L'infermiere, operatore di cambiamento organizzativo nelle unità operative del servizio ospedaliero

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Tesi di Laurea in Psicologia dell'Organizzazione

L'INFERMIERE, OPERATORE DI CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO NELLE UNITA' OPERATIVE DEL SERVIZIO OSPEDALIERO

Dal Museo Didattico della Scuola Medica Salernitana

CLARA GRAZIA CORSO DI LAUREA IN PEDAGOGIA FACOLTA' DI MAGISTERO UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA A.A. 1989-90


UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA FACOLTA' DI MAGISTERO Corso di Laurea in Pedagogia

L'INFERMIERE, OPERATORE DI CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO NELLE UNITA' OPERATIVE DEL SERVIZIO OSPEDALIERO

Tesi di Laurea in Psicologia dell'Organizzazione

Relatore:

Presentata da:

Prof. PAOLA DE VITO PISCICELLI

Sessione Invernale Anno Accademico 1989-90

CLARA GRAZIA


Indice generale UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI BOLOGNA L'INFERMIERE, OPERATORE DI CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO NELLE UNITA' OPERATIVE DEL SERVIZIO OSPEDALIERO.........................1 INTRODUZIONE.......................................................................................................4 CAPITOLO 1 - UOMO, AMBIENTE, SALUTE E MALATTIA..............................7 1.1 - MONDO SANITARIO E SUE CONTRADDIZIONI...................................7 1.2 - METODOLOGIA PSICOSOCIALE E FENOMENOLOGICA NELL'ANALISI DEL CAMBIAMENTO NEL SISTEMA SANITARIO...........11 1.3 - SALUTE, MALATTIA E TEORIE DEI BISOGNI.....................................14 1.4 - BREVE PROFILO STORICO DELLE ISTITUZIONI ASSISTENZIALI OSPEDALIERE...................................................................................................19 CAPITOLO 2 - RIFORMA SANITARIA E CAMBIAMENTO..............................33 2.1 - CAMBIAMENTO NELLA SANITA'..........................................................33 2.1.1 - Cambiamento a livello organizzativo...................................................35 2.1.2 - Cambiamento a livello istituzionale.....................................................37 2.1.3 - Territorio e prevenzione.......................................................................38 2.1.4 - Partecipazione, responsabilità e controllo............................................41 2.1.5 - Stato di attuazione della Riforma.........................................................43 2.2 - IL SERVIZIO OSPEDALIERO, SISTEMA ORGANIZZATIVO COMPLESSO......................................................................................................44 2.2.1 - La struttura di base...............................................................................48 2.2.2 - I meccanismi operativi.........................................................................51 2.2.3 - I processi psico-sociali. .......................................................................53 2.3 - MODELLI ORGANIZZATIVI DEL SERVIZIO SANITARIO..................56 2.4 - POLITICHE GESTIONALI DEL PERSONALE INFERMIERISTICO....58 2.4.1 - Pianificazione strategica e programmazione del personale..................60 2.4.2 - Reclutamento, selezione, inserimento e socializzazione......................61 2.4.3 - Addestramento e formazione................................................................66 2.4.4 - La valutazione e lo sviluppo professionale..........................................68 CAPITOLO 3 - PROCESSO ASSISTENZIALE E CAMBIAMENTO...................74 3.1 - PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA FUNZIONE INFERMIERISTICA. ..............................................................................................................................74 3.2 - NORME, PRINCIPI E MODELLI TEORICI DEL NURSING..................78 3.2.1 - Il Codice Deontologico e il Collegio....................................................81 3.2.2 - Norme e regole della professione.........................................................84 3.3 - LOGICHE, STRUMENTI E METODI SPECIFICI DEL PROCESSO DI NURSING............................................................................................................85 3.4 - PROCESSO MOTIVAZIONALE E PRESTAZIONI INFERMIERISTICHE.........................................................................................89 3.5 - CAMBIAMENTO NEL RUOLO E NELLE FUNZIONI DELL'INFERMIERE DIRIGENTE E STRESS..................................................95 3.5.1 - Funzioni di direzione e di coordinamento e leadership. ....................100 2


CAPITOLO 4 - L'INFERMIERE DIRIGENTE, OPERATORE DI CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO NELLE UNITA' OPERATIVE DEL SERVIZIO OSPEDALIERO..................................................................................105 4.1 - LE UNITA' OPERATIVE..........................................................................105 4.1.1 - La comunicazione efficace nel sistema delle unità operative............109 4.1.2 - Alternative possibili nei modelli organizzativi delle unità operative: le unità socio-tecniche.......................................................................................112 4.1.3 - L'autogestione delle unità operative...................................................116 4.2 - I PICCOLI GRUPPI DI LAVORO............................................................121 4.2.1 - Modello organizzativo-assistenziale per piccole équipes o nursingteam................................................................................................................122 4.2.2 - I conflitti nel piccolo gruppo omogeneo di lavoro. ...........................127 4.3 - I CIRCOLI DI QUALITA'.........................................................................129 4.4 - INTERVENTO PSICOSOCIALE E CAMBIAMENTO...........................134 BIBLIOGRAFIA:..........................................................................................140 Immagine di copertina dal Museo Didattico della Scuola Medica Salernitana: riproduzioni di documenti, miniature ed immagini fotografiche, fra cui il famoso Regimen Sanitatis Salernitanum, sull’attività e le opere degli antichi maestri, sul contesto storico e culturale dell'epoca e sul ruolo ricoperto dalla città nell’alto medioevo. Da Internet: www.incampania.com/beni culturali

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INTRODUZIONE Negli ambienti istituzionalmente preposti alla tutela della salute, è facile osservare che esiste una differenza rilevante tra principi e obiettivi ufficialmente enunciati (il dire), e realtà operative spesso scarsamente corrispondenti ai bisogni espressi dalle persone (il fare). I principi ai quali si ispira il Sistema Sanitario Nazionale ai vari livelli istituzionali, caratterizzati da elevata eticità, affermano il diritto dell'uomo alla salute, quale stato di benessere fisico, mentale e sociale, e non solamente assenza di malattia e infermità; conseguentemente gli obiettivi generali e specifici delle organizzazioni assistenziali si fondano sul dovere di corrispondere pienamente al raggiungimento del diritto affermato. Ma le organizzazioni preposte al raggiungimento degli obiettivi di salute sono costituite da strutture fisiche e da persone con le loro soggettività, le quali determinano modalità di risposta molto differenziate e non sempre soddisfacenti a questo diritto-bisogno. E' anche vero che le persone sono entità molto complesse e che molto complessi ne sono i bisogni: nella ricca tematica inerente i problemi della salute e della malattia, le persone esprimono esigenze che spesso non trovano risposte possibili in ambito sanitario. Così pure, sono complesse le organizzazioni e le loro modalità di funzionamento, poiché sono costituite da persone che in esse portano le loro aspirazioni, motivazioni, culture, le quali possono generare dinamiche positive o negative al fine del raggiungimento dell'obiettivo primario, costituito dall'uomo che deve essere aiutato per ottenere e mantenere il bene fondamentale della salute. L'infermiere, al pari di tutti gli altri operatori sanitari, dovrà ricercare il cambiamento necessario per rendere l'organizzazione in cui opera realmente adeguata ad assolvere le funzioni per le quali esiste e dalle quali deriva il senso della sua stessa esistenza. Perché questo cambiamento sia possibile e positivo, l'infermiere dovrà, prima di tutto, migliorare la propria competenza professionale attraverso un idoneo processo educativo e motivazionale, poi raggiungere l'autonomia nelle sue prestazioni assistenziali e assumerne totalmente la responsabilità. Al tempo stesso dovrà influire efficacemente affinché le organizzazioni del lavoro rendano possibile 4


operare nell'ottica di un'assistenza personalizzata e globale all'uomo, rispettosa di tutte le componenti (fisiche, psicologiche, educative, spirituali e sociali) che ne costituiscono la complessità e l'unicità. Dopo aver esaminato la ricca tematica sanitaria, attraverso l'osservazione diretta e attraverso indagini conoscitive della vasta letteratura sull'argomento della salute, della malattia e delle organizzazioni assistenziali, nelle sue versioni sia positive che negative, mi sono formata alcune convinzioni. Convinzioni (e non certezze) che, ben lungi dall'esaurire il vasto campo d'interesse costituito dall'uomo e dalle sue esigenze, fra cui quelle di salute e benessere, costituiscono comunque una base per analisi future più approfondite; ma soprattutto, costituiscono una base per contribuire a ricercare, sperimentare e applicare modelli organizzativi e assistenziali più adeguati di quelli esistenti, al fine di rispondere positivamente ai bisogni di educazione alla salute, di prevenzione della malattia, di aiuto assistenziale e di recupero della salute. Ma anche, quando ciò sia possibile, per contribuire a rispondere altrettanto positivamente ai bisogni di autorealizzazione nel lavoro delle persone che operano nelle strutture preposte alla tutela della salute. L'elencazione degli autori e delle opere che sono stati maggiormente consultati per questa tesi è citata in bibliografia. L'osservazione diretta, resa possibile dai molti anni di lavoro nell'istituzione ospedaliera, è basata anche su un'esperienza organizzativa costituita da un "coordinamento di infermieri capo sala" del Policlinico S. Orsola - M. Malpighi di Bologna, di cui ho fatto parte, sorto come tentativo strutturato per individuare le cause organizzative e psico-sociali dei problemi emergenti, per ricercare le motivazioni al lavoro delle persone, e per dare risposte organizzativo-assistenziali adeguate all'uomo che ha temporaneamente o permanentemente la necessità di prestazioni infermieristiche. Questo, tendendo anche ad orientare il processo assistenziale verso un'ottica sistemica, fondata su una visione integrata, di tipo olistico, dell'uomo e dei suoi bisogni nelle variabili situazionali. Come campo d'indagine ho scelto l'ospedale, analizzandone anche la storia, perché esso costituisce ancora - malgrado le pluriennali "intenzioni" istituzionali di basare sempre più l'assistenza sanitaria sull'educazione alla salute e sulla prevenzione della malattia nei luoghi di vita e di lavoro - la sede principale dove l'uomo che ne ha bisogno, trova risposte concrete, anche se non sempre adeguate, ai suoi bisogni 5


sanitari ed assistenziali. Le convinzioni scaturite da questa indagine, del tutto suscettibili di essere modificate in relazione a nuove acquisizioni teorico-pratiche, sono che il cambiamento nel processo assistenziale, oltrechÊ necessario è possibile, soprattutto se si fonda sul rispetto, sulla comprensione, sulla valorizzazione di tutti, malati e persone che per essi operano; ed inoltre se, per raggiungere miglioramenti educativi ed organizzativi concreti e riconoscibili, si utilizza il vasto potenziale di conoscenze e competenze che tutte le persone hanno o possono acquisire. Il coinvolgimento dell'uomo che esprime dei bisogni educativi ed assistenziali e delle persone istituzionalmente preposte a soddisfarli può realizzare una relazione veramente terapeutica, caratterizzata da forme organizzate di aiuto professionalmente competente. Una relazione terapeutica fondata sul pieno soddisfacimento dei bisogni delle persone, sia di quelle che forniscono che di quelle che ricevono aiuto, rende possibile il raggiungimento di una autorealizzazione piena in campo sia cognitivo, che lavorativo e soggettivo-affettivo.

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CAPITOLO 1 - UOMO, AMBIENTE, SALUTE E MALATTIA

1.1 - MONDO SANITARIO E SUE CONTRADDIZIONI

L'infermiere oggi opera in una realtà molto complessa e in continua evoluzione - sia come comunità sociale che come sistema di servizi per la salute - nella quale interagiscono innumerevoli variabili istituzionali, organizzative, culturali, economiche, spesso confuse e contraddittorie, difficili da decodificare. Orientamenti nazionali e internazionali si pongono obiettivi ambiziosi, forse utopistici, affermando che la salute, quale "stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non solamente assenza di malattia e infermità",1 è uno dei fondamentali diritti dell'uomo. Se la salute è definita un diritto fondamentale dell'uomo, la società, attraverso le sue istituzioni, deve garantirne la promozione e la tutela. In realtà, l'individuazione e il soddisfacimento del bisogno di salute basato sulla definizione di "completo benessere fisico, mentale e sociale" si presentano molto problematici, sia sul piano teorico che su quello pratico. Nel 1977, l'Assemblea Mondiale per la Sanità ha deliberato che "l'obiettivo sociale primario dei governi e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità nei successivi decenni avrebbe dovuto essere la conquista da parte di tutti i cittadini del mondo, entro l'anno 2000, di uno stato di salute che avrebbe permesso loro di condurre una vita 1 Definizione di "Salute" dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, dichiarazione di Alma Ata sul ruolo dell'assistenza sanitaria di base, 1978. L'O.M.S. fu istituita con l'accordo di New York il 22 luglio 1946, al termine di una conferenza internazionale nel corso della quale 61 Stati ne firmarono la Costituzione. E' sostenuta dai contributi dei governi dei 166 Paesi membri. Ha lo scopo di portare tutti i popoli al livello sanitario più alto possibile. La sede centrale è a Ginevra e vi sono sei Uffici regionali in America, Medio Oriente, Africa, Asia, Australia ed Europa (Copenaghen). 7


socialmente ed economicamente produttiva". Nel 1984 i 33 Paesi aderenti alla Regione europea, hanno scelto 38 obbiettivi specifici per raggiungere la "salute per tutti nell'anno 2000".2 Questi obiettivi specifici, oltre ad individuare precise condizioni di vita da adottare affinché le persone godano di buona salute, sono finalizzati ad assicurare l'equità del sistema sanitario nazionale di ogni paese, riducendo le disparità e assicurando il pieno sviluppo e la piena utilizzazione del potenziale fisico e mentale degli individui. Il raggiungimento degli obiettivi elencati richiede necessariamente dei cambiamenti che, secondo le indicazioni dell'O.M.S., si ottengono promuovendo modi di vita favorevoli alla salute e riconoscendo l'importanza determinante che, a tal fine, hanno l'ambiente fisico, economico, politico e sociale. Contemporaneamente la popolazione deve prendere coscienza dei problemi relativi alla salute, rivendicando condizioni di vita sane, con il supporto di una rete di servizi di base capaci di assicurare risposte istituzionali e governative adeguate alle necessità, con la partecipazione degli utenti. Viene data grande rilevanza alla ricerca, accessibile a tutti gli operatori del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzata all'acquisizione dei dati e delle competenze specifiche necessarie allo sviluppo e all'approfondimento delle conoscenze, per adeguare le prestazioni assistenziali alle necessità di salute della collettività. Per dare l'avvio al progetto "Salute per Tutti nel 2000" è quindi necessario spostare la prevalenza nel sistema sanitario dall'assistenza ospedaliera all'assistenza socio-sanitaria di base. Questi concetti sono peraltro espressi anche a livello nazionale, nei principi e negli obiettivi della legge istitutiva del Servizio Sanitario 3, i quali prevedono di: • garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute, sia fisica che psichica, con un modello gestionale caratterizzato da omogeneità e uniformità su tutto il territorio nazionale; • unificare in un unico sistema di sicurezza sociale tutte le attività sanitarie; 2

Da: "Gli obiettivi della salute per tutti", a cura dell'Ufficio Regionale per l'Europa dell' O.M.S., CISI, Centro Italiano Studi Indagini, 1986. 3 La legge di riforma del sistema sanitario nazionale, è stata promulgata il 23 dicembre 1978 (n. 833) e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 28 dicembre 1978. 8


• superare il concetto di cura della malattia e il concetto di mutualità, privilegiando la prevenzione rispetto alla cura e alla riabilitazione; • garantire a tutti i cittadini il diritto ad eguali prestazioni e il dovere di contribuire al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale in relazione al proprio reddito; • promuovere un'attiva partecipazione e gestione democratica del S. S. N., nel rispetto delle competenze di Stato, Regioni, Enti locali. Questi obiettivi, nazionali ed europei, rappresentano un tentativo deliberato di mutare radicalmente il corso dello sviluppo sanitario, per permettere: • "ai bambini di nascere da genitori che li desiderano e che hanno il tempo, i mezzi e le capacità per allevarli e seguirli in modo adeguato; • di essere educati in una società che riconosce i valori fondamentali del vivere sano, che incoraggia le scelte individuali e permette di metterle liberamente in pratica; • di disporre delle condizioni indispensabili per la salute ed essere efficacemente protetti contro malattie e incidenti; • di avere tutti le stesse opportunità di vivere in uno stimolante ambiente di interazione sociale, liberi da rischi di guerra, con piena opportunità di svolgere ruoli economici e sociali soddisfacenti; • di invecchiare in una società che aiuti a mantenere integre le capacità, che assicuri una vecchiaia tranquilla e motivata, che offra assistenza in caso di necessità ed infine che permetta di morire dignitosamente" (CISI, 1986). Nella realtà, però, si sperimentano ben altre situazioni. La corretta informazione, la partecipazione, la prevenzione, la medicina di base, sono - anche se con notevoli differenze territoriali - poco più che enunciazioni di principio. Inoltre, l'accesso alle istituzioni ospedaliere o territoriali, per ottenere prestazioni assistenziali qualificate per la tutela della propria salute - che pure dovrebbe essere assicurato anche da un oneroso sistema contributivo4 - è intermediato da un complesso sistema organizzativo che spesso non è in grado di far fronte al dovere di assicurare l'affermato diritto alla salute. Troppo spesso la risposta 4 Il XVIII rapporto CENSIS uscito nel 1989 sullo stato di salute del Paese, riferisce una spesa per il S.S.N. pari al 6% del PIL, rapportato al 7% dei paesi europei e al 9% degli Stati Uniti. 9


adeguata al bisogno-diritto è possibile solo attraverso un rapporto privilegiato, e cioè tramite 'conoscenze' o privatamente - da cui comunque è escluso il cittadino appartenente alle fasce socio-culturali più deboli e meno protette - tranne lodevoli eccezioni. Attualmente, nelle società del welfare state, tipiche di molti paesi industrializzati come il nostro, il sistema sanitario ospedaliero e poliambulatoriale presenta una situazione di crisi della medicina istituzionale tradizionale, percepita come ormai inadeguata, insufficiente, ingestibile e talvolta pericolosa, comunque incompatibile con i nuovi desiderati modelli di risposta al bisogno di salute. Analisi critiche, corredate da documenti e guidate da una metodologia storicistica, interpretano i processi istituzionali legati alla produzione di salute come fenomeni di medicalizzazione esasperata e di espropriazione. Costituiscono la versione negativa dell'organizzazione della sanità 5. La lettura interna del sistema ha invece una versione positiva, che ha l'intento di evidenziare la struttura e le sue articolazioni, l'organizzazione, le gerarchie e le regole di interdipendenza, il modello di funzionamento, i motivi ordinatori più che quelli ispiratori, la specificità del sistema in rapporto ad altri modelli, le fonti di legittimazione, ecc.. E' una corposa analisi, funzionale alle istanze di controllo razionale della organizzazione sanitaria e della sua valutabilità in termini di rendita economico-sociale, che si propone l'obiettivo di una verifica interna del funzionamento dell'organizzazione sanitaria, vagliata sul paradigma "costi-benefici" (R. Boccalon et al., 1983). Questi tipi di analisi mettono comunque in evidenza la necessità di un cambiamento dell'attuale sistema organizzativo del servizio sanitario, anche attraverso l'intervento della collettività, mettendo quindi in relazione chi riceve e chi eroga un servizio, sempre più impostato sull'autonomia delle "unità operative".

5 Una versione "negativa" dell'organizzazione della sanità, emerge dalle opere di molti autori, fra i quali: Illich, Basaglia, Maccacaro, Bert, Gaglio, Foucault, Mitscherlich, Polack, Jervis, ecc.. 10


1.2 - METODOLOGIA PSICOSOCIALE E FENOMENOLOGICA NELL'ANALISI DEL CAMBIAMENTO NEL SISTEMA SANITARIO Le teorie che sono alla base della prassi psico-sociale si possono far risalire alle nozioni di "ricerca-azione" di Kurt Lewin, il cui metodo di lavoro si fondò su una continua interazione tra ricerca empirica e teoria, su un continuo controllo della validità delle elaborazioni e sullo sviluppo conseguente di nuovi esperimenti (G. Petter, 1965). La ricerca del perché delle azioni, degli impulsi, dei desideri, delle avversioni, spesso in contrasto con quanto è apparentemente desiderabile, si è dimostrata di grande importanza pratica. Lewin dimostrò sperimentalmente che ogni azione è determinata da condizioni riconducibili allo stato psico-fisico della persona al momento considerato e alle caratteristiche dell'ambiente psicologico entro il quale la persona si trova. Da Lewin l'ambiente viene inteso come insieme di oggetti, persone, attività, situazioni presenti o future, con i quali l'individuo è in rapporto in un momento dato e che, in forma più o meno consapevole, costituisce una delle due parti dello "spazio di vita" dell'uomo; l'altra parte è costituita dalla persona stessa. L'autore rende così evidente la possibilità di studiare sperimentalmente la struttura dell'"ambiente psicologico" di un individuo, le condizioni che ne provocano una modificazione e che contribuiscono a determinarne e a modificarne il comportamento. La psico-sociologia attinge le sue risorse teoriche a molteplici fonti, per poi formulare prassi di intervento (R. Carli, R. M. Paniccia, 1981). Gli psicologi del lavoro e dell'organizzazione, già dalla metà degli anni '60, utilizzano l'approccio psico-sociale nell'analisi e nell'intervento in relazione alle molte variabili del cambiamento organizzativo (P. De Vito Piscicelli, 1984). La metodologia psico-sociale consiste principalmente nell'introduzione della soggettività nell'ambito dei problemi organizzativi. Questo metodo della psicologia organizzativa si è imposto come criterio di lettura, di analisi e di intervento, affrontando e superando con successo la falsa contraddizione esistente tra "qualità della vita" ed "efficienza produttiva", ricercando un armonico sviluppo della dimensione individuale soggettiva e strutturale obiettiva delle organizzazioni, per umanizzare il lavoro pur nel rispetto delle esigenze strutturali. 11


La metodologia psico-sociale, nell'ambito della psicologia organizzativa di un servizio assistenziale, è legata a tre dimensioni fondamentali: –natura conflittuale delle organizzazioni; –attenzione contemporanea e parallela agli aspetti soggettivi e oggettivi di ogni dimensione lavorativa; –trasformazione dei tradizionali utenti dei processi di cambiamento organizzativo in protagonisti attivi, in attori, in agenti del cambiamento. La psico-sociologia è infatti una disciplina che si occupa dei rapporti fra individui e strutture sociali. E' una metodologia che si presta alla comprensione dei fenomeni sociali e, in particolar modo, all'analisi della struttura sanitaria e della percezione che se ne ha, delle norme e dei valori su cui si basa, dell'obiettività e soggettività nel comportamento dei suoi operatori, della fenomenologia organizzativa e delle dinamiche, spesso conflittuali, che intercorrono tra più attori sociali che ne compongono l'organizzazione. Nell'ambito di una struttura sanitaria, l'analisi psico-sociale integra la ricerca, la teoria e la prassi, per mezzo di uno studio dei rapporti tra i suoi componenti e tra la sua struttura organizzativa e le istituzioni di cui fa parte. Analisi intesa come una interrogazione costante sui fenomeni della struttura relazionale che si istituisce nelle organizzazioni soggette a cambiamento. I momenti teorici della prassi psico-sociale collegati all'ambito sanitario, forniscono una interpretazione attendibile sulle prassi organizzative della sanità e sulle teorie della salute, per ricercare, riconsiderare, dare un senso alla realtà sanitaria, attraverso un'analisi della sua complessa struttura e dei suoi protagonisti, attualmente oggetti e soggetti di cambiamento. La ricerca di un senso è tanto più necessaria, in quanto spesso la disponibilità di tecniche di intervento pronte ed efficaci, ci fa dimenticare che dietro ad ogni decisione, ad ogni soluzione pragmatica operativa, c'è sempre un orientamento teorico che ad esse dà comunque un preciso significato. Si tratta di cercare non la presunta realtà in sé, ma il significato o il senso (o i molteplici sensi) nell'interpretare i fenomeni legati alla salute e alla malattia, che la realtà sanitaria (o le realtà), in tutte le sue sfaccettature, rivela a seconda delle diverse soggettività con cui entra in relazione. E' necessario acquisire la capacità di assumere un 12


atteggiamento aperto, problematico, quindi una visione fenomenologica della realtà sanitaria. Visione fenomenologica che consiste nell'analisi dei significati e dei contenuti intenzionali delle attività psichiche, con una rivalutazione del qualitativo rispetto al quantitativo, dando una semplificazione metodologica per esigenze realistiche, pur rispettando la complessità della vita psichica di tutti gli individui quale produzione di forme spirituali e serbatoio di possibilità (P. Bertolini, 1983). Questa visione è capace di fornirci le basi per una metodologia descrittiva rigorosamente fondata della realtà assistenziale, per mezzo della quale la fenomenologia della nostra vita psichica (e quindi dei suoi riflessi sulla nostra vita reale) può venire compresa; diviene così possibile interpretare il nostro mondo come mondo delle possibilità, tale cioè da comprendere l'intenzionalità, il campo delle possibilità e delle condizioni tendenziali, superando l'artificiosa divaricazione fra metodologie interpretative oggettive e metodologie introspettive. L'approccio fenomenologico, in particolare nell'interpretazione Husserliana, è basato sul metodo dell'analisi filosofica condotta sulle categorie dell'essere, quindi descrittiva degli stati della coscienza e della molteplicità delle forme che l'esistenza può assumere. Il metodo nella fenomenologia di Husserl (A. M. Di Giorgio, 1981) è basato sull'esigenza di trovare, nel mondo dell'uomo e nella storia, una più autentica razionalità e di chiarirne il più intimo significato, sia dal punto di vista teoretico che da quello etico-sociale e di raggiungere una conoscenza, la più assoluta e razionale possibile. Per conseguire questo obiettivo è necessario: –riguadagnare la propria soggettività sia a livello individuale che sociale, nel senso di (ri)prendere coscienza del proprio responsabile coinvolgimento nel costituirsi della storia personale e sociale; –considerare la soggettività umana come caratterizzata soprattutto dalla intenzionalità; la relazione fra soggetto e oggetto che l'intenzionalità richiede e fonda è la parte costituente necessaria della esperienza umana; –intendere l'interpretazione fenomenologica della conoscenza del mondo come un processo costruttivo, sempre dinamico e dialettico (storicamente determinato o condizionato), tendente a cogliere di ogni fenomeno il senso e il significato (che ognuno contribuisce a determinare) nella relazione tra soggetto e oggetto; –riconoscere la impossibilità (per la fenomenologia) di considerare il soggetto senza considerare contemporaneamente l'oggetto; per cui è 13


impossibile parlare di una persona senza parlare dell'altra, degli altri, i quali si pongono nell'ambito della stessa esperienza: l'esperienza dell'altro è un'esperienza originaria e fondamentale che porta al riconoscimento dell'esistenza di una intersoggettività originaria, che ha capacità di direzioni intenzionali (P. Bertolini, 1988). Secondo l'ottica fenomenologica, l'organizzazione sanitaria può quindi venire vista come sistema particolarmente complesso, o meglio come sistema di sistemi, in cui ciascuno dei suoi principali elementi (o fattori, o protagonisti, o condizioni) è comprensibile solo in termini sistemici, in quanto essi sono di per sé dei sistemi organici notevolmente complessi. Su un piano formale semplificato l'organizzazione dell'assistenza sanitaria si può rappresentare suddivisa in quattro poli interagenti: individui, strumenti, società, contenuti della sanità, continuamente immersi in situazioni problematiche che implicano precise scelte metodologiche, nelle quali comunque ciascun "insieme" (o sistema) è in reciproca relazione e interdipendenza con gli altri.

1.3 - SALUTE, MALATTIA E TEORIE DEI BISOGNI La malattia è una condizione umana con la quale tutte le società e tutte le culture si sono sempre dovute e si devono tutt'ora confrontare. Il modo in cui una collettività definisce la malattia, la interpreta e vi pone rimedio è uno dei suoi tratti culturali più significativi. Generalmente si ritiene possibile definire una cultura analizzando come una collettività accoglie un nuovo membro e se ne separa (i riti di nascita e di morte) e le relazioni che essa struttura intorno ad un proprio membro malato. Si nasce in ospedale eppure questa conquista sanitaria è sotto accusa perché l'evento sanitario del parto sembra turbare, contraddire, annullare l'esperienza umana del nascere. All'altro estremo, l'immagine attuale prevalente della morte naturale si può dire sia la morte clinica, assistita da personale sanitario. Ed è proprio la medicalizzazione del morire che garantisce una "negazione della morte" (P. Ariès 1982). E nel continuum dell'esistenza tra nascita e morte, anche una gran parte della cultura somatica, cioè del grado e del tipo di interesse e di 14


attenzione che gli individui portano al loro corpo, alla loro sessualità, al loro benessere o malessere, piacere e dispiacere è sottoposta alla somatizzazione. Tutto ciò che attiene alla rappresentazione e alla conoscenza del corpo, alla regolazione del benessere è tradotto in bisogni sanitari (R. Boccalon et al., 1983). In effetti, parlare di salute significa trattare, in ultima istanza, della vita e della morte, il che suscita bisogni che sono talora specifici ma spesso non specifici del vasto campo della salute e della malattia. Nel campo dei bisogni attinenti alla salute sono spesso trasposti bisogni estranei ad essa in quanto la nozione di salute include un campo di bisogni molto più ampio di quanto inerisce alla malattia e alla sua guarigione. Storicamente la malattia è stata accompagnata da varie forme di sofferenze e carenze, come la povertà, l'ingiustizia sociale e l'ignoranza (G. Cosmacini, 1989). Attualmente, nella nostra società, alle patologie dovute alla povertà si sostituiscono quelle ambientali e da lavoro, per l'esposizione a fattori patogeni. Persiste anche una grossa sperequazione nella offerta sanitaria e nelle opportunità di trattamento e guarigione, anche se fra gli obiettivi primari della riforma sanitaria vi è l'equa distribuzione delle offerte di salute sul territorio nazionale. L'argomento dei bisogni umani è perciò molto difficile, come dimostra la ricca saggistica sul tema. Si può senz'altro affermare che "l'uomo moderno si trova ad un punto fermo. Il mondo gli mette a portata di mano tutto ciò che può desiderare: la scienza e la tecnica con le loro meravigliose scoperte e realizzazioni danno chiara la misura, come mai era successo nella storia del mondo, delle straordinarie ed enormi possibilità dell'intelligenza umana. Ma esiste il rovescio della medaglia: mai come oggi, si è verificato, soprattutto nel nostro mondo occidentale, un così grave deterioramento dei costumi: lassismo generalizzato, materialismo, consumismo, edonismo, droga, violenza, distorsione delle informazioni, ambienti familiari malsani, crollo ed appiattimento dei valori fondamentali. L'uomo si trova di fronte ad una realtà contraddittoria: da una parte ha tutto, ma dall'altra gli manca tutto. E' riuscito a camminare sulla luna, ma è incapace di approdare ad una forma personale di vita ricca di significato, armoniosa, serena, che valga la pena di essere vissuta. Psicologicamente l'uomo moderno è fragile, insicuro, emotivo, agitato, tormentato, nonostante il suo benessere. Non riesce veramente a 15


comunicare con gli altri e il suo universo affonda spesso nell'angoscia, nella noia di vivere, nel vuoto esistenziale" (G. Zampetti, 1981). Perciò, i bisogni sanitari espressi dall'utente-cliente alle strutture istituzionali sono spesso identificabili come bisogni di rassicurazione. Le teorie dei bisogni e della salute impongono comunque una riflessione sulla complessità del problema, costituiscono un avvertimento circa i limiti e i pericoli inerenti ad una trattazione ingenua o distorta dei bisogni e della salute e richiedono un'analisi degli accostamenti fondamentali (P. Donati, 1983). Nell'approccio psicologico il concetto di bisogno, nato nel campo bio-fisiologico, ha avuto una prima estensione nelle teorie organiche della cultura, nelle quali esso è sinonimo di esigenza funzionale per la normale attività di un sistema vivente; ha esteso ulteriormente il suo significato a termini quali motivazione, aspirazione, desiderio, tensione, assumendo l'aspetto di una spinta che determina un'azione. Il conseguimento di una meta non sempre esaurisce la tensione, perché il bisogno è fortemente condizionato dalla rappresentazione conscia o inconscia che se ne ha. Spesso i bisogni vengono intesi semplicemente come problemi irrisolti o emergenti, per cui ogni oggetto o rapporto sociale può essere riconducibile ad un bisogno reale o potenziale per qualsiasi individuo, vissuto come “bisogno indispensabile da soddisfare” ma potenzialmente inesauribile. L'approccio pedagogico-fenomenologico intende il bisogno come la necessità di una comunicazione piena a livello strutturale e fra persone. Il bisogno viene interpretato in relazione alla consapevolezza soggettiva di ciò che manca alla persona per dare un senso al mondo in cui vive, mettendo in rilievo che gli stati di bisogno differiscono in relazione a culture diverse. La malattia, la sofferenza, la pena, il dolore, il disagio e il malessere hanno modi diversi di manifestarsi nei loro sintomi. Il bisogno di salute è inteso come bisogno di pienezza, di “senso” nei rapporti umani quotidiani in cui si è immersi, costituiti da intimità, familiarità, amicizia, vicinato, in contrapposizione con la metodologia delle istituzioni totali quali gli ospedali, che spersonalizzano i rapporti umani, stravolgono i bisogni e alienano ulteriormente le persone, anziché curarle e guarirle. La rilevazione, l'interpretazione e la gestione umana dei bisogni si possono attuare solo attraverso un corretto rapporto comunicativo tra mondo della vita e istituzioni socio-sanitarie. 16


L'approccio organico - fisicista (sanitario) definisce il bisogno come un deficit per il normale funzionamento di un organismo considerato dal punto di vista fisico, che comporta uno squilibrio bioorganico le cui cause possono essere individuali e/o ambientali. Restituire la salute consiste nel riportare l'organismo al suo perfetto funzionamento. L'approccio sociologico-funzionalista si riferisce ad un più ampio funzionamento della società che comprende il livello biologico, psicologico, sociale e culturale e che prevede una perfetta integrazione dell'individuo al suo ruolo sociale, per assicurare al sistema ambientale una organica realizzazione degli scopi collettivi. Nell'approccio marxista, il bisogno è uno stato di carenza di risorse determinato da mancanza di potere politico, economico e sociale sui mezzi di produzione, per cui la malattia, la miseria e la deprivazione sociale sono il prodotto di un sistema produttivo alienato e alienante, nel quale è impedita l'autorealizzazione globale di cui l'uomo ha invece necessità e di cui è potenzialmente capace. Per l'approccio semiologico, non è il bisogno che determina il consumo, per cui l'assenza di un oggetto di bisogno determinerebbe un comportamento volto a soddisfarlo; è piuttosto l'orientamento della società, con le sue strutture manifeste e latenti, che determina i bisogni. Questa visione mette in rilievo che il bisogno non è mai tanto un bisogno di un bene quanto di una differenziazione. Sottolinea anche il carattere imitativo-distintivo dei bisogni, quando questi sono assunti come segni di realizzazione dell'uomo sociale. Per cui non si possono distinguere i bisogni naturali da quelli artificiali, perché non è la manipolazione consumistica ad indurre un bisogno (anche sanitario), ma è il sistema dei bisogni ad essere figlio del sistema sociale. Fra i vari tentativi di distinguere, interpretare e classificare i bisogni, nell'ambiente sanitario e nella cultura istituzionale della Unità Sanitaria Locale, domina il modello sanitario. Ma, nell'interpretazione del bisogno di salute in base alle funzioni, al tipo di processo, alla importanza, il campo della salute è occupato da almeno due fondamentali categorie di bisogni: bisogni di livello primario, cioè quelli biologici, riguardanti la nascita e la morte, la malattia, la sofferenza e l'inabilità; bisogni di livello secondario, appartenenti ad una sfera più ampia e meno definibile, che comprendono le spinte sociali per la sicurezza, il potere, il successo ed esigenze più evolute 17


come l'autorealizzazione, il consenso, l'integrazione. Nell'ambiente sanitario, e in particolare nel campo dell'assistenza infermieristica, è molto utile, da un punto di vista pragmatico, tener presente lo schema logico interpretativo fornito dallo psicologo americano Abraham H. Maslow. Maslow ha elaborato un modello di priorità o gerarchia dei bisogni, rappresentabile come una scala o come una piramide, alla cui base sono collocati i bisogni fisiologici legati alla sopravvivenza: aria, acqua, cibo, calore, riposo. Ad un livello superiore è collocato il bisogno di stimoli, quali attività, esplorazione, manipolazione, novità, rapporti sessuali. Più su vi sono i bisogni legati alla sicurezza: bisogno di protezione da pericoli, da malattie, da violenze. Poi, via via, c'è il bisogno di amore (di relazione, socialità, amicizia, affetto reciproco, appartenenza, intimità); il bisogno di stima (di autostima e di essere stimati, di status sociale, di accettarsi ed essere accettati), il bisogno di autorealizzazione (di sviluppo e attuazione delle proprie potenzialità cognitive, psicomotorie, psicoaffettive). Secondo Maslow, un bisogno regolarmente soddisfatto cessa di essere motivante, e non è motivante se non sono soddisfatti i bisogni a livello inferiore nella scala. Ciò ovviamente non in senso rigido, ma solo come astrazione esemplificativa. Difficilmente un bisogno si può considerare completamente soddisfatto, ma nella realtà si avranno gradi intermedi variabili di soddisfazione dei bisogni e non è sempre esatto che debba essere soddisfatto un bisogno collocato ad un livello inferiore perché affiori l'insieme successivo della descritta gerarchia. I bisogni cambiano per numero e varietà aumentando con lo sviluppo psicologico e intellettuale. Essi inoltre variano sia nelle diverse situazioni socio-culturali, sia nelle modalità di espressione e di soddisfazione, sia nel valore, diverso a seconda delle diverse individualità (A. H. Maslow, 1975). Tuttavia vi sono esigenze fondamentali, legate alle problematiche di salute-malattia, il cui soddisfacimento richiede qualificate prestazioni assistenziali tipiche del ruolo infermieristico. Attualmente la cultura media sulla salute è elevata e permette ad ogni individuo una discreta possibilità e capacità di prevenzione e auto cura, cioè di autogestione della salute. Tuttavia, rispetto al continuum salute-malattia, l'uomo si può trovare in diverse situazioni di bisogno. Se esiste un'alterazione dello 18


stato di salute a cui l'individuo non è in grado di rispondere da solo, egli sviluppa uno specifico bisogno di aiuto. In ogni tipo di società esistono poi persone che non sono in grado di compiere autonomamente le azioni necessarie alla propria sopravvivenza: bambini, ammalati, anziani, coloro il cui sviluppo fisico e mentale non è completo, ecc.. La risposta ad un bisogno specifico di aiuto è l'azione compensatoria di assistenza. Questa può essere assicurata dall'infermiere, in parallelo con altri professionisti, quando il bisogno, per essere adeguatamente soddisfatto, richiede conoscenze, competenza tecnica specifica, ed una preparazione professionale indirizzata alla capacità di mantenere o far riacquistare lo stato di salute con una metodologia che responsabilizza circa i risultati conseguiti. Le prestazioni dell'infermiere possono essere a totale o prevalente autonomia o ad autonomia limitata, ma devono comunque possedere l'intrinseca capacità di mettere l'utente in condizioni di poter padroneggiare la sua situazione di salute-malattia. Se mettiamo in relazione il perseguimento di uno stato di salute con la tipica definizione di benessere, inteso come autonomia, ogni azione dell'infermiere dovrà tendere ad aiutare l'individuo a mantenere o recuperare totalmente (o il più possibile) le sue potenzialità e l'autosufficienza nel soddisfare i propri bisogni.

