fra questa e 1'Assolutezza, ogni entità emanata è libera d'essere ciò che vuole, e libera quindi di sbagliare e di correggersi: perché la disarmonia determina quel tipo di distorsione che in linea generale chiamiamo 'dolore', e che può assumere i più differenti aspetti in dipendenza dei tipi d'esistenza a cui afferisce. In esatta collocazione dei rapporti fra le singole personalità e la Interità e fra quest'ultima ed il Supremo Ente esiste un essenziale coordinamento, nel quale le più ampie libertà delle idee emanate e quella totale della Idea informante si fondono nella 249


vera Vita in eterna evoluzione. Non esiste invece né coartazione né imposizione di alcun tipo, perché solo al singolo individuo è imputabile l'effetto karmico correttore, il quale scaturisce da lui e a lui inerisce. Tale effetto è certamente modulato dalle Potenze sephirotiche, ma effettivamente promana dal jiva stesso (anche se questo lo rende permeabile al karma altrui e delle zone esistenziali a cui appartiene), e quindi modificabile ed eliminabile principialmente per opera sua, nella fondamentale scelta d'emancipazione. Abbiamo accennato al fattore globale del Karma, e ci riferiamo ora alle pagine in cui si è incontrato questo problema per aggiungere che se il jiva si colloca in modo adeguato nei confronti dell'Interità e dell'Ideazione fondamentale, se cioè fa sua la Forza/Amore che è l'essenza dell'Emanante (perché, ripetiamo, "è" l'Emanante) si rende per ciò stesso progressivamente intangibile al Karma collettivo e risolve il proprio nelle braccia del Padre: ben più completamente e profondamente di quanto in genere s'immagini. Il Padre non vuole sofferenze se non per finalizzarle ad un preciso, indispensabile e urgente risultato educativo e liberatorio d'anomale propensioni; sofferenze che non scaturiscono dalla Sua volontà, ma dalle nostre arbitrarietà e dal rifiuto costante che continuamente opponiamo proprio alla Sua volontà. Egli assorbe nel suo amore quel che graverebbe inesorabilmente sull'uomo, non appena questi comprende la propria natura e se ne assume il Dono, sia pure temendo e tremando. Comprendere la nostra verità è però intuire l'essenza del Brahman nella Manifestazione, e cioè intendere il Brahma quale dinamismo dell'Amore. Per questo la meditazione del Centro (che è il punto d'irradiazione dell'Amore in noi, l'Atma, la fonte della nostra personalità) e su quanto è esplicito ed implicito in quest'Idea non è mai soffocante e mai abbastanza raccomandata: l'Amore è la Chiave della Vita, il Mezzo ed il Fine. Cercheremo di fornire ulteriori specificazioni di questo fondamentale indirizzo, e daremo qualche traccia di possibili applicazioni dei Principi al nostro campo d'esperienza, con la riserva che le attuazioni concrete sono materia di istruzione ed insegnamento particolare, fortemente personalizzato sia che esso si rivolga al singolo che a un gruppo sufficientemente qualificato e omogeneo. Ma tutta l'operatività, così inaccessibile e astrusa per il profano e così densa di frustranti delusioni per i tanti ricercatori, è aperta e agevole a coloro che sappiano vedere ed intendere la Forma dell 'Emanazione, la sua dinamica e la Forza che la pervade. La comprensione intellettuale è il primo indispensabile passo; l'esperienza e il contemporaneo approfondimento dei principi è il sentiero che porta concretamente alla Luce. -O44) L'esperienza non è fattore mutuabile nell'esoterismo: è il culmine del cammino iniziatico. 250