1.4 - BREVE PROFILO STORICO DELLE ISTITUZIONI ASSISTENZIALI OSPEDALIERE Dallo studio di documenti attendibili, si può presumere che la medicina, l'assistenza ed anche una particolare organizzazione sanitaria, siano nate con l'uomo, il quale da sempre, sfruttando le risorse e le conoscenze a sua disposizione, ha tentato di rispondere alle sue necessità di salute e benessere fisico e psichico. La conoscenza del mondo, dell'uomo e della medicina, posseduta dalle prime civiltà, si fondava prevalentemente su elementi religiosi, magici e rituali, anche se non mancavano elementi empirici. Le prime fonti letterarie sulla medicina risalgono al 5.000 a. C.: sono i Rig-Veda e l' Ajur-Veda, che pure si rifanno ad una tradizione ancora più antica. I Papiri di Smith, di Ebers del 2.500 a. C., il Talmud del 1.200 19


documentano che la malattia era considerata opera divina e che quindi il medico-sacerdote rappresentava l'unica autorità ammessa ad intermediare fra l'umano e il transumano. Tuttavia nel papiro di Ebers sono elencati 470 medicinali di provenienza assiro-babilonese, numero assai rilevante se si considera che è la copia di un papiro più antico. Esiste perciò, forse da sempre, una medicina che guarisce con la parola magica, una che guarisce con le piante e una che guarisce con il coltello (L. Stroppiana, 1982). La collocazione dei primi centri di assistenza sanitaria, attuata dai sacerdoti presso templi o luoghi sacri, sottolinea la credenza in una causa divina della malattia. Gli Asclepiei, templi dedicati al dio Esculapio - presumibilmente un medico o guaritore divinizzato del V Secolo a. C. - rappresentano, nella cultura greca e successivamente in quella romana, la prima struttura specializzata in assistenza sanitaria ed ebbero una larghissima diffusione. Erano veri e propri ospedali aperti, eretti in luoghi particolarmente salubri e ameni, dei quali la sacra fonte (il pozzo o la sorgente accanto all'altare), costituiva il più antico nucleo. La cura consisteva generalmente in una purificazione fisica e spirituale con motivazione religiosa, discretamente efficace, a giudicare dai numerosi "donaria" (doni votivi) ritrovati, raffiguranti le parti del corpo umano guarite (V. Busacchi, R. A. Bernabeo, 1978). Strutture assistenziali funzionalmente simili erano già presenti nell'antichissimo Egitto nei templi di Iside e Serapide. Quindi, l'atteggiamento dominante nell'interpretazione dei fatti si serve prevalentemente del soprannaturale e del magico fino ad Ippocrate (n. 458 a. C.). Invece, la medicina ippocratica si caratterizza affidando all'uomo in quanto essere razionale, quindi capace di sondare la realtà basandosi su se stesso, sul suo pensiero, sulla osservazione del dato naturale e reale - lo studio del malato e della malattia, dei segni per riconoscerla e dei mezzi per guarirla, del tutto separati da concetti di casta e di sacralità. Così la medicina diviene gradualmente anche un'arte completamente terrena, lontana da qualsiasi influenza soprannaturale, e si sviluppa in uno studio continuo ed approfondito della natura e del malato. Anche la figura del medico assume una diversa e più precisa connotazione, i suoi meriti non dipendono più da concetti di casta e sacralità, ma sono il diretto risultato del suo operato essenzialmente 20


umano e non il riflesso della potenza di un mondo sovrumano a cui l'uomo non appartiene. Un posto molto importante nell'esercizio pratico e nell'insegnamento della medicina era occupato dai molti medici che gestivano gli Jatreion, corrispondenti agli attuali ambulatori o a case di cura in scala ridotta, posti nelle vie principali. Alcuni di questi luoghi di cura erano allestiti e spesati dall'erario per la pubblica assistenza. In essi forse veniva fatto anche l'insegnamento pratico. Esistevano poi dei "pratici" di fama che viaggiavano curando, operando, consigliando e, cosÏ pure, litotomisti, ostetriche, preparatori di medicamenti, erboristi ecc., per le funzioni specialistiche della medicina. In questi luoghi laici preposti alla salute, non si ricevevano offerte come nei Templi di Esculapio, ma si contrattava il prezzo dell'opera prestata. Molti medici che prestavano la loro attività in città o nei villaggi ricevevano uno stipendio annuale, e i medici di sovrani o principi erano retribuiti con somme cospicue (V. Busacchi, R. A. Bernabeo, 1978). Esistevano anche presidi assistenziali per le forze armate di terra e di mare. Era notevole in questo senso l'organizzazione sanitaria militare romana, la quale nel periodo imperiale raggiunse livelli molto evoluti. Esistevano medici della legione e medici navali, considerati immunes, cioè esenti da un servizio militare attivo. Esistevano pure militari addetti allo sgombro del campo di battaglia, al recupero e al trasporto dei feriti che, in caso di necessità , venivano affidati alla cura e all'assistenza dei privati, rimborsati poi delle spese sostenute dall'erario o con tasse imposte ai vinti. I Valetudinaria militari erano luoghi di ricovero e cura per le forze armate, strutturalmente molto funzionali. Potevano essere mobili sotto forma di tende, o fissi, a pianta quadrangolare o rettangolare con corridoi e piccoli padiglioni. Vi operavano infermieri (capsari), piantoni, massaggiatori, inservienti e curatores operis armari (preparatori di medicamenti). Nell'organizzazione assistenziale i romani eccellono anche in quella che oggi potrebbe essere definita una moderna medicina preventiva e sociale. Essi primeggiano, considerando le conoscenze dei tempi, sia per una particolare igiene collettiva, che per rigide disposizioni di sorveglianza sugli alimenti. L'imperatore Valentiniano 21


con una legge del 372 a. C. stabilisce che 14 medici, uno per ognuno dei quartieri di Roma, siano preposti alla cura gratuita dei cittadini poveri. L'operato dei medici è sottoposto al controllo degli archiatri (V. Busacchi, R. A. Bernabeo, 1978). Celso 6, descrive i Valetudinaria, forme di assistenza organizzata privata costituite da specie di infermerie in cui venivano raccolti familiari o anche schiavi, simili alle jatreie greche, in cui operavano servi a valetudinaria, che potevano essere infermieri o medici schiavi. L'assistenza, nelle sue forme organizzate, pur con notevoli variazioni locali, ha probabilmente mantenuto le stesse caratteristiche per tutta l'antichità. Con Ippocrate prima e con Galeno poi (138-201 d. C.), il tipo di conoscenza della malattia che proveniva dall'osservazione fece sì che il medico si delineasse come una figura separata dalla cultura del gruppo, e in questo atteggiamento si possono già leggere le premesse per quella che sarà successivamente la frattura fra chi conosce e chi ignora e del futuro potere di chi conosce su chi ignora. La medicina, dopo Ippocrate, dovrà percorrere ancora un lungo cammino caratterizzato in particolare dall'attività dei medici arabi ed ebrei nel Medio Evo e dall'esperienza assistenziale rinascimentale, per giungere al periodo dell'Illuminismo, al periodo cioè della grande fioritura scientifica del XVIII secolo, durante il quale la medicina inizia il percorso che la porterà ad acquisire una vera e propria dignità scientifica. Dopo essere stata empirica e sacerdotale, dopo aver toccato il massimo splendore durante il periodo d'oro dell'ellenismo ed essere grandemente progredita nel periodo della scuola d'Alessandria, dopo aver acquistato uno spirito di sana praticità durante l'Impero di Roma, in cui si specializza in una medicina politica, un'igiene di stato e un'igiene militare, nel Medio Evo si assiste ad una decadenza della medicina scientifica intesa come ricerca e speculazione sull'organismo ammalato. Nello stesso periodo, tuttavia, si inizia e si perfeziona l'assistenza organizzata ai malati, mentre monaci umili e silenziosi ricopiano le opere del passato e nei monasteri si rinchiudono i tesori della scienza antica. Infatti, il monachesimo medievale ebbe un'importanza enorme non solo per le arti e le scienze, ma anche per la medicina e l'assistenza. Il Cristianesimo esercita sulla medicina e sull'organizzazione 6 Cornelio Celso è un medico romano, autore del De Re Medica, scritto tra il 25 e il 35 d. C. (V. Busacchi, R. A. Bernabeo, 1978). 22


assistenziale un influsso profondo poiché, oltre ad introdurre l'idea di una vita ultraterrena che impone una diversa valutazione della vita umana, predica la "fratellanza in Cristo" e impone l'assistenza al "fratello": fratello è il malato, il povero, il pellegrino, il vecchio abbandonato e tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Il Cristianesimo però, può operare pienamente solo dopo che Costantino, con l'editto di Milano del 313, pone fine alla sua clandestinità. L'assistenza dei malati diviene così un dovere del singolo e della comunità. Il Concilio di Nicea nel 325 d. C. stabilisce che ogni Vescovato o Monastero istituisca in ogni città "luoghi ospitali". Nascono i primi Ospizi che portano il nome di Xenodochium, Nosocomium, Brefotrophium, ecc.. Furono anche fondati i primi lebbrosari. Negli Xenodochi l'assistenza sanitaria era estremamente generica, non distinta da quella assistenziale-caritativa, anche se alcuni di questi si distinsero come veri e propri centri sanitari (Cesarea, Antiochia, Alessandria), (C. Bifulco, 1953). Oltre al movimento religioso cristiano, anche altri movimenti religiosi precedenti e contemporanei, dal mussulmano al buddista, ebbero enorme influenza sulla nascita delle prime forme di accoglienza di malati e bisognosi in quei luoghi ospitali precursori degli ospedali. L'oriente cristiano precede l'occidente nell'edificazione di queste strutture assistenziali. S. Basilio di Cesarea, nel IV secolo, edificò il più grande ospedale del tempo, Basiliade, seguito subito dopo dalla creazione in Roma di un grande Nosocomio sul finire del IV secolo, ad opera di Fabiola, nobildonna romana, ispirata da S. Girolamo (347-420 d. C.). S. Girolamo introdusse, forse per la prima volta, il termine Nosocomeion, che sottolinea il concetto di luogo destinato esclusivamente ai malati (C. Bifulco, 1953). Da allora gli ospedali aumentarono: accanto a quelli realizzati all'interno dei monasteri ne sorsero altri ad opera di ordini religiosi e alcuni ad opera di laici. Fra i più antichi e i più noti vanno ricordati l'Hotel-Dieu di Lione fondato nel 542 da re Childeberto I; l'Hotel-Dieu di Parigi, destinato alla raccolta delle vittime della carestia che si verificava in quegli anni, fondato nel 660 da San Landry, vescovo della città, e tuttora funzionante; l'ospedale di S. Albano fondato nel 749 presso Londra; l'ospedale di S. Pietro fondato nel 937 a York da re Atelstano; l'ospedale del Cairo del 707; l'ospedale di Cordova dell'800; l'ospedale 23


specializzato più antico che si conosca: la maternità di Alessandria fondato nel 662 da S. Giovanni Elemosinario; l'ospedale di Gerusalemme presso il convento di Maria Nea, fatto costruire dall'Imperatore bizantino Giustiniano I verso il 500, che nel 570, ingrandito, aveva una capienza tale da garantire cure e assistenza a circa 3.000 malati contemporaneamente. In Italia l'Ospedale di S. Pietro a Roma fu costruito verso l'800 e la Schola Saxonum fu fondata nel 727, con lo scopo prevalente di accogliere i pellegrini provenienti dalla Britannia i quali, date le condizioni di viaggio di allora, arrivavano logori, sofferenti e malati (C. Bifulco, 1953). Altri ospedali sorsero per volontà di alcuni ordini religiosi a Taranto, Asti, Lucca, Bologna ed in tante altre città italiane. Assai importanti furono le Abbazie benedettine, in particolare il monastero di Montecassino con l'annesso ospedale (in cui Benedetto da Norcia si ritirò nel 529 per dar origine alla sua comunità monastica), e l'ospedale di Salerno, già funzionante nel VII secolo, i quali dal IX all'XI secolo rappresentarono anche due grandi scuole di medicina. Per tutto il Medio Evo la medicina e il sacerdozio si compenetrano, ma con un livello assistenziale spesso molto basso. In questi ospedali i monaci e il basso clero curavano i malati con preghiere ed esorcismi, erbe medicamentose, vini drogati o medicinali benedetti. I malati da loro assistiti erano dei poveri diseredati, poiché le persone provviste di mezzi si facevano curare al proprio domicilio. Le infermerie erano spesso umide e malsane, sprovviste dei minimi requisiti igienici, e l'assistenza infermieristica raggiungeva livelli di inverosimile squallore (G. Cosmacini, 1988). Il Rinascimento influenzò positivamente anche l'assistenza ospedaliera, non più considerata esclusivamente semplice espressione della carità cristiana, ma espressione dell'impegno sociale dei governanti. Nelle città italiane si istituiscono le prime università: Bologna e Padova (1222), Napoli (1224), Roma (1303), Perugia (1308), Firenze (1321), Modena (1329), Pisa (1348), Siena (1357), Ferrara (1361), Pavia (1361), Torino (1365). Queste università formano una classe medica scientificamente avanzata oltreché socialmente consapevole. Ciò rese inevitabile che dal XV secolo il clero abbandonasse progressivamente la medicina, rientrando nel campo della teologia. In Francia, con gli editti di Francesco I e di Enrico III, si ufficializza la separazione dei due ordini di attribuzioni, riconoscendo ai medici la 24


loro specifica funzione, anche se il carattere religioso dell'assistenza avrebbe continuato a permeare l'organizzazione ospedaliera fino all'età contemporanea (G. Cosmacini, 1988). In questo graduale processo di secolarizzazione, alcuni ospedali assumono un carattere misto, per cui l'amministrazione è laica, retta da un collegio civico, e l'assistenza è religiosa, retta da un prelato o ministro. I medici prestano la loro opera di professionisti dall'esterno. All'interno il ministro è coadiuvato da persone pie dell'uno e dell'altro sesso, che non sono propriamente frati o suore, ma, come fratres e sorores, con il titolo di conversi afferiscono allo stato religioso. Le mansioni più umili del servizio di assistenza vengono lasciate ai servitori di infimo livello, quali ad esempio i famuli e le famule (G. Cosmacini, 1988). La peste del 1300, le carestie ricorrenti, le malattie e le grandi epidemie (lebbra, sifilide, tifo petecchiale, vaiolo, colera, pellagra, malaria, tubercolosi) resero obbligatorio, per tutti i governanti d'Europa, l'occuparsi di una vera e propria politica sanitaria, modificando in modo determinante il vecchio assetto degli ospizi, razionalizzando, trasformando e adeguando l'organizzazione ospedaliera. Un esempio paradigmatico è costituito dall'Ospedale Policlinico S. Orsola - M. Malpighi di Bologna. Il S. Orsola e il M. Malpighi, come tanti ospedali italiani, si costituiscono su preesistenti monasteri o conventi. Le prime notizie del monastero abitato dalle monache di S. Orsola, appartenenti alla regola di S. Agostino, risalgono al 1.210. Dal 1.432 fu abitato dalla monache Cistercensi di S. Maria della Misericordia. Abbandonato anche dalle monache Cistercensi, il monastero fu utilizzato da una nuova congregazione sorta in quegli anni, le Convertite, prostitute convertitesi alla vita onesta, che lo occuparono dal 1558 o dal 1567 (la data è incerta) (I. Moretti, 1960). L'antica casa di S. Gregorio, annessa alla chiesa omonima (tuttora esistente in Via Albertoni, sede amministrativa dell'USL 28), era già da molti secoli adibita a monastero, pervenuto, dopo alterne vicende, in proprietà della Abbazia dei S.S. Naborre e Felice, amministrata dal Senato di Bologna, che ne aveva fatto prima un lazzaretto, durante la peste del 1527, poi la sede di ricovero di un gruppo "notevole di ragazze" rimaste orfane in seguito alla peste. Nel 1508 fu sede dell'ospedale degli infermi del morbo epidemico 7, detto anche di S. 7 Si tratta della sifilide, malattia infettiva contagiosa il cui agente 25


Giovanni Battista del Mercato (poiché aveva sede nel mercato, attuale piazza VIII Agosto, da dove fu trasferito) (G. Calori, 1972). Il più antico ospedale di cui si ha notizia nel territorio bolognese pare sorgesse a Bombiana, remota frazione dell'appennino nel comune di Gaggio Montano: da un documento riferito ad una donazione della contessa Matilde si evince che esso esisteva già nel 1098 ed era retto da certo Donato prete e da Gerardo monaco (G. Gentili, 1960). Attorno al 1000 a Bologna sorsero molti ospedali, assai più numerosi nella periferia e nel contado che nella cerchia delle mura cittadine, spesso in luoghi impervi dove costituivano l'unico rifugio per i pellegrini. Questi erano luoghi nei quali veniva offerto indifferentemente vitto e asilo notturno ai numerosi pellegrini e assistenza ai bisognosi e agli infermi. Di alcuni di questi ospedali, che nei secoli hanno subito numerose trasformazioni, esistono ancora gli edifici, mentre altri sono scomparsi in varie epoche; di molti si hanno notizie attendibili nei vari documenti pervenutici 8. Edificati prevalentemente ad opera di svariati ordini religiosi grazie alle offerte in danaro o ai lasciti devoluti al clero secolare, spesso gli stessi assistiti partecipavano alla loro amministrazione. Tuttavia questi ospedali erano più confraternite che veri e propri luoghi di assistenza e di cura: queste ultime inizialmente erano praticate quasi solo dagli ospedali della Vita e della Morte. L'ospedale per infermi, denominato "della Vita" dal 1408, fu fondato nel 1260 da Frate Ranieri Barcobini Fasiani, costituendo, questa, una delle attività della Confraternita dei Devoti o dei Battuti (derivazione dell'ordine francescano) (M. Maragi, 1960). Un'altra Confraternita, forse costituita da una scissione dalla Confraternita dei Devoti, la "Compagnia dei divoti dello Spedale di S. Maria della Morte", fra le sue opere di pietà ebbe al primo posto la cura degli infermi, e nel 1336 edificò un ospedale di fronte a quello della Vita, vicino a Piazza Maggiore (V. Busacchi, 1960). Questi due ospedali già dal XV secolo si caratterizzano prevalentemente per la cura agli infermi, trasformandosi da ospizi in eziologico è il treponema pallidum, detta anche lue, mal francese, mal napoleonico, morbo gallico. 8 Si tratta di antichi documenti d'archivio ritrovati presso l'amministrazione degli ospedali o presso le varie opere pie, laiche o religiose. 26


xenodochi anche se non nel senso clinico moderno del termine. I medici e i chirurghi non vi svolgevano alcuna attività didattica la quale era principalmente esercitata nelle case private, presso il domicilio dell'infermo, dove gli scolari accompagnavano il maestro (G. G. Forni, 1960). L'insegnamento clinico vi inizia nel 1802, quando dalla fusione dei due vecchi ospedali, a cui furono aggiunti quello di S. Francesco, di S. Maria dei Servi, della SS. Trinità e dei Convalescenti, sorge il grande Ospedale Maggiore, la cui attività assistenziale e di cura, attraverso alterne e complesse vicende - fra cui la sua totale distruzione durante l'ultima guerra e successiva ricostruzione - si protrae fino ai giorni nostri. Il S. Orsola ed il M. Malpighi hanno origini più recenti e vocazioni iniziali non esclusivamente o prevalentemente di cura. Con un breve di Papa Pio IV, il 27 dicembre 1560 si costituì ufficialmente l'Opera Mendicanti, con l'intento di trovare un'adeguata soluzione al fenomeno del pauperismo dilagante a Bologna come in Italia ed in Europa. Ma solo il 18 Aprile 1563 si provvide alla "chiusura delli poveri" nell'ex monastero di S. Gregorio, passando dalla semplice erogazione di elemosine e sussidi in natura che settimanalmente veniva fatta "ne claustri de Monasteri delli quattro Quartieri della città", all'intervento diretto. I mendicanti vi "furono condotti in numero di ottocento dei quali due terzi erano femine", secondo le testimonianze dei cronisti dell'epoca (G. Calori, 1972). L'opera fu ampliata subito dopo con l'acquisto di alcune case Malvezzi, entro porta S. Vitale, nei pressi della chiesa della Pietà, che fu costruita pochi decenni dopo. Il S. Orsola si trasformò da convento in Ospedale e fu gestito dall'Opera dei Mendicanti dalla sua costituzione nel 1592 9, in occasione della grande carestia (morirono di fame 10.000 persone in città e 30.000 nel contado, 1/6 della popolazione), fino al 1860. Da allora concentrò in sé tutta l'attività sanitaria dell'ente e conservò ininterrottamente fino ai giorni nostri la caratteristica di ospedale vero e proprio. 9 Le Opere Pie erano forme di "sovvenzione" ai poveri, costituite da sovrastrutture assistenziali ma anche da "misure di polizia". Infatti, tra il '500 e il '600, la "reclusione" nel "ricovero" era un drammatico punto di confluenza tra carità e repressione, in cui emergevano sia l'autoritarismo dei medici che il servilismo degli infermieri (G. Calori, 1972). 27


Inizialmente era riservato esclusivamente agli infermi dell'Opera, molto più tardi anche ai malati "a dozzena" 10, acquisendo sempre maggiori ampliamenti e specializzazioni. Ciò avvenne con un concorso di spesa del Comune allo scopo di diradare i ricoverati di altre case (di S. Gregorio e di S. Maria della Pietà), ed ebbe il nome di "spedale degli incurabili" (G. Calori, 1972). Vi vennero ricoverati poveri incurabili, prevalentemente vecchi, malati affetti da mali incurabili rifiutati dagli altri ospedali, discoli, pazzi, donne gravide, donne di malaffare ed "anche inquisite di stregarie", mentre venivano esclusi i sofferenti del "mal di goccia" e del "mal franzese" (malattie veneree allora incurabili), ed i vecchi sani, anche se di 90 anni e più, perché "mettendosi a letto simili vecchi e imboccandoli tengono occupati dieci e più anni i letti con pregiudizio dei molti incurabili" (G. G. Forni, 1960). Nessuno dei nosocomi allora esistenti era aperto indiscriminatamente a tutti i bisognosi, a differenza di quelli dell'Opera; anche dal numero di assistiti si rileva che il maggior onere per l'assistenza ai poveri era sostenuto dall'Opera. Ogni istituzione ricoverava una certa categoria di persone povere: gli infermi agli ospedali della Vita e della Morte (200 letti), i figli di nessuno agli Infanti esposti (150), i pellegrini in S. Giacomo, S. Francesco, ecc. (50 posti), gli affetti da malattie veneree in S. Giobbe (150 letti), gli orfani in S. Bartolomeo, alla Maddalena, al Baraccano, in S. Marta, in S. Croce (complessivamente 300), ecc. (G. Calori, 1972). L'Opera non sorse con un proprio patrimonio ma ebbe in dotazione dal Reggimento solo la sede. Contribuirono alla costituzione dell'Opera Pia tutte le componenti sociali, culturali e religiose del tempo: senato, legato, nobili, mercanti, artigiani, autorità religiose, le quali contribuirono con elemosine, donazioni in danaro e in natura e presero parte attiva alla gestione dell'istituzione. I primi statuti dell'Opera furono formalmente emanati dai commissari ed esecutori apostolici (Pier Donato Cesi, vice legato, e Giovanni Campeggi, vescovo di Bologna), ma in seguito furono emanati dagli officiali eletti tra gli uomini della Compagnia dei Mendicanti, in assemblea o Congregazione, di cui facevano parte tutti 10 Significa a pagamento; dai "non indigenti" veniva preteso il pagamento di una retta ospedaliera di 2 "paoli" al giorno, dando luogo alla figura del "malato-cliente" che entra in ospedale per problemi di salute e non per morirvi "gratis", (G. Cosmacini, 1988). 28


coloro che si impegnavano a versare elemosine. Le principali cariche, rinnovate frequentemente, erano distribuite tra le varie classi sociali che formavano il tessuto cittadino (il Rettore fra i senatori, il Priore fra i gentiluomini, il Massaro - dal 1603 denominato Camerlingo - "tra uomini pratici che bene intendano le scritture regolate al modo mercantile") (G. Calori, 1972). Vi erano poi gli officiali minori, tra i quali, a parte le funzioni notarili, legali e di tesoriere, primeggiavano quelle di sindici e quelle di accettatori, revisori ed espurgatori dei poveri. I sindici (in numero di 4), avevano il compito di controllare la contabilità tenuta dal Massaro. Gli accettatori (3 per ogni quartiere) e i revisori dei poveri (uno per quartiere), avevano la funzione di verificare i requisiti di ammissione e, mediante sopralluoghi, se tali condizioni sussistevano nel tempo. Gli espurgatori (uno per quartiere), "ogni giorno andranno di continuo per le chiese, piazze, strade e vie della città, con diligentia, cercando se trovassero alcun povero, o terriero o forestiero che temerariamente contra gli ordini della Città e dell'Opera Mendicanti andasse mendicando". All'Opera era stato commissionato il compito di tenere la città "netta ed espurgata da ogni sorta di immonda et finta mendicità", ed i suoi funzionari svolgevano de facto e de jure vere e proprie funzioni di polizia urbana (G. Calori, 1972). I trasgressori venivano ammoniti la prima volta, e, in seguito, se forestieri venivano allontanati dalla città, se cittadini venivano proposti agli accettatori del quartiere per l'accoglimento nell'Opera; ove fossero ritrovati a mendicare venivano portati nelle carceri dell'Opera e sottoposti dal Massaro alle punizioni dell'epoca: tre tratti di corda per gli uomini e 50 staffilate per donne e bambini, con la perdita di tutti gli averi e le carceri per i recidivi. Era l'epoca in cui nel resto d'Italia e negli altri paesi europei, altrettanto preoccupati di liberarsi del dilagante fenomeno della mendicità, le pene per reati simili erano di ben altro tenore: taglio degli orecchi, marchio impresso sulla pelle, esposizione in pubblico alla gogna, schiavitù, lavori forzati, deportazione nelle colonie, pena di morte. In Italia meridionale i mendicanti venivano impiccati a decine di migliaia allo stesso modo dei briganti. Dagli Statuti dell'Opera si desumono gli altri ministri salariati: i guardiani (marito e moglie) per le prime due case (S. Gregorio e Pietà) e per la terza (S.Orsola), con compiti di custodia e sovraintendenza degli assistiti; i cappellani, lo scrivano, il campioniero (contabile), il 29


fattore (economo) alle dirette dipendenze del massaro e due medici, uno fisico e l'altro chirurgico (questo dal 1574). Precedentemente "l'infermi d'infermità, che ricerchi medico, o di infermità incurabile siano rimessi alli suoi hospitali rispettivamente della Vita et de la Morte, e di San Job" (G. Calori, 1972). Nel primo secolo di vita della fondazione non fu imposta nessuna restrizione alle ammissioni e l'Opera svolse un ruolo preminente nell'assistenza ai cittadini poveri senza alcuna distinzione. Solo nella seconda metà del XVII secolo furono introdotte drastiche misure restrittive nelle ammissioni, a causa delle difficoltà economiche dell'Opera: "gravata di gran debiti e senza speranza di riscuotere danaro". Il risveglio sociale e caritativo della Bologna della Controriforma, dopo un secolo e mezzo, si riduce ad un'attività dotata di modesti mezzi per una modesta assistenza. Gli amministratori della città, avulsi da tempo dal problema vero e generale di porre rimedio alla disoccupazione e alla miseria, hanno la convinzione di dover provvedere solo agli orfani e agli infermi del S. Orsola. Il decreto dell'8 dicembre 1584 fa divieto di vendere beni stabili dell'Opera e, interpretato in seguito in modo restrittivo, porterà a ridurre gli assistiti ad un numero inferiore a 300, situazione che si protrarrà fino agli inizi del XIX secolo. Alla fine del XVIII secolo l'Opera svolge un'attività estremamente ridotta, pur conservando l'originaria suddivisione in tre stabilimenti: il S. Orsola, per pazzi, vecchi decrepiti e malati rifiutati dagli altri ospedali, ricovera 38 malati irrecuperabili assistiti gratuitamente e 90 pazzi con pagamento di tenue contributo; la Pietà ricovera 30 orfani e 20 discoli; il S. Gregorio accoglie 61 ragazze e una ventina di prostitute (G. Calori, 1972). Però il fenomeno del pauperismo e la presenza fra di essi di veri e propri mendicanti perdura nel tempo. Le prime statistiche disponibili sulle classi sociali risalgono al periodo post-napoleonico. Da queste si desume che, agli inizi dell'800, il 10% della popolazione viveva nell'agiatezza (nobili e benestanti), il 20% viveva con tranquillità (grossi artigiani, mercanti, borghesi), il 15% viveva al servizio dei nobili e possidenti, mentre il 55% viveva alla giornata, del proprio lavoro o di sussidi. La parte più misera di questi costituiva la classe dei mendicanti (G. Calori, 1972). Quando, all'indomani della unificazione d'Italia, nell'anno 1860, i 30


Bolognesi intesero risanare la piaga del pauperismo di nuovo dilagante con una iniziativa coralmente cittadina come quella di tre secoli prima, posero proprio nell'antica sede di S. Gregorio in via Albertoni, il nuovo Ricovero di Mendicità Vittorio Emanuele II (poi denominato Istituto di Cura e Riposo Giovanni XXIII). Il Ricovero assumerà sempre più la funzione di assistenza agli anziani non autosufficienti e malati cronici. L'Ospedale S. Orsola dal 1710 inizia un processo di ampliamento per mezzo di donazioni, anche per la necessità di ricoverare i pazzi (già presenti negli edifici dell'Opera, prima del 1650, nella Casa dei Mendicanti in S. Maria della Pietà, dove vi erano luoghi appartati per i "pazzarelli" che erano andati sempre aumentando. Nel 1793 il Manicomio del S. Orsola conteneva circa 90 pazzi. Il Valsalva, medico-chirurgo primario dell'Ospedale (1697 - 1723), famoso per gli insegnamenti di chirurgia ed anatomia, ha il merito di aver abolito i sistemi duri in uso e di aver umanizzato i trattamenti assistenziali e terapeutici un secolo prima di Pinel e Chiarugi (I. Moretti, 1960). Già a quell'epoca il S. Orsola aveva cessato di accogliere solo infermi dell'Opera. Successivamente furono aggiunte le costruzioni corrispondenti alle attuali sedi dei reparti di patologia e clinica chirurgica e svariate altre costruzioni a nord, che costituirono il primo antico complesso di edifici del vecchio S. Orsola. Nel 1721 si ha un primo regolamento autonomo del S. Orsola. Il primo regolamento risale al 1663, ed il primo ad avere un aspetto moderno è del 1809. In quest'ultimo ed in quello del 1792 è specificato che l'Ospedale raccoglie ancora gli incurabili, i celtici, i dementi e i lebbrosi. I letti per gli incurabili erano 83, 30 dei quali detti letti di carità. In questi potevano essere ricoverati cittadini di Bologna o della diocesi, giudicati in stato di povertà dal Rettore dell'Opera. Nel regolamento sono elencate le malattie che davano diritto all'occupazione di questi letti: ulcere di qualunque specie, fistole, carie, tumori freddi, spine ventose, cancri ulcerati ed occulti (I. Moretti, 1960). Esistevano anche i letti straordinari cui si poteva accedere pagando una dozzena mensuale con qualunque malattia ad esclusione dei mali contagiosi. Il personale di assistenza dell'epoca era formato da medici, chirurghi e da infermieri non appartenenti ad ordini religiosi. Il regolamento del 1809 divide già le mansioni del Capo Infermiere da quelle degli Infermieri (I. Moretti, 1960). Con il governo napoleonico fu profondamente innovato tutto il 31


settore degli istituti di beneficenza. Ciò diede luogo a gestioni separate per l'Opera dei Mendicanti e per quella del S. Orsola. Per cui, anche se di diritto la separazione dall'Opera avviene nel 1860, di fatto già nel 1817 l'Ospedale diviene autonomo. Una radicale trasformazione degli ospedali bolognesi avviene quindi nel 1860: con un decreto del 10 marzo, detto decreto Farini, le diverse amministrazioni ed aziende che reggono gli Ospedali di Bologna sono riunite in un solo Corpo Amministrativo. Con questo decreto si separa dall'Ospedale anche il Manicomio che di fatto verrà trasferito solo nel 1867, principalmente ad opera di Francesco Roncati (Direttore del Manicomio) e di Francesco Rizzoli (Preside della facoltà medica) in via S. Isaia, nell'ex convento delle Salesiane (I. Moretti, 1960). Ciò rese possibile la sistemazione delle prime cinque Cliniche nel S. Orsola: medica, chirurgica, oculistica, ostetrica e dermosifilopatica. Un decreto del 1861 separò dal Corpo Amministrativo l'Ospedale degli Abbandonati (o di S. Salvatore), unendolo al Ricovero di Mendicità (erede dell'Opera Pia dei Mendicanti), che formò poi il nucleo dell'attuale moderno Ospedale M. Malpighi, edificato nel 1972. L'Ospedale Maggiore, il S. Orsola e l'Ospedale degli Esposti vennero a formare il Corpo amministrativo degli Ospedali di Bologna. Le cliniche universitarie hanno la loro prima sede al S. Orsola nel 1869, in un primo tempo limitatamente a quella medica e a quella chirurgica. Lo sviluppo del S. Orsola, dal 1869 ad oggi, si è rivelato notevolissimo, ed è stato una diretta conseguenza dei nuovi insegnamenti - che via via si sono estesi a tutta la clinica medica e chirurgica e alle relative specialità -, oltreché dell'aumentata richiesta di ospedalizzazione, ed è tuttora in corso. Con l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, nell'anno 1981 il Policlinico S. Orsola e l'Ospedale M. Malpighi verranno a costituire il Servizio Ospedaliero dell' U. S. L. 28 Bologna Nord.

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CAPITOLO 2 - RIFORMA SANITARIA E CAMBIAMENTO

2.1 - CAMBIAMENTO NELLA SANITA' L'obiettivo della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale è il cambiamento. La legge di riforma sanitaria introduce innovazioni, indica principi, obiettivi, metodologie, che creano una vasta gamma di aspettative oltre ad un mutamento radicale nella rappresentazione di tutto il complesso sanitario, per gli aspetti sia strutturali che organizzativi e relazionali, determinando l'attuale clima di estrema incertezza. La legge afferma che deve essere assicurato il collegamento e il coordinamento con le attività di tutti gli organi, centri, istituzioni e servizi che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute degli individui e della collettività. In essa viene affermato chiaramente il principio che un problema sanitario non può essere colto esclusivamente per l'aspetto medicospecialistico-curativo, ma anche nelle sue componenti psicologiche, sociali, educative, preventive, di gestione economico-amministrativa e di partecipazione democratica al sistema di tutela della salute. Le caratteristiche strutturali del nostro Sistema Sanitario Nazionale corrispondono ad un sistema organizzativo complesso composto da molteplici unità: le Unità Sanitarie Locali (U.S.L.). Le U.S.L., dotate di specifica autonomia gestionale, operativa, decisionale ed istituzionale, costituiscono l'elemento centrale attorno al quale si è costruito il sistema di governo della sanità. Sono definibili come "combinazione tecnica ed economica di fattori produttivi per lo svolgimento dei processi assistenziali coordinati e finalizzati al soddisfacimento dei bisogni di salute" (E. Borgonovi, 1985). Il Servizio Sanitario Nazionale è quindi definibile anche come un sistema di aziende legate da relazioni generali uniformi per tutto il territorio nazionale, determinate dalle leggi dello Stato sulle prestazioni obbligatorie, sulle competenze dei diversi organi, sulle normative contrattuali e sul finanziamento. Ciò costituisce quindi un sostanziale cambiamento del modello istituzionale tradizionale nel settore della 33


sanità. Inoltre, il Servizio Sanitario Nazionale è continuamente oggetto di dibattito e di modifiche istituzionali (quali, ad esempio, la riduzione dei componenti dei Comitati di Gestione, la prevista istituzione della figura di Direttore Generale con poteri autonomi più o meno ampi per affrontare positivamente i problemi di razionale gestione dei servizi, la necessità di uno scorporamento dell'ospedale policlinico dalle unità sanitarie per strutturarlo come azienda autonoma, la modificazione delle dimensioni delle U.S.L. ecc.) 11 e la Unità Sanitaria Locale è una tra le più complesse aziende del sistema economico, il che rende necessario, per chi opera ai vari livelli del Sistema Sanitario, attuare un notevole salto di qualità nelle conoscenze e competenze di gestione del cambiamento. Il movimento di riforma sanitaria, nel nostro come in altri paesi occidentali, ha come oggetto prioritario di cambiamento: • il territorio come base di azione, • la prevenzione come obiettivo, • la partecipazione alle decisioni e il decentramento come mezzi (R. Boccalon et al., 1983). Vengono rimessi in discussione i ruoli professionali, la riappropriazione delle conoscenze da parte dell'utente-cliente, il monopolio del sapere, la deistituzionalizzazione a favore del reinserimento sociale, un senso diverso della “presa in carico”. Si tratta di sostituire alla nozione di assistenza, alla marginalizzazione e alla categorizzazione, un contenuto positivo tendente a restituire a ciascun individuo i mezzi per esprimere pienamente la propria personalità. In realtà il cambiamento è un fenomeno complesso, difficile da definire, che si può ipotizzare evitabile o inevitabile, che può rappresentare un'evoluzione e un progresso oppure un pericolo. Gli atteggiamenti individuali sul cambiamento più comunemente osservabili sono fondamentalmente di due tipi: quelli tendenti a controllare il fenomeno, quindi sostanzialmente di resistenza al cambiamento, e quelli favorevoli alla sperimentazione di strategie innovativo-esplorative nei confronti delle dinamiche sociali, quindi di adesione al cambiamento. Il cambiamento introdotto con la Riforma Sanitaria, ha dato luogo 11 Vedi ad esempio, il nuovo testo del d. d. l. 2375/1990, inerente il riordino del Servizio Sanitario Nazionale. 34


al manifestarsi di fenomeni conflittuali complessi, facendo emergere molteplici disfunzioni legate al rapido processo tecnologico, alla interazione fra corpi professionali - sanitari, amministrativi, politici, sindacali - alla burocratizzazione eccessiva, ai complessi rapporti di lavoro, ai modificati meccanismi di potere e all'emergere di valori diversi e contrastanti.

2.1.1 - Cambiamento a livello organizzativo. Le organizzazioni sociali garantiscono il continuo avviarsi e riproporsi di azioni di trasformazione, in rapporto alle quali si distribuiscono i ruoli, si strutturano le regole, si adottano strumenti idonei (R. Carli, R. M. Paniccia, 1981). La crescente complessità delle organizzazioni sanitarie in rapida trasformazione determina conseguentemente la complessità delle domande rivolte agli specialisti delle scienze umane e delle organizzazioni, specialmente per alcuni settori della sanità, in particolare gli ospedali, che sono entrati a pieno titolo a far parte delle più caratteristiche organizzazioni della società industriale. L'organizzazione sanitaria può essere descritta in base ai suoi obiettivi di prevenzione, cura, riabilitazione e al processo di trasformazione necessario per la realizzazione di tale progetto. Processo che richiede requisiti di efficacia ed efficienza, ma in cui è sempre presente anche un fine di potere politico, sociale, economico, perseguito dalla élite che è a capo dell'organizzazione, per la quale la erogazione di un servizio può anche essere solo strumentale al raggiungimento e al mantenimento di tale potere. Attualmente l'organizzazione formale in sanità è espressa dalla struttura delle principali relazioni gerarchiche previste e codificate da norme e procedure quali: organigramma, mansionario, profili professionali, accordi aziendali, che vengono a costituire il modello di lavoro ufficiale così com'è venuto a configurarsi storicamente. Esiste tuttavia un'organizzazione informale, percepita soggettivamente, prodotto di relazioni personalizzate che contrastano con le regole formali e che spesso esprimono sistemi sociali di difesa più o meno strutturati che danno luogo a progetti che spingono al mutamento attraverso dinamiche complesse caratterizzate da elevata 35


conflittualità. In effetti il cambiamento organizzativo non può essere dedotto analogicamente dal cambiamento individuale. Il cambiamento organizzativo genera negli individui - anche e soprattutto in quelli che se ne dichiarano promotori - una reazione di paura aspecifica. La paura del possibile cambiamento e delle possibili conseguenze del cambiamento sull'individuo, capace di mettere in dubbio l'identità su cui si basa il senso di sicurezza individuale, spesso genera un atteggiamento da spettatore quale preludio a meccanismi difensivi. Questo atteggiamento può provocare un rallentamento del processo di cambiamento, ma generalmente non provoca nessuna modificazione sostanziale, neanche a livello personale. Per ogni cambiamento organizzativo è necessario anche il cambiamento del sistema di valori di riferimento, intesi come vissuti individuali soggettivi. Il sistema di valori a cui si riferiscono gli individui sono però fonte delle più forti resistenze al cambiamento stesso. Ogni valore, per quanto innovatore, tende a bloccare il cambiamento, poiché tende a trasformarlo da un processo interno agli individui ad un processo esterno (E. Spaltro, 1981). Affinché il cambiamento si attui, occorre che gli individui dell'organizzazione, a tutti i livelli, siano protagonisti e abbiano un atteggiamento di partecipazione. Tutto ciò che diverge da processi di reale coinvolgimento è soggettivamente vissuto prima o poi come tentativo più o meno riuscito di manipolazione e scatena dinamiche difensive. Per questo il cambiamento organizzativo è sempre così fortemente conflittuale che spesso, anche se è ricercato e promosso, nella fase di attuazione è vissuto come estraneo, imposto, subito. Ai fini del cambiamento, ha quindi un'importanza fondamentale l'insieme delle relazioni che si stabiliscono fra gli attori sociali coinvolti nel processo e la struttura, poiché essi rappresentano il fattore dinamico dell'organizzazione. La Riforma Sanitaria ha imposto agli operatori della sanità una ridefinizione delle proprie posizioni tradizionali rispetto agli utenticlienti e alle strutture preposte alla tutela della salute, e una riconsiderazione dell'assetto organizzativo tradizionale, poiché ha reso necessaria una progettualità tendente a stabilire un nuovo tipo di interazione fra individui che hanno obiettivi e valori condivisi da perseguire, espressi dalle reciproche aspettative dei dirigenti, degli addetti, degli utenti. 36


Questo insieme di fattori ci fa vedere ogni progetto trasformativo in ambito sanitario come necessariamente caratterizzato dalla interazione di elementi obiettivi e di elementi soggettivi con effetti organizzativi conseguenti.

2.1.2 - Cambiamento a livello istituzionale. L'istituzione (famiglia, scuola, esercito, sanità) individua quelle dimensioni culturali e normative che regolano il funzionamento d'insieme delle organizzazioni sociali. L'istituzione è universalmente vissuta e pretesa come una modalità relazionale condivisa, compatta e univoca, dimostrazione di un modello comportamentale equivalente ad una legge. L'insieme delle istituzioni offre una rappresentazione della società come totalità, contratto sociale, legge, che reggono il consorzio umano. L'istituzione è normativa e totalizzante poiché impone conformità di valori e comportamenti, emana sanzioni per chi trasgredisce ed emargina chi è refrattario all'integrazione. Sono i conflitti di potere e le contraddizioni presenti che permettono e determinano i cambiamenti. Per questo ogni possibile cambiamento istituzionale non può che essere vissuto come fattore di trasgressione poiché è a livello istituzionale che si sviluppa la dinamica sociale fondamentale delle lotte per la legittimazione. Le istituzioni hanno il ruolo riconosciuto dei presidi che creano l'ordine e la legge anche e soprattutto attraverso un sistema di interdizioni. Solitamente nelle istituzioni sociali si formano delle relazioni previste e condivise che consentono a ciascun appartenente all'organizzazione - vissuta come un sistema strutturato e stabile - di dare senso e sicurezza alla propria esistenza. Le istituzioni sono da interpretare come collettivi in cui è dominante la sicurezza, che tende a rassicurare i suoi componenti e la società di cui l'istituzione fa parte, mentre un'organizzazione è interpretabile come una collettività dominata dall'efficienza, la quale tende a realizzare risultati. La logica istituzionale di solito è basata sul controllo della colpevolezza come cambiamento e quindi sulla dinamica della sicurezza come immobilismo, poiché le tendenze istituzionali sono percepite come regressive e le tendenze organizzative di solito sono 37


percepite come progressive (E. Spaltro, 1981). Una istituzione si può intendere come dominata dal “senso di colpa”, che ha la funzione implicita di controllare regredendo a livelli di immobilismo inefficienti ma rassicuranti. Un collettivo può essere considerato un sistema sociale di qualsiasi dimensione purché definito e fisso (azienda, ospedale, scuola, ecc.). La fissità delle dimensioni gli permette di svilupparsi essenzialmente in due direzioni: con "efficienza", tendente al sistema organizzativo, con "sicurezza", tendente al sistema istituzionale. In ogni collettivo vi sono entrambe le componenti. Un collettivo è un livello di funzionamento sociale che, nel suo svilupparsi, esprime una conflittualità che può essere analogicamente considerata equivalente all'emotività individuale. Inoltre molte esperienze di cruciale importanza nella vita dell'individuo, anche in rapporto alla cultura della società, vengono contenute e risolte in ambito sanitario (F. Olivetti Manoukian, 1988). Per questo, in sanità, è necessario non separare mai le dinamiche organizzative da quelle istituzionali, sia in relazione alle resistenze nei confronti del cambiamento organizzativo, sia in relazione alla possibilità che si verifichino modificazioni destinate a determinare profonde trasformazioni nella dinamica del lavoro. Istituzioni e organizzazioni rappresentano livelli differenti sui quali agiscono in modo diverso i processi di cambiamento e in cui possono nascere i cambiamenti stessi. Per questo è sicuramente molto utile, nell'istituzione-organizzazione sanitaria, attivare meccanismi operativi tendenti non all'abolizione delle difese e dei conflitti - cosa peraltro non possibile - bensì ad una ristrutturazione orientata alle prassi di intervento psicosociale.

2.1.3 - Territorio e prevenzione. Alla luce della legge di Riforma Sanitaria, il territorio va inteso come accezione geografica composta da una dimensione fisica ma anche antropologica ed economica, poiché la legge delinea gli ambiti territoriali cui compete l'attività di ciascuna U.S.L. in base a gruppi di popolazione "tenuto conto delle caratteristiche geomorfologiche e socioeconomiche". Il modo più completo di intendere la nozione di 38


territorio è forse quella di "ambiente", "mondo vitale", "luogo di vita e lavoro". Il territorio va compreso, quindi, come uno spazio definibile o definito, come un certo sistema di vita, ricco di un patrimonio di tradizioni e di valori che inglobano tanto il lavoro come l' habitat, i servizi, le scuole, la vita sociale, integrando anche la dimensione storica e culturale. La nozione di ambiente, per le scienze umane ed in particolare per la psicologia e per la pedagogia, è fondata sul metodo di conoscenza del reale. Di per sé la nozione di territorio non spiega nulla, poiché, per essere significativa, deve essere sottoposta ad un processo conoscitivo capace di darle un senso. Il servizio sanitario può fornire una delle tante modalità di conoscenza dell'ambiente, ma non necessariamente l'unico, come invece presume una specifica tendenza ad una medicalizzazione globale del campo psico-sociale. In realtà vi sono varie rappresentazioni significative di territorio. Il territorio può essere concepito come uno spazio geografico e l'apertura al territorio può venire interpretata come un andare verso la gente in uno spazio aperto e parzialmente sconosciuto, in contrapposizione allo spazio chiuso rappresentato dall'ospedale. Il territorio può venire inteso come spazio sconosciuto e incerto anche perché mancano gli strumenti, vissuti come adeguati, sia per la osservazione e rilevazione dei bisogni che per un intervento significativo. Pertanto, per l'operatore sanitario, lavorare in territorio può significare da un lato esporsi al rischio di un lavoro in spazi non ben definiti e dall'altro operare con modalità lavorative estremamente flessibili dal punto di vista organizzativo, vissute come molto differenti da quelle del sistema rigido ma conosciuto e sperimentato dell'ospedale. Forse questa è la chiave di lettura capace di spiegare l'atteggiamento di coloro i quali, per concettualizzare un ambiente umano e sociale caratterizzato dalla necessaria sicurezza, concepiscono il territorio come ambiente medicalizzato. Da parte di costoro - amministratori, politici, tecnici - la visione dell'ambiente è quasi esclusivamente sanitaria, intesa come una dilatazione dell'ospedale e del suo sistema organizzativo sul territorio, in cui anche il distretto è rappresentato come un ospedale in miniatura. Invece le azioni sanitarie prevalenti da effettuare sul territorio consistono necessariamente nella prevenzione delle malattie emergenti, utilizzando tutti gli strumenti di educazione, programmazione e assetto territoriale, finalizzati non solo alla tutela degli interessi collettivi più 39


tradizionali, ma anche all'interesse salute. Essendo oramai universalmente acquisito quale "importanza primaria abbiano i fattori ambientali (igiene degli alimenti, dell'acqua potabile, igiene individuale, alloggi salubri, elevazione del modello di vita, migliore alimentazione) nel miglioramento delle statistiche di mortalità fino alla fine del XIX secolo", miglioramento in cui "la terapia ha un effetto irrilevante fino al secondo quarto di questo secolo" (A. L. Cochrane, 1978), ci si trova davanti ad un vastissimo campo di prevenzione, diretto a promuovere la salute semplicemente eliminando le cause conosciute e documentate di malattia. Ad esempio, la "totale eliminazione degli agenti cancerogeni noti ridurrebbe l'incidenza dei tumori almeno del 60-70%" (F. Ongaro Basaglia, 1982). Con attività educative di prevenzione dirette all'ambiente di vita e di lavoro, è possibile perseguire l'obiettivo generale di "salute della popolazione" quale realtà integrale per tutti i membri della comunità e per ciascun individuo. Infatti, partendo da una attenta lettura dei bisogni, si può dare una risposta adeguata sia all'uomo malato - con diagnosi, terapia, assistenza - che al mondo vitale degli individui con la complessità dei loro bisogni, le loro domande sociali, la loro soggettività, le loro relazioni primarie quotidiane. Il concetto di salute va quindi esteso allo stile di vita e alla capacità personale di una vita sensata, oltre all'assenza di alterazioni biologiche e/o psicologiche. Attualmente la politica sanitaria nel territorio può essere influenzata da individui organizzati in gruppi socialmente riconosciuti, quali sono i sindacati, i partiti, le organizzazioni professionali, ecc., poiché la partecipazione dei cittadini ad un processo decisionale democratico sulle azioni per la salute nel territorio, nei fatti, si realizza esclusivamente attraverso di loro. Generalmente gli operatori sanitari si autoescludono dal processo decisionale, in cui si giocano tutte le dinamiche del potere e in cui domina il conflitto, poiché lo ritengono estraneo o contaminante, lasciando così questo ampio spazio a chi invece è ben disposto a mettere le mani in pasta, spesso con competenze specifiche insufficienti e con interessi non sempre specularmente improntati ad ideologia di servizio o al servizio della collettività. Invece, sul territorio, a livello distrettuale, è anche realisticamente possibile intervenire con una organizzazione ed una educazione sanitaria tese ad evitare la istituzionalizzazione dell'uomo nel ruolo del "paziente", la stigmatizzazione di certe condizioni di malattia e di 40


handicap, la segregazione dell'anziano e del minore e in genere delle persone deboli o a rischio; più in generale è possibile evitare la medicalizzazione della vita (I. Illich, 1977). E l'intervento è maggiormente possibile e produttivo quando l'identità professionale dell'operatore è riconosciuta e rafforzata, poiché, se si determina una immagine professionale positiva, questa legittima e determina un senso di appartenenza ad un determinato territorio, rafforzando la posizione, il ruolo e lo status sociale dell'operatore stesso.

2.1.4 - Partecipazione, responsabilità e controllo. La delega istituzionalizzata al sistema sanitario della soluzione di molti problemi, anche non strettamente o esclusivamente connessi con la malattia, sembra spogliare progressivamente l'individuo - come è già stato rilevato - della responsabilità di orientare l'ambiente, i modi di vita, il cibo, il riposo, il tempo libero, e costituisce forse uno dei principali fattori di disadattamento del nostro tempo (I. Illich, 1977). Di fronte al fenomeno malattia-salute, così articolato e complesso, un'attiva partecipazione insieme con l'assunzione di responsabilità e con un adeguato controllo sociale sono forse elementi indispensabili affinché la salute sia ricercata e salvaguardata da tutti gli individui e mai delegata totalmente a ruoli e istituzioni medico - sanitarie. Ciò si può ottenere assumendo come modalità principale la prevenzione, quindi passando da un paradigma prevalentemente medico ad uno sanitario, considerando la salute come un processo attivo di capacità e volontà e facendo di ogni individuo l'artefice delle proprie scelte finalizzate ad un'armonia personale e collettiva. Questo processo può rendere l'uomo, con i mezzi a sua disposizione, promotore e artefice di una nuova coscienza sanitaria, secondo cui la salute è intesa come “valore” e la responsabilità personale nella cura e nel massimo recupero di un pieno benessere costituisce un problema centrale; ciò in contrasto con la mentalità corrente della delega da una parte e della sopraffazione dall'altra, comportamenti che portano alla deresponsabilizzazione e al monopolio di pochi (professionisti detentori di un sapere non diffuso) su molti. L'uomo adulto deve assumere la responsabilità della propria salute, 41


partecipando attivamente, per la parte che gli compete, alle scelte fondamentali che influiscono sulla sua esistenza. Il cambiamento teso all'affermazione di una nuova mentalità sanitaria può avvenire soltanto con una diversa conoscenza degli spazi e degli strumenti che l'uomo ha a disposizione per agire e per autorealizzarsi, attraverso un processo educativo tendente ad un progressivo arricchimento psicologico, intellettuale ed etico e tendente a far sì che la salute venga vissuta come un patrimonio di cui si è pienamente responsabili; in funzione quindi di una libertà, di una uguaglianza e di una democrazia affermate ma da esigere, come un dovere oltre che come un diritto e come una dimostrazione di maturità e dignità (C. Cortese, A. Fedrigotti, 1985). La legge di Riforma Sanitaria è ricca di eticità quando indica le modalità con cui deve essere perseguita la tutela della salute, quale bene personale e comunitario che la società deve salvaguardare. Spesso però luoghi comuni radicati nella coscienza delle persone svelano significati non compatibili con l'operatività sanitaria, quali ad esempio pretese impossibili nei confronti della medicina o abbandoni rinunciatari nei confronti della malattia, che rendono difficile un buon rapporto terapeutico tra operatore sanitario e utente. Peraltro il controllo sociale sui servizi sanitari è indispensabile per gestire correttamente i bisogni crescenti, per modificare quelle caratteristiche che rendono impersonale il servizio e per trovare risposte soddisfacenti e possibili. I mass-media hanno contribuito ad aumentare le cognizioni individuali sui problemi della salute; l'affermato principio dell'assistenza gratuita con prestazioni uguali per tutti ha creato aspettative destinate ad essere disattese; un più elevato livello di istruzione ha determinato maggior selettività e maggiori esigenze in una larga fascia di popolazione nei confronti dei problemi legati al proprio vissuto di salute-malattia. Per questo è sempre più indispensabile e urgente garantire azioni professionali efficaci, con la produzione di risultati che soddisfino i bisogni reali mediante l'utilizzo delle risorse esistenti, con un equo rapporto fra prestazioni, risorse e controllo del rischio, con una larga garanzia di sicurezza contro la iatrogenesi, con l'utilizzo della tecnologia limitata a necessità verificate e veramente al servizio dell'uomo. Tutto questo può essere garantito esclusivamente da un'effettiva partecipazione e da una educazione socio-sanitaria diretta alla massimizzazione dei benefici e ad evitare rischi inutili.

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2.1.5 - Stato di attuazione della Riforma L'attuale Servizio Sanitario si configura come un sistema organizzativo a forte decentramento e richiede coerenza fra le sue caratteristiche fondamentali e gli strumenti impiegati per il suo governo. Approfondite analisi dimostrano che, nell'attuazione della legge, vi sono stati errori di progettazione che hanno sottostimato il grado di elevata complessità gestionale del nuovo modello politico-istituzionale (E. Borgonovi, M. Meneguzzo, 1985). Tale complessità si sarebbe potuta affrontare in maniera positiva esclusivamente introducendo strumenti organizzativi avanzati di razionale gestione aziendale, totalmente assenti nei modelli amministrativi pubblici. Secondo questa visione, alla progettazione di un nuovo modello di sistema sanitario avrebbe dovuto seguire la progettazione e il governo di un difficile processo di cambiamento dei principi, criteri, metodi e tecniche di gestione delle strutture. Il gestire un sistema di unità operative autonome con un modello legato alla logica di un sistema unitario centralizzato ha spesso determinato inefficacia degli interventi e progressiva perdita di controllo del sistema stesso. Le resistenze al cambiamento sono state determinate spesso da problemi di natura ideologica, da forti e contrastanti interessi economici e politici ma anche dalla mancanza di schemi concettuali e di strumenti concreti capaci di risolvere i nuovi problemi sorti. Resistenze in parte facilmente superabili anche con semplici interventi di formazione, mirati ad eliminare il divario fra complessità dei problemi e strumenti operativi conosciuti. Inoltre le tensioni al cambiamento, esistenti all'interno del sistema - condizione indispensabile ad ogni tipo di sviluppo organizzativo - sono state spesso ridotte a crisi e a conflitti per l'incapacità di utilizzarle positivamente. Sono però anche mancati volontà e orientamenti concordi, il che ha fatto emergere differenze anche sostanziali circa le modalità operative, con cadute di tensione che hanno aperto ampi spiragli per una ricomposizione ed un arretramento del processo avviato. Tuttavia è esistita ed esiste tuttora, a tutti i livelli, una forte resistenza psicologica e culturale a modificare le modalità della gestione della salute e dei comportamenti che ne conseguono.

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2.2 - IL SERVIZIO OSPEDALIERO, SISTEMA ORGANIZZATIVO COMPLESSO Nel servizio ospedaliero è tutt'ora in atto un processo di cambiamento organizzativo iniziato già con la "Riforma Ospedaliera"12. Come abbiamo visto, nel secolo scorso in Italia l'Ospedale era ancora considerato manifestazione di carità cristiana, e la concezione del ricovero ospedaliero come diritto faticava ad affermarsi. Il medico agiva in Ospedale come un vero e proprio libero professionista, senza alcuna funzione di carattere gestionale, non facendo parte della struttura organizzativa. Alla funzione gestionale l'ospedale provvedeva tramite il proprio vertice (linea amministrativa) e tramite la linea operativa costituita da "capo-sala" appartenenti ad ordini religiosi. In assenza di personale infermieristico specializzato anche i servizi infermieristici erano assicurati da personale religioso. La linea organizzativa risultava quindi totalmente separata rispetto alla linea terapeutica e l'assetto organizzativo, nel suo complesso, era costituito da un vertice gestionale, da un servizio amministrativo (assicurato da un economo) e, nei reparti, da una struttura gestionaleassistenziale formata da personale religioso. L'attuale sistema organizzativo ospedaliero - in attesa di adeguamento alle modificazioni apportate dalla legge di Riforma Sanitaria 13, ancora disciplinato dalla vecchia normativa 14 (la quale considerava la cura della malattia come unico momento sanitario ed era quindi inadeguata e in contrasto con la normativa più recente) prevede, come ogni altro sistema organizzativo, due sottosistemi, uno direzionale e uno operativo. Il sottosistema direzionale si occupa della definizione degli obiettivi globali e strategici del sistema; il sottosistema operativo si occupa delle specifiche attività da eseguire in relazione agli obiettivi. 12 Legge n° 132 del 1968 e relativo D.P.R. n° 128 del 1969. 13 Occorre considerare che la legge di Riforma Sanitaria, pur non essendo ancora pienamente applicata, verrà sottoposta a modifiche sostanziali, come appare dal d. d. l. n°4227 del 22/2/'90 "Riordinamento del servizio Sanitario Nazionale e misure di contenimento della spesa sanitaria". 14 Dai citati Legge 132/'68 e D.P.R. 128/'69. 44


Attualmente entrambi i sottosistemi contengono funzioni manageriali poiché la prestazione sanitaria ospedaliera, precedentemente erogata attraverso un rapporto medico-malato, si è modificata in un rapporto tra sistema e malato. In questo modo diviene necessario conciliare esigenze di elevata professionalità con la complessità organizzativa; gli operatori sanitari devono, in genere, svolgere contemporaneamente funzioni di carattere esecutivo e funzioni gestionali (M. Cornaro, 1978). Per queste ragioni e per una molteplicità di aspetti che vanno dalle dimensioni alla tipologia delle attività svolte, alla specializzazione delle varie professionalità e risorse disponibili, alla necessità di coordinamento delle varie soggettività per il raggiungimento di obiettivi comuni, l'ospedale oggi è sicuramente una realtà organizzativa molto complessa. La complessità dell'ospedale è una caratteristica organizzativa particolarmente rilevante, descrivibile anche come multidimensionalità. La multidimensionalità è un concetto che richiama la contemporanea presenza di più fattori critici che caratterizzano il funzionamento di un'organizzazione con la necessità di una pluralità di criteri di riferimento per la sua analisi e guida. Questa multidimensionalità va considerata principalmente nelle sue due dimensioni fondamentali: la necessità di specializzazione (differenziazione) e la necessità di coordinamento (integrazione). Infatti la realtà ospedaliera risulta essere tanto più complessa quanto più è specializzata e quanto più necessita di forme di integrazione. Per la integrazione e il coordinamento delle diverse e specifiche professionalità è indispensabile quindi una generale cultura organizzativa in cui è rilevante la conoscenza dell'uomo e della sua soggettività. Inoltre, l'ospedale può essere assimilato analogicamente ad un'azienda che eroga servizi sotto forma di prestazioni professionali sanitarie ed assistenziali - caratterizzate oltreché dalla complessità anche da un elevato livello di discrezionalità. Infatti una caratteristica fondamentale delle strutture che erogano servizi consiste negli ampi margini di autonomia necessari per le modalità di utilizzazione delle risorse disponibili (anche se la loro distribuzione rimane fortemente accentrata). Per favorire elevati livelli professionali e per dare risposte sempre più adeguate ai bisogni (processo nel quale spesso la standardizzazione è possibile solo limitatamente), deve necessariamente essere valorizzata una personalizzazione delle 45


prestazioni attraverso modelli organizzativi in cui gli operatori siano liberi di operare al meglio per dare una valida e sempre diversa soluzione ai problemi assistenziali. Si tratta di un'autonomia necessariamente fondata su conoscenze e competenze tecnicoscientifiche ed umanistiche e che comporta una conseguente responsabilizzazione sui risultati. Nessuna organizzazione complessa erogatrice di servizi può essere vista, più dell'ospedale, anche come "un fatto psicologico, cioè soggettivo, come modo di vivere la dimensione collettiva;...come un insieme di percezioni, di regolazioni a coppie, rapporti con i gruppi differenziati o con gruppi di riferimento, come un insieme di individui che operano e cooperano per il raggiungimento di un determinato fine" (P. De Vito Piscicelli, 1984). Con una modalità di lettura psico-sociale, l'organizzazione viene analizzata sotto gli aspetti individuali-soggettivi, attinenti alle relazioni che si costituiscono fra individuo e gruppi interni e all'interazione di questi con il mondo esterno. Il comportamento organizzativo costituisce una varietà del comportamento collettivo in cui l'individuo stabilisce rapporti con una pluralità di altri individui, non singolarmente ma globalmente considerati. Il comportamento degli individui può essere considerato ai tre livelli di analisi e cioè in riferimento alle tre dimensioni psicologiche: individuale, sociale e collettiva. "Si tratta di comportamenti, di percezioni, di atteggiamenti e di sentimenti esistenti ed agenti nel singolo individuo, ma, in quanto tali, individuabili essenzialmente in tre realtà tipiche del mondo interumano: quella del rapporto di coppia, interindividuale e interpersonale, quella del rapporto con il proprio gruppo (o i propri gruppi) di riferimento, sociale o di gruppo e quella del rapporto con i molti gruppi differenziati ma confluenti in un collettivo secondo una modalità conflittuale" (P. De Vito Piscicelli, 1984). Un modo di caratterizzare e semplificare la dimensione organizzativa ospedaliera capace di comprendere e considerare la dimensione soggettiva è quello definito dalla teoria sistemicosituazionale, che disegna il sistema organizzativo come un insieme di elementi o fattori materiali e personali fra loro legati da un rapporto di interdipendenza dinamica ed organizzati per il raggiungimento di un obiettivo (Von Bertalanffy, 1968 ). Una visione sistemica dell'organizzazione ospedaliera non ne esclude una visione analitica, in quanto insieme sono in grado di fornire uno schema interpretativo aderente alla realtà. Infatti la metodologia di 46


indagine analitica dell'organizzazione è in grado di studiare separatamente e in profondità gli elementi che costituiscono un sistema - elementi strutturali, sociali, tecnologici, ambientali, procedurali, psicologici, pedagogici - mentre la visione sistemica è in grado di analizzare i legami e i rapporti di reciproca influenza di questi elementi. Questi due fondamentali modelli di indagine dei fenomeni organizzativi sono da considerare complementari (allo stesso modo delle operazioni di analisi e sintesi e di differenziazione e integrazione) (R. Vaccani, 1987). Il modello sistemico si presta ad una comoda rappresentazione di entità molto differenti, che vanno dal sistema individuo al nucleo familiare, dal collettivo organizzativo all'organismo vivente, permettendo anche un'accurata rappresentazione dei diversi sottosistemi esistenti all'interno del sistema considerato, quali la funzione gestionale e amministrativa oppure la funzione di diagnosi e cura di qualsiasi unità operativa di degenza o servizio. Il modello concettuale fornito dall'analisi sistemica rende agevole una visione globale e ordinata dei molteplici fenomeni e delle complesse relazioni esistenti fra gli elementi (sottosistemi) del sistema organizzativo e fra il sistema, considerato aperto, e l'ambiente in cui è inserito. Fornisce anche una chiave di lettura delle modalità attraverso cui il sistema è influenzato dall'ambiente e con le quali a sua volta lo influenza. Da questo insieme traspare anche la dimensione soggettiva e la relatività del modello organizzativo bioanalogico, ben diverso da quello della teoria classica dell'organizzazione, che invece ricercava e imponeva un modello ritenuto perfetto e che doveva costituire un riferimento generale e unico da riprodurre e perpetuare. La storia dimostra che i modelli organizzativi si sono sviluppati come risultato dei rapporti tra sistema organizzativo e contesto di appartenenza, in cui i dati soggettivi ben analizzati dalla psicologia del lavoro e dell'organizzazione hanno avuto ed hanno un peso preponderante. Perciò attualmente si ritiene che non esistano ricette universali, ma esclusivamente modelli concettuali di riferimento. Con questi presupposti l'assetto organizzativo ospedaliero può essere rappresentato, attraverso una comoda schematizzazione, come un sistema ben definito e circoscritto, ma aperto al contesto esterno a cui appartiene con fattori in ingresso e in uscita. I fattori in ingresso (input) possono avere sia caratteristiche materiali (tecnologie, materie prime) che immateriali (valori sociali e culturali, categorie psicologiche e comportamentali); i 47


fattori in uscita (output) sono i servizi e le prestazioni sanitarie ed assistenziali. Ogni progettazione di impianto organizzativo non può quindi prescindere dalla lettura dei legami di congruenza esistenti tra il sistema organizzativo interno e la qualità-quantità e criticità stimata dei fattori in ingresso e servizi-prestazioni in uscita. Secondo questo schema concettuale, una buona direzione organizzativa - deputata a garantire la previsione, il controllo, l'influenzamento, la criticità dei fattori in ingresso attraverso un efficace presidio di frontiera tra contesto e ambiente organizzativo, articolandoli poi adeguatamente all'interno del sistema - è capace di produrre il miglior livello quali-quantitativo di prestazioni-servizi in rapporto alle risorse fino all'ottimizzazione. Per una lettura interna del sistema, gli esperti di psico-sociologia dell'organizzazione forniscono diverse ipotesi riportabili sostanzialmente a quella meccanicistica - adatta ai sistemi organizzativi meccanici - e a quella di tipo sistemico, più aderente alle caratteristiche di un'organizzazione complessa assimilabile metaforicamente ad un sistema biologico (J. W. Lorsch, 1969). Lorsch opera una distinzione fra le diverse categorie di analisi esistenti all'interno della struttura di base dell'organizzazione e ai suoi meccanismi operativi, a cui vanno aggiunti i processi psico-sociali (R. Vaccani, 1987).

2.2.1 - La struttura di base. La struttura di base dell'organizzazione ospedaliera può essere disegnata come un' ossatura centrale i cui elementi sono rappresentati dalla linea gerarchica, dalla divisione delle funzioni, mansioni e compiti in essa svolti, dalla divisione e distribuzione degli spazi fisici e ambientali, dalla divisione e attribuzione delle risorse umane, tecnologiche ed economiche. La divisione gerarchica stabilisce la linea di potere e i diversi livelli decisionali 15. La sua espressione grafica è costituita dall'organigramma in cui sono definite le posizioni di staff, le quali non hanno potere decisionale, ma responsabilità di elaborare ed istruire dati 15 La "line" gerarchica stabilisce "chi comanda su chi", stabilisce cioè da chi ogni operatore riceve indicazioni (R. Vaccani, 1987). 48


utili di supporto alle posizioni di line, che invece hanno responsabilità diretta sulle decisioni e sull'attività organizzativa. La divisione delle funzioni, mansioni, compiti (o azioni), operazioni (o atti), definisce gli obiettivi dell'istituzione e i ruoli delle persone che vi operano. All'interno della divisione gerarchica, le funzioni si possono definire come dei mandati dotati di ampia discrezionalità gestionale ed esecutiva, mentre le mansioni sono mandati situati all'interno delle funzioni in cui si inscrivono e che non possiedono una politica d'azione propria, ma sono a carattere prevalentemente esecutivo. I compiti (o azioni) a loro volta sono mandati situati all'interno dei mandati mansionali, di carattere prevalentemente esecutivo e con ambito discrezionale ancora più ristretto. Le operazioni (o atti) costituiscono una ulteriore parcellizzazione e sono caratterizzate da assenza di discrezionalità e massima esecutività 16. La struttura di base è rappresentata anche dalla distribuzione delle risorse costituite da: spazi fisici, organico, risorse tecnologiche ed economiche. In una concezione ergonomica, nel sistema uomo-uomo, uomoambiente, uomo-macchina, la progettazione e l'allestimento delle risorse costituite dagli spazi fisici e dalle tecnologie non va delegata esclusivamente agli esperti, ma anche alle persone che li utilizzano, poiché solo queste conoscono in dettaglio le necessità relative all'erogazione delle prestazioni sanitarie ed assistenziali (G. De Zorzi, G. Marocci, 1981). Le comunicazioni sociali non proceduralizzabili sono perfettamente rappresentabili dalla planimetria degli ambienti fisici, poiché è dimostrato che a spazi lavorativi vicini - indipendentemente dalla funzionalità - corrisponde ampia circolarità informativa, mentre unità organizzative distanti fra loro strutturano inevitabilmente processi a bassa circolarità di informazione. Questo avviene perché ogni barriera architettonica rappresenta anche una barriera psicologica rispetto alla 16 Nel processo decisionale i mandati centrati sulle mansioni, sui compiti e sugli atti sono incongruenti e incompatibili con modelli organizzativi più evoluti, sviluppati per piani, programmi e obiettivi assistenziali, poiché ogni processo decisionale ha un forte potere di influenzamento sull'andamento dell'organizzazione e sul comportamento degli individui che vi operano, a parità qualiquantitativa di risorse (A. Rugiadini 1979). 49


circolarità delle informazioni sociali. In una tipologia di attività in cui si devono processare informazioni non prevedibili e negoziabili come le prestazioni assistenziali, è fondamentale strutturare un facile accesso a una buona circolazione delle comunicazioni anche informali del tipo faccia a faccia (P. De Vito Piscicelli, 1984). Gli ambienti lavorativi dovrebbero corrispondere ad esigenze di abitabilità, anche perché, come hanno dimostrato ricerche degli psicologi dell'organizzazione, ambienti salubri e gradevoli hanno una notevole influenza positiva sul clima organizzativo e dirette ripercussioni sulla motivazione e quindi sulla qualità e quantità del lavoro svolto e viceversa (G. De Zorzi, G. Marocci, 1981). Il criterio di divisione e distribuzione delle risorse professionali, tecnologiche ed economiche è in grado di fornire o togliere potere di influenza a ruoli e funzioni, indipendentemente dalla capacità delle persone. Per quanto riguarda la funzione infermieristica, è dimostrato che qualità professionali anche eccezionali e processi di formazione eccellenti, privati del potere relativo a collocazioni e risorse significative (struttura di base), sono totalmente impotenti a modificare e migliorare in modo sostanziale le realtà operative. Pertanto è vistosamente incongruente promuovere verbalmente (e demagogicamente) iniziative per migliorare e umanizzare il servizio infermieristico, quando poi le dotazioni effettive di risorse tendono di fatto ad invalidarle. "La struttura di base di una organizzazione complessa come l'ospedale costituisce l'ideologia consolidata impersonalmente nel suo impianto poiché l'ideologia delle cose è più veritiera dell'ideologia delle parole" (R. Vaccani, 1987); e per cambiare l'ideologia di fondo del suo funzionamento occorre ridisegnarne la struttura di base congruentemente con gli obiettivi che si vogliono perseguire. Così come il successo di un'organizzazione è legato in parte alla qualità e al sistema di valori delle persone che la compongono, anche i comportamenti dei suoi componenti sono destinati in larga misura ad adattarsi alla cultura indotta dalla ideologia di base dell'organizzazione, a pena di esserne espulsi. Fra i tanti aspetti legati alla complessità dei processi psicosociali, è facile osservare come si possa essere facilmente delegittimati - quando non si è investiti di un mandato a livello istituzionale - se si adottano comportamenti tendenti al cambiamento organizzativo, anche se migliorativo.

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2.2.2 - I meccanismi operativi. I meccanismi operativi rappresentano le regole e le procedure ufficiali di funzionamento dell'organizzazione per garantirne continuità, omogeneità, trasparenza. Mentre la struttura di base è costituita da un sistema statico, i meccanismi operativi suggeriscono regole di dinamica organizzativa 17. La distinzione tra sistemi operativi e struttura di base non è sempre agevole, poiché i meccanismi operativi sono oggetto di studio di varie discipline, con conoscenze e competenze profondamente differenziate che danno luogo a difficoltà terminologiche; soprattutto i singoli sistemi operativi si intersecano fra di loro e con la struttura organizzativa, rendendone difficile una delimitazione territoriale. I sistemi operativi possono essere definiti come "sottosistemi di compiti, di modalità di svolgimento e di tecniche individuati con riferimento a funzioni (osservabili in termini di processi) tipicamente trasversali o diffusi rispetto all'articolazione dei compiti e degli organi definiti dalla struttura organizzativa" (D. Cavenago, 1988). I meccanismi operativi servono a rafforzare la logica di funzionamento della struttura organizzativa già impressa dalle modalità di direzione e coordinamento ed hanno l'obiettivo di indicare e chiarire agli operatori dell'organizzazione come svolgere le funzioni, mansioni o compiti a loro richiesti, qual'è lo scopo del lavoro da loro svolto al fine del raggiungimento degli obiettivi istituzionali e, in generale, di migliorare la partecipazione e la collaborazione (J. W. Lorsch, 1969). In questo senso tendono a rendere concretamente operativa la logica organizzativa contenuta nel disegno della struttura di base. Sono tesi ad evidenziare ed orientare l'attività organizzativa nel suo continuo processo di assunzione di fattori in ingresso, di gestione finalizzata alla loro trasformazione in servizi-prestazioni in uscita. I meccanismi operativi si riferiscono alla modalità di svolgimento di compiti, funzioni, mansioni, oltreché alle tecniche utilizzabili allo scopo e, in questo processo, coinvolgono più organi della struttura organizzativa di base 18. 17 Si può dire che la struttura di base definisce i "dove, i che cosa, i quando fare" e i meccanismi operativi definiscono i "come" fare (R. Vaccani, 1987). 18 Ad esempio: il sistema informativo di un servizio ospedaliero, comporta un insieme di compiti (raccolta, analisi e selezione delle 51


Essi sono necessariamente caratterizzati dalla ufficialità, perché sono formalmente istituiti, palesi e consolidati nel tempo da usi e costumi; sono caratterizzati anche da una certa impersonalità in quanto intrinseci all'impianto organizzativo. Tutti i livelli della linea gerarchica sono tenuti ad attenervisi, poiché costituiscono l'insieme delle regole e procedure non dipendenti dalla discrezionalità degli individui dell'organizzazione. Sono costituiti da un insieme di norme sovraindividuali che regolano la convivenza, indirizzano e limitano la discrezionalità-arbitrio dei membri di una organizzazione; rimangono pressoché immodificati e caratterizzano una organizzazione anche quando cambiano i suoi componenti. Come per la struttura di base anche i sistemi operativi sono veicoli di ideologia organizzativa perché possono premiare, sanzionare o essere indifferenti a diversi comportamenti professionali centrati o sull'assistenzialismo, o sulla professionalità o sui risultati misurabili. Costituiscono un mezzo indispensabile nelle organizzazioni complesse per coordinare e integrare i comportamenti, poiché l'assenza di regole e procedure formalizzate non è presupposto di diffusa libertà d'azione, ma più spesso di arbitrarietà e personalizzazione anche selvaggia della posizione gerarchica, in quanto i fenomeni organizzativi si realizzano comunque (R. Vaccani, 1988). La sola differenza (fra la presenza e l'assenza di meccanismi operativi) consiste nel fatto che i comportamenti, anziché essere governati da regole esplicite e condivise, sono abbandonati a processi discrezionali ed arbitrari, talora selvaggi, appunto, perché caratterizzati da un aumento di confusione organizzativa, spontaneismo caotico, arbitrarismo gerarchico, aggregazioni centrate sui più forti anziché sulla forza delle norme (R. Vaccani, 1987). Nelle attuali organizzazioni complesse può essere identificata la seguente tipologia di processi: • meccanismi di determinazione degli obiettivi e di allocazione di risorse: 1. pianificazione strategica, 2. programmazione e controllo; • meccanismi di gestione del personale: 1. ricerca (reclutamento), selezione, inserimento, informazioni), di modalità (tempi, sequenze, frequenze), di tecniche specifiche (di rilevazione, elaborazione, distribuzione), processi che coinvolgono più unità operative (R. Vaccani, 1987). 52


2. valutazione dei risultati, 3. retribuzione, 4. carriera, 5. addestramento e formazione, 6. programmazione del personale; • meccanismi relativi ai processi decisionali: 1. informativi, 2. di decisione, 3. di gestione dei conflitti (D. Cavenago, 1988). I due aspetti dell'organizzazione costituiti dalla struttura di base e dai meccanismi operativi possono essere definiti, per semplificazione, come impersonali e si può dire che predeterminano in modo sostanziale, in termini di vincoli-opportunità, il funzionamento organizzativo, solo per una parte attribuibile alla soggettività delle persone che la compongono.