Non è possibile dirsi 'iniziati' o concepire un processo esoterico veramente serio e costruttivo senza un ambito operativo, capace di rilevare insieme la verità delle ideazioni applicate e il perseguimento dei fini - particolari/generali - della Manifestazione. Non abbiamo certamente scritto tante pagine, difficili e combattute più di quanto il lettore possa in genere comprendere, per costruire un 'velo', magari attentamente dipinto, da aggiungersi ai molti veli della Maya; o un 'fondale' che appaia vero, ma che celi accuratamente un paesaggio sconosciuto e non rivelabile agli uomini. La casa che intendiamo costruire è di solida pietra, ed in essa devono immaginarsi molte stanze, molte aperture e molti momenti da incentrare e conoscere percorrendone i piani. Poiché l'idea generale che ha informato la nostra fatica è quella dell'immanente finalità dell'evento manifestante, la "casa" nella quale l'allievo deve entrare rappresenterà lo svolgimento concreto di questa finalità, e pertanto richiederà un preciso contenuto concettuale ed un indirizzo specificatamente maturato perché sia possibile percorrerne i corridoi senza smarrirsi nel labirinto delle sue stanze, delle sale e degli oscuri meandri nei quali ognuno può incontrare se stesso e rendersi degno purificandosi della propria essenza. Non è un tragitto facile né semplice quello che conduce verse la sommità dell'edificio manifestato: ognuno può essere ciò che vuole, e può perdersi nel dedalo delle gallerie, nei luoghi sotterranei e tenebrosi. Quando dalla semplice conoscenza intellettuale e teoretica si passa alla concreta consapevolezza, tutta la personalità è chiamata al compimento della fatica realizzativa, e ogni nozione acquisita, ogni attenzione della mente e dell'intelletto hanno rilevanza ed importanza specifiche. E' infatti sempre molto più facile scendere che salire, ed essere attratti dalle luci smorzate delle profondità che da quelle abbaglianti e splendide delle altezze. Solo chi abbia vista allenata può infatti reggerle senza accecarsi, e abituarsi poi gradualmente al crescere della loro intensità scorgendo via via i tracciati più consoni alle sue qualificazioni e alle forze disponibili: senza perdere nulla dell'orizzonte che si rivela attorno a lui. Per questo non vengono lesinati sforzi e fatiche nella preparazione degli allievi, ai quali è affidato il difficile compito d'essere guida a sé medesimi e ad altri nel cammino fra le spire dell'attuale Albero della Vita, casa dell'Uomo finché egli non saprà raggiungere la sua vera dimora: il Giardino delle Origini e del Principio. Certamente i mezzi devono essere accordati con il piano realizzativo e non antitetici e discordi che in transitoria apparenza, e dove e quando veramente occorra. Questo diciamo con molto vigore perché nell'arco dell'esperienza iniziatica molte sono le cose che vengono fatte, e ben poche chiare e univoche per l'intelligenza del principiante. Egli può mostrarsi disorientato e frustrato, ma la sua reattività è preziosa per la Guida e la sua stessa maturazione iniziatica: non c'è bisogno di pecorelle un po sciocche e remissive, non occorrono servi obbedienti o fanatici fedeli e adoranti. Per l'Emanazione, in questo difficile momento della sua storia, sono indispensabili donne 251


e uomini che sappiano essere liberi, giusti, autonomi e forti nell'azione ed equilibrati nella ponderazione delle cause e degli effetti. Uomini che decidano avvedutamente, e non si pieghino per difficoltà incontrate ed errori commessi, ed anzi li considerino insegnamenti per una più incisiva azione futura. L'Amore non vuole sudditi, ma figli che insegnino ad altri la libertà e la determinazione autonoma, l'equilibrio e la saggezza. L'Amore è difficile da essere intuito e attualizzato, e comprenderlo a fondo è compito inesauribile le cui esplicazioni riempiranno l'aria di gioia e meraviglia, ogniqualvolta si incontrerà un suo aspetto nuovo, insospettato e stupendo. Non desideriamo nascondere le difficoltà che l'allievo dovrà superare, ma neppure che egli verrà fortemente sorretto, se cercherà idee chiare e intrepidezza d'animo. L'Istruttore non abbandona mai il