2.2.3 - I processi psico-sociali. I processi psico-sociali sono definibili come comportamenti personali, interpersonali e collettivi che gli individui mettono in atto nei confronti di una determinata organizzazione (R. Vaccani, 1987). La categoria dei comportamenti psico-sociali è estremamente vasta e può essere suddivisa in comportamenti di accettazione, di rifiuto oppure di compensazione nei confronti dell'organizzazione a cui si appartiene. Per processi psico-sociali di accettazione o di rifiuto si intendono tutti quei comportamenti collettivi e individuali che dimostrano o il consenso o il dissenso degli appartenenti ad una organizzazione nei confronti di alcune o di tutte le prescrizioni della struttura di base, dei meccanismi operativi e dei processi psico-sociali e culturali adottati. Possono essere estesi, oltre che all'impianto organizzativo interno, anche ad alcuni o a tutti i fattori in ingresso e ai servizi in uscita. Quando, in una organizzazione, i processi di accettazione sono totali o prevalenti, si rischia di cadere nel burocratismo e nella ritualità; mentre i processi di rifiuto e di abbandono trovano il sistema organizzativo indifferente se gli individui che lo attuano sono collocati a livelli gerarchici bassi, ma non 53


altrettanto se sono collocati ad un livello alto della gerarchia perché come per tutti i processi - possono determinare un'ampia influenza, che, in quest'ultimo caso, sarebbe negativa. Per comportamenti psico-sociali di compensazione si intendono una vasta serie di comportamenti discrezionali che gli individui mettono in atto in modo arbitrario quando la struttura di base e i meccanismi operativi non forniscono indicazioni chiare e leggibili dei comportamenti desiderati, oppure quando le indicazioni-prescrizioni fornite sono lacunose o contraddittorie. Questi processi di compensazione, appartenenti alla categoria psicologica dell'accettazione, costituiscono delle forme organizzative sostitutive che dimostrano la carenza o la incongruenza delle progettazioni organizzative e sono comunque tesi a raggiungere gli obiettivi istituzionali nelle forme e nei modi che questi individui (o gruppi) presumono utili. Quando questi processi di compensazione sono molti, l'organizzazione affida, suo malgrado, una parte dei suoi compiti istituzionali ad alcuni suoi componenti che, pur non legittimati, recitano a soggetto nella commedia organizzativa, strutturando comportamenti di sostegno - ma anche comportamenti a volte dannosi - per l'organizzazione stessa (R. Vaccani, 1987). Questi comportamenti psicosociali di compensazione consistono in prestazioni professionali spesso di alto livello, molto utili all'organizzazione, ma non legittimate, in quanto non previste né riconosciute né premiate, spesso invece altamente penalizzate 19. 19 Nella pratica organizzativa assistenziale è molto facile osservare che i soggetti promotori di cambiamenti non legittimati dalla linea gerarchica ma resi necessari da deficienze organizzative strutturali, finiscono molto spesso per pagare un alto prezzo con rituali che si ripetono e che corrispondono a leggi e regole non scritte ma che si attuano sistematicamente. Consistono generalmente nella integrazione se si rimane "on line", nella emarginazione se "border line", nella "esecuzione" senza processo se si esce dalla "line". Qualora i cambiamenti in oggetto si rivelassero inevitabili o eccezionalmente utili per la vitalità del sistema organizzativo, vengono "cooptati" e cioè ricompresi, legittimati dall'organizzazione e portati avanti dalla inesauribile riserva di quegli individui che (rimasti nell'ombra, o distanziatisi, o accaniti "detrattori" nella fase "rischiosa" del processo), scelgono come categoria comportamentale sperimentatamente premiante quella di "servo del padrone", non 54


Si tratta in genere di comportamenti innovativi coraggiosi, resi indispensabili da situazioni ambientali contingenti che, se non modificate, inducono dinamiche conflittuali degenerative pericolose per l'equilibrio psicologico degli individui che, loro malgrado, abitano ma non sono attori dell'organizzazione (R. Vaccani, 1987); del resto, per verificare la validità oppure la povertà e la incongruenza di un impianto organizzativo, è sufficiente che gli individui che la abitano strutturino per un tempo determinato comportamenti lavorativi basati solo sulle attribuzioni (struttura di base) e le norme (meccanismi operativi) ufficialmente previste, senza esercitare alcun comportamento di compensazione (atteggiamento tipico dello “sciopero bianco”) 20. Anche se è utile che una organizzazione sia progettata nella struttura di base e nei meccanismi operativi in modo da non lasciare spazi all'imprevisto, i comportamenti di compensazione sono, entro certi limiti, fisiologici, utili, e forse indispensabili. Infatti è molto difficile progettare una organizzazione complessa erogatrice di servizi ad ampio margine di discrezionalità, che possa escludere a priori atteggiamenti compensatori. D'altra parte le prestazioni tipiche dei processi di compensazione sono ricche di discrezionalità non controllata, per cui da un lato rappresentano un intrinseco premio al protagonismo individuale, ma dall'altro rappresentano un rischio reale di sfociare in comportamenti patologici in cui gli individui possono tendere ad essere più collusivi con le carenze che con le progettazioni tese alla riorganizzazione. Comunque i comportamenti di compensazione, se sono fisiologici, possono costituire un complemento innovativo e creativo dell'organizzazione; se sono invece patologici, spesso "dilagano negli spazi non tutelati e producono confusione, volontarismi scomposti, arbitrarismi, suborganizzazioni parassitarie" R. Vaccani, 1987). In genere in una organizzazione convivono tutti questi processi e si ottiene un equilibrio quando sono prevalenti quelli di accettazione, contenuti quelli di rifiuto (meglio se propositivo) e nei limiti fisiologici quelli di compensazione. I processi psico-sociali consolidati importa chi esso sia e quale ideologia rappresenti. Anche questi comportamenti fanno parte integrante della soggettività nelle organizzazioni. 20 Su queste basi si può affermare che il Sindacato nasce dall'istituzionalizzazione di processi collettivi di rifiuto organizzativo (R. Vaccani, 1987). 55


costituiscono la cultura - e quindi la parte maggiormente legata alla soggettività - di una organizzazione.

2.3 - MODELLI ORGANIZZATIVI DEL SERVIZIO SANITARIO. Oggi l'infermiere opera all'interno di organizzazioni complesse molto diverse da quelle del passato. Nelle organizzazioni relativamente semplici del passato erano sufficienti preparazione e capacità professionali, mentre nelle attuali organizzazioni complesse la possibilità di formarsi ed operare dipende da modalità di funzionamento, da logiche e modelli organizzativi della USL, dell'ospedale e dei presidi territoriali in cui l'operatore sanitario è inserito. Come abbiamo visto, queste organizzazioni complesse, per raggiungere le proprie finalità istituzionali, devono conoscere i processi tramite i quali si influenza il mantenimento, il recupero, lo sviluppo dello stato di salute ed i principi e metodi che ne regolano il funzionamento, nel senso di acquisizione e impiego di risorse umane, strumentali, conoscitive, economiche, ecc.. I modelli organizzativi possono essere definiti di tipo tecnico-scientifico-razionale e di tipo professionale (E. Borgonovi 1987). I modelli tecnici sono caratterizzati da un'organizzazione del lavoro in cui, attraverso processi tecnico-scientifici, un'attività viene scomposta in operazioni elementari, con una successione definita razionale. I criteri adottati e le modalità di svolgimento delle attività sono giudicati idonei a perseguire l'ottimizzazione del funzionamento di un servizio e le persone vengono utilizzate come esecutrici di operazioni predefinite. Gli operatori devono conoscere e applicare, nelle loro specifiche realtà e condizioni di lavoro, modalità di funzionamento organizzativo predefinite dall'esterno. Nei modelli tecnici, spesso espressione di rigide e integralistiche visioni dell'uomo e della società, nello sviluppo delle tecniche operative, sono prioritari e prevalenti modelli di decisione e strutture fisiche, da cui discendono logiche di penalizzazione per chi non si attiene a criteri e a standard rigidi e universali. Questi modelli presuppongono la riproduzione di parametri comportamentali 56


astrattamente razionali e utilizzano sistemi di valutazione e controllo delle persone, predefiniti da chi progetta l'organizzazione. Al contrario, i modelli organizzativi professionali sono qualificati da elementi fondamentali quali la professionalità e l'autonomia delle persone, conseguibili per mezzo dell'insieme delle conoscenze tecniche, operative, economiche, delle competenze e dei comportamenti psicologici applicati a specifici contesti. La professionalità rende le persone capaci di ricercare e scegliere modalità adatte a conseguire specifici risultati con un ruolo attivo e propositivo, modellando l'azione su specifiche esigenze e ricercando costantemente un miglioramento. La logica dei modelli professionali, in cui è basilare non la progettazione ma la gestione dei modelli, è adatta alle attività di produzione dei servizi alle persone, quale appunto il servizio di assistenza infermieristica. I modelli professionali che si fondano su una concezione pluralistica della società sono caratterizzati da una cultura di valorizzazione delle persone, di sviluppo della loro professionalità, perché considerate fattori dell'organizzazione con una elevata potenzialità di miglioramento da far emergere, capaci di sviluppare le proprie risorse, conoscenze e competenze. Il modello organizzativo di tipo professionale si realizza e si consolida promuovendo e diffondendo conoscenze e competenze ad un elevato numero di operatori, fornendo motivazioni alle persone per far emergere atteggiamenti positivi nei confronti dell'organizzazione, riconoscendo ambiti di autonomia professionale, suscitando una mentalità di "risolutori" di problemi di carattere sanitario, sviluppando una elevata propensione alla innovazione, alla ricerca di soluzioni migliori. Nei modelli professionali, quindi, si dà priorità logica all'investimento sulle persone, le cui qualità, valori e motivazioni si ritengono essere la condizione necessaria per rendere produttivi gli investimenti nelle tecnologie, nelle risorse fisiche, nei metodi e nelle tecniche di gestione ed organizzazione. A differenza dei modelli tecnici, in cui le persone conoscono il minimo loro richiesto sul quale eventualmente attestarsi, il modello professionale è più difficile da gestire operativamente, in quanto i comportamenti delle persone non sono rigidamente predefiniti e codificati; esso dà alle persone maggiore autonomia ma minore sicurezza, poiché non esiste alcun parametro di riferimento se non quello di produrre prestazioni idonee a soddisfare i bisogni assistenziali dell'utente. 57


Nella realtà operativa di una organizzazione complessa qual'è l'ospedale, i due modelli organizzativi convivono e si integrano nell'ambito di attività, rispetto alle quali ognuno dei due modelli è maggiormente congruente; infatti i modelli tecnici aiutano a governare le attività standardizzabili, basate su conoscenze accumulate e consolidate, e i modelli professionali sono necessari per governare in modo soddisfacente le attività in cui non è possibile una uniformità di compiti. I modelli professionali consentono di perseguire la funzionalità e l'efficienza attraverso la libera adesione e accettazione del modello organizzativo da parte di persone rese libere dalla conoscenza e disposte ad accettare le regole quali condizione necessaria per rendere le organizzazioni sanitarie realmente al servizio dell'uomo. La resistenza all'adozione dei modelli organizzativi di tipo professionale è determinata dalla maggiore difficoltà di gestione, specialmente da parte di chi non conosce gli strumenti pedagogici e psico-sociali per governarli e quindi teme di perderne il controllo. Lo sviluppo di una cultura e di politiche gestionali moderne, capaci di fornire strumenti idonei a governare i sistemi professionali, renderà forse possibile superare le attuali resistenze al cambiamento organizzativo.

2.4 - POLITICHE GESTIONALI DEL PERSONALE INFERMIERISTICO. Se si intende realmente migliorare il sistema organizzativo assistenziale, un impegno consistente del prossimo futuro riguarda l'esigenza di definire e comunicare in modo chiaro, trasparente e diffuso le politiche gestionali relative al personale infermieristico 21 quale riferimento principale per conseguire comportamenti motivati e di partecipazione all'interno dell'organizzazione ospedaliera. 21 Se realmente si vuole contribuire positivamente alla soluzione del problema "emergenza infermieri" anziché utilizzarlo in termini strumentali o comunque scarsamente incidenti sui risultati, è forse necessario cambiare radicalmente la politica di gestione delle risorse umane, fra le quali sono fondamentali quelle preposte all'assistenza. 58


La definizione di una politica generale per il personale deriva generalmente dalla volontà del vertice direzionale di perseguire un cambiamento culturale e un nuovo stile di direzione con una consapevole gestione strategica delle risorse umane, da realizzare anche attraverso un impegno dei quadri dirigenti nella diretta gestione del servizio infermieristico per le specifiche competenze. Le risorse umane dovranno essere percepite e interpretate, anziché come variabile critica che si deve adeguare alle esigenze dell'organizzazione, come una costante umana, entità complessa ricca di potenzialità, su cui la struttura deve contare per il raggiungimento dei propri obiettivi istituzionali. Nelle politiche gestionali deve cioè essere prevista istituzionalmente la necessità di una integrazione tra i bisogni individuali e le esigenze della organizzazione. Questo necessario processo di cambiamento dovrà essere perseguito attraverso un costante e visibile collegamento tra le finalità e le strategie dei vertici dell'organizzazione ospedaliera ed i piani di sviluppo delle risorse umane, i quali devono tener conto dei bisogni di sicurezza, di appartenenza e di autorealizzazione che le persone hanno anche nel lavoro. L'esigenza della esplicitazione di una politica del personale deriva anche dalla convinzione che indirizzare il servizio infermieristico nel suo complesso verso un effettivo processo di cambiamento richiede una chiarezza di obiettivi e una finalizzazione dei comportamenti organizzativi da collocare in un contesto di coerenza globale. Nella direzione del personale è quindi necessario individuare linee di cambiamento e apprendere comportamenti capaci - ad una pragmatica verifica - di rendere nullo lo scarto tra obiettivi dichiarati e risultati raggiunti. Ciò si può ottenere con lo sviluppo di una cultura e una professionalità gestionali capaci di integrare le funzioni di amministrazione del personale (insieme di adempimenti riguardanti assunzioni, carriera, retribuzioni, ferie, permessi, assenze, ecc., con l'utilizzo del personale secondo un criterio di legittimità definito dalla normativa legislativa e contrattuale) con le funzioni di gestione (concreta azione di direzione, impulso, motivazione e controllo, mediante la quale una specifica organizzazione del lavoro si propone di utilizzare le risorse di cui dispone con criteri improntati all'efficacia e all'efficienza) (C. Costa, S. De Martino, 1989).

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2.4.1 - Pianificazione strategica e programmazione del personale. La programmazione del personale ha la funzione specifica di assicurare la disponibilità qualitativa e quantitativa di operatori necessari alle realizzazioni delle funzioni istituzionali e dei relativi piani, nonché di assicurare nel contempo le condizioni per la gestione (in relazione alla dinamica legislativa, contrattuale, economica e sociale) degli operatori già impiegati. Non vanno però sopravvalutate le capacità previsionali e decisionali fornite ai vertici da questa funzione, quando sono molto elevate la complessità e la variabilità dell'ambiente, frequenti le interazioni fra le variabili oggettive e soggettive e complesse le modalità di negoziazione del consenso infra e interorganizzativo (G. Costa, S. De Martino, 1989). L'attività di programmazione è uno strumento operativo che si riferisce alla previsione sia quantitativa che qualitativa del personale necessario22, all'analisi delle posizioni più critiche all'interno dell'organizzazione, ai tempi di conversione da un'attività all'altra, alle modalità di risoluzione di problemi operativi per mezzo delle risorse a disposizione. Si riferisce anche ad attività di razionalizzazione dell'impiego del personale attraverso la valorizzazione delle sue caratteristiche. Così pure può aiutare a raccordare obiettivi assistenziali a necessità di personale, a programmare le assunzioni in funzione delle uscite e dei trasferimenti prevedibili, ad individuare posizioni e a sostituire figure critiche per l'organizzazione. Un buon sistema informativo sul personale, costituito da una 22

Una corretta politica di programmazione del personale infermieristico può quasi certamente ridimensionare la situazione di incertezza che caratterizza attualmente il servizio infermieristico. Mettendo in relazione le risorse esistenti (considerando anche quelle reperibili sul mercato con appropriate politiche di reclutamento) con le esigenze quali-quantitative assistenziali-organizzative, si può prevederne realisticamente il fabbisogno, evitando gli scostamenti eccessivi fra esigenze e risorse disponibili, incidendo in modo mirato sui livelli motivazionali, retributivi, di immagine, sindacali, formativi, ecc., fino a raggiungere un equilibrio. 60


struttura logica di dati selezionati, rappresenta una base indispensabile della programmazione del personale e di tutte le politiche gestionali che ne possono discendere (reclutamento, selezione, mobilità, riorganizzazione, formazione, sviluppo, ecc.). 2.4.2 - Reclutamento, selezione, inserimento e socializzazione. Se si considera il potenziale umano come risorsa critica indispensabile alle esigenze di sviluppo dell'organizzazione sanitaria, occorre minimizzare il rischio di non avere le persone adatte per raggiungere gli obiettivi istituzionali. A questo scopo occorre, da un lato, rifiutare almeno in parte la logica istituzionale, quando permette di accogliere personale senza rapportarsi ai risultati e, invece, dall'altra parte, pianificare l'acquisizione e lo sviluppo delle risorse umane in funzione del fabbisogno della struttura. Un processo di reclutamento ben pianificato deve "orientare" sia i candidati che i selezionatori verso le attitudini e le capacità richieste, anche utilizzando tecniche appropriate per attirare persone con buone potenzialità e con motivazioni specifiche mediante un "messaggio" informativo divulgato attraverso i mass media con l'ottica del marketing sociale. I risultati del reclutamento dipendono dal mercato del lavoro, dai vincoli legislativi, dai regolamenti contrattuali e sindacali: esso fa afferire dall'esterno le persone solo per le fasi iniziali, poiché le posizioni successive (progressioni automatiche di carriera, concorsi riservati, ecc.), sono ricoperte attraverso l'uso del mercato interno, con scarsa mobilità fra settore pubblico e privato. Sarebbe quindi utile una politica di selezione iniziale molto accurata, sostenuta poi da politiche di formazione e sviluppo del potenziale molto incisive, con una pianificazione di carriera ben delineata per funzioni ad elevata autonomia e responsabilità, e la capacità di rendere le persone in grado di usare tecnologie sofisticate. Nei processi di selezione del pubblico impiego vi sono difficoltà di ordine istituzionale, rappresentate dalla peculiarità dei vincoli legislativi, dal tipo di prove da utilizzare e degli elementi da valutare e dalla variabilità delle Commissioni di selezione. Le prove d'esame si riferiscono spesso a valutazioni di conoscenze teoriche, trascurando manualità, caratteristiche comportamentali, motivazioni, esperienze 61


acquisite, senza una preventiva analisi sistematica delle posizioni da ricoprire o un'individuazione dei fattori di successo nell'espletamento delle mansioni; inoltre tali prove sono caratterizzate da tempi lunghi, costi elevati e scarsa univocità. Per limitare al massimo l'arbitrarietà di un processo di selezione guidato dal caso e incompatibile con le basilari esigenze di equità degli individui nonché per introdurre elementi di continuità, professionalità, innovazione nel processo di selezione, sarebbe utile l'introduzione di un accertamento attitudinale fatto per esempio tramite test che, se usati con cautela, potrebbero assicurare maggiore univocità ed efficacia delle prove di selezione attuali, troppo spesso largamente affidate alla casualità. I vari tipi di test (di intelligenza, attitudinali, di personalità, di conoscenza) devono naturalmente possedere i classici requisiti di validità, attendibilità e fedeltà, sensibilità, predittività ed economicità. Se tecnicamente ben strutturati, forniscono all'esaminatore la possibilità di misurare rigorosamente i requisiti del candidato (intelligenza, abilità manuale, motivazioni, dominio dell'emotività) per quegli aspetti in cui esistono relazioni significative con l'abilità nello svolgimento di specifiche mansioni. L'analisi del lavoro, rappresenta la base per un corretto processo di selezione, e viene affrontato con la modalità dei profili professionali (in Europa), nella logica che è necessario un esame oggettivo del processo lavorativo, da cui ricavare una descrizione soggettiva, e dei criteri (in America), consistente nel ricercare ogni particolare del lavoro in grado di costituire un interesse per gli individui che verranno scelti per svolgerlo, favorendo così il loro rendimento. Un sistema specifico di selezione è costituito dai metodi di misura delle variabili individuali, correlati al successo lavorativo previsto, in cui a monte c'è il reclutamento e a valle il piazzamento. Infatti, a metodi specifici di selezione, dovrebbe necessariamente corrispondere un piazzamento altrettanto specifico. Misurare, in psicologia, significa utilizzare metodi che implicano una progettazione e valorizzazione delle potenzialità, e ogni sistema di selezione va finalizzato alla crescita professionale e all'autorealizzazione dell'individuo. Perché una procedura di selezione tramite o intervista o test sia valida, occorre ottenere un alto indice di correlazione fra il risultato della prova e il risultato del successo lavorativo. Si hanno indici di correlazione alti quando il processo di selezione e piazzamento ha determinato un numero elevato di individui che hanno successo 62


lavorativo, un numero elevato di individui correttamente collocati ed un significativo miglioramento delle prestazioni. Fra i metodi di valutazione della persona, correlati alla selezione e all'inserimento, in campo infermieristico è normalmente utilizzato quello per il personale di nuova assunzione. In un caso specifico 23 fra gli altri, ad esempio, il metodo verte su due schede: una utilizzata dalla équipe dell'unità operativa dove è inserito il nuovo assunto ed una dallo stesso infermiere oggetto di valutazione. Nella prima scheda sono specificati i fattori ritenuti più rilevanti, relativi sia al comportamento relazionale con l' équipe e con il malato che alle competenze professionali collegialmente ritenute necessarie. Il neo assunto è reso edotto fin dall'inizio del periodo di inserimento (e successivamente di prova) su quali comportamenti e competenze verrà valutato, con motivazioni, sensibilizzazione e coinvolgimento strutturato. La valutazione deve essere coordinata dal "capo sala", coadiuvato dalla équipe di colleghi che ha rapporti diretti di lavoro con il nuovo assunto, e sempre comunicata e motivata. La seconda scheda è utilizzata dall'infermiere nuovo assunto, al termine del periodo di prova, perché esprima un'autovalutazione ed una valutazione dei colleghi, della struttura organizzativa e del processo di nursing dell'unità operativa. Quando esistono conflitti, discrepanze, valutazioni negative, interviene l'operatore dirigente dell'assistenza infermieristica e, se necessario, il responsabile medico della direzione, fino ad arrivare, per quanto possibile, ad una soluzione equa del problema. L'obiettivo di questa metodologia è il superamento di una situazione di non valutazione o di una valutazione estremamente soggettiva e arbitraria, in cui troppi fattori sono lasciati alla casualità e sono oggetto di infiniti contenziosi. Inoltre, al di là del processo di selezione previsto dalla legge, questa metodologia favorisce l'individuazione dei problemi strutturali e psicosociali sui quali poi programmare interventi finalizzati. La socializzazione è un termine di uso recente, utilizzato da 23 In ottemperanza all'art. 14 del D.P.R. 761/'79, presso il servizio ospedaliero dell'U.S.L. 28 Bologna nord, un gruppo di lavoro del coordinamento dei capo sala, in collaborazione con alcuni infermieri professionali, ha prodotto una scheda e proposto una metodologia di valutazione orientata a ridurre gli errori, sperimentata in un gruppo di unità operative, sottoposta all'approvazione delle OO.SS. e del C. d. G. e adottata dalla Direzione. 63


psicologi, sociologi e antropologi equivalente ad "educazione" (P. De Vito Piscicelli, 1984). Essa implica un rapporto dell'individuo con un codice morale costituito da norme sociali, valori culturali e relativi agenti umani. L'inserimento nel mondo occupazionale (o socializzazione) costituisce un processo mediante il quale l'individuo diviene membro partecipe di una società di adulti. In realtà il processo di socializzazione inizia nella prima infanzia attraverso la formazione del proprio sé e della propria personalità, con la interiorizzazione dei modelli sociali del gruppo di appartenenza. I fattori che influenzano il processo di socializzazione sono il gruppo di compagni, la generazione di appartenenza, i mass-media e l'educazione scolastica, la classe sociale (linguaggio), la condizione economica, i valori socio-culturali e la diversità delle richieste imposte dai differenti tipi di educazione e dalla struttura familiare (G. Sarchielli, 1982). Nella socializzazione al lavoro i fattori che esercitano una maggiore influenza sono senz'altro il ceto sociale di appartenenza, la specificità dell'educazione ricevuta e la condizione economica. L'inserimento nell'ambito lavorativo ridefinisce la identità personale con il riconoscimento per il sé di nuovi attributi in precedenza non posseduti e cioè l'identità professionale, che si pone in rapporto con l'identità globale del soggetto. L'inserimento pone quindi compiti onerosi e difficili, in cui generalmente si realizza un desiderio-timore di verificare, oltre alla propria competenza professionale, le proprie capacità comportamentali. In ogni processo di socializzazione interagiscono strettamente due elementi fondamentali: gli individui con le loro esigenze di sviluppo creativo e di autonoma appropriazione della realtà sociale e il contesto organizzativo specifico, promotore di pressioni volte a plasmare i soggetti a immagine e somiglianza dei modelli vigenti in un momento dato. L'individuo, nel momento in cui entra a far parte di una organizzazione specifica, deve affrontare una nuova realtà e perciò ridefinire il proprio campo cognitivo, intervenendo nel processo di definizione della sua nuova identità. La nuova identità professionale non sostituisce, ma si pone in rapporto con l'identità globale del soggetto, poiché l'inserimento in un nuovo contesto non significa assumerne automaticamente i valori, bensì intervenire nel processo di definizione della nuova identità con il materiale fornito dall'esperienza, decidendo (o sentendosi forzato) di ridefinire se stesso (G. Sarchielli, 64


1982). L'inserimento lavorativo può essere molto facilitato da una fase formativa istituzionale che serva da guida e orientamento nell'organizzazione. Sia nel caso di inserimento dei nuovi assunti, sia nel caso di mobilità interna e quindi di inserimento in nuove unità operative, la struttura organizzativa dovrebbe adottare criteri di tutela per l'orientamento e l'addestramento, al fine di rendere l'individuo in grado di gestire la serie di variabili di contesto, diverse da quelle che la precedente esperienza di vita o di lavoro gli aveva permesso di dominare. L'obiettivo è di lasciare poco spazio alla casualità e di evitare visioni distorte della realtà, educando e orientando l'individuo attraverso il gruppo di appartenenza con la conoscenza di norme, valori, obiettivi, cultura24. Nella fase di accoglimento, si possono fornire al nuovo assunto notizie storiche ed elementi caratteristici dell'organizzazione - sia della struttura che dell'unità operativa -, spiegando gli obiettivi generali e specifici a breve e lungo termine, con lo scopo di motivare verso traguardi operativi chiari il mandato specifico della posizione da ricoprire, e ciò che ci si aspetta da lui. Nella fase di inserimento, che consiste in un piano di addestramento, di formazione sulle competenze e di valutazione delle abilità tecniche, si deve raggiungere l'obiettivo di far acquisire al nuovo assunto una visione complessiva del ruolo, delle funzioni, delle responsabilità proprie e altrui. 24 Nel Policlinico S.Orsola-M.Malpighi, un progetto di accoglimentoinserimento di infermieri nuovi assunti, consistente in un periodo di orientamento teorico svolto in aula (una settimana) e in un periodo di inserimento nei reparti di degenza con affiancamento (tutorship, due settimane), assieme ad una soluzione logistica del problema abitativo (l'Amministrazione ha fornito appartamenti a gruppi di persone), ha reso possibile l'acquisizione di personale numericamente sufficiente al fabbisogno. Da statistiche effettuate presso l'Ufficio Organizzazione della Direzione Sanitaria (ad uso interno), emerge che questo progetto, assieme a quello di "autogestione delle unità operative" (équipes assistenziali "fisse" gestite a livello periferico ed eliminazione della "squadra volante centralizzata"), nell'arco di sei mesi ha dimezzato il turn-over preesistente. 65


L'inserimento dovrebbe essere strutturato con tempi e modalità finalizzate a limitare l'autoapprendimento e a coinvolgere tutta la struttura. Affidando agli operatori già inseriti la precisa responsabilità di spiegare modalità operative, collegamento con le altre unità operative, comportamenti (tutorship), si attua un decentramento formativo che incrementa il processo motivazionale. Nella fase di socializzazione si attua un processo caratterizzato da una relazione in cui il gruppo sociale già esistente influenza il neo inserito trasmettendo la propria cultura. Così pure ogni membro che entra nell'organizzazione porta i propri valori e comportamenti, il cui potere di influenzamento in genere è strettamente correlato al potere del ruolo ricoperto. 2.4.3 - Addestramento e formazione. La formazione può essere definita come un insieme di esperienze ed attività educative finalizzate all'acquisizione di conoscenze generali e specifiche che dovrebbero permettere di tradurre le attività individuali e dei gruppi in capacità, migliorandone concretamente le performances. L'attività di formazione si può intendere come un processo separato da quello dell'addestramento e dell'informazione. L'obiettivo della formazione è lo sviluppo complessivo delle potenzialità e l'aumento delle capacità psichiche, comprendenti la sfera emotiva, gli atteggiamenti e i comportamenti, mentre l'informazione genera un aumento delle conoscenze agendo a livello razionale e l'addestramento attiva l'acquisizione di abilità operative manuali o intellettuali. Secondo questa visione, la formazione può essere definita come "quel processo attraverso il quale si favorisce l'interpretazione di fenomeni complessi, la formazione di opinioni individuali, lo sviluppo di capacità nei rapporti interpersonali, la coscienza del proprio ruolo, ecc." (E. Baldini, 1980), quindi attività intenzionale tesa a dotare gli individui di conoscenze, strumenti interpretativi, concetti, capacità personali, per il raggiungimento di un maggior grado di autonomia e originalità critica; l'addestramento può essere definito come "quel processo mediante il quale, a persone adulte inserite in una attività lavorativa, vengono fornite quelle conoscenze e quelle abilità, manuali e concettuali, esprimibili in metodi, nozioni, norme, procedure, regole, ecc, che consentono al lavoratore di svolgere una mansione di tipo 66


prevalentemente operativo" (E. Baldini, 1980); l'informazione come quel processo teso a far acquisire le conoscenze, intese come insieme di nozioni teoriche astratte attorno ad un determinato problema o a un campo disciplinare. Suddividendo le attività di apprendimento in senso cognitivo, operativo ed emotivo-affettivo, l'informazione può essere definita come un'attività tesa all'aumento del conoscere, e cioè del "sapere"; l'addestramento come aumento delle abilità e capacità, del "saper fare"; la formazione come aumento delle capacità, atteggiamenti, comportamenti, del "saper essere" (P. Goguelin et al., 1972). La polarizzazione degli ambiti di apprendimento cognitivo, psicomotorio, psicoaffettivo, che, nei processi di informazione, addestramento, formazione, possono corrispondere alle aree del sapere, saper fare, saper essere, è in realtà solo teorica, essendo impossibile nella prassi separare le diverse aree. Una teoria e una prassi, relative alle attività di apprendimento e di formazione (non di uniformazione), non possono comunque essere disgiunte dalla ricerca di un orizzonte di senso e da una intenzionalità, poiché intervengono su conoscenze, abilità, atteggiamenti, emozioni e sentimenti degli individui. Il compito della pedagogia e della psicologia nel campo della formazione è di estrarre, di stimolare a fare, a ricercare, non solo di insegnare, ma soprattutto di imparare a imparare (learning to learn) per cambiare (G. Zucchini, 1978). Il processo formativo in ambito organizzativo presenta la necessità di superare il falso antagonismo esistente fra un tipo di formazione tradizionale, più orientato alla specializzazione, e una formazione orientata invece ad una visione globale ed integrata della realtà, in cui la despecializzazione deve precedere tutte le modalità di formazione specialistica; in cui cioè la specializzazione è il momento della conoscenza e la despecializzazione è il momento della coscienza, che devono necessariamente essere integrate. Le azioni formative, per essere efficaci, devono essere congruenti con il tipo di intervento formativo e l'area professionale da innovare. Se vi è la necessità di incrementare compiti e mansioni nuovi, per aumentare capacità operative si attiveranno azioni di addestramento pratico, affiancamento operativo, tirocinio, simulazioni operative. Se vi è la necessità di incrementare professionalità di tipo specialistico, la formazione più opportuna dovrà essere finalizzata alla trasmissione di 67


conoscenze e metodologie di ricerca e diagnosi, alla sperimentazione dell'utilizzo di strumentazioni tecnologiche specialistiche e alla simulazione di progetti. Ma se la professionalità da sviluppare è di tipo gestionale, la formazione più congruente da proporre è quella rivolta all'acquisizione di consapevolezza ed abilità relazionale e decisionale. Si tratterà di dotare gli individui anche di competenze specialistiche, ma soprattutto di far loro sperimentare tematiche quali la presa di decisione, il "problem solving", la conflittualità organizzativa, la negoziazione, la gestione delle riunioni. Infatti le caratteristiche comportamentali personali richieste nelle prestazioni gestionali sono intrinseche alla professionalità e possono essere migliorate con metodologie formative di tipo psicosociale. Tra gli strumenti di formazione di efficacia fondamentale e insostituibile vi è innanzitutto la professionalizzazione sul lavoro (training on the job), soprattutto se è sostenuta da un back-ground culturale e professionale già in possesso del lavoratore, da un processo sistematico di inserimento e sviluppo della professionalità e da un'organizzazione del lavoro sensibile allo sviluppo delle potenzialità. Una situazione specifica di apprendimento al di fuori dell'ambiente lavorativo è la cosiddetta formazione in aula, che si vale di svariati strumenti, dalla classica lezione ai metodi attivi quali ad esempio: metodo dei casi, role playing, giochi analogici, training group, lavoro di gruppo, ecc.. Anche se con premesse e caratteristiche diverse, la metodologia dello "sviluppo organizzativo" (organization development) e della "ricerca-intervento" collocano la formazione in una strategia di cambiamento organizzativo tendente a trasformare gli utenti in attori dei processi di analisi, di progettazione e di apprendimento, con un processo che si svolge quasi esclusivamente nella concreta situazione lavorativa (G .Costa, S. De Martino, 1989). 2.4.4 - La valutazione e lo sviluppo professionale. La valutazione è un fenomeno umano diffusissimo e delicatissimo, operazione che tutti facciamo anche se spesso diciamo di non farla. La moderna psicologia organizzativa tende a far uscire il processo di valutazione dall'indeterminatezza perché ne derivi il massimo di utilità per l'individuo, il gruppo, la collettività (E. Spaltro, 1981). 68


Anche nell'impiego pubblico si sta riproponendo la necessità di istituire un valido processo di valutazione, funzione quasi pressoché scomparsa, riferita prevalentemente alle "note caratteristiche", forse anche per gli usi formalistici, troppo spesso distorti, strumentali e arbitrari che ne furono fatti nel passato. La valutazione del personale costituisce infatti un fattore critico di successo anche nelle istituzioni a configurazione organizzativa burocratico-professionale, il cui meccanismo principale di coordinamento è costituito dalla standardizzazione delle capacità, in cui l'unità operativa costituisce il nucleo fondamentale del sistema ed in cui esiste un decentramento delle funzioni di tipo verticale e orizzontale qual'è appunto l'ospedale. Anche in questa tipologia organizzativa gli operatori sono assunti per raggiungere risultati relativi agli obiettivi istituzionali, i quali devono essere sempre riadeguati ai bisogni espressi dagli utenti e alle potenzialità tecnologiche e organizzative dell'Ente. Un buon sistema di valutazione, per essere efficace, oltre a tendere all'ottimizzazione dei risultati, dovrebbe essere in sintonia con la configurazione organizzativa. Il problema della valutazione è reso ancora più complesso nel pubblico impiego dall'assenza di valide forme di incentivazione dello sviluppo delle potenzialità in campo professionale, finalizzabili anche ad uno sviluppo del "collettivo" organizzativo; ed anche da una normativa ancora estremamente incerta e contraddittoria che esprime necessità di "norme finalizzate al miglioramento dell'efficacia nelle prestazioni dei servizi anche mediante idonee metodologie di valutazione..." 25, ma che poi rinvia a strategie, a trattative negoziali fra la parte pubblica e sindacale, sostanzialmente ancora da elaborare anche nella definizione di obiettivi e criteri. I problemi che emergono nel processo di valutazione sono molteplici e il contributo della psicologia consiste nel fornire una migliore conoscenza degli errori possibili (bias) nel processo di valutazione, per ridurli - poiché ne è impossibile l'eliminazione attraverso la formazione. La funzione di valutazione del personale è comunque molto difficile e delicata, poiché è in relazione con la complessità dei fenomeni psicologici, sociali, di potere e culturali oltreché economicoaziendali. 25 D.P.R. 348/1983, Accordo nazionale unico per il personale ospedaliero. 69


Le tipologie di valutazione che si possono riferire agli operatori sanitari come ad ogni altra categoria di lavoratori sono: valutazione delle mansioni ("job evaluation", che riguarda il sistema di retribuzione), valutazione dei nuovi assunti26, valutazione del rendimento e dei meriti e valutazione delle potenzialità e dei possibili sviluppi di carriera. Esistono poi metodologie di valutazione delle prestazioni e per obiettivi specifici per singoli o per gruppi di operatori. Nei sistemi di valutazione della persona (assunzione, rendimento e meriti, potenzialità) l'interazione fra valutatore e valutato ha un rilevante ruolo nella definizione del risultato. L'attività di valutazione viene percepita in modo diverso dalle parti interessate ed è vissuta in modo conflittuale. Da parte dei valutati c'è sempre una certa diffidenza a sottoporsi al "giudizio" del valutatore, poiché riconduce emotivamente a situazioni infantili di dipendenza e quindi a situazioni psicologiche di frustrante sottomissione. Ugualmente conflittuale è il ruolo del valutatore, generalmente il quadro intermedio della linea, che dovrebbe produrre valutazioni improntate alla massima sincerità per le necessità del processo decisionale della direzione, funzione che contrasta con la necessità di mantenere buone relazioni di lavoro con i collaboratori. Questa contraddizione può forse essere superata con un sistema di valutazione non della persona ma delle prestazioni professionali e di valutazione sul raggiungimento degli obiettivi. A mio parere, ogni metodo di valutazione deve essere letto come uno strumento interattivo ed evolutivo non fine a se stesso, ma capace di migliorare i risultati delle prestazioni professionali, poiché, oltre a migliorare la soddisfazione - nel senso di riconoscimento - e il coinvolgimento personale, può determinare una notevole diminuzione dei costi del servizio. Il metodo di valutazione delle prestazioni consiste, infatti, nel rimuovere le cause strutturali e psico-sociali che danno luogo a prestazioni insoddisfacenti. Presuppone che l'organizzazione, anche attraverso gruppi professionali qualificati, sia in grado di stabilire quali sono le prestazioni soddisfacenti e di articolare obiettivi generali e specifici per singolo lavoratore o unità operativa. 26 L'art. 14 del D.P.R. 761/'79 prevede, per il personale di nuova assunzione, la stesura di una relazione di valutazione scritta dopo un periodo di prova di sei mesi, rinnovabili di ulteriori sei mesi nei casi "incerti", dopo le prove di selezione concorsuale per una successiva conferma in ruolo. 70


Un piano di valutazione delle prestazioni può prevedere le seguenti fasi: - stabilire gli standard di risultato e i metodi per misurarli; - misurare il risultato; - confrontare il risultato con gli standard e interpretarne gli scostamenti; - intraprendere le eventuali azioni correttive. Nella definizione degli standard è senz'altro utile un coinvolgimento ed una partecipazione di tutta la linea poiché, anche se occorre un tempo maggiore, il piano di valutazione viene più facilmente compreso e accettato come necessario e naturale strumento di lavoro. Nella scelta dello strumento di misurazione del risultato dovrà essere considerato il grado di analiticità richiesto e la possibilità di un suo controllo da parte degli interessati per i necessari processi di autocorrezione. Gli scostamenti vanno analizzati e interpretati dalla linea gerarchica e dagli operatori direttamente interessati, utilizzando anche un apporto specialistico, al fine di responsabilizzare tutta la struttura nell'intraprendere le azioni correttive necessarie. Devono essere previsti canali informativi per la raccolta delle valutazioni sulle prestazioni e sul servizio espresse dall'utente (es.: grado di soddisfazione del malato) poiché le forme di partecipazione previste istituzionalmente non ne permettono un coinvolgimento diretto. Un processo di valutazione delle prestazioni può essere parte integrante di una direzione per obiettivi che possono essere anche autodeterminati, e cioè autodefiniti dagli operatori singolarmente (o dai gruppi), quale metodo di autogestione della propria motivazione e del proprio lavoro. Nella professione infermieristica si parla da oltre dieci anni di metodi di valutazione della qualità dell'assistenza. Fra gli altri viene attualmente utilizzato un metodo 27 importato dall'estero - la valutazione della qualità dell'assistenza (quality assurance) -, che consiste nella misurazione della qualità, analizzando le carenze esistenti per migliorare le performances, attraverso un'attività sistemica e ciclica. L'assistenza è un'attività complessa in cui interagiscono diverse 27 Esperienze significative sono state fatte dall'infermiera Di Giulio P., redattrice de "La rivista dell'infermiere", pubblicate nella rivista stessa. 71


persone con ruoli specifici che hanno una percezione diversa delle variabili e dei valori ad essa inerenti, non sempre facilmente definibili e quantificabili. La stessa percezione della qualità è facilmente definibile se tesa a descrivere una caratteristica; è più difficilmente definibile se tesa a esprimere giudizi di valore. Si deve a Donabedian una distinzione tra struttura (structure), processo (process) e risultato/esito (outcome), per evidenziare i dati diversi per le diverse situazioni, necessari a misurare la qualità delle prestazioni sanitarie, la cui disponibilità e adeguatezza è indispensabile ad ogni attività di valutazione 28. I dati relativi agli aspetti strutturali descrivono tutto ciò che ha a che fare con gli aspetti statici delle strutture, la loro attrezzatura, il personale impiegato e le modalità organizzative attraverso cui le prestazioni vengono fornite. I dati relativi al processo descrivono invece tutto ciò che accade nella interazione tra infermiere (o medico) e paziente. I dati relativi agli esiti degli interventi descrivono le modifiche intervenute nello stato di salute in conseguenza dell'assistenza ricevuta. Il criterio, in gergo valutativo, è la esplicazione di una determinata sequenza logica di ragionamento o di comportamento, elemento predeterminato dell'assistenza, rispetto al quale affrontare poi aspetti specifici della qualità delle prestazioni erogate. L'insieme di più criteri forma la sequenza di azioni che definiscono una buona assistenza per uno specifico gruppo di pazienti. La forma generale dei criteri prevede la definizione di comportamenti sempre appropriati per determinati pazienti. Gli standard (di struttura, di processo, di risultato), diversi per le diverse situazioni, costituiscono l'espressione del range di variazione accettabile rispetto ai criteri. Essi vengono utilizzati per identificare i valori soglia di aderenza ad un determinato criterio, formulati dagli stessi operatori, indicativi della necessità di ulteriori indagini, di revisioni o comunque di interventi migliorativi. Il processo di valutazione della qualità si basa sulla logica che è possibile identificare un problema assistenziale e descriverlo, realizzare gli interventi correttivi necessari e rivalutare a distanza le modifiche avvenute. Le fasi del ciclo a spirale possono essere più o meno dettagliate, ma fondamentalmente consistono nel concordare un sistema 28 Le tesi di Donabedian A. esposte in "The quality of medical care", Science 1978, vengono riportate da H. L. Palmer, nella rivista Ricerca .& Pratica, Giugno 1988, 21 72


di valori comuni e di obiettivi di riferimento della professione all'interno di una unitĂ operativa, nella identificazione del problema (percepito da un singolo, attraverso un'analisi sistematica delle difficoltĂ , raccogliendo gli incidenti critici, utilizzando i dati di processo, attuando un monitoraggio continuo), nella scelta di criteri e standard identificati e definiti accuratamente dalla ĂŠquipe, nella scelta ed attuazione degli interventi migliorativi e nella valutazione a distanza variabile in relazione ai problemi ed alla tipologia degli interventi.

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CAPITOLO 3 - PROCESSO ASSISTENZIALE E CAMBIAMENTO

3.1 - PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA FUNZIONE INFERMIERISTICA. La Riforma Sanitaria, spostando gli obiettivi assistenziali dalla cura della malattia alla tutela della salute, ridimensiona la centralità del momento tecnico - clinico (diagnosi-terapia) lasciando maggior spazio a valenze tipicamente assistenziali. Prestazioni assistenziali veramente qualificate, finalizzate al soddisfacimento di reali bisogni, cioè capaci di fornire risultati riconoscibili, sono immediatamente percepibili, apprezzabili e molto influenti nel definire e sostenere nel tempo l'immagine di una struttura erogatrice di servizi. Malgrado ciò, la funzione infermieristica non è ancora legittimata - socialmente ed istituzionalmente - come professione (R. Cotta Ramusino, 1986), anche perché un suo processo di professionalizzazione, in Italia, si è manifestato soltanto di recente. Il ruolo attuale dell'infermiere deriva da funzioni assistenziali del passato che permangono ma che si sono allargate, arricchite, differenziate in diversi aspetti clinici e psico-pedagogici tesi a fornire al malato una specifica assistenza globale, fondata su una solida base di scientificità. Per l'attuazione di un modello di assistenza globale, in un'organizzazione ospedaliera realmente orientata all'assistenza al malato - e non prevalentemente ad interessi economici, politici e di potere - le prestazioni infermieristiche dovrebbero essere necessariamente caratterizzate da autonomia, continuità, responsabilità, essere cioè di tipo professionale. Tra il concetto di occupazione e quello di professione non esiste una differenza sostanziale, ma le due polarità possono essere configurate come un continuum i cui vari elementi presentano differenze di grado anziché di qualità (G. P. Prandstraller, 1980). Infatti, fin dall'inizio degli studi sulla specificità professionale 29, le 29 I suddetti studi iniziano verso la fine '800 e inizio '900 (W. Tousijn, 1987). 74


professioni riconosciute sono state definite occupazioni speciali, caratterizzate da alcuni attributi che le renderebbero distinguibili dalle altre occupazioni. Gli attributi principali, dai quali ne possono derivare altri secondari, sono costituiti da una base di conoscenze scientifiche astratte e dall'adesione ad un ideale di servizio. Successivamente, con la scuola funzionalista, le professioni vengono concepite come un gruppo di occupazioni orientate al servizio che applicano un corpo sistematico di conoscenze, tese a risolvere problemi strettamente connessi con valori centrali per la sopravvivenza e per l'equilibrio della società nel suo insieme. Secondo una nota teoria degli attributi delle professioni (E. Greenwood, 1957), esistono attributi comuni che distinguono le occupazioni di tipo professionale dalle altre occupazioni e, tra le professioni, ve ne sono alcune riconosciute e non contestate ed altre meno specializzate, meno ambite e di minor prestigio. Secondo questa teoria, la scuola professionale si differenzia dal comune apprendistato attraverso cui si accede ad un gran numero di occupazioni, perché fornisce conoscenze teoriche e un metodo scientifico quale base dell'esercizio professionale. Gli attributi distintivi, non esclusivi ma posseduti ad un grado più alto da una professione rispetto ad un'occupazione, sarebbero costituiti da un corpo sistemico di teoria, un'autorità professionale, la sanzione della comunità, il codice etico, la cultura professionale. Studi più recenti (J. A. Roth, 1974), evidenziano come le professioni siano un gruppo di occupazioni accomunate essenzialmente da una ideologia promossa con successo dalle élites che dominano alcune occupazioni particolarmente prestigiose e demistificano ideologie quali la scelta della professione come vocazione, l'altruismo e l'ideale di servizio alla società, la peculiarità della formazione ricevuta, l'impossibilità del cliente di valutare la prestazione professionale, l'autoregolazione e il segreto professionale. Questi studi evidenziano anche le affinità e il reciproco sostegno esistente fra teorie professionali classiche ed ideologia dominante nelle società borghesi, in particolare in relazione alle concettualizzazioni di eguaglianza delle opportunità. In realtà, indagini specifiche sul rapporto tra condizioni socio-economiche ed acquisizione di una legittimazione professionale, dimostrano come sia indispensabile un alto e prolungato sostegno familiare per conseguire un titolo di studio, con un collegamento stretto tra status sociale e riuscita professionale assolutamente vincolante per le 75


professioni stabilizzate (medicina, giurisprudenza, docenza universitaria), meno rigido nelle nuove professioni (chimica, ingegneria, scienze naturali e sociali), tenue per quelle che sono ritenute le semiprofessioni o occupazioni qualificate (assistenti sociali, infermieri, maestri). Le stesse indagini dimostrano anche che l'ideologia di servizio e lo spirito altruistico vantato dalle teorie professionali, in realtà si concretizza spesso in pura "ricerca di guadagno", per il quale, in virtù del monopolio professionale giustificato dall'esclusività di uno specifico sapere scientifico, i professionisti possono indurre l'utente a subire prestazioni inutili o estremamente sofisticate e di dubbio significato terapeutico (G. P. Prandstraller, 1980). Inoltre, il rapporto professionista-utente assume una caratterizzazione diversa in relazione al livello economico del cliente, per cui, l'affermato principio di garantire ad ogni cittadino un soddisfacimento effettivo ed egualitario dei bisogni sanitari si rivela, spesso, puramente strumentale oltre che utopistico. Oltre ad un'ideologia professionale, le occupazioni professionalizzate detengono il riconoscimento giuridico dello status di professione intellettuale, con relative istituzioni di ordini e collegi professionali 30. La figura dell'infermiere, in un'accezione moderna del termine, nasce solo con l'affermarsi della medicina scientifica ed in particolare con la trasformazione dell'Ospedale in istituzione specializzata, frutto della nuova divisione del lavoro sanitario che si instaura nell'ospedale e, come tale, si trova fin dalla nascita in posizione di subordinazione strutturale alla figura del medico. Infatti, lo sforzo di professionalizzazione della categoria infermieristica è stato sempre particolarmente arduo, costantemente diretto verso una maggiore definizione della propria attività e tendente ad assicurarne una maggiore autonomia. Affinché l'infermiere, che opera in una organizzazione complessa come l'Ospedale (caratterizzata da elevata autonomia e interdipendenza degli operatori nell'erogazione delle prestazioni assistenziali e dalla grande variabilità di alcuni fattori quali i bisogni, le conoscenze e le tecnologie), acquisisca una legittimazione, è necessario che egli 30 In Italia, il riconoscimento giuridico di professione intellettuale, lo ottennero per primi i notai e gli avvocati (1874), solo più tardi (1910) i medici e fra gli ultimi, nel 1954, gli infermieri (W. Tousijn, 1987). 76


conquisti uno specifico spazio professionale costituito da principi, metodiche e modelli specifici della professione, autonomia funzionale di direzione e coordinamento e riconoscimento legislativo formale (R. Cotta Ramusino, 1986). E' presumibile che, per favorire e accelerare il riconoscimento e la legittimazione di una professionalità infermieristica, occorra conquistare, primariamente con l'operatività e poi formalmente, lo status professionale. E' quindi necessario realizzare modelli organizzativi in cui l'infermiere possa svolgere le sue funzioni, negli ambiti di competenza, con piena autonomia attivando comportamenti coerenti con la valorizzazione della propria specificità professionale. Per offrire risposte valide ai bisogni assistenziali, occorre trasformare gli attuali modelli "per compiti e funzioni" in modelli "per obiettivi". E per ottenere lo status professionale è fondamentale uno sviluppo professionale, sia per l'insieme della professione che per le stesse strutture organizzative erogatrici di servizi, le quali, per raggiungere i loro obiettivi, devono ricorrere necessariamente a queste figure. Nell'erogazione di prestazioni ad elevata autonomia e discrezionalità come quelle al servizio delle persone, è fondamentale la qualità delle risorse umane, pertanto si rendono necessari l'acquisizione e lo sviluppo di sicure capacità e competenze sulle quali meccanismi di coercizione e controllo fiscale possono incidere ben poco. E' ormai acquisito che lo sviluppo di meccanismi operativi finalizzati alla motivazione psicologica - attraverso i quali le persone siano direttamente stimolate ad utilizzare le loro potenzialità nel contesto lavorativo ed a valorizzare al massimo la loro autonomia in rapporto alla responsabilità ad essa correlata, all'interno di alcune linee guida che definiscono e contraddistinguono la professione -, è da ritenere più utile delle tradizionali forme di controllo. Inoltre, per stabilizzare il riconoscimento di uno status professionale occorre anche una chiara responsabilizzazione sui risultati che l'operatore intende perseguire - e che deve aver contribuito a definire -, con prestazioni finalizzate a specifici obiettivi infermieristici, osservando una precisa separazione e integrazione tra prestazioni sanitarie e prestazioni assistenziali.

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3.2 - NORME, PRINCIPI E MODELLI TEORICI DEL NURSING. I principi e i modelli teorici di una professione costituiscono delle linee guida sulle quali essa si fonda, oltre ad un orientamento specifico che deriva dalla definizione dell'area di bisogni individuali e collettivi da soddisfare e dalle competenze necessarie per operare con responsabilità e in piena autonomia. All'interno della professione infermieristica, fra i quadri più sensibili e meglio preparati ai problemi dell'assistenza, vi è attualmente una intensa attività di studio, di analisi e di ricerca. Questa attività è anche comprensiva di un proficuo confronto con realtà assistenziali di altri paesi europei e statunitensi, nei quali gli infermieri hanno raggiunto da tempo legittimazione professionale, formazione universitaria, autonomia, riconoscimenti giuridici ed economici e nei quali, soprattutto, sono state raggiunte alte espressioni cognitive e teoriche sulla professione 31. Da queste esperienze conoscitive è stato importato il termine anglosassone nursing, il quale, oltre alla tradizionale nozione di assistenza infermieristica, per definire l'ambito professionale specifico dell'infermiere, comprende anche tutti gli aspetti, le funzioni, le conoscenze, le responsabilità che lo caratterizzano. Il nursing si avvale della ricerca come attività fondamentale per la definizione degli obiettivi assistenziali, lo studio dei metodi, l'identificazione dell'area decisionale dell'infermiere e la definizione delle relazioni con altre scienze e professioni. In questa accezione, più ampia di quella tradizionale e attualmente più utilizzata, l'assistenza infermieristica si può quindi definire come un processo che si modifica in relazione ai bisogni (compreso quello educativo), all'evoluzione delle discipline e al progresso scientifico-tecnologico. Nella letteratura infermieristica italiana e straniera sono state formulate moltissime definizioni di nursing, le quali si riferiscono spesso a concezioni psicologiche, pedagogiche, filosofiche e 31 Dall'analisi di vari testi relativi al nursing, emerge che il processo che porta l'assistenza infermieristica da metodologie basate sull'intuizione a metodologie scientifiche, inizia in America e nei paesi anglosassoni attorno al 1950. In Italia, invece, questo processo evolutivo è attualmente agli inizi ed è presente solo a livello di gruppi ristretti, forse anche per le ragioni storiche descritte. 78


scientifiche specifiche e a specifici contesti economici, culturali e sociali, ma che comunque contrassegnano una evoluzione storica del concetto di assistenza infermieristica. Ad esempio: "Il nursing è unico, la sua unicità è rappresentata dall'assistenza individualizzata mirata al paziente, un'assistenza in funzione dello stato di salute del malato che va dalla dipendenza totale (l'infermiere fa ciò che egli non può fare da solo con un'assistenza di supporto e/o riabilitativa, sia fisica che psicologica) all'autogestione“ 32. "Il nursing è un processo dinamico, terapeutico, educativo, che prende in considerazione i bisogni sanitari della società. Esso ha la funzione di aiutare, attraverso un'azione terapeutica ed educativa, l'individuo e la famiglia ad utilizzare le proprie risorse e potenzialità, per autogestire nel modo più idoneo la propria salute" 33. "L'infermiere è una persona che ha completato un programma di base di educazione infermieristica ed è qualificato ed autorizzato nel suo paese a fornire un servizio professionale responsabile e competente per la promozione della salute, la prevenzione delle malattie, la cura del malato e la riabilitazione. L'educazione infermieristica di base consiste in un programma pianificato di insegnamento che assicura ampie e solide conoscenze fondamentali per una efficiente pratica di assistenza infermieristica professionale ed una base per una formazione superiore" 34. "Il nuovo concetto di assistenza infermieristica raccomandato abbraccia l'abilità dell'infermiere di concettualizzare intellettualmente, influenzare politicamente, sviluppare dinamicamente, indagare filosoficamente, analizzare criticamente, praticare umanamente e abilmente, gestire e controllare rigorosamente l'arte e la scienza del nursing” 35 . 32 E' una definizione dell'infermiera Lambertsen, pubblicata nella rivista Nursing Team Organization and Functioning, Teachers College, Columbia University, New York, già nel 1953. 33 Brignone R., Definizione di Nursing presentata nel convegno sul nursing a Firenze, nel 1972 (C. Cortese, A. Federigotti, 1985). 34 Definizione approvata dal Consiglio dei Rappresentanti Nazionali del Consiglio Internazionale Infermieri, a Città del Messico, nel maggio 1973 (A. Marriner, 1989). 35 Quest'ultima definizione di nursing dell'infermiera Smith, è stata pubblicata nella rivista Editorial The concept of Nursing Literacy, Journal of Advanced, Nursing 1,185, nel 1976. 79


Dall'interscambio di filosofie, principi teorici, conoscenze psicologiche, pedagogiche, scientifiche ed etiche dei teorici dell'infermieristica si sta sviluppando una nuova concezione assistenziale. Concezione basata, oltre che sull'assistenza, anche sull'educazione alla salute. Per l'infermiere, l'educazione sanitaria non è solamente una serie di precetti igienici, ma è soprattutto una intenzionalità finalizzata al benessere della persona nella sua totalità, ed anche un orientamento per una gestione responsabile della propria esistenza. Costituisce, quindi, un intervento pedagogico finalizzato a conseguire comportamenti validi per la promozione e la difesa della salute. L'educazione alla salute viene così intesa come una dimensione dell'educazione globale che ha come soggetto la persona con l'universalità dei suoi valori e dei suoi bisogni, mirante a favorire le attività che portano la persona stessa a voler essere in buona salute, a sapere come pervenirvi, a conservare il bene-salute e a ricorrere ad un aiuto competente in caso di necessità (A. M. Di Giorgio, 1990). Nel nostro contesto culturale, l'infermiere è attualmente impegnato, perciò, ad orientare il processo assistenziale verso un'ottica sistemica fondata su una visione integrata, di tipo olistico, della persona e dei suoi bisogni. Si tratta di un modo nuovo di entrare in relazione con l'uomo che ha temporaneamente o permanentemente la necessità di prestazioni assistenziali infermieristiche, intese come azioni compensatorie fornite da personale professionalmente competente, necessarie per riacquistare la salute o il massimo di autonomia possibile. In contrapposizione al modello assistenziale attualmente ancora dominante di tipo tecnico, parziale, meccanicistico, fondato sulla cura della malattia e non della persona malata, prodotto dell'evoluzione storica della medicina, la componente infermieristica dell'assistenza tenta di affermare un modello assistenziale unificante, globale, individualizzato, capace di rispettare la complessità umana in tutte le sue dimensioni: biologiche, psicologiche, sociologiche e spirituali. Il modello assistenziale di tipo meccanicistico, ancora largamente dominante, è basato su di una impostazione filosofica che concepisce l'uomo come una dimensione fisica, il cui corpo è diviso in organi e apparati, separato o scarsamente comunicante con la dimensione psichica e mentale. In questa visione della realtà, l'ambiente di vita e di lavoro è considerato esterno e dissociato dall'uomo e la salute viene 80


definita come assenza di malattia, concepita, quest'ultima, come un'entità negativa che colpisce non l'uomo globalmente, ma una sua parte anatomica. In quest'ottica la medicina è altamente specialistica e di tipo riparativo e ha per oggetto la malattia e i suoi sintomi e non l'uomo nella sua globalità. L'assistenza globale invece, mutuata anche dalle più moderne concezioni pedagogiche della medicina (A. M. Di Giorgio, 1990), considera l'uomo come un sistema complesso di tipo bio-psico-sociale, nel senso di entità dotata di psiche, mente e corpo che, con l'universalità dei suoi bisogni, è in continua interazione dinamica con l'ambiente e i suoi fattori di ordine fisico, psicologico, economico, sociale e politico. In questa visione sistemica dell'uomo e dei suoi bisogni, la salute è considerata come espressione dell'armonia globale - somatica e psicologica - della persona e la malattia ha il senso di una alterazione di questo equilibrio non potendo esistere come entità astratta, al di fuori dell'uomo e della sua vita. Questa concezione dell'assistenza, intende la medicina come un insieme di conoscenze, competenze e tecnologie capaci di portare l'uomo malato ad un miglioramento e ad una guarigione, rispettandone tutte le dimensioni e utilizzando prevalentemente l'educazione alla salute per lo sviluppo della sua sensibilità, della sua capacità e dei suoi processi fisiologici di autoguarigione.

3.2.1 - Il Codice Deontologico e il Collegio. Il Codice Deontologico dell'infermiere è costituito da un corpus formalizzato di regole di comportamento a cui devono uniformarsi tutti gli aderenti alla professione, che fonda la sua legittimità sociale su una ideologia di servizio finalizzata alla vita e alla salute della collettività. Costituisce una forma di autoregolamentazione complementare alla normativa giuridica dello Stato, e sta alla base del processo di professionalizzazione (A. Febbrajo, 1987). L'insieme di regole di comportamento sono ispirate ad un ideale etico che costituisce anche una forma di orientamento per le associazioni professionali, le quali hanno l'obiettivo dichiarato di tendere a ridurre gli scostamenti che si verificano inevitabilmente nell'operatività. Il codice deontologico esalta la peculiarità della professione, sottolineandone la diversità dalle altre 81


per la dimensione umana di "professione al servizio della vita e della salute" 36. La deontologia ha l'obiettivo di delineare un modello di professionista tendente a regolare i comportamenti degli operatori al servizio della società, delimitando i confini con le altre professioni in relazione alle competenze specifiche. Va intesa come un ordinamento normativo atto a fornire un'immagine positiva della professione, sottolineandone gli aspetti di utilità sociale. Costituisce una formalizzazione strutturale che ha, oltre allo scopo di uniformare i comportamenti, quello di determinare una coesione interna alla professione sollecitando una fattiva collaborazione fra colleghi per gestire i conflitti e ridurre i comportamenti negativi salvaguardando anche l'immagine esterna della professione stessa. E' fondata sull'etica della solidarietà umana - poiché si afferma che gli interessi della professione coincidono con quelli dell'intera società -, in una relazione costruttiva con le altre professioni. Il codice deontologico costituisce soprattutto un progetto professionale che disegna un operatore caratterizzato da un forte ideale di servizio, dal possesso di conoscenza, competenza ed autonomia, orientato all'interesse collettivo e della categoria. La deontologia professionale costituisce anche un momento stabilizzante nel processo di professionalizzazione e istituzionalizzazione, per contrastare i processi di deprofessionalizzazione che tendono a indebolire e delegittimare la funzione infermieristica - a causa di una sua possibile dequalificazione ponendo l'obbligo di un impegno tecnico-operativo 37. 36 Il codice deontologico afferma che:..."l'infermiere è al servizio della vita dell'uomo; lo aiuta ad amare la vita, a superare la malattia, a sopportare la sofferenza e ad affrontare l'idea della morte. Rispetta la libertà, la religione, l'ideologia, la razza, la condizione sociale della persona. Rispetta il segreto professionale non soltanto per obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come risposta concreta alla fiducia che l'assistito ripone in lui. Promuove la salute del singolo e della collettività operando contemporaneamente per la prevenzione, la cura e la riabilitazione". 37 Infatti, il codice deontologico afferma anche che:..."l'infermiere ha il dovere di qualificare ed aggiornare la sua formazione in rapporto allo sviluppo scientifico-tecnologico ed alle nuove esigenze derivanti dal progresso sociale. Egli si impegna alle attività di educazione 82


La deontologia professionale è quindi sostanzialmente costituita da principi e linee guida per comportamenti desiderati e per rendere responsabili gli operatori appartenenti al gruppo professionale sulla quantità-qualità dei risultati ottenuti nell'erogazione delle loro prestazioni, attraverso il rispetto di regole e modalità di lavoro giudicate adeguate per risultati soddisfacenti. Il Collegio Professionale 38 è un ente di diritto pubblico a carattere nazionale e locale, che persegue l'interesse collettivo, dotato di potere e autonomia funzionale a cui tutti gli esercenti la professione devono aderire obbligatoriamente. Ha lo scopo di promuovere e facilitare iniziative intese a favorire il progresso culturale degli iscritti con forme di aggiornamento periodico e permanente. Dovrebbe salvaguardare i diritti e i doveri degli operatori iscritti e costituire un indispensabile punto di riferimento per tutti gli aspetti relativi all'esercizio della professione. Rappresenta ufficialmente la categoria presso gli enti pubblici e il parlamento. Dovrebbe garantire un alto livello di professionalità, compensi equi, etica nello svolgimento delle mansioni professionali. E' dotato di potere disciplinare sugli iscritti sia che operino alle dipendenze di istituzioni pubbliche o private, sia che svolgano attività libero professionale. E' quindi un organo con specifiche funzioni di difesa dei professionisti e della collettività. Le associazioni professionali nazionali e internazionali perseguono invece il fine fondamentale di promuovere l'elevazione professionale e culturale in rapporto all'evoluzione dei bisogni dell'uomo e della ricorrente e a sostenerne collegialmente il diritto, manifesta la sua volontà di partecipare attivamente e collegialmente non solo alla difesa professionale, ma anche al suo sviluppo culturale e sociale, in spirito di servizio alla persona e alla comunità". 38 Il Collegio Professionale dell'Infermiere, dell'Assistente Sanitario (Visitatore), della Vigilatrice d'Infanzia (o Infermiere Pediatrico) - IP ASV VI -, istituito con legge 29 ottobre 1954, n° 1049, ha tutte le attribuzioni devolute dalla legge agli ordini e collegi professionali: controllo del curriculum di studi, numero e distribuzione delle scuole professionali sul territorio, programmi scolastici e grado di preparazione atteso; controllo affinché nessuno possa esercitare senza titolo professionale o non conferito da una scuola riconosciuta e senza gli esami di ammissione sostenuti davanti ad una commissione composta da professionisti, ecc.. 83


comunità, la qualità dei servizi socio-sanitari, la ricerca, la documentazione e l'informazione.

3.2.2 - Norme e regole della professione. La legislazione sanitaria attualmente in vigore regolamenta la professione infermieristica, specificandone il ruolo, le mansioni, il trattamento economico e lo stato giuridico (le norme di ammissione, modificazione ed estinzione del rapporto di impiego, i diritti, i doveri e le sanzioni disciplinari), riferendosi al comportamento etico e alle norme del codice deontologico. Ma per un corretto esercizio della professione, è oramai necessario introdurre elementi innovativi che servano a garantire uno sviluppo professionale tendente ad un allineamento con le situazioni assistenziali più evolute, esistenti a livello europeo. Pur con la grande disomogeneità esistente a livello di territorio nazionale, l'infermiere attualmente è in possesso di conoscenze psicologiche, pedagogiche, sociologiche 39, oltre che tecniche, scientifiche, giuridiche, organizzative, ed anche dei principi e dei metodi specifici della professione. Affinché i principi teorici ed etico morali si concretizzino coerentemente nell'operatività è quindi necessaria una ridefinizione della funzione infermieristica in termini di prestazione professionale, con relativa responsabilizzazione sui risultati, a superamento delle attuali mansioni. Il mansionario 40 costituisce uno strumento adatto a definire nel dettaglio gli atti e le procedure da compiere per standardizzare i comportamenti degli operatori, molto utilizzato dalle organizzazioni tradizionali rigide e gerarchicamente 39 Attualmente gli insegnamenti relativi alle "scienze umane" sono specificamente previsti nei programmi di formazione di base, poiché sono stati aggiunti già da diversi anni a quelli tradizionali, a carattere prevalentemente tecnico-scientifico. 40 Il D.P.R. 225/'74 costituisce attualmente il riferimento legislativo per le mansioni infermieristiche, ed è basato su una concezione della funzione infermieristica come occupazione, definita infatti come insieme di mansioni. Anche il più recente D.P.R. 821/'84 non definisce più chiaramente la funzione infermieristica come professione. 84


centralizzate. Ma si è rivelato inadatto in organizzazioni complesse, in particolar modo in quelle di erogazione dei servizi, caratterizzate da estrema variabilità ed incertezza di alcuni fattori, da necessità di elevata autonomia e forte interdipendenza degli operatori nell'erogazione di prestazioni assistenziali che necessitano, invece, di gestione flessibile. L'istituzione di un modello assistenziale basato sull'erogazione di prestazioni professionali qualificate e autonome, favorirebbe anche il riconoscimento giuridico-formale della funzione infermieristica come professione 41. Leggi e deontologia hanno il compito di indicare comportamenti desiderati, imponendone il rispetto e prevedendo sanzioni per i trasgressori. Ma i comportamenti lavorativi nel campo dell'assistenza, dipendono fondamentalmente da oggettive condizioni strutturali, organizzative, politiche e gestionali decise dalle direzioni, ed anche dalle percezioni soggettive capaci di motivare e valorizzare la funzione infermieristica. E' chiaro, infatti, che norme e regolamenti - come pure i gruppi spontanei anche se numerosi e ad alto livello di competenza -, se non hanno il supporto di adeguati sistemi organizzativi e gestionali, non sono certamente in grado di elevare la funzione infermieristica a professione.

3.3 - LOGICHE, STRUMENTI E METODI SPECIFICI DEL PROCESSO DI NURSING. Per dare forma alla complessità del problema, oltre a logiche, principi generali, linee guida su cui impostare la professione, occorrono anche metodi, modalità concrete con cui intervenire e strumenti, mezzi concreti con cui operare, utilizzabili dall'infermiere che possieda le conoscenze, la competenza, l'autonomia e la discrezionalità specifici della professione (R. Cotta Ramusino, 1986). Fra i teorici del nursing alcuni hanno fornito chiavi logicointerpretative molto utili e utilizzate per poter definire nei principi e nelle applicazioni pratiche il processo assistenziale. L'assistenza infermieristica ha origine dall'analisi dei bisogni degli 41 Sono in fase di progettazione, ad opera dei Collegi provinciali, regionali e nazionale, nuove norme regolanti la competenza delle professioni infermieristiche, tendenti ad un significativo sviluppo. 85


individui. Il concetto di bisogno è strettamente legato al concetto di omeostasi 42: quando un equilibrio interno viene alterato, sotto il profilo psicofisico si determina una condizione di bisogno a cui l'individuo cerca di reagire per ricreare l'equilibrio iniziale. Fra le varie teorie dei bisogni formulate da psicologi, pedagogisti, sociologi e filosofi, Virginia Henderson 43, nella elaborazione della sua teoria del nursing, ispirandosi a Maslow, ha individuato i fattori di assistenza infermieristica di base in cui è necessario compensare il malato fornendogli uno specifico aiuto qualora siano compromesse le capacità di provvedere autonomamente alle sue funzioni psico-fisiche 44. Secondo la teoria della Henderson, nel processo di nursing l'infermiere ha il ruolo di integrare con la propria attività le carenze dell'assistito, non limitandosi a sostituirlo, ma partecipando alla gestione della sua salute, con l'obiettivo di fargli raggiungere 42 Il concetto di omeostasi, formulato da Claude Bernard (1859), come "mantenimento di uno stato interno costante", fu ripreso da Walter Cannon (1932) in "La saggezza del corpo": "...l'omeostasi non vuol significare qualcosa di immobile, di stagnante, bensì uno stato che può variare, ma che è relativamente costante" (A. Fabris, 1975). 43 Virginia Henderson, nata a Kansas City nel 1897, infermiera, direttrice scolastica, insegnante universitaria e membro di facoltà, scrittrice e ricercatrice è stata una delle più importanti teoriche del nursing, (A. Marriner, 1989). 44 I quattordici fattori di assistenza infermieristica di base individuati dalla Henderson sono: 1) respirare normalmente, 2) mangiare e bere in modo adeguato, 3) espletare le funzioni escretorie, 4) muoversi e mantenere posture corrette, 5) riposare o dormire, 6) scegliere i propri indumenti, vestirsi e svestirsi, 7) mantenere la temperatura corporea a livello normale, con vestiario adeguato e modificando l'ambiente, 8) tenere il corpo pulito e ordinato e proteggere i tegumenti, 9) proteggersi dai pericoli dell'ambiente ed evitare di essere di pericolo ad altri (malattie infettive, comportamenti violenti), 10) comunicare con gli altri esprimendo emozioni, bisogni, paure o opinioni, 11) praticare la propria religione seguendo la propria fede e le proprie convinzioni, 12) occuparsi di un'attività utile riconoscendone i risultati, 13) giocare e partecipare a varie forme di ricreazione, 14) imparare, scoprire o soddisfare la curiosità che porta ad un normale sviluppo e alla salute e ad usare tutti i mezzi disponibili per la salute. 86


l'indipendenza e, quando ciò non sia possibile, a convivere con il proprio handicap e con le limitazioni imposte dalla malattia 45. Il processo di nursing costituisce lo schema entro il quale l'infermiere opera l'assistenza ai malati 46, essendo un processo di analisi della situazione e di risoluzione dei problemi adatto alle cure infermieristiche. La specificità dell'intervento assistenziale è costituita dal fatto che si realizza in una dimensione relazionale che può essere descritta in quattro fasi: 1) identificazione dei bisogni della persona assistita attraverso l'osservazione, la raccolta e l'analisi di informazioni, l'individuazione dei problemi, delle risorse e delle carenze, definizione dei bisogni in cure infermieristiche e relative priorità; 2) pianificazione delle cure infermieristiche in relazione agli obiettivi assistenziali, che devono rispondere in modo adatto ai problemi di salute del malato. Per una valida risoluzione dei problemi individuati occorre prendere delle decisioni appropriate in merito alle prestazioni necessarie e programmarle; 3) attuazione delle prestazioni assistenziali che possono essere effettuate su prescrizione medica (diagnostiche e terapeutiche), oppure a totale o prevalente autonomia infermieristica (relative al ruolo specifico infermieristico), e/o interdipendenti con altri operatori sanitari. In questo processo, se è possibile, la persona curata va coinvolta attivamente nella realizzazione del progetto assistenziale che la riguarda. L'attuazione delle prestazioni assistenziali comprende attività 45 La Henderson afferma che: gli infermieri possono dispensare l'assistenza richiesta alle persone che non sono in grado di farlo da sole, seguendole e aiutandole nel lento processo verso la guarigione e il recupero del controllo della propria salute (e, ove non sia possibile, aiutarle ad affrontare la morte con dignità); oppure possono insegnare e dare un adeguato aiuto ad altri che assistono il paziente. 46 La teoria della Hendersen è basata su tre presupposti: i quattordici fattori fondamentali dell'assistenza di base; l'individuazione dei fattori fondamentali che influiscono sull'individuo nel continuum salute-malattia (età, temperamento, condizioni sociali, gruppo culturale di appartenenza, condizioni fisiche, stato intellettuale); fattori legati alla malattia specifica da cui un individuo è affetto (V. Hendersen, 1978). 87


di informazione, educazione e prevenzione finalizzate ad obiettivi di salute anche futuri; 4) valutazione dell'assistenza infermieristica in rapporto agli obiettivi prefissati, sia in relazione a prestazioni di "autocura" realizzate dalla persona assistita, sia all'efficacia delle prestazioni erogate dall'infermiere. Attraverso il processo di nursing - inteso come una serie di metodi, di fasi pianificate, di azioni dirette ad individuare e risolvere i bisogni del paziente e della sua famiglia -, l'infermiere deve essere in grado di agire in modo efficace per una guarigione o per un miglioramento delle condizioni di salute dell'individuo, nell'ambito di competenze specifiche. In ognuna delle fasi del processo assistenziale, l'infermiere si trova a dover affrontare molteplici problemi che richiedono una metodologia di soluzione non esclusivamente intuitiva ma anche scientifica. Normalmente, nella scelta della soluzione di un problema, ci si vale del metodo deduttivo, applicando cognizioni già acquisite e una conoscenza approfondita dei principi che sono alla base dell'assistenza. Infatti, nel processo assistenziale devono essere prese delle decisioni che, per essere efficaci, vanno orientate continuamente verso gli obiettivi assistenziali; quindi, il processo decisionale relativo alla continua soluzione di problemi costituisce un sistema dinamico che evolve nel tempo. Per verificare che le decisioni prese nell'erogazione delle prestazioni assistenziali siano realmente orientate verso obiettivi da ritenere validi, queste devono essere inserite in un anello di feedback del tipo informazione-decisione-azione-valutazione, che viene a costituire un processo sequenziale influenzato dalle decisioni di ritorno. Questa metodologia consente di pianificare la cura "per e con il malato e la sua famiglia" per mezzo del piano di nursing. Il piano di assistenza può essere definito come uno strumento per mezzo del quale si attua il processo del nursing 47. E' uno strumento di 47 Nell'esperienza pratica viene definito anche "piano-processo del nursing", ed è uno strumento educativo - per allievi, personale e malato - da utilizzare nell'ambito scolastico e nei presidi sanitari, poichÊ la relazione con il malato, per essere terapeutica, deve avvenire partendo dall'analisi dei suoi bisogni psico-fisici. L'allievo fin dall'inizio del suo curriculum formativo deve apprendere i principi del nursing, i bisogni dell'uomo, le tecniche 88


lavoro necessario ad un'assistenza globale, individualizzata e ben organizzata, da utilizzare in ambito sia ospedaliero che extraospedaliero, e nel contempo uno strumento di comunicazione organizzativa tra infermieri, pazienti, medici e fra tutti i membri dell'équipe che favorisce una conoscenza del malato e un buon rapporto interpersonale. Il piano di nursing ha lo scopo di migliorare la qualità dell'assistenza individualizzandola e personalizzandola, di determinare la priorità degli interventi, valutare le prestazioni infermieristiche, favorire una assistenza umana e tecnica - quindi professionale - oltreché la comunicazione, il coordinamento e la continuità nelle prestazioni. Consiste in un programma di azioni scritto e dettagliato, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi assistenziali stabiliti per un determinato paziente 48 Per la realizzazione del piano-processo di assistenza individuale, in attesa di arrivare ad uno strumento unico di lavoro che ricomponga anche sulla carta l'unicità degli obiettivi cui tendono tutti gli interventi assistenziali, la cartella infermieristica rappresenta un buon sistema informativo che si vale della raccolta e conservazione storica della documentazione infermieristica, complementare a quella medica 49