figlio affidatoGli dalla divina Sapienza, anche se apparentemente ciò accade: egli è nel cuore dell'allievo ed assieme a lui lotta e combatte contro i nemici di sempre - interni ed esterni - del progetto supremo: nella fiduciosa certezza di giungere al risultato finale. Chi incontra un Maestro, incontra una Guida per sempre, che nulla e nessuno potrà allontanare. Il Processo integrativo, implicante un incremento progressivo d'affinità tra i jiva capace di manifestarsi coerentemente nel tempo/spazio, trova il suo momento culminante nell'intimo rapporto fra 1'allievo e 1'Istruttore, che prepara e conduce all'incontro delle personalità emancipatesi con l'Idea Archetipa del Brahman, da cui scaturiscono: il Sé. Abbiamo già accennato all'importanza che assumono nel corso della Manifestazione questi rapporti fra principi coscienti, e come essi agiscano sui fini reali personali e collettivi, facendoli confluire in un'armonica vibrazione comune. Dobbiamo insistere su questo tema per due motivi, complementari e distinti: uno, perché l'allievo comprenda che un rapporto d'amore e di fraternità è "azione" estremamente rilevante e non un semplice accostamento casuale di diverse personalità; l'altro, perché questa confluenza di jiva in un ambito esistenziale comune e genericamente identico per tutti, determina un vettore assai efficace ai fini operativi ed emancipativi sia dei singoli che del globale, aprendo nuove prospettive difficilmente accessibili ai più, separatamente considerati. Avremo dunque la necessità di richiamare l'attenzione del lettore sulla sostanza dei rapporti che viene intrecciando nel suo campo vitale e su quanto può e talvolta deve nascere da un affiatamento, da una relazione con altri, sia essa di natura fraterna o più specificatamente polare, fondata cioè sull'affinità spirituale o sull'Eros esattamente inteso. In effetti un aspetto polare sussiste in qualsivoglia rapporto fra gli enti, poiché c'è amicizia e amore quando esiste una comunicazione più o mene profonda, e questo è reso possibile dalle differenze qualificanti delle personalità, ognuna delle quali a livello psichico è - diremo così - un equilibrio d'aspetti complementari con prevalenza qualitativa di alcuni su altri. La polarità sessuale è tuttavia di tipo più specificatamente caratterizzato, perché è lo strumento mediante il quale l'aspetto formale si dinamizza e persegue esattamente i fini reconditi dell'Emanazione, con veloci trasferimenti in piani reali 252


diversi, e con 1a maturazione accelerata di potenzialità. Tramite l'ininterrotto succedersi di forme viventi, e fra queste l'uomo storico è una delle più evolute in senso globale, si determinano aspetti autorappresentativi articolati e specificati nell'Uomo cosmico (l'Adam) e un progressivo risveglio della sua esistenza. E' facile dunque comprendere l'estrema importanza della polarità specificatamente sessuale nell'evento manifestante, sia per i suoi protagonisti che per l'interità a cui appartengono. Ovviamente esistono fruizioni della sessualità a differenti livelli d'ampiezza e di perfezione, anche inconcepibili per l'uomo comune e lontani nel tempo/spazio. Ma qualunque sia l'aspetto formale dei jiva e i loro rituali di reciproca integrazione, resta determinante il vettore che più o meno inconsapevolmente, e in vera lucidità, mettono in moto: se questa linea di forza evolutiva sarà armonica, essa creerà un campo esistenziale stabile e fecondo, capace di travalicare gli apparenti abissi della nostra esistenza. Altrimenti si dissolverà per dare spazio ad altri tentativi, con le relative emersioni di gioia e di dolore, di felicità e frustrazione, mediante le quali un giorno le persone cercheranno davvero ciò che permane e non muta, ciò che divenendo supera i limiti della vita soggettiva. La nostra opera, prima di