3.4 - PROCESSO MOTIVAZIONALE E PRESTAZIONI INFERMIERISTICHE.

dell'osservazione e una idonea metodologia scientifica. 48 Nella pratica operativa, il piano di assistenza deve comprendere i problemi infermieristici, gli obiettivi dell'assistenza, uno schema delle prestazioni infermieristiche tese a soddisfare gli obiettivi, una valutazione dei risultati conseguiti. Infine deve essere chiaro, flessibile, equilibrato, ben definito, sottoposto a continua verifica e, se necessario, rielaborato in base al modificarsi delle situazioni. 49 Nella pratica professionale, la cartella (o la scheda infermieristica), unifica il momento di raccolta e trasmissione dei dati, elimina ogni possibile dispersione delle informazioni, costituisce una guida all'osservazione del paziente, permette a tutti gli operatori di avere una visione complessiva dell'utente e considera l'aspetto preventivo, curativo, educativo e relazionale dell'assistenza. 89


Attualmente l'attività infermieristica è svolta prevalentemente per mansioni o compiti perché ciò è richiesto dalle strutture organizzative in cui opera l'infermiere. L'attività per mansioni è possibile e necessaria in ambiti in cui prevalgono comportamenti lavorativi esecutivi, prescrivibili e standardizzabili, dove il livello di autonomia degli operatori è estremamente ridotto e dove vi è una centralizzazione del controllo sugli atti; ma, in una attività di servizio come quella sanitaria, dove esiste ampia interazione tra gli operatori che devono lavorare in équipe e che svolgono le loro attività con un'ampia autonomia, si rivela estremamente inadeguata e riduttiva. I sistemi efficaci di erogazione di servizi sono caratterizzati da una buona integrazione tra esigenze e motivazioni delle persone e caratteristiche del processo lavorativo. La motivazione può essere concepita come canalizzazione di energia e come meccanismo di investimento energetico. Può essere concepita anche come sinonimo di soddisfazione sul lavoro (E. Spaltro, 1981). Dove la motivazione è carente e le persone si sentono estraniate è senz'altro necessario analizzare le mansioni per riprogettarle rendendole più interessanti e arricchendole. La concezione dell'espletamento delle attività lavorative per mansioni semplici, tipico di un sistema organizzativo tradizionale, basato sulla separazione tra lavoro esecutivo e manuale e processo decisionale, oltre ad essere sempre più rifiutata per motivi legati a motivazioni psico-pedagogiche oltreché per valori politici e sociali, lo è anche per la sua pratica inapplicabilità e inadeguatezza alle esigenze di lavoro delle attuali organizzazioni complesse. Infatti, è impossibile rispondere all'imperativo di erogare una forma di assistenza globale, di tipo sistemico, attraverso un'organizzazione del lavoro parcellizzata, per funzioni. Per questo, le organizzazioni più attente e sensibili, valendosi dell'apporto di studiosi dei problemi del lavoro (R. Vaccani, 1987), tendono a ricercare concrete alternative a metodi organizzativi tradizionali, mediante una riprogettazione delle mansioni tale da soddisfare gli interessi sia istituzionali che individuali e psicosociali del singolo lavoratore. La tecnica di arricchimento delle mansioni basata sulle teorie motivazionali (P. Hersey - K. H. Blanchard, 1987), interviene in modo sistematico sull'attività del singolo operatore, arricchendo il semplice compito di esecuzione con altri compiti quali la programmazione, il 90


controllo e il coordinamento del proprio lavoro, rendendo possibile una visione completa del rapporto esistente tra mansione e servizio finito. Una caratteristica motivante della mansione arricchita è costituita dalla mansione completa che si ha quando chi eroga una prestazione può avere un contatto diretto con chi la utilizza. Un'altra caratteristica motivante è costituita dall'autonomia che definisce il grado di libertà, indipendenza, discrezionalità che il lavoratore - o il gruppo - ha all'interno della mansione, per programmarla, determinarla ed eseguirla. L'autonomia dell'operatore è massima quando la prestazione, oltre ad elementi educativi, culturali e tecnici, contiene anche potere decisionale, caratteristica intrinseca delle mansioni qualificate di tipo professionale. Un'ulteriore caratteristica della mansione arricchita è costituita dalla conoscenza dei risultati delle prestazioni, con la possibilità di ricevere informazioni dirette sulla qualità-quantità del servizio erogato; premessa necessaria, questa, per la responsabilizzazione individuale e di équipe. Infatti la prestazione è ritenuta più qualificata della mansione, proprio perché introduce il concetto di responsabilità. Per definire concettualmente la prestazione infermieristica è molto utile il modello concettuale della Orem 50, fondato sulla individuazione di azioni definite di autoassistenza, che costituisce un utile schema logico per definire lo specifico professionale infermieristico, poiché pone l'uomo - considerato capace di autogestire i suoi bisogni psicofisici - al centro del processo di tutela della propria salute. Per la Orem il nursing concerne specificamente le necessità dell'uomo che sono in relazione con la "cura di se"/"autoassistenza" ("Self-Care"), cioè con "azioni che permettono all'individuo di godere buona salute e di rispondere in modo continuativo ai suoi bisogni, al fine di vivere in modo sano, guarire da malattie o ferite fronteggiandone gli effetti". Le "self-cares" sono indispensabili e non seguirle può significare malattia o morte 51. 50 Le teorie assistenziali di Dorothea E. Orem, relative alla "inadeguata cura di sé", sono esposte in: "I teorici dell'infermieristica e le loro teorie", di Marriner A., Casa Editrice Ambrosiana, Milano 1989. 51 La concettualizzazione delle "Self-Cares" è forse mutuata da Kurt Levin (la Orem lo cita nelle sue opere), che le considera processi mediante i quali ogni individuo da sempre opera costruttivamente e spontaneamente per una promozione della propria salute e per una 91


Le "self cares", azioni che permettono di mantenersi in salute, non sono innate nell'uomo, ma devono essere apprese e sono in relazione con credenze, abitudini e pratiche del gruppo socio-culturale di appartenenza dell'individuo. Sono azioni positive che necessitano di scelte e decisioni. Il nursing, che si basa su metodi e tecniche specifiche, consiste in procedure chiaramente stabilite - il piano-processo di nursing - per compiere azioni infermieristiche tendenti a compensare, o aiutare a superare, la mancanza di autoassistenza e deve essere attuato da persone tecnicamente specializzate e competenti. La Orem classifica i requisiti di autoassistenza come "gli scopi che si devono ottenere attraverso azioni denominate cura di sé" distinguendoli in: requisiti od esigenze universali, comuni a tutti gli esseri umani 52; requisiti o esigenze associate ad un processo evolutivo; requisiti o esigenze associate ad alterazioni dello stato di salute, in cui la persona da agente di "self-care" passa transitoriamente o permanentemente ad una situazione di fruitore di "self-care". I metodi di assistenza descritti dalla Orem sono i seguenti: prevenzione della malattia (A. Marriner, 1989). 52 La Orem individua esigenze universali: sufficiente apporto di aria, acqua, cibo; corretta funzione escretoria; equilibrio fra attività e riposo; equilibrio fra esigenza di solitudine ed interazione sociale; protezione dalle minacce alla propria sicurezza, alla salute, alla vita; mantenimento di una "normalità" in rapporto agli altri, con una visione realistica di sé stessi e con l'acquisizione di comportamenti adatti ad un processo di sviluppo e di salvaguardia della propria salute fisica e mentale; esigenze associate ad un processo di evoluzione: la nascita, l'infanzia, l'adolescenza, l'età adulta, la vecchiaia, la morte, quali forme specifiche di esigenze universali, processi della vita in cui è necessario prevenire condizioni nocive o di mitigarne gli effetti. Esigenze di assistenza: in situazioni di malattia, infortunio, limitazioni funzionali, indagini diagnostiche, prescrizioni terapeutiche, ecc.. Sono situazioni in cui si verifica un cambiamento nelle abitudini, una modificazione della propria immagine, del funzionamento e della struttura del proprio organismo, dei propri meccanismi psicologici e in cui si sviluppa un bisogno specifico di assistenza. 92


• agire in vece della persona malata; • orientare la persona; • sostenere la persona fisicamente e/o psicologicamente; • favorire un ambiente che permetta lo sviluppo personale, in modo da porre gradatamente ogni individuo che manifesti bisogno di aiuto nelle condizioni di far fronte alle situazioni di disagio presenti e future; • fornire una educazione permanente alla persona; I sistemi di nursing suggeriti dalla Orem sono tre: - il sistema di supporto-sviluppo, quando il malato è in grado di compiere o di apprendere certe misure terapeutiche di "self-care" ma deve comunque essere aiutato a raggiungere l'indipendenza attraverso un supporto, un orientamento, un ambiente adeguato e l'insegnamento; - il sistema parzialmente compensatorio in cui sia l'infermiere che il malato partecipano alle pratiche igieniche e alle tecniche di nursing necessarie. In questa relazione terapeutica la distribuzione di responsabilità tra due persone si diversifica in base alle limitazioni fisiche o psichiche del malato, alle conoscenze scientifiche e capacità tecniche richieste e alla preparazione psicologica del malato ad apprendere o compiere un certo numero di azioni; - il sistema totalmente compensatorio in cui il paziente ha un ruolo totalmente passivo e l'infermiere agisce in sua vece; Quando l'individuo è temporaneamente o permanentemente in una situazione in cui sviluppa uno specifico bisogno di aiuto tecnicamente competente ("self-cares" non soddisfatte), l'infermiere è tenuto a fornire prestazioni tendenti ad assicurarne il soddisfacimento 53. La prestazione infermieristica consiste infatti nel risultato conseguito mediante lo svolgimento di un complesso di azioni fra loro 53 Secondo lo schema concettuale fornito dalla Orem e come in qualsiasi relazione di aiuto, l'infermiere si trova, quindi, in una situazione in cui: -vi sono almeno due persone (chi dà aiuto e chi lo riceve), -vi è bisogno in chi cerca aiuto, di ottenere risultati in base alle "selfcares" terapeutiche, -vi è una limitazione nel seguire le "self-cares" da parte della persona che cerca l'aiuto, -vi è la capacità della persona che aiuta di agire in vece del paziente oppure di aiutarlo ad agire, -vi sono dei comportamenti complementari sia nella persona che dà l'aiuto, sia in quella che lo richiede. 93


coordinate, tese al soddisfacimento di un bisogno specifico di assistenza. Le prestazioni 54 rispetto alle quali l'infermiere ha una autonomia totale o prevalente, in cui non vi è interdipendenza o vi è interdipendenza molto limitata con altre professioni sanitarie - sia nella scelta delle azioni compensatorie che nelle modalità di erogazione - e in cui è direttamente responsabile dei risultati conseguiti, corrispondono all'assistenza di base necessaria per assicurare il soddisfacimento delle esigenze "universali" di ogni individuo 55. Vi sono prestazioni in cui l'infermiere invece ha un'autonomia limitata, poiché nel campo diagnostico e terapeutico le conoscenze specialistiche mediche hanno una consistente prevalenza. In queste ultime l'infermiere ha una interdipendenza media o medio-alta con altri professionisti e conseguentemente la responsabilità sui risultati è parziale. La responsabilità rimane totale sulla specifica prestazione professionale poiché l'infermiere può scegliere solo come eseguirla 56. In relazione alle teorie motivazionali e assistenziali esposte, risulta evidente che, per la professionalizzazione della funzione infermieristica, è fondamentale definirne gli obiettivi separando le prestazioni sanitarie mediche da quelle assistenziali infermieristiche. E perché si possa affermare un modello organizzativo in cui l'infermiere svolga la propria attività con ampia autonomia e 54 In base alle teorie della Orem, la prestazione infermieristica può essere definita come un sistema di decisioni e un insieme di azioni educative ed assistenziali, pianificate autonomamente dall'infermiere per rispondere ai bisogni di cure espressi da una persona. 55 In base al quadro concettuale esposto, queste prestazioni possono essere così individuate: - assicurare la respirazione; - assicurare l'alimentazione e l'idratazione; - assicurare l'eliminazione urinaria e intestinale; - assicurare l'igiene e il comfort; - assicurare il riposo e il sonno; - assicurare la funzione cardiocircolatoria; - assicurare un ambiente sicuro e terapeutico; - sviluppare una corretta interazione nella comunicazione. 56 Queste ultime prestazioni sono sicuramente: - applicare le procedure terapeutiche; - eseguire le procedure diagnostiche. 94


responsabilizzazione sulle prestazioni e sui risultati conseguiti, rispondendo concretamente e positivamente ai bisogni assistenziali, è indispensabile sviluppare una conoscenza e una competenza ampia e scientificamente fondata. E' altrettanto evidente che conoscenze approfondite, competenza e autonomia professionale, si possono acquisire esclusivamente se ci si può valere di una attività di formazione e di una struttura organizzativa che renda questo processo evolutivo innanzitutto possibile, poi obbligatorio.

3.5 - CAMBIAMENTO NEL RUOLO E NELLE FUNZIONI DELL'INFERMIERE DIRIGENTE E STRESS. Attualmente in ospedale, anche se in modo controverso e spesso contraddittorio, si sta affermando una mentalità scientifico-umanistica nell'affrontare i problemi assistenziali e gestionali e, contemporaneamente, si sta verificando un graduale cambiamento dei quadri dirigenti del personale infermieristico 57. Da una gestione di questi servizi, improntata ad uno stile autoritario di chi ne era alla guida, che comandava in quanto "capo", indipendentemente dal valore e dai contenuti oggetto di comando, ci si sta forse orientando ad uno stile più partecipativo, con la responsabilizzazione degli operatori nella determinazione degli obiettivi e nella pianificazione del lavoro. Il personale addetto ai servizi infermieristici del recente passato era un esecutore di ordini, senza possibilità di intervento nella formulazione delle decisioni, che doveva osservare assoluta obbedienza alle direttive provenienti dall'"alto" senza poter prendere in considerazione problemi di motivazione, comunicazione, partecipazione. Inoltre, fino al 1969, il ruolo di guida del Servizio Infermieristico in Italia era affidato a persone in possesso di un attestato di Infermiere Generico, abilitato alle funzioni con un determinato numero di anni di anzianità di servizio, senza una preparazione teorica 57 Questa "lettura" del "servizio infermieristico" si basa sulla osservazione diretta, attuale e passata (effettuata durante 23 anni di attività nel servizio stesso in ambito ospedaliero) e su un'analisi dettagliata della normativa che ne determina le attribuzioni e le competenze. 95


rapportata alla responsabilità assunta. Questa figura di dirigente infermiere, posto in ruolo con la denominazione di "Capo Infermiere Sorvegliante", con compiti di controllo del personale stabiliti con un regolamento interno all'istituzione ospedaliera, permane ancora per molto tempo dopo l'introduzione della figura del Capo dei Servizi Sanitari Ausiliari 58, che pure rappresenta un momento di notevole affermazione di autonomia del personale infermieristico. Il recente riconoscimento del ruolo centrale delle professioni assistenziali, messo ulteriormente in risalto dalla "emergenza infermieri", richiede invece, per la gestione dei servizi infermieristici, un quadro molto qualificato; infatti le responsabilità relative a questo ruolo aumentano progressivamente con un coinvolgimento diretto nella gestione di risorse che rappresentano elevati costi economici e che richiedono elevate competenze manageriali. La gestione di un servizio infermieristico richiede specifiche competenze sia tecnico-scientifiche che psico-sociali e organizzative e, a mio parere, può essere realizzata efficacemente solo da infermieri competenti in campo assistenziale e gestionale. Malgrado ciò, al contrario di quanto avviene in quasi tutti i paesi culturalmente ed economicamente progrediti, dove il dirigente dell'assistenza infermieristica ha reale autonomia e potere decisionale (S. Lombardo, 1987), si stenta a riconoscere, anche legislativamente, tale potere e autonomia, riservata invece a quadri dirigenti medici, per settori di attività al di fuori della loro specificità professionale. Inoltre, i vecchi quadri dell'assistenza infermieristica, spesso attestati su comportamenti organizzativi immobilistici e "sclerotici", oppongono una vera e propria resistenza ad accettare nella direzione dei servizi infermieristici, una nuova figura di dirigente con maggiore preparazione teorica. Questa resistenza consiste in valutazioni del tipo: "abbiamo sempre agito in un certo modo, abbiamo provato tutte le altre possibilità, non è possibile nulla di meglio, tutto ciò che dite non è che "teoria" equivalente ad "aria fritta", a cui spesso corrispondono atteggiamenti capaci di demotivare anche le persone più determinate. Il fatto di lavorare quotidianamente in una specifica situazione fa spesso credere di conoscerla perfettamente e l'abitudine di procedere in modo usuale fa pensare che non ne esistano altri. A causa di questo tipo di 58 Si tratta del Decreto del Presidente della Repubblica n° 130 del 1969 che stabilisce le attribuzioni delle varie professionalità presenti in ambito ospedaliero. 96


resistenze, i nuovi quadri incontrano grandi difficoltà di inserimento sia per se stessi che per le innovazioni basate sulle conoscenze teoriche acquisite, che vorrebbero introdurre nella gestione del servizio. Oltre a ciò si è determinato storicamente che i "Capi Infermieri Sorveglianti", quasi esclusivamente rappresentati da personale maschile, con l'introduzione nei servizi infermieristici di quadri dirigenti con scolarità maggiore, rappresentati prevalentemente da personale femminile, hanno vissuto questa situazione come un elemento di rottura di una consuetudine mai accettata completamente. Tuttavia, è vero anche che i quadri più giovani, dotati di una migliore formazione teorica, spesso però mancano della capacità di interagire con i quadri di vecchia formazione pratica, basata su una congrua esperienza lavorativa. Una integrazione delle rispettive conoscenze, teoriche e pratiche, potrebbe realmente determinare una evoluzione complessiva del servizio e della categoria. Di frequente, invece, gelosie rispetto alle proprie conoscenze (sapere è potere) e alta competitività, caratterizzano i nuovi quadri, peraltro ampiamente ricambiati, poiché sono conoscenze (quindi potere) anche quelle "pratiche", che derivano dall'esperienza lavorativa. Si addebita ai nuovi quadri, i "teorici", di preferire l'insegnamento remunerativo economicamente e per la natura piacevole della prestazione - oltre alla ricerca teorica, alle pubblicazioni, ai congressi ecc., ritenuti occasione di evasione e un modo per evitare di "misurarsi" con le situazioni complesse, spesso conflittuali, costituite dalla realtà lavorativa. In verità, l'intervento operativo non è remunerativo ma "rischioso", pertanto ogni "attrazione" per occasioni di aggiornamento professionale e affermazione personale viene letta come "carrierismo" e "fuga" da problematiche complesse, contingenti o emergenti, spesso scomode, la cui soluzione viene lasciata quasi esclusivamente ai "pratici". Forse è necessario analizzare e superare anche queste dinamiche per governare (o tentare di governare) il "cambiamento" del servizio infermieristico, per renderlo realmente "migliore", oltreché autonomo. Infatti, il cambiamento organizzativo a cui è soggetto il servizio infermieristico nel suo complesso è determinato da molteplici fattori interni ed esterni al sistema. Questi fattori possono essere ricondotti alle modificate esigenze del processo assistenziale che rende necessario un adeguamento dei modelli organizzativi e, contemporaneamente, alle modificate esigenze relative alle competenze dei quadri che richiedono una professionalizzazione adeguata alle nuove realtà. 97


Questa situazione si traduce, nella maggior parte dei casi, in un senso di inadeguatezza, di conflittualità e di stress in particolare riferito al ruolo. Il ruolo, termine che proviene direttamente dal mondo teatrale, si riferisce al comportamento collegato ad una posizione (G. Marocci, 1984). Il ruolo sociale lavorativo per gli infermieri collocati in una posizione di direzione e di coordinamento, viene ad assumere una dimensione rilevante in cui prevale la tendenza ad investire molte delle energie personali. Come sappiamo, il lavoro contribuisce in modo fondamentale alla stima di sé - poiché rende possibile controllare la propria autovalutazione rispetto alla valutazione fornita dagli altri -, per acquisire o confermare un senso di valore personale. Infatti, la soddisfazione professionale che nasce da un'attività ricca di significato - anche se si tratta di una professione scarsamente riconosciuta -, unita al senso di riuscire facilmente a fronteggiare le richieste dell'ambiente lavorativo realizzando sé stessi pienamente, costituisce un ottimo fattore antistress. Al contrario, il cambiamento imposto, quando modifica situazioni se non pienamente soddisfacenti e gratificanti per lo meno sicure in quanto normalmente conosciute e fronteggiate, determina nelle persone che lo devono subire situazioni di stress che danno luogo ad un'ampia gamma di somatizzazioni fino alla "fuga nella malattia". In qualsiasi struttura organizzativa vi è la necessità di adeguarsi a regole comportamentali autoimposte o imposte dall' "autorità" (la quale può essere costituita da una direzione vissuta come estranea) o dal gruppo di cui si fa parte. Quando le regole imposte vengono vissute come fattori di "giustizia" in quanto significative per il benessere collettivo, generalmente determinano adesione, ma quando vengono vissute come ingiuste o prive di significato costituiscono causa di stress. Così pure il "potere" che è esercitato dalla gerarchia (ma anche dai gruppi), con modalità talvolta positive - vissute come possibilità di espressione delle potenzialità individuali -, ma anche con finalità negative, di controllo - vissute come repressive -, può essere generatore di stress. Per queste ragioni, forse, quando l'infermiere è investito di un ruolo a cui dovrebbero corrispondere funzioni di direzione e di coordinamento - oltre che didattiche -, ma che in realtà è di "persona di fiducia" della direzione medica, è anche facilmente indotto ad assumere 98


comportamenti che oscillano tra l'identificazione con la direzione, quella con i collaboratori e quella con i colleghi. Questa situazione genera necessariamente conflitto, come avviene quando un ruolo è ambiguo e mal definito, per le pressioni incompatibili tra di loro che producono un aumento della tensione e una diminuzione della soddisfazione, oltre a creare forti tensioni fra i colleghi. Naturalmente vi sono persone perfettamente e spontaneamente in grado di identificarsi con ruoli ambigui e che trovano comodo e piacevole vivere e lavorare "all'ombra del potere costituito". Generalmente, le distorsioni e le dissonanze tra ambiente, caratteristiche individuali, percezioni soggettive possono tradursi in stress e influire sulla valutazione che la persona si forma sulla sua situazione lavorativa e sulla possibilità di affrontarla con successo. Ma "la consapevolezza delle proprie tensioni e la formazione professionale contribuiscono ad un ottimale adattamento dell'uomo al suo lavoro mettendolo in grado di affrontarlo con successo (to cope)" (G. Marocci, 1984). Per questo, per raggiungere una vera autonomia professionale basata su una preparazione e competenza specifica, omogenea a quella degli altri operatori sanitari, non è più differibile una riforma del sistema formativo professionale. Dalla prima regolamentazione 59 relativa alla istituzione delle "scuole convitto" per infermieri professionali, la formazione infermieristica è stata sempre al di fuori dell'ordinamento generale degli studi e in una posizione anomala rispetto al sistema della pubblica istruzione 60. 59 R. D. 21 novembre 1929 n. 2330, Legge 25 febbraio 1971 n. 124, DPR 13 ottobre 1975 n. 867. 60 Com'è noto, a seguito della L.25/2/1971, attuata dal 1972, il trasferimento dallo Stato alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di istruzione e formazione degli "esercenti le professioni e le arti sanitarie ausiliarie", ha determinato una diversificazione dell'ordinamento scolastico tra una Regione e l'altra, anche se il diploma (non in tutti i casi) è controllato dallo Stato. Il d.d.l. di riordino della professione infermieristica del Ministro della Sanità De Lorenzo (n° 5081/1990), attualmente in fase di discussione, "ridisegna" la professione infermieristica in Italia, affrontando i problemi inerenti la formazione, la definizione dei 99


Attualmente la preparazione degli infermieri è estremamente disomogenea sul territorio nazionale e spesso non c'è nessuna corrispondenza tra le necessità riferite a funzioni e ruoli specifici e l'insegnamento impartito 61. Occorre quindi una profonda revisione dei processi di formazione al fine di ottenere l'adeguamento della professionalità alle nuove metodologie educative e organizzativo-assitenziali, alle nuove tecnologie diagnostico-terapeutiche e, soprattutto, a modelli comportamentali evoluti, con una base di requisiti culturali uniformi. E' altrettanto necessario rendere possibile nonché obbligatorio un adeguamento delle competenze attraverso la formazione e l'aggiornamento del personale già in servizio - anche per non creare fratture ed emarginazioni -, con un sistema organizzato di corsi di qualificazione permanente del tipo già previsto e parzialmente attuato 62. Ai corsi di aggiornamento e qualificazione dovrebbe corrispondere un adeguamento delle funzioni e una ridefinizione del profilo professionale ai fini sia giuridici, che di motivazione e di incentivazione.

3.5.1 - Funzioni di direzione e di coordinamento e leadership. Il servizio infermieristico di un ospedale può essere considerato come un sottosistema molto articolato e complesso che si diversifica ai vari livelli della struttura organizzativa, con momenti di unificazione e centralizzazione e momenti di diffusione. Il processo di cambiamento in atto, non privo di difficoltà, tende a ruoli, il reclutamento, ecc.. 61 Nell'ambito della professione infermieristica, è quasi universalmente ritenuto necessario e urgente prevedere un insegnamento infermieristico omogeneo, inserito nel sistema statale a livello postsecondario superiore, con successiva istituzione della Facoltà di Scienze Infermieristiche, anche per adeguare il nostro Paese alle raccomandazioni del Consiglio d'Europa sulla formazione di base e complementare degli infermieri. 62 Il D.P.R. n° 761 del 1979, prevede l'obbligatorietà formalizzata di periodici corsi di aggiornamento per tutto il personale dipendente dal S.S.N.. 100


superare la tradizionale relazione di dipendenza e subordinazione gerarchica dell'infermiere dal personale medico della direzione 63, modificandola in una relazione funzionale per i fini istituzionali comuni e per le funzioni gestionali e organizzative a carattere interdisciplinare. Il modo più comune e diffuso di organizzare le attività di un sistema organizzativo, quindi anche di un servizio infermieristico, è infatti quello di suddividere le posizioni al di sotto del vertice in base ad alcune funzioni fondamentali, a loro volta suddivise in sub-funzioni. Questo modello organizzativo prevede funzioni direttamente finalizzate al servizio assistenziale delle unità operative e funzioni di supporto. Si ha così sempre un polo di direzione (line) che dal livello centrale arriva fino alle unità operative, e un supporto di conoscenze ed esperienze di personale specializzato (staff), capace di integrare le competenze specialistiche con quelle operative. Scegliendo lo schema logico interpretativo fornito da J. D. Mooney (1956), l' organizzazione può essere definita come la forma che ogni associazione umana assume per il raggiungimento di un obiettivo comune. Secondo l'autore, l'arte o la tecnica dell'amministrazione può essere definita come l'arte di dirigere e ispirare gli uomini basata su una profonda comprensione della dimensione umana, e la tecnica dell'organizzazione come l'arte di stabilire una relazione tra funzioni e prestazioni specifiche in modo coordinato; pertanto l'organizzazione si può considerare antecedente in ordine logico all'amministrazione e si può presumere che i suoi principi esistano da sempre 64. Il coordinamento può essere considerato un principio 63 Attualmente le unità organizzative della Direzione Sanitaria del Servizio Ospedaliero, sono: Segreteria, Ufficio Statistica e organizzazione sanitaria, Archivio clinico e biblioteca medica, Servizi di assistenza sanitaria e sociale, Ufficio per l'organizzazione dei servizi del personale sanitario ausiliario, tecnico ed esecutivo addetto ai servizi sanitari: quest'ultimo equivale al futuro auspicato "Ufficio Infermieristico", autonomo rispetto alla direzione medica; ma attualmente le funzioni di quest'ufficio possono essere definite di staff alla direzione. 64 L'etimologia del termine organizzazione, derivante dal greco (organon significa strumento, organo fisico, ed ergon significa lavoro, opera, ufficio, esecuzione) indica una attività finalizzata svolta da più parti di un insieme coordinato (A. Rugiadini, 1979). 101


fondamentale dell'organizzazione, definibile come l'ordinamento costituito per uno sforzo collettivo finalizzato all'unità di azione nel perseguimento di un obiettivo comune (J. D. Mooney, 1956). Le organizzazioni, in particolar modo quelle erogatrici di servizi, sono create e formate da persone il cui comportamento organizzativo è influenzato da molteplici fattori, prevalentemente di tipo psicosociale, che occorre saper coordinare e finalizzare per raggiungere qualsiasi obiettivo istituzionale. Perciò è necessario che tutti i membri di un'organizzazione conoscano quali sono gli obiettivi da raggiungere, come e perché il raggiungimento di determinati obiettivi sia essenziale per il mantenimento e lo sviluppo dell'organizzazione e come ciò coincida con l'interesse di tutti i suoi componenti. Ogni elemento motivazionale, nel processo di coordinamento, ha la funzione di armonizzare i rapporti interni all'organizzazione, e, al fine di ottenere una reciproca intesa e una mutua partecipazione, ogni membro dell'organizzazione dovrebbe, oltre che conoscere gli obiettivi istituzionali, sapere anche come raggiungerli. Il raggiungimento di obiettivi specifici in un sistema assistenziale richiede quindi una specifica filosofia di servizio, una intenzionalità, una direzione determinata dagli obiettivi e dalla conoscenza specifica dei mezzi per raggiungerli e da un insieme di valori che costituiscono lo spirito dell'organizzazione. La direzione è la forma che l'organizzazione assume quando partecipa al processo di realizzazione di qualsiasi obiettivo istituzionale. Per le attività di direzione occorrono le competenze e le qualità psicologiche che caratterizzano mentalità e stili di gestione efficaci. Nei comportamenti di direzione organizzativa si possono evidenziare modelli diversi caratterizzati da diversi stili che variano dall'autoritario-autocratico, all'autoritario-paternalistico, al partecipativo-consultivo fino al partecipativo di gruppo. Questi stili di gestione possiedono caratteristiche operative relative a motivazioni, comunicazioni, controllo, obiettivi, che determinano risultati organizzativi molto diversi (P. De Vito Piscicelli, 1984). Chi dirige influenza i comportamenti di coloro che in un certo modo dipendono da lui, per cui dovrà conoscere globalmente e completamente, fin dall'inizio, gli obiettivi e i risultati presumibili dell'attività che si propone di dirigere al fine di poter coordinare ciascun fattore con tutti gli altri, finalizzandoli al raggiungimento dello scopo 102


comune; nello stesso tempo dovrà saper sviluppare le capacità altrui soprattutto attraverso un continuo processo educativo, con l'obiettivo principale di trasmettere i modelli comportamentali su cui si fonda la professione, per garantire un'assistenza realmente efficace. L'acquisizione di una reale competenza professionale è tanto più necessaria, in quanto, in base al principio della delega, colui cui l'autorità ha demandato di fornire una prestazione ne diviene poi pienamente responsabile. Lo scopo finale di ogni organizzazione e della sua leadership è quindi quello di realizzare la correlazione scientifica e l'integrazione di tutte le funzioni basate sui principi organizzativi, avendo come obiettivo primario l' uomo e un'adeguata soluzione dei suoi bisogni assistenziali. In quest'ottica, il servizio di consulenza ha il compito di fornire pareri e consigli non solo ai dirigenti, ma anche agli operatori dei livelli periferici della "line" che accedono agli organi di "staff" quando necessitano di informazioni e supervisione 65. Le diverse funzioni non sono del tutto separate, poiché nell'organizzazione vi sono settori che hanno compiti sia consultivi che direttivi e di coordinamento. Il servizio infermieristico, nel contesto di un'organizzazione complessa qual'è un presidio ospedaliero che ha la caratteristica di policlinico di grosse dimensioni, con grande varietà ed articolazione di settori e attività clinico-diagnostiche, con la qualifica di ospedale universitario e di centro avanzato sul piano scientifico e culturale, deve necessariamente prevedere una articolazione delle sue funzioni. Quindi in un modello organizzativo "staff-line", l'operatore professionale dirigente dell'assistenza infermieristica svolge funzioni di direzione e coordinamento finalizzate alle unità operative, attraverso un rapporto diretto con i coordinatori infermieristici (e/o tecnici) dei reparti o dei servizi. Le funzioni di direzione funzionale-organizzativa hanno un percorso verticale discendente - dal centro alle unità operative - e, per obiettivo, il funzionamento complessivo della struttura, la distribuzione 65 Gli organi di staff di un ufficio infermieristico, possono essere rappresentati dai luoghi organizzativi in cui si producono servizi per la "line", quali ad esempio l'Ufficio per la prevenzione ed il controllo delle infezioni nosocomiali, l'Ufficio formazione e aggiornamento, l'Ufficio ricerca, progetti e sperimentazioni in grado di fornire un supporto specialistico. 103


del personale infermieristico e tecnico sulla base di metodi esatti ed obiettivi oltre a tutti gli aspetti organizzativi necessari per il funzionamento dei reparti e dei servizi. Le funzioni di coordinamento hanno un percorso orizzontale con l'obiettivo del mantenimento e del miglioramento quali-quantitativo dell'organizzazione assistenziale delle unità operative. A livello dell'unità operativa, "cellula" del sistema sanitario e sede degli operatori infermieristici e tecnici, le due funzioni di direzione e di coordinamento debbono essere necessariamente unificate e i coordinatori del servizio infermieristico svolgono entrambe le funzioni. Per le funzioni di direzione e di coordinamento del servizio, l'infermiere dovrà acquisire le capacità di renderlo efficiente con uno stile di leadership efficace. La leadership consiste in un processo volto a influenzare le attività di un individuo o di un gruppo che si impegna per il conseguimento di obiettivi in una determinata situazione (P. Hersey - K. H. Blanchard, 1987). Poiché sembra non esistano caratteristiche intrinseche della personalità o insieme di qualità attuali o potenziali che possano distinguere i leader dai non leader , si può ritenere - in un'ottica comportamentale e situazionale -, che la leadership consista in un processo dinamico, variabile da una condizione all'altra con il variare dei leader, dei collaboratori e delle situazioni. Si ritiene possibile migliorare l'efficacia dei ruoli di direzione e coordinamento attraverso il processo educativo, la formazione e l'addestramento. La leadership situazionale, secondo lo schema concettuale fornito da P. Hersey e K. H. Blanchard, si fonda su un'azione reciproca che si svolge tra una quantità equilibrata di guida e direzione (comportamento direttivo) e di sostegno socioemotivo (comportamento di relazione) forniti da un leader, oltre che sulla maturità dei collaboratori nel perseguire uno specifico compito, funzione od obiettivo. In questo contesto la maturità è definibile come la capacità delle persone di assumersi la responsabilità di indirizzare il proprio comportamento in rapporto ad uno specifico compito da svolgere. Così pure il concetto di potere è strettamente collegato con il modello di leadership, perché è, appunto, uno dei mezzi principali con i quali il dirigente può influenzare i collaboratori. Il potere è definito come il potenziale di influenza di un leader, risorsa che permette di indirizzare e di ottenere il consenso. Infatti, il potere deriva o da un mandato organizzativo che definisce la posizione, 104


o dall'influenza personale, o da entrambi. L'autorità è un particolare tipo di potere che trae origine dalla posizione ricoperta dal leader che si legittima in virtù del ruolo formale all'interno di un'organizzazione sociale. Dovrebbe essere visto come una quantità finita, poiché il dirigente ha solo una quantità limitata di potere: limitata dal potere degli altri e cioè dai collaboratori, dal potere relativo alla natura del compito, dalle fonti di potere esterne alla unità organizzativa, ecc.. Risorsa, quindi, da utilizzare in forma flessibile e realistica. E' logico ritenere che il livello di maturità dei collaboratori sia uno degli elementi fondamentali che non solo determina quale stile di leadership avrà le più elevate probabilità di successo, ma che determina anche le basi di potere che il leader dovrebbe utilizzare per indurre al consenso i collaboratori o per influenzarne positivamente il comportamento. Quindi l'efficacia di un dirigente non dipende solo dallo stile di leadership ma anche dalle basi di potere di cui dispone e dal fatto che queste siano coerenti o meno con i livelli di maturità dell'individuo o del gruppo che sta cercando di influenzare. Valendosi in modo flessibile del modello situazionale, il dirigente di un servizio infermieristico potrà orientare il suo comportamento nelle funzioni di direzione e coordinamento per individuare lo stile di leadership più efficace. Nell'adottare qualsiasi modello comportamentale è comunque utile considerare che le persone sono naturalmente più complesse di quelle razionali-economiche, sociali e autorealizzatrici di cui gli studiosi tentano di delineare il profilo. Gli uomini sono entità estremamente vitali, possono apprendere nuovi motivi, sono motivati sulla base di diversi tipi di bisogni e possono reagire a tipi di influenzamento diversi. E gli individui complessi mettono a dura prova le capacità diagnostiche dei manager; quindi i dirigenti per essere efficaci devono modificare il loro comportamento adattandolo alle varie circostanze (P. Hersey, K. H. Blanchard, 1987).

CAPITOLO 4 L'INFERMIERE DIRIGENTE, OPERATORE DI CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO NELLE UNITA' OPERATIVE DEL SERVIZIO OSPEDALIERO 4.1 - LE UNITA' OPERATIVE.

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L'unità operativa costituisce un sottosistema del sistema organizzativo ospedaliero. Può essere definita come un insieme di attività che assume rilevanza organizzativa e presenta condizioni di vario genere e natura - attrezzature, spazi fisici, comportamenti organizzativi -, per erogare una o più prestazioni (A. Zangrandi, 1988). Per unità operativa si può intendere la Divisione, la Sezione, il Servizio Diagnostico, il Day Hospital, oppure un insieme di sottounità all'interno di uno specifico reparto. Una unità organizzativa può essere costituita anche da un gruppo di operatori che esercitano una funzione nell'ambito di più servizi (E. Borgonovi, 1988). Può essere definita unità operativa anche un insieme di sottounità coordinate e dirette da un'unica figura: primario, direttore o coordinatore. Le sub-unità delle organizzazioni quindi, possono essere le divisioni e le sezioni come sottosistemi, ma anche le variabili significative ed interagenti che separano e accomunano tutte le subunità. "Queste variabili hanno a che fare con obiettivi, compiti, tecnologie, organizzazioni umane e sociali, strutture e relazioni esterne "faccia a faccia". Si possono visualizzare le organizzazioni come composte da un sottosistema di obiettivi, un sottosistema di tecnologia, un sottosistema umano e sociale, un sottosistema strutturale, un sottosistema di rapporti con l'esterno (P. De Vito Piscicelli, 1984). Concettualmente il termine di unità operativa, nel contesto organizzativo assistenziale, viene introdotto da norme legislative relativamente recenti 66 per rappresentare una nuova modalità di organizzazione, dove vengono riconosciuti la professionalità, la competenza, le affinità professionali e la pratica interdisciplinare, quali principi ispiratori di un nuovo modo di lavorare a superamento del modello gerarchico-istituzionale rigido e settorializzato. La costituzione delle unità operative ha lo scopo di valorizzare le competenze specifiche e l'autonomia delle équipes assistenziali, sulla base della professionalità e della ricomposizione delle modalità di erogazione delle prestazioni. L'unità organizzativa va anche intesa come unità funzionale che persegue forme di lavoro di gruppo per diversi settori di attività, onde permettere concretamente di realizzare l'integrazione delle conoscenze generali degli operatori con gli aspetti diagnostico-terapeutici ed assistenziali in continua evoluzione. 66 L'elencazione delle leggi dove compare una definizione di U.O. è la seguente: L. 833/'78, L. 595/'85, L. Reg. Emilia Romagna 1/'80, L. 109/'88. 106


Nella pratica operativa, si può facilmente percepire che l'organizzazione dell'assistenza - all'interno delle unità operative spesso risente della mancanza di una effettiva azione di indirizzo e motivazione concretamente capace di elevare, adeguare e uniformare i livelli quali-quantitativi delle prestazioni assistenziali. Infatti, non è molto diffusa la capacità di condurre l'assistenza mediante una direzione per obiettivi e di modulare l'offerta delle prestazioni assistenziali in base alla continua diversificazione dei bisogni dell'utente. Il quadro intermedio coordinatore dell'assistenza infermieristica (capo sala) ed i collaboratori (infermieri professionali, generici e specializzati) vengono spesso lasciati completamente a se stessi nel compimento della loro attività assistenziale, che, talvolta, si esprime con atteggiamenti di tipo ancillare - più di "assistenza al medico che di assistenza al malato" -, più spesso con comportamenti faticosamente tendenti a produrre modelli assistenziali più evoluti, anche se con insufficienti strumenti conoscitivi e strutturali. Com'è fin troppo noto, attualmente il ricovero ospedaliero è quasi l'unica risposta che viene fornita a chi ha bisogno di assistenza e di cura. Istituzionalmente, invece, il ricovero ospedaliero dovrebbe essere riservato a specifiche esigenze di cura, la cui riposta possa essere fornita esclusivamente da una struttura altamente qualificata e specializzata 67. Adeguamenti organizzativi alle diversificate necessità dell'utente del servizio sanitario, costituiti da un incremento di forme alternative alla degenza ospedaliera 68, forse fornirebbero risposte più efficaci e soddisfacenti, oltre a ridurre notevolmente i costi sia economici che umani. I ricoveri impropri impediscono il ricovero tempestivo a persone affette da patologie acute, costringendole a periodi di attesa per quadri clinici che trattati precocemente potrebbero risolversi positivamente, ma che, trattati con ritardo, condannano la persona interessata ad una penosa lungodegenza, con inadeguata soluzione del problema, in un classico circolo vizioso. 67 Sembra evidente che anche una effettiva integrazione funzionale fra strutture ospedaliere e territoriali per le attività di preospedalizzazione e dimissione protetta potrebbe ridurre inutili prolungamenti dei tempi di degenza. 68 Le forme assistenziali alternative alla degenza ospedaliera possono essere costituite da poliambulatori, division day, hospital day, "case protette" e center day territoriali per anziani, oltre a centri assistenziali domiciliari per anziani, per pazienti cronici o in fase terminale, per portatori di handicap, ecc.. 107


L'operatività risente anche pesantemente della perenne carenza numerica di infermieri adeguatamente preparati e motivati, aggravata da elevato turn-over, da assenteismo reattivo, da pre-pensionamenti o dimissioni precoci che privano l'équipe del potenziale culturale necessario alla continuità, base di ogni crescita professionale: meccanismo perverso che aggrava carichi di lavoro già molto elevati, per la proporzione negativa esistente tra numero di operatori e numero di degenti e per turni di lavoro disagevoli, con lunghe fasce orarie anche notturne e festive; condizioni lavorative che, oltre a non rispettare i ritmi biologici, compromettono anche il sistema dei rapporti sociali. Oltre a ciò esiste una notevole discrepanza fra il tipo di formazione ricevuta dagli infermieri e l'operatività quotidiana. L'assenza di un riconoscimento sociale, giuridico ed economico e un'organizzazione del lavoro generalmente insoddisfacente (per irrazionale utilizzo delle risorse, mansioni improprie, regole e procedure non corrispondenti a concezioni ergonomiche) fanno sì che, a differenza di altri professionisti sanitari, gli infermieri non riescono a trasmettere un'immagine positiva del loro specifico professionale; il che ostacola il reclutamento di giovani della provincia e della regione fin dalla scuola di formazione professionale 69. Ugualmente, l'esperienza dimostra che esistono esempi di buona funzionalità delle unità operative qualora vengano salvaguardate condizioni organizzative di base anche minime, ma con risorse qualiquantitative sufficienti, di personale e strutturali. Risulta evidente che, per migliorare gli attuali livelli assistenziali, è indispensabile - oltre a un migliore livello di conoscenze-competenze dell'infermiere, del quadro intermedio-coordinatore e del dirigente dell'assistenza infermieristica - anche un miglioramento delle funzioni organizzative e gestionali, attraverso la formazione, l'aggiornamento, la ricerca e la sperimentazione di nuovi modelli organizzativi, finalizzati 69 Questo trend negativo fa sì che i posti disponibili nelle scuole professionali per infermieri nella Regione Emilia Romagna vengono ricoperti solo per il 50-60% delle potenzialità e del fabbisogno individuato. Già dal 1982, a livello regionale il fabbisogno di infermieri risultava essere del 38-40% inferiore alla disponibilità, come emerge dai dati forniti da: Regione Emilia Romagna, Assessorato lavoro e formazione professionale, L'occupazione nel settore sanitario in E.R., Regione lavoro, Franco Angeli, Milano, 1987. 108


al cambiamento.

4.1.1 - La comunicazione efficace nel sistema delle unità operative. In una visione sistemica del servizio ospedaliero in cui il livello delle unità operative è quello più periferico, è "dimostrabile e dimostrato che, nel campo in grande espansione del "terziario sociale" 70 , il massimo di efficienza è ottenibile, non attraverso sistemi gerarchici stabiliti nella grande dimensione, ma attraverso sistemi capillari autogestiti" (R. Guiducci, 1976). In un sistema decentrato, la partecipazione è indispensabile per il conseguimento di buoni risultati basati sui rapporti umani e sulle competenze professionali. E' indispensabile anche la massima diffusione di un sapere tecnico-scientifico e psico-sociale, tradizionale patrimonio di esperti i quali, anziché "continuare a gettarsi in una gara insensata per divenire primi e pochi servitori del potere centralistico, dovrebbero distribuirsi al servizio dei numerosissimi centri decentrati"... Mentre invece, attualmente, il vertice "di loro si nutre quel tanto che serve al loro potere e alla dimostrazione della necessità del vertice stesso, che per il resto rigetta una quantità enorme di possibilità innovative" (R. Guiducci, 1976). Ma soprattutto, per conciliare il "generale" (tradizionale patrimonio del "vertice"), con la frantumazione del "particolare" ("orizzontale", specifico delle unità operative decentrate), è di fondamentale importanza stabilire una efficace comunicazione organizzativa. Sembra ormai acquisito, infatti, che i problemi relativi a sistemi organizzativi complessi non si possano risolvere adeguatamente né attraverso l'accentramento del potere, né attraverso la sua frantumazione in piccole unità, ma attraverso l'integrazione di piccole unità in un sistema complessivo. Questo modello implica una ripartizione del potere ai vari livelli e una connessione delle unità in "un sistema di comunicazione che 70 L'autore si riferisce ad ambiti istituzionali quali: ricerca, istruzione, sanità, assistenza, abitazione, tempo libero e cultura, amministrazione decentrata, ecc.. 109


assicuri il funzionamento in tempo reale della retroazione sociale: e cioè di un aggiustamento reciproco delle decisioni prese ai vari livelli" (G. Ruffolo, 1976). Le tecniche di comunicazione oggi disponibili - tradizionalmente utilizzate quasi esclusivamente in senso discendente -, con un flusso circolare delle informazioni, possono consentire di realizzare un "sistema nervoso" capace di mettere in relazione tra di loro tutte le unità, e le unità con tutti i livelli del sistema (G. Ruffolo, 1976). La comunicazione può essere analizzata in base a quattro prospettive diverse: - la comunicazione intrapersonale riguarda prevalentemente le attività di comunicazione con se stessi; - la comunicazione interpersonale si focalizza sulle interazioni tra gli individui e i gruppi; - la comunicazione organizzativa riguarda il flusso delle comunicazioni attraverso i canali formali e informali delle organizzazioni; - la comunicazione tecnica si basa sul progetto e sulle operazioni di sistemi informativi di management (S. Sica, 1984). Come abbiamo visto, l'organizzazione del lavoro, definibile come un insieme di ruoli strutturati per svolgere specifiche funzioni tese a specifici obiettivi, è anche un sistema di relazioni intersoggettive che per funzionare necessita di regole condivise ma non vincolanti, da rinegoziare continuamente, in cui sono presenti più tipologie di comunicazione. Secondo questa visione, i gruppi di lavoro e le unità operative sono contesti interattivi nei quali, per le loro specifiche caratteristiche, possono determinarsi facilmente comunicazioni disfunzionali, in particolar modo quando l'aspetto della relazione (di comando, metacomunicazione) è preponderante rispetto al contenuto (notizia, messaggio oggetto) e il contenuto è in funzione della relazione e non viceversa (M. G. Garuti Ghirardini, 1982). La comunicazione è tanto più disfunzionale nei rapporti intersoggettivi e di ruolo, quanto più il rapporto fra comunicanti è caratterizzato affettivamente, e cioè esiste una conflittualità e questa è "coperta", esiste disuguaglianza fra i comunicanti intesa come impossibilità di intrattenere relazioni simmetriche, disuguaglianza che si configura in termini di potere (percepito come dominio). Così pure è spesso rilevabile la presenza di messaggi e comunicazioni ambigue, 110


disfunzionali, emotive, di silenzi eloquenti per il metamessaggio che riescono a trasmettere ed anche di significative lacune nell'informazione 71 . Per questo si può dire che le comunicazioni corrispondono a ciò che sono le organizzazioni. Le organizzazioni che si configurano come sistema chiuso (oppure aperte solo "di facciata") sono caratterizzate da una cultura psicosociale, determinata (o pesantemente condizionata) dal vertice, nella quale il sentimento di appartenenza coincide con il "sentimento di totalità compiuta, buona, perfetta". In queste organizzazioni del lavoro la differenza (di atteggiamenti, di idee, di cultura) è considerata devianza minacciante da reprimere e la leadership tende a configurarsi come carismatica. Il conflitto viene vissuto come realtà patologica e la valutazione e il sistema premiante è "della persona sulla persona", non funzionale ma basato sulla fedeltà e l' amicizia; il potere tende ad essere dominio, controllo delle differenze e l'autorità tende all'autoritarismo (M. G. Garuti Ghirardini, 1982). In questo contesto le informazioni sono ambigue, i messaggi apparentemente informativi veicolano di fatto ingiunzioni e "ordini" tendenti a perpetuare il sistema. L'ordine funzionale serve spesso a mascherare l'ordine di potere vigente di cui non si può discutere; potere che utilizza razionalizzazioni spinte tendenti a farlo apparire determinato da fattori oggettivi, esterni, non modificabili. Si ha così la percezione che le comunicazioni siano funzionali più che per gli scopi dichiarati di efficienza, per il mantenimento del potere costituito. 71 Infatti, poiché tutti i comportamenti, non solo verbali, sono comunicazione e, poiché non esiste il "non comportamento", non può esistere la "non comunicazione". Ne consegue che, nelle organizzazioni del lavoro come nelle altre situazioni relazionali, il proprio comportamento influenza sempre il comportamento altrui. Come sappiamo, nella comunicazione il contenuto e la relazione sono realtà fondamentali e sempre presenti. Il contenuto manifesto della comunicazione, che avviene usando mezzi e supporti differenti, è verbale, costituito cioè dalla parola; il contenuto latente è rappresentato dai pensieri e dalle relazioni sottostanti ai processi interpersonali che costituiscono la comunicazione non verbale. Questi ultimi, più difficili da decodificare, si manifestano in una certa misura attraverso il comportamento (mimica facciale, gestualità, posizione corporea). 111


Invece, in organizzazioni del lavoro che si configurano come sistema aperto, dove cioè prevale l'aspetto del gruppo di lavoro finalizzato e specializzato (impegnato nel raggiungimento di obiettivi chiari e concordati), le comunicazioni, anziché essere dominate da dinamiche affettive e da logiche emotive inconsce, sono generalmente più chiare, finalizzate, precise, centrate prevalentemente sugli aspetti dell'informazione e del coinvolgimento. Inoltre, nei "sistemi aperti", la comunicazione organizzativa è caratterizzata dal prevalere di un "flusso circolare" delle informazioni. Le difficoltà attuali nella comunicazione organizzativa efficace vengono individuate in "ostacoli di natura situazionale e ostacoli di natura semantica. I primi deriverebbero dall'organizzazione e dai suoi aspetti formali e, i secondi, dalle tecniche di comunicazione usate" 72. Tuttavia, attualmente la comunicazione nelle organizzazioni non è sufficientemente studiata e manca di concettualizzazioni, ricerche, applicazioni pratiche e tecniche (E. Spaltro, 1981). In una situazione organizzativa che da una dimensione prevalentemente gerarchica tenda ad una dimensione strutturata ma partecipativa e che utilizzi comunicazioni organizzative sorrette dai grandi sistemi dell'informatica - anche in relazione alle concezioni teorico-pratiche riferite alle unità socio-tecniche - si possono prevedere considerevoli progressi e innumerevoli possibilità, molto rilevanti per l'organizzazione complessiva del lavoro, quindi anche per l'assistenza infermieristica. Infatti, il prevedibile sviluppo delle comunicazioni organizzative in campo assistenziale, presenta implicazioni e possibilità attualmente solo ipotizzabili, rispetto alle quali è comunque evidente la necessità di rendere partecipi alla progettazione del sistema informativo coloro che dovranno utilizzarlo.

4.1.2 - Alternative possibili nei modelli organizzativi delle unità operative: le unità socio-tecniche. L'unità operativa ospedaliera, al pari di qualsiasi agenzia preposta all'erogazione di prestazioni, si può considerare - in base all'analisi su esposta - come un sistema psico-sociale, tecnologico, informativo, 72 Così si esprime, assai acutamente, Miotto A., in Consumo, comunicazione e persuasione, 1974, citato da Spaltro E., 1981. 112


educativo e decisionale, che opera e vive per il raggiungimento del suo obiettivo primario "ridare salute al malato" e dei suoi obiettivi specifici "fornire specifiche prestazioni assistenziali diagnostico-terapeutiche". L'unità operativa si può anche contemporaneamente considerare come un sotto-sistema, e cioè un'entità che fa parte di un sistema più ampio con il quale ha un continuo interscambio. "... le organizzazioni vengono definite come sistemi operativi dotati di una serie di correnti di input e output; il sistema include uno o più meccanismi di feedback per l'autoregolazione"..."E' il meccanismo del feedback che costituisce l'aspetto più importante di questa definizione in quanto consiste in quel particolare meccanismo di retroazione che consente il collegamento tra l'organizzazione e l'ambiente e tra l'organizzazione e il suo interno; questi meccanismi consistono in avvisi che l'output o prodotto finale è inferiore o superiore alla misura richiesta" (De Vito Piscicelli P., 1984). Per le unità operative ospedaliere, sono sicuramente da preferire formule organizzative flessibili, facilmente modificabili, in cui i gruppi di lavoro varieranno nella misura richiesta dalla natura dei problemi e non solo sulla base di disposizioni e procedure programmate, imposte dall'alto e decise in modo rigido. Anziché autorità, disciplina, gerarchia, razionalizzazioni spinte, è certamente preferibile l'integrazione tra obiettivi individuali, di gruppo, e quelli generali della organizzazione. Le organizzazioni più flessibili e differenziate permettono inoltre un maggiore adattamento all'ambiente rispetto ad organizzazioni anche ad elevata efficienza ma rigide. I presupposti fondamentali su cui è fondata la teoria dei sistemi (A. Fabris, 1975) per l'interpretazione della fenomenologia organizzativa, rilevante in un sistema di erogazione di servizi e prestazioni qual'è l'unità operativa, sono così sintetizzabili: 1) - il raggiungimento degli obiettivi di ogni sistema organizzativo deve essere progettato in linea con le esigenze tecnologiche, culturali e strutturali ma anche con le esigenze psicologiche degli individui che vi lavorano. Un'organizzazione del lavoro che si ponga al di fuori dei limiti delle esigenze tecno-strutturali, porta ad un risultato di inefficienza. Ma quando un'organizzazione del lavoro non è in grado di soddisfare i bisogni sociali e psicologici delle persone, gli atteggiamenti negativi di risposta impediscono la piena utilizzazione delle possibilità tecno-strutturali con assenteismo e inefficienza. Per questo è di 113


fondamentale importanza un equilibrato rapporto fra efficienza globale e grado di soddisfazione che le persone traggono dal lavoro. E' vero che l'efficiente operatività tecno-strutturale pone dei limiti alla flessibilità del sistema; ma varie esperienze 73 dimostrano che, entro determinati limiti, vi è un consistente arco di scelta per gli aspetti psico-sociali dell'organizzazione. Nell'ambito posto dalle esigenze assistenziali, l'organizzazione del lavoro più soddisfacente è quella che fornisce maggiori opportunità per una adeguata soddisfazione dei bisogni educativi, psicologici e sociali, che vanno studiati per ciascun sistema organizzativo e per ciascuna situazione culturale. Le organizzazioni del lavoro in grado di predisporre modelli organizzativi che prevedono il lavoro d'équipe, generalmente sono più accettate rispetto a organizzazioni basate prevalentemente sulla razionalizzazione del lavoro. L'unità operativa, in una organizzazione assistenziale non gerarchica ma funzionale, va vista più come un insieme integrato di funzioni che come una suddivisione di compiti, ed anche come un sistema coordinato di attività il cui principio unificante è costituito dall'obiettivo istituzionale: ridare salute alla persona malata. 2) - Ogni unità operativa, vista come un sistema "socio-tecnico", è inserita in un ambiente ed è condizionata dalla cultura, dai valori e dalla strutturazione dei ruoli sociali (A. Fabris, 1975). Le persone che la compongono devono poter conoscere e capire quali sono i fattori ambientali condizionanti. La nostra società, caratterizzata da un notevole sviluppo scientifico e tecnologico oltre che da problemi economici, energetici, ecologici ecc., condiziona inevitabilmente ogni unità organizzativa, sia nella definizione dei programmi entro cui stabilire obiettivi significativi, che nella definizione dei vari progetti e priorità. Altrettanto necessaria è la conoscenza di tutti i problemi sociali e sindacali relativi alla dinamica della struttura occupazionale e alla riconversione delle specializzazioni, specialmente in relazione alla cosiddetta "crisi della vocazione infermieristica" e alla conseguente necessità di ricorrere al reclutamento di personale proveniente da realtà 73 A. Fabris, 1975: l'autore riferisce sulle esperienze collegate al Tavistock Institute of Human Relation, integrate con quelle di studiosi e ricercatori quali: Burns e Stalker, Woodward, Lawrence e Lorsch. 114


socio-economiche diverse da quelle della sede di lavoro. I processi di cambiamento che riguardano le persone e i gruppi che fanno parte delle unità organizzative sono molti e molto differenziati. La perenne contestazione dell'autorità, della gerarchia delle funzioni e delle professioni, le richieste di partecipazione estese a tutti gli aspetti della vita e quindi anche del lavoro, mettono in crisi le tradizionali strutture e modalità lavorative. Infatti, gli atteggiamenti nei confronti della vita, del lavoro, dei valori, dei modelli comportamentali, della famiglia e delle istituzioni in genere, cambiano rapidamente e continuamente. Perdura tuttavia la richiesta che le ampie opportunità fornite dal progresso siano messe a disposizione di tutti (e non rimangano tradizionale patrimonio di pochi con un'eccessiva sperequazione del potere degli "uni sugli altri"), in una prospettiva, quindi, di reale "autorealizzazione globale" dell'uomo. In ogni caso, secondo le recenti teorie organizzative, differenti condizioni esterne richiedono differenti caratteristiche organizzative interne (P. De Vito Pisicelli, 1984). Ambienti dinamici, caratterizzati da un grado elevato di incertezza e variabilità, pongono problematiche organizzative diverse da quelle presenti in ambienti più stabili e ogni sistema deve adattarsi all'ambiente per sopravvivere; questo vale tanto per l'organizzazione generale che per le singole unità operative. 3) - Una unità organizzativa deve soddisfare gli obiettivi specifici per i quali è istituita, considerando complessivamente le condizioni economiche dell'azienda di cui fa parte. L'unità operativa è la dimensione nella quale viene misurata l'efficacia-efficienza con cui le risorse economiche, umane, strutturali e tecnologiche vengono utilizzate per raggiungere lo scopo primario "ridare salute all'uomo malato". Ciascuna delle dimensioni - educativa, psico-sociale, tecnica, economica - ha un rapporto di interdipendenza con le altre e anche valori indipendenti e propri. Se le varie dimensioni non sono coerenti fra di loro, ma una dimensione raggiunge condizioni ottimali rispetto alle altre, ciò non porta necessariamente all'ottimizzazione di tutto il sistema (A. Fabris, 1975). Più facilmente porta a squilibri e interferenze negative, rendendo il raggiungimento dell'obiettivo globale difficile o anche impossibile. Nei "sistemi chiusi" gli obiettivi sono predeterminati e la strategia per il loro raggiungimento si basa su comportamenti organizzativi tendenti ad ottenere la certezza, incorporando soltanto le variabili positivamente utilizzabili e soggette ad una strutturata rete di controllo. 115


Ma isolare artificialmente il sistema da alcune variabili e dal suo ambiente, se può essere una necessaria convenzione per renderne possibile e facilitarne la comprensione e la gestione, può anche assumere il significato di togliere all'organismo e al sistema proprio la sua vitalità (A. Fabris, 1975). Il metodo euristico, al contrario, può guidare grado per grado, per tentativi e ricerche, verso obiettivi che all'inizio non si conoscono in dettaglio, ma di cui si conosce l' intenzionalità, la direzione e, quando vengono raggiunti, se ne conosce il risultato. E' un sistema molto simile a quello che in natura viene seguito spontaneamente dagli organismi nella continua lotta per la sopravvivenza, in cui il processo di adattamento avviene attraverso una serie di tentativi che permettono di esplorare diverse soluzioni che arricchiscono la gamma delle possibili risposte. Le unità operative, come tutti i sistemi aperti, sono sistemi organizzativi troppo complessi per essere definiti in modo completo. La teoria dei sistemi e la cibernetica forniscono alcuni concetti capaci di mutuare una migliore conoscenza delle variabili organizzative presenti nelle unità operative quali l'omeostasi, la varietà o molteplicità, l'incertezza e la regolazione (A. Fabris, 1975). In base alle teorie sistemiche, si può affermare che, nel conseguimento di specifici obiettivi, tanto più un sistema è aperto e vitale, tanto meno può essere interamente regolato dall'esterno, per cui occorre favorire processi di autoregolazione. Assimilando analogicamente l'unità operativa ospedaliera ad un "sistema aperto", caratterizzato dalla estrema "variabilità" relativa a tecnologia, cultura e soggettività e dalla necessità di una "autoregolazione", il modello "autogestione" si può configurare come estremamente corrispondente alle necessità organizzative in essa presenti.

4.1.3 - L'autogestione delle unità operative. Nella ricerca dei suoi presupposti teorici, è ricorrente il concetto di autogestione fondato soprattutto su di un principio filosofico più generale: l'autodeterminazione quale "processo in cui la cosciente attività pratica degli individui diventa una delle condizioni di vita 116


necessarie e sufficienti per l'individuo o per il gruppo" (M. Markovic, 1976). L'autogestione può essere definita un progetto di liberazione dell'uomo, che nasce, cresce, si delinea con la nascita e lo sviluppo dell'uomo stesso e che si ripropone costantemente, non per identificare modelli societari alternativi, ma per reclamare la realizzazione di condizioni che agevolino tale processo di autorealizzazione e autoliberazione in armonia con gli altri uomini e con l'ambiente (M. La Rosa, 1978). E poiché l'uomo deve potersi realizzare pienamente e liberamente anche e soprattutto nel lavoro, il lavoro deve potersi configurare orientato alla emancipazione della persona e a rispondere alle sue necessità esistenziali. Teoricamente autorealizzarsi per l'uomo dovrebbe significare "non" negare alcunché di se stesso e degli altri, poiché la sua libertà e la sua prassi pienamente e totalmente umana è libertà non solo per se stesso ma anche per gli altri. Ma nella realtà operativa queste concezioni riscontrano molte obiezioni, anche perché forme di autogestione reale nel lavoro riconducono facilmente a tematiche economiche e di potere. Per questo, forse, spesso si preferiscono le tradizionali forme basate sulla delega e sulla parzializzazione delle conoscenze in quanto ritenute più adatte all'attuale processo produttivo estremamente complesso e articolato che esige decisioni rapide e competenti (che si ritiene possano essere garantite solo da una gestione tecnocratica, proposta come non politica) (M. La Rosa, 1978). Ugualmente la partecipazione può rappresentare un processo innovativo tendente al cambiamento se spontaneamente acquisita da un gruppo o da una organizzazione (e non imposta, codificata in schemi predeterminati e costanti), soprattutto se non si trasforma in "ideologia", strumentale e funzionale a strategie e politiche dei dirigenti, estranea quindi ai gruppi o ai collettivi eterodiretti. Pur considerandone oltre alle potenzialità anche i limiti, per le necessità di un servizio infermieristico l'autogestione può significare coinvolgimento, sensibilizzazione, motivazione e partecipazione nel lavoro, considerato parte del sociale di cui tutti devono essere protagonisti per affrontare l'evoluzione dei tempi con strutture adeguate e uomini adeguati. Infatti abbiamo visto come, per far fronte a condizioni esterne che mutano continuamente, la struttura organizzativa debba essere flessibile tanto quanto i suoi operatori. E l'operatore sanitario e il suo posto di lavoro sono necessariamente collegati, poiché il servizio infermieristico 117


non può basare i suoi obiettivi e i suoi programmi su risorse inesistenti o troppo povere; deve, al contrario, in funzione dei suoi obiettivi e dei suoi programmi, essere in grado di acquisire e utilizzare risorse umane che, ognuna al proprio livello, possano esprimere creatività e partecipazione, traendone appagamento non solo economico; deve infine rendere gli individui protagonisti in un vero processo di autorealizzazione. L'autogestione nel senso di partecipazione operazionalizzata è un modello concettuale e teorico di riferimento che costituisce uno dei meccanismi operativi di funzionamento delle organizzazioni (M. Depolo, 1987). Il raggiungimento degli obiettivi specifici di una azienda di servizi come l'ospedale, è indubbiamente più agevole se, oltre al soddisfacimento di uno dei bisogni primari dell'individuo quale la sicurezza del posto di lavoro, realizza una correlazione positiva tra autorealizzazione-autodeterminazione individuale e sviluppo organizzativo-istituzionale. Infatti, quantità e qualità di prestazioni realmente in grado di soddisfare le richieste dell'utenza, possono essere raggiunte solo se la struttura formale del servizio e le persone che vi operano concorrono insieme alla realizzazione del servizio e non nel servizio. Per questo l'autogestione nel senso di collaborazione, non è solo una affermazione ideologica, ma necessita di "indirizzi, metodologie, strumenti per tradurre i concetti in azioni poiché evidenziare genericamente i problemi è critica, proporre soluzioni è collaborazione". E "per concretizzare l'autogestione si deve quindi passare attraverso un processo di appropriazione di tecniche al fine di analizzare i problemi, individuare le cause, stabilire le priorità, proporre soluzioni, misurare i risultati" (M. Depolo, 1987). In definitiva è necessario trasferire a tutti i livelli un metodo manageriale di lavoro. Nella definizione data, la partecipazione non è un dato assoluto, ma una dimensione che può variare da un minimo ad un massimo. All'interno di una organizzazione esistono delle modalità più o meno partecipative di gestire i processi organizzativi. Secondo questo particolare metodo, quando si interviene in una unità operativa per migliorarne l'organizzazione interna, l'unico obiettivo ragionevole è quello di incrementare il grado di partecipazione 118


dei singoli o del gruppo a tutti i processi significativi della vita del servizio, concentrando l'attenzione sugli obiettivi istituzionali dell'organizzazione. Questo perché "la partecipazione non è un qualcosa di diverso dai comuni processi lavorativi, ma un modo diverso di fare le stesse cose. Incrementare il grado di partecipazione all'interno di una qualsiasi azienda significa dar vita ad un processo di apprendimento (organizzativo) attraverso il quale ciascuna azienda e ciascun componente dell'azienda impara ad interagire in modo diverso con tutti gli altri componenti coinvolti nelle dinamiche organizzative" (M. Depolo, 1987). Secondo questa interpretazione, la partecipazione è una variabile organizzativa e non un "dare spontaneo" che si verifica autonomamente, ma una modalità lavorativa legata alle caratteristiche del piccolo gruppo omogeneo. Come tutte le altre funzioni istituzionali del servizio deve essere programmata, gestita, supportata, controllata. Ai processi partecipativi occorre dedicare risorse, tempo, competenza, tecnologie e professionalità, poiché essi devono coinvolgere tutta la struttura dell'unità operativa - dirigenti e quadri, medici e infermieri, impiegati, tecnici, ausiliari - come parte del compito lavorativo, realizzando quindi una maggiore integrazione. Anche senza sconvolgere la tradizionale struttura gerarchica e senza diluire le responsabilità dei singoli in responsabilità di gruppo, con il modello organizzativo autogestione non si sprecano le conoscenze e le competenze dei singoli e, contemporaneamente, si realizzano meccanismi di controllo organizzativo per l'individuazione delle disfunzioni prima che queste divengano ingestibili. L'autogestione ha una valenza universale ma la specificità delle istituzioni e del servizio sanitario in particolare è quella di non essere una semplice azienda di produzione di beni d'uso o di consumo. L'operatore dei servizi non dipende da un privato ma da un servizio istituzionalmente patrimonio della collettività e per la collettività. Produce prestazioni per il più grande dei bisogni e dei beni dell'uomo: la salute. E' un dipendente ma anche parte interessata al servizio in quanto erogatore del servizio stesso e, contemporaneamente, utente e cittadino. Nell'attuazione pratica del modello organizzativo "autogestione dell'unità operativa del servizio ospedaliero", si ha la costituzione di 119


una équipe assistenziale "fissa", composta dalle unità infermieristiche e ausiliarie statisticamente rilevate come necessarie a garantire una presenza numerica costante nell'arco delle ventiquattr'ore. Questa équipe fissa, deve garantire inoltre la copertura delle assenze per le varie cause - malattia, permessi ordinari e straordinari, aggiornamenti professionali, ecc. -, gestendola direttamente a livello periferico, anziché centrale. In base all'esperienza lavorativa, la condizione di autogestione delle risorse umane determina una consistente diminuzione dei carichi di lavoro 74, poiché conoscendo la specifica unità operativa - struttura, processo, modalità operative e clima organizzativo -, si ottiene generalmente un migliore coinvolgimento, una diminuzione dell'assenteismo, del turn-over, delle malattie da stress, ecc.. Si concretizza così anche la possibilità di informare, formare, coinvolgere tutto il personale su obiettivi assistenziali specifici. In alcune realtà, dove gli organici sono realmente adeguati come quantità e qualificazione, il modello organizzativo autogestione, realizzato assieme all'organizzazione del lavoro per piccole équipes, si è dimostrato vincente al di là di ogni più ottimistica previsione 75. Proprio perché l'obiettivo della professione infermieristica è l'uomo e i bisogni umani, è di importanza fondamentale il processo educativo-motivazionale; per cui non è possibile rimandare né tanto meno demandare il fondamentale diritto-dovere di autogestire la funzione infermieristica attraverso formazione, aggiornamento, progettazione, ricerca e sperimentazione del cambiamento organizzativo, oltre ad una verifica sistematica dell'adeguatezza dello specifico sistema in cui si vive e si opera. 74 Infatti, "nella maggior parte dei compiti è possibile distinguere fra una componente "energia" ed una componente "informazione" che interagiscono tra di loro e possono condurre all'esperienza di stress quando una delle due o entrambe sono insufficienti. Questa interazione rappresenta "il carico" in relazione sia agli aspetti fisici che a quelli psicologici del lavoro" (G. Marocci, 1984). 75 Mi riferisco ad esperienze specifiche, già consolidate o in corso di progettazione, descritte da operatori del servizio ospedaliero, quali ad esempio: Davoli C., Taroni A. M., Tabarroni F., "Autogestione, un modello organizzativo"; Fiamminghi M. "Organizzare l'assistenza infermieristica per piccole équipes", esperienze dirette riportate sulla rivista Vent' Otto, 1-2 1988, USL 28 Bologna Nord. 120


Anche l'analisi delle varie cause di disagio lavorativo, deve servire a proporre e attuare un miglioramento delle "condizioni" operative attraverso l'acquisizione di nuovi modelli da sperimentare e verificare, in un processo dinamico, sempre in continua crescita ed evoluzione, per incidere in modo riconoscibile sul miglioramento degli interventi assistenziali, migliorando così anche l'immagine della professione infermieristica. Comunque, all'interno di qualsiasi struttura organizzativa, l'insieme delle condizioni oggettive presenti nella situazione lavorativa (ambiente fisico, tecnologia, procedure), non produce nelle persone che vi operano risposte meccanicamente predeterminate poiché sono fondamentali i molteplici aspetti che caratterizzano il clima organizzativo, molto rilevanti per i processi di partecipazione. In quest'ottica la partecipazione si può definire: "un processo incrementale (va da un minimo ad un massimo), non solo spontaneo, che richiede di essere programmato, supportato, gestito e controllato attraverso processi di apprendimento organizzativo. E' un modo diverso di lavorare (e cioè deve essere), parte del compito di ciascuno. E' presenza competente (che garantisce) integrazione sociale e flessibilità". La partecipazione organizzativa nel servizio ospedaliero e nelle sue unità operative funzionali "è inoltre: appartenenza e informazione" (M. Depolo, 1987).

4.2 - I PICCOLI GRUPPI DI LAVORO. Nel sottosistema organizzativo delle unità operative autogestite, il lavoro "in gruppo" degli infermieri - in contrapposizione al modello classico ancora prevalente del lavoro individuale, parcellizzato, per compiti -, può costituire un modello alternativo molto valido. Considerando alcuni aspetti soggettivi dell'attività lavorativa in gruppo, si può dire che questa costituisca un nuovo modo di essere, un cambiamento organizzativo, con la ricerca di un livello più alto di efficienza, una riaffermazione dell'organizzazione finalizzata a scopi chiari, negoziati, pluralmente perseguibili in cui per l'individuo è possibile un maggiore investimento delle proprie potenzialità e, conseguentemente, una maggiore motivazione all'attività lavorativa. 121


Generalmente nel gruppo emerge un sentimento di appartenenza, un sentimento del plurale, in cui si accetta di far parte del sociale (E. Spaltro, 1981). Il "sentimento di gruppo" aiuta ed educa a raggiungere una maggiore sicurezza personale ed a gestire i sentimenti di colpevolezza insiti in ognuno, nel senso che abitua gli individui a meglio gestire i propri stati di insicurezza (E. Spaltro, 1981). Così pure il comando e la leadership costituiscono una parte molto importante della cultura di gruppo. Per certi aspetti il comando viene decolpevolizzato in quanto si ritiene che non vi sia comando buono o cattivo in sé, ma che la qualità del comando sia dipendente dall'efficienza raggiunta nel realizzare un determinato fine con una leadership più o meno adeguata a situazioni specifiche. Ogni gruppo include sempre anche la dinamica del potere. Esso viene solitamente sperimentato dagli individui in due forme: paura di subire e speranza di esercitare potere e, nella percezione del sentimento del potere che viene a costituire parte importante del clima di gruppo, prevale senz'altro il sentimento che il potere altrui costituisca una diminuzione del proprio anziché un aumento di potere del gruppo. Inoltre, agli individui che lo compongono, il gruppo pone proposte e quesiti sempre diversi, a causa della eterogeneità che in genere lo caratterizza, e quindi rappresenta contemporaneamente speranze e paure. Nella ricca e complessa fenomenologia dei gruppi, le speranze, che hanno una caratteristica soggettivamente vissuta come positiva, danno luogo ai così detti fenomeni di gruppo e le paure, al contrario, danno luogo alle classiche difese. L'insieme delle speranze e delle difese danno luogo alle note e complesse dinamiche di gruppo (E. Spaltro, 1981). Per questo, al contrario di quanto normalmente avviene, prima di attivare forme lavorative "di gruppo", occorrerebbe una specifica formazione alla cultura e alla ricca fenomenologia che le caratterizzano, al fine di evitare costosi fallimenti.