avviarsi alla conclusione, dovrà illuminare gli aspetti sottili immanenti a tutti i rapporti umani: stolto è colui che cerca per sé solo, che pretende di procedere solitario per i sentieri del grande Glifo. L'uomo è fatto per l'uomo, e nell'unità dei molti si intravede la realtà che li accomuna; se occorre il periodo della ricerca individuale, personalissima e nascosta ai più, è solo per formare il carattere e l'energia adatte al durissimo compito che ci attende. Impegno d'amore e di ricerca, di acquisizioni e di conquiste, nel quale finalmente incontreremo la nostra naturale dimensione di vita, nella gioia e nella luce che tutto conosce e comprende. -O45) La nostra attuale fatica è giunta finalmente al termine: solo un saluto e una raccomandazione, che non sono inutili a nessuno dei nastri figli. Se occorre attendere, bisogna attendere; se occorre agire, bisogna agire. In altre parole, non è possibile forzare i tempi, e accelerare laddove la maturazione degli allievi non è perfetta. La pazienza, la ricerca costante del proprio essere, la forza che fa superare delusioni e avversità sono le doti fondamentali dell'allievo che riflette in sé l'Istruttore come può e sa, e, sole, portano alla meta. Non occorre all'Interità vedere effimeri successi, comunque illusori ai suoi occhi come tanta parte del processo di emancipazione, nei suoi aspetti più oscuramente egotici. All'Interità occorre sapere come un elemento autocosciente dell'Adam si comporta nelle più variate circostanze, e quali energie - morali, psichiche e fisiche - riesce a trarre dalla sua profondità. L'Uomo può attingere illimitatamente al suo Centro spirituale, ben oltre i limiti immaginati da certi esoteristi e dagli uomini comuni. Le stesse, in apparenza insormontabili, condizioni del campo esistenziale sono parvenze estremamente plasmabili, se la Forma-Pensiero che le proietta è duttile nell'estrinsecazione e ferma 253


nell'Amore. Le malattie, la fame, le calamità naturali, le modifiche temporali, la stessa morte fisica nei loro aspetti sottili e grossolani diventano mere ed illusorie finzioni del mentale se l'anima è pura e il potere segreto dell'Atma può fluire nella personalità. L'unico limite è la necessità d'operare in accordo con il fine della Manifestazione e nel rispetto dell'autodeterminazione degli uomini. Questi sono gli ostacoli che impediscono attualmente, in presenza di un Adam cosmico confuso e scompensato e di moltitudini pervase da un forsennato e feroce desiderio di possedere e distruggere, l'interferenza risolutrice e salvifica altrimenti possibile su scala maggiore o minore. Occorre di conseguenza creare condizioni sufficientemente stabili e adeguate a tale intervento, che non può mancare nelle fasi cruciali del Kali-Yuga, ma che resta subordinato nell'incisività e nell'ampiezza a quanto gli jiva sapranno mostrare di capacità, attuali e potenziali, emancipative. Non si richiede la realizzazione a scala mondiale di principi di fraternità e tolleranza, di disinteresse e reciproca comprensione: sarebbe arbitrio pretenderlo e follia sperarlo. Si chiede però che gruppi omogenei sappiano porsi (nel campo sottile e grossolano) in modo chiaro e distinto il problema del loro esistere ed agiscano conseguentemente in coerenza con il loro essere; si esige che essi scelgano 1'emancipazione e l'amore come norma dell'azione e fondamento dei reciproci rapporti: e lo scelgano definitivamente. Si chiede in sintesi un seme capace di germogliare, e la cura del campo, la difesa contro le forze nemiche al suo fiorire saranno compito anche dell'Interità per la parte che le si addice nel disegno divino: poiché Essa è bella agli occhi del Padre, ed Egli vuole che lo sia anche a sé stessa nel suo divenire a Lui. Questo è lo scopo del nostro insegnamento a livello intellettuale: determinare