4.2.1 - Modello organizzativo-assistenziale per piccole équipes o nursing-team. Sul piano organizzativo il comportamento del gruppo appare 122


caratterizzato da una molteplicità di fattori interdipendenti, riconducibili alle attività mentali, fisiche ed educative relative al compito, così come alle dinamiche inerenti ai fenomeni e alle relazioni che si instaurano tra i componenti del gruppo, ed anche ai sentimenti, stati d'animo, desideri e fantasie presenti negli individui, sia in relazione all'attività che ai rapporti interpersonali. I gruppi, pur essendo diversi nel riferimento teorico, riproducono le stesse invarianti fenomenologiche rispetto ai contesti (R. Carli, 1981). L'unità operativa autogestita costituisce un sistema organizzativo che richiede l'attuazione di un insieme di prestazioni relative a specifici obiettivi da raggiungere. L' assistenza per obiettivi consiste in un processo mediante il quale gruppi di lavoro costituiti da infermieri coordinatori e collaboratori, individuano insieme degli obiettivi assistenziali e definiscono le attività e le responsabilità di ciascuno in termini di risultati da raggiungere, con relative forme di valutazione. "I gruppi di lavoro autonomo costituiscono un tentativo per allargare il compito, fino alla conclusione logica di attribuire al gruppo la responsabilità di compiere un lavoro finito. Questa strategia aumenta naturalmente il coinvolgimento di ogni persona che è così più soddisfatta, anche se in termini di costo e tempo questi gruppi sono risultati meno economici". In essi si determina "una nuova strutturazione delle relazioni sociali, producendo una nuova classe di leadership di gruppo " (G. Marocci, 1984). Poiché il momento propositivo più avanzato della professione infermieristica è l'attuazione del processo di nursing e del relativo piano di assistenza quale modalità che permette una specifica considerazione del malato nella sua globalità, è senz'altro necessario attivare le forme organizzative che ne rendano possibile l'attuazione. Fra i modelli di organizzazione del lavoro infermieristico (dalle ricerche effettuate in letteratura e attraverso la diretta osservazione 76, sono state individuate forme assistenziali alternative rispetto alle attuali, raggruppabili in tre principali tipologie: rotazione dei compiti tra operatori di pari qualifica (mantenendo una impostazione funzionale), riguardante esclusivamente la distribuzione orizzontale di talune 76 Un gruppo di ricercatori e formatori hanno svolto indagini in tal senso, i cui risultati sono stati pubblicati: Lombardo S., Lelli F., Pini R., (a cura di), L'assistenza infermieristica per piccole équipes, Principi teorici ed esperienze applicative, SAGO, Firenze 1987. 123


mansioni, senza modifiche sul piano organizzativo; assegnazione di ciascun malato ad un solo infermiere che ne diviene integralmente responsabile durante tutto il corso della degenza, designato primary nursing care; articolazione del lavoro per piccole équipes o nursing teams finalizzata ad accrescere l'interazione operatore-malato. Fra tutti, il modello organizzativo per piccoli gruppi o nursing team che ha molte applicazioni negli Stati Uniti, in Canada e nei paesi europei fra cui il nostro 77, sembra essere quello più idoneo a determinare una buona motivazione del personale e una reale personalizzazione dell'assistenza, anche se presenta varie implicazioni organizzative e strutturali. Sul piano strutturale il gruppo di lavoro (o piccola équipe, o team), nella unità operativa autogestita, rappresenta la costituzione del più piccolo raggruppamento formale di persone, necessario per svolgere una specifica attività assistenziale all'interno dell'organizzazione, coordinato da un membro dello stesso gruppo. Nel sistema organizzativo, questa forma di unità operativa, viene a costituire un sottosistema del sistema infermieristico situato all'interno del sistema sanitario ospedaliero. Questo gruppo omogeneo di lavoro, esiste, agisce, giustifica la propria presenza ed è legittimato solo se dimostra di essere in grado di funzionare, e cioè di conseguire specifici risultati riconoscibili, sia per livelli valutabili dal punto di vista quali-quantitativo, che per la realizzazione di un clima organizzativo caratterizzato dal soddisfacimento di bisogni, aspettative e desideri personali di ciascun individuo. Gli obiettivi di autorealizzazione, di potere, di crescita personale e professionale che ognuno implicitamente o esplicitamente desidera e tende a realizzare in un rapporto di lavoro, si ottengono infatti solo attraverso relazioni interpersonali soddisfacenti tra i membri del gruppo e tra gruppo e utenti, tutti fattori questi che si influenzano reciprocamente. Questo modello organizzativo per piccole équipes, realizza i presupposti per il miglioramento dell'assistenza, oltreché per il 77 Significative esperienze del modello organizzativo per piccole équipe sono presenti a Firenze presso l'Ospedale S. Giovanni di Dio, presso il Presidio Ospedaliero Multizonale di Monza e presso l'Ospedale Regionale di Bolzano, come risulta dalle pubblicazioni SAGO, già citate; ed anche presso il Policlinico Ospedaliero S. Orsola-M. Malpighi di Bologna, anch'esse già citate. 124


miglioramento della qualità del lavoro e della motivazione, e si fonda su una concezione di assistenza individualizzata, orientata ai bisogni della persona considerata nella sua globalità, quale unità bio-psico-sociale. Le piccole équipes sono integralmente responsabili di piccoli gruppi di malati nella sezione di degenza che viene suddivisa dal punto di vista funzionale (e, in taluni casi, anche strutturale) in piccoli settori autosufficienti (e autogestiti). Tutte le prestazioni e funzioni assistenziali e di supporto sono compiute dagli operatori costituenti l'équipe stessa; viene così garantita la continuità nelle prestazioni assistenziali da uno stesso gruppo agli stessi malati. L' équipe è composta da infermieri professionali, infermieri generici, ausiliari con funzioni di assistenza alberghiera e allievi. Leader del gruppo è necessariamente l'infermiere più qualificato, denominato "capo équipe" o "team leader", con la responsabilità diretta dell'organizzazione complessiva del lavoro: struttura, processo, clima, grado di soddisfazione degli utenti. La responsabilità della quantità-qualità delle prestazioni e dei compiti specifici è da attribuire invece direttamente agli operatori che - in base alle specifiche competenze - li eseguono. Il principio organizzativo dell'équipe si fonda sulla delega delle responsabilità in funzione delle competenze di ciascuno. Nell'ambito del modello organizzativo per piccole équipes, ogni singolo operatore è responsabile della sua parte di lavoro 78, ma partecipa alla pianificazione dell'assistenza personalizzata per ogni singolo malato assieme a tutto il gruppo. Per la suddivisione dei malati vengono utilizzati diversi metodi riconducibili a criteri topografici e criteri legati alle patologie e alla criticità delle condizioni cliniche del malato. La metodologia assistenziale è quella del piano-processo di 78 Ad esempio: la sanificazione ambientale, effettuata da un operatore con la qualifica di ausiliario socio-sanitario, anziché costituire una serie di compiti stabiliti e predisposti da altri operatori, diviene uno specifico piano di lavoro, programmato e autogestito da colui che lo deve compiere; l'ausiliario in questione partecipa ad uno specifico corso formativo e di addestramento, viene fornito di principi, metodi, mezzi, gli vengono specificati i risultati attesi, ed è lui a decidere come e quando svolgere i singoli compiti che compongono il processo di sanificazione. 125


nursing con l'utilizzo della cartella infermieristica, quale efficace sistema informativo specificamente orientato al malato. Questo modello assistenziale, pur non esente da difetti e conflittualità, generalmente determina una maggiore motivazione delle persone e una maggiore responsabilizzazione e diffusione del potere, maggiore integrazione e partecipazione, maggiore continuità nella relazione infermiere-malato, riconoscimento del risultato di un proprio operare significativo, spirito di appartenenza ed emulazione fra équipes; per gli allievi, costituisce la possibilità di integrazione tra teoria e prassi. D'altro canto sono stati rilevati alcuni fattori negativi quali, ad esempio, lo scadimento della motivazione negli infermieri di livello inferiore per la scarsa autonomia nei confronti dei team-leader oltre ad un aumento della conflittualità per un mancato affiatamento tra i colleghi dello stesso gruppo e tra i diversi gruppi che compongono una sezione (o una divisione) o un servizio. Si è evidenziata anche una rilevante conflittualità determinata dallo scostamento tra le aspirazioni degli operatori alla specializzazione e le caratteristiche di job enlargement - proprie del lavoro per piccole équipes - ed anche dalla eccessiva competitività. Così pure il miglioramento della qualità dell'assistenza non è sempre garantito dall'attività per "piccoli gruppi", poiché, dalle misurazioni dei risultati effettuate in esperienze diverse 79, emergono dati discordanti e contraddittori. Molte delle esperienze specifiche sviluppate nel nostro Paese sono fallite per cause strutturali, e precisamente per la mancanza di un adeguamento di organico 80, che, anche se minimo, è la premessa indispensabile per la realizzazione di qualsiasi modello tendente al miglioramento dell'assistenza 81. Invece i piccoli gruppo di lavoro, 79 Queste esperienze, riferite a rilevazioni fatte in ospedali italiani, europei ed americani, sono riportati nell'ampia documentazione degli operatori SAGO, già citata. 80 Per esempio a Firenze, presso l'Ospedale S. Giovanni di Dio, la settorializzazione dell'attività infermieristica è fallita per carenze strutturali, com'è documentato dagli operatori della SAGO, già citati. 81 Le necessità specifiche per realizzare modelli assistenziali adeguati alle esigenze espresse dagli utenti e correttamente individuate, sono documentate da molte ricerche effettuate "sul campo", fra cui quella 126


quando vengono prima di tutto resi possibili, poi correttamente applicati, anche se non risolvono sicuramente tutti i problemi legati al processo assistenziale, sul piano dei risultati complessivi si rivelano sistematicamente migliorativi rispetto ai metodi tradizionali 82.

4.2.2 - I conflitti nel piccolo gruppo omogeneo di lavoro. Una organizzazione, considerata globalmente, è costituita dall'insieme dei suoi gruppi di lavoro o unità organizzative. Sia che si tratti di gruppi formali o di gruppi informali, in essi è sempre presente un certo grado di conflittualità. Questo conflitto, definibile come l'equivalente organizzativo dell'emotività individuale, costituisce l'origine della vita psichica nelle organizzazioni, così com'è la sorgente dei moltissimi disturbi che le caratterizzano (E. Spaltro, 1981). Il concetto di conflitto, e cioè è di diversità ineliminabile e necessaria "al sociale", si rileva facilmente osservando che la mancanza di conflitto rende l'organizzazione rigida e statica. Infatti, i conflitti sorgono solo dove vi è la possibilità di esperire più alternative e, se rimangono contenuti nei limiti che si possono considerare fisiologici, costituiscono un elemento di creatività, vitalità, dinamismo oltreché di evoluzione e sviluppo delle organizzazioni. L'eccesso di conflitto, invece, rende le organizzazioni ingovernabili, compromettendo, oltre il buon funzionamento complessivo, anche il raggiungimento stesso degli obiettivi generali e specifici del servizio. In ogni caso, la mancanza come l'eccesso di conflitto, non consentono alle organizzazioni del lavoro la necessaria differenziazione effettuata da: Cavazzuti F., Perelli R. e altri, "Ricerca infermieristica per l'individuazione e la soluzione di alcuni problemi assistenziali in una divisione geriatrica", pubblicata su Gli Ospedali della Vita, Rivista delle Unità Sanitarie Locali, nn. 27-28-29, Bologna, 3 Maggio/Giugno 1989. 82 Mi riferisco, ad esempio, alle attuali esperienze in atto presso la Terza Clinica Pediatrica, sezione Oncoemopatici, e presso la Cardiologia Pediatrica nel Policlinico S. Orsola-M. Malpighi di Bologna, già citate. 127


per una loro crescita, costringendole a rimanere "nel presente e nell'integrazione unitaria che le paralizza " (E. Spaltro, 1981). I membri dei gruppi omogenei in campo assistenziale hanno una formazione dello stesso tipo e svolgono compiti uguali o similari in un ambito fisico comune. Le dinamiche interne di questi gruppi, accomunati dalle stesse finalità lavorative, sono caratterizzate dalla fenomenologia che caratterizza tutti i gruppi e, in particolare, dalla tendenza alla "esportazione" dei conflitti interni con conseguente aumento della coesione del gruppo (E. Spaltro, 1981). Come si può facilmente osservare, all'interno del gruppo omogeneo, di solito si determina un'ampia coesione che coinvolge fortemente tutti i componenti nella strutturazione del compito lavorativo. Dove esiste il modello assistenziale "piccola équipe autogestita", vengono fornite linee guida attraverso il processo di formazione e le condizioni strutturali di base; la pianificazione e il processo del nursing vengono progettati e attuati dalla équipe stessa. La direzione interviene quando è specificamente richiesta, per fornire sostegno e consulenza tecnica e, infine, per valutare la qualità dell'assistenza affinché non si verifichino scostamenti significativi dagli standards prestabiliti. Ma se la necessità di suddividere il lavoro in piccole unità autogestite corrisponde alla esigenza di una maggiore efficacia ed efficienza nel perseguimento degli obiettivi organizzativi e di un maggior coinvolgimento nella strutturazione ed erogazione della prestazione assistenziale, questa suddivisione rende però inevitabili i conflitti che sono la conseguenza diretta della "differenziazione". L'impossibilità di eliminare totalmente i conflitti ne rende quindi necessaria una valida gestione attraverso la prevenzione, la negoziazione continua e un influenzamento teso a riportarli ad una dimensione "reale", affinché gli obiettivi dei gruppi coincidano con quelli dell'organizzazione complessiva. In questo compito di prevenzione è fondamentale il ruolo di quadri infermieristici integratori (con la funzione di educatori), per stimolare i contributi dei singoli gruppi ad una maggiore adesione agli obiettivi globali anteponendoli a quelli specifici, aumentando la frequenza di comunicazione e interazione tra i gruppi, sviluppando un sistema premiante per i gruppi che si aiutano a vicenda e agevolando, ogni volta che è possibile, la diversificazione delle esperienze per ampliare una predisposizione all'empatia, alla socializzazione e alla 128


comprensione e risoluzione dei problemi che sorgono "tra i gruppi".

4.3 - I CIRCOLI DI QUALITA'. Secondo l'ottica della "partecipazione organizzata", che, da una gestione basata sul concetto di "fai" evolve verso una gestione basata sul principio del "fai perché", i "circoli di qualità" possono rappresentare dei meccanismi operativi di particolare interesse. Potrebbero essere applicati in modo flessibile e intelligente, adattandoli alle esigenze delle unità operative "autogestite" del servizio ospedaliero e costituire una metodologia capace di motivare gli operatori a migliorare e mantenere una buona qualità delle prestazioni assistenziali, oltre a un clima organizzativo positivo. A mio parere, la condizione pregiudiziale alla introduzione di questa metodologia operativa nel campo assistenziale è che i circoli di qualità o di progresso costituiscano realmente uno strumento degli infermieri e per gli infermieri. Devono costituire, cioè, un metodo liberamente scelto - non coercitivo e strumentale - per raggiungere obiettivi concordati tra gli stessi operatori, tendente a migliorare il livello delle prestazioni assistenziali e la coesione del gruppo. I circoli devono entrare a tutti gli effetti in un processo motivazionale autogestito, capace di arricchire e rendere significativa la funzione infermieristica all'interno delle équipes; essere quindi finalizzati a migliorare i livelli assistenziali, con modalità che siano totalmente a vantaggio degli operatori e degli assistiti. Il "circolo di qualità", nel servizio ospedaliero e per le necessità del nursing, può consistere in un gruppo di operatori sanitari (infermieri nella posizione di collaboratori) numericamente variabili - da un minimo di tre ad un massimo di dieci - ma della stessa unità organizzativa che, insieme al loro coordinatore, si incontrano volontariamente (ad esempio un'ora alla settimana) in orario di servizio. Questi operatori possono utilizzare la risorsa tempo per un addestramento alle tecniche del "problem solving" da applicare alla identificazione dei problemi di lavoro, alla ricerca delle relative cause, allo sviluppo di soluzioni da attuare nei limiti delle proprie competenze o da proporre alla direzione, nonché alla valutazione della qualità dell'assistenza nella propria unità operativa per mezzo di tecniche 129


disponibili. La filosofia dei circoli si basa sul concetto che quasi tutte le persone divengono più interessate al lavoro se si consente loro di influire sulle decisioni ad esso relative 83 Come abbiamo visto, l'interesse per il proprio lavoro si può tradurre in un miglioramento dell'efficacia-efficienza del servizio complessivo. Per queste ragioni i managers e i loro stili di organizzazione e controllo, hanno ampia responsabilità nel far emergere comportamenti lavorativi positivi o negativi. Infatti, l'uomo non può essere considerato una variabile dipendente dall'organizzazione ma una risorsa che per essere gestita in modo efficiente deve consentire ad ogni persona la collocazione al "posto giusto". Come abbiamo visto, la molteplicità dei bisogni dell'uomo fa sì che egli, nell'espletamento del proprio lavoro, necessiti sempre di nuovi e migliori livelli di motivazioni. Così pure il concetto di job enrichment 84 è fondato sulla opportunità di apprendere cose nuove, sulla possibilità di comunicazioni dirette e di feed-back diretto e sulla responsabilità personale. Il circolo generalmente nasce e si sviluppa secondo linee precise ma flessibili che costituiscono la forza e la filosofia del gruppo: il 83 Il Circolo di qualità è nato nel primo e secondo dopoguerra, ad opera dei giapponesi (K. Ishikawa) che hanno interpretato e utilizzato testi americani (W. E. Deming, J. M. Juran); attorno al 1970 è stato poi ripreso e modificato dagli americani (W. S. Rieker), che lo hanno diffuso anche in altri paesi fra cui il nostro. Alla base dei circoli di qualità, oltre all'insegnamento e all'impulso dei tre massimi esperti di "Assicurazione qualità" (W. E. Deming, J. M. Juran, K. Ishikawa), vi sono gli insegnamenti di tre fondatori delle scuole psico-sociali dell'organizzazione (D. Mc Gregor, A. Maslow, F. Herzberg), i cui contributi complessivi fanno del programma "circoli di qualità" un insieme coordinato e funzionale di concetti relativi al controllo di qualità, alle relazioni umane, alle teorie motivazionali, all'approccio partecipativo verso la soluzione sistematica dei problemi (F. Gualtieri, 1985). 84 F. Herzberg (1959), che elaborò la teoria bi-fattoriale delle motivazioni, afferma che esistono due tipi di fattori, alcuni motivanti altri frenanti, direttamente collegati al lavoro, al modo di eseguirlo, alle responsabilità e al riconoscimento. Se al lavoro sono correlati tutti o molti fattori motivanti, qualsiasi lavoro può essere fatto meglio. 130


volontariato, la partecipazione, il lavoro di gruppo, l' addestramento, la creatività, la scelta dei temi e l' appoggio della direzione, (F. Gualtieri, 1985). Le figure che partecipano al programma e alla vita dei circoli sono: il facilitatore, il leader, il membro, il management e il coordinatore del programma (F. Gualtieri, 1985). Il facilitatore, nello specifico assistenziale ospedaliero può essere rappresentato dal dirigente dell'assistenza infermieristica, poiché è un quadro abbastanza alto, nella condizione di poter interagire a tutti i livelli, che possiede una buona conoscenza del servizio in cui opera cultura, meccanismi operativi, tecnologia e struttura - e degli operatori di tutti i livelli e profili. Dovrebbe essere il primo a ricevere la formazione e l'addestramento alla filosofia dei circoli e all'uso delle tecniche di intervento, poiché ha lo specifico ruolo di quadro di riferimento di tutto il programma e di supporto all'attività dell'operatore professionale coordinatore (capo sala), con funzione di leader. Il ruolo di facilitatore comporta l'addestramento del leader, l'assistenza all'addestramento dei membri del circolo, i contatti con la direzione, lo sviluppo del programma e lo stimolo alla partecipazione, il coordinamento delle attività dei circoli, il controllo e la misurazione dei risultati e la programmazione della loro presentazione alla direzione. Il ruolo del leader (quadro intermedio, coordinatore dell'unità operativa), che accetta la funzione di guida e istruttore del proprio circolo dopo aver ricevuto una specifica formazione, comporta la responsabilità per le funzioni che gli competono, ma rispetto ai diritti e doveri è del tutto equiparato agli altri componenti del circolo. Egli è un "coordinatore" che utilizza il "consenso" come strumento di lavoro ed ha il compito di addestramento dei membri-partecipanti del circolo, cura i rapporti con il facilitatore e gli altri leader, "guida senza dominare", coinvolge i partecipanti, mantiene i contatti con coloro che non partecipano, misura e controlla i risultati del proprio circolo. Il ruolo del partecipante o membro del circolo è fondamentale per l'attuazione del programma. Si ritiene che il successo del programma dipenda principalmente dal numero e dall'impegno dei membri del circolo, operatori sanitari che volontariamente aderiscono ad esso motivati dal desiderio di una maggiore partecipazione alla loro attività, anche indipendentemente da incentivazioni economiche. Generalmente essi partecipano assiduamente alle riunioni, imparano l'uso delle tecniche proposte, identificano i problemi, raccolgono e analizzano i 131


dati, contribuiscono alla soluzione dei problemi stessi, controllano i risultati, attuano collegialmente azioni correttive e presentano alla direzione le soluzioni ritenute adeguatamente risolutive dei problemi individuati. La direzione ha un ruolo fondamentale nel mantenere vitali i circoli di qualità: pur non comportando un impegno diretto e continuativo, essa deve ugualmente fornire ai circoli sostegno attivo, partecipando alle presentazioni, mantenendosi informata sullo svolgimento del programma, fornendo un adeguato e concreto riconoscimento al successo delle attività del circolo. I componenti del circolo di qualità dovrebbero dedicare sempre le loro prime riunioni all'apprendimento delle tecniche fondamentali da utilizzare: brainstorming, diagramma di Pareto, diagramma causeeffetto, moduli di registrazione, istogrammi, grafici e tecniche di presentazione alla direzione che, insieme, in base alle molteplici esperienze effettuate, costituiscono un modello flessibile e sistematico di problem solving (F. Gualtieri, 1985). Queste tecniche consentono l'aumento delle proprie conoscenze e competenze, un approccio scientifico alle tematiche della propria attività lavorativa e l'utilizzo completo e produttivo della riunione di lavoro. Dopo aver identificato il tema da affrontare, si possono applicare le tecniche ritenute più idonee ad una soluzione soddisfacente dei problemi individuati. I membri del circolo dovrebbero apprendere le tecniche di stesura e utilizzo di grafici e diagrammi in quanto questi rappresentano anche un metodo utile per migliorare le comunicazioni, oltreché per la presentazione di dati quantitativi e qualitativi in modo chiaro, semplice ed efficace e per facilitare il confronto di tendenze, valori e programmi. Le tecniche di presentazione alla direzione dei risultati raggiunti dal gruppo, possono rappresentare un momento importante per i suoi membri, per il riconoscimento e per la possibilità di gestire direttamente prestazioni generalmente riservate alle posizioni apicali. Nelle unità operative esiste una precisa area di problemi sui quali il circolo può essere libero di investigare e di cui il leader è responsabile. Quest'area di problem solving può essere divisa schematicamente in tre tipologie: problemi sui quali il quadro intermedio (capo-sala) e il gruppo possono avere autorità, competenza e potere per affrontarli e risolverli positivamente con totale autonomia; problemi di maggior peso che richiedono invece l'intervento - a livello decisionale - di livelli gerarchici più elevati; e infine problemi che il gruppo - a livello di unità 132


operativa - non può controllare né risolvere autonomamente. Per il processo di soluzione sistematica dei problemi, il circolo dovrebbe partire da quelli più semplici per arrivare solo successivamente a quelli più complessi. L'approccio metodologico dei circoli consiste in un processo di educazione finalizzato, con addestramento e formazione continui dei suoi membri e con l'appropriazione di strumenti e tecniche conosciute e nuove per una efficace soluzione dei problemi. E' un addestramento a caduta in cui il facilitatore, il leader, i partecipanti vengono in eguale misura formati ad essere degli addestratori per mezzo di metodologie didattiche efficaci a questo scopo, del tipo "una lezione una volta imparata non la si dimentica più". Infatti, l'addestramento al problem solving avviene sul luogo di lavoro e su problemi attinenti il lavoro, luogo in cui la fase formativa si collega a quella operativa senza discontinuità. Il senso dell'attivazione dei circoli all'interno di unità operative assistenziali autogestite, oltre al miglioramento della qualità delle prestazioni, consiste nel mantenere l' autogestione legata alla sua ragion d'essere, poiché centrando l'attività con e sulle risorse umane, i circoli dovranno tendere essenzialmente alla migliore qualità dell'assistenza e della vita lavorativa. I circoli (o gruppi, o piccole équipes, o team) potrebbero essere costituiti per raggiungere obiettivi quali: sviluppo dell'innovazione interna utilizzando il potenziale creativo degli operatori; snellimento delle strutture rendendo meno formali e meno rigidi i rapporti fra le gerarchie professionali; sviluppo di un clima di conoscenza e stima reciproca e di lavoro interdisciplinare; accrescimento del senso di appartenenza, dell'interesse, della comprensione degli obiettivi istituzionali e della struttura; ottimizzazione della qualità del lavoro, delle prestazioni assistenziali e, complessivamente, dell'unità operativa. Inoltre, l'apporto dei contributi individuali, favorisce l'accrescimento del livello culturale e lo sviluppo del potenziale costituito dall'intelligenza collettiva, quindi il miglioramento quali-quantitativo di tutta la struttura per meglio raggiungere l'obiettivo istituzionale: un migliore servizio assistenziale per l'uomo malato.

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4.4 - INTERVENTO PSICOSOCIALE E CAMBIAMENTO. "Intervenire significa collegare una diagnosi con un cambiamento, un modo per rendere continuo il processo di evoluzione, dandogli un senso non causale, non lasciando che le cose vadano per loro conto. Intervenire significa formulare un'ipotesi e una serie articolata di tesi ed antitesi, dialetticamente collegate e concatenate. Intervenire significa infatti sempre più 'intenzionare' cioè dare un'intenzione al comportamento proprio e altrui " (E. Spaltro, 1975). Si tratta di una metodologia specifica, caratterizzata da specifici strumenti tecnici, ma soprattutto di un'"idea forza" attraverso la quale si è introdotto il problema della soggettività del lavoro nell'ambito dei problemi organizzativi. L'aspetto più significativo dell'intervento psicosociale risiede nella sua capacità di allargare il numero dei protagonisti nei processi di cambiamento, coinvolgendo coloro che operano in una determinata struttura nel suo sviluppo (G. Sangiorgi, 1975). L'intervento psicosociale si è imposto come specifica metodologia e come criterio di analisi e d'intervento sui problemi organizzativi e, a mio parere, è perfettamente adatto a migliorare l'organizzazione dell'assistenza infermieristica in tutte le sue variabili situazionali. Questo metodo è in grado di operare con successo superando la falsa contraddizione esistente tra qualità della vita ed efficienza produttiva, ricercando un armonico sviluppo della dimensione soggettiva cioè individuale del lavoro e della dimensione oggettiva e quindi strutturale delle organizzazioni. Attualmente gli elementi metodologici dell'intervento psicosociale sono patrimonio comune a molteplici ruoli professionali quali educatori, esperti di organizzazione, psicologi, psicosociologi, quadri, manager, ecc. (G. Sangiorgi, 1975). Come abbiamo già analizzato, le dimensioni chiave presenti nelle organizzazioni sono fondamentalmente due: • la dimensione umana-individuale, caratterizzata dai bisogni e dalle motivazioni, definibile in termini di aspettative, speranze, timori presenti nelle persone e, attraverso di esse, nelle organizzazioni. E' la dimensione dove è massima la soggettività, difficile da "misurare"; • la dimensione sociale-strutturale, caratterizzata dalle norme e dalle procedure che l'organizzazione mette in atto per raggiungere i propri obiettivi. E' la dimensione dove è massima l'oggettività, facile da "misurare". 134


Se il comportamento lavorativo-organizzativo deriva dalla gratificazione o dalla frustrazione dei bisogni degli individui in una data struttura e se si assume che individuale e sociale sono dimensioni costantemente interdipendenti, secondo l'approccio psicosociale risultano possibili tre tipi di intervento; intervento inteso come un'azione intrapresa da un operatore intenzionalmente finalizzata a provocare un cambiamento ritenuto necessario sia a livello delle persone che a livello di alcune variabili strutturali: • intervento sulla dimensione individuale, introducendo la tecnica del lavoro di gruppo, migliorando le comunicazioni, gli stili di gestione, favorendo il sentimento di appartenenza, agendo sui bisogni e sulle motivazioni; • intervento sulla dimensione organizzativa, agendo sulla dimensione strutturale, in termini di cambiamento dei turni, procedure, organici, attrezzature, presenze medie giornaliere di degenti, ecc.; • intervento simultaneo su entrambe le dimensioni, individuale e organizzativa, quindi attraverso l'intervento psicosociale (G. Sangiorgi, 1975). Gli esperti di organizzazione documentano che nessun cambiamento sulle persone si consolida se non è accompagnato da analogo cambiamento sulle strutture organizzative; viceversa nessun cambiamento organizzativo-strutturale sarà mai effettivo se non è accompagnato da un mutamento nell'atteggiamento-comportamento degli individui (G. Sangiorgi, 1974). L'intervento psicosociale, infatti, assume come interdipendenti e reciprocamente interagenti i bisogni degli operatori e delle strutture organizzative per uno sviluppo equilibrato di entrambe le dimensioni. Nel campo assistenziale, prima di ogni intervento è necessaria una corretta diagnosi organizzativa capace di "misurare" clima organizzativo ed efficacia-efficienza dell'assistenza infermieristica all'interno di un'unità operativa; assistenza infermieristica che può essere percepita come "adeguata" oppure "non adeguata" in relazione a standards stabiliti da norme culturali, economiche e legislative in vigore. Il cambiamento organizzativo dell'assistenza infermieristica implica necessariamente una riduzione della distonia infermiere-realtà ospedaliera con l'introduzione di nuove tecniche, criteri, modelli organizzativi per la soluzione dei problemi individuati attraverso la modificazione e il miglioramento dei comportamenti assistenziali degli 135


operatori e delle condizioni che li determinano. Secondo la metodologia psicosociale, perché avvenga un cambiamento reale è indispensabile ottenere dagli operatori interessati flessibilità, assenza di pregiudizio e disponibilità a sperimentare. Prima di tutto dovrà essere modificato il normale atteggiamento nei confronti del cambiamento stesso e dei problemi che esso comporta. E cioè dovrà essere promossa una presa di coscienza non sostituibile da alcuna valutazione intellettuale o razionale, poiché il cambiamento non è un problema relativo solo alla preparazione culturale, ma anche e soprattutto alla esperienza personale. Il cambiamento organizzativo si può ottenere incentivando una tensione ad agire, ad incidere sulla realtà, stimolando la partecipazione, creando una dinamica per cui si ragiona nel senso del "nostro gruppo" e del "nostro lavoro". Nel campo assistenziale attualmente è necessario e possibile produrre concretamente dei cambiamenti capaci di eliminare, o perlomeno ridurre, disfunzioni soggettive (ad esempio atteggiamenti di assenteismo e/o negativismo) e strutturali (ad esempio, turni disfunzionali). In base al quadro concettuale di riferimento e alle esigenze del processo assistenziale nelle unità operative, il percorso logico del cambiamento organizzativo con la metodologia dell'intervento psicosociale deve necessariamente attraversare le fasi di: progetto, proposta, realizzazione, valutazione. Ad ogni singolo progetto di cambiamento organizzativo deve essere deputato un piccolo gruppo di operatori, non necessariamente sempre lo stesso, riconosciuto dai componenti dell'équipe; oppure anche l'intera équipe infermieristica in base a criteri di opportunità, di economicità, di tempo e di funzionalità. Nelle varie fasi può rendersi necessario l'intervento di uno o più esperti a seconda dei problemi individuati. Gli esperti devono, nel nostro caso, assumere un ruolo specifico al servizio delle persone direttamente interessate ad operare uno o più cambiamenti organizzativi, con la precisa funzione di "consulenza al gruppo". All'esperto si richiederà, in base alla diagnosi fatta, la capacità di entrare in rapporto con gli individui e con il gruppo che condividono una determinata situazione lavorativa. Egli dovrà porre a disposizione del gruppo le proprie conoscenze specialistiche ed il proprio patrimonio 136


di esperienza per la soluzione degli inevitabili e complessi problemi che il cambiamento comporta. Le fasi applicative dell'intervento nelle concrete realtà operative si possono considerare quattro: 1° FASE: è una fase conoscitiva in cui potrebbe già essere necessario l'intervento dell'esperto. L'esperto ha il compito di fornire alla équipe infermieristica, che dovrà procedere ad una precisa valutazione dell'organizzazione, una metodologia operativa atta a focalizzare i dati oggettivi e i dati soggettivi della propria realtà lavorativa. In questa prima fase, la metodologia scelta (questionario, intervista, osservazione diretta) deve "fotografare" e "misurare" scientificamente i dati relativi a struttura, processo, clima, utente, ecc.: a) - struttura organizzativa: finalità istituzionali, procedure, struttura architettonica, logistica, qualifiche, ruoli e funzioni svolte, dotazioni di organico, turnistica, organizzazione del lavoro, ecc.; b) - processo assistenziale: modalità di identificazione dei bisogni del malato, modalità di pianificazione, attuazione e valutazione dell'assistenza prestata, provvedimenti per il benessere e la sicurezza del paziente, "tenuta" del reparto, "tenuta" della camera del paziente, ecc.; c) - clima organizzativo: percezione globale del clima organizzativo, grado di soddisfazione nel lavoro, partecipazione al raggiungimento degli obiettivi dell'unità di diagnosi e cura, ecc.; d) - feed-back dell'utente: quali e in che misura i suoi bisogni rimangono insoddisfatti e perché, se e in che misura l'utente è soddisfatto dell'assistenza infermieristica, come vorrebbe essere assistito, ecc.. E' la fase in cui occorre definire con precisione la situazione realmente esistente, ottenendo un quadro esatto della realtà organizzativa (focalizzazione). Gli strumenti usati (esempio questionario) devono misurare con rigore assoluto ciò che ci si propone di valutare per cambiare. Lo strumento che si intende utilizzare per fotografare la situazione dovrà corrispondere a specifiche e diverse necessità, variando in base alle realtà operative, alle tipologie organizzative e assistenziali, ai fini istituzionali delle "aree funzionali" ecc.; dovrà essere quindi "tarato" sulle variabili soggettive e oggettive. 2° FASE: dopo la diagnosi inizia la fase della creazione di agenti del cambiamento (3-4 persone). Lo strumento operativo è il gruppo, in cui l'operatore professionale dirigente può assumere il ruolo di trainer 137


del lavoro di gruppo. In questa fase occorre assicurare ampia autonomia operativa e comunque utilizzare modalità non direttive ma partecipative. E' una fase centrata sulle dinamiche psicologiche degli individui, che permette di acquisire coesione su obiettivi comuni e in cui gli operatori generalmente vivono un sentimento di appartenenza al gruppo. Dopo aver analizzato "obiettivamente" la propria realtà operativa, cioè la discrepanza tra situazione reale e quella auspicabile per meglio rispondere alle finalità istituzionali, vi è la necessità di operare il cambiamento. Normalmente il gruppo scopre il bisogno, la volontà, la capacità di operare per concretizzare una migliore realtà organizzativa. Si tratta di progettare modelli organizzativi che eliminino le disfunzioni rilevate, con l'apporto di correttivi idonei. Il progetto deve contenere proposte concrete in grado di modificare una parte o tutto ciò che si è rilevato disfunzionale, con il minimo disagio e il massimo vantaggio possibili. In seguito si dovrà esporre il progetto in sede di riunioni a tutta la équipe infermieristica. Prima della fase applicativa occorre presentare, discutere e avere l'approvazione del nuovo assetto progettato dai responsabili forniti del potere decisionale necessario (direzione sanitaria, direzione politica e amministrativa, organizzazioni sindacali). 3° FASE: è la fase di realizzazione pratica, in cui le difficoltà sono di tipo tecnico-organizzativo, nella quale la quota fisiologica dei resistenti al cambiamento potrebbe, se gli innovatori lo permettono, invalidare in tutto o in parte il processo. Anche in questa fase può essere opportuna l'assistenza di un esperto per la gestione dei conflitti e per il superamento delle difficoltà tecniche. Le innovazioni migliorative dell'assistenza infermieristica devono essere limitate nel tempo, ben definite negli obiettivi e verificate nell'efficacia. La fase di assestamento del cambiamento ottenuto risponde alla regola per cui, affinché qualcosa cambi nell'organizzazione, occorre che il cambiamento venga istituzionalizzato ed assimilato dai singoli; per questo, una volta ottenuto un cambiamento organizzativo, ci si dovrebbe fermare fino a quando tale cambiamento viene introiettato, prima di ricominciare. 4° FASE: l'attuazione del progetto prevede necessariamente la valutazione dei risultati ottenuti. La valutazione si può attuare misurando lo scarto esistente tra situazione iniziale e situazione finale. 138


Si può raggiungere questo obiettivo servendosi dello stesso strumento utilizzato per la diagnosi (es. questionario). Operativamente, nella realtà assistenziale ospedaliera, l'infermiere dirigente può valersi di questa metodologia per ottenere concreti risultati nelle sue funzioni di educazione, di organizzazione del lavoro e di gestione delle risorse tendendo alla realizzazione concreta della massima personalizzazione dell'assistenza globale al malato. Ma il cambiamento effettivo, soggettivo e strutturale, necessario ad ottimizzare il processo assistenziale, dipende, oltre che dagli infermieri, da coloro che determinano i modelli di gestione delle risorse. Poiché "... i comportamenti del personale in una data organizzazione rappresentano in parte gli "specchi" della struttura e del sistema premiante che li circonda, pretendere dagli specchi la modifica degli oggetti che essi stessi riflettono è operazione illusoria. E' agli "architetti" del sistema sanitario che spetta la risoluzione dell'arduo problema, è perciò inutile e demagogico lo stupore che alcuni di tali architetti ostentano per comportamenti sanitari devianti che essi stessi contribuiscono a progettare e a premiare " (R. Vaccani, 1988).

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