le necessarie formulazioni da sperimentare successivamente e immediatamente nell'ambito operativo, con progressione necessaria all'apprendimento pratico dei metodi e delle leggi, ma con la celerità più elevata consentita dal momento. Attualmente esistono fattori positivi che attendono di essere attivati: gli Elementali, le potenze di Malkuth, sono i primi fra tutti: Intelligenze perfettamente orientate ed estremamente precise nelle loro puntualizzazioni, Esse sono nell'essenza Esseri altissimi della Manifestazione, che si assumono un compito immane con la lucidità tipica delle Realtà trascendenti, autolimitantisi per servire ed essere la volontà suprema. Volgeremo a loro la nostra preghiera, e cercheremo il loro sostegno come Pilastri del mondo formale vero, e del quale ora noi scorgiamo la distorta immagine che riverbera la nostra coscienza offuscata. Se ciò che facciamo avrà un valore, è proprio nell'aprire le menti ad un contatto adeguato con la presenza dell'Amore, che queste Potenze angeliche ci conducono ad intuire nella nostra esperienza quotidiana, sempre fraintesa nel suo significato di simbolo e di insegnamento. L'Archetipo Aria non è soltanto l'aria che respiriamo: è un aspetto specifico dell'energia condensatasi in forma mobilissima e duttile e che può esprimersi in 254


infinità di modi impensabili comunemente. E' Idea vivente, che determina schiere di personalità ad Essa coordinate, libere, autonome e viventi, e tutte capaci di riflettere prioristicamente la loro Matrice. Entrare in contatto con simile Intelligenza (nell'essenza Intuizione d'Amore in ogni dimensionalità concepibile nel Mondo formale) è incontrare un aspetto fondamentale dell'Energia Emanante, e una divinità costruttrice dell'universo. Ci occorre pertanto non la supina reverenza, ma l'interiorizzazione dell'amore che Essa è, nel rispetto, nella dignità e nella consapevolezza di essere tutti figli dell'unico Padre, per il quale il piccolo ed il grande sono identità in Lui, e che ad ognuno assegna nell'infinita sapienza il posto esatto per vivere in lui: posto perfetto, qualificazione perfetta, che nell'Assoluto s'incentra e si dispiega. Se esiste nell'Uomo una specie di predestinazione, è questa: l'Amore del Padre, entro ed oltre i cancelli della Manifestazione che possiamo intuire. Cancelli particolari, che in ogni istante possono aprirsi per alcuni, rivelando nel tempo reale l'illusione di un tempo che ci aveva avvolto, e che riconosciamo non appena ne superiamo il limite. Cancelli che possono allontanarsi innanzi all'affannato viaggiatore del samsara, qualora egli non voglia e non sappia ritrovare 1'antica Chiave, quella che dolcemente e semplicemente schiude le porte lucenti dell'infinito. L'antica chiave è l'Amore, e l'Amore è la Rosa dal Nome primordiale che è la splendida verità della Manifestazione: vita, che non può comprendersi se non nella Croce, la bianca Croce di Vita che il Cristo ci dona per la eterna gioia. Ad altri Istruttori verrà ora affidato il compito d'iniziare l'allievo al Cuore dell'operatività, con le tecniche opportune e vagliata gradualità. Tecniche non astruse ma semplici: e sono apertura alla speranza e alla fede, ascolto interiore, intuizione e silenzio della mente, discriminazione per comprendere la realtà, Amore. In quell'istante, all'Istruttore che da un tempo estremamente remoto guida l'allievo, s' affiancano altre fonti di comprensione e sapienza, ed altre persone a lui volgono il loro sguardo incerto o fiducioso, inquieto o innamorato nell'attesa di tendere insieme le mani alla felicità che le attende, nelle lucenti spirali delle Sephirah: dove 1'apparire e l'Essere si fondono fluidamente ed indissolubilmente nella trascendente bellezza della Vita. OM (10/9/89 = 13,10)

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